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L’epigramma

L’epigramma accompagna la letteratura greca durante tutto il suo corso, dall’età arcaica a quella bizantina.

I primi documenti che abbiamo sono il vaso del Dipylon e la coppa di Nestore.

In origine era un iscrizione , con funzionalità pratiche, incisa su steli funerarie, offerte votive o erme. Oltre
alla brevità, le caratteristiche dell’epigramma arcaico erano la sobrietà, il carattere disadorno e li stile
impersonale, oltre alla lingua ionica.

Diversi sono i caratteri dell’epigramma di età classica, in cui si evolve verso stilemi e forme più aggraziate,
dove l’influsso della tragedia e della retorica porta ad una forte esaltazione del pathos (si pensi al filone
sepolcrale e all’intento didattico idealizzante per cui il defunto era innalzato a modello paradigmatico di
virtù).

In età ellenistica i profondi mutamenti trasformano radicalmente il ruolo dell’individuo all’interno della
società e determinano un nuovo gusto letterario, che si estrinseca nella predilezione della poesia breve:
curiosità erudita, culto del passato e rimodulazione di versioni poco note dei miti sono gli elementi
principali che caratterizzano l’epigramma ellenistico.

Nel corso dei secoli vennero compilate diverse antologie:


1. la Corona di Meleagro (I sec.a.C.)
2. una silloge di Filippo di Tessalonica (I sec.d.C.)
3. il Ciclo di Agazia (IV sec.d.C.)
4. la silloge di Costantino Cefala riunisce i tre precedenti ed è la base dell’Antologia Palatina
5. Appendix Planudea

SCUOLA DORICO-PELOPONNESIACA Leonida, Nosside, Anite.

SCUOLA IONICO-ALESSANDRINA Asclepiade, Posidippo, Callimaco ed Edilo.

SCUOLA FENICIA Antipatro, Meleagro e Filodemo.


La scuola dorico-peloponnesiaca.

L’opinione del Reitzenstein, secondo cui sarebbe esistita una vera e propria scuola contrapposta a quella di
Alessandria, è stata spesso messa in discussione. Nonostante tale dibattito, è evidente una comunanza di
temi e caratteristiche di alcuni autori che contrappongono questi ultimi alla “scuola alessandrina”.

Leonida di Tara Il poeta è stato definito “l’epigrammista delle classi umili”, di lui restano un centinaio di
epigrammi, che spaziano dal quotidiano all’esaltazione patriottica. I legami con l’Epiro sono documentati
dagli epigrammi in onore di Neottolemo e dello stesso Pirro. Dalla grande varietà e originalità dei temi
trattati emerge come elemento comune la λιτότης, la semplicità della vita, cardine della filosofia cinica,
l’austera rinuncia al superfluo costituisce l’unico punto fermo della sua pessimistica Weltanshauung
(concezione del mondo): esemplare è A.P. VI 302, in cui invita o topi ad abbandonare la sua casa e cecarne
una più ricca, poiché non c’è nulla nella sua madia. Molto frequenti sono le immagini macabre, come quella
del pescatore divorato a metà da uno squalo oppure le ossa del defunto che fuoriescono da una tomba.
Tutti questi aspetti hanno indotto Marcello Gigante a parlare di “Antiarcadia”.
Alla semplicità dei temi trattati non corrisponde tuttavia una semplicità linguistica: frequenti sono i
neologismi, gli hapax, i termini rari, l’aggettivazione sovrabbondante . Questa forte dicotomia tra stile
barocco e temi bassi hanno determinato una sorta di condanna dell’autore da parte dei moderni, che dal
Wilamowitz al Page hanno affermato un’inconciliabilità con la “vera” poesia.

A.P. VII 715


Πολλὸν ἀπ' Ἰταλίης κεῖμαι χθονὸς ἔκ τε Τάραντος
   πάτρης· τοῦτο δέ μοι πικρότερον θανάτου.
τοιοῦτος πλανίων ἄβιος βίος· ἀλλά με Μοῦσαι
   ἔστερξαν, λυγρῶν δ' ἀντὶ μελιχρὸν ἔχω.
οὔνομα δ' οὐκ ἤμυσε Λεωνίδου· αὐτά με δῶρα
   κηρύσσει Μουσέων πάντας ἐπ' ἠελίους.

Dormo molto lontano dalla terra d’Italia, dalla mia patria Taranto: per me questo è più amaro
della morte. Questa è la dura vita dei nomadi; ma le Muse mi amarono, in luogo delle sventure ho la
dolcezza del miele. Non è morto il nome diLeonida: proprio i doni delle Muse mi tramandano per
sempre.

