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Alessandro Manzoni

Manzoni è l’autore più rappresentativo del romanticismo italiano poiché rispetto a Leopardi, aderì
in maniera più esplicita e perché in lui si vede un romanticismo più attento alla realtà.

Manzoni nasce a Milano nel 1785 da Giulia Beccaria e Pietro Manzoni. C’è chi dice che Manzoni
non era figlio di Pietro Manzoni ma di Giovanni Verri, ma il figlio fu riconosciuto comunque da
Manzoni Senior. In quanto sua madre era figlia di Cesare Beccaria (il maggiore illuminista italiano)
e in quanto viveva a Milano che era stato il maggiore centro illuminista, Manzoni ebbe la possibilità
di crescere in un contesto che era uno dei più aggiornati. La relazione dei suoi genitori non fu una
delle più felici e per questo i due si separarono molto presto nel 1792. Dopo la separazione la madre
andò a vivere a Parigi con il conte Carlo Imbonati e Manzoni fu educato in dei collegi religiosi,
presso i padri Barnabiti di Milano e trasferendosi anche a Lugano. Negli anni giovanili si avvicinò
molto alle idee della Rivoluzione francese (scrivendoci anche un poemetto giovanile “Il trionfo
della libertà”), tanto che il padre preferì allontanarlo da Milano e portandolo a Venezia. Nel 1805
Manzoni vuole andare a trovare la madre a Parigi per conoscere anche il patrigno, ma Carlo
Imbonati morì prima che Manzoni li raggiungesse. La madre però parlò molto del suo defunto
marito tanto che Manzoni decide di scrivere un carme “In morte di Carlo Imbonati”, questa opera
darà il via alla sua attività letteraria. A Parigi grazie alla madre, Manzoni riuscì ad instaurare
rapporti importanti con intellettuali del tempo. Nel 1807 inizia una crisi spirituale a causa della
morte del padre. Nel 1808 si sposò con una ragazza svizzera Enrichetta Blondel con rito calvinista.
Dopo le nozze vi fu un progressivo avvicinamento alla fede, per intercessione sia della madre ma
soprattutto grazie a padre Eustachio Debola. La moglie seppur calvinista era molto interessata alla
tematica religiosa, e dopo la conversione della moglie, Manzoni riscopre la fede in modo graduale.
Si narra che Manzoni il 2 aprile 1810 ebbe un attacco di agorafobia a Parigi e dopo questo episodio
si convertì del tutto. La conversione religiosa segnò anche una conversione estetica, abbandonando
lo stile neoclassico e cominciando ad avvicinarsi al romanticismo, forse perché nello stile
neoclassico era molto presente la mitologia classica e in quanto Manzoni sentiva forte il bisogno di
verità, questo continuare ad utilizzare le divinità pagane per estetica non rispecchiava più il suo
essere. Nell’anno della conversione religiosa stava scrivendo un poemetto mitologico, “L’Urania”
che decise di abbandonare.

Sul piano letterario i primi frutti della sua conversione furono gli “Inni Sacri”, componimenti
religiosi nella forma di inno cioè in modo oggettivo. Il progetto originario comprendeva 12 inni in
corrispondenza con le principali feste dell’anno liturgico. In realtà il progetto rimase incompiuto
scrivendo solo: La Resurrezione 1812, Il nome di Maria 1813, Il Natale 1813, La passione 1814, La
Pentecoste scritto tra il 1817 e il 1822 è un’opera più matura e poi uno rimasto incompleto
Ognissanti. Vi è l’abbandono totale dello stile lirico petrarchesco poiché non sono soggettive ma
semplicemente descrive in modo oggettivo e collettivo come vengono celebrate queste feste. Sono
scritte in ottonari, strofe saffiche, settenari, endecasillabi. La religione cristiana non è una religione
che accentua la dimensione del trascendente, in quanto Dio si è fatto uomo e in quanto uomo ha
avuto un’esistenza storica ed è entrato nella storia, questo è anticipatorio del tema della provvidenza
nel romanzo, per Manzoni la riscoperta della fede ha significato anche una valorizzazione della
storia. Questo lo si vede soprattutto nelle Odi Civili e nelle tragedie storiche. Conclusione: per
Manzoni la storia e la fede non erano due realtà diverse, ma che si incontrano.
Nel frattempo, avviene il passaggio dall’età napoleonica all’età della restaurazione. Manzoni non
partecipò in maniera attiva ai moti rivoluzionari, ma li sostenne idealmente infatti nel 1821 scrive
un’ode “Marzo 1821” in cui si parla proprio dei moti rivoluzionari. In questo componimento
Manzoni auspica il passaggio del Ticino, cioè spera che le truppe piemontesi possano passare il
confine e aiutare i patrioti lombardi (moti del 20’ che fallirono nel mandare via gli austriaci dal nord
Italia). Per la morte di Napoleone sull’isola di Sant’Elena, Manzoni scrisse il “5 maggio”, quindi
un’altra tematica riguardante la storia.

