Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
A causa dei rapporti tesi tra il nuovo duca, Alfonso I, ed il papa Giulio II, Ariosto dovette recarsi
più volte, tra il 1509 e il 1510, come ambasciatore a Roma, correndo anche rischi personali per il
carattere irascibile e violento del pontefice. Nel frattempo cominciò a stringere rapporti con
ambienti fiorentini, che miravano alla restaurazione del potere mediceo, ed in particolare con il
cardinale Giovanni de’ Medici, figlio del Magnifico. In tal modo, accortamente, Ariosto si
preparava uno sbocco nella carriera, pensando di passare dalla provinciale Ferrara alla splendida
corte romana. Quando Giovanni de’ Medici divenne papa con il nome di Leone X, nel 1513,
Ariosto credette che fosse giunta l’occasione di ottenere gli incarichi ambiti, che gli consentissero
una vita più agiata e tranquilla; ma le sue aspettative andarono deluse, e dovette adattarsi a restare a
Ferrara, con un magro beneficio in più. Intanto a Firenze aveva strette un legame con una donna
sposata (Tessandra Bemucti] Nel 1515 il marito morì, ma Ariosto, costrelto al celibato a causa degli
ordini minori, non oté mai convivere con lei e la sposò In segreto solo anni più tardi.
Al servizio DIL DUCA AL ONSO
Nel 1516 Ariosto pubblicò la prima edizione dell’Orlando furioso, alla quale lavorava da circa un
decennio. E la dedicò al cardinale Ippolito, il quale però non dimostrò di apprezzare l’opera come il
poeta gi attendeva. Nel 1517, recandosi a prendere possesso di un vescovato in Ungheria, il
cardinale impose ad Ariosto di seguirlo, ma 1 poeta mnrut:, :a>sando al servizio del vuca Alfonso,
Nel 1522 questi gli affidà un difficile compito, que o di governatore della Garfagnana, regione
appenninica da poco annessa al Ducato estense: una regione turbolenta, infestata da banditi, in cui
l’ordine doveva essere mantenuto con la forza. Qui Ariosto dette prova di capacità politiche, di
equilibrio e di energia, come Testimoniano le sue relazioni al duca. La lontananza dalla sua. Città
però gli pesava, ma ‘soprattutto gli causavano fastidio Te incombenze pratiche, che gli impedivano
di dedicarsi alle occupazioni più amate, la poesia e gli studi. Tornato a Ferrara nel 1525, riprese ad
occuparsi degli spettacoli di corte, scrivendo una nuova commedia La Lena, e riprendendo ne
un’altra scritta nel 1520, £{ Negromante. Furono, questi anni, iù tranqui”1, con pochi s.ostamenti, Il
poeta,circondato dagli affetti familiari, si era-sistemato in una modesta cass in contrada Mirasole,
dove continuò a lavorare alla revisione stilistica e all’ampliamento del Furioso. Ammalatosi di
enterite, morì nel 1533 per complicazioni polmonari.
Ariosto stesso, nelle Satire, si è compiaciuto di lasciare di sé l’immagine di uomo amante della vita
sedentaria, placida e contemplativa, tutto teso a risarcire nell’evasione fantastica le angustie della
vita pratica e quotidiana. Ma si tratta di un’immagine letteraria, non perlet tamente rispondente alla
realtà. In efletti, come si è già avuto modo di osservare, \riosto fU uomo accorto e saggio, che
manifestò eccellenti doti pratiche nel destreggiarsi tra gli intriglu della vita cortigiana del tempo, e
dimostrò capacità politiche e diplomatiche negli incarichi da lui assunti. La sua aspirazione ad
un’esistenza quieta ed appartata, come ha osserva Caretti, non fu affatto «un pigro arrendersi alla
mediocrità», ma «una scelta matura e me ditata», mirante a difendere, nell’unico modo che era
possibile in una società cortigiana. La propria libertà di individuo e di intellettuale. Nella sua scelta
si rivelò «un senso concreto e realistico dell’esistenza», un’’inclinazione «disincantata e
profondamente saggia» a «elaborare un ideale di vita dominato dal sentimento della misura e
dell’equilibrio interiori», Un atteggiamento che è anche nutrito dalla capacità di «indagare più da
vicino la natura degli uomini e la verità del proprio tempo, con spirito quanto mai penetrante e
acuto», Ed è questa acutezza nello studiare e nel penetrare la vita sociale del tempo ed i
comportamenti umani che si manifesta nella sua opera, anche in quella che apparentemente può
risultare più lontana, il poema cavalleresco che canta di armi e di amori.