Si tratta di un componimento dal forte carattere autobiografico , in cui Leonida esprime la nostalgia della sua
patria con il fortissimo ossimoro ἄβιος βίος. L’unica consolazione gli viene dalla consapevolezza
dell’immortalità del suo nome grazie ai doni delle Muse. In tal senso si nota una ripresa dell’antica fede nel
potere eternante della poesia.
A.P. VI 302
Φεύγεθ' ὑπὲκ καλύβης, σκότιοι μύες· οὔτι πενιχρὴ
   μῦς σιπύη βόσκειν οἶδε Λεωνίδεω.
αὐτάρκης ὁ πρέσβυς ἔχειν ἅλα καὶ δύο κρῖμνα·
   ἐκ πατέρων ταύτην ᾐνέσαμεν βιοτήν.
τῷ τί μεταλλεύεις τοῦτον μυχόν, ὦ φιλόλιχνε,
   οὐδ' ἀποδειπνιδίου γευόμενος σκυβάλου;
σπεύδων εἰς ἄλλους οἴκους ἴθι (τἀμὰ δὲ λειτά),
   ὧν ἄπο πλειοτέρην οἴσεαι ἁρμαλιήν.

Uscite dalla baracca, topi del buio! La povera madia di Leonida in nessun modo può sfamare un
topo. Il vecchio basta a se stesso anche con il sale e due pani: approvammo questo stile di vita dagli
antenati. Perché scavi allora questo buco, goloso? Non troverai neanche un piccolo resto di cibo. Io
sono frugale;piuttosto corri da altri: forse là troverai un po’ da mangiare.

Il poeta descrive una condizione di indigenza: lasua capanna è così povera che i topi nella madia non riescono
a trovare neppure una briciola; eppure Leonida non ha bisogno di nulla perché gli bastano un pizzico di sale e
due pani. La sue esistenza è improntata all’ideale della λιτότης, di chiara derivazione cinica.
Alla semplicità della vita descritta si contrappone una riceratezza stilistica e formale, con la presenza di parole
rare, quali φιλόνιχνε, σκυβάλου, il verbo tecnico μεταλλεύεις e l’hapax αποδειπνιδίου.

Anite Della poetessa arcade, consideratala “caposcuola”, restano circa venti epigrammi, tutti incentrati
attorno a un mondo bucolico. L’interesse nei confronti della natura si evince dalla descrizione di loci
amoeni con tratti tipicamente arcadici: alberi frondosi, ruscelli, prati, fonti… (tutti elementi in comune con
l’idillio bucolico). Un altro aspetto importante è l’attenzione nei confronti degli animali e del mondo
infantile ( ad esempio l’epigramma in cui descrive la sofferenza di un caprone, su cui salgono dei bambini
durante una festa fingendo che sia un toro o quello in cui parla del malessere della piccola Mirò per la
morte dei suoi due amici, un grillo e una cicala.
Dalla commistione dell’epitafio con l’epigramma naturalistica nasce l’epicedio per la morte di animali (ci
sono tre epigrammi di questo tipo, uno per un gallo, uno per un cavallo e uno per un delfino) che avrà
molte fortuna nella letteratura latina (si pensi a Catullo e il carmen in morte del passer di Lesbia).

A.P. VI 312
Ἡνία δή τοι παῖδες ἐνί, τράγε, φοινικόεντα.
   θέντες καὶ λασίῳ φιμὰ περὶ στόματι.
ἵππια παιδεύουσι θεοῦ περὶ ναὸν ἄεθλα,
   ὄφρ' αὐτοὺς φορέῃς ἤπια τερπομένους.

Dei fanciulli, o capro, misero delle briglie di porpora e un morso alla tua bocca ispida ed ora
giocano alle corse dei cavalli davanti e giocano alle corse dei cavalli davanti al tempio del dio.
Vogliono che impari a portarli paziente mentre giocano.

Alcuni bambini montano sul dorso di un capro, trasformato per l’occasione in un carro con le briglie e freno.
La spensieratezza della scena è espressa specie nel verso finale, in cui la placidità dell’animale si contrappone
all’irruenza festosa dei bambini.

A.P. VII 190


Ἀκρίδι, τᾷ κατ' ἄρουραν ἀηδόνι, καὶ δρυοκοίτᾳ
   τέττιγι ξυνὸν τύμβον ἔτευξε Μυρώ,
παρθένιον στάξασα κόρα δάκρυ· δισσὰ γὰρ αὐτᾶς
   παίγνι' ὁ δυσπειθὴς ᾤχετ' ἔχων Ἀίδας.

