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Ugo Foscolo 1778-1827

Biografia
È il rappresentante autentico, non solo del neoclassicismo ma anche del romanticismo, che si fa
interprete di due correnti. Fu classico, illuminista, preromantico e per la vita che lui condusse, per
l’individualismo, per il forte podismo, il culto di sé per la personalità che vive é romantico. Fu un
uomo coltissimo che partecipa attivamente agli eventi del suo tempo, non accettando mai tempo
perso.
Niccolò Foscolo (assumerà il nome Ugo a 16 anni) nacque nel 1778 a Zante (grecamente Zacinto),
una delle isole Ionie, possedimento della Repubblica di Venezia, da padre veneziano, e madre
greca, che, rimasta vedova e in gravi difficoltà economiche, si trasferì a Venezia, per cercare
appoggio presso parenti e amici. Qui il figlio la raggiunse nel 1792. L’essere nato in terra greca e da
madre greca rivestì per Foscolo molta importanza: per tali ragioni egli, infatti, si sentì ideale erede
della civiltà classica. Conoscendo poco la lingua italiana, si dedicò agli studi, creandosi rapidamente
una notevole cultura. Politicamente entusiasta dei principi della rivoluzione francese, assunse
posizioni fortemente libertarie e ugualitarie. Nel 1797, a seguito della discesa in Italia di
Napoleone, Foscolo si impegnò nell’attività politica e intraprese la carriera militare arruolandosi
nell’esercito napoleonico. Compose, inoltre, l’ode A Bonaparte liberatore, in cui celebrava il
generale francese in quanto portatore di libertà. La sua ammirazione nei confronti di Napoleone
subì un duro colpo a seguito del trattato di Campoformio (ottobre 1797) con cui Bonaparte cedeva
Venezia all’Austria in cambio di Milano e del Belgio. Il “tradimento” di Napoleone fu un trauma
profondo per il poeta che, tuttavia, pur mantenendo un atteggiamento critico verso il condottiero
francese, continuò sempre a operare all’interno del sistema napoleonico, nella convinzione che
esso rappresentasse il passaggio obbligato per la creazione di un’Italia moderna. Trasferitosi a
Milano, Foscolo conobbe e frequentò i letterati più in vista, come Giuseppe Parini e Vincenzo
Monti; successivamente si spostò a Bologna dove collaborò con diversi giornali. Rientrato nei
ranghi dell’esercito, partecipò a vari scontri contro gli austriaci e compose l’ode A Luigia Pallavicini
caduta da cavallo. Fu un periodo contrassegnato da lutti familiari (nel 1801 morì suo fratello
Giovanni Dionigi), da grandi passioni amorose (con Isabella Roncioni, con Antonietta Fagnani Arese,
con Fanny Hamilton, che gli diede una figlia) e da un’intensa produzione letteraria (nel 1802
pubblicò le Ultime lettere di Jacopo Ortis, nel 1803 le Poesie, nel 1807 il carme Dei sepolcri) che gli
valse la nomina a professore di eloquenza italiana e latina all’università di Pavia, dove tenne le
cosiddette Lezioni Pavesi. Col tempo, tuttavia, i suoi rapporti con gli intellettuali milanesi, in
particolare con Monti, e con il governo si guastarono; la sua tragedia Ajace, andata in scena nel
1811, fu proibita dalla censura per sospette allusioni antifrancesi e Foscolo venne invitato a lasciare
Milano. Fra il 1812 e il 1813 risiedette a Firenze, dove lavorò alle Grazie e tradusse dall’inglese il
Viaggio sentimentale di Yorick in Francia e in Italia di Laurence Sterne. Quando, nel 1813,
Napoleone fu costretto ad abdicare e venne esiliato sull’isola d’Elba, gli austriaci tentarono di
coinvolgere Foscolo nella politica culturale del nuovo stato e gli offrirono la direzione della
“Biblioteca italiana”, rivista culturale con cui il governo tentava di conquistare il consenso degli
intellettuali. Dopo molte esitazioni, Foscolo rifiutò, per coerenza con le sue idee e con il suo
passato, e scelse l’esilio. Nel 1815 lasciò l’Italia. Dopo un anno trascorso in Svizzera, dove pubblicò
tra l’altro una nuova edizione dell’Ortis, Foscolo si trasferì definitivamente a Londra, dove si riunì
alla figlia. Qui pubblicò l’edizione definitiva dell’Ortis, riprese a lavorare alle Grazie e alla traduzione
dell’Iliade (iniziata nel 1807), ma si dedicò in particolare agli studi critici, pubblicando articoli e
saggi su Dante e Petrarca e sulla letteratura italiana contemporanea. Un tenore di vita al di sopra
dei suoi mezzi gli creò problemi con i creditori, e par tale ragione fu costretto a trovare rifugio nei
quartieri più degradati della capitale inglese; qui la morte lo colse nel 1827. Nel 1871 le sue ossa
vennero traslate a Firenze, nella chiesa di Santa Croce, fra le tombe dei grandi da lui cantate nei
Sepolcri.
