Sei sulla pagina 1di 8

MANZONI ALESSANDRO

BIOGRAFIA

Manzoni nasce il 7 marzo 1785 a Milano, città intelletualmente collegata al mondo francese ed
europeo. Difatti fu uno due pochi autori italiani che ebbe contatto con grandi autori intellettuali
esteri della sua epoca.

La produzione poetica giovanile, nel quale spiccano iIl trionfo della libertà, composto per la pace di
Luneville, l’idillio Adda e i quattro sermoni, risentono di un carattere formale e appassionato
impegno politico e civili di Parini e Monti, nonché dalle letture di Virgilio, di Orazio e di Dante, e si
situa sullo sfondo di un razionalismo di tempra settecentesca e di un generico deismo (Deismo:
visione culturale che da visione genetica di un dio, riconoscere che esiste una forza coordinatrice
altrimenti non sarebbe spiegabile l’ordine della natura.)

Nel 1805 quando raggiunse a Parigi la madre nella vita dello scrittore si verifico un fatto
importante, celebrato dal carme In morte di C. Imbonati, dove perviene assieme alla scoperta
dell’amor filiale una più matura definizione dei sui propositi.
Il “nuovo intatto sentier” viene individuato nella centralità di una severità morale che non si
contenta della denuncia di un ceto o di un custume, ma investe la sfera mondana nel suo insieme, a
prescindere dai regimi politici e dagli orientamenti ideali dominanti e nell’assunzione ben ogni oltre
atteggiamento letterario delle responsabilità in termini di condotta personale e impegno
intellettuale da questa posizione.
Dalla madre non si sarebbe mai più separato, e finche visse costituì il centro della sua vita familiare

Durante il soggiorno a Parigi frequento attivamente ambienti intellettuali che costituivano l’elite
della più avanzata ricerca filosofica e letteraria dell’Europa di allora. Poe assistere anche alla più
importante delle trasformazioni in atto, con una riflessione del razionalismo illuminista sui propri
resti materiali e psicologici.
Cosi dopo la pubblicazione del poemetto neoclassico Urania scrisse che non avrebbe più fatto versi
simili.
Manifestava una nuova sensibilità per uno almeno dei fondamenti della poetica romantica. La
poesia non avrebbe dovuta essere destinata ad un elite di raffinati, ma doveva avere il compito di
interessare i lettore, facendosi interprete delle lotro idee e sentimenti, e solo in questo modo poteva
assecondare la propria vocazione universale.

Contemporanea a questa attenzione alle posizioni romantiche è la conversione al cattolicesimo, nel


1810. Ma non fu uno conversione pacifica frutto di grandi meditazioni, ma delle quali non abbiamo
molte informazioni. fede è la sua conquista personale e assolutamente lenta.
—> osservazioni sulla morale cattolica; qui Manzoni esplicita in maniera razionalissima i motivi
della sua adesione al cattolicesimo.
Se non si fosse avvicinato cosi tanto alla cultura cristiana non avrebbe potuto descrivere al meglio i
protagonisti più umili della sua opera

In realta non si tratto di un passaggio immediato, ma un passaggio anticipato dalla religione


calvinista.
—> esiste una collaborazione un comportamento che il cattolico può prendere in funzione della sua
salvezza, per questo il cattolico può sbagliare e confessarsi (una delle critiche mosse dal mondo
protestante alla corruzione morale degli italiani)
Elaborazione di carattere religioso: posizione dl Manzoni continuamente rielaborata fino a giungere
alla osservazione sulla morale cattolica —> risponde alla critica che viene fatta
Risposta del filosofo Manzoni.

Questi aspetti sono dunque un profondo cambiamento intimo. Ma lo scrittore sarebbe rimasto
sempre nella più stretta ortodossia, a un’interpretazione più severa della religione e sopratutto della
morale cattolica. La conversione infatti per lui era una necessita logica e sentimentale.

Mentre gli veniva a mancare la base sicura dell’istanza morale, a Manzoni si imponeva la necessità
di trasferire nella propria esperienza intima e di testimoniare con i propri comportamenti
l’interpretazione eroica della vita.
Con la fede ci fu la risposta nella felicita raggiungibile per mezzo della ragione. Il senso romanzi
dell’incomprensibilità della vita, della oscura legge di dolore, si compone senza annullarsi nella
prospettiva provvidenziale di un ordine superiore agli accadimenti e all loro immediata percezione e
di una felicità dopo la morte, sempre con una lucida fermezza intellettuale e di un impegno assoluto
della persona.

