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PROMESSI SPOSI

AUTORE
Alessandro Manzoni nasce a Milano nel 1785 da Giulia Beccaria, figlia dell’illuminista Cesare Beccaria. I primi anni di
collegio lasciano in lui un ricordo del tutto negativo ma lo avviano alla conoscenza di autori moderni come Alfieri e
Parini e alla lettura dei pensatori francesi illuministi: la discendenza da Beccaria e l’ambiente milanese pongono
sicuramente delle solide basi per il pensiero di Manzoni che, come vedremo fra poco, recepisce molti elementi dalla
cultura illuminista rielaborandoli poi secondo la sua personale visione del mondo.

Dal 1820 Manzoni è a Milano e comincia per lui un periodo appartato ma assolutamente creativo.Comincia in questi
anni la stesura della prima versione del suo romanzo storico d’eccellenza (I Promessi Sposi) che viene pubblicato in una
prima edizione del 1821-1823 con il titolo di Fermo e Lucia. 

TESTO
I promessi sposi sono il primo romanzo della letteratura italiana. Un lavoro di ben ventuno anni servì a Manzoni per
terminare il suo capolavoro, con cui avrebbe cambiato per sempre la storia della nostra letteratura. Questo romanzo,
infatti, non è solo un’opera nata per il diletto; la sua importanza attraversa diversi piani. Manzoni cercava di andare
incontro a un pubblico ampio che mostrasse interesse a comprendere le radici del proprio passato e a trarne un
insegnamento morale, in particolare riguardo al problema del dolore nella propria esistenza.  
Inoltre, così come la televisione negli anni ’50/’60 contribuì alla creazione di un italiano unitario, I promessi
sposi fecero altrettanto nell’Ottocento. Fecero cultura a tutti i livelli, adattandosi a diversi piani di lettura. Da subito
questo romanzo fu introdotto nelle scuole e resiste da generazioni, non senza motivo.   

Introduzione del romanzo


Manzoni introdusse in Italia il genere del romanzo, nella variante del romanzo storico appena inventata dallo scozzese
Walter Scott (al quale però Manzoni rimproverò un’eccessiva libertà nei confronti dei fatti storici). Le digressioni
storiche dei Promessi sposi, ri- gorosamente documentate, servono ad ambientare la vicenda nel Seicento in modo
verosimile per quel che riguarda i rapporti tra le classi sociali, la mentalità dei protagonisti e il loro comportamento.

Narrazione lingua e stile


Manzoni è un narratore onnisciente che inserisce nel suo racconto anticipazioni e riprese (prolessi e analessi), si rivolge
ai lettori e commenta le vicende in corso; tuttavia egli ha dra- sticamente ridotto i propri interventi tra il Fermo e Lucia
e la “ventisettana”, e come si è vi- sto è anche piuttosto discreto nel giudicare. Gli interessa molto di più rendere la
complessità del reale attraverso uno stile estremamente flessibile: rende la vivacità del parlato della gen- te semplice
con sgrammaticature, frasi di senso incompiuto, espressioni sovrabbbondanti. Lo stile ha una grandissima varietà di
toni, dal comico al tragico, dal lirico all’analitico.

Fiorentino
Alessandro Manzoni, che dal 1861 è senatore del neonato regno d’Italia, in linea con le idee romantiche che sposò nel
corso della sua vita, predilesse una lingua fiorentina ma semplice: non il fiorentino aulico e pomposo degli scritti
letterari ma una lingua schietta, popolare, che accogliesse anche i termini più pratici e comprensibili delle parlate locali
(oltre il fiorentino di base quindi) e i termini stranieri circolanti all’epoca. 