Formazione, personalità e pensiero seducente e fascinoso
Si tratta di una personalità sicuramente più contraddittoria ma proprio per questa ragione più
interessante e complessa; egli, infatti, oscilla continuamente tra razionalità e irrazionalità, tra
malinconia e passione, in una ricerca continua di libertà e giustizia. Emblematica è in tal senso la
definizione che egli stesso dà, in un sonetto, del suo cuore: “Ricco di vizi e di virtù”. La sua
formazione avviene nel solco della tradizione: principali modelli di riferimento risultano, infatti,
Dante e Petrarca. Tra i moderni, egli guarda con ammirazione al rigore morale di Parini e all’ansia di
libertà di Alfieri. Al tempo stesso subisce l’influenza del Werter di Goethe, ma anche di Rousseau ,
che lo ammira per le sue idee egualitaria legandosi al culto della natura. Poi si staccò abbracciando
il pessimismo di Machiavelli che lo induceva a credere nella malvagità dell’uomo che lotta contro
gli altri per imporre il suo dominio. Notevole è, altresì, la condivisione delle idee di Hobbes, in base
alle quali riconosce l’originaria malvagità dell’uomo in perenne conflitto con gli altri uomini al fine
di sopraffarli. Questo pessimismo di fondo si incontra poi con il materialismo che egli deriva da
poeti classici come Epicuro e Lucrezio.
In base al materialismo meccanicistico, egli ritiene che tutta la realtà sia materia; in cui non
ammette l’esistenza di Dio e dell’anima. Questo pessimismo scaturisce passività , indifferenza e
cerca di superarla, di cercare alternative, come per esempio, la bellezza della letteratura ma il suo
pensiero sarà più forte. La morte segna dunque l’annullamento totale dell’individuo. Alla luce di
tali posizioni, egli si convince che la vita è solo un ciclo perenne di nascita e morte, che non può
essere fermato e le cui cause ultime sono incomprensibili all’uomo. In sostanza è come se l’uomo
errasse senza scopo, cercando felicità irraggiungibili, per poi sprofondare nel “nulla eterno”. A un
certo punto, però, Foscolo sente il desiderio di ribellarsi a tutto questo e di seguire quegli ideali di
bellezza, giustizia, patria, poesia, arte, letteratura, verità, in grado di dare un senso alla nostra vita,
hanno il compito di depurare l’animo turbato dai conflitti della vita, rendendolo più umano,
insegnando il rispetto e la compassione. La letteratura e le arti sono civilizzatrice, assoluti
attraverso la memoria, l’elemento di coesione fra gli uomini.da qui il concetto di patriottismo che
lega un popolo in una nazione unita: nonostante la mente ci dica che sono illusioni, il cuore non si
rassegna e continua incessantemente a cercarli. Nasce allora quella che viene definita la “religione
delle illusioni”, che è sfida eroica contro un mondo meccanicistico. Un ruolo fondamentale, in tal
senso, ha la bellezza di cui sono depositarie l’arte e la letteratura. Ad esse è assegnato il compito di
depurare l’animo dell’uomo, di consolarlo dalle sofferenze e dalle angosce del vivere, di
allontanarlo dalla condizione feroce che continua a permanere in lui dai tempi primitivi e che lo
spinge alla violenza e alla guerra fratricida (funzione civilizzatrice della letteratura e delle arti).
