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Francesco Petrarca nasce ad Arezzo il 20 luglio del 1304. Suo padre è notaio e per lavoro si sposta in
importanti centri italiani ed europei. Francesco lo segue, ancora bambino, e si troverà nel grande mondo
francese, ad Avignone, che in quel periodo era divenuta la nuova sede della Chiesa di Roma. Qui Petrarca
entra in contatto con personaggi molto importanti dell’epoca: è bene integrato nella vita politica e culturale
del suo tempo, è molto attento a tutto quello che lo circonda, a partire dalle questioni politiche, come il
problema di riportare o meno la sede della Chiesa a Roma. Conosce i romanzi francesi, conosce benissimo
la poesia di Dante e della scuola stilnovista, inizia a leggere testi religiosi e teologici che approfondirà
quando deciderà, più tardi, di prendere i voti. Francesco Petrarca inizia già da subito a tentare di
interpretare e rinnovare la letteratura e la cultura contemporanee che gli appaiono insoddisfacenti.
Petrarca studia legge (si iscrive all’università ma non porta a termine gli studi anche se, come vedremo fra
poco, avrà comunque una “laurea”) ed entra in contatto con autori latini come Cicerone e Virgilio. Per lui il
latino è quasi una seconda lingua che usa anche per prendere appunti.
Sono quindi tanti e diversi i fattori che influenzano la sua preparazione: un avviamento alla letteratura
religiosa, una grande conoscenza della letteratura volgare (cioè stilnovo e letteratura francese), un grande
amore per i classici latini: premesse che pongono le basi della sua grande poesia.
1.2Laura e la laurea
C’è un personaggio molto legato alla poesia di Francesco Petrarca: Laura. Il poeta racconta di averla
incontrata la prima volta il 6 aprile 1327 e di essersene innamorato immediatamente. Questa donna
diventerà oggetto della maggior parte delle poesie del Canzoniere.
È un periodo non solo caratterizzato dall’amore ma anche da una profonda riflessione spirituale: Petrarca
prende i voti e vive come un chierico laico – erano in molti a non condurre una vita monastica, pur essendo
uomini di chiesa, in questo periodo – svolge incarichi importanti presso la famiglia Colonna, approfondisce
gli studi leggendo vite e opere di Santi ed inizia anche lui a riflettere sulle sorti dell’anima e sul valore della
religione.
L'Tutto quello che ha scritto fino a quel momento lo ha reso un personaggio noto e amato tanto che, nel
1341, gli viene conferita la laurea come poeta: Francesco Petrarca verrà incoronato a Roma “ad honoris”.
Ma sta però per arrivare un periodo decisamente negativo: la peste che nel 1348 devasterà l’Europa e
porterà in Petrarca un periodo di profonda inquietudine e tristezza. Laura muore e l’epidemia, così violenta,
lo turba profondamente.
L'autore riesce a superare questo momento che però lascia una traccia dentro di lui. Nelle poesie di
Petrarca risalenti a questo periodo possiamo notare un cambiamento verso una tematica più profonda: si
interroga sulla natura dell’anima e certe poesie sembrano quasi delle preghiere. Incontra e diventa molto
amico di Giovanni Boccaccio, un altro grandissimo autore della nostra letteratura che insieme a Petrarca e
Dante è conosciuto come una delle “tre corone”, in riferimento proprio alla corona di alloro che veniva
all’ora usata per cingere i poeti (appunto laureati). Insieme a Boccaccio, Petrarca riflette sul rapporto fra
lingua italiana e latino, un dibattito che a quei tempi era molto sentito.
Gli ultimi anni della sua vita Petrarca li vive intorno a Padova, continuando a scrivere e a studiare come ha
sempre fatto e muore ad Arquà - in suo onore questa località si chiama oggi Arquà Petrarca - il 19 luglio
1374.
L’INTELLETTUALE COSMOPOLITA, IL CORTIGIANO, IL CHIERICO
Petrarca rappresenta una figura di intellettuale nuova rispetto agli scrittori del Duecento e a Dante, e
anticipa la figura che dominerà poi nei periodi successivi. Non è più l’intellettuale comunale, legato ad un
preciso ambiente cittadino, ma un intellettuale cosmopolita, senza radici in una tradizione municipale. Ciò
si manifesta nella sua perpetua ansia di viaggiare, nel variare continuamente il luogo dei suoi soggiorni,
Avignone, Parma, Milano, Venezia, Padova. E’ evidente la distanza che lo separa da Dante, che, esule per
l’Italia, rimpiangeva di aver lasciato nella sua città
In secondo luogo Petrarca non è più l’intellettuale-cittadino che partecipa attivamente alla vita politica del
suo Comune (come è ancora Boccaccio) e ne riflette le caratteristiche nella propria opera. È ormai
pienamente un intellettuale cortigiano: accetta la nuova istituzione della Signoria, che si è ampiamente
affermata in Italia, e sceglie di sostenerla con il suo prestigio e la sua autorevolezza di grande intellettuale,
di uomo di vasta cultura e di fama europea.
L’HUMANITAS
Ha inizio con Petrarca il principio d’imitazione tipico dell’Umanesimo, cioè quello di prendere spunto dai
testi classici tentando di elaborare testi aventi strutture e tematiche simili, magari modificandone solo lo
sfondo temporale e sociale.