Gli anni 1821-22 sono i più fecondi sul piano della produzione letterale. Nel 1823 scrive la lettera
sul romanticismo al marchese d’Azzeglio, esprimendo quindi piena consapevolezza della sua
poetica romantica. Un altro genere significativo a cui si è dedicato prima di scegliere il romanzo,
sono le tragedie scrivendo anche degli scritti teorici su cui rifletteva sul senso del teatro oltre ad
avere scritto due tragedie storiche “Il conte di Carmagnola” e “l’Adelchi”. Scrive anche una lettera
indirizzata a monsieur Chauvet, la lettera divenne una sorta di manifesto teorico. Egli riscopre
anche Shakespeare e Alfieri anche se erano classiche.

Tra il 1821-23 scrive i Promessi Sposi, la prima edizione a stampa è del 1827. Nella seconda parte
della sua vita si dedicò alla revisione del romanzo, a scritti di tipo teorico chiudendo così la parte
più creativa della sua vita, poiché contribuirono molto le sue vicende personali, ad esempio, la
morte della moglie Enrichetta (anche se dopo si risposò) e la morte di alcuni dei suoi dieci figli,
rabbuiando la sua visione delle cose. Il suo forte interesse della storia lo portò ad avere un rifiuto
delle opere poetiche che comunque erano inverosimili (mix tra storia ed invenzione). Diventò un
personaggio significativo del panorama italiano, tanto che dopo l’unità d’Italia fu nominato senatore
del regno. Muore a Milano all’età di 89 anni nel 1873.

Le tragedie
Manzoni riflette sul teatro, in uno dei suoi scritti dice che la letteratura deve avere per oggetto il
vero, per scopo l’utile, per mezzo l’interessante, lo stesso vale per i generi teatrali. Per avere per
oggetto il vero Manzoni, non deve scegliere il mito ma una parte di storia che vuole raccontare
(infatti scrive due tragedie storiche), anche Alfieri aveva inserito la storia nelle sue tragedie ma le
scriveva secondo i canoni classici quindi rispettando le tre regole aristoteliche (unità di tempo,
azione e luogo). Secondo Manzoni però il modello classico che puntava molto sull’efficacia della
tragedia (unità di tempo, la tragedia racconta solo le ultime 24 ore e poi fa flashback), decide quindi
di scrivere la sua prima tragedia senza rispettare queste regole. Come modello di riferimento,
quindi, non c’è Alfieri bensì autori come Shakespeare che avevano scritto in maniera più libera. Per
Manzoni la tragedia non deve puntare troppo sull’emotività dello spettatore, ma deve lasciargli la
lucidità per esprimere un giudizio sulla storia. In una tragedia i personaggi devono essere
personaggi illustri, quindi re principi.

Il conte di Carmagnola: la stesura va dal 1816-19 mantenendo i cinque atti tipici del
classicismo, viene pubblicata intorno al 1820 e rappresentata per la prima volta nel 1828 a Firenze
senza ottenere successo poiché le tragedie manzoniane appaiono adatte più alla lettura che alla
rappresentazione. Questa tragedia suscitò pesanti critiche soprattutto da uno studioso francese
monsieur Chapeau che scrisse che il Carmagnola doveva essere riscritto interamente, in quanto non
rispettava le regole aristoteliche.
La trama: è ambientata nel 1400 nell’età rinascimentale e racconta la storia di Francesco Bussone,
capitano di ventura (esercito mercenario), che lavorò prima per Milano e poi per la repubblica di
Venezia. Successivamente le due città si dichiararono guerra e Francesco Bussone portò alla vittoria
veneziana durante la città di Maclodio (1427), ma si comportò in maniera troppo indulgente con i
milanesi che aveva catturato e fu accusato di tradimento e condannato a morte. Non sappiamo
effettivamente se fu troppo buono o no, ma Manzoni si convinse della sua innocenza disegnandola
come una vittima degli intrighi del senato veneziano.

