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ITALIANO, LETTERATURA

ALESSANDRO MANZONI
Alessandro Manzoni nacque nel 1785 a Milano e morì nel 1873; era figlio illegittimo di Giulia Beccaria e
Giovanni Verri, riconosciuto poi dal conte Pietro Manzoni.
Nel 1792 ci fu la separazione dei genitori e venne mandato in collegio fino al 1801. Qui fu educato dai
religiosi lombardi e si appassionò alla letteratura latina, in particolare a Virgilio e Orazio.
Nel 1805 raggiunse la madre a Parigi, dove viveva con il compagno Carlo Imbonati. Su suggerimento
della madre, con la quale riallaccia i rapporti, si sposa con Enrichetta Blondel nel 1803.
Nel 1810, Manzoni, decise di convertirsi al cattolicesimo, egli era già cristiano ma questa fu una vera e
propria rigenerazione spirituale molto profonda, infatti le sue opere, da quell’anno in poi, trasmisero un
messaggio religioso (“Inni Sacri”).

● IL VERO STORICO:
Manzoni era sempre alla ricerca del vero storico ovvero cercava di riportare la verità su come le
persone; in altre parole, voleva ricostruire la verità storica del tempo in cui si svolgeva la storia. Durante la
vita di Manzoni Milano era sotto la dominazione degli Asburgo, i quali erano mal sopportati poiché non
erano italiani. Nel ‘600, il periodo in cui si svolge la storia, c’era una situazione simile infatti Milano era
assediata dai Borboni (dominazione spagnola). Oltre a voler riportare il vero storico, Manzoni si serve del
‘600 per criticare indirettamente gli Asburgo.
Manzoni fu sempre molto vicino agli avvenimenti politici e sviluppò sempre più interesse per le persone
comuni che subiscono gli eventi della storia (Ad esempio: la Monaca di Monza o Lucia nei Promessi
Sposi).
→ si concentra su persone comuni come pensava Wordsworth: persone ordinarie e le loro vite comuni.

Il vero è Sacro, questa visione è collegata a Keats, che definisce la verità come bella, al contrario invece
di Leopardi che la identifica in maniera negativa.

● LA DIMENSIONE CONOSCITIVA:
La caratteristica più evidente di Manzoni è la dimensione conoscitiva: per lui la letteratura, come espone
ne “l’utile, il vero, l’interessante” è il fine educativo della letteratura, come descrivevano gli illuministi.

IN MORTE DI CARLO IMBONATI


VERSI 207-215

“Sentir”, riprese, “e meditar: di poco Riprese: “Sentire [con il sentimento] e riflettere:


esser contento: da la meta mai accontentarsi di poco: mai distogliere lo sguardo
non torcer gli occhi: conservar la mano dalla meta: conservare il pensiero e l’azione puri:
pura e la mente: de le umane cose fare esperienza delle cose umane quel tanto che
tanto sperimentar, quanto ti basti basti per non dar loro troppo peso: non ti
per non curarle: non ti far mai servo: sottomettere mai: non scendere a patti coi vili:
non far tregua coi vili: il santo Vero non tradire mai la verità che è sacra: né dire mai
mai non tradir: né proferir mai verbo, parole che esaltino il vizio, o deridano la virtù”.
che plauda al vizio, o la virtù derida.”

L’opera viene descritta come un “carme”: una sorta di dialogo morale; per il giovane Manzoni, Carlo
Imbonati diventa una sorta di maestro di vita e di letteratura, la cui influenza sul pensiero dello scrittore
sarà sempre molto importante.
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Manzoni immagina che Carlo gli appaia in una sorta di visione notturna e, dopo uno scambio di battute
in cui i due esprimono la stima reciproca e il dolore per la forzata separazione, il giovane Alessandro
chiede al defunto di indicargli la strada da percorrere per giungere alla gloria poetica (che come per
Leopardi, Petrarca e tanti altri grandi intellettuali come Dante ricercano): l'anima dell'antico maestro
risponde (nei versi 207-215) che dovrà meditare profondamente, accontentarsi di poco, mantenere la
purezza della mente e delle azioni, non asservirsi ai potenti, e, soprattutto, non tradire mai il "santo Vero",
né pronunciare mai una parola "che plauda al vizio, o la virtù derida".
In sostanza Manzoni affida a Carlo i termini essenziali della sua poetica e della sua vita morale, che poi
espresse in gran parte della sua produzione letteraria e che preludono alla successiva conversione
religiosa, che evidentemente già maturava in quegli anni. Il testo risente ancora della formazione
settecentesca e neoclassica di Manzoni con abbondante uso di retorica.

STORIA E INVENZIONE POETICA


DALLA LETTRE À M.CHAUVET, PAGINA 375
In questa lettera che in realtà è un ampio saggio Manzoni risponde ad una critica che gli è stata
sottoposta da M. Chauvet.
In tale esprime l’importanza del vero storico e si concentra sul rapporto tra poesia e storia; la letteratura
per l’autore si deve basare sul vero, ciò che è realmente accaduto e quindi porre l’attenzione sui soggetti
tratti dalla storia.
Anche il poeta tratta di avvenimenti e personaggi accaduti realmente nella storia ma quest’ultimo non
può inventare gli avvenimenti poiché si perderebbe la potenzialità drammatica che questi hanno.
A questo punto, al poeta rimane solo una cosa su cui lavorare e da creare: il carattere psicologico, i
pensieri, le passioni, i sentimenti che hanno accompagnato i personaggi della storia. ( → Napoleone,
Adelchi, Ermengarda, Lucia e Gertrude)
Di queste informazioni la storia infatti non ha lasciato documenti; il compito del poeta è afferrare,
rendere quello che gli uomini hanno provato.

Manzoni apre una polemica nei confronti del classicismo, non inventa la dinamica dei fatti, lui utilizza la
storia realmente accaduta per poi aggiungerci elementi per rendere la storia più profonda.