Fondamentale è pertanto la poesia che diventa espressione non solo di tali ideali, ma anche
dell’ansia di trovarli. Essa è arma contro la morte, poiché “vince di mille secoli il silenzio”, cioè, con
la sua funzione eternatrice, risarcisce l’uomo di un destino di inesorabile oblio. la cultura è
fascinosa, ha una ricchezza.l’amore non lo vede solo come il sentimento ma lo porta alla
realizzazione di sé, con donna aristocratica. Parlerà di bellezza serenatrice, con lo scopo di
purificare il uomo e di allontanarlo dal male e di poesia eternatrice. inoltre possiamo affermare in
Foscolo un forte individualismo, un egotismo ovvero la realizzazione di sé
Differenza con monti
Una delle caratteristiche del poeta è la coerenza, a differenza di monti che fu capo Leo antico, si
sente adattare ad ogni cambiamento, ancien regime. Il neo classicismo di monti è esteriorità,
suono, mentre il neo classicismo di Foscolo è qualcosa di viscerale, autentico
Ultime lettere di Jacopo Ortis [1817] opera biografica
La trama e le diverse fasi editoriali
Si tratta di un romanzo epistolare: nella finzione letteraria, Lorenzo Alderani, dopo il suicidio
dell’amico Jacopo Ortis, pubblica le lettere che questi gli ha inviato fra l’11 ottobre 1797
(all’indomani del trattato di Campoformio) e il 25 marzo 1799, subito prima della morte. Come
Foscolo, Ortis aveva pensato al suicidio come risposta un’esistenza che per lui era insoddisfacente è
che non corrispondeva ai suoi sentimenti e alle sue ambizioni
Lasciata Venezia per sfuggire alle persecuzioni politiche, Jacopo, patriota appassionato e deluso,
incontra sui colli Euganei la bella Teresa, di cui si innamora, ricambiato, benché la fanciulla sia già
promessa al meschino Odoardo per ragioni d’interesse. Dopo un lungo viaggio per l’Italia, che lo
porta fra l’altro a Firenze (dove visita la chiesa di Santa Croce), a Milano (dove incontra Parini) e a
Ventimiglia (dove medita sulla “storia” che rappresenta per Foscolo il trionfo della natura ferina
dell’uomo), il protagonista appresa la notizia del matrimonio fra Teresa e Odoardo, ritorna infine
sui colli Euganei e qui, vistasi negata ogni possibilità di azione sia in campo politico sia in campo
sentimentale, si toglie la vita pugnalandosi al cuore. Jacopo si è suicidato senza combattere, ha
perso la fiducia illuministica. Infatti vede nella natura una forza che può conservare solo con la
distruzione umana
L’opera, che si ispira a molteplici modelli (uno fra tutti i Dolori del giovane Werther di Goethe),
nodo fondamentale dell’intreccio di un giovane che si suicida per amore di una donna già destinata
come sposa ad un altro. Nel 1798, quando si trovava a Bologna, Foscolo iniziò la pubblicazione del
libro, affidandolo all'editore Marsigli, ma a causa delle vicende belliche (il poeta si era arruolato
per partecipare alla guerra contro gli Austro-russi) la pubblicazione fu interrotta alla
quarantacinquesima lettera. L’editore però volle che l'opera venisse completata e la affidò al
bolognese Angelo Sassoli, facendola pubblicare nel 1799 con il titolo di Vera storia di due amanti
infelici ossia Ultime lettere di Jacopo Ortis. Sassoli, pur lavorando su materiali preesistenti,
rielaborò pesantemente il romanzo, con aggiunte arbitrarie, per accentuarne il carattere amoroso
e sminuirne quello politico. Sconfessata l’edizione Sassoli, Foscolo rimise mano all'opera
modificandone profondamente la trama - che divenne quella definitiva e poi comunemente
conosciuta - e la pubblicò nel 1802 a Milano, a sue spese. In seguito il romanzo veniva stampato a
Zurigo nel 1816, con l'aggiunta di una lettera polemica contro Napoleone e la soppressione
dell'unica epistola diretta a un destinatario diverso da Lorenzo (cioè Teresa). L'ultima edizione fu
ripubblicata a Londra nel 1817.
La delusione storica
Il protagonista è in conflitto con un contesto sociale nel quale non può più integrarsi. Il dramma è il
senso angoscioso di una mancanza, di non avere una patria.dietro Ortis abbiamo l’età napoleonica,
la delusione che vede le speranze di democrazia, di libertà in tirannide. L’amore è una forza
impossibile, un’illusione che lo trattiene dal suicidio dopo la delusione storica, svanita questa, si
suicida. Non è solo un’opera nichilista ma ci sono dei valori positivi come la famiglia, la poesia, gli
affetti, la memoria, la patria. Foscolo riesce a cogliere i problemi che si pongono tra le generazioni
italiane post rivoluzionarie.
