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ITALO SVEVO (1861-1928)

VITA:
Nasce a Trieste con il nome di Aronne Ettore Schmitz. Italo Svevo veva una triplice
nazionalità linguistica, quella italiana dalla madre, quella tedesca ed ebraica dal padre
(nasconde le sue origini ebraiche per il pregiudizio antisemita). Il padre era titolare di una
ditta di vetrami che costrinse il figlio ad imparare l'arte del commercio in un collegio della
Baviera. Nel 78 torna a Trieste e completa il proprio percorso di studi all'istituto commerciale
Pasquale Revoltella. A seguito del fallimento dell'azienda paterna, interrompe gli studi di
economia e inizia a lavorare presso la banca di Vienna, la Unionbank. Il 2 dicembre debutta
in campo letterario, pubblicando un articolo sull'Indipendenza.
Nel 1892 conosce sua cugina Livia Veneziani con la quale si sposò. In questo anno pubblica
"UNA VITA".
Nel 1898 pubblica "SENILITÀ" che però non ha successo perché nella letteratura domina
ancora il naturalismo e il decadentismo.
Lascia l'impiego bancario per entrare a lavorare nell'azienda del suocero.
A Trieste conosce James Joyce, che gli dà lezioni di inglese e quando il cognato va in cura
da Freud, Svevo conosce la psicanalisi.
Per oltre 20 anni non scriverà altre opere. Nel 1923 pubblica "LA COSCIENZA DI ZENO".
Joyce riconosce il suo valore e si fa promotore dei suoi romanzi. La coscienza di Zeno viene
tradotta in Francia, in Germania e in Inghilterra. Muore nel 1928.

LETTERATURA:
Per Svevo la letteratura non ha una funzione estetica e sociale, ma ha una funzione
conoscitiva. È una forma di conoscenza di sé, scrive la propria vita perché così conosce sé
stesso. Ha una funzione terapeutica dando valore a situazioni destinate a passare
inosservati.

DISAGIO ESISTENZIALE:
Il conflitto fra attività economica e vocazione letteraria che Svevo ha subito sulla sua pelle, si
riflette nella sua opera, assumendo la forma dialettica di un'alternativa netta tra due modelli
di vita opposti, impostati l'uno sulla lotta per il successo, l'altro sulla ricerca di una perfetta
tranquillità dell'animo. Svevo quindi costruisce i propri romanzi e personaggi che ondeggiano
tra l'impulso a tuffarsi nella lotta e i propositi di ritirata. Il problema del suo personaggio sta
nella difficoktabdi adattarsi ad un ambiente sociale sentito sempre come estraneo e ostile.
Dice che aderire al modo di pensare e di agire del gruppo circostante non dipende da una
decisione di volontà: il fattore del personaggio sveviano nel sentirsi un diverso compromette
ogni possibilità di adattamento. Il disagio esistenziale che il personaggio manifesta nasce da
un bisogno di stima, di attenzione, di sincerità e calore umano che l'ambiente circostante
non gli offre, se non indifferenza e umiliazione.

INTROSPEZIONE E PSICANALISI:
È una grande maestro dell'introspezione perché ha saputo guardare a fondo nella coscienza
dei propri personaggi, indagando i meccanismi di difesa, le strategie di autoinganno messe
in atto dall'io per discolparsi o negare l'evidenza. Fin dal suo primo romanzo, Svevo è stato
precursore della psicoanalisi, che avrebbe indagato queste dinamiche interiori (sogni e
discolpe), attivate dal soggetto per non guardare in faccia una verità dolorosa e antipatica. A
lui si deve riconoscere di aver anticipato anche la scoperta dell'inconscio di Freud, intuendo
non solo l'esistenza ma anche il linguaggio.