L’UTILE, IL VERO, L’INTERESSANTE


DALLA LETTERA SUL ROMANTICISMO, PAGINA 376
Il testo è tratto dalla lettera a Cesare d’Azeglio, un nobile piemontese, in questa lo scrittore traccia un
bilancio del Romanticismo.
Il passo indica in forma sintetica i principi fondamentali a cui si ispira il Romanticismo italiano:

● L’utile come scopo: i romantici ereditano la concezione educativa della letteratura dalla
generazione degli illuministi del “Caffè”. Il fine dell’arte è l’educazione civile e morale; questo
concetto fu molto avvertito in Italia dove i romantici ebbero forti ideali patriottici e sentirono la
necessità di diffonderli fra il popolo.

● Il vero per soggetto: l’artista deve trarre ispirazione dalla realtà e non dalla mitologia o dalla storia
letteraria. I personaggi e i luoghi del romanzo sono o storici, cioè realmente esistiti, come il
cardinale Federigo Borromeo; o verosimili, cioè immaginati, ma vicini alla realtà, come Renzo e
Lucia.
Renzo e Lucia erano sì personaggi inventati, ma nell’epoca del romanzo erano esistiti nella realtà
politica e sociale del milanese tanti contadini simili a loro ed esposti a un destino non diverso dal
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loro. Pertanto con l’identificazione del «vero» col «verosimile» l’impegno dello storico (recuperare e
riprodurre il clima, il costume, la vita di un’età) non diminuiva, e lo scrittore acquistava la piena
libertà d’invenzione e di rappresentazione.

● L’interessante per mezzo: per attrarre l’attenzione del lettore l’opera d’arte deve contenere
argomenti presi dalla vita comune e quotidiani al fine di interessare e coinvolgere il maggior
numero di lettori, e non solo le persone colte, i letterati. È questa la più autentica ispirazione
romantica, alla quale guarderanno innumerevoli scrittori di romanzi lungo tutto l’Ottocento.
Poiché l’opera letteraria è una narrazione che serve a migliorare gli uomini, è necessario che essa
sia accessibile a tutti, non solo ai letterati.
Questo principio ispiratore spinse Manzoni alla costante ricerca di una lingua comprensibile e
non per “addetti ai lavori” ed egli ne trovò il modello nel fiorentino parlato dalle persone colte.
Parallelamente, adottò uno stile medio, capace di esprime e unificare i diversi registri della
narrazione. Soprattutto nella composizione del romanzo, consapevole della varietà dei piani di
narrazione che lo caratterizzano, si servì di una sintassi molto varia, adattandone le possibilità
espressive al livello sociale e culturale dei personaggi.
Questo principio suona polemico nei confronti della letteratura del passato, che utilizzava un
linguaggio leggibile a pochi.
→ collegamento: ne “Dialogo sopra i due massimi sistemi” di Galileo Galilei, egli decise di utilizzare
il dialogo e la lingua volgare di modo da renderlo accessibile a tutti.

SULLA MANIERA E L’UTILITÀ DELLE TRADUZIONI


DI MADAME DE STAËL, PAGINA 322
Il testo di Madame de Staël sulle traduzioni, non è altro che un invito ai letterati a guardare oltre il recinto
della cultura classicista per aprirsi alla cultura europea, in particolare in area tedesca e inglese.
L’autrice esprime la convinzione che gli italiani si muovessero su un terreno logoro e consumato,
producendo, anziché un’arte e una poesia viva, una letteratura morta, che presenta il riuso di moduli
classicisti in luogo della freschezza dell’immaginazione.
Nell’invitare i letterati italiani a tradurre gli scrittori stranieri, Madame de Staël traccia un quadro critico
della cultura italiana: ripetizioni delle stesse immagini, rifarsi continuamente alla mitologia antica, ormai
morta, le fantasie si impolveriscono e le lettere diventano sterili.

I letterali di quel tempo per l’autrice o erano in cerca di qualcosa di nuovo (“granello d’oro) negli scritti
antichi o scrivono poesie sonore e vuote, incapaci di muovere cuori perchè non autentiche.
Per Madame de Staël, aprirsi alla cultura europea non serve per trovare nuovi modelli ma per arricchire
le conoscenze e stimolare la creazione con nuovi temi e nuove forme.
→ Durante l’età neoplatonica, la letteratura era aperta a quelle straniere ma durante il periodo della
Restaurazione non fu più così.

IL 5 MAGGIO
Manzoni ricostruisce la vicenda umana di Napoleone in chiave cristiana, partendo dall'immagine di
Napoleone, al tramonto della sua esistenza, come un uomo costretto all'inattività e tormentato dal
cumulo di memorie. Le riflessioni poetiche di Manzoni sfociano dopo aver evocato le epiche gesta
napoleoniche in un'alta meditazione che assume valenza universale riguardo alla caducità di ogni
grandezza terrena e di come le umane sofferenze finiscano per placarsi nella fede in Dio.
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A Manzoni non interessa il Napoleone potente delle vittorie militari e regnante ma la sua attenzione va
all'uomo vinto e umiliato dall'esilio che purificato dalle sofferenze diventa degno di ricevere il conforto di
Dio.

Verso 1:
“Ei fu. Siccome immobile..”
Sin dall’inizio troviamo una cesura che divide a metà il verso, questo simboleggia il passaggio tra vita e
morte, tra le grandi azioni compiute in vita e la fine.
Il passato remoto serve a indicare come definitivamente conclusa non solo la vita dell’imperatore, ma
l’epoca di cui è stato protagonista. Questo tempo verbale è infatti usato anche nel resto dell’ode per
parlare delle imprese del condottiero. Il tempo presente, invece, è usato per fare riferimento al momento
in cui Manzoni scrive e per le affermazioni che riguardano Dio e la fede, valide in ogni tempo perché
eterne.

