Tacito visse in un’epoca di grande splendore per Roma, e la sua grandezza sta nel fatto di aver conciliato il
suo pensiero storico, che mirava ad interpretare le dinamiche politiche, con la sua qualità di scrittore.
Nacque intorno al 55, quando la repubblica era ormai finita da tempo mentre si erano succeduti numerosi
imperatori e la parola libertas, intesa come libertà di azione politica, era ormai un ideale del passato. Tacito,
essendo membro della classe senatoria si sentiva erede di quel mondo, le virtù di Roma, per lui erano quelle
antiche, che ormai erano andate irrimediabilmente perdute. Dalle sue pagine emerge che i suoi protagonisti
sono un’immensità di imperatori crudeli, corrotti ed immorali. Nonostante Tacito fosse nostalgico
nell’anima, era realista nei fatti e la sua intelligenza gli permise di comprendere le necessità del tempo e che
una restaurazione della repubblica sarebbe stata rovinosa. Per servire Roma , dunque bisognava accettare il
dominio dell’imperatore e collaborare con lui. La forza e ricchezza dei Romani , a quel tempo, erano
abbaglianti: i confini venivano controllati da armate imbattibili, i commerci fiorivano e le ricchezze
sembravano inesauribili. Però in Tacito possiamo cogliere i sintomi di una crisi, principalmente morale.
Nelle sue pagine troviamo Romanzi eroici, personaggi paragonabili a Scipione e Cincinnato ma ci sono
anche servi pronti a qualsiasi delitto pur di entrare nelle grazie del principe.
Della vita di Tacito non si sa molto, anche il pronome è incerto. Gaio, oppure più probabilmente, Publio.
Forse proveniva dalla Gallia Narbonense, antica regione romana, dove il cognomen Tacito era abbastanza
diffuso. Secondo altri ,invece, era di Terni tanto che l’imperatore Claudio Tacito, nativo di quella regione, si
vantava di esssere un suo discendente. Il suo suocero fu il valoroso comandante militare Giulio Agricola,
che contribuì alla conquista della Britannia, del quale Tacito sposò la figlia tredicenne.
Tacito ebbe un ottima educazione, tanto che sembra essere stato allievi di Quintiliano e intraprese la
carriera politica, percorrendo il cursus honorum. La sua attività iniziò con Vespasiano, prosegui con suo
figlio Tito e continuò anche col suo successore, Domiziano, uomo sospettoso e crudele. Dopo la morte di
Domiziano, sotto l’impero di Nerva, nel 97, Tacito divenne console, o meglio, consul suffectus, subentrar a
Virginio Rufo che era morto. Nello stesso periodo iniziò a scrivere senza mai interrompere il suo impegno
pubblico, per dedicarsi alla scrittura. Strinse una forte amicizia con Plinio il Giovane e prosegui la sua
carriera politica sotto Traiano, durante il cui regno divenne pro-console della provincia d’Asia nel 112. Non
sappiamo con esattezza la data della sua morte, probabilmente attorno il 116-122, dunque potrebbe essere
vissuto anche durante l’impero di Adriano.
Opere
Le opere ci Tacito, per la maggior parte di carattere storico, che si sono conservate per intero sono:
• De vita et moribus Iulii Agricolae, nota come Agricola, scritta nel 98, una biografia del suo celebre
suocero, morto pochi anni prima.
• De origine te situ germanorum, nota come Germania, scritta anch’essa nel 98, è un opuscolo di carattere
etnografico sulle popolazioni e la cultura dei popoli germanici che vivevano oltre il confine dei territori di
Roma.
• Dialogus de oratoribus, scritto tra 101 e 102, un dialogo sull’eloquenza e sul suo declino.
Le due opere più importanti, quelle a cui Tacito dedico maggior tempo e fatica, ci sono giunte mutile e
sono:
• Le Historiae, scritte tra il 100-110 , che descrivevano il periodo dal 69, morte di Nerone, al 96, assassinio
del tiranno Domiziano, e di cui sopravvissero i primi quattro libri e ventisei capitoli del libro 5.
• Annales ab excessu divi Augusti, noti semplicemente come Analles, scritti intorno al 116, trattavano i
regni degli imperatori precedenti a Nerone, a partire dalla morte di Augusto, e di cui sopravvissero i primi
quattro libri, una parte del libro 5 e il libro 6, che parlano del principato di Tiberio, e sono inoltre
conservati una parte del libro 11, 12,15 e 16, che parlano dei principati di Claudio e Nerone.
Agricola
L’agricola è un’opera di impianto monografico, divisa in 46 capitoli, dove si incrociano diversi generi
letterali. Scritta nel 98, era dedicata alla memoria del suocero Giulio Agricola, morto nel 93, comandante
militare distintosi nella conquista della Britannia, di cui era anche stato governatore dal 78 all’84. Venne
richiamato a Roma da Domiziano, dove morì in circostanze sospette. Tacito lascia passare la diceria secondo
cui fosse stato avvelenato per orride dell’imperatore, geloso dei suoi successi. L’agricola è quindi una
biografia, ma è forse meglio definirla un ‘encomio’ in forma biografica, poiché è presente in diversi punti
dell’opera l’intenzione di mettere Agricola in luce. Della sua vita privata non si dice quasi nulla, viene
descritto solo nella sua funzione pubblica di servitore dello stato, infatti la sezione più grande della
monografia è dedicata al racconto della conquista della Britannia e comprende anche un excursus di
carattere geografico ed etnografico sulla regione e sui popoli locali. Lodando la figura del suocero, Tacito
lodava indirettamente se stesso e la propria famiglia intenzionalmente. L’opera venne scritta nel 98, quando
il regime era cambiato e alla crudele figura di Domiziano si erano succeduti prima Nerva e poi Traiano.