L'INETTO:
Con Svevo entra nella letteratura la figura dell'inetto predestinato per natura a uscire
sconfitto da tutte le competizioni perché non è attrezzato per tenere testa agli altri. A
differenza dei vinti schiacciati da un destino avverso, di troppo superiore alle loro forze,
l'inetto di Svevo non sa approfittare nemmeno delle occasioni più ghiotte che la fortuna gli
pone davanti. La sua indole non è quella del lottatore ma del sognatore, privo di astuzia,
disinvoltura e di senso pratico. Per avere la meglio sugli altri, bisognerebbe agire d'istinto,
senza farsi troppi problemi. Inetti sono tutti i protagonisti della prima stagione narrativa di
Svevo, quella che si chiude con Senilità. Nelle opere successive propone un altro tipo di
personaggio. Lo scrittore matura una visione più ottimistica, che contempla il riscatto
dell'inetto. Rivaluta l'essere difettoso perché solo chi non è contento di sé stesso è spinto a
migliorarsi, mentre il successo blocca lo sviluppo. Il complesso d'inferiorità di cui hanno
sofferto i protagonisti delle sue prime novelle non ha più motivo di sussistere: il futuro
appartiene agli inetti, agli uomini le cui qualità sono pronte a sbocciare.

MALATTIA:
Per Svevo "la vita somiglia un poco alla malattia" e quel che è peggio, a una malattia che
non sopporta cure e ha un decorso sempre morale. Tutto l'universo è soggetto a questa
legge, in particolare l'uomo che si è sottratto alle leggi di natura, creando fuori dal suo corpo
gli strumenti necessari alla propria evoluzione. Nella coscienza di Zeno vivono malati di
tutte le risme. Chi è arrivato all'ultimo stadio del suo sviluppo e si adagia nella soddisfatta
sensazione di essere sano, lascia libero campo alla malattia. Quindi solo chi è convinto di
essere malato, come Zeno, può avvicinarsi alla salute.

FORMAZIONE CULTURALE:
Svevo ha la fortuna di avere una formazione europea. Due pensatori orientano il suo modo
di guardare la vita: SCHOPENHAUER, DARWIN, NIETZSCHE.
1 dice "mondo come volontà e rappresentazione". Non siamo noi a volere le cose, ma una
volontà cieca che non ha uno scopo.
2 l'io si rivela nel suo agire come sforzo, volontà di vivere più o meno avvertibile a seconda
che siamo lottatori (coloro che agiscono sulla realtà, hanno un buon rapporto con essa) e
contemplatori.
Darwin ha la confezione di lotta per la vita. La realtà è un dato immodificabile, si nasce in
quel modo. Si ha la crisi delle certezze (INETTITUDINE), crisi della civiltà borghese e della
fiducia che portano al disagio dell'uomo dell'800. Questo disagio è inteso come sofferenza ,
inquietudine dell'uomo che non è in sintonia con la realtà in cui vive e non riesce ad agire su
essa. Hanno la percezione di essere inadeguati, incapaci di vivere positivamente la vita.
OPERE:

