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Chiara Lombardi
Università di Torino
Nel quadro del pittore preraffaellita John Everett Millais (fig. 1), l’Ofelia
shakespeariana ritrova quello splendore che la tragedia le aveva negato.
Dapprima umiliata dal disincanto furioso di Amleto, poi svuotata e abbruti-
ta dalla propria follia – naturale, spontanea, non illuminata da alcun metodo, a
differenza di quella amletica – Ofelia sparisce inghiottita dalle acque, per
riapparire seppellita tra le tombe, in una delle scene più buie e grottesche,
sebbene geniale, del teatro shakespeariano, quella che apre il quinto atto.1
Nell’atto precedente (IV, vii, 165 sgg.), è la regina Gertrude a descrivere
la morte di Ofelia per annegamento, che adombra però il suicidio. La gio-
vane donna è descritta nella ben nota cornice di un salice che riflette le fo-
glie grigie sul vetro dell’acqua (“his hoar leaves in the glassy stream”), da
ranuncoli, ortiche e margherite, e da “fiori purpurei”, sorta di orchidee a cui
i pastori danno nomi osceni, ribattezzati dalle fredde vergini “dita di mor-
1
L’edizione di riferimento è: Shakespeare 2014. Per le interpretazioni del personaggio e
la sua sopravvivenza nella tradizione occidentale, cfr. Gürbilek 1017; Ortiz 2016; Peter-
son e Williams 2012; Klein 2006; Anglin 2017; Fusini 2010.
Due storie d’acqua in Shakespeare, SQ 14 (2018)
to” (“long purples, / That liberal shepherds give a grosser name, / But our
cold maids do dead men’s fingers call them”, vv. 169-171). È evidente, ma
non certo scontato, il legame tra amore (o sesso) e morte, tra eros e thanatos,
interscambiabili, e tra un eros potente ma sterile, e la morte che si affaccia
ovunque, nella corrente vitrea (quasi un ossimoro, sempre legato all’acqua e
al dolore: cfr. Two Noble Kinsmen, I, i, 110-113), e nelle vesti che si gonfiano
d’acqua, “heavy with their drink”: che hanno bevuto troppa acqua e perciò
sono divenute pesanti; un’immagine cupa, anche in questo caso, preceduta
però da quella della sirena che intona vecchie canzoni (“mermaid-like [...]
Which time she chanted snatches of old lauds”, 178).
Anche solo per un attimo, Ofelia è trasfigurata in sirena, mermaid-like,
creatura d’acqua di omerica e ovidiana memoria. Nel quinto libro delle Me-
tamorfosi, infatti, si racconta che le Sirene erano compagne di Proserpina e –
come lei prima di essere rapita, raffigurata dalla poesia visiva di Ovidio
mentre riempie cesti e grembiule di viole e di gigli (V, 391sgg.) – si diletta-
vano con innocenza a raccogliere fiori. Poi, nel cercare l’amica rapita e se-
dotta dal Dio dei morti Plutone, desiderarono attraversare il mare “remi-
gando con delle ali” (“posse super fluctus alarum insistere remis”, V, 558),
trasformando quindi le loro membra in ali bionde di penne, in una meta-
morfosi che sembra riecheggiata dal destino dell’Ulisse dantesco e dei suoi
compagni nel famoso verso (“de’ remi facendo ali al folle volo”, Inf.,
XXVI). Alle Sirene resta il volto di fanciulla e la voce umana, il canto “fatto
per ammaliare le orecchie” (“mulcendas natus ad aures”, V, 561).2
Come Cordelia con Lear (cfr. King Lear, V, viii, 240 sgg.), Ofelia muore
raccontando (o, meglio, cantando) antiche storie, come queste o chissà qua-
li, ma certamente capaci di allontanare dal presente, dal male assoluto, e di
fare rivivere. Con l’accenno alle old lauds, inoltre, si esprime nel momento
cruciale della vita di Ofelia quella nostalgia di bellezza e, in un certo senso,
di vita e di natura che si manifesta per tutto il dramma e, in particolare, nel-
le parole della follia: quando la giovane canta di conchiglie e di sandali (IV,
v, 25 sgg.), o immagina che il padre Polonio, appena ucciso da Amleto, sia
guarnito di fiori, “larded with sweet flowers”, nella sua tomba non innaffia-
ta da lacrime d’amore, “with true-love showers” (IV, v, 37-40); e nei fre-
quenti richiami al potere delle piante: rosmarino per la memoria, ruta, sim-
bolo di grazia; e finocchio, margherite, violette... (IV, v, 170 sgg.).