Fatto assai importante è che per Petrarca la letteratura non ha una funzione d’ascesi (che india verso Dio),
ma quello di aiutare l’uomo a vivere in maniera dignitosa; la letteratura ha lo scopo di insegnare a
possedere l’humanitas e l’amore per il bello, cioè l’estetica. Nei testi classici il tema della bellezza era molto
presente e inoltre ritenevano che ciò fosse bello fosse anche buono. Secondo Petrarca nessuno è mai
riuscito a capire il concetto di bellezza come lo hanno fatto i greci, di conseguenza egli crede che la bellezza
consista nell’imitare i testi classici, soprattutto cercando di cantare nello stesso modo le antiche tematiche
greche. Attuando questo tipo di lavoro però Petrarca non abbandona le correnti letterarie del suo tempo.
L’arte secondo Petrarca è una forma di ARISTOCRATICA CIVILTA’, un’attività riservata ad un gruppo molto
ristretto di persone, quindi un’aristocrazia elitaria; l’arte inoltre è un segno di un popolo che ha raggiunto la
civiltà e deriva dall’impegno e dalla fatica.
Le opere
Francesco Petrarca scrisse opere in latino e volgare. Tra le opere in latino ricordiamo: De vita
solitaria (1346) e De otio religioso (1347) che esaltano la solitudine, il Secretum (1347 1353), dialogo tra
Petrarca e S. Agostino che riflette la crisi interiore dell'autore, Epistole (1325 1361), un raccolta in 24 libri
che
contengono 350 lettere che si suddividono per argomento: familiari, metriche, senza titolo, senili (cioè che
riguardano la vecchiaia).
Le Epistole non sono scritte come intrattenimento, ma sono frutto di elaborazione. In questi 24 libri vi è il
ritratto ideale dell'intellettuale: una guida degli uomini del suo tempo. Infine tra le opere in latino troviamo
anche il poema epico Africa (ricalca l'Eneide di Virgilio). Tra le opere in volgare invece ricordiamo il
Canzoniere (scritto tra 1335-1374), e Trionfi (1353).
Il Canzoniere, il cui titolo originale è “Rerum volgarium fragmenta” (Frammenti di cose volgari), è una
raccolta di liriche in volgare scritte in occasioni diverse. I titoli dell'opera più diffusi dalla tradizione sono,
oltre a quello di Canzoniere, Rime o Rime sparse (quello da cui si ricava il primo verso del sonetto che funge
da proemio: Voi
ch'ascoltate in rime sparse il suono). Si tratta di 366 componimenti poetici scritti da Petrarca dal 1335 fino
alla sua morte e distribuiti in due parti: vita e morte di Laura, la donna che amò anche dopo la sua
scomparsa. L'amore per Laura è inappagato e tormentato. Laura è cantata dal poeta con espressioni che
ricordano lo Stil Novo, ma rimane sempre un essere umano, una creatura di questo mondo.
Petrarca inaugura un modello di lirica amorosa nuovo rispetto a quello della tradizione guinizelliana e
dantesca (fondatori del Dolce stil novo). La figura di Laura è quella di una donna vera, piena di fascino. La
lirica di Petrarca è ricca di richiami al paesaggio ma privi di concretezza realistica ed usa vocaboli generali ed
universali, c'è, quindi, un unilinguismo rispetto alla Divina Commedia di Dante, dove c'è, invece, un
plurilinguismo
IL SERETUM
Il secretum è un'opera di Francesco Petrarca scritta in latino il cui titolo originale è: "De secreto conflictu
curarum mearum" tradotto in italiano sarebbe "il conflitto segreto dei miei affanni".
Quest'opera è stata scritta in forma dialogica tra il 1347 e il 1353, e il dialogo si svolge tra il poeta stesso e
Sant'Agoostino, suo mentore e una terza figura, la verità raffigurata come una bellissima donna che non
parla, ma si limita a rimanere in silenzio per tutta l'opera.
Riguardo alla concezione del pubblico, egli si differenzia molto da Dante e dagli stilnovisti, in
quanto per lui è necessario semplicemente che le persone cui si rivolge abbiano provato l’amore
per esperienza personale, nulla importa la classe sociale cui appartengono.
Per tale ragione Petrarca manifesta un amore vero e soggettivo, che dà davvero l’impressione di
essere stato vissuto pienamente; al contrario, gli stilnovisti vedevano l’amore come un sentimento
aristocratico, noto solo a coloro che possedevano un cuore gentile, fino a farlo apparire quasi
come una disputa filosofica, non veramente vissuto, ma solo teorizzato nell’ambito della filosofia.
Per quanto riguarda la struttura del componimento, si tratta di una struttura bipartita: il sonetto è
infatti diviso nettamente in due parti: nella prima le due quartine, nella seconda le due terzine. Nel
primo caso vi sono rime dai suoni dolci e armoniosi e si parla del pubblico e del contenuto
dell’opera (l’amore). Nel secondo caso si ha un certo incupimento di significato, sottolineato dalle
rime dai suoni chiusi e aspri, e scaturito dalle sensazioni di pentimento, derisione e vergogna che il
poeta prova verso l’amore da lui provato, ch’egli considera come cosa vana, così come ogni
attrazione terrena in quanto soggetto alla morte. Questa concezione viene evidenziata
maggiormente dall’ultimo verso del sonetto: “che quanto piace al mondo è breve sogno”. Tuttavia
lui continua a seguire queste cose vane pur non desiderandolo; non smette perciò di peccare
d’accidia, il suo peccato più grande, cioè la debolezza della sua volontà che non riesce a prendere
una vera e propria decisione. Petrarca è cambiato dunque solo parzialmente da quando era
giovane (come si può ben constatare leggendo l’ultimo verso della prima quartina).