E e 2.Le opere minori LE LIRICHE LATINE E LE RIME VOLGARI La lirica latina di Ariosto
risale prevalentemente agli anni giovanili. Sono 67 componimenti, scritti quasi tutti fra il 1494. E il
1503, che non furono mai raccolti dall’autore in forma organica né pubblicati come opera compiuta.
Vi si rivela la formazione umanistica di Ariosto e sono chiaramente ravvisabili i modelli classici,
Orazio, un autore a lui particolarmente congeniale, con il suo ideale di serenità imperturbabile, ma
anche
LE COMMEDIE
Ariosto si occupò professionalmente di teatro, poiché, come si è accennato, tra i suoi compiti di
intellettuale cortigiano vi era anche l’allestimento di spettacoli per le feste di corte, secondo una
tradizione che era particolarmente viva a Ferrara già nel Quattrocento. Per tali spettacoli si
utilizzavano inizialmente traduzioni e adattamenti di testi co nci latini, ma in seguito si passò anche
all’elaborazione di testi originali in volgare. Ariosto fu colui che inaugurò questa nuova tradizione,
con due commedie fatte rappresentare .lla corte di Ferrara La Cassar': nel carnevale del 1508, /
Suppositi in quello dell’anno successivo. Questi due testi hanno una grande importanza storica,
perché costituiscono l’inizio e 1 modello di tutta la successiva, foltissima produzione di commedie
classicheggianti del Cinquecento.
Pur rivolgendosi a soddisfare i bisogni del pibblico, on fini quindi di intrattenimento, Ariosto mirò
egualmente a un’alta dignità artistica, e, secondo i modelli del classicismo rinascimentale, che
prescrivevano l’imitazione degli antichi, nell’elaborazione dei suoi testi guardò ai modelli classici,
in particolare a Plauto. Mentre però le commedie latine erano in versi, Ariosto scelse in un primo
tempo la prosa. Le sue due prime commedie riprendono il tipico schema plautino del conflitto fra i
giovani, tesi a raggiungere 1 loro obiettivi amorosi, ed i vecchi che in vari modi li ostacolano. Una
parte importante hanno anche i servi astuti, che aiutano i giovani ad ottenere ciò che desiderano con
espedienti e inganni. Al modello dell’intreccio plautino si aggiunge la suggestione della novella
italiana, in particolare di Boccaccio, nel motivo dell’intraprendenza dei giovani nella ricerca del
soddisfacimento amoroso e in quello dell’astuzia dei servi (è il motivo dell’«industria», che ha tanta
parte nel Decameron, come sappiamo). La trama è complicata da infiniti intrighi ed equivoci, ma si
conclude di regola col lieto fine, La scena, come nel teatro comico antico, è collocata in ambienti
borghesi cittadini. La Cassaria ‘così chiamata dalla cassa che è al centro dell’intrigo), si svolge in
una città greca. Metelino, ed è caralterizzata-dalla serie di trovate astute di me’ :«a che si
susseguono con intenso dinamismo. / Su positi (Gli scambiati) si fonda suuna-serie-di-scambi-di
persona e sugli equivoci che ne nascono. Una novità di grande rilievo in questo secondo testo è
costituita dal fatto che la scena è in Ferrara, e vi è una fitta rele di riferimenti a realtà e luoghi
cittadini ben noti agli spettatori, che olevano così vedere riflesso sul palcoscenico, con curiosità e
divertimento, il mondo a loro familiare: -
Dopo queste due commedie l’attività teatrale di Ariosto si interruppe per quasi un decennio. Ripresa
la scrittura di commedie, l’autore lasciò la prosa per il verso, più adatto all'idea di teatro
letterariamente elevato che gli era propria e più vicino ai modelli classici a cui egli si rifaceva. Il