Bisognava eliminare qualsiasi sospetta di collaborazione tra Agricola, e dunque tra la famiglia di Tacito, e il
vecchio regime e quindi bisognava presentare Agricola come una vittima più che un complice del passato e
crudele imperatore. Agricola è raffigurato come un rappresentate dell’antica virtus romana, non
contaminata dalla corruzione della capitolare, dunque come un Vir bonus che aveva saputo affrontare con
coraggio e nobiltà le vicende della vita. L’idea posta alla base dell’opera da Tacito è: chi vuole servire lo
stato, anche se ingiusto, deve farlo con prudenza e moderazione, mentre una ribellione aperta, oltre che ad
essere inutile, può portare alla rovina chi la pratica e produrre danni alla collettività. Non per questo, però,
bisogna cadere nel servilismo e nel silenzio. Agricola incarna perfettamente questo modello perché seppe
mantenere la dignità anche nei momenti più difficili. Sin dall’inizio della monografia, Tacito loda i tempi
nuovi in contrapposizione con l’oppressione del passato, racconta infatti che i precedenti imperatori
avevano condannato a morte uomini nobili come i senatori Aruleno Rustico ed Erennio Senecione,
condannati per aver difeso la loro libertà di pensiero, e non solo furono uccisi ma i loro libri vennero dati
alle fiamme nel Foro. Ma secondo tacito questi imperatori che pensavano che con un fuocherello potessero
soprrimere la voce del popolo romano, la libertà del senato e così via sbagliavano, infatti sotto i nuovi
imperatori non si uccidono più senatori ne si bruciano libri, ma si tornò a respirare. Agricola nacque nel 40,
sotto il regno di Caligola, a Forum Iulii (Frejus, sulla Costa Azzurra), un’importante base navale. Crebbe
lontano da Roma e dalle sue corruzioni, dove si conservavano gli antichi costumi, studiò a Marsiglia e poi
intraprese la carriera militare nell’esercito romano in Britannia, provincia che ancora era da sottomettere e
fu proprio qui che imparo l’arte della guerra. A Roma sposò la nobile Domizia Decidiana e sua figlia
divenne poi la sposa di Tacito. La famiglia di distinse per tre generazioni di donne all’antica, caste e
misurate come erano le matrone di un tempo, infatti oltre alla sposa Domizia Decidiana e alla figlia, anche la
madre di Agricola, Giulia Procilla viene definita come una donna molto onesta. Nel 77 fu nominato da
Vespasiano governatore della Britannia, titolo confermatogli poi anche dai successori di Vespasiano e
ricevette l’incarico di sottomettere quella regione percorsa da ribellioni. In agricola però non solo si parla
del suocero ma c’è anche un excursus geografico ed etnografico sulla regione e sui popoli locali. La parte
più notevole è dedicata alla strepitosa vittoria di Agricola contro i ribelli Caledoni, nel 83, nel nord della
Britannia presso il monte Graupio. Nonostante il vantaggio numerico dei Caledoni, vinse l’efficienza
dell’esercito romano. Prima della battaglia i due comandati arringano le truppe e Tacito riferisce dapprima il
discorso di Calgaco, comandante dei Caledoni e poi è la volta di Agricola, che pronuncia un discorso
modello, segno di un comandante romano, esortando i suoi soldati ad essere fiduciosi in una vittoria. Fra i
due discorsi quello più affascinante è quello di Calgaco. Le sue parole sono quelle di un uomo libero e fiero,
verso il quale Tacito sembra mostrare più simpatia, un uomo che assiema al suo popolo combatte per la
libertà contro gli invasori. Tacito simpatizzava per i Caledoni fosse perchè sì erano feroci e selvaggi ma
almeno non erano ancora corrotti dall’opportunismo dilargante a Roma. Calgaco infatti indica i Romani
come i rapinatori del mondo, aspettati di potere e che avrebbero sottomesse sia i popoli ricchi che quelli
poveri. Per loro impero significa rubare, trucidare ed uccidere e là dove hanno distrutto tutto dicono di aver
portato la pace. Dopo i discorsi dei due comandanti inizia la guerra e i Romani riescono a vincere grazie agli
ordini giusti di Agricola. I Caledoni fuggirono nelle loro foreste ma 10.000 di loro persero, purtroppo, la vita
in questa battaglia, mentre morirono molti meno romani. Anche qui l’esercito di Roma aveva fatto la sua
solitudo, tanto che alla fine della battaglia Tacito ci dice che ormai tutto era deserto, silenzioso, e nessuno
andava contro i soldati romani. Ma dopo questa vittoria, Agricola cade nei sospetti di Domiziano e lo
richiama a Roma, accogliendolo con freddezza, dunque Agricola si ritira a vita privata e muore in circostanze
sospette all’età di 53 anni.
Questa prima opera di Tacito, seppur di carattere celebrativo, mostra la forza di qualità di scrittore di Tacito.
Il linguaggio è ricco di sfumature, vario e capace di passaggi di tono. Molti storici dicono che forse Agricola
non era così buono come c’è lo descrive Tacito, ma sicuramente per lui era stato un punto di riferimento
per la sua formazione di cittadino.
Germania
Si presenta come un trattato etnografico, sul modello dei capitoli relativo ai popoli nordici di Giulio Cesare
inseriti nei Commentarii. L’opera venne scritta nel 98 e forse per un occasione in particolare: Traiano stava
preparando un grande spedizione militare in Germania, anche se dopo cambiò strategia e iniziò la vittoriosa
conquista della Dacia. Tacito aveva una conoscenza diretta del mondo germanico per via del suo periodo di
servizio sulla frontiera del reno, ma prende spunto da fonti letterarie: De bello Gallico di Giulio Cesare e di
Plinio il vecchio, un’opera andata perduta sulle guerre germaniche. Dietro il valore descrittivo ed
etnografico dell’opera, Tacito cela un problema storico di grande importanza ovvero del perché il potere di
Roma si è bloccato davanti alle popolazioni germaniche, sulla linea del regno e del Danubio, e non si era
arrivati ad una vittoria definitiva. La parte etnografica è principalmente di carattere etico e sociologico. Nei
barbari Germani, Tacito trova quel modello di integrità morale e di purezza che un tempo avevano fatto
grande Roma e che al presente sono in crisi. Ad esempio, tacito dedica ai matrimoni dei Germani: le donne
sono di assoluta pudicizia, non come le donne romane che sono corrotte. Gli adulteri sono gravi e
severamente puniti. Queste donne seguono i mariti in ogni pericolo e vogliono essere un buon esempio per
figli e nipoti. Tacito paragono i selvaggi Germani di ora ai romani di un tempo, uomini liberi, integri e
lontani dalla corruzioni, che praticano la virtù sia con un livello di istruzione molto inferiore rispetto ai
romani. Naturalmente, Tacito rivede nei Germani anche dei barbari che non conoscono la vita cittadina e
non praticano le arti, gente selvaggia e violenta.
La Germania si divide in due parti: la prima sezione è principalmente etnografica e vengono descritti gli usi,
costumi, religione e le istituzioni della società germanica. La seconda parte, è più geopolitica e si parla delle
varie tribù in cui si dividevano i Germani. In questa sezione compare per la prima volta il nome di un
popolo che avrà una grande importanza nella storia europea, i Longobardi, che traggono gloria dell’essere
pochi.
Tacito nei confronti del mondo germanico prova una sorta di timoroso rispetto, arrivando (quasi in maniera
profetica: a individuare in questo popolo il futuro distruttore di Roma. L’unica speranza per Roma, di fronte
ad un popolo così forte e temibile, è quelle che le divisioni interne si accentuino e si distruggano tra loro.
Dialogus de oratoribus
Probabilmente del 102, la sua autenticità è messa in dubbio da alcuni critici. In quest’opera si discute di arte
oratoria, un tema che vantava una lunga tradizione nella letteratura latina, basta ricordare il De oratore e
l’Orator di Cicerone. Durante l’età imperiale, Tacito non è il solo a occuparsi di oratoria, molti intellettuali
infatti affrontarono il tema dell’oratoria e della sua decadenza, come Quintiliano e Petronio che in una parte
del Satyricon inserisce un dibattito sulle cause della corruzione dell’ eloquenza. Tacito era uno dei migliori
oratori della sua epoca e questo gli diede la possibilità di parlare con grande competenza del tema proposto
dal dialogo, quando il console Virginio Rufo morì fu proprio lui a pronunziare l’elogio funebre. Il dialogo è
ambientato nel 75, a parlare sono Apro, un avvocato, Materno, un poeta e Messalla, un rettore dilettante. Il
dialogo inizia con Apro che difende il suo mestiere, negando che l’eloquenza sia corrotta ma semplicemente
ha subito un’evoluzione a causa dei tempi nuovi che richiedevano nuovi metodi di comunicazione. Messalla
è di parere opposto, secondo lui gli oratori moderni sono mediocri e nelle scuole di oratoria si pratica la
banalità. A concludere il dialogo è Materno, il quale ha abbandonato la retorica per dedicati alla poesia
tragica, e a cui Tacito affida il suo pensiero. Il tema principale del dialogo subisce un passaggio di rotta: si
passa dal piano dell’oratoria a quello della politica. La causa della decadenza ,secondo Materno, sta nel fatto
che i conflitti e le lotte politiche dell’epoca repubblicano avevano favorito lo sviluppo dell’oratoria, mentre
la tranquillità dell’impero l’aveva spenta. Infatti, solo in un regime in cui all’oratore viene affidato il compito
di dirigere la politica l’oratoria può raggiungere la sua grandezza. Le idee di Materno coincidono con quelle
espresse nel trattato ‘Sul sublime’ e pongono il problema del rapporto tra pensiero e libertà politica.
