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Dalla rubrica: "I PERSONAGGI DELLA DIVINA COMMEDIA"

ULISSE rappresenta la grandezza della RAGIONE, che vuole superare i limiti posti all’essere umano,
allegoricamente rappresentati dalle COLONNE D’ERCOLE. Tuttavia, la nave dell’Ulisse dantesco
cola a picco davanti alla montagna del Purgatorio poiché egli è privo dei valori morali.
Dante è legato ad un concetto di religiosità medievale, è un conservatore, vive in un momento di
transizione, ma non cede. Egli è legato all’idea di un asse verticale, tale che se non c’è moralità non
c’è purificazione, e lo spirito non si eleva. Le azioni di Ulisse sono finalizzate alla sua esclusiva
curiosità e il sapere fine a se stesso non fa ascendere lo spirito. Nel momento in cui conosce, la
nostra mente deve essere pura.
Davanti al Purgatorio la nave di Ulisse affonda, creando un asse verticale che tende verso il basso.
Ci si rende facilmente conto, però, che è un mondo così rigido è impossibile. Probabilmente, un
autore meno rigido di Dante, ad esempio Boccaccio, avrebbe fatto approdare Ulisse, e questi
avrebbe poi magari effettuato un percorso di espiazione, in attesa della misericordia.
La SAPIENZA deve essere virtuosa. Dante salva in qualche modo i sapienti del Limbo proprio
perché essi hanno a loro volta salvato l’uomo. Tuttavia, manca in loro la sapienza divina, dunque
quella conoscenza non è virtuosa. Quando il sapere diventa cultura, allora diventa valore. Esso
agisce sui nostri comportamenti e li modifica. La cultura deve significare miglioramento della
specie. Ulisse, però, vuole tenere per sé questo sapere.
Egli è il protagonista del Canto XXVI dell’Inferno, che inizia con l’apostrofe a Firenze, motivata dal
fatto di aver già incontrato, durante il suo viaggio, cinque ladri fiorentini. Questa invettiva contro la
Città del Giglio rientra nel rapporto di amore—odio che esiste tra il poeta e la sua patria natia che
lo ha esiliato.
Dante e Virgilio sono intanto giunti nell’OTTAVA BOLGIA, il cui fondo è cosparso di FIAMMELLE,
simili a tante lucciole in una sera d’estate, che si muovono individualmente. Qui Dante usa una
rilassante similitudine di sapore bucolico (“Quante ‘l villan ch’al poggio si riposa,/nel tempo che
colui che ‘l mondo schiara/la faccia sua a noi tien meno ascosa,/Come la mosca cede alla
zanzara,/vede lucciole giù nella vallea forse colà dov’è vendemmia e ara:/di tante fiamme tutta
risplendea/l’ottava bolgia…”). Ognuna di queste fiamme nasconde un consigliere fraudolento.
Dante ammira rapito questo spettacolo, tanto che ha bisogno di aggrapparsi ad una sporgenza
della roccia per evitare di cadere. Virgilio, nel notare il suo interesse, gli spiega che nelle fiamme
sono gli spiriti (“Dentro dai fuochi son li spirti,/catun si fascia di quel ch’elli è inceso”). Il
contrappasso è alquanto evidente: così come in vita peccarono per mezzo della lingua,
ingannando il prossimo, i consiglieri di frode, sono adesso trasformati in LINGUE DI FUOCO.
Inoltre, così come agirono di nascosto e in modo subdolo, così sono adesso nascosti dalle fiamme.
Dante viene attratto in modo particolare da una fiamma biforcuta, e chiede a Virgilio chi si celi al
suo interno. Dopo aver scoperto che si tratta degli spiriti di Ulisse e di Diomede, sente la necessità
di parlare con il grande eroe greco. Tuttavia, Virgilio si propone quale interprete della sua volontà,
poiché, essendo Ulisse greco, difficilmente Dante vi avrebbe potuto comunicare. Il poeta
fiorentino non aveva, infatti, dimestichezza con il GRECO ANTICO, che restò sconosciuto in
occidente per tutto il Medioevo. Si comincerà a studiarlo a far data dalla caduta di Costantinopoli
(1453) e con il conseguente afflusso di dotti greci in occidente. Inoltre, Virgilio ha maggiore
familiarità con i personaggi del mondo classico di cui egli stesso fa parte. Un altro tema è poi anche
legato alla naturale ritrosia dei greci verso gli stranieri.
Insomma, Dante riconosce pienamente l’attività mediatoria del suo maestro, e si mette in paziente
ascolto del racconto di Ulisse. Prima che questi cominci a parlare, viene descritto, in termini quasi
fisici, il fenomeno della fuoriuscita di parole dalla lingua-fiamma Ulisse (“Lo maggior corno della
fiamma antica/cominciò a crollarsi mormorando,/pur come quella cui vento affatica;/indi la cima
qua e là menando,/come fosse la lingua che parlasse,/gittò voce di fuori e disse: “Quando”). La
narrazione comincia in medias res, con un enjambement che sottolinea la solennità della loquela
dell’eroe greco. Ulisse racconta la storia del suo viaggio, successiva al suo ritorno a Itaca, dove
nemmeno gli affetti familiari furono tali da dissuaderlo dal partire di nuovo (“né dolcezza di figlio,
né la pieta/del vecchio padre, né ‘l debito amore/lo qual dovea Penelopè far lieta,/vincer poter
dentro me l’ardore/ch’i ebbi a divenir del mondo esperto/e de li vizi umani e del valore”). In
effetti, nella TRADIZIONE OMERICA, non vi è traccia di un viaggio di Ulisse successivo al suo ritorno
a Itaca. Qui Dante raccoglie probabilmente una leggenda medievale.
Ulisse narra a Virgilio, dunque, la sua avventura verso le colonne d’Ercole, che supera senza
esitazione. Ma i suoi compagni non hanno lo stesso temperamento del loro comandante, il quale li
esorta con un discorso che è in realtà un comando travestito da invito. Ulisse, infatti, dopo averli
indotti a considerare la propria natura ed origine di uomini, destinati a seguire “virtute e
canoscenza”, si attende che i suoi compagni non rifiuteranno. Superate le colonne d’Ercole, Ulisse
e i compagni gioiscono dopo aver visto un monte, che rappresentava nel loro immaginario un
approdo. Da questo monte, che è il monte del Purgatorio, nasce però un turbine, che colpisce la
nave, la fa roteare tre volte, e la fa poi colare a picco. Non può lasciare indifferenti la facilità del
castigo divino rispetto alla difficoltà di Ulisse di superare il limite dell’uomo. Ulisse rappresenta la
ragione umana che fallisce, pensando di poter fare a meno della Grazia Divina.
Con la sua interpretazione dell’eroe greco, Dante celebra certamente la grandezza dell’uomo-
Ulisse, ma evidenzia soprattutto i suoi limiti. Dante condanna Ulisse, ma è coinvolto emotivamente
nel suo dramma, poiché in parte vi si identifica. Entrambi hanno compiuto un viaggio: l’eroe greco
nella sua dimensione pagana ha esplorato l’ambito fisico e naturalistico, il poeta nella sua
dimensione cristiana, ha invece esplorato l’ambito spirituale e metafisico, arrivando alla verità
rivelata da Dio, che illumina ogni mistero.

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