verso prescelto fu l’endecasillabo sciolto sdrucciolo (terminante cioè con una parola dall’accento
sulla terzultima sillaba), che aveva un andamento simile a quello del verso più usato dai comici
latini, il senario giambico. Nel 1520 Ariosto inviava al papa Leone X Il Ne:romante, già ideato sin
dal 1509. La commedia fu poi nuovamente rielaborata nel 1529. con l’aggiunta di nuove scene. Al
dinamismo dell'intreccio e delle trovate comico-furfantesche, che era proprio delle prime
commedie. si sostituiscono intenti di satira di costume:_al centro della vicenda vi è infatti. come
indica il titolo la firura di un ma:o imbroelione e Ariosto prende da essa lo spunto per ridicolizzare
con laico scetticismo le credenze irrazionali e la magia. 2 q& La rappresentazione realistica di
costume caratterizza anche La Lena (1528,-ma ampliata negli anni successivi), in cui si insiste, al di
là del solito motivo Dell amore contrastato di due giovani di due giovani. sul tema del interesse
economico, rappresentato soprattutto dalla ruffiana che dà il titolo alla commedia. Fitti sono anche i
riferimenti alla realtà ferrarese, con spunti satirici nei confronti della disonestà e corruzione di uno
stuolo di pemonagei che ruotano intorno alla corte estense e alla burocrazia amministrativa. Vi si
manifesta pertanto una visione disincantata e amara dell’uomo, che appare solo mosso da interessi
utilitaristici e meschini; una visione che non è poi molto lontana dal pessimismo con cui
Machiavelli rappresenta la società contemporanea nella Mandragola (+ Percorso 6, TT1213, p. 461
e ss.). A partire dal 1518-19 Ariosto aveva anche abbozzato un'altra commedia, Gli studenti,
ambientata nel mondo universitario. La commecia rimase interrotta all'inizio del IV atto, e dopo la
morte dell'autore fu completata in modo diverso dal fratello Gabnele (L'imperfetta) e dal figlio
Virginio (La sco astice WlNeg 1 u limi anni Ariosto ritornò anche sui due testi più antichi, che
erano in prosa, riserivendoli in versi, con modificazioni rilevanti nella struttura, soprattutto per La
Cassaria (nuovamente rappresentata nel 1531).
LE LETTERE
Ci sono giunte 214 lettere di Ariosto, scritte fra il 1498 e il 1532. Si tratta di un epistolanio di
carattere molto diverso da quelli umanistici, che hanno come modello quello petrarchesco: la lettera
ariostesca non è componimento squisitamente letterario, che trasfigura la realtà smussando i
riferimenti troppo crudi e diretti in nome di un ideale classicheggiante, ma un documento autentico,
non scritto per la pubblicazione, scevro di intenti letterari. Si tratta di lettere private, relazioni
diplomatiche, rapporti ai signori, biglietti d’occasione. Non sono scritte in un linguaggio letterario
elaborato, ma in stile semplice e immediato. Vi si riflette il realismo di Ariosto, la sua capacità di
penetrare acutamente situazioni e persone, in specie nelle lettere che si riferiscono al periodo della
Garfagnana.
LE SATIRE
Tra il 1517 e il 1525 Ariosto scrisse sette satire in forma di lettere in versi indirizzate a parenti ed
amici; non ne curò però la stampa, ed una prima edizione uscì solo dopo la sua morte, nel 1534.
Anche per questi componimenti vi erano dei modelli classici, le Satire e le Epistole di Orazio. La
satira antica era in origine un componimento che permetteva di toccare i più van argomenti, senza
un ordine prefissato (il nome pare che derivi appunto da un piatto votivo che conteneva i più vari
tipi di cibi).