Dal punto i vista stilistico, il Dialogus si discosta dalle altre opere tacitiane, i periodi sono simili a quelli
ciceroniani, ovvero molto lunghi.
Le Historiae
Resa pubblica attorno al 110, tratta di eventi a Tacito contemporanei e dei quali lui era stato spettatore e che
copriva un arco temporale di circa 30 anni, dal 69 - anno di Galba, al 96 - anno in cui crolla la dinastia
Flavia con l’assassinio di Domiziano. A differenza di Livio che si era immerso profondamente sulle origini
di Roma, tacito si dedica a una storia più o meno contemporanea, come faceva anche Sallustio, che gli fa da
modello. L’impianto è annalistico. L’opera si pare con il racconto di un anno cruciale, il 69, l’anno dei
quattro imperatori che aprì la fase politica successiva alla morte di Nerone. Tacito però, non parte in medias
res, ma parte tracciando un quadro dei gravi fatti avvenuti nel periodo che si accinge a narrare, come guerre
civili, ribellioni militari, il potere sulla Britannia perduto e attacchi dei Germani sul reno, ma anche
catastrofi naturali, incendi e distruzioni di templi. La crisi del 69 si concluse con l’assoluzione dell’impero
nel 70 ,di un uomo forte ovvero Vespasiano, allora a capo dell’esercito impegnato a domare la ribellione
degli ebrei.
Con la morte di Nerone nel 68, ebbe fine la dinastia Giulio-Claudia. Fino a quel momento l’imperatore
veniva legittimato dalla discendenza di grandi personalità come Cesare e Augusto ed adesso il regno si
sentiva in un certo senso orfano. La scelta dell’esercito e del senato cadde sul vecchio Galba, che dovette
sostenere nella fase culminante della sua vita un peso molto grande. Infatti era un uomo anziano e fragile,
circondato da consiglieri ambiziosi ma inetti. Arrivato a Roma, il neo-imperatore si trovò in una
dpsituaixone molto delicata e fu da subito evidente la debolezza della sua posizione. Infatti c’erano diversi
problemi economici a seguito delle spese pazze di Nerone, perciò Galba dovette tagliare i costi per bilanciare
il bilancio statale ed ovviamente, questa scelta, suscitò il malcontento del popolo e crebbe l’incertezza nei
confronti della sua posizione. Tacito inizia la storia nel gennaio del 69 e racconta solo gli ultimi giorni del
regno di Galba. In quei giorni prima si ribellarono le legioni al confine sul Reno, che chiesero un nuovo
nome, e poi a Roma venne ordita una congiura da Otone, che convinse i pretoriani a passare dalla sua parte
e Galba venne assassinato nella sua lettiga, il corpo venne lasciato sul posto ed i congiurati gli fagliarono la
testa e la infilzarono su una picca esponendola al popolo.
• Libro I - Otone prese il potere, ma essere padrone di Roma non significava essere padrone dell’impero ed
i segreti dell’impero erano stati svelati. L’autorità non si basava sulla legge e autorità ma sulla forza, ormai
svanito il principio di legittimità, il potere andava nelle mani del più forte, ovvero a colui che veniva
sostenuto dai soldati. Otone era stato amico di Nerone e suo complice, tanto che gli aveva fatto sposare la
sua amante Poppea, per proseguire la relazione, ma Otone se ne era innamorato e non voleva più
concederla all’imperatore. Allora Nerone decise di non uccidere Otone perché era al corrente si alcuni
suoi segreti ma lo fece allontanare, conferendogli il titolo di governatore della lontanissima Lusitania,
tornato poi nel 69 come seguace di Galba.
• Libro I-II - Otone come imperatore non durò a lungo, infatti mentre stava organizzando la congiura
contro Galba, le legioni della Germania avevano proclamato imperatore, contro la sua stessa volontà, il
loro comandante Vitellio che aveva accettato per paura. Ci fu allora una feroce guerra civile tra armate
romane, combattuta dai rispettivi generali, perché i due imperatori erano incapaci di comandare un
grande esercito. La battaglia decisiva avvenne nella valle del Po e fu vinta dai soldati di Vitellio ed Otone
si suicidò nonostante stessero arrivando legioni in suo soccorso. Prima di suicidarsi, pronunciò un
discorso nel quale salutò i suoi sostenitori ,li consolò e si suicidò con un pugnale, da vero romano. Il
potere passò nelle mani di Vitellio, zoppicante e soffriva di bulimia, Svetonio infatti ci racconta che
Vitellio mangiava 3/4 volte al giorno e poi vomitava il pasto precedente. I suoi seguaci compirono stragi
per tutta l’Italia, massacrando quelli di Otone. Uno dei primi atti di Vitellio fu quello di visitare il campo
di battaglia dove dimostrò la sua poca sensibilità, entrando a Roma a capo della sua legione e governò
dall’aprile al dicembre del 69, ma non venne accettato mai da tutto l’esercito. Le legioni danubiane e
d’Oriente avevano proclamato imperatore Vespasiano, un abile generale che stava iniziando una
campagna per reprimere la rivolta degli ebrei.
• Libro III - Vespasiano apparve da subito un uomo capace di prendere in mano le redini del potere. Le
sue legioni arrivarono in Italia e sconfissero i vitelliani nello stesso luogo in cui questi avevano sconfitto
gli otoniani. Cremona, che aveva sostenuto Vitellio, venne saccheggiata e distrutta con violenza. Vitellio a
Roma preso dal panico, cercò di accordarsi col fratello di Vespasiano, Flavio Sabino, a cui promise di
cedere il potere e cento milioni di sesterzi, ma i suoi seguaci lo costrinsero a a rimanere al potere,
bruciarono il tempio di Giove Capitolino, dove si era rifugiato Sabino e lo uccisero. Quando l’esercito di
Vespasiano arrivò a Roma, Vitellio si nascose dalla moglie, poi torno nel suo palazzo e lo trovo vuoto
poiché anche i servi lo avevano abbandonato. Venne trovato, portato in giro per la città con le mani legati
dietro la schiena e le vesti strappate e venne massacrato.