Nel 1810 torno a Milano, e visse in compagnia della moglie, della madre dei figli e di pochi amici.
Lavorarava lentamente: quattro Inni sacri, la Pentecoste, due tragedie, tre odi politiche, le
osservazioni sulla morale cattolica, e infine il romanzo

Promessi sposi: prima redazione con il titolo Fermo e Lucia, fu scritta dal 1821/23, la seconda I
promessi sposi fu pubblicata dal 1835/1827 conosciuta come la redazione “ventisettana”.

Nel frattempo la sua fama europea cresceva e in Italia gli veniva riconosciuto un ruolo di
riferimento politico e letterario senza precedente.

Dopo questo periodo attese a lungo la correzione linguistica del suo romanzo, apparso come testo
definitivo del 1840 sl 1842, insieme alla storia della colonna infame e alla stesura di opere storiche
e sopratutto linguistiche.

Manzoni morì quasi novantenne nel 1873 per i postumi di una caduta.

PENSIERO

Manzoni non partecipò mai direttamente alle polemiche letterarie alle lotte politiche del suo tempo,
anche se prese posizione con fermezza nell’uno e nell’altro campo.
In quello politico il pensiero cattolico-liberale e l’ideale monarchico e unitario restarono saldi per
tutta la vita.

Assidua e in coerente svolgimento fu la sua meditazione intorno alle questioni letterarie aperte alla
rivoluzione romantica.

Respinte, come non fondate sul ragionamento, le regole classicistiche e ogni astrattezza teorica che
non rispettassero la natura complessa e molteplice del reale e dell’esperienza estetica. Manzoni,
anche se non nasconde la sua incertezza circa la definizione del concetto corrispondente, pone il
vero come sorgente e oggetto della ricerca letteraria, restituendo una più sostanziale unità all’opera
d’arte, che trova poi una più sintetica espressione.
Il poeta con le due tragedie e nei Promessi sposi, di riserva il compito di collaborare con uno
storiografo, restaurando con la sua fantasia poetica, quanto rimane fuori dalla storia, cioè i riflessi
che i grandi avvenimenti e le condizioni politiche e sociali hanno avuto sugli individui, sulle anime
folle, che senza costituire essi stessi storia, posso essere recuperati dalla peculiare verità della
letteratura.
Manzoni si preparo a tali opere con attentissimi studi testimoniati.

APPUNTI DI LEZIONE

Ultimamente la sua importanza si è cercata di ridurla, ad un’importanza di carattere linguistico;


perché creatore della prima lingua nazionale, i promessi sposi ha un repertorio linguistico nella
quale ha creato questa lingua nazionale.
PROMESSI SPOSI

Romanzo storico di A. Manzoni, o come dice il sottotitolo storia milanese del sec. 17, che l’autore
finge di aver scoperto e rifatto sul manoscritto di un anonimo contemporaneo. I promessi sposi sono
la riposta del letterato Manzoni che spiega, con un romanzo, dove sta l’origine della corruzione
della religione.

Manzoni sceglie il romanzo storico perché per Manzoni non si può e non si deve ingannare il
lettore: se noi facciamo perdere tempoCritica agli adori del passato non un ripudio ma una proposta
per miglio—> Manzoni egli non si mantenne al fatto con i suoi scritti, ma essendo nobile poteva
sopravvivere amministrando i suoi beni molto cospicui

La prima stesura del romanzo, risalente agli anni 1821-23 recava il titolo Fermo e Lucia, dal nome
dei protagonisti; la seconda redazione, profondamente modificata fu pubblicata in tre volumi dal
1825 al 1827 (detta ventisettana), col titolo I promessi sposi; la seconda edizione definitiva
ampiamente riveduta e corretta apparve dal 1840 al 1842. Dopo il 27 abbiamo una riflessione di
carattere illuministico dove Manzoni passa un periodo a Firenze, per approfondire la sua
conoscenza del linguaggio fiorentino, per inserirla nella versione del 40.

Difatti i personaggi del romanzo, anche quelli più umili utilizzano un linguaggio elevato fiorentino.

Gli avvenimenti si svolgono tra il 1628 e il 1630 nella campagna lombarda, devastata dalla guerra
dei trent’anni, stremata dalla carestia e dalla pestilenza.
L’amore dei due filatori Renzo e Lucia, in procinto di sposarsi è contrastato dal capriccio di don
Rodrigo, che inizialmente per una scommessa sulla forza del suo potere, e poi per via
dell’invaghimento della giovane, cerca di impedire il matrimonio, facendo leva sulla vita del curato
dona Abbondio.