I personaggi
Manzoni inserisce nel romanzo personaggi realmente esistiti (la monaca di Monza, il cardinale Borromeo, l’innominato,
i politici...) accanto ad altri, come i protagonisti Renzo e Lucia, che obbediscono al principio della verisimiglianza
storica, sebbene siano inventati. Il romanzo riflette l’ideologia cristiana e democrtica di Manzoni, ma senza rigidi
schematismi: si trovano personaggi positivi e negativi sia fra i popolani sia fra i nobili, sia fra gli ecclesiastici sia fra i
laici

TEMI
La riflessione morale della vicenda oscilla fra la responsabilità delle scelte individuali e la misteriosa Provvidenza
divina, operante in modi che gli uomini spesso non comprendono o fraintendono.

 La scelta del vero storico


 Visione pessimistica della realtà terrena Ispirazione religiosa
 Passione morale e sociale
 Attenzione alle storie individuali e in particolare ai destini degli umili o dei perseguitati

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PENSIERO
Il romanzo storico 
È un particolare tipo di romanzo in cui l’ambientazione storica ha un valore documentaristico perché intende
trasmettere lo spirito, i comportamenti e le condizioni sociali attraverso dettagli realistici e con un'aderenza, fittizia o
meno, ai fatti documentati. Può contenere personaggi realmente esistiti oppure una mescolanza di personaggi storici e
di invenzione. Non lo interessano i governi o le guerre disputate fra i capi di Stato, poiché nutre una forte attenzione
verso le masse e la loro sofferenza perdurante nei secoli.

Romanticismo
Nacque durante il Romanticismo perché forte era l’attrazione verso il passato, in particolare della propria nazione,
interpretato come radice del presente; inoltre permetteva di evadere con la fantasia.  Predilige l’interesse verso il popolo
e le credenze popolari, rifiutando la rigidità del classicismo per una letteratura “vera” (non servono modelli di
perfezione ma una schietta rappresentazione del reale) e spontanea.

Illuminismo
Critica i pregiudizi e le superstizioni ma, a differenza degli illuministi, Manzoni è segnato da una profonda disillusione
verso la Storia. La sua religiosità lo porta a vedere l’uomo incapace di cavarsela con i propri mezzi, l’uomo un essere
imperfetto e perennemente corrotto che non ha modo di risollevare il processo storico verso una nuova età dell’oro.

BREVE TRAMA
Renzo e Lucia stanno per convolare a nozze ma un signorotto locale, Don Rodrigo, invaghitosi della donna, minaccia il
pavido Don Abbondio, parroco che avrebbe dovuto unirli in matrimonio, e l’unione salta. I due si vedono costretti a
separarsi per sfuggire alle minacce di Don Rodrigo e dopo varie vicissitudini e incontri con personaggi disonesti
(Monaca di Monza e Innominato) o benevoli (Frate Cristoforo), riescono finalmente a ricongiungersi e a celebrare le
nozze.

RIASSUNTO- Capitolo 9
Il nono capitolo dei Promessi Sposi, così come il decimo, è interamente incentrato sulla figura di Gertrude, la  Monaca
di Monza. Dopo essere arrivata nella città lombarda, nella mattina di sabato 11 novembre 1628, e dopo aver salutato
senza troppa affettuosità Renzo in partenza per Milano, Lucia – in compagnia della madre Agnese – fa il suo ingresso
nel Monastero dei Cappuccini e, successivamente, viene accompagnata dalle suore: è qui che conosce la monaca più
autoritaria del Convento, personaggio estremamente particolare ed interessante. Introdotta come la “Signora” in modo
da non svelarne, almeno inizialmente, l’identità, la Monaca di Monza si fa raccontare da Lucia e Agnese le loro
vicissitudini con don Rodrigo. Inizia da ora quello che sarà un lungo flashback sulla vita di Gertrude e una digressione
sulle usanze della nobiltà dell’epoca in ambito familiare: viene infatti descritta la famiglia di Gertrude e la regola in essa
vigente, secondo la quale, tutti i figli, ad esclusione del primogenito, dovevano entrare in convento, per non
“frammentare” il patrimonio della famiglia.