Orazio, nell’età augustea (I secolo a.C.), aveva fissato il modulo della satira come libera e svagata
conversazione (il titolo della sua opera è anche Sermones, cioè conversazioni, chiacchierate, ma
anche le Epistole hanno uno schema affine), in cui l’autore può toccare gli argomenti più diversi,
riferimenti autobiografici, riflessioni generali sul comportamento umano, ritratti di persone,
apologhi, favole. Ad Orazio Ariosto è particolarmente vicino. Nell’ideale di una vita quieta e
modesta ma indipendente da ogni servitù e nel distacco ironico con cui sa guardare se stesso e gli
altri. Ariosto, a rendere il modello oraziano, impiega la forma del capitolo in terzine dantesche, già
consacrato da una tradizione abbastanza lunga, e da lui stesso sperimentato.
1. La Satira I (1517) è indirizzata al fratello Alessandro e all’amico Ludovico da Bagno, ed in
essa l’autore spiega le ragioni per cui ha rifiutato di seguire in Ungheria il cardinale Ippolito
suo signore, insistendo sull’incompatibilità degli incarichi pratici del cortigiano con la
vocazione letteraria.
2. La Satira II è rivolta al fratello Galasso (1517), e contiene una rappresentazione critica e
polemica della corte papale.
3. La Satira III, dedicata al cugino Annibale Malaguzzi (1518), tratta della condizione del
poeta nel nuovo servizio del duca Alfonso, e ribadisce con vigore la sua esigenza di
autonomia dalla corte.
4. La Satira IV (1523), destinata a Sigismondo Malaguzzi, descrive le difficoltà del suo
compito di governatore della Garfagnana, il rimpianto dell’attività letteraria interrotta, la
nostalgia della sua città e della sua donna.
5. La Satira V (forse scritta tra il °19 e il 21), ancora rivolta ad Annibale Malaguzzi, è una
disamina dei vantaggi e degli svantaggi della vita matrimoniale, e contiene una serie di
consigli sui criteri da seguire nella scelta della moglie; vi compaiono perciò gli umori
misogini che erano propri di una lunga tradizione letteraria (si pensi al Corbaccio di
Boccaccio).
6. Nella Satira VI, indirizzata a Pietro Bembo, Ariosto chiede all’illustre letterato consigli per
l’educazione del figlio Virginio, esprime il suo rammarico per non aver mai potuto
approfondire la conoscenza del greco, ed esalta, seguendo una tradizione umanistica, la
funzione incivilitrice della poesia.
7. Nella Satira VII. Dedicata a Bonaventura Pistofilo, il poeta motiva il suo rifiuto di andare a
Roma come ambasciatore, ed esprime il suo amore per il suo “nido” ferrarese.
La struttura
di questi componimenti è, secondo il modello oraziano, quella della chiacchierata alla buona, che
trascorre disinvoltamente, talora senza apparenti connessioni, tra i più vari argomenti. Cesare Segre
ne ha sottolineato la struttura intimamente dialogica: il poeta vi dialoga continuamente, con se
stesso, con i destinatari, con interlocutori immaginari. Il discorso risulta quindi un fitto intreccio di
voci, che propongono prospettive diverse sul reale. È una caratteristica, questa, che compare anche
nel poema, come vedremo, sia pure in forme diverse dato il suo carattere narrativo.
Interrotta l’Obdizzeide, poema epico che aveva l’intento di esaltare la casa d’Este, intorno al 1505
Ariosto mise mano alla composizione di un poema cavalleresco, l’Orlando furioso. La materia
cavalleresca era molto amata nella corte ferrarese e aveva già trovato espressione, pochi decenni
prima, in un capolavoro, l’Orlando innamorato di Boiardo (f Sez. 1, Percorso 3, TT3-4, pp. 108 e
ss.), che aveva incontrato grande successo. Nella sua opera Ariosto si collega direttamente a quella
boiardesca, riprendendo la narrazione esattamente al punto in cui il poeta l’aveva interrotta e
proseguendola con nuove avventure, Una prima redazione dell’Orlando furioso, in 40 canti, era
terminata nell’ottobre del 1515, evide la luce a Ferrara nel 1516. Appena uscita questa edizioneyil
poeta-si-mise-subito-at lavoro per correggerla e limarla. Una seconda edizio« n «)-:. 2! Senza
cambiamenti” di grande rilievo, con qualche aggiustamento, qualche taglio, e con una complessiva
revisione linguistica. Già in queste prime due edizioni il poema ebbe un grande successo,
testimoniato dalle numerose ristampe, ben 17, che sì succedettero fra il 1517 e il 1531.
