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ARIOSTO

IL PALAZZO DI ATLANTE
RIASSUNTO

Le prime ottave del canto XII del Furioso sono dedicate a Orlando che, eternamente all’inseguimento di Angelica,
finisce per essere risucchiato in un palazzo magico (il palazzo di Atlante, ci svelerà Ariosto più avanti).

Il brano in analisi inizia —alle ottave IV-VII— presentandoci un Orlando pensieroso e determinato a cercare Angelica
fino al di là del mare. Ecco però apparirgli un cavaliere che sembra portare in arcione proprio la donzella tanto bramata:
scatta immediato l’inseguimento.
In tale esordio drammatico sono subito visibili alcuni dei temi-chiave dell’intero episodio. Le ottave IV e V aprono e
chiudono («l’ha cercata per Francia», IV, 1; «gli par colei, per cui la notte e il giorno / cercato Francia avea dentro e
d’intorno», IV, 7-8) richiamando immediatamente al lettore la condizione fondamentale di Orlando, alla perenne
ricerca di Angelica: una quête che, vedremo, caratterizzerà tutti i personaggi presenti nel palazzo. All’interno di questa
cornice, ecco apparire proprio lei, l’oggetto della ricerca. Come è abituale nel poema, è un incontro fortuito a
(ri)lanciare la narrazione, aprendone un nuovo episodio avventuroso. In un crescendo drammatico, Orlando prima (IV)
ne «sente all’orecchia» la voce, e la «vede» passare, poi (colpito nei sensi secondo lo stesso ordine, V) è da lei chiamato
in soccorso, e la «mira» con intenzione. Sull’incontro è però già esplicitamente segnalata un’ombra: «par che piagna»
(IV, 6), «fa sembiante / di gran dolore» (V, 3-4), «gli par colei» (IV, 7). Ma è lei davvero?

È Ariosto in persona a prendere la parola in merito: «Non dico ch’ella fosse, ma parea / Angelica gentil» (IV, 1-2).
L’intervento dell’autore, che in genere produce nella narrazione un effetto di straniamento volto a giudicare ciò che sta
avvenendo prendendone le distanze, qui resta invece ambiguo esattamente come l’episodio narrato, mantiene una
focalizzazione interna simpatetica con lo sguardo di Orlando, e rafforza al contempo l’insistenza sul verbo “parere”.

Nei versi seguenti, osserviamo la reazione di Orlando: se ad accompagnare Angelica occorrono i consueti stilemi cortesi
(«Angelica gentil ch’egli tant’ama. [...] la sua donna e la sua dea», VI, 2-3; ma si veda poi anche, ad es., «il bel viso
leggiadro» in chiusa dell’ott. X o «quel parlar divino», XIV, 6), Orlando assume subito (cf. VI-VII) un atteggiamento
bellicoso che porta con sé i caratteri dello stile epico: a muoverlo sono «l’ira e [...] la furia rea», la sua voce è «orrenda»
mentre —con le condecenti iperboli— il «fellon» se ne va «sì ratto» che «saria tardo a seguitarlo il vento» e le selve
rimbombano dell’inseguimento. Insomma, Orlando è pur sempre un gran guerriero, anche se ormai è il movente
amoroso a possederlo. Nella citata «furia» potrebbe quasi vedersi una prefigurazione dell’esito della sua vicenda
personale, come sintetizzato nel titolo del poema.

Prima ancora della fine della settima ottava, giungiamo al momento centrale dell’episodio: l’inseguimento attira
Orlando in un palazzo dalle caratteristiche assai peculiari, in cui perderà le tracce della presunta Angelica (e del suo
rapitore), salvo risentirne la voce e rivederne balenare il volto ogniqualvolta sarà sul punto di rinunciare alle ricerche:
così non potrà più allontanarsene (è in gioco la verginità dell’amata, che lo invoca addirittura per nome —«caro
Orlando», XV, 5 !). All’interno troverà altri noti cavalieri, vittime delle medesime condizioni di cattività. Sulle ottave
VIII-XVI, che costituiscono una chiara unità narrativa, converrà condurre l’analisi per nuclei tematici.

Cominciamo dal palazzo. Le prime definizioni che ne vengono date parlano di «grande e ricco ostello» (VII, 8) e
«palazzo altiero» (VIII, 2), e sulla qualità raffinata degli spazi interni insistono le successive caratterizzazioni: si vedano
ad es. i «vari marmi con suttil lavoro» e la «porta messa d’oro» (XVI, 1-3) o «d’oro e di seta i letti ornati» (X, 1). Presto
però emerge come tanta opulenza nasconda forse qualcosa (cf. X, 2-4; «nulla de muri appar né de pareti»: che anche il
palazzo condivida la natura di apparenza soggettiva già dell’Angelica rapita?), fino ad arrivare a definizioni assai più
esplicite della vera natura del «palazzo strano»: «gabbia» e «inganno» (cf. XII, 6 - XIII, 2).

