Sei sulla pagina 1di 20

Pietro Bembo

Pietro Bembo nacque a Venezia nel 1470.


Fin dall'infanzia il padre lo educò alle lettere: lo mandò a Messina a
studiare il greco e lo affidò ai migliori maestri.

1497-1505 Decisivo per la formazione del Bembo fu il periodo


trascorso a Ferrara alla corte estense, qui conobbe numerosi letterati,
fra i quali l'Ariosto.
In questo periodo scriveva eleganti versi latini e cominciò a comporre
anche in volgare, imitando il Petrarca: occasione di questa fioritura
poetica fu l'amore per Lucrezia Borgia.

Nel 1506 si recò alla corte ad Urbino, qui conobbe Giovanni De Medici
che divenuto Papa lo chiamò a Roma a far parte della Segreteria
pontificia, compose in questi anni epistole e brevi in nome del papa, in
un elegantissimo latino ciceroniano.

Nel 1519, le condizioni fisiche e di spirito, le ristrettezze economiche


gli fecero sentire la stanchezza della vita cortigiana e un desiderio
vivissimo di solitudine e di pace.
Si ritirò quindi a Padova.
Grande era la sua fama: i più importanti letterati del tempo gli
inviavano da ogni parte d'Italia i loro componimenti perchè li potesse
correggere.
Per incarico del governo veneziano scrisse la Storia di Venezia in
latino e la tradusse poi in volgare.

Nel 1547 fu nominato cardinale del papa Paolo III e si trasferì di


nuovo a Roma, dove morì nel 1547.

Il Bembo fissò alcune fondamentali del Rinascimento maturo.


Cominciò la sua carriera come poeta e prosatore latino, imponendo
anche in questo campo una norma rappresentata dalla imitazione di
Cicerone nella prosa e di Virgilio nella poesia. Era un ideale
prevalentemente classicistico, volto alla ricerca di una poesia perfetta
che nell'arminia e nella compostezza dello stile esprimesse
un'aristocrazia spirituale.
Questo senso ideale fu da lui applicato alla letteratura in volgare.

Gli Asolani
La prima opera significativa del Bembo è il dialogo gli Asolani diviso in
tre libri.

Incentrato sull'ampor platonico, particolarmente appassionante per i


cinquecentisti.

L'utore immagina che nella villa di Asolo, dimora di Caterina Cornaro,


ex regina di Cipro, si ritrovino tre giovani e tre gentildonne a parlare
dell'amore, dei suoi pregi e dei suoi difetti.

Ai ragionamenti dei protagonisti Perottino, denuncia gli aspetti


sensuali e dolorosi che l'amore comporta.

Gismondo, invece, loda la gioia d'amore, nata in primo luogo in


contemplazione della bellezza della donna.

Lavinello, infine, conclude la disputa, riferendo il discorso di un Romito


il quale afferma che l'amore vero è quello che, superando i desideri
dei sensi diventa contemplazione, di là delle cose terrene, della
suprema bellezza, ed è ascesa dell'anima a Dio e che conta prima di
tutto l'idea che l'uomo se ne andrà in un'altra vita, portandosi dietro
soltanto gli amori che ebbe in terra.

Concettualmente il dialogo è un'esaltazione della ragione, in virtù della


quale l'uomo giunge alla perfezione morale, che consite nel dominio
delle passioni, e nella piena attuazione della propria natura divina.
In questo senso l'amor platonico, uno dei più importanti ideali del
cinquecento, tenta di conciliarsi con gli ideali cristiani.
I due termini non stanno in una correlazione dialettica, come nel
Petrarca, ma in un rapporto pacificato che vede l'amore terreno come
scala necessaria a quello divino.

Un altro momento importante si ha quando il Bembo allude alle guerre


che si susseguirono in Italia dalla discesa di Carlo VIII, vagheggiando
l'approdo spirituale e cristiano come un approdo.
Va rilevato che qusta tensione idealizzante, che questo distacco dalla
passione terrena può divenire - cpme di fatto divenne - un alibi per la
rinuncia a ogni impegno etico-politico.

Prose della volgar lingua

Scritta anche lei in forma dialogica in tre libri.

Nel primo libro

Vengono affermati i diritti e la dignità del volgare, capace anch'esso


come il latino, di regolarità ed eccellenza espressiva.