Insoddisfatto, tuttavia, Ariosto si accinse a una nuova e più radicale revisione dell’opera. Una terza
edizione del poema apparve infine nel 1532. La revisione-fu-in primo luogo inguistica;ne e prime
due edizioni il poeta aveva usato quella lingua cortigiana ‘che era stata proprtà anche diBoiardo,
basata ‘ondamentalmente sul toscano letterari ma con numerose coloriture padane e latineggianti;
nell’ultima redazione adeguò inve ce la lingua ai canoni classicistici che erano stati autorevolmente
fissati da Bembo nel 1525 con le Prose della volgar lingua: il modello era una lingua pura e
levigatissima. Priva di ogni ibridismo locale, che si rifaceva rigorosamente al fiorentino dei
“classici” trecenteschi. Questa revisione linguistica non è solo un fatto esteriormente formale. La
prima edizione rivelava un Ariosto ancora radicato in una tradizione cortigiana municipale,
prettamente quattrocentesca; l’edizione del 1532, invece, vede ormai un poets pienamente inserito
in un orizzonte letterario nazionale, secondo la direzione assunts dalla cultura del primo
Cinquecento.
La revisione però riguarda anche i contenuti: vi sono aggiunte cospicue, di interi episodi. Come
quello di Olimpia (canti IX-X1), della Rocca di Tristano (XXXII-XXXIIN. Di Marganorre
(XXXVII), di Ruggiero e Leone (XLIV-XLVT). Più fitti inoltre sono i riferimenti a fatti della storia
contemporanea, che in quegli anni vedeva un precipitare inesorabile della crisi italiana, a causa
delle guerre che le potenze straniere combattevano sulla penisola. A causa di questi ampliamenti il
numero dei canti fu elevato a 46. L’inserzione dì nuovi episodi determinò lo spostamento di
equilibri strutturali, creando nuove simmetrie (ad esempio l’episodio del tiranno Marganorre, feroce
persecutore delle donne, viene a far da contrappeso a quello delle femmine omicide). Non solo, ma
le inserzioni vengono a determinare un clima diverso, più cupo, permeato di pessimismo sulla
Fortuna e l’azione umana, e caratterizzato da tematiche negative, quali ìl tradimento, la violenza, la
tirannide, in cui si possono cogliere i riflessi del progredire della crisi italiana fra il 1516 e il 1532.
In questo clima rientrano anche i Cinque canti. Essi furono scritti presumibilmente intorno al 1518-
19, con l’intenzione di inserirli nella seconda edizione del poema. Ln realtà Ariosto, pur
lavorandovi ancora in anni successivi, rinunziò all’inserzione e li lasciò inediti. Probabilmente si
rese conto che l’immissione di un blocco narrativo cos ampio avrebbe alterato irreparabilmente
l’equilibrio compositivo dell’opera e ne avre be compromesso la fisionomia e lo spirito. 1 Cinque
canti furono poi pubblicati postumi dal figlio Virginio, in appendice a un’edizione veneziana del
Furioso (1545). In quest nuovi canti ha largo spazio il motivo del tradimento del malvagio Gano di
Maganza, che fa nascere la discordia tra Rinaldo e Orlando; vi è inoltre la fantastica avventura di
Ruggiero che viene inghiottito da una balena, nel cui ventre ritrova Astolfo e altri cavalieri.