UNA VITA
Una vita è il primo romanzo di Italo Svevo e, quando venne pubblicato nel 1892, a spese
dell’autore, passò del tutto inosservato nel panorama letterario italiano. Il titolo inizialmente
era "Un inetto", ma era stato rifiutato dall’editore, così Svevo aveva ripiegato sull’attuale
titolo, che richiama il romanzo di Guy de Maupassant Une vie. Con il titolo precedente
l’autore intendeva evidenziare la natura del protagonista e il suo pessimismo.
La storia ruota intorno ad Alfonso Nitti, trasferitosi da poco a Trieste dal paese natale, dopo
aver trovato lavoro da impiegato presso la banca Maller. Un giorno viene invitato a casa del
banchiere, dove si riunisce un salotto letterario, guidato dalla figlia di Maller, Annetta. Qui,
Alfonso cerca il suo modo di emergere socialmente, mostrando le sue ambizioni letterarie.
Conosce quindi Annetta con cui intreccia una relazione amorosa. Fa amicizia, inoltre, anche
con Macario, giovane ambizioso e sicuro di sé. Per Alfonso sembra essere giunto il
momento più favorevole (è sul punto di sposare Annetta), ma l’uomo, improvvisamente,
ritorna nel suo paese, in una sorta di fuga dalla sua nuova vita per dedicarsi nuovamente
alla speculazione interiore e per assistere la madre malata, che muore poco dopo. Il ritorno
di Alfonso a Trieste non corrisponde al recupero della situazione precedente: Annetta sta per
sposarsi con il cugino, al protagonista viene affidato una mansione meno importante in un
altro ufficio e i suoi tentativi di riottenere il favore della famiglia Maller sortisce l’effetto
opposto. Il protagonista chiede ad Annetta di poterla incontrare per chiarire la situazione, ma
all’appuntamento si presenta il fratello, che sfida l’uomo a duello. Alfonso, vittima della sua
inettitudine e credendo che Annetta desideri la sua morte, si suicida.
Svevo in Una vita presenta per la prima volta la figura dell’inetto: incapace di vivere con gli
altri, caratterizzato da un continuo senso di inadeguatezza, dedito all’introspezione e
paralizzato nel momento della scelta. Alfonso Nitti incarna questo personaggio, non
riuscendo ad integrarsi nel mondo alto-borghese che la famiglia Maller incarna,
impossibilitato a godere delle gioie che la vita gli concede, ma concentrato sulla propria
drammatica condizione di uomo. La realtà del protagonista, dopo il ritorno a Trieste, diventa
priva di ideali e desideri e culmina con la sua stanca resa di fronte alla propria inettitudine, il
suicidio finale. Tutta l’esistenza di Alfonso sembra caratterizzata da un pessimismo e una
negatività di fondo, sempre pronti ad esplodere e intaccare la superficiale serenità ottenuta.
Non a caso, Svevo ammette di essere stato influenzato, nella stesura del romanzo, dalla
filosofia di Arthur Schopenhauer: e in effetti nel romanzo ritorna costante il tema della
volontà individuale, debole e insufficiente ad affrontare la realtà del mondo, e quello della
negatività della vita sociale, da cui l'uomo d'eccezione dovrebbe distaccarsi, rifiutando la
sorte mediocre degli uomini comuni.

PESCI E GABBIANI
Una gita in barca nel golfo di Trieste diviene, nel contesto del romanzo, un episodio
significativo per rivelare il carattere di sognatore di Alfonso (Svevo, altrove, lo chiama
teorista), messo qui a confronto con il ben più pragmatico Macario. Nel testo risalta
l’inettitudine di Alfonso, paragonata alle doti di Macario, l’individuo perfettamente adeguato
alle esigenze della vita. Il confronto si svolge durante una gita in barca a vela, un ambito
adatto a far emergere i tratti peculiari dei contrapposti caratteri. Alfonso è passivo, tentenna,
si perde mentre Macario è sicuro di sé, cosciente delle sue qualità di lottatore. Il senso del
brano viene riassunto, nel finale, in una similitudine: una sorta di parabola, che raffigura la
lotta tra gabbiani e pesci. Macario fa osservare ad Alfonso la grande efficacia del volo dei
gabbiani, capaci di gettarsi nel modo più rapido e infallibile sulla preda: come se il piccolo
cervello di quegli uccelli fosse progettato solo a quello scopo. Alfonso (come la gita in barca
a vela ha appena dimostrato) possiede invece le qualità opposte a quelle dei gabbiani: il suo
cervello, nutrito di studi e letture, gli è d’impaccio, anziché d’utilità, nella lotta per la vita. I soli
voli a cui è adatto, come ironicamente commenta Macario, sono quelli poetici, voli, cioè, del
tutto inutili.