Passando poi al problema quale dei numerosi volgari italiani sia


degno di essere usato dagli scrittori.

Il Bembo sostiene che deve essere utilizzato il toscano, ma non quello


parlato, bensì la lingua letteraria dei grandi scrittori, il Petrarca (per la
poesia) e Boccaccio (per la prosa).
Per quanto riguarda Dante, comincia ad apparire meno vicino
all'ideale letterario del secolo.
Il carattere tipicamente medievale del pensiero dantesco non si
accorda con i nuovi atteggiamenti rinascimentali e la sua ricerca d'una
pluralità di stili condotta fin quasi allo sperimentalismo è contraria al
classicismo aulico del cinquecento.

Nel secondo libro

Illustra la ragione della eccellenza dello stile del Petrarca e di


Boccaccio.

Per l'elezione delle parole

per la varietà

per la gravità solenne dignità e bellezza dello stile

Per la piacevolezza sapiente disposizione delle parole elette, che


riesce a presentarsi con la spontaneità immediata della "natura"

Nel terzo libro

E' delineata una grammatica italiana

Queste idee di eleganza, misura e grazia, sono anche nel


Rinascimento idee etiche.
In letteratura si connettono alla scelta di una lingua letteraria eletta.

Il culto del "fino amore" degli Asolani, sentito come perfezione morale
e quello della "perfetta poesia", contenuto nelle prose, si ritrovano
nelle

Rime

Scritte a imitazione di quelle del Petrarca

Ariosto
Ludovico Ariosto nacque l'8 settembre 1474 dal conte Niccolò e dalla
nobile Reggiana Daria Malaguzzi. A 10 anni si trasferì con la Famiglia
a Ferrara.

Il padre lo aveva destinato alla vita di corte. Volle così che per 5 anni si
dedicasse agli studi di diritto. Ma infine, vista la decisa avversione del
figlio per essi, lo lasciò libero di seguire la sua vocazione letteraria.
Per 5 anni l'Ariosto si rivolse con passione agli studi umanistici, ma a
causa della partenza da Ferrara del suo maestro, potè approfondire
soltanto la conoscenza del latino e non quella del greco.

Con la prematura morte del padre Ludovico, figlio primogenito,


dovette provvedere all'educazione dei suoi fratelli e
all'amministrazione dell'insufficiente patrimonio, trovandosi così
costretto a cominciare la sua vita di uomo di corte. Sfumò così il suo
sogno di diventare un dotto umanista, cosa a cui lo aveva incoraggiato
Pietro Bembo.

Fu primo capitano della Rocca di Canossa, poi entrò in servizio del


cardinale Ippolito d'Este, per nulla disposto ad ammirare le capacità
poetiche del suo segretario. Lo fece cavallaro affidandogli missione
diplomatiche, a volte pericolose, e lo incaricava di mansioni umili. Con
papa Leone X sperò di ottenere una decorosa sistemazione, mi non
ebbe che buone parole.
Al ritorno da Roma fece una sosta a Firenze e conobbe Alessandra
Benucci Strozzi, che amò profondamente fino alla morte e che sposò.

Nel frattempo lavorava al suo grande poema "L'Orlando Furioso" che


riempì tutta la sua vita. L'edizione definitiva avvenne nel 1532, un
anno prima della sua morte.

Questo fantasioso narratore di eroici paladini e di romanzesche


imprese amava prevalentemente l'intimità degli affetti domestici, i
viaggi che poteva compiere con l'immaginazione, sfogliando le carte
geografiche.

Non si ritrova in lui neppure la traccia delle avventure dell'anima che


un poeta come il Petrarca viveva nella solitudine.

Un solo ideale sembra ideale la sua vita: quello dell'otium.

In realtà questa esistenza, apparentemente scialba, rapresenta una


scelta meditata e non una pigra rinuncia: mitigare le passioni troppo
accese ed elaborare un sentimenro di vita dominato dal sentimento.

L'atteggiamento dell'Ariosto è quello di chi osserva l'uomo come colui


capace di dominare la complessa realtà degli eventi.

Opere minori dell'Ariosto: Liriche latine,


Commedie, Rime

La poesia dell'Orlando è soprattutto nell'Orlando Furioso.

Le altre opere sono minori.

I Carmina
Una settimana di poesie latine, dove prevale una visione ottimistica
della realtà e in quelle amorose, una sensualità espansiva e sorridente.