JL PUBBLICO
Come il poeta stesso dichiara in una nota pagina, una supplica del 1528 al doge di Venezia per
ottenere una stampa «con privilegio», cioè protetta da edizioni non autorizzate, l’opera è composta
«per spasso e recreatione de’ Signori e persone de animo gentile», fatta di «cose piacevole e
dilettevole di arme et amor», e per questo merita di essere «ubblicata « «er solazzo et a piacer
d’ognuno». Il poema è dunque pensato come opera di intrattenimento indirizzata ad un puiJ5ico «1
cortigiani è persone colte Esso presenta ancora i caralleri del racconto rivolto a un pubblico
fisicamente presente dinanzi al poeta, carattere che era proprio di tutta la tradizione romanzesca. In
realtà quella della comunicazione orale è ormai solo una convenzione: il Furioso è opera già
interamente pensata per la diffusione attraverso la stampa. Ciò significava che il pubblico non era
più costituito in primo luogo dalla cerchia ristretta dell’ambiente in cui l’opera era nata, come era
proprio di quasi tutte le opere che erano state pubblicate prima dell’invenzione della stampa,
destinate alla limitatissima circolazione manoscritta, ma era ormai il pubblico nazionale, formato
dall’insieme delle persone colte di tutti i centri della penisola: una corte “ideale” dunque, non solo
più l’ambito ristretto della corte ferrarese. Se questo pubblico si appassionava ancora alle vicende
cavalleresche di armi e di amori, il suo gusto era ormai educato ai canoni del classicismo: proprio in
consonanza con i gusti di questo pubblico, allora, oltre che in rispondenza ai propri ideali poetici,
Ariosto doveva tendere a dare forma classica, sia nella lingua si8 nei riferimenti alla letteratura
antica, alla materia cavalleresca.
Se la materia cavalleresca che prolifera all’infinito, con il continuo differimento delle conclusioni e
l’aggrovigliarsi di mille fili narrativi, rende l’immagine di una realtà multiforme, labirintica,
continuamente mutevole, imprevedibile, caotica, su di essa il poeta cala precisi moduli d’ordine.
Nella visione pessimistica di Ariosto la pluralità del reale e il caos del mondo retto dall’arbitrio
capriccioso della Fortuna non sono dominabili. L’uomo che si muove dentro questa realtà,
inseguendo le infinite possibilità che gli si offrono, è destinato allo scacco, a non raggiungere mai
gli obiettivi. Ma il poeta, creando l’universo fantastico del poema, costruisce un simulacro, un
modello del mondo, che è dominabile intellettualmente, passibile di e—ere strutturato in un ordine
perfeito: Ariosto, consapevole di non poter dominate la realtà, ne domina almeno razionalmente il
simulacro artistico, attraverso lL@organizzazione formale dell’opera. Se il mondo è caos,
contraddittorietà, nutevolezza, rovesciamento continuo delle attese, gioco di apparenze ingannevoli,
il poema che ne è il simulaceroe può essere ridotto all’ordine, chiuso in una struttura limpida e
simmetrica Dumeo ordine possibile per Ariowo è la letteratura, l’universo del fittizio; solo la
letteratura consente un dominio simbolico del reale. Lo scacco pratico, nel campo della realtà, trova
un risarcimento éstett.o nella finzione, Se nella realtà l uomo è soggetto a forze incontrollabili
LO STRANIAMENTO E L IRONIA
Proprio perché sempre accompagnato da questa ferma volontà di riflessione sul reale. L’abbandono
al piacere del meraviglioso romanzesco in Ariosto non può essere totale. Di qui nasce il
procedimento dellofstraniamento > Glossario), che è costante nel Furioso. Esso consiste in un im
«rovviso mutamento nella prospettiva da cui è resentata la materia nell’allontanarla e ne guar:ar.a
con occ 10 estraneo. In modo da im: ‘e l’immedesimazione emotiva ne mondo narrato e in modo da
costringere anche il lettore a, ardare personag;i, situazioni e sentimenti come da lontano 1 indi a
riflettere su di essi con atte; atteggiamento critico.
Un simile e effetto è ottenuto con vari procedimenti. Il più tipico è il continuo intervenire sela voce
narrante con giudizi e commenti in genere maliziosi e sornioni, che spezzano l’illusione narrativa.
