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Di Cornelio Tacito si ignorano sia la data di nascita che la patria, e il poco che sappiamo sulla sua
vita lo dobbiamo principalmente agli indizi sparsi nel suo corpus di opere e alle lettere del suo
amico Plinio il Giovane. È grazie ad una di queste che collochiamo, presumibilmente, la nascita di
Tacito nella Gallia Narbonese tra il 56 e il 58 d.C.
Il suo prenomen è tuttora incerto tra Gaius e Plubius e oscure ci restano le sue origini familiari.
Alcuni gli attribuiscono una discendenza nobile, altri invece lo ritengono discendente di un liberto.
Il forte legame di amicizia con Plinio fa supporre che i due provengano dallo stesso ceto sociale:
quello equestre. Da giovane studiò retorica a Roma, e come Plinio potrebbe aver frequentato la
scuola di Quintiliano.
Nel 77 sposò Giulia Agricola, figlia tredicenne del generale Gneo Giulio Agricola, il quale era al
comando di una legione operante in Britannia a cui Tacito partecipò sotto l’incarico di tribuno
militare. Sotto Tito fu nominato quaestor Augusti, e sotto Domiziano proseguì il cursus honorum
divenendo tribuno della plebe e pretore.
L’anno seguente lasciò Roma per recarsi come legato o propretore in una regione nord-occidentale
dell’impero dove conobbe da vicino quei Germani a cui dedicò il saggio etnografico “La
Germania”. Tornò a Roma solo nel 93 dopo la morte del suocero.
Nel 97 d.C., sotto Nerva, subentrò nel consolato a Virginio Rufo che commemorò nell’orazione
funebre ufficiale.
Nel 100 perseguì il governatore d’Africa Mario Prisco per corruzione, vincendo il processo.
Seguì una lunga assenza dalla vita politica durante la quale scrisse le sue due opere più
importanti: le Historiae e gli Annales. Negli anni 112-113 fu proconsole in Asia e morì, infine,
intorno al 120 nei primi anni del principato di Adriano.
OPERE LETTERARIE:
A Tacito vengono attribuite cinque opere:
-l’Agricola, una sorta di biografia del suocero (98);
-la Germania, un saggio etnografico sui popoli germanici (98);
-il Dialogus de oratoribus, un dialogo sull’oratoria (102);
-le Historiae, una storia dell’impero dal 69 al 96 d.C. (105);
-gli Annales, una storia dell’impero dalla morte di Augusto nel 14 d.C. al 69 (115).
L’AGRICOLA:
Il nome completo dell’opera è “De vita et moribus Iulii Agricolae”, letteralmente: Vita e costumi
di Giulio Agricola. È la prima opera scritta da Tacito e fu composta all’incirca nel 98 d.C.
Si tratta di una monografia dedicata alla vita del suocero Gneo Giulio Agricola, eminente uomo
politico e generale romano, per la cui morte non aveva potuto comporre un’orazione funebre
ufficiale, non essendo riuscito a tornare a Roma in tempo dal suo viaggio come legato in una
regione nord-occidentale.
Il corpo dell’opera è principalmente costituito dalle imprese di Agricola in Britannia, incorniciate
da un racconto sulla sua gioventù e dalla descrizione degli ultimi anni dell’uomo.
L’Agricola si configura come una notevole analisi storica sui meccanismi della politica, sulla
psicologia del potere assoluto e sul contrasto tra monarchia e libertà, divenuto insanabile sotto il
regno di Domiziano. Contiene, inoltre, un’interessante excursus etnografico sui Britanni, che si
pone come base per il lavoro più approfondito che farà nell’opera “La Germania”.
L’Agricola si configura dunque come un’opera a carattere misto biografico-politico-etnografico
che la pone in un ambito solitamente poco praticato nei regimi dispotici, ovvero quello della libera
indagine storiografica. A tal proposito egli ricorda all’inizio dell’opera i nomi dei personaggi che
avevano tentato questa stessa operazione prima di lui, ma che erano stati eliminati da Domiziano
per aver elogiato nelle loro opere personaggi illustri del passato, rappresentanti dell’opposizione
anti-imperiale.