Le Rime

Comprendono sonetti, canzoni e componomenti in terzine.

Sono la maggior parte dedicate ad Alessandra be cantano l'amore


come serena gioia vitale.

Vi si avvertono in tutta la lirica del'500 l'imitazione dell'eletta forma


Petrarchesca.

Le satire

Le sette satire sono lettere poetiche in terzine, dedicate dall'Ariosto a


parenti e amici.

Traggono spunto dalla vita quotidiana.

E' stato detto che l'ariosto qui si è compiaciuto, rappresentandosi


come un uomo bonario amante del quieto vivere, un po' pigro e
svagato.

Dietro alle satire si avverte infatti la lezione di Orazio a cui i Sermones


chiaramente si ispira. Il poeta latino affermava, infatti, un ideale
semplice, serena e raccolta, lontano dalle cupidigie.

Lo stile delle satire è quello del linguaggio vivace e colloquiale,


dall'andamento realisto e arguto, spesso ironico.

L' "Orlando furioso"


Il progetto compositivo

L'Orlando Furioso può essere definito il poema di una vita. L'Ariosto


rivelà la volontà di adeguarsi al modello della lingua letteraria del
Bembo, a cui rivolse un riconoscente saluto nell'ultimo canto.

L'edizione definitiva in 46 canti uscì nel 1532, un anno prima della sua
morte.

Il poema che si viene costruendo sua una trama fittissima di


personaggi e di vicende.

L'attesa

L'andamento narrativo diviene simile a un groviglio o a un labirinto,


tanto più che il poeta interrompe il racconto di una vicende nel
momento culminante per inserirne un'altra, e riprende la prima.

Permane, quindi, in tutto il poema un senso d'attesa da parte del


pubblico.

La lealtà

La lealtà è forse la virtù più apprezzata nell'Ariosto, come virtù umana


e sociale che consente di stabilire un colloquio reale con gli altri.

La ragione

Vista come negazione del vizio

La follia

è il caos e la violenza, il disumano, che sono in continuo in agguato, ad


esse l'Ariosto oppone la limpida razionalità, "La fede", vista come
lealtà e onestà.
La realtà e il sogno

Per tutto il poema è un continuo spronar di cavalli, duelli, battaglie, di


imprevisti di incontri di mostri, e di magie.

Il meraviglioso, il magico e il fantastico si inserisce con tale


naturalezza nelle azioni, che un cavallo alato, un mirto che parla,
appaiono inseriti nell'ordine della natura.

Il fasciono maggiore del poema deriva da questa spontanea


mescolanza di realtà e sogno.

I personaggi

Personaggi e vicende non nascono quasi mai da un'invenzione


originale. L'Ariosto li riprende dalla tradizione romanzesca medevale,
dai classici latini e greci, da fonti orientali già passate per lo più nella
tradizione cavalleresca.

Tutti i personaggi sono in preda ad un desiderio, che misura la loro


esistenza sugli impeti e le passioni.

Può trattarsi di una donna Angelica, o di un elmo, dii una spada o di


un cavallo, resi importanti per l'appartenenza all'eroe.

I personaggi, tuttavia, hanno una scarsa consistenza psicologica. Essi


vivono nei loro incontri scontri, nell'incrociarsi di vicende e destini.

Tutti a parte Orlando, che come protagonista è il poiù


specificatamente caratterizzato nella sua follia amorosa.

La geografia nel Furioso

E' spesso precisa e spesso favolosa. Parigi , Marsiglia, l'Irlanda e


l'Inghilterra.

Isole tutte fantastiche del Mare del Nord, l'Impero d'Oriente e l'Asia,
fino ad arrivare al mitico Catai, la terra di ANgelica.

E non mancano in questo mondo il Paradiso e l'Inferno, la Luna.

Lo spazio vero è la selva, luogo d'avventura: intricata, ricca di


avvolgimenti e di sentieri, con spiazzi improvvisi aperti all'icontro e
allo scontro, e poi fiumi, boschi, isole di mostri e prove inattese.

Il paesaggio insomma, e lo spazio, sono sospesi fra reale e irreale,


trasecolano spontaneamente dall'una all'altra dimensione

La trama

Il Furioso si riallaccia all'Orlanndo innamorato di Boiardo. Si presenta


come la continuazione di esso.