Ortis e Foscolo
L’intreccio fra arte e vita, tratto costante in Foscolo, rende difficile, se non impossibile, distinguere
fra la personalità dell’autore e quella del personaggio: Foscolo da un lato trasfonde in Ortis la
propria esperienza biografica, mentre dall’altro tende a modellare la propria vita sul suo esempio.
Una delle ragioni del fascino (e del successo) dell’opera sta proprio in questa confusione o
sovrapposizione di ruoli. E tuttavia diversi elementi ci ricordano il carattere letterario dell’Ortis, uno
su tutti il fatto che il personaggio si suicidi, l’autore invece no. Ortis é sensibile, gioioso,
appassionato, impulsivo, idealista, illuso
Ortis e Werter
Il nodo fondamentale dell’intreccio del romanzo foscoliano è, come già abbiamo più volte avuto
modo di dire, chiaramente ispirato al Werter di Goethe. Va però precisato che tra i due protagonisti
vi sono delle sostanziali differenze. Il dramma di Werter è sociale: egli non riesce a identificarsi né
con l’aristocrazia, che lo respinge in quanto borghese, né con la borghesia, perché i suoi valori si
scontrano con il freddo pragmatismo che caratterizza questa classe sociale. Il dramma di Jacopo è
politico: egli avverte la mancanza di una patria entro cui inserirsi dopo il fallimento storico dei
sogni patriottici e rivoluzionari. C’è in lui insomma la disperazione che nasce dal vedere tradite
tutte le speranze patriottiche e democratiche, dal vedere la libertà finire in tirannide, dal rendersi
conto che lo strumento della rivoluzione è ormai impraticabile.
I temi
Tre sono le tematiche fondamentali del romanzo: politica, amorosa ed esistenziale, articolate
secondo un itinerario che va dall’illusione alla delusione e destinate a trovare il comune punto
d’arrivo nel suicidio finale del protagonista. La delusione politica è legata al fallimento
dell’esperienza rivoluzionaria e al naufragio delle speranze di libertà e di indipendenza dell’Italia,
speranze suscitate e in seguito calpestate da Napoleone. La delusione amorosa nasce
dall’impossibilità di concretizzare il rapporto con Teresa e dalla constatazione che le leggi
dell’interesse e delle convenienze sociali hanno la meglio sulla passione e sul sentimento. Questi
due aspetti contribuiscono ad esasperare, a livello esistenziale, il radicale pessimismo del
protagonista: amore e politica, in effetti, non fanno altro che contribuire a trasformare in gesto
concreto una predisposizione ben precedente dell’animo di Jacopo, suicida «per indole d’anima»
oltre che «per sistema di mente».
Il suicidio
I viaggi, gli incontri e le esperienze di Jacopo nel corso del romanzo servono solo a radicare
nell’animo del protagonista la piena presa di coscienza della negatività del reale. Resosi conto che
gli uomini si dividono in oppressori e oppressi, da una parte c’è infatti chi commette violenza e
dall’altra chi la subisce, Ortis rifiuta di schierarsi e sceglie il suicidio come unico modo per non
commettere violenza e non subirla. In realtà, all’inflessibile legge universale della sopraffazione
neppure lui può sfuggire, perché le sue scelte e i suoi comportamenti lo pongono di fatto dalla
parte di quanti commettono violenza: Jacopo infatti con il suicidio usa violenza verso se stesso
(alcuni critici ritengono che il suicidio di Ortis sia un atto di abdicazione alla vita, una sorta cioè di
rinuncia priva di qualunque sfumatura pedagogico-didascalica; altri, invece attribuiscono a tale
scelta il valore di un’eroica protesta che collegherebbe Ortis ai personaggi alfieriani).