I temi: l’eroe virtuoso e ideale schiacciato da un potere ingiusto. Si può intravedere un riferimento
alla situazione frammentaria della politica italiana del 1400 a cui si può paragonare la situazione
politica del 1800 (che è la stessa).

La struttura: la tragedia viene scritta in maniera diversa rispetto alle tragedie alfieriane. Infatti,
essa non racconta le ultime 24 ore dei fatti narrati, ma narra un arco di tempo di 7 anni quindi non
rispettando l’unità di tempo. Il linguaggio tende a una maggiore comunicatività, restando comunque
classicistico e uso di cori estranianti per commentare l’azione. I cori non erano presenti nelle
tragedie di Alfieri, ma Manzoni li riprende dal teatro antico. Nella tragedia antica però era
materialmente presente un coro, che oltre cantare interagiva (con il suo portavoce il corifeo) con gli
attori. Nel Carmagnola invece, il coro viene concepito come un intermezzo lirico, cioè un
componimento poetico di tipo corale, che viene posto da Manzoni tra un atto e l’altro per
commentare la scena. Manzoni definisce il coro “il suo cantuccio”, ovvero un angolino in cui può
dire la sua rispetto alla rappresentazione. Nel Carmagnola è presente un solo coro, in cui viene
descritta la battaglia di Maclodio. Nell’Adelchi sono presenti due cori.

L’Adelchi: la stesura inizia intorno al 1820, poi però si interrompe in quanto stava iniziando a
scrivere il romanzo. In una lettera indirizzata all’amico Fourier, egli si dice insoddisfatto di ciò che
stava scrivendo. Comunque, nel 22’ pubblica la tragedia insieme ad un testo storico (per far capire
che si era documentato) Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia. La prima
rappresentazione è nel 1843 anche questa senza un vero successo.

La trama: Ci troviamo catapultati in un’epoca storica molto lontana, prima dell’anno mille, poco
prima che Carlo Magno divenne imperatore e l’Italia era ancora sotto il dominio dei Longobardi.
Manzoni tratta proprio il periodo di passaggio dai longobardi a Carlo Magno. Protagonisti sono re
Desiderio (ultimo re dei Longobardi), Carlo (dei Franchi), i due figli di re Desiderio, Adelchi ed
Ermengarda. Re Desiderio era entrato in conflitto per alcuni territori con papa Adriano I,
quest’ultimo chiamò in aiuto Carlo che poco prima aveva sposato la principessa Ermengarda.
questo mise in difficoltà Carlo perché da un lato voleva rispondere alla richiesta di aiuto del papa
(in quanto gli dava una scusa per scendere in Italia e casomai occupare il territorio che per ora
apparteneva ai Longobardi), dall’altro era imbarazzato dal fatto che aveva la moglie longobarda
quindi dichiarare guerra al popolo di sua moglie. Di fatto però ripudiò la moglie, che ritornò in
Italia chiudendosi in un convento dove successivamente morì di crepacuore, e dichiarò guerra a re
Desiderio. Riuscì ad entrare in Italia presso un valico delle Alpi suggerito da alcuni gruppi
longobardi (traditori). I Longobardi furono sconfitti, ma tra i due ci fu un accordo, dove erano
stanziati i longobardi subentravano i franchi. Le vittime del conflitto saranno Ermengarda e Adelchi
che morirà in battaglia.
La struttura: la tragedia abbraccia un arco di tempo di due anni.

I temi: nella tragedia è presente un maggiore aggancio con la realtà, lo si nota soprattutto grazie ai
cori. In questo conflitto tra i Longobardi e i Franchi rimaneva schiacciato il popolo che abitava
quelle terre, coloro che vengono chiamati i Latini, che dopo la caduta dei Roma erano stati
sottomessi dai popoli barbarici che avevo conquistato l’Italia. È visibilmente presente un
parallelismo con l’Italia dell’800’, in quanto era stata contesa dagli austriaci e dai francesi
(Napoleone). Infatti, alla censura austriaca non piacque questa tragedia anche se apparentemente era
ambientata in epoca medievale (il medioevo era spesso utilizzato dai romantici). Manzoni aveva
letto gli studi fatti da un intellettuale francese De Vi, che lo influenzarono nella stesura, De Vi
metteva in evidenzia che c’erano delle popolazioni che erano passate nella storia senza quasi
lasciare tracce storiche, si trattava in genere di popoli sottomessi (la storia spesso è la storia dei
vincitori). Il coro dell’atto III si pone proprio questa domanda, dove erano i Latini? Probabilmente
si erano illusi di poter essere liberati da Carlo, come nel suo tempo ci si era illusi di poter essere
liberati da Napoleone che tuttavia firmò il trattato di Campoformio.