Versi 5-8:

attonita così la terra sta percossa


la terra al nunzio sta, e stupefatta dalla notizia
muta pensando all’ultima muta ripensando all’ultima
ora dell’uom fatale; ora dell’uomo mandato dal fato;

Tutti, compresa la terra rimane scossa dalla morte di Napoleone; non vengono più ricordate le grandi
imprese compiute in vita ma “l’ultima ora”.

Versi 25-26 e 31-32


In questi versi Manzoni ricorda le grandi imprese compiute in vita da Napoleone ma in seguito mette in
dubbio tale gloria, lasciando la risposta ai posteri.

Versi 43-60

tutto ei provò: la gloria Tutto egli provò; la gloria


maggior dopo il periglio, massima dopo il pericolo,
la fuga e la vittoria, la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio: il potere regale ed il triste esilio:
due volte nella polvere, due volte fu sconfitto,
due volte sull’altar. due volte fu vittorioso.

Ei si nomò: due secoli, Egli stesso si diede il nome: due secoli,


l’un contro l’altro armato, opposti militarmente,
sommessi a lui si volsero, si rivolsero a lui sottomessi,
come aspettando il fato; come se dipendesse da lui il destino;
ei fe’ silenzio, ed arbitro egli impose il silenzio, e come arbitro
s’assise in mezzo a lor. si sedette in mezzo a loro.

E sparve, e i dì nell’ozio E sparì, e i suoi giorni concluse


chiuse in sì breve sponda, nell’ozio obbligato nella minuscola Sant’Elena,
segno d’immensa invidia segno di grande invidia
e di pietà profonda, e di profonda pietà,
d’inestinguibil odio di odio infinito
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e d’indomato amor. e di passione indomabile.

In tali versi Manzoni descrive Napoleone come un uomo molto ambizioso, che, quando raggiunse il
potere provò la gloria.

Per la frase “Ei si nomò” al verso 49 esistono due interpretazioni: secondo alcuni ci si riferisce all’auto
proclamazione imperiale; secondo altri ci si riferisce al fatto che Napoleone fu artefice del proprio
destino.
In ogni caso Napoleone è per sua volontà il fulcro della storia di due secoli, il Settecento e l’Ottocento, la
Rivoluzione e la Restaurazione. La figura di Napoleone provoca sentimenti contrapposti: sono o di
ammirazione o di odio.

Versi 69-96

Oh quante volte ai posteri Oh quante volte cercò di scrivere


narrar se stesso imprese, le sue memorie per i posteri,
e sull’eterne pagine ma sulle infinite pagine
cadde la stanca man! ìsi fermò la mano ormai stanca!

Oh quante volte, al tacito Oh quante volte, al termine


morir d’un giorno inerte, di un giorno inutile e improduttivo,
chinati i rai fulminei, abbassato lo sguardo fulminante,
le braccia al sen conserte, le braccia conserte,
stette, e dei dì che furono stette, e dei giorni passati
l’assalse il sovvenir! lo prese il ricordo!

E ripensò le mobili E ripensò alle tende


tende, e i percossi valli, degli accampamenti, alle trincee assaltate,
e il lampo de’ manipoli, al fulminar delle spade dei suoi soldati,
e l’onda dei cavalli, agli assalti della cavalleria,
e il concitato imperio, al comando rapido
e il celere ubbidir. e all’ubbidire pronto dei soldati.

Ahi! forse a tanto strazio Ahi! Forse per tanto dolore


cadde lo spirto anelo, lo spirito affannato cedette,
e disperò: ma valida e si disperò: ma in aiuto
venne una man dal cielo, scese una mano misericordiosa dal cielo,
e in più spirabil aere e in un mondo più sereno
pietosa il trasportò; con pietà lo trasportò;

e l’avviò, pei floridi e lo condusse, per i floridi


sentier della speranza, sentieri della speranza,
ai campi eterni, al premio verso i campi eterni, verso il premio
che i desideri avanza, che supera anche i desideri,
dov’è silenzio e tenebre dove è silenzio e tenebra
la gloria che passò. la gloria ormai passata.
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Manzoni si immagina Napoleone a Sant’Elena e in questi versi Napoleone viene immaginato mentre
scrive un testo autobiografico ma in realtà è tutto frutto dell’immaginazione di Manzoni.
In seguito Manzoni descrive Napoleone in maniera differente rispetto a quella fatta precedentemente,
Napoleone l’abbiamo sempre visto come vivace, combattiero mentre ora viene descritto come
immobile.
Successivamente l’autore ripensa a tutte le imprese svolte da lui in vita che si contrappongono al
pensiero precedente.

Napoleone trova rifugio e conforto in Dio e l'aspirazione alla gloria eterna supera quella della gloria
terrena; viene descritto come disperato e dolorante, emerge inoltre la certezza di Manzoni di ritrovare
speranza dopo la morte.

Negli ultimi versi della 16° strofa la gloria, le imprese compiute in vita si annullano con la morte;
l’immobilità descritta in tutta la poesia non è più sconfitta e tormento ma conquista della pace nel
perdono divino.

Versi 105-108

il Dio che atterra e suscita, Il Dio che atterra e che rialza,


che affanna e che consola, che crea affanno e che consola,
sulla deserta coltrice sul letto di morte deserto
accanto a lui posò. accanto a lui sedette.

La prospettiva è provvidenzialistica: in queste ultime quattro strofe dell'ode Manzoni fa confluire l’umano
nel divino e la vicenda terrena di Napoleone viene suggellata con il ritorno a Dio.
Dio viene descritto come una figura che “affanna e che consola”; ancora una volta emerge il pessimismo
di Manzoni e la lettura negativa della storia contrapposta dalla mano divina.