Lingua e stile
Con Le ultime lettere di Jacopo Ortis Foscolo tentò di creare la lingua del romanzo italiano,
modellandola assieme sulla tradizione letteraria e sull’uso vivo. In realtà l’opera è scritta in una
prosa aulica, pervasa da una continua tensione al sublime: la sintassi è complessa, sul modello
classico, e spesso l’enfasi retorica ha il sopravvento e si avverte inoltre il peso delle eccessive
reminiscenze libresche.
la maschera di didimo chierico, aveva progettato un altro romanzo: il sesto tomo dell’io che non
ha concluso, poi ha fatto una traduzione di Laurence Stern. La figura di didimo è speculare,
complementare, antitetica alla figura di Jacopo ortis. I due personaggi rappresentano Foscolo
giovane, Jacopo Portis, e Foscolo più maturo, didimo chierico. Intanto Jacopo ortis è idealista,
ingenuo, generoso, appassionato, impulsivo, attivo, illuso di sogni ma didimo chierico e rassegnato,
deluso, distaccato da tutto, è una persona disincantata, disilluso della vita. Questi due personaggi
sono due maschere costruite da Foscolo per rappresentare se stesso, sono opere autobiografiche.
Le Odi [1803]
L’edizione delle Poesie stampata a Milano nel 1803 comprendeva due odi e dodici sonetti. Le due
odi sono: A Luigia Pallavicini caduta da cavallo (1800) e All’amica risanata (1802-1803). Entrambe
muovono da occasioni reali (la seconda dalla guarigione di Antonietta Fagnani Arese) per
trasfigurarle allegoricamente in una celebrazione della bellezza, rasserenatrice dell’esistenza, e
della poesia, che rende la bellezza immortale. Il tutto immerso in uno sfondo mitologico di gusto
neoclassico, con un linguaggio aulico fitto di latinismi e figure retoriche, finalizzato a ricreare un
mondo caratterizzato dall’armonia e alternativo a quello reale. Le due odi formano una
microsequenza narrativa: nella prima la bellezza femminile appartiene al passato, mentre il
presente è contraddistinto dalla sua perdita e il futuro dalla speranza del suo ritorno; nella seconda
la speranza si realizza con il ritorno della salute: la perdita retrocede al passato, mentre il presente
è dominato dal ritorno della bellezza e il futuro dalla promessa della sua eternità. La prima ode
conserva maggiormente un carattere di omaggio galante a una bella donna; la seconda ha più alte
ambizioni e vuole proporsi come un discorso filosofico sulla bellezza ideale, sul suo effetto di
purificare le passioni e di rasserenare l’animo inquieto degli uomini, oltre che sulla funzione
eternatrice della poesia che canta la bellezza.
I sonetti
Produzione autobiografica, intima di Foscolo. E neoclassica, scritta da un romantico. Anticipa il
romanticismo, perché lo vive, le cui basi resteranno sempre illuministiche. I dodici sonetti
compongono una sorta di autoritratto in versi dell’autore, che si dipinge come un individuo
eccezionale, dotato cioè di sentimenti e capace di passioni più forti del comune, avversato dai
tempi e dalla sorte e costretto, pertanto, alla vita errabonda e infelice dell’esule, consolata solo in
parte dalla poesia e dall’amore (per le donne, per i familiari, per gli amici, per la madre). I sonetti
formano un vero e proprio canzoniere, dotato di una struttura coerente, anche se costruita a
posteriori. Tra le varie liriche spiccano tre autentici vertici poetici: Alla sera, In morte del fratello
Giovanni, A Zacinto.
In “Alla sera” e “In morte del fratello Giovanni” manca del tutto la mitizzazione classica ed è invece
la materia autobiografica, conflittuale e dolente, a dominare per intero. Il sonetto “A Zacinto” è
invece la testimonianza esemplare della copresenza di esperienza esistenziale e di evasione nella
dimensione classica.
Sonetti minori
I sonetti si distinguono in otto, sonetti minori dove parla di sé, egotismo, l’autoritratto, la sua vita,
la forte personalità, l io del poeta in contrasto con il mondo è sempre presente, eleva la sua
vicenda ad un livello superiore, che abbraccia tutti gli uomini. La poesia si eleva all’universale.
Lingua
La sintassi è oltre che semplice, fortemente ed esclusivamente paratattiche. I periodi sono lunghi,
più articolati, il linguaggio è fluente armonioso e musicale. Il lessico è aulico, sia l’uno che dell’altro.
Ma qui le parole sono unite abbiamo delle parole auliche e parole del linguaggio comune dove
vince l’armonia del ritmo interiore.