Agricola aveva compiuto l’ultima parte della sua carriera di amministratore e condottiero sotto
Domiziano, per cui raccontare la sua vita significava toccare un punto cruciale della politica di età
imperiale, ovvero come dovesse comportarsi un cittadino virtuoso costretto ad operare sotto un
regime tirannico.
Tacito fa del comportamento di Agricola l’esempio perfetto di come anche sotto cattivi principi
potessero esserci uomini grandi. In realtà anche Agricola alla fine dei suoi anni era caduto in
disgrazia presso Domiziano, tanto che al punto della sua morte si era sparsa la voce che fosse stata
causata per avvelenamento. A Tacito, però, più che la causa interessava il modo in cui Agricola era
morto. La sua, infatti, fu una morte appartata e silenziosa, espressione di una libertà interiore che
non aveva bisogno di gesti clamorosi, e ben lontana dalla platealità del martirio e del suicidio stoico
che secondo Tacito, erano utili solamente alla fama di chi li compiva, e certamente non al bene dello
Stato.
Degni di nota sono l’introduzione, nella quale l’autore lancia una dura invettiva contro
l’abbandono delle virtù nella Roma imperiale, e il celebre passo del discorso pronunciato da
Calcago (capo dei Cledoni) per incitare i suoi soldati prima della battaglia del monte Graupio.
Seguendo i canoni della storiografia drammatica antica, Tacito costruisce un discorso in cui fa
pronunciare a Calcago una dura accusa verso l’avidità e l’imperialismo romano.
In realtà, Tacito non era contro l’espansione dei confini dell’Impero, tant’è che negli Annales
rimprovererà a Tiberio proprio la politica di non espansione, piuttosto non approvava
l’atteggiamento di sfruttamento nei confronti delle popolazioni conquistate.
Stando a Tacito, Agricola sarebbe stato il politico perfetto e virtuoso: duro ma giusto; spietato ma
intelligente; un uomo incorruttibile che muore senza ostentazioni, rifiutando il suicidio degli stoici,
che non porta beneficio allo Stato e che quindi viene criticato da Tacito.
Per Tacito il suocero diventa simbolo del mos maiorum e di una classe politica che collaborò
anche col tiranno per il bene dello Stato, tenendo un comportamento scrupoloso, integerrimo e
onesto.
Diviene dunque un modello da seguire. è l’uomo politico che ha servito lo Stato con fedeltà, onestà
e dedizione, pur vivendo in un’epoca di tirannide.
Insomma, Il ritratto di Agricola da parte di Tacito è senza dubbio ingigantito, idealizzato e,
soprattutto, ideologico, perché serve a Tacito, per creare una contrapposizione tra la meschinità
dell'imperatore Domiziano e le alte virtù civiche di un uomo del Senato, preoccupato del bene
comune e non dei suoi interessi personali.
LA GERMANIA:
Nome completo dell’opera è: “De origine et situ Germanorum”, ovvero “Sull’origine e la
posizione geografica dei Germani”. Anch’essa fu scritta nel 98 d.C. e si tratta di un’opera
etnografica, riguardante i diversi aspetti delle tribù germaniche residenti al di là dell’Impero
romano.
Nell’età di Traiano, infatti, l’impero aveva raggiunto la sua massima estensione territoriale, e
l’allargamento degli orizzonti geografici aveva favorito il confronto con le diverse culture.
Il tema della Germania era già stato precedentemente trattato all’interno della tradizione
etnografica che va da Erodoto a Cesare, l’opera di Tacito però, non si configura come un semplice
assemblaggio di fonti ma presenta un carattere originale. Comprende, infatti, sia delle parti
storiche che delle parti ideologiche, e contiene informazioni raccolte dall’autore personalmente.
Intento non troppo velato dell’opera, è quello di descrivere i costumi puri e incorrotti dei
Germani, per criticare indirettamente quelli corrotti e degenerati dei romani; e per istituire una
sorta di parallelo tra quello che erano i Germani allora e con ciò che i Romani erano stati e che ora,
a causa della loro decadenza morale, non erano più.