• Libro IV-V - È dedicato al principato di Vespasiano e ai due pericoli che minacciavano l’impero: la rivolta
dei Batavi e la rivolta giudaica. I batavi erano un popolo Germanico che aveva fornito a Roma valorosi
mercenari, ma che approfittò della crisi del 69 per ribellarsi. La rivolta venne guidata dal batavo Giulio
civile, ufficiale romano, e si estese destabilizzando i confini romani sul reno. Ma venne domata, con grandi
sforzi. La rivolta giudaica diede origine ad una guerra ferocissima, conclusa con la distruzione di
Gerusalemme e del tempio. Del libro V abbiamo i primi ventisei capitoli che contengono un excursus
etnografico sulla civiltà ebraica.
Annales
Sono costituiti probabilmente da 16 libri, l’opera più importante di tacito. Narrando le vicende della casata
Giulio-Claudia a partire dalla morte di Augusto fino al suicidio di Nerone e sefuono lo schema annalistico. A
noi restano i libri relativi a Tiberio (libri 1-4, parte del 5 e il 6), all’ultima parte del principato di Claudio e a
quasi tutto quello di Nerone (parte del 11, 11-15 e buona parte del 16, la cui ultima sezione è andata perduta
dal momento che termina al 66 e Nerone morì nel 68).
Storiografia di Tacito
Tacito è stato probabilmente il più grande storico latino. Il suo pensiero è quello secondo cui i migliori non
prevalgono, non vince la giustizia e non individua un progetto voluto dagli dèi o dal destino a dirigere le
vicende umane. Egli infatti scrive storia perché le virtù non siano passate sotto silenzio però nelle sue opere
accade che i virtuosi sono le vittime predilette si spietati meccanismi di potere. Ciò che determina la sua
visione storica è la consapevolezza della precarietà dei destini umani. Tacito dunque ha una visione
dell’uomo pessimistica e racconta il trionfo della volontà di potere. Il metodo storiografico di Tacito è
esposto all’inizio degli Annales sulla pretesa di imparzialità. Infatti lui diceva che avrebbe trattato gli eventi
senza odio o spirito di parte. Ma nessun storico può essere davvero imparziale dato che ciascuno di loro
adotta una specifica ideologia e lettura degli eventi. Tacito critica i suoi predecessori che avevano scritto sui
suoi stessi argomenti deformandoli per ignoranza e servilismo, ha sicuramente ragione ma anche egli
rappresenta la prospettiva senatoria, parte della politica che gli imperatori tentarono in ogni modo di tenere
sotto controllo. Gli imperatori della dinastia Giulio-Claudio di fatto sono presentati nella luce peggiore,
concentrandosi solo sui fattori negativi e trascurando i vantaggi che avevano portato, ad esempio, alla
quando Tiberio morì le casse dello stato erano piene oppure Claudio che conquistò la Britannia e varò una
serie di leggi sagge e sotto il suo principato, l’impero si rafforzò. Tacito considera il senato come il cardine
delle istituzioni romane. Ogni volta che si deve esprimere nei confronti della plebe urbana lo fa con
profondo disprezzo così come con disprezzo guardava ad alcuni atteggiamenti di Nerone. Nonostante questo
però, Tacito considera l’impero inevitabile poiché una struttura territoriale così grande non poteva essere
diretta da una repubblica, la soluzione per Tacito era un buon principe, capace di far coesistere la libertà
con la stabilità del potere, ideale che venne rappresentato da Traiano. Al centro della sua storiografia sci
sono i grandi personaggi e non il popolo dal momento che sotto all’impero le decisioni erano nelle mani di
pochi. Per cui l’attenzione di tacito si concentrava sui pochi da cui dipendevano i destini di molti. Ed il
nuovo sistema politico inaugurato con Augusto cambiava il modo di fare politica, in cui tutto veniva deciso
da un solo uomo, da cui dipendevano le carriere di tutti gli altri. Questo avrebbe portato alla decadenza,
infatti, secondo Tacito questo sistema politico faceva emergere io peggiori più che i migliori come Seiano e
Tigellino e non Agricola, o Germanico. A questo punto tacito si domandò se un uomo onesto può
sopravvivere sotto un regime tirannico. Tacito da un punto di vista letterario più che essere attirato dalla
virtù degli uomini, è attirato dai loro vizi. Infatti, descrivere un vizio può essere più interessante che
descrivere una virtù. Tacito dal punto di vista della documentazione, poté accedere a svariate fonti per
questo la sua conoscenza appare molto accurata. In questa sua visione della storia tacito prende a modello
Sallustio, a cui ci rimanda la concezione pessimistica della natura umana, approccio abbastanza moralistico
degli eventi, centralità del del personaggio nel racconto storico con un’attenta indagine psicologica. Per non
contare il debito sotto il punto di vista stilistico, dominato dall’inconcinnitas.
Tacito scrittore
Tacito considerava la storiografia come un genere letterario, il cui scopo era educare e contemporaneamente
appassionare il lettore. Per questo motivo lui non fu solo uno storico di straordinaria importanza ma anche
uno scrittore di livello altissimo. Tacito inserisce nel racconto i discorsi diretti dei suoi personaggi, alcune
volte rielaborando parole effettivamente pronunciate altre volte inventandosele di sana pianta.questo gli
consentiva di dare colore e vivacità al racconto, introducendo il punto di vista del personaggio in questione.
Una sua caratteristica è la capacità di ritrarre un personaggio in brevi parole, una tecnica che deriva dalla
tradizione delle scuole di retorica. Così come Sallusti ho, tacito trascura gli aspetti esteriori dei suoi
personaggi per concentrarsi sulla raffigurazione dei loro caratteri, illuminandone la parte segreta. Infatti, dai
ritratti dei protagonisti della storia, di cui egli parla in modo sintetico ma efficace, emerge sempre l’essenza
della loro personalità e partendo da una singola figura, egli giunge a offrire una conoscenza più universale
della natura umana.tacito delinea una specie di teatro della storia, un teatro tragico animato però da
personaggi con diverse emozioni. Dalla tradizione retorica tacito ricavava anche l’uso delle sententiae, cioè
le massime in cui in poche parole veniva riassunto un pensiero, per chiudere in modo folgorante un
episodio oppure la descrizione di un personaggio. Il modo tacitiano di raccontare è incalzante, denso, molto
diverso da quello ampio e limpido di Livio, n modo di narrare che risalta la drammaticità degli eventi.
Quello di tacito è un racconto pieno di passioni È uno dei momenti dove meglio emerge la qualità di
scrittore e quando i personaggi sono descritti nell’atto di affrontare il loro destino. La morte del saggio È
una scena tipica di tacito, morti memorabili sono quella di Seneca, che si apre le vene insieme a sua moglie
e muore come deve morire un sapiente, oppure quella di Petronio che si suicida in mezzo a una festa come
se per lui la morte fosse un gioco. La scrittura di tacito è potente e vigorosa, molto diversa da quella
ciceroniana, fluente e armonica.tacito scrive in un modo difficile, quasi una sfida per l’intelligenza dei
lettori. Si può però rilevare un’evoluzione della scrittura nel corso della sua produzione letteraria che
raggiunge l’apice con le sue opere storiche ed è a queste opere che si fa riferimento quando si parla di stile
tacitiano. Come Sallustio , anche tacito privilegia la brevitas, ovvero un periodo conciso e sintetico. Un’altra
caratteristica dei suoi racconti è la variatio (inconcinnitas) , la simmetria voluta e perseguitata in ogni
momento, i periodi non sono uniformi agli altri periodi. Tipico di tacito è l’uso frequente dell’ablativo
assoluto che per sua natura spezza la frase, introducendo un elemento di ambiguità.inoltre si riscontra la
ricerca di un colorito poetico attraverso il ricorso a espressioni arcaiche, per esempio qui dativo plurale del
pronome relativo, anziché quibus, e mai occorrono parole della lingua parlata, dunque del sermo.