Sonetti maggiori
I quattro ovvero i sonetti maggiori dove il poeta parla degli altri, di tutti gli uomini, dove c’è un
connubio perfetto di un alto contenuto ed una lingua musicale. Emerge la lingua musicale e aulica
che crea armonia. Ipotattica. Il poeta ha il compito di cogliere la bellezza, l’armonia nell’attimo in
cui svanisce e viene consegnata all’eternità. In essi sono ripresi i temi centrali dell’Ortis: la
proiezione del poeta in una figura eroica sventurata e tormentata, il conflitto con il “reo tempo”, il
“nulla eterno” come unica alternativa, l’esilio come condizione politica ed esistenziale insieme,
l’impossibilità di trovare un contesto stabile su cui poggiare, l’illusione della “sepoltura lacrimata”,
il rapporto con la terra materna, il valore eternatore della poesia, famiglia, mito come sostanza,
l’amore.

Dei sepolcri [1807]


L’occasione e la struttura
L’editto napoleonico di Saint-Cloud, del 1806, aveva imposto, per ragioni igieniche, la dislocazione
dei cimiteri al di fuori dei centri urbani e sollecitava, per ragioni egualitarie, la regolamentazione
delle iscrizioni sulle lapidi. La possibilità di una sua estensione all’Italia generò vivaci polemiche, di
cui furono protagonisti, fra gli altri, anche Foscolo e l’amico Ippolito Pindemonte, cattolico, che
progettò un poemetto (I cimiteri) per dare voce al proprio dissenso. Il tema era molto sentito da
Foscolo, denso com’era di richiami classici e contemporanei (si pensi alla poesia sepolcrale di
tradizione inglese), nonché profondamente radicato nella sua sensibilità; scrisse perciò, in risposta
a Pindemonte e in tempi assai brevi, una lettera in versi, costituita da 295 endecasillabi sciolti,
pubblicata a Brescia nel 1807 con il titolo Dei sepolcri. Il testo si presenta come una palinodia:
posta un’affermazione come indiscutibile (per chi è morto la tomba non ha valore alcuno), il poeta
stesso se ne mostra insoddisfatto e si autocorregge (tuttavia le tombe servono ai vivi, perché
destano affetti virtuosi e perché consentono loro di conservare il ricordo del defunto, instaurando
la cosiddetta “corrispondenza di amorosi sensi”, cioè quel rapporto affettivo tra vivi e morti che
strappa l’uomo alla sua condizione effimera e gli conferisce quasi l’immortalità propria degli dei).
Nel Carme segna il superamento del nichilismo derivante dalla delusione storica e dal crollo delle
speranze rivoluzionarie. Il motivo centrale è la morte, ma viene superata l’idea secondo la quale
essa sia solo un nulla eterno.l’illusione di una sopravvivenza è garantita proprio dalla tomba, che
conserva presso i vivi il ricordo del defunto.
Ancora una volta siamo di fronte a una visione irrimediabilmente dualistica, che pone a confronto
istanze materialistiche e aspirazioni di tipo spiritualistico, tanto logicamente inconciliabili quanto
sentimentalmente ammissibili: onorare le tombe e venerare i morti è «pietosa insania», cioè
indubbiamente atto di follia, ma di follia da anime grandi e generose; si tratta insomma di una di
quelle illusioni che, pur riconosciute come tali dalla ragione, agli occhi del cuore rendono la vita
degna di essere vissuta. Foscolo usò per i Sepolcri la denominazione sia di «carme» sia di
«epistola», ma soprattutto li considerò un esempio di poesia «lirica», sulla base di una
personalissima distinzione: «elegiaca» doveva essere definita la poesia di argomento amoroso,
mentre «lirica» è quella che «canta con entusiasmo le lodi de’ numi e degli eroi», concezione di
fatto contaminata con quella dell’epica antica (non a caso modello assoluto era per lui Omero). Il
poeta inoltre vedeva nei Sepolcri un esempio di poesia politica: il culto delle tombe non doveva per
lui avere connotazione religiosa, ma civile, in quanto stimolo per i viventi a condurre una vita ricca
di affetti (sol chi non lascia eredità d’affetti/poca gioia ha dell’urna) e per le anime grandi a
realizzare grandi imprese (A egregie cose il forte animo accendono/l’urne de’ forti). Così pure alla
poesia viene affidata una funzione civile, che è quella di eternare il ricordo dei grandi uomini
affinché possano continuare a spronare gli uomini del futuro anche quando il sepolcro, oggetto
fisico soggetto all’usura del tempo, avrà cessato di esistere. La tomba, quindi, assurge a strumento
di continuità anche se Foscolo sa che il tempo con il suo scorrere inesorabile travolge le tombe e
non solo gli uomini che le hanno costruite. La tomba è al centro degli affetti familiari e ne consente
la durata dopo la morte.la tomba e pure riferimento dei valori civili, perché costudisce le tradizioni
di un popolo e tramanda la memoria dei grandi uomini e delle nazioni eroi.La morte è sconfitta
dalla tomba ma la tomba è sconfitta dal tempo. L’unico risarcimento a questo destino di
distruzione e di oblio è dato allora dalla poesia che rende eterna la memoria dei forti e “vince di
mille secoli il silenzio”.
