La morte rappresentava per i Celti una breve pausa per una vita eterna,
esisteva infatti la reincarnazione, per questo si amava la natura, perché
si poteva rinascere in altre forme di vita. Il concetto di rigenerazione era
fondamentale e a simboleggiarlo c’era la croce celtica. Il tema della
resurrezione è importante, perché indica una continuità della vita ai
danni della limitatezza della morte, dunque il celta non si preoccupava
se in battaglia moriva, anzi, questo gli dava più onore, tanto poi
risorgeva. Andavano nudi in battaglia perché, in preda al loro furore
bellico, comunicavano direttamente con gli Dèi e quindi emettevano
calore. Non è escluso che i Druidi conoscessero delle tecniche yoga, atte
a creare uno stato di trance nei guerrieri nella fase pre-bellica, essi
infatti eseguivano dei passi di danza prima di combattere, proprio per
entrare in contatto con le divinità.
I Celti, specialmente quelli d’Irlanda, credevano che alcune divinità
vivessero sottoterra. Con loro si entrava in contatto attraverso pozzi e
stagni, infatti attorno ad ogni villaggio c’erano zone ritenute sacre anche
per questo. In Vandea sono stati trovati pozzi contenenti alberi e resti
umani ed animali: agli Dèi si sacrificava tutto, sia il simbolo della fertilità
che la vita stessa. Esistevano cerimonie celtiche, presiedute da druidi, in
cui, con un sottofondo musicale, si portavano in processione alberi che,
alla fine, venivano sepolti in pozzi.
I Celti non credevano nel peccato, quindi la loro morale era molto
semplice. Collezionavano le teste dei nemici (in Irlanda il cervello) sopra
le porte delle loro capanne o su pali conficcati nel terreno, sia perché
questo accresceva la loro fama, sia perché quando il nemico fosse rinato
lo avrebbe fatto senza testa, quindi più debole.
I Galati trasmisero ai loro cugini europei il mito scita del piccolo dio Attis
e della sua madre Cibele, dispensatrice di coraggio e gran madre di tutti,
che poi, se vogliamo, è lo stesso mito fenicio del dio Baal e della dea
Baalat. Dunque la donna rappresentava il coraggio, che specialmente in
battaglia era molto utile, e la fertilità che si ricollega alla rigenerazione
della vita: esisteva una forte venerazione per la madre.
Il ruolo del Druida è molto simile a quello del bramino indiano, la società
celtica e quella indiana sono simili: il re-cavaliere assomiglia al rajas
indiano. A tale proposito si sottolinea che anche alcune parole del
gaelico sono molto simili al loro omologo indiano.
I Druidi erano il centro della religione celtica. Ebbero anche una valenza
politica. In Gallia, in particolare, sotto la dominazione romana, difesero i
costumi celtici e portarono avanti un sentimento rivoluzionario
antiromano che sfociò secoli dopo, durante la fine dell’Impero Romano.
Essi non pagavano tasse, non espletavano il servizio militare, non erano
legati al loro territorio come il resto della popolazione. Erano, in pratica,
i veri capi della tribù. Avevano un falcetto in mano che li rappresentava,
anche perché erano conoscitori di erbe mediche, che venivano raccolte
con una certa ritualità: alcune, in quanto velenose, erano raccolte con la
mano sinistra (era quella che valeva di meno), altre con la destra. Essi
seppellivano i morti in tumuli, secondo la tradizione dei kurgan.
I Druidi si riunivano in assemblee e c’era il majestix (il grande re) che
affidava i vari compiti. Si diventava Druida solo dopo aver superato una
prova che consisteva nel ritirarsi nel bosco sacro e giungere all’aldilà
(attraverso prove di allucinazioni ed ipnosi): solo chi vi era stato ed
aveva fatto ritorno tra i mortali poteva guidare un popolo.