Renzo si reca a chiedere consiglio al dottor Azzecca-garbugli, ma questi si rifiuta di prendere


qualsiasi posizione quando sente il nome di don Rodrigo. Il frate confessore di Lucia, Cristoforo, si
reca a sua volta, ma altrettanto inutilmente, dallo stesso don Rodrigo, nel tentativo di dissuaderlo
dallo sciagurato proposito. Visti i tentativi falliti, suggerisce ai due giovani di fuggire dal paese e di
trovare rifugio Lucia, con la madre Agnese, in un convento di Monza e Renzo presso i cappuccini a
Milano. Qui il giovane viene accusato di essere coinvolto nelle rivolte scatenate dalla carestia ed è
quindi costretto a fuggire. Lucia viene rapita dall'Innominato, al quale don Rodrigo aveva chiesto
aiuto. Terrorizzata, la giovane prega con fervore e fa voto di rinuncia al matrimonio. Dopo averlo
supplicato, viene liberata dall'Innominato, ma cade vittima del contagio della peste che ha invaso
Milano. Supererà la malattia nel Lazzaretto dove si trovano anche fra Cristoforo e don Rodrigo, che
è in punto di morte quando arriva Renzo, rientrato a Milano in cerca di Lucia. Il frate convince
Renzo a perdonare l'uomo che gli aveva provocato tante disavventure. Con la morte di don Rodrigo
cessa ogni pericolo. Renzo e Lucia possono finalmente unirsi in matrimonio.
Manzoni sceglie di usare uno schema romanzesco tradizionale - quello di due giovani innamorati
che solo dopo varie peripezie riescono a sposarsi - depurandolo da elementi fantastici o avventurosi
e finalizzandolo alla descrizione dei più saldi valori morali. Quella di Renzo e Lucia non è
un’avventurosa esperienza d’amore, ma una difficile conquista di pace e di felicità, perseguite con
impegno e senso del dovere in una realtà dominata dall’ipocrisia e dal conformismo.

Quindi frutto di una riflessione, ogni parola nasce il problema della sua moralità come questa
parola come questo racconto fu ben direzionato per raccontare in maniera corretta la verità.
Piccole vicende di ciascuno che vengono influenzate dalle regole
1632 —> capitava tutto questo
CAPITOLO I

Per una delle stradine descritte, la sera del 7 novembre 1628, torna a casa dalla passeggiata don
Abbondio, curato di un paesino di quelle terre il cui nome non è citato

Il curato cammina lentamente e con fare svogliato, recitando le preghiere e tenendo in


mano il breviario, mentre alza di quando in quando lo sguardo e osserva il paesaggio,
oppure prende a calci i ciottoli sulla strada.
—> I preti erano tenuti a leggere con una cadenza regolare alcune letture della bibbia, ma
don Abbondio non compiva nemmeno questo compito in maniera coscienziosa: Accusa
contro l’ignoranza e l’indifferenza del clero, nel non seguire nemmeno le norme alle quali
dovevano attenersi

Oltrepassata una curva, percorre la strada sino a un bivio alla cui confluenza è posto un
tabernacolo, che contiene immagini dipinte di anime del purgatorio: qui, con sua grande
sorpresa, vede due uomini che sembrano aspettare qualcuno, il primo seduto a cavalcioni
sul muretto e l'altro in piedi, appoggiato al muro opposto della strada.
Entrambi indossano una reticella verde che raccoglie i capelli e hanno un enorme ciuffo che
cade loro sul volto; portano lunghi baffi arricciati all'insù e due pistole attaccate a una
cintura di cuoio (stinzione tra laico e chierico: laico aveva sempre un arma un coltello una
lama per difenderssi, non vi era possibilita di farsi valere in un mondo in cui le leggi non
venivano rispettate.); hanno un corno per la polvere da sparo appeso al collo e un pugnale
che emerge dalla tasca dei pantaloni, con una grossa spada dall'elsa d'ottone e lavorata.
Don Abbondio li riconosce immediatamente come individui appartenenti alla specie
dei bravi.

Bravi: l’autore cita una grida dell'8 aprile 1583, emanata dal governatore dello Stato
di Milano che minacciava pene severissime contro tutti quei malviventi che si mettevano al
servizio di qualche signorotto locale per esercitare soprusi e violenze, intimando a costoro
di lasciare la città entro sei giorni. Tuttavia il 12 aprile 1584 lo stesso funzionario emanò
un'altra grida in cui si minacciavano pene ancor più severe contro tutti quelli che avevano
anche solo la fama di essere bravi