Nell’opera Tacito sostiene che i veri barbari siano proprio i romani, perché i barbari, di contro ai
romani, avevano un forte senso religioso e amavano la libertà.
L’opera comincia con una descrizione delle terre, delle leggi e dei costumi dei germani, per poi
continuare con la descrizione delle singole tribù, iniziando da quelle più vicine ai territori romani e
terminando con quelle ai più estremi confini sul mar Baltico, con una descrizione dei
primitivi e selvaggi Fenni e delle altre tribù sconosciute.
Il pubblico a cui Tacito dedica il libro, per lo più composto da senatori, cavalieri e mercanti
(raffiguranti l’opinione pubblica) era un pubblico curioso di ciò che si celava al di là delle frontiere,
e preoccupato da quei popoli che con la loro forza, il loro numero e il loro valore bellico
rischiavano di mettere in pericolo la potenza romana in qualsiasi momento.
Il contenuto dell’opera si divide sostanzialmente in due parti: la prima tratta delle caratteristiche
generali del popolo, analizzandone le istituzioni militari e civili, l’organizzazione famigliare, la
severità dei costumi matrimoniali, la religione, la vita quotidiana, la caccia, l’agricoltura,
l’abbigliamento etc.
La seconda parte tratta invece dei singoli popoli germanici, fornendo un elenco dettagliato di tutte
le tribù.
Per la descrizione dei popoli stranieri, Tacito si avvale dei modelli di pensiero elaborati dalla
tradizione etnografica greco-latina. Primo tra tutti il determinismo geografico, secondo il quale le
caratteristiche dell’ambiente fisico determinano in maniera automatica l’aspetto fisico e psichico
degli abitanti.
IL DIALOGUS DE ORATORIBUS:
Il problema principale del Dialogus de oratoribus riguarda la sua attribuzione. La tradizione
manoscritta lo attribuisce infatti a Tacito, ma alcuni studiosi nutrono dei dubbi a riguardo.
Lo stile dell’opera, largo e fluente, di evidente imitazione ciceroniana, è ben lontano da quello
asimmetrico e conciso che Tacito usa normalmente nelle altre opere.
I sostenitori dell’autenticità, giustificano la diversità dello stile con la diversità del genere
letterario. A differenza delle altre opere di tacito, che appartengono al genere storiografico, e
prevedono l’utilizzo di un modello letterario che risale a Sallustio, il Dialogous appartiene, infatti,
al genere del trattato sull’oratoria e risente dunque l’influsso dello stile ciceroniano imposto da
Quintiliano, considerato il massimo maestro di retorica.
Anche la data di composizione dell’opera è incerta, ma fu probabilmente scritto dopo l’Agricola e la
Germania, quindi intorno al 102, come ci suggerisce anche la dedica a Fabio Giusto, console
proprio nel 102, ma alcuni ne datano la composizione tra il 75 e l’80 perché il dialogo è ambientato
sotto Vespasiano.
Protagonista del dialogo è Curiazio Materno, oratore e poeta tragico, nella cui casa Tacito afferma
di aver ascoltato da giovane una discussione sul declino dell’oratoria. La tesi sostenuta da Materno,
rispecchia con evidenza il pensiero di Tacito.
Mentre i suoi interlocutori si lasciano andare ai luoghi comuni dell’inadeguatezza delle scuole,
dell’impreparazione dei maestri e della decadenza della moralità, Materno sposta l’analisi su un
terreno socio-politico, affermando infatti che l’oratoria non può vivere in un regime assolutistico.
La libertà repubblicana portava necessariamente con sé la discordia, ma è proprio di esse che si
alimenta la grande oratoria, per questo essa non può sussistere sotto l’assolutismo imperiale.
LE HISTORIAE:
Nel terzo capitolo dell’Agricola, Tacito aveva dichiarato il suo desiderio di comporre “una memoria
delle precedenti servitù”, ossia del regno di Domiziano, “e una testimonianza dei beni presenti”,
ovvero del regno di Nerva e Traiano.