Ofelia invoca la natura e si affida a quella che Bachelard, in L’eau et les
rêves, definisce, proprio a proposito del personaggio shakespeariano, “une
2
L’edizione di riferimento è Ovidio 2015.
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morte fleurie” (Bachelard 1976, 27): in mezzo all’acqua, al suo scorrere, con
la trasformazione della morte e della violenza in nuova vita e nuova natura.
È quanto, a mio avviso, le restituisce Millais: tutto ciò che di felice o di bel-
lo in Ofelia c’è o ci sarebbe stato, che Shakespeare ci lascia soltanto intuire
nella sua soppressione o, meglio, rimozione.3 Ed è quanto si legge nelle anti-
che storie ovidiane, che in questa vicenda Shakespeare sembra lasciare in
controluce: le antiche storie di Aretusa e di Ciane, ad esempio, oltre che di
Proserpina rapita dal Dio degli Inferi e miracolosamente restituita all’amore
della madre e della terra per tutto il tempo della primavera, sullo sfondo
della terra infuocata di Sicilia, la grande isola ammassata sopra le membra
del titano Tifone.
Sono storie di passioni che, nel momento estremo, si sciolgono in acqua.4
Ciane, la ninfa amica di Proserpina, cerca di fermare Plutone, non vi riesce
e si strugge in lacrime tanto da finire trasformata in acqua: le membra si
ammorbidiscono, i capelli diventano azzurri, caerulei, l’acqua si sostituisce al
sangue vivo di vene già in disfacimento (“pro vivo vitiatas sanguine venas”
V, 436). Ma è così che la sua vita si eterna nella fonte che prende il suo no-
me. E così Aretusa, ninfa cacciatrice, si trasforma in acqua per sfuggire alla
violenta passione di Alfeo, ma si fonde per sempre con lui nell’elemento li-
quido che li contraddistingue. Di ritorno dalla foresta di Stinfalo, stanca e
oppressa dall’afa (aestus, termine che apre e chiude il verso 586 del quinto
libro), la ninfa si ferma presso un fiume immobile, trasparente, “tanto che a
stento avresti creduto che scorresse” (V, 589). Anche lei è incorniciata da
alberi lugubri, “pallidi salici e pioppi nutriti dall’acqua”, che davano alle rive
naturale riparo dell’ombra (V, 590-591). In una delle tante immagini pittori-
che che Ovidio ci offre, la vediamo appendere a un ramo di salice i veli che
la ricoprono e si immerge nuda nelle acque. Lì il fiume Alfeo la vede, la nin-
fa esce nuda dall’acqua e cominciano la fuga e la corsa, come quella delle
colombe messe in fuga dallo sparviero. Con l’aiuto di Diana Dictinna, Are-
tusa si nasconde nel vapore di una nuvola, ma Alfeo la aspetta e la sorpren-
de. Allora ecco che, come sempre accadde nel momento estremo
dell’inseguimento e della passione – generalmente non corrisposta – avvie-
ne la metamorfosi che trasfigura tutto in bellezza:5 come sudore stillano
gocce azzurrine e dai capelli cola rugiada (cfr. V, 632 sgg.). Aretusa si scio-
3
Ciò è tanto più suggestivo se lo leggiamo come una sorta di ritorno del represso a livello di
forma e di contenuti: cfr. Orlando 1973.
4
Su questo ritengo fondamentale, tra gli altri, Fuchs 2012.
5
Ibid., 29.
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glie in acqua e invita a una speciale agnizione, che prelude alla fusione dei
due: il fiume Alfeo riconosce nell’acqua l’amata e, lasciato l’aspetto umano
che aveva assunto per tentare la seduzione, torna a essere fiume per unirsi a
lei per sempre.