SENILITÀ
Senilità è il secondo romanzo di Italo Svevo; venne scritto tra 1892 e 1897, ma venne
pubblicato l’anno successivo, prima su un quotidiano triestino, “L’indipendente” e poi a spese
dell’autore.
La trama (ispirata a vicende autobiografiche, come afferma Svevo stesso) ruota intorno alla
storia d’amore tra Emilio Brentani e Angiolina. Emilio, vive un’esistenza monotona e grigia
con la sorella Amalia, quando incontra la giovane Angelina, di cui si innamora. La donna,
tuttavia, fin dal primo istante si dimostra meno coinvolta del protagonista ed è anzi attratta
da diversi uomini, tra cui Stefano Balli, amico di Emilio e scultore, di cui è innamorata pure
Amalia. Il legame tra Emilio e la giovane, che doveva rimanere libero e disimpegnato, si
dimostra invece ben più complesso, poiché Angiolina, donna opportunista e infedele, può
controllare i sentimenti di Emilio. Questo, geloso della sorella per la presenza di Balli in casa
sua, allontana l’uomo da casa. Amalia si ammala di polmonite, a causa dell’abuso di etere, e
muore. Emilio interrompe la relazione con Angiolina, non cessando tuttavia di amarla. In
seguito, scopre che la donna è scappata a Vienna con un cassiere di una banca. Il
protagonista ritorna a vivere la sua esistenza grigia e mediocre in solitudine, ricordando le
donne amate, Amalia e Angiolina, unendo nella memoria l’aspetto dell’una con il carattere
dell’altra.
Come il personaggio di Una vita, Alfonso Nitti, anche Emilio Brentani incarna la figura
dell’inetto, incapace di vivere davvero, ma imprigionato nei suoi sogni e illusioni, in un
continuo ed inconsapevole autoinganno. Il primo si suiciderà, ponendo fine al senso di
inutilità e inadeguatezza che lo attanaglia; fine simile a quella della sorella del protagonista
di Senilità, che illusa dell’amore di Stefano a causa delle sue stesse fantasie, nel momento
della delusione amorosa, si abbandona all’abuso di etere, che la condurrà alla morte. Per
“senilità” Svevo intende proprio l’inettitudine del protagonista, che lo rende incapace di
affrontare la vita e la realtà stessa, chiuso com’è nella sua interiorità. Svevo espone il
racconto secondo la coscienza e psicologia di Emilio, seguendo quindi i suoi sentimenti e le
sue considerazioni.