ANALISI DELLA POESIA


Manzoni ricostruisce la vicenda umana di Napoleone in chiave cristiana, partendo dall'immagine di
Napoleone, al tramonto della sua esistenza, come un uomo costretto all'inattività e tormentato dal
cumulo di memorie. Le riflessioni poetiche di Manzoni sfociano dopo aver evocato le epiche gesta
napoleoniche in un'alta meditazione che assume valenza universale riguardo alla caducità di ogni
grandezza terrena e di come le umane sofferenze finiscano per placarsi nella fede in Dio.
A Manzoni non interessa il Napoleone potente delle vittorie militari e regnante ma la sua attenzione va
all'uomo vinto e umiliato dall'esilio che purificato dalle sofferenze diventa degno di ricevere il conforto di
Dio.

LA STRUTTURA
La poesia è divisa in 3 parti:
● vv. 1/24: è il prologo che illustra il tema rappresentando l'emozione provocata dalla notizia della
morte di Napoleone. Il poeta ricorda la sua passata posizione di riserbo nei suoi confronti, in cui
non ha mai avuto parole né di elogio, né di denigrazione.

● vv. 25/84: è la parte centrale dove viene fatta la descrizione delle vicende storiche attraverso la
rievocazione dei momenti salienti della parabola di gloria e di rovina delle gesta napoleoniche.
Manzoni non esprime la sua personale posizione e lascia ai posteri il giudizio sulla gloria terrena
del personaggio egli invece esprime un giudizio sulla grandezza morale del Napoleone ormai
uomo perdente che si inchina di fronte a Dio (conversione di Napoleone), scoprendo così il suo
autentico valore di uomo.
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● vv. 85/108: la parte finale trae le conseguenze ovvero l'insegnamento religioso che se ne trae. La
prospettiva è provvidenzialistica: nelle ultime quattro strofe dell'ode Manzoni fa confluire lumano
nel divino e la vicenda terrena di Napoleone viene suggellata con il ritorno a Dio. Napoleone trova
rifugio e conforto in Dio e l'aspirazione alla gloria eterna supera aspirazione alla gloria terrena.

ADELCHI
L’Adelchi è una tragedia che scrive nel 1822, non è la prima tragedia, in quanto era già stato pubblicato il
Conte di Carmagnola; l’opera viene criticata da Monsieur Chavet in quanto Manzoni non rispetta le 3
unità Aristoteliche. L’obiettivo che Manzoni si prefigge in tutte le sue opere è quello di concentrarsi sul
vero, vuole trasferire la realtà e per lui le 3 regole aristoteliche erano un appesantimento, e decide di non
rispettarle. → Carlo Imbonati gli aveva lasciato il consiglio di scrivere e perseguire il sacro Vero.
Le 3 unità Aristoteliche erano:

● Azione: poche azioni, la scena è una sola ed è centrale;


● Tempo: tempo limitato, tutte le azioni si svolgono in 24 ore;
● Spazio: unico spazio, tutte le azioni si svolgono nello stesso luogo

La vita non funziona così, non succede una cosa alla volta nello stesso luogo o in un arco temporale
limitato, quindi decide già nell’ Adelchi di non rispettarlo. Decide di fare riferimento ad un evento storico
reale, per lui deve comparire il vero storico: personaggi realmente vissuti e accaduti realmente ma
intersecandoli con fatti inventati.
Deve essere un’invenzione che produrrà personaggi e azioni che rimangono verosimili; non abbiamo
come in Ariosto l’inserimento di elementi magici, ambientazioni incantate, tuttavia un margine di
invenzione c’è.
Sopratutto a Manzoni interessa completare la storia con un’analisi dell’interiorità dei personaggi: le loro
paure, i loro sentimenti che sono tutti elementi lasciati all’immaginazione ed invenzione del letterato.
Come si nota nella poesia Il 5 Maggio: è di fatto frutto della sua immaginazione pur rimanendo
verosimile, è possibile difatti che Napoleone in punto di morte abbia sofferto enormemente e che si sia
sentito solo.

● LA STORIA
Nell’Adelchi fa riferimento ad un periodo storico molto breve tra il 1772 e il 1774, quando Carlo Magno
scende in Italia, scontrandosi con i longobardi e tentando in primoluogo un accordo con il re dei
longobardi (Desiderio) che consisteva in un matrimonio combinato tra Carlo Magno ed Ermengarda, la
figlia di Desiderio.
Carlo Magno, in un primo momento è convinto di questo accordo rispettandolo e quindi non attaccando
i longobardi, ma conseguentemente le vicessitudini lo portano a considerare come molto appetibile il
territorio dei longobardi. La prima azione che fa per far intendere di voler venire meno all’accordo è
quella di ripudiare Ermengarda, quindi il matrimonio non aveva più senso, difatti per Carlo Magno il
matrimonio era solo combinato per motivi politici.
Per Ermengarda invece non era così, era veramente innamorata di Carlo Magno e a seguito del suo
ripudio soffre tantissimo, a tal punto da ritirarsi in un convento a Brescia, dove morirà schiacciata dal
dolore della sua storia d’amore. Rappresenta la figura di una donna fragile sovverchiata e schiacciata
dalle dinmiche del potere e dalla grande storia, è troppo buona e pura per poter sopravvivere in questo
mondo.
In lei ritroviamo la concezione fortemente pessimistica che Manzoni ha della storia umana, è stato
molto influenzato dai filosofi francesi conosciuti a Parigi, raggiungendo la madre Giulia Beccaria, aveva
incontrato un ambiente culturalmente attivo pieno di fermenti e in particolare era rimasto colpito dai
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filosofi francesi di stampo giansenista che davano una lettura molto cupa e pessimista della storia; che
difatto non lasciava spazio al bene nella storia. Manzoni è fortemente influenzato da questo gruppo di
lettura che trasferisce nelle sue opere, secondo lui nella storia il bene non c’è in quanto questa è fatta
dagli uomini e quest’ultimi sono legati da un desiderio di potere, da una malvagità anche di fondo che li
porta a scontrarsi, a fare soffrire e schiaccare le persone più pure e buone: Ermengalda ma anche
Adelchi, figlio di Desiderio e fratello di Ermengalda è il principe longobardo destinato a prendere il posto
del Re. Anche egli è schiacciato dalla discesa di Carlo Magno e dà questa lettura della storia; è un
personaggio destinato a soffrire e morire in battaglia perchè come sua sorella è troppo puro e buono per
avere uno spazio di serenità in questo mondo.