Secondo la visione materialistica, nega inizialmente l’importanza delle tombe, ma ne rivaluta dopo
il significato. Il carme è una meditazione filosofica e politica, attraverso una serie di figurazioni e di
miti.
Critica Milano che non ha fatto una tomba a Parini. Il grande Parini che ha onorato la sua città, non
è stato onorato dalla sua città. Foscolo dice che le tombe dei grandi ad un giovane che ha già
dentro di sé la scintilla di un vivere eroico, grande, magnanimo incitano a grandi cose, tu prendi
l’esempio. Abbiamo un valore patriottico didascalico della tomba
Lo stile
Molti contemporanei (nello specifico il critico francese Amato Guillon) accusarono di oscurità lo
stile dell’opera, soprattutto per via delle ardite transizioni che formano la struttura del testo, basata
non tanto sulla coerenza logica dell’argomentazione, quanto sulla capacità di coinvolgere
«fantasia» e «cuore» del lettore. In sostanza i trapassi da un concetto all’altro, da una figurazione
all’altra, avvengono in forma fortemente ellittica, lasciando nell’implicito molti passaggi intermedi;
il carme cioè transvolat in medio posita (sorvola su ciò che sta in mezzo) e, afferrando le idee
cardinali, lascia ai lettori la compiacenza di desumere le intermedie.
Con i Sepolcri Foscolo ha offerto un esempio di stile sublime,aulico, grazie al quale chi legge è
indotto a pensare e sentire fortemente; per ottenere questo scopo l’autore si serve di un lessico
elevato, di una straordinaria concentrazione semantica e del ricorso frequente a figure retoriche
come l’antitesi. Ciò che rende straordinaria l’opera è proprio il fatto che la ricca tessitura retorica
non solo non appesantisce il testo, ma finisce per apparire come conseguenza del tutto naturale e
inevitabile della tensione immaginativa dell’autore e dell’elevatezza dell’argomento.
Le Grazie [1803-1822]
Nasce dalla concezione del poeta fortemente pessimistica, materialistica e il dissidio con il reo
tempo quindi crea tramite l’immaginazione, fantasia, lui dice che l’uomo ha in sé una scintilla
divina che permette all’uomo di creare per sé e per gli altri le illusioni. Crea quindi un’opera che lo
faccia fuggire dal reo tempo.Le grazie sono significative perché presentano quello che fa l’uomo
che è in contrasto con il tempo in cui vive o apertamente esprime il suo dissidio e se ne allontana.
Quest’opera è il rifugiarsi di un mondo di suprema armonia.
La vicenda compositiva delle Grazie è assai complessa: fra il 1803 e il 1822 Foscolo ne pubblicò
diversi frammenti, attribuendoli prima ad un antico autore greco, poi a un poeta italiano, ma
l’opera rimase incompiuta. Progettate all’inizio come un singolo inno, quindi suddivise in tre inni
dedicati a Venere (espressione mitologica della bellezza), Vesta (dea del focolare domestico) e
Pallade (dea delle arti), le Grazie avrebbero dovuto formare un poema didascalico di impostazione
allegorico-morale, in cui, attraverso la narrazione in forma mitica della storia del genere umano e
della funzione civilizzatrice svolta dalle arti (alle tre Grazie Venere assegna il compito di portare
l’uomo dalla ferocia primitiva alla civiltà), Foscolo intendeva proporre i miti fondanti di una nuova
civiltà, basata sui valori della bellezza, della compassione, dell’ospitalità. Alla frammentarietà
dell’ispirazione, costante foscoliana, venne a mancare in questo caso la volontà di ricomporre i
frammenti in un quadro unitario: questo per ragioni esterne (le vicende legate all’esilio) e interne
(la rinuncia alla preponderanza dell’io e il difficile tentativo di costruire una poesia del tutto
oggettiva). Sta di fatto che lo stato dell’opera rende impossibile ricostruire un disegno complessivo
coerente e i singoli frammenti finiscono per lasciarsi apprezzare proprio in quanto tali.