Svetonio
A Svetonio si attribuisce un significativo rinnovamento del genero storiografico tradizionale latino, egli
contamina i moduli della storiografia con elementi tratti dal genere biografico. Questo non significa che i
suoi testi sono poco attendibili anzi, da alto funzionario qual era, aveva accesso a documenti inediti, e
questo lo rende una preziosa risorsa d’informazione, utile alla ricostruzione storica del primo periodo
imperiale.
Gaio Svetonio Tranquillo nacque attorno al 70 da una famiglia benestante equestre, probabilmente a Ostia,
dove ricopri la carica locale di Flamen Sacerdotalis e Pontefix Volcanalis, sacerdote e pontefice di Vulcano,
una città dell’Africa settentrionale, Hippo Regius, forse Ippona, da cui proviene un’iscrizione onorifica del
1952. Le poche informazioni sulla vita che abbiamo ci giungono dalle sue stesse opere , ed in particolare,
dall’epistolario pliniano. Praticò per un certo periodo l’attività di forense a Roma, dove entro in contatto con
Plinio il Giovane e Setticio Claro, prefetto del pretorio, che ne favorirono la carriera da funzionario a corte.
Sotto Traiano fu responsabile delle biblioteche pubbliche di Roma, e poi con Adriano, ricopri la carica di
sovrintendente a studiis (responsabile degli archivi imperiali) e ab epistulis. Nel 121-122 sotto Adriano,
Svetonio cadde in disgrazia presso l’imperatore è venne destituito dai suoi incarichi. Con lui furono
allontanati dalla corte l’amico Setticio Claro e molti altri per aver trattato con molta familiarità l’imperatrice
Sabina, ma secondo altri c’erano ragioni ben più pericolose sotto, di cui non siamo a conoscenza. Non
conosciamo neppure la data di morte di Svetonio, da alcuni posta nel 126, anno in cui un altro lo sostituì
nell’incarico ad Ostia di pontefice di Vulcano, altri invece attorno al 140. Svetonio scrisse molte opere, il
lessico bizantino ‘Suda’ ci da notizia di parecchie sue opere in latino e greco,di carattere storico ed erudito,
grammaticale, filologico e relativo alle scienze naturali. A questo si aggiunge inoltre un’altra opera di
carattere enciclopedico, intitolata Pratum o Prata, di cui abbiamo diversi frammenti.
Opere
Della produzione di Svetonio sopravvive una parte del ‘De viris illustribus, una raccolta di biografie di
letterati romani, che già il titolo rivela una somiglianza con Cornelio Nepote. Dall’opera di Nepote, Svetonio
riprende anche l’impostazione per categorie con cui si raccolgono le biografie, 5 in Svetonio: oratori, poeti,
storici, filosofi, retori e grammatica che reno un’unica categoria.
De grammaticis te rhetoribus, mancante della parte finale, ci restituisce l’idea dello schema secondo cui
tutte le sezioni dovevano essere strutturate. All’inizio c’era un indice degli autori, in ordine cronologico,
come se trattasse la storia della grammatica e della retorica romana, infine i profili, molto brevi.
Ci sono giunte inoltre, alcune biografie della sezione De poetis, che dovevano essere un’introduzione ai
codici che hanno tramandato le opere di Terenzio, Orazio e lucano. Si conserva anche la biografia di
Virgilio.
Opere biografica è anche il ‘De vita Caesarum, arrivata per intero, fatta eccezione per la dedica a Setticio
Claro e per i capitoli iniziali della prima biografia andati perduti. Composta da otto libri, racconta le vite dei
dodici cesari da Giulio Cesare, che Svetonio include tra i principes, a Domiziano. Ogni biografia mira a
tratteggiare non solo le gesta del personaggio illustrati, ma anche il suo carattere, abitudini e aneddoti cuori
osi o veri e propri pettegolezzi, spesso a sfondo sessuale. A essa si accompagna la registrazione di presagi e
prodigi, in linea con il gusto dell’età imperiale per i mirabilia, dettagli meravigliosi e stravaganti. La struttare
è bipartita: la narrazione comincia in ordine cronologico (per tempora) fornendo informazioni sulla famiglia,
luogo e data di nascita, l’educazione fino all’assunzione del potere. L’organizzazione cronologica è sacrificata
a vantaggio di una esposizione per categorie (per species), come le azioni belliche, politica interna e vita
privata. E il racconto della morte segna il ritorno all’ordinamento cronologico. L’organizzazione della
materia per categorie non è casuale, così emerge la personalità del Cesare in tutte le sue sfaccettature, con
particolare attenzione alla virtus e vitia. Svetonio predilige una prosa chiare e scorrevole , senza esagerazioni
stilistiche o preziosismi lessicali ma usa grecismi, tecnicismi ma anche colloquialismi. È proprio il suo stile
chiaro che ha contribuito alla sua larga ed immediata fortuna.
Apuleio
Apuleio è una figura rappresentativa dell’epoca in cui visse, quella degli Antonini: un’età in cui l’impero
romano godeva della sua stagione più ricca e pacifica. Un’epoca d’oro che Dalia poco sarebbe destinata a
finire. Apuleiano è uno dei più grandi narratori dell’antichità e la sua opera principale, le metamorfosi, è un
romanzo in cui si intrecciano elementi avventurosi, erotici, sentimentali magici e fiabeschi, un’opera che hai
spirato innumerevoli altri scritti e che include quello che possiamo considerare il primo esempio di favola
della narrativa occidentale: la bella fabella di Amore e Psiche. Apuleio era un uomo di enorme cultura e
molteplici interessi che spaziavano dalla filosofia alla scienza, magia, religione.