Ofelia, però, non è Aretusa: si abbandona all’acqua, ma non può tra-
sformarsi e rivivere in essa. La metamorfosi, semmai, alimenta un sogno,
come osserva ancora Bachelard, che rivive pienamente soltanto a livello di
evocazione poetica, dove l’acqua non è solo élément accepté, ma élément désiré.6
La possibilità che dietro le immagini shakespeariane dedicate alle morte,
in acqua, di Ofelia ci sia l’orizzonte narrativo e iconico di Ovidio,7 pur in-
cupito perché non risollevato dalla metamorfosi, è a mio avviso conferma-
ta, all’interno della tragedia, da altri riferimenti a motivi legati alla trasfor-
mazione del corpo e al suo sciogliersi in acqua. In questo senso l’allusività
del testo porterebbe non soltanto a Ovidio, ma alla filosofia pitagorica della
metempsicosi collegata al fluire dell’acqua, trattata nel quindicesimo libro
delle stesse Metamorfosi (vv. 176 sgg.; cfr. infra), e ripresa da Arthur Golding
nella lettera dedicatoria al conte Robert di Leicester che introduce la sua
traduzione inglese del poema ovidiano. Qui, nei primi versi, si fa riferimen-
to a una “dark Philosophic of turned shapes” tradotta in latino da Ovidio, e
si cita Pitagora nella riflessione sull’anima che deve dissuadere gli uomini
dal temere la morte (“Pythagoras disswading men from feare of death”).8
In uno dei primi e più noti monologhi di Amleto, nel primo atto della
tragedia, il personaggio si affida a una cupio dissolvi in cui la carne vorrebbe
liquefarsi in rugiada, in una sorta di nobile suicidio che rimanda alla morte
stessa di Ofelia:
HAMLET
O that this too too solid flesh would melt,
Thaw, and resolve itself into a dew,
Or that the Everlasting had not fixed
His canon ’gainst self-slaughter! O God, O God,
How weary, stale, flat, and unprofitable
Seem to me all the uses of this world!
6
Cfr. Bachelard 1976, 109.
7
Sul rapporto tra Shakespeare e Ovidio, si vedano: Bate 1991; Brown 1999 ; Enterline
2006 e 2012 ; Lerner 1988; Nuttal 2000; Lafont 2016.
8
Cfr. Bate 2000. Non sono, peraltro, molti i saggi dedicati al pitagorismo in Shakespeare
e nel Rinascimento. Si vedano Bate 1989 e Heninger 1974. Come studi generali, cfr.
Cornelli 2013, Huffman 2014.
88
Fie on’t, ah fie, fie! ’Tis an unweeded garden
That grows to seed; things rank and gross in nature
Possess it merely.9 (I, ii, 129-136)
9
“AMLETO Oh se questa carne troppo, troppo compatta potesse disfarsi, / sciogliersi
e risolversi in rugiada! Oh se l’eterno non avesse opposto / la sua legge al massacro di
noi stessi! Oh Dio, Dio, quanto fiacche, / guaste, piatte e vane mi sembrano tutte le
usanze del mondo! / Che orrore, che orrore! È un giardino abbandonato, dove tutto va
in / seme; lo invadono solo cose marce e volgari”.
10
L’edizione di riferimento è Marlowe 1983.
11
Si vedano, in generale, le riflessioni di Boitani 2009, 21-40.
89
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2. “Like as the waves make towards the pebbled stone”: Pitagora e Narciso nei Sonetti
12
“LAERTE Ahimè, allora è proprio annegata. GERTRUDE Annegata, annegata.
LAERTE Troppa acqua ti è toccata, povera Ofelia, e perciò mi vieto le lacrime”.