ANALISI
Sequenze
1. Separazione di Renzo dalle due donne
2. Arrivo di Lucia e Agnese al convento dei cappuccini di Monza
3. Trasferimento con il padre guardiano al monastero
4. Incontro con la Signora
5. Inizio della storia di Gertrude

Luogo
L'Adda, Monza, Milano

LINEE TEMATICHE
Comunicazione interrotta.
Gertrude è vittima della tragedia della volontà e della parola e ciò le impedisce di far valere le proprie aspettative per il
futuro, i propri sogni e le proprie opinioni perfino sulla su stessa vita. Infatti, l’aspetto più evidente della sua tragedia è
quello della costrizione e del sacrificio imposti dalle convenzioni e dall’autoritarismo paterno. La volontà individuale, la
libertà, cristianamente intesa come facoltà di seguire il bene, vengono calpestate da falsi valori quali la ricchezza e

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l’onore. Tra le due generazioni si crea uno sbarramento, che dall’ambito familiare si estende a quello domestico,
coinvolgendo ospiti e servitori della casa del padre.
Figura ambigua e contraddittoria
Ambiguità che emerge in maniera netta e inequivocabile dal ritratto fisico del personaggio. La sua forza perturbante
(ciò che turba il lettore e la stessa Lucia sin dal primo approccio) sta nella sua interiorità lacerata: tracciandone il
ritratto, il narratore insiste sull’ambiguità, sulla doppiezza e sulle forti contraddizioni dell’anima di Gertrude. Nel
pallore dell’incarnato che contrasta con il nero dell’abito, nei movimenti repentini e misteriosi di occhi e labbra, nella
“ciocchettina di capelli neri” che sbuca dal velo e in quella bellezza “sbattuta, sfiorita e scomposta” è scritta tutta
l’inquietudine di un’anima peccatrice, turbata da irrisolti contrasti morali che si spiegano alla luce della storia della sua
monacazione forzata e del rapporto con l’autorità paterna.
Tale ambiguità di fondo emerge anche dal primo scambio di battute con le due donne, in particolare con Lucia: a) da
una parte, come se avesse imparato a sospettare dell’autorità sia familiare sia religiosa, la monaca dubita che Lucia sia
costretta, come lei, alla vita claustrale dalla madre o dal padre guardiano; ciò la spinge a indagare in dettaglio le
minacce che incombono sulla ragazza (“di grazia, padre guardiano, non mi dica le cose così in enimma”) e a zittire
Agnese che è pronta a rispondere al posto della figlia (State zitta voi: già lo so che i parenti hanno sempre una risposta
da dare in nome dei loro figlioli); b) dall’altra è incuriosita dalla natura sessuale dell’insidia, tanto che il riferimento del
padre guardiano “alle orecchie purissime della reverenda madre” la fa arrossire di vergogna.

Forte contrasto tra i due personaggi femminili di Lucia e Gertrude

1. Le due giovani donne si definiscono qui in relazione oppositiva (sono cioè opposte) innanzitutto nei tratti esteriori
dell’origine sociale e del conseguente atteggiamento personale: Gertrude è nobile e Lucia è una popolana; l’una è
religiosa e l’altra promessa sposa; una è altezzosa e l’altra è umile; una curiosa e ha voglia di parlare mentre l’altra
è schiva e di poche parole;
2. Sempre dal punto di vista esteriore, l’altra differenza è data dalla bellezza fisica: quella della monaca è
condizionata da una serie di opposizioni (impressione di bellezza, ma d’una bellezza sbattuta …). Nel ritratto di
Getrude. dominano il pallore e l’oscurità (contrasto velo-saio; contrasto tra le sopracciglia, gli occhi e i capelli neri
e le guance pallide) e disarmonia e irregolarità (per es. l’abito). La bellezza di Lucia, al contrario, porta i segni
inconfondibili dell’ordine e della regolarità: a) i capelli sono spartiti da una riga e disposti in trecce arrotolate dietro
la nuca;b) le emozioni che affiorano sul viso sono miti, naturali, normali.c) la bellezza di Lucia è modesta e
composta (“senza scompor bellezza”);
3. Ben più radicale è l’alterità interiore (la differenza che riguarda l’interiorità) dei due personaggi: Gertrude, nella
sua capricciosa superbia, si presenta come donna tormentata nell’animo assai più di Lucia: nella sua interiorità
convivono sentimenti opposti e contraddittori e tutta la sua immagine esteriore comunica l’idea del tormento e del
disordine morale; Lucia, al contrario, è univoca nei giudizi e nei sentimenti (non ha tentennamenti, non ha
esitazioni né dubbi) e rimanda a un modello femminile positivo, senza ombre, portavoce del programma ideologico
del narratore (fiducia nella provvidenza divina).