Cosa ha portato a tale scoperta? L’esplorazione condotta da Orlando, e soprattutto il ritrovamento degli altri cavalieri
“imprigionati” (cf XI-XII): Ferraù, Sacripante e altri, tutti ormai da mesi alla ricerca del «malvagio invisibil signor di
quel palagio», accusato da ciascuno del «furto» del proprio oggetto più caro e ricercato —esattamente come Orlando
rincorre il suo «ladro» (X, XIII, XV).

Ma seguiamo Orlando nella propria ricerca. Il testo ne sottolinea con forza due caratteristiche: il dinamismo rapido e
caotico e l’inutilità. Nel primo caso, è il ritmo tutto binario e fatto di antitesi a darcene chiaramente il senso: «subito
smonta, e fulminando passa, [...] corre di qua, corre di là, [...] ogni camera, ogni loggia, [...] bassa [e] su per le scale,
[...] di sopra [e] di sotto» (IX); «di su di giù va [...] e riede» (X, 5); «or quinci or quindi» (XI, 1); «una et un’altra volta,

1
[...] da una parte, suona altronde» (XVI). L’inutilità dell’ossessivo movimento è invece testimoniata dal ricorrere di un
termine-chiave come “vano”: «ha cerco invan [...]; perde [...] il tempo e l’opra» (IX); «invano / il passo movea» (XI, 1-
2); «gittare il tempo e la fatica invano» (XIII, 4).

Si noti che la condizione identica delle altre vittime del palazzo sintetizza perfettamente le due caratteristiche dette:
«altri cavallieri / vi ritrovò, ch’andavano alto e basso, / né men facean di lui vani sentieri» (XI, 4-6; qui tra l’altro e fino
nell’ottava successiva non par casuale un’allitterazione di ‘va(n)’).

Insomma, Orlando (come tutti gli altri) è catturato in un incantesimo che non ha bisogno di lacci e impedimenti fisici:
ciò che lo imprigiona è interamente nella sua testa, nelle sue illusioni (per cui si ostina a vedere Angelica in
un’apparenza mai verificata), nell’«alta speranza» (XVI, 2) che gli impedisce qualsiasi movimento lineare. Il palazzo
sembra così semplicemente esaltare e condurre alle sue conseguenze la caratteristica propria del personaggio (nata
dall’Innamorato e dalla fusione dei cicli carolingio e bretone), che ricercando —con significativa perifrasi— «il viso /
che l’ha, da quel che fu, tanto diviso» (XIV, 7-8) perde le proprie virtù di campione cristiano.

PERSONAGGI
Angelica astuta e volubile
A un certo punto, infatti, la vera Angelica compare inaspettatamente nel palazzo di Atlante e ne vanifica l’incantesimo
grazie al suo anello magico. L’Angelica autentica si svela ai paladini, sostituendo l’immagine illusoria creata dal mago.
Angelica si mostra come una donna astuta e calcolatrice, che vorrebbe la scorta di Orlando o del re di Circassia per
raggiungere sana e salva il Catai, ma non pensa minimamente di concedersi a nessuno dei due. Quando li ha trovati
medita a lungo su quale sia la scelta migliore e alla fine sceglie Sacripante perché, anche se è meno valoroso di Orlando,
sarà più facile per lei liberarsene quando non le servirà più. Inaspettatamente viene però vista, oltre che da Sacripante,
anche da Orlando e da Ferraù che si lanciano di nuovo al suo inseguimento. Ormai lontana dal palazzo, nonostante
abbia in precedenza progettato di farsi scortare da loro, repentinamente cambia idea, convinta che il suo prezioso anello
magico possa bastare per il suo viaggio. Così, i paladini restano basiti quando lei scompare, diventando invisibile grazie
all’anello. La donna si diverte a vederli mentre guardano stupefatti verso il bosco e mentre vagano a vuoto, alla sua
ricerca. 

SIMBOLI
In conclusione, il palazzo di Atlante (come molte situazioni magiche nel Furioso) può essere letto come allegoria,
metafora di valore generale: concentra le caratteristiche della selva, già sede di quêtes intrecciate e caotiche, e ne svela
il senso simbolico.
L’incantesimo del palazzo è, come detto, che tutti coloro che passano nei suoi dintorni credono di vedere ciò che stanno
cercando e ne sono attratti all’interno, dove continua la rincorsa ai rispettivi miraggi, che ora spariscono ora riappaiono,
in un incrocio senza fine di vani sentieri (in cui però oltretutto chi si incontra non si riconosce, non comunica: ciascuno
è perso nell’abisso della propria psicosi).