● LA SPERANZA
La speranza per Manzoni c’è e egli stesso la incontra nella propria vita, nel 1810 con la conversione al
cattolicesimo, quest’anno infatti segna uno spartiacque tra la sua vita precedente in cui era distaccato
dalla dimensione religiosa, per poi ritrovarla grazie alla moglie, Calvinista con uno spirito religioso molto
forte; i due si convertono insieme. La conversione fa si che Manzoni trovi per sè la speranza di una luce
che se non si può esprimere nella storia (nella vita terrena), si può esprimere dopo la morte. I personaggi
di Manzoni hanno tutti questa prospettiva, anche nella tragedia “Adelchi”, se non c’è speranza per
Ermengarda e Adelchi nella vita terrena, per loro ci sarà una speranza di redenzione e di serenità nella
vita dopo la morte.
Questa è la speranza che in qualche modo riscontriamo anche nel 5 maggio, la disperazione che
accompagna Napoleone alla morte, la solitudine assoluta in cui si trova, lascia spazio ad una speranza.
Questa visione la ritroviamo anche nei Promessi Sposi, non possiamo infatti realmente parlare di un lieto
fine, la trama conduce ad un esito positivo però è superficiale pensare ad un lieto fine in quanto vi è una
visione più amara, perché Renzo e Lucia continuano a scontrarsi con una realtà profondamente intrisa di
malvagità.
Lucia è la rappresentazione dell’animo puro, della giovane pia, credente, che non vuole mai fare
qualcosa contro le regole, nonostante ciò le vicende sono state negative anche nei suoi confronti; Lucia
ci dice difatti che bisogna comportarsi sempre in modo corretto ma ciò non significa che saremo esenti
dai problemi e dalle disgrazie poichè queste avvengono sempre e bisogna esserne consapevoli. La vera
forza sta infatti nel contrastare le situazioni negative.

● CANTUCCIO
Manzoni ama intervenire nei testi, nell’Adelchi ad esempio riserva ai suoi interventi una parte particolare
della tragedia, interviene durante il momento del “coro” che viene definito dall’autore: “il cantuccio
dell’autore”. Nella tragedia greca l’autore non interviene direttamente nella storia, il “coro” era utilizzato
per l’esplicazione dei sentimenti dei personaggi.

IL DISSIDIO ROMANTICO DI ADELCHI


PAGINA 397 VERSI 98-102

– Soffri e sii grande: il tuo destino è questo, Soffri e sii grande: il tuo destino è questo,
finor: soffri, ma spera: il tuo gran corso soffri ma spera, il cammino della tua vita gloriosa
comincia appena; e chi sa dir, quai tempi, quali è appena iniziato; e chi sa dire a quali sfide
opre il cielo ti prepara? il cielo ti prepara il cielo? Il cielo
che re ti fece, ed un tal cor ti diede. che ti ha reso re e ti diede un cuore puro
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In questi versi vi è Anfrido, lo scudiero di Adelchi, si rivolge ad Adelchi e con poche parole ci fa capire qual
è il suo ruolo, un personaggio puro che è destinato a soffrire nel mondo terreno.
Anfrido infatti gli dice che il suo unico destino è la sofferenza anche se ciò lo rende un personaggio
grandioso; la speranza è sempre presente dopo la morte mai nella vita terrena.
Adelchi è un principe, destinato a essere re, ma ha un cuore troppo puro e buono per un ruolo del genere,
quindi soffrirà costantemente. Manzoni crede che chi ha un ruolo importante nella società non può che
perpetrare il male.

LA MORTE DI ADELCHI
PAGINA 400 VERSI 351 - 359

Godi che re non sei, godi che chiusa all’oprar t’è Godi perchè non sei più re, godi perchè ti è
ogni via: loco a gentile, preclusa ogni possibilità d’azione: non vi è posto
ad innocente opra non v’è; non resta che far torto, per un’azione nobile o innocente, esente dalla
o patirlo. Una feroce forza il mondo possiede, e fa colpa; non resta che fare un torto o subirlo.
nomarsi dritto: la man degli avi insanguinata Una forza feroce domina il mondo, e si fa chiama
seminò l’ingiustizia; i padri l’hanno coltivata col diritto: la mano degli antichi insanguinata che
sangue; e omai la terra altra messe non dà. seminò l’ingiustizia, i padri l’hanno poi coltivata
con il sangue e ora la terra non dà altro frutto che
l’ingiustizia