Nelle Historiae, però, il progetto muta e nell’introduzione, Tacito rimanda la sua opera su Nerva
e Traiano, decidendo di occuparsi prima del periodo compreso tra le guerre civili del 68-69 d.C.
e del regno dei Flavii.
Del testo originale sono rimasti conservati soltanto i primi quattro libri, insieme a 26 capitoli del
quinto. Il lavoro sarebbe dovuto proseguire fino alla morte di Domiziano, e doveva essere di circa
14 libri.
Il quinto libro, contiene inoltre, un importante excursus etnografico sugli ebrei che testimonia
l’atteggiamento dispregiativo dei romani verso quel popolo.
Tacito ha rinunciato al progetto originario di raccontare il passaggio dal male al bene, ovvero dalla
tirannia crudele di Domiziano al principato mite di Nerva e Traiano, perché nel frattempo sono
maturati in lui dei nuovi interrogativi. Scelse quindi di indagare il processo contrario, dal bene al
male, e dal male al male. La chiave di questo enigma è riposta, secondo Tacito, nel groviglio di
eventi che caratterizza il 69 d.C., l’anno dei quattro imperatori, a cui lui dedica i primi tre libri.
Libro I: dopo una prefazione in cui l’autore condanna la storiografia del periodo imperiale come
divisa tra avversione e servilismo, e preannuncia l’intenzione di raccontare i fatti senza amore né
odio, il primo libro si apre con la notizia di ammutinamenti tra le regioni sul fronte germanico.
Nel gennaio del 69 d.C. gli eserciti riuniti della Germania superiore e inferiore acclamarono
imperatore Vitellio e a Roma, Galba in un estremo tentativo di difendere lo Stato adotta Pisone
Liciniano come suo successore. Tuttavia a Roma, il Senato riconosce, Otone come imperatore.
Libro II: dopo un accenno alle mosse di Vespasiano e Tito sul fronte orientale, tacito riprende il
racconto dei movimenti di Vitellio e Otone. Nello scontro gli otoniani escono sconfitti e Otone si
suicida. A Roma il Senato conferisce a Vitellio tutti i titoli e gli onori in passato conferiti ai singoli
imperatori. Intanto, però, in Oriente la situazione precipita perché Vespasiano viene a sua volta
proclamato imperatore.
Libro III: il terzo libro si apre con la rapida avanzata dell’esercito di vespasiano in Italia e la
descrizione dei suoi primi successi. La lotta si sposta sotto le mura di Cremona dove si compie la
resa dei vitelliani e l’annientamento della città. Le notizie dei successi dei Flavii favorirono delle
ribellioni ai confini dell’impero, Vitellio avrebbe voluto abdicare ma venne ostacolato dalle truppe,
e i vitelliani assediarono il Campidoglio, incendiando il tempio di Giove. A seguito di ciò,
Vitellio venne assassinato.
Libro IV: all’inizio del quarto libro, Domiziano (figlio di Vespasiano) è insignito del titolo di
Cesare. Subito dopo arriva a Roma Muciano che assume le funzioni di reggente.
Qui il racconto si sposta sui tragici fatti della Germania con la ribellione dei batàvi sotto il
comando di Giulio Civile. All’inizio del 70, la notizia della morte di Vitellio e dell’incendio del
Campidoglio riaccese la sommossa in Gallia e Germania e si susseguirono diverse disfatte
romane.
Intanto, ad Alessandria, Vespasiano guarì un cieco e uno storpio, interpretando il doppio miracolo
con un segno del suo destino fortunato.
Libro V: il quinto libro si apre su Tito impegnato nell’assedio di Gerusalemme e riporta una
lunga digressione etnografica sui giudei, dove appare evidente il disprezzo nutrito dai romani nei
confronti di quel popolo. Tacito ne analizza, sempre con fare dispregiativo, la storia, la cultura, le
credenze religiose e i caratteri generali.
Nei libri Tacito insiste particolarmente sulla totale inadeguatezza sia di Otone che di Vitellio a
detenere il principato.