90
non secus ac flumen; neque enim consistere flumen
nec levis hora potest: sed ut unda inpellitur unda
urgeturque prior veniente urgetque priorem,
tempora sic fugiunt pariter pariterque sequuntur
et nova sunt semper; nam quod fuit ante, relictum est,
fitque, quod haud fuerat, momentaque cuncta novantur.13 (XV, 176-185)
Come notano Jonathan Bate e Alessandro Serpieri (che nel suo com-
mento cita anche i versi ovidiani XV, 180-185 e 221-227),14 i sonetti LIX e
LX di Shakespeare (con echi significativi nel LXIII e nel LXIV) rielaborano
molto efficacemente questi concetti. Nel primo, la prospettiva pitagorica si
fonde con quella platonica, per la presenza dell’immagine dell’amato che si
tramanda e si reincarna, seppure sulla carta, in un libro antico, attraverso il
ricordo della sua meraviglia (LIX, 5-10). L’incipit del sonetto LX ricalca in-
vece più direttamente l’immagine di un’onda che incalza la successiva, me-
tafora del tempo che passa come quella della corrente o del “mare della lu-
ce” (“in the main of light”, LX, 5), sotto cui si collocano la nascita e il pas-
saggio alla maturità:
Like as the wave make towards the pebbled shore,
So do our minutes hasten to their end,
Each changing place with that which goes before,
In sequent toil all forwards do contend.15 (LX, 1-4)
Come già si diceva, però, il motivo pitagorico del tempo che fugge si ri-
solleva nell’ipotesi del rinnovamento (et nova sunt semper leggiamo sopra, così
come i nova corpora aprono le Metamorfosi, I, 1 sgg., e si fanno protagonisti
delle storie di metamorfosi di cui è intessuta l’opera ovidiana). In Shake-
speare, invece, qui e altrove nei Sonnets, il Tempo è sempre distruttore: dà e
annichila i suoi doni e trafigge il fiore della bellezza (“Time doth transfix
13
“Tutto scorre, e ogni fenomeno ha forme errabonde. Anche il tempo fila via con mo-
to incessante, non diversamente dal fiume, neppure l'ora fuggevole può fermarsi, bensì
come l'onda è sospinta dall'onda e quella che arriva è premuta e insieme preme quella
che l'ha preceduta, così gli attimi fuggono e insieme inseguono, e sono sempre nuovi:
quello che è stato si perde, quello che non era diviene, ed è tutto un continuo rinnovar-
si”.
14
Bate 1989, 65. Cfr., in Shakespeare 1991 e 2004, l’Introduzione e le note ai sonetti
LIX e LX, 523-32.
15
“Come incalzano le onde verso la spiaggia ciottolosa, / così i nostri minuti s’affrettano
alla loro fine, / ciascuno cambiando posto con quello che lo precede, / e in affannosa
sequela tutti s’accalcano in avanti”.
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the flourish set in youth”, LX, 9). Tant’è che “nulla sta in piedi se non per
la sua falce che lo miete” (“And nothing stands but for his scythe to mow”,
LX, 12). Lo scorrere dell’acqua è perciò metafora di morte, di un atto defi-
nitivo, non di rinascita. L’importanza della prospettiva ovidiano-pitagorica
consiste, tuttavia, nella sua parziale rimozione che, nell’emergere in negati-
vo, accentua la tensione poetica e drammatica di tutti i sonetti. È quanto af-
ferma il distico finale, dove la poesia della lode si erge (stand) contro la ma-
no del tempo (hand), nella corrispondenza di rime baciate:
And yet to times on hope my verse shall stand,
Praising thy worth, despite his cruel hand.16 (LX, 10-12)
16
“E tuttavia contro i tempi futuri starà la mia poesia, / lodando il tuo valore, a dispetto
della sua mano crudele”.
17
Nel Fedone platonico (84c-91c) è inoltre presente l’immagine della morte del cigno, ri-
presa nel Merchant nelle parole di Porzia a Bassanio, che evocano la morte, al momento
della scelta degli scrigni (“a swan-like end, / fading in music”, III, ii, 44-45).