I Celti avevano 374 divinità, ma in realtà molte erano copie di altre, per
cui se ne contano circa 60. Tra questi si ricorda: Teutate, Dio barbuto
presente nei riti sacrificali, Beleno omonimo di Apollo, Arduinna da cui
presero il nome le Ardenne, Belisama omonima di Minerva, e Nemetona,
Dea della Guerra. Il più importante di tutti era Lug, che diede il nome a
Lione e Leida, che simboleggiava un grande Druida e sapeva suonare
l’arpa, lavorare il ferro, combattere da valoroso, fare magie. Questi fu il
progenitore del germano Wotan, che era chiamato anche Odino ed era il
signore del Walhalla. Wotan era il grande Druida ed era il signore del
calore magico che infiamma il guerriero, dunque tra Germani e Celti c’è
questa trinità divina in comune: Wotan-Odino, Donar-Thor, Ziu-Tyr,
presso i primi; Teutate, Eso e Tarani presso i secondi. Teutate era il più
potente e si placava con sacrifici di sangue, Eso era identificato con il
toro, anche egli assetato di sangue, e Tarani era il Dio della Guerra e
preferiva il rogo. Successivamente Lug prese il potere su tutti. La volta
celeste era la proiezione della vita terrena, per questo si ipotizzavano
lotte e nascite di Dèi: alla fine uno prevalse e fu il successo dei Druidi. Il
concetto di trinità è molto ricorrente nelle religioni dei popoli di origine
orientale.
✧ Origini ✧
L’origine del popolo dei Celti è indoeuropea. La parola celtico ha origine
dal greco keltai che gli abitanti di Marsiglia, città fondata dai Focei,
attribuirono ai membri di queste tribù belligeranti.
La loro prima area geografica di residenza è l’Europa centrale, in
particolare tra la Boemia e la Baviera, dove ha avuto luogo la cosiddetta
” Cultura di Unetice”, particolarmente legata alla lavorazione dei minerali
e alla pastorizia. Da questa cultura hanno avuto origine anche gli italici,
gli illiri ed i veneti. Sicuramente la genesi dei Celti ha risentito di
un’interazione tra varie popolazioni, è dunque opportuno elaborare una
premessa.
Intorno al 4000 a.C. esisteva una civiltà, denominata di Atlantide, che
abitava nella zona del Baltico, in particolare nello Jutland e nella bassa
Scandinavia. Questa civiltà, racconta Erotodo, era particolarmente
progredita, abile nella costruzione dei templi e degli stadi, aveva una
certa esperienza nella navigazione. Ciò è provato dalle costruzioni
megalitiche dei menhir della Bretagna (Carnac), dell’Irlanda, del Galles e
dell’Inghilterra (Stonehenge), dove nelle vicinanze è stato forse
rinvenuto un probabile stadio per le corse equestri.
A seguito di siccità, terremoti e carestie, tale popolo è migrato verso
l’Europa centrale, la Grecia (dove c’erano le culture achea e micenea,
che furono distrutte), l’Anatolia (dov’erano presenti gli Ittiti), la
Palestina (in cui hanno avuto origine le civiltà fenicia e semita) e l’Egitto.
Questa migrazione è nota come quella dei “popoli del mare”. Solo in
Egitto, Tolomeo riuscì a respingere la loro invasione. La coda della
migrazione dei popoli del mare fu rappresentata dai Dori che si
stanziarono in Grecia ed in Egeo.
Intanto, quasi contemporaneamente, secondo una teoria più
accreditata, tra il 3000 e il 2500 a.C. in Oriente c’erano tre popolazioni
indoeuropee, i Kurgan della zona del Volga, alto Mar Caspio, i
Transcaucasici del Caucaso, e i Nordpontini della zona del Mar Nero.
Queste popolazioni, in particolare la prima, influenzandosi e
mescolandosi tra loro fino alla fine dell’Età del Rame, eseguirono delle
migrazioni in Anatolia (Ittiti), in Mesopotamia (Arii), Grecia (Macedoni e
Micenei), Europa (Cultura di Unetice in Boemia, crocevia di popolazioni).
La divisione cominciò con l’inizio dell’Età del Bronzo e si perfezionò con
l’Età del Ferro (la Boemia era ricca di ferro) e si implementò con
l’addomesticamento della razza equina (la parola cavallo ha la stessa
radice in tutte le lingue indoeuropee) e del bestiame.
Contemporaneamente, nel nord Europa, in particolare nella zona della
Polonia, compare la civiltà dei Campi di Urne, di origine nordica, che
prende il nome dal modo in cui seppellivano i loro defunti. La coda di
questa migrazione orientale ebbe luogo con gli Sciti, nell’800 a.C., che si
diffusero in Mesopotamia originando prima la cultura Caldea, di cui
Abramo ne sarà un rappresentante, e poi quella Assira che sarà
dominante fino all’avvento dei Persiani, in Anatolia, dove erano presenti
già i Frigi, i Lidi ed i Pontini), in Grecia, in Italia, dove dal 900 a.C. erano
presenti gli Etruschi e ancora prima i Liguri e gli Italici, e in Europa
centrale, dov’era presente la migrazione dei popoli del nord.