Il tema della provvida sventura nell’atto IV, in cui la vicenda è esistenziale e personale in questo
caso il dramma di Ermengarda. è tutto pessimistico. Adelchi rappresenta l’eroe buono, inoltre la
storia non è proprio vera storicamente ma è “romanzata”.

Ci sono due brani

Ermengarda era una vittima, ma proveniva comunque dalla sua famiglia che di base era una
famiglia nobile. Il dolore ha una funzione provvidenziale perché purifica Ermengarda e la rende
più pronta per il regno dei cieli. Nel brano è presente un pessimismo storico perché non sempre
nella storia gli usurpatori vengono puniti, però è reso meno duro poiché è presente la speranza
cristiana ovvero un mondo migliore nell’aldilà. È presente la provvida sventura, che è provocata
dagli uomini ma Dio può servirsi di questo dolore per purificare Ermengarda.

Nel romanzo il concetto di provvidenza è più ampio rispetto a quello della nobile sventura, ovvero
l’intervento di Dio nella storia degli uomini, intervento che si vede sia in fatti lieti che meno lieti.
La mano di Dio però non toglie la responsabilità degli uomini perché altrimenti gli uomini non
sarebbero liberi e responsabili delle loro azioni, ma accompagna semplicemente la storia.

Il 5 maggio

Fa parte delle odi civili, la prima è marzo 1821 che parla dei moti rivoluzionari che saranno esplosi
di lì a poco, la seconda è proprio il 5 maggio dedicata alla morte di Napoleone. Manzoni rimane
colpito dalla notizia della morte di Napoleone, in generale l’autore non era stato un simpatizzante di
Napoleone, infatti, non gli ha mai dedicato nulla né nel bene né nel male, perché nel bene e nel male
aveva segnato un’epoca, era stato un arbitro tra il 700’e l’800’ che l’autore definisce “l’un contro
l’altro armato”. Manzoni riflette su quella che era stata la parabola, prima ascendente e poi
decadente di Napoleone. L’autore riflette sulle giornate passate da Napoleone sull’isola di
Sant’Elena, era inoltre giunta la notizia che negli ultimi tempi Napoleone si era avvicinato alla fede,
Manzoni quindi accoglie questa idea e la sviluppa, questa differenza dell’esilio abbia contribuito
alla sua purificazione e che Dio lo possa avere accolto (dove non è dato saperlo) ma non per i meriti
passati ma per la sua apertura alla fede e per le sue sofferenze negli ultimi anni. In tutto ciò vince la
fede, infatti, le ultime due strofe sono dedicate a lei. Qui il poeta costruisce un’antitesi tra superba
altezza e disonore del Golgota, umanamente Napoleone era stato una superba altezza ma in fondo
diventa grande quando si piega al disonore del Golgota cioè quando accetta la fede nella sua vita.
La fede deve allontanare dalle stanche ceneri ogni parola malvagia. “il Dio che atterra e suscita”
forse in questa strofa c’è l’eco del Magnifica di Maria riportato nel vangelo in cui Dio viene
definito come colui che abbatte i potenti degli uomini e innalza gli umili. Questa è una tematica
anche presente nei Promessi Sposi, in particolare nell’episodio della notte dell’Innominato, in cui
Lucia trova consolazione pregando ovvero il Dio che suscita e che consola, mentre l’Innominato
sperimenta il Dio che atterra e che affanna, ed è dove sente il disgusto della sua vita.