L’animo tormentato di Gertrude


La giovane è consumata da un conflitto interiore, tra il desiderio di libertà e la volontà di rispettare la decisione paterna,
che non riesce a sanare e che la porta a scelte di vita immorali, a sprofondare nel peccato. G. non ha un’identità
costituita, solida, si lascia trasportare dagli istinti più bassi, il cui soddisfacimento le procura sensi di colpa. Tuttavia
non elabora tali sensi di colpa fino al punto di cambiare vita: è questa la sua grande debolezza, che il narratore non
giustifica mai.

Monacazione forzata

La monacazione forzata, un’usanza medievale” in pieno Seicento che il M. illuminista non può che condannare. E’
irrazionale e ingiustificato costringere una ragazza a prendere i voti senza una vera vocazione, ma solo per convenienza
economica e per ragioni patrimoniali. Egli, come fece anche l’illuminista francese Denis Diderot con il romanzo La
religiosa (1796), ribadisce il diritto irrinunciabile di ogni individuo a scegliere la propria vita. Il secondo aspetto
(tipicamente romantico) è costituito dal dramma psicologico di una giovane dibattuta tra l’obbligo sociale di rispettare
la volontà paterna e il desiderio di libertà e autodeterminazione, l’aspirazione legittima a una vita diversa da quella del
monastero.

NARRATORE
Il narratore di questo capitolo è onnisciente. Manzoni, infatti, dimostra di conoscere a fondo la vicenda della povera
Gertrude e usa aggettivi che stabiliscono i suoi sentimenti nei confronti della monaca e di suo padre.

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L’autore si distacca solo una volta dalla narrazione dell’Anonimo, nei primi versi del capitolo, quando deve dirci il
nome del paese in cui Lucia e Agnese devono giungere. Egli dice che , anche se l’Anonimo non lo aveva esplicitamente
espresso, era giunto a capirlo tramite vari accenni di carattere geografico, come la presenza del fiume Lambro, per poi
spiegarlo a noi.

STILE
La prima è costituita da una breve descrizione dell’arrivo a Monza dei fuggitivi e dalle scene tra Lucia, Agnese, la
monaca e il padre guardiano; questa parte ha un ritmo veloce che ci mostra le scene in diretta.

La seconda, invece, ha un ritmo più lento poiché vi trova luogo una lunghissima descrizione, che proseguirà nel capitolo
successivo, dell’infanzia e dell’adolescenza di Gertrude fino al suo ingresso in monastero (capitolo 10); la sua lentezza
si può motivare con la presenza di spiegazioni dettagliate riguardanti gli stati d’animo della donna e delle sue eterne
indecisioni.