Proveniva dalla città di Madaura, una colonia situata al confine fra Numidia e Getulia, e nacque attorno al
125. Le notizie che abbiamo su Apuleio, di cui non sappiamo il praenomen, sono quasi tutte ricavabili da
quello che egli stesso racconta nei suoi scritti, in particolare nell’Apologia’, un’orazione di autodifesa
pronunciata per respingere l’accusa di praticare magia, in ‘Florida’, una raccolta di 23 frammenti di
declamazioni con argomenti diversi, provenienti da un corpus più ampio che sembra comprendesse quattro
libri. Apuleio faceva parte di una famiglia benestante, il padre rivestì la carica di Duumviro, equivalente al
consolato, e alla sua morte, lascio ai figli un’eredità di 2 milioni di sesterzi. Apuleiano ammette di aver lui
stesso diminuito tale somma per via della sua generosità, del suo amore per i viaggi e per lo studio, che lo
portò ad approfondire grammatica e retorica a Cartagine, il centro culturale più importante della provincia
romana d’Africa. Negli anni successivi, Per la stessa ragione, si recò ad Atene dove intraprese gli studi
filosofici, in particolare platonici, e dovrebbe la possibilità di allargare il proprio sapere delle scienze
naturali, medicina, musica e matematica. Aveva dunque una cultura enciclopedica. La permanenza ad Atene
gli permise anche di accrescere la padronanza della lingua greca, che utilizza in molte delle sue opere, per
noi però, tutte perdute. Era un uomo molto curioso, e manifestò sin da subito un forte interesse per le
dottrine misticheggianti di provenienza orientale, in linea con la tendenza al sincretismo religioso tipica dei
suoi anni. A Cartagine si accostò ai misteri di Asclepio, Dio della medicina, mentre ad Atene fu iniziato ai
misteri Eleusini, celebrati in onore della dea Demetra. La sete di conoscenza lo condusse anche a Roma,
dove esercitò l’attività di avvocato e approfondì lo studio del diritto e dove fu iniziato ai misteri di Iside e
Osiride. Si recò poi a Samo, in Egitto in Frigia a Ierapoli, sede di culto della dea Cibele. Apuleio era anche
un conferenziere pubblico di successo, un significativo esponente del movimento della seconda sofistica,
una figura dell’Elite culturale romana. Ma fu anche un filosofo platonico come gli stesso amava definirsi,
devoto ai culti esotici, scienziato, medico e così via . Per questo motivo la varietà dei suoi scritti e la vastità
della sua cultura non ci permette di associarlo ad un preciso genere letterario. Del resto è lui stesso, in un
passo dei Florida a vantarsi delle proprie capacità di comporre opere di ogni genere. Tutta la sua
produzione in lingua greca è andata perduta, di quella latina si è perso molto, dai Carmina amatoria, di cui
rimangono due epigrammi, ai Ludicra, agli Hymni in Aesculpium, di cui non rimane nulla. Anche le opere
scientifiche non si sono conservate, così come una traduzione del ‘Fedone’ di Platone è un romanzo,
Hermagoras.
Fra le opere conservate, oltre Florida e alle metamorfosi, vanno menzionate altre tre opere di argomento
filosofico: il De Mundo, rielaborazione di un’opera pseudo-aristotelica dallo stesso titolo, dedicata a
questioni cosmologiche e teologiche. Il De Platone et eius dogmate, in cui, dopo una breve biografia di
Platone, viene presentato il pensiero del filosofo greco in materia di fisica ed etica, mentre è andato perso il
terzo libro che trattava di dialettica. Il De deo Socratis, incentrato sul tema della demonologia, ovvero sulla
natura e sulla funzione dei demoni come mediatori tra uomo e dio. Da questi testi, emerge che apuleiano fu
un convinto seguace del cosiddetto medio platonismo, caratterizzato da una mescolanza di elementi
platonici e aristotelici e attento soprattutto alle questioni di tipo metafisico. Infatti, partendo dai principi
filosofici espressi nel simposio di Platone, si sviluppò una complessa concezione del cosmo, che abbandona
l’unità del mondo in favore di una visione stratificata, fra la sfera umana e quella divina non c’è unità, ma
nemmeno separazione, bensì una sorta di progressione continua di livelli distinti da gradi di razionalità e
passionalità inversamente proporzionali. La razionalità appartiene dunque alla sfera divina, che ignora la
passionalità, mentre la passionalità definisce la realtà umana, in cui la razionalità risulta del tutto quasi
assente. Ciascuno di questi livelli ospita dei demoni, creature intermedie fra la sfera divina e quella umana e
destinata ad assicurare una comunicazione fra i due ambiti.esse sono immortali come gli dei, ma passionali
come gli uomini, e la loro funzione è quella di comunicare agli uomini la volontà degli dei, ma anche di
portare agli dei le preghiere umane. Se dagli scritti filosofici emerge la dottrina filosofica abbracciata da
Apuleio , dall’apologia, emergono alcune preziose informazioni sulla vita privata e i sui suoi interessi. In
quest’opera, tramandata anche con il titolo di ‘De magia liber’ o ‘Pro se de magia liber’, che è l’unica
orazione giudiziaria di epoca imperiale a noi pervenuta, Apuleio , risponde alle accuse dei parenti della
moglie Pudentilla, Madre del suo compagno di studi Ponziano, da lui sposata quando era vedova ormai da
molti anni e non più giovane, e proprio per insistenza dell’amico. Apuleio l’aveva sposata nel 155 a.C.,
quando era stato ospitato nella città di Oea (attuale tripoli) da Ponziano, che lo aveva scongiurato di unirsi in
matrimonio con la madre per metterla al riparo da potenziali cacciatori di eredità. Nonostante le incertezze
iniziali, il rito fu celebrato, ma la morte di Ponziano avvenuta non molto tempo dopo le nozze, a cui Lelio
venne accusato da un altro figlio di Pudentilla, Sicinio Pudente, quattordicenne, di aver fatto ricorso alle
arti magiche per sedurre sposare la donna per impadronirsi del patrimonio. Decisiva nella rivelare
l’inconsistenza delle accuse risultò la lettera che Apuleio diede del testamento di Pudentilla, la quale
designava come erede non lui, bensì il figlio minore Pudente. Tuttavia, prima di giungere a presentare la
lettera, Apuleio fa sfoggio della sua cultura e della sua competenza scientifica, abbandonandosi anche a
digressioni filosofiche, mediche e retoriche. E solo a questo punto Apuleio respinse l’accusa di magia,
cercando di presentarsi piuttosto come un filosofo, infatti lui considera la magia come una scienza e
conoscenza della natura. Lui la considera come somma sapienza e devozione e respinge anche le accuse di
essere in possesso di oggetti destinati a compiere incantesimi e stregonerie, dimostrando che si tratta o di
simboli sacri dei numerosi culti a cui era stato iniziato, o di acquisti effettuati a scopo di studio. Dopo questo
processo, probabilmente Apuleio fece definitivamente ritorno a Cartagine dove ebbe gloria e onori.
Ricoprì l’importante carica di sacerdote della provincia, con funzioni religiose, politiche e di
rappresentanza, gli furono dedicate statue e iscrizioni commemorative e morì dopo il 170.