E le tre grazie sono figure mitologiche, il poeta è orgoglioso di avere le origini greche. Questo è
mitologia non è qualcosa lontana da noi, diventa una realtà, il poeta ci trasporta in un mondo di
bellezza, di armonia, di danza, di tutte le arti che rendono la vita dell’uomo diverse da quella che
era costretto a vivere, la chiama melodia pittrice perché il poeta dà vita a concetti astratti, è una
dissertazione filosofica sulla bellezza serenatrice
La bellezza
Le tre grazie sono simbolo di bellezza raffinatissima, pura. Addirittura lui affida alle grazie
portatrice di bellezza il compito di immettere l’uomo sul cammino della civiltà. Da quando l’uomo
ha conosciuto le grazie allontanato si è allontanato dallo Stato femminile, e ora deve purificare gli
animi delle passioni che lo possono allontanare dagli ideali, principi dell’uomo come per esempio
la cattiveria, la violenza, la brutalità.le Graziano questo compito di verificare, di nobilitare, di
ingentilire l’uomo evitando che lui coltivi delle passioni che lo potrebbero danneggiare. Ettaro una
finalità didascalica, il compito delle grazie non è sfoggiare una bellezza che non serve a niente, è
una bellezza che seta gli stinti imputati dell’uomo. La bellezza ci rende sereni, calmi, gioiosi invece il
caos, il brutto ci innervosisce, e ci stimola tutti gli istinti aggressivi che abbiamo.
Contenuti
Primo inno: la narrazione incomincia con la rievocazione dell’età ferina, quando le Grazie ancora
non erano nate. Poi Venere-natura generò quelle divine essenze, nelle profondità del mare Ionio.
Segue la descrizione degli effetti della nascita delle Grazie, riassumibili in un ingentilimento dei
costumi e nella sacralizzazione del senso della vita.
Secondo inno: la scena è collocata sui colli di Bellosguardo, in cui il poeta immagina un rito in
onore delle Grazie celebrato da tre sacerdotesse (nelle quali sono riconoscibili tre donne amate dal
poeta: Eleonora Nencini, Cornelia Martinetti, Maddalena Bignami) che rappresentano la musica, la
poesia e la danza.
Terzo inno: è quello strutturalmente più fragile ed incompleto. Inizia con una professione di
poetica: l’autore sente di avere tre anime perché tre sono le favelle su cui modula il suo canto: la
greca, la latina e la toscana. La scena si sposta poi nella mitica isola di Atlantide, inaccessibile agli
uomini, dove Pallade fa tessere da una schiera di dee minori un velo che difenda le Grazie dalle
passioni degli uomini in modo che possano tornare tra di essi a compiere la loro opera
civilizzatrice. Sul velo sono effigiati i sentimenti più miti ed elevati, come la giovinezza, l’amore
materno, l’amore coniugale, l’amore filiale, tutte quelle cose che rendono degna la vita di essere
vissuta. Il velo sottile protegge ma non nasconde, il bene per mostrare agli uomini tutti i valori che
sono richiamati in esso, e le grazie nello stesso tempo hanno una protezione, qualcosa che le
protegge dalla malvagità degli uomini.
Le traduzioni
Dagli anni veneziani a quelli londinesi, l’attività di traduzione fu una costante per Foscolo, che si
cimentò con il greco, il latino, il francese e l’inglese. Vanno segnalate in particolare le traduzioni dal
greco dell’Iliade e dall’inglese del “Viaggio sentimentale” di Laurence Sterne, pubblicato a Pisa nel
1813 con lo pseudonimo di Didimo Chierico. Questi rappresenta un alter-ego dell’autore e, nello
stesso tempo, un anti-Ortis: quanto Jacopo è appassionato e disperato, tanto Didimo è equilibrato
e riservato, riflessivo, disincantato e profondamente ironico.

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