Nell'Innamorato prima della battaglia, re Carlo Magno aveva affidato


la custodia di Angelica, oggetto di fiera discordia fra Orlando e
Rinaldo, al vecchio Namo, promettendola a quello dei due eroi che
avesse più valorosamente combattuto.

Da qui parte l'Ariosto:

La storia di Orlando ed Angelica

Durante la battaglia che si risolve con la sconfitta dei Cristiani,


Angelica fugge dalla tenda di Namo, e la sua fuga si concluderà, dopo
molte avventure, quando incontrerà un umile fante saraceno, il
giovinetto Medoro ferito, ella lo curerà, se ne innnamorerà, partirà
con lui verso il favoloso regno del Catai.

Sulle sue tracce, nel frattempo, si gettano numerosi guerrieri,


innamorati di lei, saraceni e cristiani; ma soprattutto l'Orlando che,
dopo avere incontrato numerose avventure durante la sua ricerca,
giunge nel luogo dove la coppia ha celebrato le nozze

Dagli alberi dove trova incisi i nomi di Angelica e Medoro, dal pastore
che li ha ospitati, ha la rivelazione di questa verità e la sua mente ne
rimane sconvolta.

Nudo e fuori du senno corre per la Francia e la Spagna, compiendo


gesti folli, attraversa lo Stretto di Gibilterra a nuoto e giunge infine in
Africa.

Qui il paladino Astolfo che si è recato sull' ippogrifo, il portentoso


cavallo alato, sin sulla luna a riprendere il senno smarrito di Orlando,
gli fa odorare l'ampolla in cui esso è rinchiuso e lo libera dalla follia.

Ruggero e Bradamante

Fra le numerose storie ha particolarmente importanza quella di


Ruggiero, che milita, non sapendo di essere nato da genitori cristiani,
in campo saraceno e quella di Bradamante, sorella di Rinaldo, perchè
i due sono destinati a divenire capostipiti della famiglia d'Este.

Anche qui abbiamo una lunga inchiesta amorosa, complicata dagli


interventi del mago Atlante, che cerca di tener lontani i due, sapendo
che dopo le nozze Ruggiero andrà incontro a prematura morte, per il
tradimento della casa di Maganza.

Dopo avere superato numerosi ostacoli i due giovani possono


finalmente sposarsi.

Durante il banchetto nuziale giunge il Saraceno Rodomonte e sfida


Ruggero, accusandolo di avere tradito la sua fede.

Con questo duello e con la morte di Rodomonte si conclude il poema.


Oltre alla storia di Orlando, giungono a compimento la distruzione
dell'esercito degli infedeli, che avevano invaso la Francia, e l'episodio
encomisatico dei due progenitori dell casa d'Este.

Torquato Tasso

Nacque a Sorrento nel 1544 da madre napoletana e da padre


bergamasco, letterato e poeta, anch'egli autore di un poema
cavalleresco. Non ebbe un'infanzia felice. A 8 anni dovette
abbandonare la madre e accompagnare in esilio il padre che aveva
seguito le sorti del suo Signore principe di Salerno

Nel '57, dopo un breve soggiorno a Bergamo, raggiunse il padre alla


corte di Urbino. Fu questo il primo indimenticabile incontro con
l'ambiente cortigiano

Nel '59 andò a Padova dove studiò prima legge e poi filosofia. Qui
conobbe uno dei più celebri letterati del '500 Sperone Speroni ed
entrò a far parte dell'accademia degli eterei. Compose e pubblicò
insieme agli altri accademici un primo gruppo di rime e in seguitò il
Rinaldo, un poema cavalleresco.

Rinaldo -> opera significativa, in quanto esprime già alcuni temi


fondamentali dell'ispirazione tassiana, il giovanil ardore di Gloria e
l'avventura, l'amore, il vagheggiamento degli ideali cavallereschi.

Tasso fu in seguito assunto al servizio del cardinale Luigi d'Este, e


prese dimora a Ferrara presso la corte, con un ragguardevole stipendio
e la possibilità di procedere con i suoi studi letterari. A Ferrara visse il
decennio più felice della sua vita e il più fecondo poeticamente. Si
trovava nell'ambiente più a lui congeniale: la corte elegante e fastosa.