Metamorfosi
Come Petronio nel Satyricon, anche apuleiano le metamorfosi decise di raccontare la storia attraverso le
parole di un personaggio protagonista e narratore, Lucio, e di aggiungere sulla vicenda principale una lunga
serie di racconti di altro genere. Il risultato è un’opera complessa, difficile da inquadrare in un preciso
genere letterario, anche se oggi viene comodamente definita come un romanzo, Che nasce dall’incontro e
dall’intreccio di generi letterari differenti, dall’epica alla tragedia, dalla commedia il mimo e alla satira.la
trama si sviluppa partire da un viaggio che il protagonista, un giovane greco di nome Lucio, compie alla
volta della Tessaglia, regione nota per la diffusione di pratiche magiche. La curiosità di Lucio per il mondo
affascinante e tenebroso della magia e il suo desiderio di sperimentare l’ebrezza della metamorfosi, lo
porteranno a trasformarsi per errore in un asino, e i capricci della sorte gli sottrarranno per lungo tempo
l’antidoto capace di riportarlo alla forma umana, le rose. Poiché Lucio-asino mantiene le facoltà intellettive
umane, la metamorfosi gli consente di sperimentare situazioni diverse e riconoscere gli uomini per quello
che sono, perché davanti a lui non nascondono la loro vera natura. La benevolenza della dea Iside
consentirà a Lucio di recuperare la forma umana, a patto che gli accetti di consacrare il resto della propria
vita al suo servizio, facendosi successivamente iniziare ai misteri di Iside e a quelli di Osiride, in un’ultima
metamorfosi. La curiositas di Lucio è il vero motore del romanzo, che lo porta a conoscere e sperimentare
ogni bassezza, ma anche aggiungere ad una salvezza religiosa. La complessità strutturale dell’opera e la sua
varietà tematica e stilistica, con l’intreccio di storie differenti e il continuo passaggio da un registro alto a
quello colloquiale, trovano un elemento di incontro nel punto di vista del narratore e delle riflessioni con
cui commenta le vicende di cui diventa protagonista o testimone. Tra l’altro, la conclusione è anticipata
proprio nel cuore del romanzo dall’ampia storia di psiche, che come Lucilio, è stata vittima della propria
curiositas e riesce dopo una lunga serie di prove a raggiungere la salvezza. Nei primi tre libri del romanzo
iniziamo a conoscere il carattere di Lucio.il giovane si presenta come cresciuto ed educato in Grecia, ci
racconta di un suo viaggio d’affari verso la città di Ipata e manifesta la sua incontenibile curiosità. È molto
sensibile a ogni novità, specialmente al tema della magia e a tutto ciò che a dispetto delle apparenze
potrebbe rivelarsi vero il reale. Lucio si aggrega due viaggiatori che stanno discutendo di storie incredibili e
assurde e viene a conoscenza di una vicenda inquietante che ha avuto luogo proprio nella città che stava
andando a visitare e di cui protagonisti sono Aristomene (uno dei due compagni di viaggio)ed un certo
Socrate, amico di Aristomene. Prima di raccontare la drammatica esperienza di magia vissuta con Socrate,
Aristofane racconta quanto lo stesso Socrate gli ha narrato circa le sue precedenti disgrazie, dovute
all’intervento di una strega pericolosa di nome Meroe. Ci si trova dunque subito di fronte a una modalità
narrativa molto ricorrente in Apuleio, quella dei racconti a incastro. La vicenda narrata da Risto, alla quale
Lucio dichiara di credere, dovrebbe metterlo in guardia circa i rischi che corre per via della sua curiosità di
conoscere incantesimi e magie della terra tassala. Invece, una volta arrivato a Ipata, non esita ad assecondare
la propria curiosità. Infatti, non valgono niente gli ulteriori ammonimenti che la sorte gli riservo: né quello
costituito dalla storia mitica di Diana e azione, trasformato in cervo per scontare la colpa di aver spiato la
dea al bagno è rappresentata da una grande scultura posta nell’atrio della casa di Birenna (una sua ricca
parente) dove Lucio trascorre la sua seconda serata, né quello rivoltogli dalla stessa Birenna circa la
pericolosità dei Panfile, moglie di Milone, il ricco avaro che ospitava luce in città.la quale sarebbe capace di
trasformare o addirittura uccidere i giovani. Non valgono niente neanche la storia terribile raccontata da
Telifrone, rimasto mutilato mentre vegliava un cadavere per impedire che le streghe prendessero delle parti,
nella beffa atroce di cui lo stesso Lucio rimane vittima non appena esce dalla casa di Birenna: un’accusa di
triplice omicidio, dove i cadaveri, erano tre o tre.durante il processo, celebrato nel teatro cittadino si scopre
però che Lucio è stato l’involontario protagonista della festa annuale del Dioniso, la cui eccellente riuscita
gli verrà una statua in bronzo. Lucio Intreccia poi una relazione con Fotide, la servetta di Milone e Panfile, e
grazie a lei ottiene la possibilità di spiare gli incantesimi della padrona e poi comincia a compiere su se
stesso un rito magico di metamorfosi, tuttavia, a causa di un errore della ragazza, si trovò trasformato in un
asino anziché in un uccello. Interessante appare la strategia narrativa adottata da Apuleio, che fa in modo
che il lettore condivida l’ansia, le aspettative e le incertezze del personaggio, che è di volta in volta
protagonista delle situazioni narrate. Spesso le false impressioni, I rovesciamenti improvvisi spiazzano e
confondono il lettore, facendo delle metamorfosi un’opera in cui magia e illusionismo operano a tutti livelli,
non solo all’interno del racconto ma anche al di fuori di esso, generando incertezza dubbio nel lettore. Dopo
che la magia era andata male, Lucio apprende che per ritornare uomo gli basta mangiare delle rose, ma il
rimedio è ottenuto solo dopo una serie di peripezie, che costituiscono la gran parte del romanzo. Sistemato
nella stalla insieme al suo cavallo e all’asino di Milone, Lucio-asino viene catturato da un gruppo di briganti
che saccheggia la casa e trasportato in una caverna dove gli capita di ascoltare la storia di amore e psiche,
oggetto del racconto di una vecchia serva e di una fanciulla di nome Carite, che i briganti avevano strappato
al suo fidanzato. Si tratta un’altra volta di un racconto nel racconto, ma stavolta di eccezionale estensione e
di straordinaria importanza nel tessuto del romanzo tanto che la vicenda di psiche è essenziale
nell’interpretazione del romanzo. Trama: un re e una regina avevano tre figlie, di cui psiche era la più
giovane, ella è talmente bella da attirare non solo sguardi di ammirazione da parte di tutti ma addirittura
onori divini, che fanno di lei, una nuova Venere.per questa ragione la dea impersona, ingelosita, decide di
vendicarsi chiamando in aiuto il figlio cupido, amore, e chiedendogli di far innamorare la fanciulla di un
essere mostruoso. Il prodigio avviene e psiche viene abbandonata sull’orlo di un dirupo, ormai rassegnato a
morte certa.inaspettatamente invece, psiche viene sollevata dal vento zefiro e condotto in un bellissimo
palazzo, dove proprio cupido, innamorato si di lei diviene il suo dolcissimo amante e si reca a farle visita
ogni notte, senza tuttavia che psiche sia permesso di conoscerne l’identità e di vederne l’aspetto, Pena
l’abbandono definitivo.nel frattempo le due sorelle di psiche, invidiose della sua buona sorte, La resero
molto curiosa, inducendola a infrangere il divieto e a spiare l’amante durante il sonno.purtroppo, mentre la
fanciulla guarda incantata cupido, una goccia d’olio bollente cade dalla Lucerna sulla spalla del Dio