Una delle principali ragioni della degenerazione del Senato e del popolo romano è da ricercarsi,
per Tacito, nella grandezza stessa dell’impero. Col suo continuo accrescersi, infatti, l’impero
aveva ingigantito e fatto esplodere nell’animo umano la potentiae cupido, ovvero la bramosia di
potere. Questa digressione sulla potentiae cupido dimostra come, fin dall’inizio della stesura delle
Historiae, Tacito si fosse persuaso che i mali del principato avessero le proprie radici in tempi
precedenti a quelli narrati, e che ripercorrerà infatti negli Annales, venendo meno alla propria
promessa iniziale (di andare avanti nella narrazione).
Con svariate annotazioni in margine ai gesti compiuti e ai discorsi tenuti dei personaggi più in vista,
senza mai tralasciare le possibili intenzioni che li hanno mossi ad agire a parlare in quel modo,
Tacito disegna i ritratti di un Ottone, abbietto e dissoluto, ma alla fine capace di un dignitoso
suicidio che, se non riscatta il principe sembra almeno riscattare l’uomo; di un Vitellio dedito a
ingozzarsi di cibo e di vino, appassionato spettatore di circo e di teatro, incompetente sia in cose di
guerra che in cose di pace e vile fino all’ultimo; e di un Domiziano, ancora giovane, ma già avviato
ad essere il tiranno terribile che sarà.
La tecnica narrativa e lo stile di cui Tacito si avvale indicano come modello storiografico di
partenza l’opera di Sallustio. Di ispirazione Sallustiana è infatti l’attitudine di Tacito a procedere
drammatizzando, dividendo cioè la narrazione in una successione di scene e di atti attorno a
singoli personaggi o eventi, che vengono costantemente illustrati nelle loro ragioni psicologiche,
sociali e spesso anche antropologiche. Sallustiano è anche il corrente moralismo e il ricorso ad uno
stile asimmetrico, slegato e anticiceroniano, adatto a comunicare il pathos della situazione.
Pur partendo da lui, però, Tacito supera di molto il modello di Sallustio.
Infatti la sua capacità di guardare dentro agli uomini e alle loro azioni è più acuta e ricca di
sfumature, e lo stile è molto più elevato. La frase di Tacito appare sintatticamente complessa,
irregolare e imprevedibile, spesso povera di verbi e congiunzioni, ricca di arcaismi, parole correnti
piegate a significati nuovi e termini di uso poetico.
GLI ANNALES:
Gli Annales sono l’ultima opera storiografica di Tacito e furono composti subito dopo le Historiae,
probabilmente tra il 112 e il 113 d.C.
L’opera tratta del periodo che va dalla morte di Augusto nel 14 (il funerale dell’imperatore è proprio
il brano di apertura del testo) a quella di Nerone nel 68.
L’opera era composta di circa 18 libri ma ci sono pervenuti soltanto i primi quattro, l’inizio del
quinto e il sesto privato dei capitoli iniziali (dedicati a Tiberio); oltre ai libri dal XI al XVI (che
vanno da Claudio a Nerone).
Probabilmente dal settimo al dodicesimo libro venivano trattati i regni di Caligola e di Claudio,
mentre gli ultimi due avrebbero dovuto trattare il regno di Nerone fino alla sua morte.
Al centro di tutta l’analisi continua ad essere il rapporto tra l’imperatore e il Senato, che Tacito
giudicava vitale per la sopravvivenza della libertà, ma che ormai era stato completamente privato
del proprio peso politico. Così come nel Dialogus Tacito aveva collegato il declino dell’oratoria alla
mancanza di libertà, così ora collega alla mancanza di libertà il declino dell’attività
storiografica ed in generale della storia stessa. Se infatti gli antichi autori avevano da ricordare
conflitti grandiosi, lotte interne, espugnazioni di città etc., già sotto Tiberio gli orizzonti si erano
ampiamente ristretti ad una pace scossa solo da brevi e futili sussulti.
Le figure dei principi vengono indagate con introspezione psicologica:
Tiberio appare ambiguo e viene descritto come un esempio di falsità e dissimulazione nel
presentare il proprio potere come una rassicurante continuazione della legalità repubblicana. Viene
messa in evidenza la sua scaltrezza nel corrompere, il progressivo cedere alla libidine e il vano
tentativo di nascondere i suoi segreti e i suoi tormenti.