In particolare, con riferimento a quest’ultima, intorno al 700 a.C., nella
zona del Salzkammergut (Salisburgo e Carinzia), fino al 450 a.C. si
diffuse la cultura di Hallstatt, abile nel commerciare sale con i popoli
italici e nordici. Si trattava dunque di una cultura di crocevia, basata
prevalentemente su due classi sociali legate all’aristocrazia e alla
pastorizia. La fine della cultura di Hallstatt segna l’inizio della cultura di
La Tene (450-50 a.C.), situata sulle rive del lago di Neuchatel e
caratterizzata dall’arte espressionista, dalle rappresentazioni del
particolare e dei dettagli, dall’inizio di migrazioni di popoli, dalla valida
rete di commercio di massa che furono in grado di impiantare, dalla
conseguente nascita di una protoborghesia. Questo passaggio è stato
motivato anche da una differente esigenza sociale: nuovi ceti aspirano al
potere, per cui la vecchia aristocrazia hallstattiana viene soppiantata.
Dunque all’inizio del 600 a.C., come risultato di queste due ultime
culture appena descritte, nella zona che comprende il basso Rodano e
l’alto Danubio ha origine la popolazione celtica che, di cultura nomade,
comincia a migrare verso l’Italia settentrionale, dove si stanzia attorno a
Mediolanum ed entra in contatto con gli Etruschi, l’Europa centrale,
facendo scomparire la cultura di Hallstatt, la Francia, da cui hanno
origine i Galli, la Germania, dove si integrano con i Germani (Suebi,
Marcomanni, Longobardi, Ermunduri, Quadi e Semnoni), popolo
proveniente dall’area del Baltico, differente da quello dei Celti, la Gran
Bretagna, dove ebbero uno sviluppo più arretrato, la Serbia, la
Macedonia e l’Anatolia, dove compaiono i Galati, che importarono culti
religiosi orientali. In particolare per la Gran Bretagna è opportuno
precisare che, intorno al 900 a.C. e al 500 a.C., ci furono due ondate di
migrazioni di popoli di origine indoeuropea, che si sovrapposero alle
popolazioni preesistenti derivate dagli “ex Atlantidi” giunte nel 3000-
2000 a.C.
Le fonti storiche che raccontano dei Celti sono svariate: Erodoto, Cesare,
Livio, Polibio (il più accurato), Posidonio, Diodoro Siculo, Dionigi di
Alicarnasso, Strabone, Dione Cassio, Tacito, ma ad ogni modo, resta il
fatto che le origini dei Celti sono, tuttora, un mistero, anche perché,
mentre per popoli come gli Egizi, i Greci o i Romani si può parlare di
“civiltà” in senso più pieno e se ne può ricostruire dettagliatamente il
percorso storico grazie all’abbondanza delle fonti scritte, la
documentazione sui Celti, fino al contatto con i Greci e i Romani
appunto, è sostanzialmente quella di una cultura, nel significato che a
questo termine assegnano gli studiosi della preistoria e gli archeologi: è
un mondo complesso ed affascinante nel quale ci si immerge lasciandosi
alle spalle il proprio. Infatti tra i Celti e noi si stende l’universo della
cultura greco-latina e della tradizione cristiana, che hanno oscurato la
memoria legata a quella antica civiltà, caratterizzata da una concezione
della vita più incentrata sul “perché” che sul “come”.
L’Irlanda era la patria della chiesa celtica, che già esisteva prima
dell’evangelizzazione della chiesa romana operata da San Patrizio e da
Palladio. Questa fu importata dall’Aquitania che aveva frequenti
commerci con l’Isola Verde, ricca di stagno. Dediti alla pastorizia, gli
abitanti dell’Isola Verde non erano molto progrediti scientificamente.