Il palazzo è dunque la macchina magica che rende visibile ciò che ciascuno desidera vedere, ma si rivela al tempo stesso
«vortice di nulla, che incrocia i destini dei personaggi e li avvita nel vuoto» (Calvino). È metafora della vita e delle sue
illusioni, dell’uomo che rincorre ostinatamente i propri sogni fino ad essere incapace di distinguere la fantasia dalla
realtà. Ha sede nella mente, nel cuore degli uomini, “zona interiore” opposta alla coscienza razionale. È quella parte
dell’io in cui giocano a rincorrersi l’apparenza soggettiva e la realtà oggettiva, l’ideale, l’immaginazione, la speranza. È
il luogo in cui cresce il seme della follia.

TEMI
Quete
È estenuante la corsa verso la felicità, e in quanto umani lo sappiamo bene. Ariosto si fa portavoce dell’insoddisfazione
e della vacuità della quête dell’uomo: il continuo appagamento del desiderio. Ed è così che trasferisce il desiderio
all’interno di un palazzo che non lascia via di scampo: una volta che si insegue un desiderio, non ci si può fermare.
Ariosto sa bene che dei desideri e delle illusioni si può restare prigionieri. Così Orlando vede Angelica, Ruggiero vede
Bradamante. È quell’amore di dantesca memoria “che move il sole e l’altre stelle”  il vero motore immobile dell’opera
e, in maniera forse un po’ banale, peccato e salvezza, dannazione e perdono assieme.

Metafora della vita


Il palazzo rappresenta una metafora della vita, in cui spesso gli uomini perseguono affannosamente obiettivi illusori,
che non riescono a raggiungere, per i quali consumano tempo e fatica inutilmente.

2
STILE
Illusorietà
Anche l’uso del lessico ha una parte fondamentale, essendo la scelta linguistica e stilistica in sintonia con la metafora
del palazzo. Fin dall’inizio infatti, si nota l’ampio utilizzo di termini che indicano apparenza e illusorietà. I verbi come
“cercare” e “parere” sono molto frequenti, così come il sostantivo “vano” e i termini collegati ad esso. In particolare il
primo verso della sesta strofa del canto: “non dico ch’ella fosse, ma parea” dà la conferma dell’incertezza della quale
sono impregnate queste pagine, e nelle quali si evince quanto sia effimera e irraggiungibile la felicità per l’uomo.

LA PAZZIA DI ORLANDO
RIASSUNTO
Dopo aver girato invano per due giorni, il conte Orlando giunge infine nei luoghi dove Angelica e Medoro sfogarono la
loro passione amorosa. Vede i loro nomi incisi su ogni albero ed ogni pietra. Il paladino cerca di convincersi prima che
si tratti di un’altra Angelica, ma conosce purtroppo bene la grafia della donna amata; crede poi che Medoro fosse
il soprannome che lei gli aveva dato, ma in una grotta trova una poesia scritta dal giovane in onore della passione
vissuta insieme ad Angelica, e non può infine fare altro che scontrarsi con la dura realtà. Ma con sempre più sospetto
Orlando giunge in una grotta dove vide molte frasi che Medoro aveva scritto in arabo; Orlando le rilesse infinite volte
sperando che non significassero quella che c’era scritto e ogni volta provava una fitta come se una mano fredda lo
stringesse. Il dolore che voleva sfogare viene paragonato (da Ariosto) all’acqua in un vaso largo alla base ma stretto nel
collo e capovolgendolo il liquido si intoppa nella stretta apertura. 