In questo passaggio ci troviamo nel momento in cui, Adelchi in punto di morte si rivolge al padre
Desiderio, la consapevolezza del fatto che Carlo Magno stia sbaragliando l’esercito dei longobardi è
fortissima, i longobardi stanno perdendo i territori e difatto si avviano a perdere tutto, compresa la vita.
Adelchi dà una lettura di tutto ciò soprendente, dice infatti a Desiderio di essere felice di non essere più
un re, deve avere piacere di perdere il proprio ruolo in quanto non c’è nessun altra possibilità nella vita se
non di commettere un torto o subirlo. Tra le due possibilità, secondo Adelchi è meglio soffrire che fare
soffrire, perchè chiaramente soffrendo si dimostra anche una propria capacità di controllare il dolore e
sopratutto non si fa del male agli altri, per cui è meglio non essere più re per non far soffrire nessuno.
Il mondo possiede una forza feroce che si chiama “diritto”, per Manzoni qualsiasi manifestazione
dell’uomo, persino il diritto è negativo, questo che dovrebbe nascere per difendere i più deboli, viene ad
essere uno strumento di sopraffazione quest’ultimi, diventa quindi lo strumento che aiuta i più forti a
discapito dei più deboli. (esempio: avvocato Azzeccagarbugli nei promessi sposi, dove la legge viene
manipolata e aggirata per sottolineare la forza di chi riesce ad affermarsi; appena l’avvocato capisce
che Renzo cerca di metterlo contro Don Rodrigo, subito si tira indietro.) Tutto ciò che fa l’uomo è senza
speranza, e quindi anche il diritto lo è. Non si può che continuare a perpetrare il male e la sofferenza,
attraverso lo spargimento di sangue degli innocenti. Si vede quindi la lettura cupa e negativa della
storia che porta le figure come Adelchi o Ermengarda a soccombere.

LA MORTE DI ERMENGARDA
PAGINA 409
versi 1-30:

Sparsa le trecce morbide Con i capelli morbidi sparsi


sull’affannoso petto, sul petto scosso dall’affanno
lenta le palme, e rorida con le braccia abbandonate e
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di morte il bianco aspetto, con il volto pallido imperlato dal sudore


giace la pia, col tremolo giace questa fanciulla così buona, che con lo
sguardo cercando il ciel. sguardo cerca il cielo quasi a prendere coraggio
per la morte così vicina.
Cessa il compianto: unanime
s’innalza una preghiera: Smettono le lamentele delle suore: all’unisono
calata in su la gelida iniziano a pregare:
fronte, una man leggiera viene posta sulla gelida
sulla pupilla cerula fronte una mano dolce
stende l’estremo vel. che tende sugli occhi azzurri l’estremo velo (le
palpebre).
Sgombra, o gentil, dall’ansia
mente i terrestri ardori; O fanciulla gentile, sgombra dalla tormentata
leva all’Eterno un candido mente tutte le cose che ti tengono legata alla
pensier d’offerta, e muori: terra;
fuor della vita è il termine leva verso dio un pensiero
del lungo tuo martir. di offerta e lasciati morire:
Tal della mesta, immobile fuori dalla vita il tuo lungo cammino di sofferenza
era quaggiuso il fato: è finito.
sempre un obblio di chiedere
che le saria negato; Questo era il destino immodificabile
e al Dio de’ santi ascendere, dell’infelice sulla terra
santa del tuo patir. di chiedere sempre un oblio
che le sarebbe stato negato
Ahi! nelle insonni tenebre, e salire al Dio dei santi,
pei claustri solitari, resa santa dalle sue sofferenzza
tra il canto delle vergini,
ai supplicati altari, Ahi! Nelle notti insonni
sempre al pensier tornavano quando girava nel chiostro solitario
gl’irrevocati dì tra il canto delle suore (vergini)
e andava a supplicare dio,
sempre nel suo pensiero erano presenti
quei momenti mai dimenticati.

Ermengarda è in fin di vita che dopo essersi ritirata nel convento a Brescia, perde le proprie forze e si
abbandona al dolore e alla disperazione che hanno la meglio e la portano alla morte.
Nel passaggio iniziale vi è una descrizione di Ermengarda che in qualche modo richiama alcuni elementi
di descrizione di Napoleone nel 5 Maggio, dove egli divenne una figura statica. Ermengarda similmente
viene descritta in maniera statica, è difatti la morte dello spirito e dell’anima che coglie la ragazza prima
della morte fisica.
Lei giace immobile e volgendo lo sguardo al cielo, simbolo dello sguardo all’aldilà, ricerca e speranza di
una felicità reclusa nella vita terrena; solamente dopo la morte verrà a cessare la sua sofferenza.
Ermengarda ricorda il periodo trascorso con Carlo Magno elogiandolo come figura di condottiero e
amante.

versi 85-96:
ITALIANO, LETTERATURA

Sgombra, o gentil, dall’ansia O donna gentile, sgombra la mente


mente i terrestri ardori; affannata dalle passioni terrestri; eleva a
leva all’Eterno un candido Dio un puro pensiero di offerta, e muori:
pensier d’offerta, e muori: nello stesso suolo in cui il tuo corpo deve
nel suol che dee la tenera essere ricoperto dalla morbida terra,
tua spoglia ricoprir,
altre infelici sono morte consumate dal
altre infelici dormono dolore; spose vedove a causa della spada,
che il duol consunse; orbate e vergini fidanzate invano; madri che
spose dal brando, e vergini hanno visto impallidire i loro figli trafitti
indarno fidanzate;
madri che i nati videro
trafitti impallidir.

Si ha poi una visione della figura di Ermengarda, visione che accomuna tutte le figure femminili per
Manzoni (anche nei Promessi Sposi) che è legata alla visione medievale della donna, gentile nell’animo,
legata anche alla corrente stilnovistica.
L’azione in questi versi è maschile, le donne assistono: sono passive, osservano, c’è una visione
“tradizionale” della donna; Goldoni invece eracompletamente opposto, lui descriveva, per esempio con
la Locandiera, una donna furba, attiva, scaltra, anche se alla fine anche Mirandolina non riesce ad uscire
da quella figura passiva ma specialmente dalla vita che era stata designata per lei dal padre. Anche con
Boccaccio trovavamo donne imprenditrici, scaltre, padrone del loro destino; vi è all’interno di uno stesso
periodo storico però diverse visioni delle figure femminili.
Anche nei Promessi Sposi troviamo queste figure femmili passive:
● Lucia: è abbastanza passiva;
● Gertrude: è succube delle scelte del padre, prova a ribellarsi ma non riesce del tutto, rimane
sempre abbastanza passiva poichè non riesce ad emanciparsi del tutto.

versi 114-120:

Così Così
dalle squarciate nuvole il sole calante si libera delle nuvole
si svolge il sol cadente, squarciate, e, dietro al monte, colora
e, dietro il monte, imporpora l’occidente tremante: al pio augurio
il trepido occidente: straniero di un giorno più sereno.
al pio colono augurio
di più sereno dì.