LA COSCIENZA DI ZENO
La coscienza di Zeno è il terzo romanzo di Italo Svevo, scritto dal 1919 al 1922 e pubblicato
nel 1923, dopo il lungo silenzio letterario dell’autore. Innovativa è la struttura del romanzo,
costruito ad episodi e non secondo una successione cronologica precisa e lineare. Il
narratore è il protagonista, Zeno Cosini, che ripercorre sei momenti della sua vita all'interno
di una terapia di psicoanalisi. La Coscienza si apre con la Prefazione del dottor psicanalista,
dottor. S (nel quale si può identificare Svevo) che ha avuto in cura Zeno e che l'ha indotto a
scrivere la sua autobiografia. Svevo precisa che alcuni passi del romanzo sono influenzati
dalle teorie di Freud, però la psicanalisi non è un mezzo per guarire la nevrosi (mancanza di
un rapporto equilibrato con la realtà). Svevo si rivolge al dottore perché la psicanalisi è una
diagnosi del proprio io, è un modo per conoscere sé stessi. Il titolo può significare sia la
consapevolezza dei propri comportamenti oppure la cattiva coscienza perché per tutto il
romanzo Zeno tenta di giustificare le proprie azioni. Il protagonista si è sottratto alla
psicoanalisi e il medico per vendetta decide di pubblicare le sue memorie. I sei episodi della
vita di Zeno Cosini sono: Il fumo, La morte di mio padre, La storia del mio matrimonio, La
moglie e l’amante e Psico-analisi. Ogni episodio è narrato dal punto di vista del protagonista
e presenta la sua versione dei fatti, modificata e resa come innocua per apparire migliore
agli occhi del dottor S., dei lettori.
- FUMO: nel terzo capitolo Zeno scrive del suo vizio del fumo (Il fumo): fin da
ragazzino il protagonista è dedito a questo vizio, da cui cerca inutilmente di liberarsi
con diversi tentativi infruttuosi. Infine per liberarsi dal fumo il protagonista si fa
ricoverare in una clinica, da cui fugge. L’episodio del fumo permette a Zeno di
riflettere sulla propria mancanza di forza di volontà e tale debolezza è attribuibile al
senso di vuoto che egli sente nella sua vita, e all’assenza nella sua infanzia di una
figura paterna che fornisca regole e norme comportamentali.
- LA MORTE DI MIO PADRE: Il secondo episodio è incentrato sulla figura del padre di
Zeno. Il protagonista-narratore analizza il difficile rapporto con il genitore, che non
riesce a identificare come figura di riferimento e guida. Zeno infatti non ha mai
tentato di stabilire un rapporto affettivo e di reciproca intesa con il padre. Quando
quest'ultimo è colto da paralisi, il figlio, in cerca di approvazione e giustificazione,
prova ad accudirlo prima che sia troppo tardi. Ma durante la notte, il padre viene
colpito da un edema cerebrale. Ormai incapace di intendere e volere l’uomo è
destinato a morte certa, e Zeno spera, in una fine rapida e indolore. Nell’estremo
momento della morte in un gesto incontrollato il padre schiaffeggia il figlio, per poi
spegnersi; gesto che segnerà irrimediabilmente il protagonista e ne orienterà tutti i
tentativi di spiegare quel gesto, o di giustificare il proprio atteggiamento.
- LA STORIA DEL MIO MATRIMONIO:
è la storia del matrimonio di Zeno.
Zeno si innamora di una delle quattro figlie di Malfenti, Ada, la più bella, che però è
innamorata di un altro, Guido Speier. Il protagonista si dichiara ad Ada, da cui viene
rifiutato. Si rivolge allora anche alle tre sorelle con la stessa proposta di matrimonio,
ma tale proposta viene accolta solo dalla meno affascinante, Augusta, che tuttavia sa
garantire all’uomo un matrimonio borghese ed apparentemente felice. In questo
capitolo il personaggio appare come l’inetto dei due romanzi precedenti (Una vita e
Senilità): immerso nelle sue fantasie, viene trascinato dagli eventi senza essere in
grado di scegliere.
- LA MOGLIE E L'AMANTE: è la storia dell’amante. In un desiderio di conformarsi a
un costume sociale il protagonista trova una giovane amante, Carla. La relazione con
la donna si rivela ambigua per Zeno, che da una parte non vuole far soffrire la
moglie, mentre dall’altra è attratto dall'esperienza trasgressiva del tradimento
coniugale. La storia con Carla si conclude, tuttavia quado la ragazza, stanca delle
contraddizioni del protagonista, sposa il suo insegnante di canto, mentre Zeno ritorna
dalla moglie incinta.
- PSICOANALISI: Zeno riprende, dopo sei mesi di interruzione, a scrivere le sue
memorie, per ribellarsi al medico, esprimendo il suo disprezzo e il suo rifiuto per la
psicoanalisi. Ma in questo ultimo atto si rende conto che la malattia interiore di cui si
sentiva vittima e da cui riesce a curarsi è una condizione comune a tutta l’umanità e
che coincide con il progresso del mondo intero. Il romanzo si conclude con una
drammatica profezia di un’esplosione che causerà la scomparsa dell’uomo dalla
faccia della Terra.
È un monologo interiore; non esiste più la storia in ordine cronologico, ma viene filtrata dalla
coscienza del protagonista. Zeno scrive le proprie memorie a 56 anni, seguendo il proprio
flusso dei ricordi.