Il primo frutto di attività di questi anni fu un dramma pastorale,


l'Aminta, rappresentato durante una delle tante feste di corte. Ma già
il poeta aveva incominciato la ua opera più grande: la Gerusalemme
liberata, alla quale lavorò fino al 1575

A questo punto la sua vita subisce una brusca frattura: già in quello
stesso anno incomincia a manifestarsi il grave squilibrio psichico che
lo accompagnò fino alla morte. Una prima causa del turbamento va
ricercata nelle vicissitudini che accompagnarono la correzione del suo
poema: i revisori cominciarono ad agitargli contro con minunziosa
pedanteria accademica propria della cultura del tardo '500, problemi
di poetica e di moralità.

A queste critiche il Tasso ora si ribellava ora si rassegnava, frattanto la


sua nevrasteria, ormai degenarata in manie di persecuzione, diede
luogo a episodi clamorosi come quando, credendosi spiato durante un
dialogo con la principessa Lucrezia, scagliò un coltello contro un
servo.

A un certo momento fuggì da Ferrara e cominciò un pellegrinaggio per


l'Italia, dove tornò mentre si stavano celebrando le nozze tra il duca
con Margherita Gonzaga: gli parve di essere trascurato e di non
ricevere le accoglienze dovutegli e proruppe pubblicamente in
invettive contro la corte. Il duca lo fece rinchiudere come pazzo
nell'ospedale di S. Anna, dove rimase 7 anni.

Qui compose i suoi dialoghi di argomento filosofico. Soltanto nel 1586,


quando la malattia mentale del Tasso era migliorata, lasciò che il
cognato Vincenzo Gonzaga lo conducesse con sè a Mantova.

Per qualche tempo il Tasso sembrò come risorto, meditava di


compiere il rifacimento della Gerusalemme Liberata. Ma nel 1587
fuggiva improvvisamente da Mantova, tormentato ancora dai suoi
malanni fisici e psichici. Visse in questi anni prevalentemente a Roma
protetto dai papi.

Frattanto la sua fama era aumentata e le sue opere conosciute in tutta


italia. Si preparava x volontà del papa la sua incoronazione poetica.
Ma egli ammalato morì nel 1545.

Il tasso e il suo tempo

La vita del Tasso, svoltasi quasi tutta sotto il triste segno della
sventura e della follia, offrì un pretesto per le analisi patologiche dei
romantici del periodo. I romantici videro in lui il genio incompreso, il
poeta maledetto, i positivisti invece cercarono di interpretarne la
personalità attraverso lo studio clinico della sua follia.

Il Tasso partecipa alla crisi propria dell'età della controriforma,


quando la società rinascimentale era ormai in decadenza. Scontata era
ormai la sconfitta sul piano militare, economico e politico dell'Italia, e
di conseguenza si spegneva la fiducia della virtù.

La controriforma prevedeva un rinnovalo anelito religioso, come


ricerca di una giustificazione della vita. Il Tasso soffre questa crisi, ma
cerca per un certo periodo di superarla.

Il poeta cerca di conciliare il classicismo e la moderna ansia religiosa.


La dignità umana dei classici con la spiritualità cristiana.

La prigionia di S. Anna e le polemiche meschine accesesi intorno al


suo poema segnano il crollo di questi ideali. Dell'ideale eroico resta
soltanto il senso dell'aspra tragedia dello stato umano.

L'Aminta

L'Aminta è un dramma pastorale composto nel 1573 e rappresentato


quello stesso anno. Il dramma pastorale aveva il suo antecedente nella
poesia Bucolica e nei classici, e nel '500 era un genere particolarmente
apprezzato.

L'Aminta è divisa in 5 atti preceduti da un prologo e conclusi da un


epilogo.
Prologo: Amore, sfuggito alla vicinanza della madre venere, manifesta
il proposito di rifugiarsi tra gli ingenui pastori per ferire il cuore di una
ninfa, Silvia, sorda dinnanzi all'amore appassionato del pastore
Aminta.

1 atto -> ci presenta separatamente i due giovani, a colloquio con i loro


confidenti Dafne e Tirsi. Dafne esorta Silvia, ma invano, a cedere alle
gioie dell'amore. Aminta rivela il suo tormento nato dall'amore non
corrisposto per Silvia.