Ermengarda muore, è il momento della sera e questo passaggio viene descritto da Manzoni con
un’annotazione naturalistica: come il cielo rosso augura una buona giornata lavorativa al contadino, lo
stesso cielo augura ad Ermengarda la serenità nell’aldilà, questa arriverà perchè per Manzoni non vi è la
speranza di felicità nell’aldilà ma la certezza.
Con questa certezza assoluta Manzoni si avvicina fortemente alla visione medievale della religione ma
specialmente a Dante.
ITALIANO, LETTERATURA

I PROMESSI SPOSI
È l’opera più importante di Manzoni, è stata redatta nella fase di produzione letteraria successiva al 1810,
dopo che è stato “illuminato” dalla sua conversione al cristianesimo, in questo periodo ha un fittissimo
periodo di produzione; è come se sentisse di avere qualcosa di importante da comunicare. Non è mai
stato completamente soddisfatto degli esiti che raggiungeva, è una caratteristica che accomuna molti
autori, come Petrarca.
I Promessi Sposi ha avuto subito un grandissimo successo, ma lui è sempre stato critico su alcuni aspetti
in particolare del romanzo e fino alla morte non si è mai sentito soddisfatto.

● FERMO E LUCIA
Nel 1821 comincia a lavorare sulla prima versione del romanzo che poi sarà “I Promessi Sposi”, che era
inizialmente intitolato “Fermo e Lucia”, Fermo è il primo nome attribuito a Renzo.
Questo primo testo però non viene mai stampato, infatti Manzoni nutriva grandissimi dubbi, perchè la
storia era molto ampia, prevedeva lunghe divagazioni, anche su personaggi minori, che andavano a
frammentare la storia rendendola meno accattivante.

● INTERVENTI
Nei Promessi Sposi rimangono comunque diverse parentesi dedicate ad alcuni personaggi: Gertrude
(Monaca di Monza), Frate Cristoforo e L’Innominato. Queste digressioni però rallentano meno la storia
rispetto a “Fermo e Lucia” che invece presentava tantissime digressioni.
Qualche elemento lo porterà all’appendice, come per esempio: la “storia delle colonna infame”, è un
testo a parte, distaccato rispetto alla storia dei Promessi Sposi. È un libro piccolo dove Manzoni tratta del
periodo della peste, parla dell’idea che la figura degli untori (sospettati di diffondere il contagio), durante
il periodo della peste fosse stata così forte da portare ad accusare persone innocenti di esserlo.

Inizia quindi a modificare alcune parti della trama e dei fatti, ma anche la lingua perché un altro aspetto
che non lo convinceva in “Fermo e Lucia” era quello linguistico: si rende conto che quest’opera è stata
scritta con un miscuglio caotico di lingue, milanese, francese, latino, forme dialettali e tanto altro. Ritiene
di doverci lavorare ma nei primi anni in cui inizia a scrivere i Promessi Sposi, non sa bene come
intervenire sull’aspetto linguistico per cui si sofferma maggiormente sui personaggi.

● PRIMA EDIZIONE
Dopo varie modifiche sulla trama e i personaggi pubblica la prima edizione nel 1827 (alla quale a
lavorato dal 1823), la pubblica dopo essere intervenuto dal punto di vista narrativo e per definire meglio i
personaggi: elimina episodi superflui, dedica meno spazio a personaggi minori e sposta alcune
vicende all’appendice. L’opera riscontra subito un grandissimo successo poichè dal punto di vista della
trama sono coinvolgenti, tuttavia Manzoni continua a non essere soddisfatto per cui dopo la
pubblicazione si rende conto dell’intervento linguistico che deve fare.

● LA LINGUA
Manzoni crede che da grande letterato può dare un grande impulso alla causa patriottica che si sta
affermando in Italia; deve lottare ed intervenire come intellettuale contro gli eventi che stanno
avvenendo, come Dante infatti anche Manzoni credeva che l’Italia avesse bisogno di avere una lingua ed
una cultura comune. Questa mancanza fa sì che l’Italia sia rimasta dal secolo di Dante, una penisola
fortemente divisa a livello culturale e linguistico e ciò facilitava anche la conquista da parte di stranieri.
Con questo romanzo vuole cercare di unificare, soprattutto nell’ambito linguistico e culturale l’italia;
vuole trasferire al suo romanzo una lingua viva, quella che sente per le strade. Egli crede che la lingua
che tutti dovrebbero parlare sia il fiorentino, per cui si trasferisce a Firenze per ascoltarla ed impararla;
ITALIANO, LETTERATURA

addirittura la sua domestica gli fornisce suggerimenti sui termini da utilizzare. Quindi lavora lungamente
sulla lingua e stravolge l’opera.

● SECONDA EDIZIONE
Nel 1840 inizia ad essere più soddisfatto ed inizia a pubblicare il romanzo a puntate, pubblicazione molto
utilizzata per i romanzi.
È una pubblicazione che dura molto tempo, 2 anni, per cui nel 1842 finisce di pubblicare la seconda
edizione dei Promessi Sposi.

A seguito di questa pubblicazione non fa ulteriori modifiche anche se non era totalmente soddisfatto; nel
1850 pubblica un saggio “del romanzo storico” che parla di come dovrebbe essere il romanzo storico
ideale, e si rende conto che i Promessi Sposi (che è un romanzo storico) non era come lui voleva.
Si rende conto che il peso della parte storica, delle informazioni reali doveva essere maggiore, si accusa
di aver lasciato troppo spazio alla fantasia. Secondo lui il letterato deve avvicinarsi sempre di più allo
storico, trattando fatti realmente accaduti e non fatti fantasiosi; nell’ultima fase della sua attività
letteraria si dedica ai saggi, lascia andare il romanzo e non fa ulteriori modifiche pur considerandolo un
fallimento.