Che cosa hanno in comune Napoleone ed Ermengarda? In comune hanno la provvida sventura,
cioè tutte e due sono stati dei potenti (anche se Ermengarda non è direttamente responsabile di
quello che accade), ma ad un certo punto tutte e due soffrono e questa sofferenza, più innocente per
Ermengarda un po’ più colpevole per Napoleone, ha il potere di purificare cioè alla fine si rivela
provvida. Cioè se Nap. Sarebbe rimasto sul trono fino alla fine dei suoi giorni probabilmente non si
sarebbe salvato, ma si salva grazie alla solitudine e alla sofferenza (quando finisce la gloria umana
ha la possibilità di aprirsi).

La Pentecoste

Fa parte degli Inni Sacri, il primo frutto della conversione di Manzoni ma la Pentecoste viene
aggiunta dopo qualche anno 1822, contemporaneamente alla stesura del romanzo. Si nota nella
Pentecoste una visione diversa della Provvida sventura, ci si apre maggiormente al concetto di
provvidenza così come sarà nel romanzo. La Pentecoste è la discesa dello Spirito santo agli apostoli
riuniti nel cenacolo 50 giorni dopo la Pasqua. Il significato è diffondere la parola di Dio e viene
considerato l’inizio della Chiesa e l’inizio della predicazione degli apostoli.

È formata da versi settenari, quindi ha un andamento rapido con frequenti enjambement che
spezzano il ritmo. la si può suddividere in tre parti, la prima parte è introduttiva ed è dove viene
descritta la discesa della Pentecoste, la seconda parte fa vedere le conseguenze immediate della
Pentecoste (lingue). All’inizio di questa parte si rivolge prima alle donne incinte vicine al parto
dicendogli di affidarsi non a giunone ma a Dio, poi agli schiavi che saranno sollevati insieme ai
padroni. Nell’ultima parte è come se Manzoni si rivolgesse allo spirito Santo, invocandolo.

Il vincitore (Dio stesso) si offre come premio a chi si è “arreso” a Lui nella fede, proprio questa
lotta Manzoni la conosceva bene, dopo le sue lotte giovanili alla fine si era come arreso ed aveva
accolto Dio nella sua vita.

Il sole fa sbocciare il fiore, ma se dopo la piantina viene spostata e portata al buio dopo un po’ si
affloscia e muore. Quindi non solo il fiore ha bisogno del sole per sbocciare, ma per aprirsi in tutta
la sua bellezza ha bisogno del nutrimento datogli dai sole. Lo spirito santo viene chiamato donatore
di doni (i sette doni dello Spirito Santo: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà,
timore di Dio), e questi doni hanno bisogno di essere alimentati, come la piantina.

Alla fine, vengono ricordati tutti i componenti del popolo, i bambini, le giovani, le suore, i giovani,
gli uomini, i vecchi. Lo spirito santo non annulla la diversità, ma la valorizza.
Come nel 5 maggio e in Ermengarda, anche qui l’ultimo pensiero va alla morte dove lo Spirito
Santo deve aiutare nella fatica.

La Pentecoste può essere un’introduzione al romanzo, perché se si immagina l’azione dello spirito
nel mondo e come se vi fosse una visione più ampia dell’azione di Dio nel mondo rispetto alla
provvida sventura. Qui è presente un concetto diverso, ovvero il concetto di provvidenza che si
manifesta attraverso quest’azione dello spirito santo nel mondo. La provvidenza è l’azione di Dio
nella storia degli uomini e quest’azione è proprio lo spirito santo. Nella Pentecoste è presente una
visione più simile a quella presente nel romanzo; infatti, lo spirito volge al bene anche determinati
fatti che potevano anche finire male (la notte degli imbrogli dove l’azione discutibile del
matrimonio a sorpresa servono però al disegno provvidenziale perché impediscono che Lucia venga
rapita, Dio non gradiva il matrimonio a sorpresa ma se ne serve oppure la notte in cui lo spirito
scende sull’Innominato).

I Promessi Sposi
Manzoni si avvicinò al genere del romanzo dopo la lettura dei romanzi di Scott (che erano
ambientati nel medioevo, quindi era presente uno sfondo storico come base per la storia inventata),
infatti capì le potenzialità di questo genere letterario. Ad avvicinarlo nella lettura di Scott fu l’amico
francese Fourier. Nella lettera sul romanticismo per il marchese d’Azzeglio, Manzoni dice che la
letteratura deve avere come oggetto il vero, per scopo l’utile e per il mezzo l’interessante. Il vero
può essere dato dallo sfondo storico, lo scopo è la finalità educativa dell’opera (intento pedagogico),
per mezzo l’interessante che è dato da tutti gli elementi che possono essere inventati ma che
rendono accattivante la vicenda. Per Manzoni è quindi importante mettere insieme il vero e
l’interessante. Scrivere un romanzo rispondeva bene a quella esigenza che era emersa nel Dibattito
Romantico, ovvero quello di allargare il pubblico. Il romanzo storico è un misto tra storia ed
invenzione.