2 atto -> si apre col monologo di un satiro che è innamorato di Silvia,


che si propone di soddisfare con la violenza la propria passione. Segue
poi una schermaglia tra Dafne e Tirsi che, per favorire l'unione dei loro
giovani amici, stabiliscono che Aminta raggiunga Silvia quando ella si
bagnerà da sola a una fonte

3 atto -> è incentrato sulla disperazione di Aminta. Si apre col


racconto di Tirsi il quale narra come Aminta, giunto alla fonte, abbia
tornato Silvia ignuda, legata a un albero dal satiro. Egli l'ha liberata
dal pericolo ma la fanciulla è fuggita senza degnarlo di uno sguardo.
Sopraggiunge Aminta disperato, ormai deciso a morire ,fino a quando
la ninfa Nerina racconta che durante la caccia Silvia è stata sbranata
dai lupi. Ella stessa ha trovato il suo velo insanguinato.

4 atto -> Silvia ritorna miracolosamente in scena. Racconta a Dafne


come sia riuscita a fuggire al pericolo perdendo, mentre fuggiva dai
lupi, il velo. Ma Dafne è tormentata dal pensiero che Aminta si sia
ucciso, e rivela a Silvia questa sua certezza. Il cuore di Silvia si apre
pieno di angoscia e disperazione, quando le comunicano che Aminta si
è ucciso gettandosi da una rupe.

5 atto -> Il pastore Elpino racconta al coro che Aminta è salvo, una
siepe ha attutito la violenza della caduta e il giovane è ora felice e
abbraccia Silvia.

Epilogo -> Venere scende dal cielo a cercare amore fuggitivo e chiede
se si trovi tra il pubblico.

L'Aminta ha una tonalità prevalentemente lirica piuttosto che


drammatica. I dialoghi si riducono spesso a soliloqui sentimentali. Fa
eccezione Silvia ,l'unico personaggio che abbia uno svolgimento
psicologico e drammatico, in quanto passa dalla sensibilità pudica e
ritrosa all'abbandono all'amore inconsapevolmente sbocciato nella sua
anima adolescente.

Del resto la scelta stessa del mondo pastorale, vicino all'età dell'oro,
portava il poeta non verso il dramma ma verso una favola nostalgica.
L'Aminta richiama alla civiltà dell'accademia e della corte.

Le rime
Le rime del tasso comprendono oltre 2000 liriche. Il poeta cominciò a
comporne alla corte di urbino al tempo della prima giovinezza e per
tutta la vita ne venne aggiungendo di nuove o corresse quelle già
composte.

Le rime hanno il carattere di componimenti d'occasioni nati sul fondo


della vita cortigiana seguendo il costume raffinato e sfarzoso di una
cultura sentita come ornamento di una società aristocratica.

Per quel che riguarda il contenuto si possono dividere le rime in due


gruppi:
1. rime d'amore
2. rime encomiastiche
3 rime sacre

Per quel che riguarda lo stile si può dire che nelle rime confluisca tutta
la tradizione lirica aulica dagli stilnovisti a dante, ai poeti del '400. Su
tutti è però evidente l'influsso del Petrarca, soprattutto le forme del
petrarchismo del '500 introdotte dal Bembo.

Ma il Tasso, pur prendendo esempio dai poeti precedenti, li rielabora e


li trasforma, diventando a sua volta un modello per i poeti dei secoli
seguenti, come Foscolo e Leopardi.

I madrigali
Il madrigale era anticamente un componimento di tono popolare che
ebbe poi nuova fortuna presso le corti come poesia per musica.

Molti madrigali del Tasso furono musicati ma già i versi del poeta sono
pervasi da una musicalità intensa. D'altra parte il madrigale si
prestava al raffinato gioco di corte, fatto di sensualità, eleganza e
intelligenza.

I discorsi e la poetica del Tasso


La stesura dei discorsi occupo' la maggior parte della sua vita. Al suo
interno il tasso accompagnò una continua meditazione critica. Nei
discorsi dell'arte poetica vi è la ricerca di conciliare la varietà, cioè la
libera trama avventurosa che costituiva il fascino maggiore del poema
Ariostesco, con l'unità dei classici. Cavalleria avventurosa, quindi, ed
eroismo cristiano indirizzati verso vicende d'Amore e ad una seria
concezione spirituale e morale, cercando di conciliare questi due temi
opposti.