LA MORTE DI MIO PADRE


Nel quarto capitolo della Coscienza di Zeno si affronta uno degli episodi più drammatici e
amari della sua vita, la morte di suo padre. Alla base vi è Freud, il complesso di Edipo: il
bambino stabilisce nei confronti del padre un comportamento ambivalente di amore e si
odio. Zeno non è mai riuscito ad avere un saldo rapporto affettivo con il genitore, soprattutto
dopo la morte della madre. Questo capitolo racconta gli ultimi giorni di vita del padre. A
causa della malattia, edema cerebrale, perde la possibilità di confrontarsi con lui. Zeno è
costretto ad assumersi la sua responsabilità, a decidere per lui e segue le indicazioni del
medico. Nel tentativo di recargli sollievo, lo costringe a rimanere nel letto e quando il padre
si libera dalla stretta del figlio, lascia vedere il braccio sulla sua guancia. Questo gesto viene
interpretato come uno schiaffo, una punizione della sua mancanza d'amore per aver
desiderato la morte. Il dottore gli aveva detto di portare il padre al controllo ma Zeno
sottovaluta sta cosa e si sente in colpa. Per rimuovere i sensi di colpa, ricorre all'auto
inganno. Il padre diventa buono, con la sua morte perde sia il padre sia un nemico nascosto
perché non ha potuto palesare l'odio nei confronti del padre.
L'io narrante è adulto e parla di sé stesso al presente. È un monologo interiore, i pensieri
affiorano in ordine.

LA PROFEZIA
Come inizia con il tema della malattia, si conclude con lo stesso tema come essenza della
vita.
Mentre gli animali conoscono una sola forma e progresso che è la selezione naturale, l'uomo
non conosce questa evoluzione e per compensare questa mancanza, crea delle macchine.
Attraverso questo progresso, l'uomo sta distruggendo il mondo. L'uomo ha goduto della
saute in uno stato primitivo, ma il progr aso lo ha allontanato da essa. L'uomo diventa più
debole e domina chi è più forte. Ogni tentativo di recuperare la salute, passa attraverso
l'annullamento dell'uomo perché è la vita stessa ad essere malata, solo attraverso la
distruzione della terra e l'eliminazione dell'uomo si può tornare alla salute. Proprio questa è
la profezia di cui parla Svevo.
Solo attraverso un'apocalisse distruttiva che è la bomba atomica.

L'ULTIMA SIGARETTA
Il capitolo terzo della Coscienza di Zeno riguarda il vizio del fumo del protagonista, una
dipendenza sviluppata fin da ragazzino e sempre combattuta senza successo. Zeno ricorda
la sua prima sigaretta fumata da adolescente, inizialmente rubando i soldi al padre poi, dopo
essere stato scoperto, fumando i suoi sigari avanzati. A vent’anni Zeno si accorge di odiare il
fumo e si ammala, ma nonostante la malattia decide di fumare un’ultima sigaretta; ed è qui
che si evidenzia per la prima volta la vera malattia psicoanalitica del protagonista.
Inizialmente Il fumo è per Zeno una reazione al rapporto con il padre poi si allarga a forma di
difesa verso la realtà circostante e il mondo intero. Da qui nascono i continui e vani tentativi
di smettere di fumare, perché, come ammette Zeno, “quella malattia mi procurò il secondo
dei miei disturbi: lo sforzo di liberarmi dal primo”. Ma la malattia del fumo si rivela essere in
realtà un'altra "malattia della volontà", cioè l’incapacità di Zeno di perseguire un fine, e
riflette il senso di vuoto nella sua vita, scaturito dall'impossibilità di affrontare l’esistenza e il
mondo. Ed è proprio questa l’inettitudine, descritta da Svevo, caratteristica dei suoi romanzi
a partire da Una vita. La voce narrante (e giudicante) della Coscienza vede nella sigaretta
un sintomo della propria inettitudine, di cui però non vuole disfarsi né superare, perché essa
costituisce una sorta di autogiustificazione e alibi alla propria incapacità esistenziale.
L’inettitudine di Zeno riflette una dimensione più profonda della riflessione di Svevo
sull’uomo: la malattia del protagonista è comune in realtà a tutti gli uomini che vivono nella
società contemporanea, alienante e contraddittoria. . Zeno si fa rinchiudere
volontariamente in clinica per smettere di fumare, ma una volta lì, decide di scappare,
corrompendo l’infermiera Giovanna con una bottiglia di cognac e una promessa di rapporto
sessuale. L’intera vicenda rileva le dipendenze e le ossessioni dell’uomo moderno,
caratterizzato da un profondo senso di solitudine di fronte a un mondo malato, egoista e
contraddittorio.

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