Claudio, invece, appare come un inetto privo di volontà, manovrato dai liberti e dalle donne di
corte, mentre Nerone si fa interprete di una sorta di tragedia in tre atti: prima è succube della
madre, poi abile nell’avvicinarsi a Seneca ostentando virtù pubbliche (clemenza) che in realtà non
gli appartengono, e infine spietato nell’eliminare qualsiasi ostacolo si frapponga tra lui e il potere,
a cominciare dalla madre e dalla moglie, stagliandosi come una vera forza del male che contamina
tutto e tutti in una città in cui nessuno si sente più al sicuro.
In contrapposizione Tacito inserisce le due affabili figure di Germanico, che opera sotto Tiberio, e
di Corbulone, che opera sotto Nerone. Entrambi grandi condottieri, dal carattere autorevole, lucido
e leale che li rese amati dal popolo.
In evidenza vengono anche messe le morti di Tràsea Peto, con cui si conclude quanto ci resta degli
Annales, di Seneca e di Petronio.
Le piccole inesattezze che si riscontrano negli Annales derivano probabilmente dal fatto che
Tacito morì prima di poterne fare una rilettura completa. In qualità di Senatore, aveva facile accesso
ai documenti ufficiali degli Acta Diurna populi Romani (atti di governo e notizie su quanto
avveniva nell’Urbe) e degli Acta senatus (i verbali delle sedute del senato), tra cui le raccolte dei
discorsi di alcuni imperatori, come Tiberio e Claudio.
Utilizzò anche una grande varietà di fonti storiche e letterarie di diversa provenienza, come diari
di guerra, memorie private (come quelle di Agrippina), libelli etc.
Libro I: nella prefazione Tacito espone la storia costituzionale di Roma per la sua fondazione.
Segue la narrazione delle vicende successive alla morte di Augusto: a Roma Tiberio fa eliminare
Postumo Agrippa, nipote di Augusto e possibile rivale nella successione.
In Germania scoppia una rivolta delle legioni di stanza, ma Germanico, nipote della moglie di
Augusto ed erede designato dell’imperio riesce a domarla e indurre i soldati ad attaccare i germani.
Libro II: il libro racconta la vicenda del giovane Germanico. All’inizio del libro Tiberio, che deve
fronteggiare la popolarità crescente di Germanico, allontana il giovane sfruttando l’emergenza dei
disordini scoppiati in Oriente. Nel 18 d.C. Germanico muore di malattia, con il fondato sospetto
che la morte sia avvenuta per avvelenamento, su ordine di Pisone e della moglie e Tiberio perde il
favore dei cittadini.
Libro III: trattano dei funerali di Germanico. Il Senato chiese a Tiberio di istruire il processo e
Pisone si dà la morte, mentre la moglie viene graziata.
Libro IV: racconta il mutamento di Tiberio e il suo successivo incrudelirsi. Processo contro lo
storico Cremuzio Cordo, che si lascia morire di fame mentre i suoi libri vengono messi al rogo.
Libro V: ne resta solo un frammento che tratta della morte di Livia Augusta, madre di Tiberio, che
si mostrerà indifferente.
Libro VI: narra le dissolutezze compiute da Tiberio nella reggia di Capri mentre a Roma
infuriano processi e condanne. Quando l’imperatore si ammala viene fatto soffocare dal prefetto
Macrone, sostenitore di Caligola.
Libro XI: riprende con i fatti del 47 d.C. e Claudio viene rappresentato come un debole guidato
dalle scelte della moglie Messalina.
Libro XII: Claudio ha una nuova moglie: Agrippina, che prenderà le redini dello Stato.
Claudio adotta il figlio della donna che prende il nome di Nerone, il quale sposerà la sua sorellastra
Ottavia. Nel frattempo Agrippina fa avvelenare Claudio e Nerone viene acclamato imperatore.