● IL MANOSCRITTO
Per farlo sembrare il più possibile un libro che tratta di fatti storici e per togliersi la responsabilità delle
critiche, finge di aver trovato un manoscritto, una storia già inventata per la quale rielabora alcune
caratteristiche linguistiche.
Quest’azione la fa per due motivi:

● Come intellettuale vuole affermare il desiderio di ottenere l’indipendenza dalle potenze


straniere (in quel momento gli austriaci); non potendo esporre i fatti reali della sua epoca
poiché temeva la censura o addirittura il carcere dichiara di aver trovato una storia già
inventata. La storia l’ambienta nel ‘600 dove i dominatori stranieri erano gli spagnoli così
da accusare gli austriaci indirettamente → si svincola dalla responsabilità della scrittura;

● Manzoni vuole raccontare il vero, per cui fingendo di aver trovato il manoscritto, esplica
che ciò che sta scrivendo tratta di fatti reali, personaggi realmente esistiti. Anche ciò che
aggiunge con la fantasia, finge di non averlo scritto lui così da togliersi la responsabilità di
trattare eventi inventati e quindi avvicinandosi al suo ideale di romanzo storico.

Gli ambienti che troviamo all’interno del romanzo, come gli eventi e i personaggi sono veri: paesi della
lombardia come Lecco, Milano e Bergamo.

LA CONCLUSIONE DEL ROMANZO


PARADISO DOMESTICO E PROMOZIONE SOCIALE, PAGINA 459 DALLA RIGA 44
Renzo e Lucia che vogliono sposarsi, vedono ostacolati i loro progetti a causa di Don Rodrigo inizialmente,
fatti storici come i tumulti di Milano che costringono i due ad allontanarsi, il diffondersi della peste con i
problemi sociali che ne conseguono.
Superate queste peripezie Renzo e Lucia riescono a sposarsi; questo che può essere visto come un lieto
fine, è in realtà un momento che ha una lettura più sottile e complessa.
Sembra un lieto fine, una delle vite più felici ed invidiabili che non possono essere raccontate dato che
sembrano quasi noiose; la letteratura dev’essere coinvolgente non trattare di storie felici.
Renzo e Lucia si traferiscono a Bergamo, dove abita il cugino di Renzo e dove questo si era rifugiato dopo
i tumulti di Milano; Bergamo cadeva sotto lo stato della Repubblica di Venezia.
ITALIANO, LETTERATURA

L’editto che viene emanato a Venezia permette un’esenzione dalle tasse per 10 anni; Renzo e Lucia
ebbero una bambina e Renzo, per rispettare la promessa che aveva fatto a Lucia dopo che l’era stato
sciolto il voto, chiamò sua figlia “Maria”.
Manzoni ha sempre l’idea di una letteratura pedagogica, che insegni per cui vuole far passare il
messaggio della cultura come valore essenziale. Renzo ha imparato tanto dalla sua storia, è maturato
dalle proprie esperienze.

Quando Lucia ascolta le parole di Renzo ha un dubbio, ed è qui che entra quell’elemento che incrina il
lieto fine della storia. Lucia così, senza avere una cultura o formazione che le permetta di capire il perché
della sensazione che ha, senza avere gli elementi culturali, si rende conto che la spiegazione che Renzo
dà delle vicende non è attendibile alla realtà. I problemi si sono manifestati non solo per Renzo ma
anche nei confronti di Lucia, nonostante lei non abbia cercato problemi o avuto atteggiamenti ambigui
nei confronti di Don Rodrigo, come invece sospetta Renzo all’inizio.
Lucia è completamente innocente nei comportamenti che ha avuto, è la rappresentazione di colei che
ha sempre rispettato le regole, che non avrebbe dovuto avere problemi. La condotta più cauta e
innocente non basta a tener lontani i problemi (r. 76-77); è un elemento presente anche nell’Adelchi, gli
eventi terribili si accaniscono in maniera particolare le anime pure e innocenti che soffrono nella vita
terrena, ricercando sempre la serenità dopo la morte. Questi episodi spiacevoli devono fornire però degli
insegnamenti, deve essere motivo di crescita personale e maturazione.

Vi è una pre-determinazione dei fatti legata ad un bene superiore che a noi non è dato conoscere,
Manzoni è influenzato dalla filosofia giansenista in base alla quale il comportamento dell’uomo non può
in alcun modo modificare la volontà di Dio.
Manzoni non è così determinato nell’accettare questo tipo di lettura, per lui l’agire umano ha un peso
forte, una sua importanza ma non a tal punto da modificare i fatti che avvengono durante lo
svolgimento della vita sulla Terra.
La lettura di una conclusione dei fatti che è positiva, che termina con il matrimonio ed una vita serena,
nel ma sempre comunque nel confronto con la negatività che la storia porta con se è il sugo del
romanzo.

Le ultime righe Manzoni se le ritaglia per sé, lui ama intervenire nei testi, nell’Adelchi ad esempio riserva ai
suoi interventi una parte particolare della tragedia, interviene durante il momento del “coro” che viene
definito da Manzoni: “il cantuccio dell’autore”. Nella tragedia greca l’autore non interviene direttamente
nella storia, il “coro” era utilizzato per l’esplicazione dei sentimenti dei personaggi.
Manzoni prende parola direttamente, rivolgendosi al lettore stesso, richiama l’artificio del manoscritto,
facendo riferimento all’autore della storia trovata; e anche a chi ha “raccomodato” la storia, modificata.

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