Per un po’ Orlando ritorna in sé crede che qualcuno abbi scritto quelle parole per infamare Angelica. Prima del
tramonto prende il cavallo, si mette in viaggio e poco dopo vede una casa. Un pastore lo ospita per la notte e,
vedendolo triste e sconsolato, per allietarlo gli racconta, con dovizia di dettagli, l’idillio amoroso di Angelica e Medoro.
Dopo aver curato il giovane Medoro ferito, la bella Angelica se n’era innamorata e aveva deciso di sposarlo, benché egli
fosse solo un povero fante e lei, invece, figlia del più potente sovrano d’Oriente. Il pastore mostra a Orlando il letto su
cui si è consumato l’amore tra i due giovani e un prezioso bracciale che Angelica gli ha dato come compenso per
l’ospitalità ricevuta. È il bracciale che lui, Orlando, aveva donato ad Angelica. Dopo che il pastore lascia la camera
Orlando scoppia in lacrime e continua a girarsi nel letto. Gli viene in mente però che il suo amante e Angelica si sono
coricati lì. 
Preso il suo cavallo raggiunge il bosco, e giunge per caso nei pressi della fonte, dove aveva visto le incisioni dei due
amanti. Frantuma in mille pezzi la roccia (viene usata la figura retorica dell’iperbole) su cui Medoro aveva espresso il
suo amore per Angelica e tutto quel che le sta attorno, al punto che la pura fonte che vi era in quel luogo, da allora è
rimasta per sempre torbida. Poi, stremato, crolla sull’erba e dorme per tre giorni. Il quarto giorno, uscito di senno, dopo
essersi completamente spogliato, inizia a correre e a devastare tutto quel che incontra, sradicando alberi. I contadini,
sentendo il frastuono, si incuriosiscono e vanno a vedere che cosa sta succedendo e qui Ariosto si  ferma (“mi fermo
perchè il mio racconto potrebbe risultare noioso”). Successivamente nel prossimo canto riprenderà la descrizione della
follia di Orlando dopo aver parlato di alcune vicissitudini amorose.

 Incontro con il destino


 Rinfresco memoria del luogo ad un certo punto sospende il racconto per ricordare al lettore la foresta già vista
accentua la drammaticità di quello che sta per accadere
 Nega evidenza
 Casa del pastore
 Riflessione autore ironia, cosa abituale
 Petrarca dramma e tristezza
 Dissociazione dell’io
 Si ritrova nella foresta per caso
 Fase esplosiva
 Poi fase depressa, cade nell’erba
 Furia distruttrice spoglia delle armi atto simbolico, cessa di essere un cavaliere
 Piange fiumi di lacrime  motivo tradizionale della poesia d’amore, ispirato a petrarca.

PERSONAGGI

3
Angelica
Angelica diventa soggetto, protagonista: prima era solo quella che scappava  figura piatta che però poi acqusice
spessore. Medoro sta morendo ma non si lamenta del suo male ma del fatto che non è riuscito a sepellire il suo re.
Angelica arriva e prova dei sentimenti strano, Angelica è presente in quasi tutti i canti ed era sempre quella che
scappava. Il cuore di Angelica è il cuore più chiuso,… qui invece prova pietà. Angelica è orientale, e da quelle parti
sono competenti in medicina, mentre in europa non sono molto avanzati. Lei è capace di curare e quindi con le erbe
prova ad aiutare il giovane soldato  da molti dettagli, le sue mani vano a contatto col corpo del soldato non è cosa
solita avere questo contatto fisico. Descrizione del mondo pastorale 1: mondo di pace e di sicurezza. Angelica si
innamora grande notizia: prima tutti si innamoravano di lei, ora è lei che si innamora di qualcuno.

Orlando
Cerca fortemente di negare l’evidenza, si autoinganna
Formula 3 idee

1. Può essere un soprannome il nome Medoro, che Angelica ha dato a lui, ma giunto nella grotta viene subito smentito
2. Si tratta di un’altra Angelica, ma riconosce la grafia
3. Oppure pensa che qualcuno abbi scritto così per infamare Angelica.

Tutto viene smentito dal pastore che racconta la verità

Medoro
Fortunato

TEMI
La pazzia
L’incedere della sua pazzia è descritto da Ariosto con precisione psicologica, in un crescendo di intensità drammatica.
Dapprima, dopo aver letto i nomi degli amanti incisi nelle cortecce degli alberi, egli inventa illusorie spiegazioni
e inganna se stesso; poi, giunto nella grotta, trova un’incisione di Medoro, in cui con una poesia in arabo si ringraziano
quei luoghi che hanno visto nascere l’amore tra lui ed Angelica. Orlando, che già sta cedendo alla pazzia, di nuovo si
inganna, dicendo a se stesso che le incisioni sono opera di qualcuno che vuole instillargli gelosia o infamare il nome
della donna amata. Sarà quindi il racconto del pastore, e alla vista del gioiello da donato da Orlando ad Angelica come
pegno d’amore e da lei lasciato al suo ospite in segno di gratitudine, a far cadere tutti gli argini, psicologici e fisici,
della follia del paladino. Il tema della pazzia (già presente nel filone del ciclo bretone, ad esempio nelle figure di
Tristano o Lancillotto) è qui sviluppato con molte sfaccettature: quella di Orlando è infatti una psicologia in divenire,
ben più complessa di quella degli eroi precedenti della tradizione. Così il protagonista, sconvolto dalla scoperta della
verità, attraversa diversi stadi, descritti con molta finezza psicologica: l’illusione e l’autoinganno, la negazione della
realtà e l’accusa contro terzi, il dolore che rende muti ed intontiti, la follia come fuga dal mondo e sua distruzione.