La Gerusalemme liberata

L'idea di un poema sulla prima crociata venne al Tasso mentre si


trovava a Venezia fra il 1559 e il 1560. In quei tempi il pericolo Turco
era fortemente sentito in Europa e soprattutto a Venezia. Nella
rinnovata atmosfera religiosa della controriforma, la lotta contro quel
popolo musulmano tendeva ad assumere l'aspetto di una nuova
crociata. L'argomento del poema era dunque tale da suscitare un vasto
ed immediato consenso.

Inizialmente il poema doveva avere il titolo de "il Goffredo". Il titolo


"Gerusalemme Liberata" compare nelle prime edizioni del poema,
uscite mentre il Tasso era in S. Anna contro la sua volontà.

Trama
Nel sesto anno della crociata Goffredo di Bullione, per ispirazione
divina, raduna i cavalieri cristiani, che avevano ormai dimenticato
l'impresa. Li infiamma di rinnovato ardore religioso e li guida contro
Gerusalemme.

Seguono le varie fasi dell'assedio della città, strenuamente difesa dal re


Aladino, Clorinda e Solimano, mentre tra i crociati brilla il valore di
Tancredi e di Rinaldo, i capostipiti della casa d'Este.

Cielo e inferno partecipano alla vicenda, soprattutto i demoni, che


seminano tra i crociati discordie e suggestioni peccaminose,
soprattutto di carattere erotico, per allontanarli dal nobile fine
religioso. Ad aggravarne la posizione sopraggiunge una tremenda
siccità, e ancor più grave un incantesmo dal mago Esmeno e dai
diavoli su una selva, dalla quale soltanto può essere tratto il legname
per costruire da macchne da guerra per espugnare la città.

A questo punto decisivo è l'intervento di Rinaldo che, riberato da


Armida, la quale l'ha affascinato ispirandogli una passione sensuale,
dopo essersi confessato e purificato scioglie l'incanto della selva.

I crociati sferrano così l'assalto decisivo contro la città, liberando il


sepolcro di Cristo.

L'argomento
L'argomento è tratto dalla storia non troppo lontana, perchè questo
abbasserebbe l'interesse dei lettori, nè troppo vicina, perchè questo
invece limiterebbe l'invenzione libera del poeta. L'intenzione del
Tasso non era tuttavia il rigoroso attenersi al vero della storia.

Una delle proposizioni più unanimamente accolte dalla poetica di


Aristotele era stata, fin dall'inizio del dibattito, la netta distinzione tra
la narrazione dello storico, che doveva riferire i fatti oggettivamente
accaduti, e la narrazione del poeta, che doveva raccontarli come
avrebbero potuto essere secondo il conveniente.Quello che il Tasso
chiamava il verisimile.
Tale vicenda era contorniata e resa più complessa e significativa
dall'intervento meraviglioso degli angeli e dei demoni, ed era
arricchita dalle varie storie d'amore che portavano al poema
cavalleresco dell'avventura.

La grande ambizione del Tasso era quella di scrivere non un poema,


ma IL poema.

Nel poema all'idea della vita è costantemente associata quella della


morte

I personaggi
I personaggi vivono, più che per le loro gesta epiche, per l'intimo
sviluppo delle proprie passioni e dei propri ideali. Per la loro
interiorità tormentata che riflette il dramma spirituale del poeta.

Lo stile
Originalissimo è il complesso e lo stile del Tasso che associa la
tradizione classica alla libera espressività moderna. La narrazione
tassiana procede in un modo ben diverso da quella Ariostesca.

Il Tasso ignora il senso di gratuità, di gioia del narrare, della


contemplazione divertita, del moltiplicarsi senza fine delle invenzioni,
tipiche dell'Ariosto. E' sempre più attento alla serietà; in un certo
senso si potrebbe dire che ne sia vittima.

I litterati si divisero tra ammiratori dell'Ariosto e ammiratori del


Tasso. I due poeti divennero rappresentanti di due opposte civiltà e di
due modi opposti di concepire l'arte e la vita:
1. l'ariosto fu visto come rappresentante di una limpida misura classica
e umana
2. il tasso di una visione della vita patetica e tormentata.

Dolorose furono per il Tasso le critiche spesso astiose e meschine che


si opponevano al suo poema. Nacque così la Gerusalemme
Conquistata. Il poema esprimeva la triste vicenda degli ultimi anni del
poeta, ormai chiuso in un totale pessimismo.

Potrebbero piacerti anche