La composizione del romanzo inizia intorno al 21-22 ma viene pubblicata la prima volta nel 1827
(edizione ventisettana), prima di questa edizione aveva cambiato il titolo da prima Fermo e Lucia,
poi Gli Sposi Promessi e poi con il titolo con il quale fu pubblicata I Promessi Sposi. La prima
edizione è quella del 23’ (anche se il romanzo è scritto e non pubblicato), mentre dopo l’uscita
dell’edizione del 27’ Manzoni si dedicò alla revisione del romanzo e si arrivò ad una nuova
edizione nel 1840 con una revisione linguistica. Quindi nell’edizione quarantana che è anche
quella definitiva. Per Manzoni è importante il vero storico e il vero poetico, per questo “inventa” il
verosimile. Il vero poetico è dato da tutti quegli elementi psicologici e interiori che non possono
essere documentati storicamente ma che possono essere intuiti dall’artista. Il vero storico è dato
dallo sfondo storico, dal nome delle autorità, dalla peste a Milano.

Esso è ambientato nel 600’, scegliendo questo periodo storico Manzoni studiò i documenti del
tempo per farsi un’idea su quello che era stata la dominazione spagnola in Italia (parallelismo con la
dominazione austriaca del suo tempo). Egli lesse Le storie Milanesi di Giuseppe Ripamonti, il
Saggio di Melchiorre Gioia sul commercio dei commestibili e caro prezzo del vitto (cioè un saggio
sull’inflazione del Seicento), questo in particolare fu importante per l’episodio in cui Renzo si trova
in mezzo alla protesta per il rialzo del prezzo del pane. Lesse anche il passo di una grida (riportata
nel saggio di Melchiorre Gioia), legge emanata dal governatore di Milano, che prevedeva pene
severe a chi impedisse la celebrazione di un matrimonio. Questa grida inspirò proprio la storia e
pensò di scrivere la storia di un matrimonio impedito. È una bella storia perché è presente la storia
d’amore che può essere accattivante, ma c’è anche lo sfondo ben costruito, la tematica
dell’ingiustizia. La stessa grida fu trascritta nel capitolo terzo del romanzo, inserita nell’episodio in
cui Renzo si reca nell’avvocato Azzeccagarbugli. Nello scrivere il romanzo Manzoni si inventa
l’espediente del manoscritto ritrovato del Seicento e per questo molto complicato nella lettura (per
lo stile barocco). Si inventa il manoscritto per diversi motivi, per farlo sembrare più vero, per
sfuggire alla censura austriaca ma quella più importante è che è come se l’autore volesse prendere
una distanza dal romanzo come per renderlo più oggettivo, può giudicare cosa scrive l’autore cioè
crea questo vuoto sul romanzo che lo lascia più libero nei confronti della storia stessa.

Le differenze dal Fermo e Lucia ai Promessi Sposi

Ci sono delle notevoli differenze tra il Fermo e Lucia e i Promessi Sposi, perché l’autore modificò
storia, personaggi e vicende, tanto che alcuni dicono che è quasi un’altra storia. Manzoni soprattutto
sfoltì la trama da cose che potevano essere in eccesso, inoltre riuscì a fare delle scelte più incisive.
Ad esempio, quello che era il conte del Sagrato nel Fermo e Lucia (FeL), nei Promessi Sposi (PrSp)
divenne l’Innominato, che sortisce di più l’effetto di dare al personaggio quell’aurea di mistero. Ne
modificò anche la storia perché nel FeL raccontava come era diventato un delinquente, ad esempio,
si chiamava conte del Sagrato perché aveva ucciso un uomo nel sagrato di una chiesa, mentre nei
PrSp questa storia viene annullata. Un altro intervento importante fu nella storia della monaca di
Monza, nel FeL la sua storia era dettagliatamente descritta e veniva raccontato l’omicidio della
conversa diventando quasi un romanzo nel romanzo, nei PrSp Manzoni decide di tagliare la storia e
l’uccisione della conversa non viene raccontata ma solo citata (la sventurata rispose). Comunque, la
storia della monaca di Monza rimane lungo almeno due capitoli. Un altro intervento molto
importante è la cosiddetta diceria degli untori, perché nel FeL Manzoni descrive dettagliatamente il
diffondersi della peste a Milano e riporta le dicerie secondo cui c’erano persone che andavano in
giro a diffondere appositamente la peste. Alcune di queste persone erano stata condannate a morte
dopo aver confessato sotto tortura. Per non dilungarsi troppo troppo, nei PrSp toglie tutto il
processo agli untori e successivamente se n’è occupò in un’altra opera La storia della colonna
infame, dove ricostruisce il processo agli untori.