Amore-follia
L’amore è uno stato di follia, intesa come condizione che allontana l’uomo dalla razionalità, gli fa perdere l’esatta
percezione di se stesso e della realtà che gli sta intorno. È la follia di chi, come Orlando, si fissa con intransigenza, con
ossessione su un obbiettivo, senza porre in dubbio la sua raggiungibilità, senza preopccuparsi dei propri limiti, fino alla
eprdita di se stesso. È l’amore idealizzato, l’amore platonico e cortese della tradizione letteraria

Psicologia
Il racconto si situa nella psiche di Orlando, registrandone le variazioni, snodi, tappe  analisi psicologica
3 momenti
1. La casuale scoperta e i tentaitivi di illudersi che non sia reale
2. L’acquisizione delle prove inconfutabili di quell’amore  la poesia di Medoro, il racconto del pastore, il
bracciale di angelica
3. Lo scoppio della follia e della seguente furia distruttrice

Luogo
Il canto ventitreesimo dell’Orlando furioso si svolge tra una radura amena e la casa di un pastore che ospita Orlando per
la notte. I luoghi cantati non sono però mero sfondo della vicenda amorosa, ma hanno un ruolo da
protagonista nell’esplosione della pazzia di Orlando. Piante, pietre e acque parlano e deridono il paladino, poiché gli
offrono prove esplicite del tradimento di Angelica con Medoro: in tal senso, Orlando sfoga la sua rabbia su di loro,
distruggendole in preda alla follia, come per metterle per sempre a tacere.

1
Nel mondo classico il mond0 pastorale era idealizzato (ex pastore che canta tornando a casa,…)  era un mondo povero ma la
gente era felice, non c’era la brama di successo, di avere materiali,… si accontentavano di poco. Mondo umile e povero ma felice.
Gli umansiti anche riprendono a idealizzare il mondo pastorale.

4
La radura in cui arriva, stremato, Orlando, presenta a prima vista tutti i tratti caratteristici del locus amoenus (ottava
100): si sottolinea così, con ancor più forza, l’antitesi tra la serenità del mondo circostante e il tormento interiore di
Orlando.

STILE
Iperbole
La pazzia di Orlando è frutto di espressioni iperboliche infatti Orlando spezza un sasso con le sue mani; gettò nel
ruscello ceppi di legno, tronchi, sassi fino a quando non le rese tanto torbide; sradicò alti pini, faggi, olmi, elci,
sterpaglie, alberi secolari come se fossero finocchi.

Ariosto descrive la pazzia di Orlando con numerose e ripetute iperboli ed esagerazioni, tese a sottolineare la
drammaticità e la furia cieca dell’eroe.

Antitesi
Ci sono molte antitesi2: lui fiorisce lei si struggemedoro guarisce e lei si ammala. Angelica lo guarisce e lui la ferisce.
Grazie all’opposizione di significati, cambia anche la struttura e l’ordine del testo. L’antitesi da forma al testo. 27: primi
due versi e ultimi due versi (distico, due versi).

Metafore
Metafora amor cortese: Freccia che becca Angelica: l’amore che la becca da Medoro. Usa metafore naturali: fiore, neve,
… Metafora fuoco (amore) e febbre. Metafora ripetuta: piaga, freccia.  accumularsi di metafore amorose tradizionali
attorno a quella fondamentale ferita d’amore (piaga). La metafora della piaga permette un gioco di antitesi una ferita
è fisica, intesa letteralmente, mentre per Angelica la ferita è d’amore, al cuore, è una metafora.

Straniamento
Ottava 31: Arisoto interrompe il fluire del racconto per fare un commento (effetto di straniamento): ``tutti avete sofferto
per lei, e un cavaliere (nemmeno famoso o bravo) riceve una confessione d’amore da lei``. Angelica da la rosa a
Medoro.
Ariosto fa un riferimento autobiografico: il duol di orlando tutti gli altri passa  ariosto ne ha fatto esperimento

Bracciale
Ha un bracciale prezioso (datogli da Orlando come segno d’amore) era della fata morgana, poi arriva ad Orlando, poi
angelica il bracciale vive diverse storie. Decide di donare il bracciale. Il bracciale cambia continuamente proprietario
grazie a questa catena di regali.

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