92
Following Pythagorean doctrine, the renaissance saw that time could be measured
against two distinct sets of coordinates. At one level there is the atemporal monad, Pla-
to’s world of being, Aristotle’s immutable aion, the Judeo-Christian ageless Jehovah. At
the other there is changeable multeity, Plato’s world of becoming, Aristotle’s palpable
plenum, the Judeo-Christian valley of the shadow of death. Though a man walks in this
shadow, however, the way leads to eternal life in heaven because the two sets of coordi-
nates are themselves synchronized (Heninger 1974, 227).
18
Su questo, tra gli altri, si vedano almeno Bruster 1992; Gill Harris 2004; Hillman 2005,
161-85; Rizzoli 2017.
19
Cfr. Bauman 2004. Nella sua opera, Bauman mette in luce, simultaneamente, due sim-
boli contrastanti legati all'acqua: da una parte l'irreversibilità del suo scorrere, che si col-
lega all'assoluto, e, dall'altra, l'inconsistenza del suo continuo fluire, che si contrappone a
ogni forma di solidità: il principio eracliteo del tutto scorre diventa emblema di perdita, di
dispendio di sé, consumistico e narcisistico.
20
“ma tu, congiunto ai tuoi occhi luminosi, / la fiamma della tua luce nutri con la tua
stessa sostanza, / facendo carestia là dove regna l’abbondanza, / tu stesso il tuo nemico,
col tuo dolce io troppo crudele”.
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per divorare se stesso nella tomba, senza aprirsi a una nuova vita (I, 12-14).
Come è noto, le metafore economiche sono ampiamente presenti in tutti i
sonetti e soprattutto nei primi diciassette, quelli dell’increase,21 dove è auspi-
cato un consumo fecondo di sé, che renda possibile la sopravvivenza attra-
verso la duplicazione della propria immagine in una nuova vita, oppure
nell’arte. Solo così la Bellezza si eterna senza morire del tutto. Ed è con
questo invito che si apre il sonetto III:
Look in thy glass and tell the face thou viewest
Now in the time that face should form another,
Whose fresh repair if now thou not renewest,
Thou dost beguile the world, un bless some mother.22 (III, 1-4)
21
Cfr. n. 21. Si veda anche Dolan 2002.
22
“Guarda nel tuo specchio e di’ al volto che ci vedi / che ora è il tempo per quel volto
di formarne un altro; / se ora non rinnovi il suo fresco aspetto, / inganni il mondo, e
una madre privi della benedizione”.
23
Shakespeare 1991 e 2004, 386.
24
“ma se vivi in modo da non essere ricordato, / muori solo, e la tua Immagine muore
con te”.
94
Perché al tempo tiranno e instancabile, il never-resting Time che fa capoli-
no al verso 5 del sonetto V senza più abbandonare il palcoscenico shake-
speariano della sua opera poetica, si oppone ancora una volta la bellezza,
qui sommersa dalla neve durante l’inverno, ma capace di rivivere in una
rinnovata immagine acquea di armonia e immortalità. Se l’acqua, infatti,
come nel mito ovidiano di Narciso, rischia di essere specchio inerte di un
innamoramento fallace (cfr. Met., III, 431), è essa stessa a fornire un antido-
to alla morte, grazie alla mediazione della poesia e dell’arte. Ciò che costi-
tuisce una delle tesi più evidenti dei Sonetti, l’arte e la generazione in contra-
sto con il tempo e con la morte, come rileva anche Ungaretti,25 è qui indica-
to attraverso altre metafore liquide: quelle del distillato (dal latino stilla, goc-
cia) dell’estate (“summer’s distillation”), e di una bellezza che resta prigio-
niera liquida di muri di vetro (“A liquid prisoner pent in walls of glass”, V,
9-10). Ma questo è il solo modo per sopravvivere. Sono infatti i fiori distil-
lati a custodire la loro sostanza, l’aroma più intenso, anche in inverno:
But flowers distilled, though they with winter meet,
Leese but their show; their substance still lives sweet.26 (V, 12-14)
25
Ungaretti 1993, 188-97.
26
“Ma i fiori distillati, anche se incontrano l’inverno, / non perdono che l’apparenza; la
sostanza ne vive ancora dolce”.
27
Per un approfondimento di questo discorso, rimando al mio saggio: Lombardi 2018.
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