svegliandolo bruscamente e provocando nell’immediato allontanamento.psiche disperata, prima tenta il
suicidio e poi, confortata dal Dio pan, si vendica delle sorelle, spingendole a buttarsi da una rupe,
nell’illusione di essere a loro volta raccolte da zefiro e condotto nella dimora incantata di Amore. A questo
punto Venere scopre il tradimento del figlio e lo sgrida severamente, pur accogliendolo per curarlo. Psiche
cerca l’amore, ma soltanto dopo essersi consegnata A Venere e dopo aver affrontato le durissime prove
imposte dalla dea, la ragazza riesce a placarne lira e sposare l’amato. Con l’intervento di una serie di aiutanti,
psiche riordinare mucchi un ammasso di semi, si procura un fiocco di lana dorata, attinge l’acqua dalla
sorgente dello Stige e ottiene da Proserpina un cofanetto con un po’ della sua bellezza. Ma la sua curiosità le
fa aprire il cofanetto e psiche viene avvolta da una nube di sonno infernale, che sull’amore riesce a
eliminare. Superato anche questo ostacolo, i due amanti ottengono il perdono di Venere e convolano a
nozze. Apuleio ha dato una grande importanza al tema della curiositas, che anche presente nella trama del
racconto principale, quello di Lucio e delle sue innumerevoli avventure e che lo spinge alla sua errata
metamorfosi. Terminato il racconto di amore psiche, riprende la narrazione delle peripezie di Lucio-
asino.dopo una fuga, in compagnia di Carite e Tlepolemo, Giunto per salvare la ragazza dei briganti, Lucio-
asino viene mandato in campagna dei due fidanzati riconoscenti dove però, la moglie del fattore lo maltratta
all’insaputa dei padroni. Giunse poi la brutta notizia che Tlepolemo è stato ucciso a tradimento dall’amico
Trasillo e Carite si è vendicata dell’assassino accecandolo e poi si è uccisa sulla tomba dello sposo. Lucio,
allora, viene venduto a un gruppo di sacerdoti imbroglioni che si dicono seguaci della dea Siria, dopo
l’arresto di questi ultimi, sono un mugnaio, un ortolano, un soldato romano, e due fratelli ad essere i suoi
nuovi possessori.le sue abitudini fin troppo umane Contribuiscono a farlo diventare un’attrazione, fino a
che una matrona lussuriosa non si invaghisce di lui.il padrone decide di trasformare in uno spettacolo
pubblico le prestazioni di Lucio, facendolo esibire nel teatro di Corinto.e mentre si avvicinava il momento di
avere un rapporto sessuale con una condannata a morte, Lucio fugge, raggiungendo di corsa la spiaggia di
Cencre, dove si addormenta. Dopo aver supplicato la luna, per tornare alla forma umana, Lucio vede in
sogno la dea Iside che gli trasmette le istruzioni sul comportamento da seguire in occasione di una festa
religiosa nel corso della quale Lucio potrà finalmente mangiare le rose che il sacerdote della dea avrà
provvidenzialmente tra le mani.alla fine dopo essersi trasformato nuovamente in uomo, Lucio sarebbe
divenuto sacerdote di Osiride, e si sarebbe dedicato con successo alla professione di avvocato. la curiosità
per Lucio non solo il rovinoso, ma anche la sua consolazione poiché nei momenti di difficoltà gli permette
di distrarsi ricavando soddisfazione dall’ascoltare le vicende altrui. Lucio arriva a dichiarare di sentirsi un
novello Odisseo poiché nessuno teneva conto della sua presenza, e tutti facevano e dicevano liberatamente
ciò che volevano. Uno dei problemi aperti delle metamorfosi è l’interpretazione del libro 11, A causa di una
dissonanza fra argomento e tono ricchi di misticismo e improntati al fervore religioso.Secondo molti
studiosi l’ultimo libro è una sorta di appendice destinata a dare una patina di rispettabilità A un testo
frivolo.altri invece ritengono che solo l’ultimo libro contenga la vera chiave di lettura delle metamorfosi che
andrebbero interpretate unitariamente non come un romanzo d’avventure ma come un testo allegorico, in
cui la storia della caduta e del riscatto di Lucio rappresenterebbe un travestimento in forma narrativa del
percorso iniziatico ai misteri di Iside A.C.I.e per questo motivo un posto privilegiato spetta la favola di
amore psiche, un avere propria trasfigurazione letteraria del percorso di innalzamento dell’anima dalla terra
al cielo. La polivalenza del romanzo corrisponde il pieno al carattere multiforme della realtà, che si
trasforma come il mantello di Iside, la dea che riassume in sé ogni aspetto del creato e mostra come tutto ciò
che l’uomo vive sia soggetto a una duplice lettura. Le metamorfosi erano innanzitutto un’opera
d’intrattenimento, ma il pubblico del tempo, si aspettava oltre che di evadere dalla quotidianità, anche
soddisfare la propria sete di conoscenza, l’aspirazione a una vita più elevata e l’attrazione per i culti esotici.
Apuleio creò un’opera capace contemporaneamente di divertire educare, proprio per questo motivo l’opera
può avere diversi livelli di interpretazione, che non per forza devono apparire in contrasto, ma possono
anche coesistere. La varietà dei contenuti trova una corrispondenza anche a livello linguistico e stilistico
infatti, vasta è la gamma di registri linguistici presenti nel testo, dal più colloquiale a quello più vicino alla
lingua letteraria. Le metamorfosi di Apuleio, così come il Satyricon di petronio, prendono a modello le
Fabulae Milesiae del greco Aristide di Mileto che vennero portate a Roma da Sisenna e i cui contenuti
erotici e licenziosi influenzarono indubbiamente entrambi romanzi latini. Nel caso delle metamorfosi, il
rinvio alle Fabulae milesiae risulta in due casi addirittura esplicito: nel prologo, quando il narratore
richiama l’attenzione sullo stile Milesio del suo racconto e nella favola di amore psiche dove il narratore
viene definito Milesiae conditorem, ossia autore di questa novella Milesia. Resta il risolta la questione dei
rapporti tra le metamorfosi di apuleiano con i testi greci che raccontavano la storia di un uomo-asino come
il breve romanzo di Luciano di Samosata, contemporaneo ad Apuleio. Questo testo presenta la medesima
trama delle metamorfosi, senza però possederne la complessità e la ricchezza, né dal punto di vista
strutturale tematico Nene e dal punto di vista espressivo.anche la magia, pur se il presente, sembra un
pretesto per tenere in movimento la macchina narrativa delle avventure dell’uomo-asino, piuttosto che un
elemento significativo del racconto. Questo testo pseudo-Lucianeo sarebbe da connettere a una serie di libri
di metamorfosi attribuiti a un certo Lucio di Patre. Però non bisogna escludere neppure l’ipotesi che sia il
romanzo di Luciano di Samosata ad ispirarsi a quello di Apuleio, o che entrambe le opere si ispirano a
quella di Lucio di Patre.
Stile
Lo stile di apuleiano è originale, raffinato, e versatile.il latino di Aquileia si caratterizza per una continua
ricerca di rime, assonanze e sonorità espressive con arcaismi.la lingua di apuleiano è una creazione originale
e artificiosa, con un abbondante ricorso a figure retoriche come metafore, antitesi, chiasma, ossimori e
soprattutto a livello fonico ritmico di allitterazioni, assonanze e homo utili che creano effetti basi musicali.il
repertorio lessicale spazia da arcaismi a neologismi, da vocaboli poetici a quelli quotidiani. Vi è una
prevalenza di strutture paratattiche e di nessi participio ali che creano spesso periodi ampi e articolati e con
frequenti e virtuosistiche descrizioni di luoghi e oggetti secondo il gusto elaborato e tipico della retorica del
tempo.