PERSONAGGI
Lucia
Lucia è, invece, una delle protagoniste di questa fase narrativa. Anche qui, Lucia mostra la sua timidezza e il suo pudore
in due occasioni. La prima, quando il padre guardiano accenna alla sua bellezza durante il tragitto verso il monastero, e
la seconda, quando la Signora le chiede di raccontare i fatti che l’hanno spinta alla fuga. Infatti, Lucia prova vergogna al
solo sentir nominare tutta la faccenda di Don Rodrigo, come il Manzoni ci lascia intendere con la frase " ma rispondere
era tutta un’altra faccenda. Una domanda su quella materia, quand’anche le fosse stata fatta da una persona sua pari,
l’avrebbe imbrogliata non poco: proferita da quella signora, e con una cert’aria di dubbio maligno, le levò ogni
coraggio a rispondere". Quando finalmente riesce a raccontare i fatti, arrossisce di nuovo, come a sottolineare la sua
purezza in confronto a quella del suo aguzzino: "e qui diventò rossa rossa", in cui il termine “rossa” è ripetuto due volte
con un raddoppiamento per dargli maggior valore.

Agnese
Anche Agnese svolge un ruolo importante, accompagnando la figlia al monastero e facendole da portavoce nei momenti
in cui questa si trova in difficoltà davanti alle domande imbarazzanti della monaca. Proprio per questo motivo, viene
ripresa dalla Signora, "Siete ben pronta a parlare senz’essere interrogata […]. State zitta voi: già lo so che i parenti
hanno sempre una risposta da dare in nome de’ loro figliuoli!", e si sente mortificata dalla risposta.

La monaca
Padre guardiano:
Non ne pronuncia mai il nome, ma la chiama “Signora”, titolo inusuale per una suora il lettore comprende che il
personaggio è fuori dal comune. Persona isolata e staccata dalle altre: vive in clausura e le si parla attraverso una grata

Presentazione
La monaca è una giovane donna di venticinque anni, con un viso pallido e di una bellezza sfiorita. Il suo atteggiamento
appare travagliato: a volte è altezzosa e sdegnata, a volte è schiva e timorosa. Anche nel suo abbigliamento c’è qualcosa
di trascurato, ma non si comprende se per negligenza o per una precisa volontà di infrangere le regole.

Aspetto fisico
«Il suo aspetto, che poteva dimostrar venticinque anni, faceva a prima vista un'impressione di bellezza, ma d'una
bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi, scomposta. Un velo nero, sospeso e stirato orizzontalmente sulla testa, cadeva
dalle due parti, discosto alquanto dal viso; sotto il velo, una bianchissima benda di lino cingeva una fronte di diversa,
ma non d'inferiore bianchezza. Ma quella fronte si raggrinzava spesso, come per una contrazione dolorosa; e allora
due sopraccigli neri si ravvicinavano, con un rapido movimento».
 
Opposizioni
La descrizione dell’aspetto di Gertrude, che è uno dei più dettagliati ritratti del romanzo, è caratterizzata da una serie di
opposizioni: bellezza/sbattuta, velo nero/bianchissima benda, sopracciglia nere, occhi neri/gote pallidissime,
affetto/odio; questo rivela i suoi contrasti interni e la sua natura tormentata.

Occhi

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Gli occhi della monaca rivelano tutto ciò che ella non può dire e dicono, forse, più di quanto ella non sappia: "due
occhi, neri anch’essi, si fissavano talora in viso alle persone, con un’investigazione superba; talora si chinavano in
fretta, come per cercare un nascondiglio; in certi momenti, un attento osservatore avrebbe argomentato che
chiedessero affetto, corrispondenza, pietà; altre volte avrebbe creduto di coglierci la rivelazione istantanea di un odio
inveterato e compresso, un non so che di minaccioso e feroce: quando restavano immobili e fissi senza attenzione, chi
ci avrebbe immaginato una svogliatezza orgogliosa, chi avrebbe potuto sospettarci il travaglio di un pensiero nascosto,
d’una preoccupazione familiare all’animo, e più forte su quello che gli oggetti circostanti".

Vestiti
La giovane mostra ancora la sua diversità nel modo di vestire "con una certa cura secolaresca" l’abito da monaca che le
è stato imposto, in cui “secolaresca” significa propria delle dame che vivevano al di fuori del convento.