Ad esempio nel canto I, quando An;elica dinanzi a Sacripante_ afferma con vi:ore di essere ancora
ver:ine la voce narrante commenta: «Ferse era Yer, ma non però credibile / a chi del senso suo fosse
signore; / ma parve facilmente a lui possibile, / ch’era perduto in via più grave errore» (+ T3, p.
281): come si vede, l’intrasione del narratore impedisce l’immedesimazione ingenua nei fatti
narrati, costrin ©’d guardarli da una prospettiva diversa, a riflettere su di essi tenendo conto
dell’ambiguità de reale, del gioco delle a» parenze.
In altri casi il narratore ostenta una imperfetta conoscenza dei fatti, giocando deliberatamente a
limitare il proprio statuto di onniscienza. Quando Orlando si trova di fronte alla scritta con cui
Medoro esalta gli amori con Angelica, il narratore commenta: «Che fosse culta in suo linguaggio io
penso»: fingendo di non avere dati certi e di essere costretto a formulare ipotesi, il narratore si
allontana così dai fatti narrati, mette in piena evidenza il suo sorridente distacco. Questi
procedimenti di straniamento sono tra gli strumenti principali Dell ironia ariostesca che implica
sempre una gorma di distacoò dalla materia, uno sguardo da lontano, dilisincantato
L IRONIA E L ABBASSAMENTO
Un procedimento affine allo straniamento, e sempre veicolo di ironia, è l’abbassamento. ) Si è detto
che per Ariosto i valori cavallereschi non sono più praticabili, sono solo una realtà remota da
guardare con distacco. Ebbene, questo non induce l’autore al rovesciamento parodico, alla beffa
aperta, come sarà di lì a un secolo nel Don Chisciotte (1605-15) di Cervantes: Ariosto si limita ad
abbassare la dignità epica ed eroica dei personaggi portandoli ad un livello piu familiare facendo
così emergere al dj sotto delle apparenze dei cavalieri e delle dame gli upmini e le donne comuni,
con i loro limiti e i loro errori. Questo abbassamento può scaturire dal semplice montaggio della
scena, dall’oggettività dei fatti raccontati: si pensi, nel canto I (+T3, p. 281), a Sacripante, che, dopo
aver millantato la sua sicura vittoria sul misterioso cavaliere, viene da lui abbattuto proprio sotto gli
occhi della dama, e che da questa è aiutato a liberarsi dal peso del cavallo, scoprendo per di più che
a gettarlo a terra è stata una donna, Bradamante: è inevitabile che il personaggio sia avvolto da un
sorriso. In altri casi invece l’abbassamento è prodotto da un intervento del narratore, mediante l’uso
di paragoni e similitudini prosaiche, che determinano un contrasto con la qualità dei personaggi.
Quando Orlando ha avuto la certezza indubitabile degli amori di Angelica con Medoro, e non riesce
a prendere sonno nella capanna del pastore, il suo letto gli pare «più duro ch’un sasso, e più
pungente / che se fosse d’urtica» (+T7, p. 342): è evidente come l’immagine dell’ortica sia poco
confacente alla statura eroica del paladino e come il contrasto sia deliberatamente cercato per
avvolgere il personaggio in una luce ironica. Proprio abbassando i personaggi eroici alla realtà
quotidiana e familiare e rivelando in essi l’uomo comune, questo procedimento trasforma la materia
epica e cavalleresca in punto d’avvio della riflessione sulla natura del reale e sul comportamento
degli uomini.
L’ironia ariostesca non nasce quindi, come spesso si è detto, dall’indifferenza per la materia, dalla
consapevolezza del suo carattere fittizio, non è solo il distacco compiaciuto con cui l’artista
contempla la sua creazione, secondo la definizione di Croce, non è insomma strumento di evasione
fantastica: se l’ironia è indispensabile per rendere la materia romanzesca campo aperto per la
riflessione etico-filosofica, essa appare 1° strumento della disposizione lucidamente conoscitiva di
Ariosto nei confronti del reale. Del suo atteggiamento critico dinanzi al mondo e agli uomini.