La struttura del romanzo

 I capitoli 1-8 sono chiamati quelli della Fase borghigiana, perché ambientati nel paesino di
Renzo e Lucia. Narrano un numero elevato di fatti concentrati in 4 giorni dal 7 al 10
novembre 1628.
 Dal 9-17, è il momento in cui la microstoria incontra vicende più ampie. I protagonisti si
separano e Lucia prende la via di Monza, Renzo va a Milano. La vicenda di Lucia è nel
chiuso del monastero dove viene a contatto con i personaggi storici, può essere chiamato il
romanzo di Lucia.
 Dal 18-26, sono invece dedicati all’avventura di Renzo a Milano (tumulti, viene scambiato
per uno dei rivoltosi, scappa). Egli si muove in spazi aperti e prende parte alla rivota l’11 e il
12 novembre. È costretto a scappare fino a quando non va a rifugiarsi a casa del cugino.
 Dal 27-32, sono i capitoli dedicati alla peste, ai lanzichenecchi.
 32-38 ritorno al borgo e matrimonio.
La tipologia dei personaggi

Vi sono tre tipi di personaggi alcuni sono storici, alcuni inventati, altri sono inventati a metà.

 I personaggi storici sono i potenti del tempo o le autorità spagnole di cui veniva fatto il
nome: Federico Borromeo. Questi personaggi servono per dare veracità alla storia;
 I personaggi inventati, sono i protagonisti: Renzo, Lucia, don Abbondio, fra Cristoforo.
Essi sono inventati ma su una base di verosimiglianza (vero poetico);
 I personaggi a metà, con fondamento storico ma adatti al romanzo: la monaca di Monza
perché prese la storia dalle cronache del tempo. In generale le monacazioni forzate erano di
moda allora. Anche l’Innominato fa parte di questo gruppo di personaggi.

Manzoni sente molto il tema delle ingiustizie che ripresenta in Renzo e Lucia, nell’episodio
dell’Azzeccagarbugli, nella vicenda degli untori, nella violenza di don Rodrigo. Nella parte in cui
dice del manoscritto, scrive di aver trovato una storia su “genti meccaniche e di picciol affare”, cioè
una storia che parla di due giovani del popolo che non andrebbero mai in un libro di storia. Mentre
nelle tragedie doveva per forza parlare di personaggi illustri, nel romanzo invece può focalizzarsi
sugli umili e anzi i potenti compongono lo sfondo. Inoltre, per quanto riguarda la tematica della
provvidenza, mentre si intrecciano nel corso del romanzo le vicende degli uomini, è presente anche
un filo invisibile che percorre gli eventi e che poi rimette a posto le cose in una maniera che va oltre
la provvida sventura. Infatti, grazie alla provvidenza, la giustizia trionfa anche in questa vita, grazie
all’intercezione della peste.

Il lieto fine senza idillio

I promessi sposi sono un romanzo in cui è presente un finale ma non idillico. Infatti, Manzoni ha
una visione realistica, ha un lieto fine ma nella società continuano ad esserci le ingiustizie. Ad
esempio, anche don Abbondio è un personaggio statico, ovvero si alla fine li sposa ma non è così
convinto di aver sbagliato. Anche il fatto che alla fine Renzo e Lucia preferiscono trasferirsi per
evitare commenti della storia è per la visione realistica. Renzo però nel corso della storia è
maturato, da giovane di campagna inesperto diventa un po’ più accorto e prudente; Lucia no perché
era già più saggia sin dall’inizio, conservando il suo modo di essere fino alla fine.

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