Curiosità
Inoltre, non nasconde la sua curiosità nei confronti dei dettagli “piccanti” della storia di Lucia e le chiede che le si dica
tutto "un po’ più particolarmente", dimostrando una sensualità che le dovrebbe essere estranea; quando, invece, il padre
guardiano le nega la risposta, dicendo che non sono adatte alle "orecchie purissime della reverenda madre", un rossore
le tinge le guance che, come ci spiega il Manzoni stesso, non è verecondia come quella di Lucia, ma stizza e dispetto
per non aver potuto conoscere i dettagli che tanto desiderava sentire.

Comportamento
Nonostante questi suoi comportamenti particolari, la sincerità e l’innocenza di Lucia mitigano anche il suo animo,
iracondo e altezzoso, portandola a parlarle "con voce raddolcita".

Flashback
Nel lungo flashback che segue, Gertrude ha comportamenti contraddittori, partendo da quelli di esaltazione per il fatto
di poter diventare madre badessa fino ad arrivare a un odio profondo per il chiostro quando le compagne le raccontano
dei loro sogni nel mondo. Quando la giovane finalmente decide di negare al padre il consenso per entrare in convento,
si ritrova costretta a rimangiarsi quel "no fatale" e a ripeter molte volte un sì controvoglia. Più volte pensa di poter dire
di no al passo successivo, rimandando sempre il momento, fino ad arrivare al sì definitivo che le viene strappato e la
costringerà a una vita da eterna reclusa tra le quattro mura del monastero in cui era cresciuta.
In questa ragazza si manifesta la tragedia della volontà e della parola, in quanto ella non è in grado di manifestare le
proprie intenzioni davanti al padre.

Figura contraddittoria
Si presenta come una figura contraddittoria rispetto a quella delle altre monache. La Signora vorrebbe essere libera,
poiché è stata rinchiusa in monastero contro la su volontà, e lo dimostra con alcuni atteggiamenti che sono in contrasto
con l’idea di monaca obbediente. Per esempio, all’arrivo delle donne, "Era essa, in quel momento, […] ritta vicino alla
grata, con una mano appoggiata languidamente a quella e le bianchissime dita intrecciate ne voti": le dita della signora
s’infilano negli spazi vuoti, i “voti”, di quella grata che la divide dall’esterno, come in un’estrema ricerca di una libertà
impossibile; attraverso le dita, la suora sembra assaporare languidamente un po’ di quel mondo esterno che le è negato.

Lingua e realismo
Per la descrizione della Monaca di Monza, Manzoni utilizza una lingua estremamente raffinata. Interessante notare
come, anche nel ritratto fisico della donna, vi sia una sua forte descrizione introspettiva: ogni piccolo gesto, smorfia o
atteggiamento servono a mostrare chiaramente la complessità dell’anima della Monaca di Monza, l’atteggiamento
contraddittorio di una donna che ha vissuto un’infanzia turbata. È importante inoltre sapere che il personaggio della
Monaca di Monza non è frutto della fantasia del Manzoni, ma è esistito veramente: stiamo parlando Marianna de Levya,
figlia del feudatario della città di Monza.

Posizione di Manzoni
il giudizio che Manzoni le riserva, divenuto ora negativo. Libera dalle scorrettezze del padre, poiché rinchiusa in
monastero, la donna dovrebbe trovare pace e consolazione nella fede cristiana: «È una delle facoltà singolari e
incomunicabili della religione cristiana il poter indirizzare e consolare chiunque, in qualsivoglia congiuntura, a
qualsivoglia termine, ricorra ad essa», scrive l’autore. E invece la Monaca di Monza continua a rimuginare sul proprio
passato, a covare odio per la propria famiglia e per la propria condizione e a riversarlo su chiunque incroci il suo
cammino, arrivando addirittura a compiere un omicidio.  libero arbitrio

Descrizione per antitesi

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