Amavano la musica, le arti esoteriche, la natura e svilupparono
l’Alfabeto Ogamico composto da segni, con il quale composero fiabe,
divinizzando eroi nazionali tra cui Cù Chulainn. Il mito presso i Celti era
importante e questo gli Irlandesi lo applicarono abbastanza: favole quali
La conquista di Etain, Tàin Bò Cùailnge (la cattura del toro di Cooley),
The book of Leinster, The book of Dun Cow, The yellow book of Lecan
(le tre massime fonti mitologiche gaeliche), Novità sul maiale di Mac Da
Thò, sono saghe che raccontano di eroi popolari, di Dèi come Maeve,
divinità della guerra che visse tre volte, ricalcando le religioni scite e le
strutture celesti degli inferi, riprese da tutte le altre religioni. Si ripete il
tema della reincarnazione e della resurrezione.
Nella chiesa celtica non c’era una struttura ed un’organizzazione,
esistevano solo abati, la pastorale era semplice, i frati vivevano in luoghi
appartati (isole, eremi), lontano dai conventi, ed il simbolo più usato era
la croce celtica, segno di rigenerazione, contenente al centro la ruota
solare; imitando i Druidi gli abati al posto della chierica usavano una
rasatura da orecchio a orecchio, lasciando i capelli sulla nuca lunghi. La
chiesa celtica adattò il modello cristiano all’amore per la natura, per la
fantasia, per i luoghi fiabeschi: è evidente che, nonostante le
dominazioni e le influenze, la filosofia dei Celti rimase incontaminata. In
Irlanda, come in Scozia, non si annoverano martiri, segno che il modello
cristiano fu accolto pacificamente, tuttavia ci sono molti santi, nominati
anche con la segnalazione degli anacoreti, uomini, che si distinguevano
per la semplicità, il vigore, la mitezza. Ci furono notevoli dissidi tra
chiesa celtica e chiesa romana: alle volte si rasentava la scomunica,
come quando Fergal, vescovo di Salisburgo, credeva che sottoterra
esistesse un mondo parallelo, in base al modello celtico. Lo scontro
decisivo tra le due chiese fu nel 663 d.C. nel concilio di Whiotby: in
questa sede il dissidio principale, preso a pretesto dalla chiesa romana,
consisteva nella festa della Pasqua, che gli abati celtici festeggiavano tre
giorni dopo le Palme, secondo la tradizione di Giovanni Evangelista. La
chiesa di Pietro e Paolo ne uscì vincitrice, tuttavia gli abati celtici
continuano la loro evangelizzazione in Europa: Sangallo (Svizzera),
Bobbio (Pavia), Francia, Salisburgo, Scozia, Inghilterra e Germania.
Nel 410 d.C. i Sassoni, gli Angli e gli Juti, popoli germanici, occupano
l’Inghilterra. I Britanni si ritirano in Cornovaglia, Galles, Bretagna e
Scozia. Nel 440 Ambrogio Aureliano prende il potere e sconfigge i
germani. Nel 491 compare il mito di Artù che, attraverso dodici
battaglie, scaccia gli invasori. Dopo il 500 l’Inghilterra è di nuovo in
mano ai germanici, che abbracciano la chiesa romana. L’Irlanda vivrà le
invasioni vichinghe (793 d.C.), e comincia un periodo di migrazioni degli
irlandesi verso l’Europa. Successivamente sarà la volta delle invasioni
normanne, che importeranno l’amore per l’agricoltura e la pastorizia.
Nel 1066 il duca Guglielmo di Normandia riprende l’Inghilterra e
restaura la chiesa celtica, rinasce il mito del Graal e di re Artù, che viene
abbracciato anche dalla Francia, per puri scopi politici, in opposizione al
domino della chiesa romana.
Il re Artù richiama il Dio celtico Artaios, siamo di fronte ad un eroe
mitizzato, come avviene nella cultura celtica. Il Graal, poi, rappresenta
le nature di Cristo: umana nel sangue e divina nell’acqua, entrambe
sono unite assieme dallo spirito. Questi sono i tre elementi raccontati da
Giovanni, che era il più seguito dalla chiesa celtica. Chi possedeva il
Graal, possedeva questi tre elementi. Di nuovo la fantasia serve ai Celti
per superare le avversità della vita, che in questo caso erano
rappresentate dai Germani. Tuttavia, come già detto, questa figura
mitica fu strumentalizzata dai popoli invasori che volevano contrapporsi
alla chiesa di Roma.