Tornando a don Abbondio, il curato capisce subito che i due bravi stanno aspettando lui,
dal momento che al vederlo essi si scambiano un cenno d'intesa e gli si fanno incontro.
Il curato si guarda intorno, nella speranza di scorgere qualcuno, ma la strada è deserta;
pensa se abbia mancato di rispetto a qualche potente, escludendo di avere conti in sospeso
di questo genere (evitava di litigare con qualcuno per evitare i problemi: rimanere nella
neutralita); non potendo fuggire, decide di affrettare il passo e affrontare i due figuri,
atteggiando il volto a un sorriso rassicurante.
—> egli finge: fa finta di nulla, si punta davanti a queste persone senza esprimere cio che
lui davvero pensa: quindi contraddizione dei suoi comportamenti

Uno dei bravi lo apostrofa subito chiedendogli se lui ha intenzione di celebrare l'indomani il
matrimonio tra Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, al che il curato si giustifica
balbettando che i due promessi hanno combinato tutto da sé e si sono rivolti a lui come un
funzionario comunale.
Il bravo ribatte che il matrimonio non dovrà esser celebrato né l'indomani né mai e don
Abbondio tenta di accampare delle scuse poco convincenti, finché l'altro figuro interviene
con parole ingiuriose e minacciose. Il compagno riprende la parola e si dice convinto che il
curato eseguirà l'ordine, facendo poi il nome di don Rodrigo, che riempie don Abbondio di
terrore: il curato fa un inchino e chiede suggerimenti, ma il bravo ribadisce l'ordine
impartito e intima al religioso di mantenere il segreto, lasciando intendere che in caso
contrario ci saranno rappresaglie.
Don Abbondio pronuncia alcune parole di deferenza e rispetto verso don Rodrigo, quindi i
due bravi se ne vanno cantando una canzone volgare, mentre il curato vorrebbe proseguire
il colloquio entrando in improbabili trattative. Rimasto solo, dopo qualche attimo di
sconcerto don Abbondio prende la strada che conduce alla sua abitazione.
TUTTE LE TRASGRESSIONI CHE VENGONO DOPO, VENGONO DALLA TRASGRESSIONE
DI QUESTO DIRITTO QUELLO DI SPOSARSI TRA DUE GIOVANI —> diritto fondamentale
che non si può negare, e da questa negazione nascono problemi che creano a sua volta
problemi e disgrazie.

Il curato, evidentemente, non è un uomo molto coraggioso e questa è una misera


condizione in tempi come quelli in cui gli tocca vivere, in cui la legge e la giustizia non
offrono alcuna protezione contro i soprusi.
Don Abbondio: personaggio che se esaminato bene è in realtà l’accusato principale di questo
romanzo. Dimostra vera e propria che la morale cattolica non veniva applicata nemmeno dai preti.

Le leggi non mancano e sono anzi sovrabbondanti, ma non vengono praticamente mai
applicate e l'impunità è profondamente radicata nella società: i malfattori trovano asilo nei
conventi, sono protetti dai loro padroni e dai privilegi nobiliari, cosicché le gride
minacciano pene che non trovano esecuzione e i delitti si moltiplicano. Gli uomini chiamati
a far rispettare le leggi sono impotenti, pavidi o spesso conniventi con i criminali che
dovrebbero contrastare, per cui accade non di rado che siano gli uomini onesti e tranquilli
ad essere perseguitati dalla giustizia. Alcuni si riuniscono in leghe, associazioni e
corporazioni, per scopi leciti o illeciti, ma queste non hanno sempre un grande potere e,
specie nelle campagne, un signorotto circondato da una masnada di bravi senza scrupoli
può esercitare un dominio quasi tirannico sul paese.

Don Abbondio non è ricco, né nobile, né coraggioso, quindi ha accettato volentieri in


gioventù di diventare prete come volevano i suoi genitori, non per sincera vocazione ma per
entrare in una classe agiata e dotata di alcuni privilegi. Non prende mai parte alle contese
e, se costretto a prendere posizione, si schiera sempre col più forte; deve ingoiare molti
bocconi amari e a volte sfoga il suo malanimo contro gli individui più deboli da cui non ha
nulla da temere, criticando sempre aspramente quei religiosi che si battono contro le
ingiustizie e le vessazioni. L'incontro coi bravi lo ha sconvolto e ora, mentre torna a casa,
pensa come uscire d'impiccio: dovrà dare spiegazioni a Renzo, che sa essere una testa
calda, e tra sé inveisce contro lui e Lucia che, a suo dire, hanno il torto di volersi sposare e
di metterlo nei pasticci. È irritato anche contro don Rodrigo, che conosce solo di vista e che
ha spesso difeso e definito un nobile cavaliere, ma contro il quale ora in cuor suo emette
giudizi assai meno lusinghieri. Mentre è immerso nei suoi pensieri, il curato giunge alla sua
casa in fondo al paese ed entra richiudendo subito la porta.

Potrebbero piacerti anche