Libro XIV: Poppea istiga Nerone contro Agrippina e quest’ultima viene uccisa. Nerone si
abbandona ad ogni sorta di depravazione e sposa Poppea ripudiando Ottavia.
Libro XV: nel 64 un terribile incendio si abbatte su Roma e Nerone fa ricadere i sospetti sui
cristiani. L’anno successivo fu organizzata una congiura contro Nerone che però fallì.
Libro XVI: in uno sfogo d’ira Nerone uccide con un calcio Poppea incinta. Continuano le
delazioni e le condanne tra le cui vittime spicca la figura di Petronio.
METODO STORIOGRAFICO:
Il metodo storiografico di Tacito deriva dagli esempi della tradizione storiografica precedente, in
particolare quella di Sallustio.
Tacito non si appoggia ad un generale disegno filosofico ma indaga in modo autonomo il
comportamento umano in una prospettiva politica.
Nonostante nei suoi racconti accadano segni e prodigi, Tacito tende ad escludere gli interventi
divini. Secondo lui gli avvenimenti umani sono responsabilità del tutto umana.
Una caratteristica di Tacito è quella di non schierarsi in maniera definitiva a favore o contro le
persone descritte, ma spiega in maniera aperta quali siano le qualità che lui giudica lodevoli e quali
quelle che giudica spregevoli.
PESSIMISMO:
Tacito era convinto che non fosse possibile l’esistenza di una forma politica o sociale in grado di
resistere di fronte alla corruzione dei costumi del popolo romano. Infatti a Roma, per il recupero dei
boni mores, non bastava la felicità temporanea inaugurata da Nerva e Traiano. A tal proposito
affermò che “di fronte alla debolezza della natura umana, i rimedi sono più lenti dei mali, e così
come i nostri corpi crescono lentamente ma si estinguono di colpo, così si potrebbero più
facilmente soffocare che richiamare in vita le attività dell’ingegno: infatti l’inattività, che dapprima
è odiosa, diviene amata”.
LO STILE:
Tacito ricava dalla storiografia greca la capacità di sviscerare eventi complessi in un’esposizione
chiara e lineare, e l’attenzione ai caratteri e ai soggetti, di cui fu capace di analizzare, con pochi
tratti, le emozioni e la mentalità, fornendo al lettore un quadro completo delle loro personalità,
spesso contrastate e contraddittorie.
Dalla storiografia romana, invece, e in particolare da Sallustio, riprende la forma annalistica.
Lo stile è elevato, solenne e poetico. Il periodo è secco, conciso, dettato da una forte inconcinnitas
o asimmetria che rompe l’equilibrio delle frasi enfatizzando determinate parole o concetti.
PUBBLICO:
L’opera di Tacito riscosse una forte simpatia presso l’aristocrazia per il pensiero politico dello
storico, non fu però particolarmente letto nella tarda antichità e nel medioevo, anche perché
l’antipatia mostrata nei confronti degli ebrei e dei cristiani lo resero assai impopolare presso i dotti
medievali che erano quasi sempre ecclesiastici.
Nel Rinascimento, però, le sue sorti si capovolsero e venne riconosciuto dall’Encyclopedia
Britannica come il più grande storico romano.
a. Quali sono gli aspetti che allontanano l’Agricola dagli schemi consueti del genere
“biografia”?
L’Agricola si configura come un’opera a carattere misto biografico-politico-etnografico. Presenta
una notevole analisi storica sui meccanismi della politica, sulla psicologia del potere assoluto e sul
contrasto tra monarchia e libertà, divenuto insanabile sotto il regno di Domiziano. Contiene, inoltre,
un’interessante excursus etnografico sui Britanni, che si pone come base per il lavoro più
approfondito che farà nell’opera “La Germania”. Questa particolarità la pone in un ambito
solitamente poco praticato nei regimi dispotici, ovvero quello della libera indagine storiografica. A
tal proposito egli ricorda all’inizio dell’opera i nomi dei personaggi che avevano tentato questa
stessa operazione prima di lui, ma che erano stati eliminati da Domiziano per aver elogiato nelle
loro opere personaggi illustri del passato, rappresentanti dell’opposizione anti-imperiale.