A un grillo, usignolo dei campi, e a una cicala, ospite delle querce, piangendo molte lacrime infantili,
fece una comune tomba Miro. Ade, difficile da persuadere, andò via con i due giocattoli della bimba.
Oggetto del canto sono un grillo e una cicala, animali che compaiono frequentemente nei poeti di età
ellenistica: nel canto tenue, ma armonioso, di questi animaletti essi vedevano una rassomiglianza
con la loro poesia.

A.P. XVI 228


Ξεῖν', ὑπὸ τὰν πτελέαν τετρυμένα γυῖ' ἀνάπαυσον·
   ἁδύ τοι ἐν χλωροῖς πνεῦμα θροεῖ πετάλοις·
πίδακά τ' ἐκ παγᾶς ψυχρὰν πίε· δὴ γὰρ ὁδίταις
   ἄμπαυμ' ἐν θερινῷ καύματι τοῦτο φίλον.

O straniero, ristora le membra affrante sotto l’olmo: l’aura sussurra soave tra le verdi fronde;
bevi la fredda acqua alla fonte: infatti questo ristoro nella calura ardente è gradito ai viandanti.

L’ambiente ritratto presenta le caratteristiche fondamentali del locus amoenus: foglie verdi, brezza soave,
freschezza della fonte… Secondo alcuni si tratterebbe della descrizione di unarappresentazione pittorica e
dunque di un’ έκφρασις.

Nosside Si tratta dell’unico caso, per quanto riguarda la scuola dorico-peloponnesiaca, in cui viene
ripresentata la tematica erotica. Nata a Locri, anche per via del culto di Afrodite diffusovi, di Nosside
abbiamo solo dodici componimenti e uno di tema amoroso, in cui proclama il primato dell’amore, scrivendo
che “non c’è nulla di più dolce dell’amore”.

A.P. V 170
Ἅδιον οὐδὲν ἔρωτος· ἃ δ' ὄλβια, δεύτερα πάντα
   ἐστίν· ἀπὸ στόματος δ' ἔπτυσα καὶ τὸ μέλι.
τοῦτο λέγει Νοσσίς· τίνα δ' ἁ Κύπρις οὐκ ἐφίλησεν,
   οὐκ οἶδεν τήνα γ', ἄνθεα ποῖα ῥόδα.

Nulla è più dolce dell’amore: tutte le gioie sono secondarie; sputo dalla bocca anche il miele.
Questo dice Nosside: Cipride non ama chi non sa quali fiori siano le rose.

L’epigramma sviluppa in quattro versi il manifesto esistenziale e poetico di Nosside: niente è più dolce
dell’amore, anche il miele a confronto è amaro. È evidente la ripresa di Saffo, per la quale la cosa più bella è
ciò che si ama (cfr. fr.16 Voigt). Tipicamente saffico è anche l’accostamento del nome della poetessa (Νοσσίς)
a quello di Afrodite (Κύπρις), esattamente come il richiamo alle rose, fiore sacro ad Afrodite (chi non ha
saputo godere delle gioie dell’eros,non è in grado di apprezzare la poesia amorosa).
Tuttavia evidente è anche la distanza che separa le due poetesse: Saffo canta i tormenti d’amore, Nosside
sembra più incline a rappresentarne le gioie

A.P. VII 718


Ὦ ξεῖν', εἰ τύ γε πλεῖς ποτὶ καλλίχορον Μιτυλάναν
   τᾶν Σαπφοῦς χαρίτων ἄνθος ἐναυσόμενος,
εἰπεῖν, ὡς Μούσαισι φίλαν τήνᾳ τε Λοκρὶς γᾶ
   τίκτε μ' ἴσαν χὤς μοι τοὔνομα Νοσσίς, ἴθι.

Straniero, se navighi verso Mitilene dai bei cori, per accendere il fiore delle grazie di Saffo, di’
che fui cara alle Muse e che mi generò la terra di Locride, va’ non appena saprai che il mio nome è
Nosside.

Forse il componimento apriva e chiudevauna raccolta di carmi della poetessa e ciò che è importante è il
collegamento, messo in risalto anche dall’analoga opposizione in chiusura d’esametro, tra Mitilene e Locri,che
istituisce un vincolo tra Saffo e Nosside.
Come si più notare negli epigrammi della scuola non si ritrova eroismo ma la tendenza a rappresentare gli
strati più umili della società e l’attenzione verso le piccole cose. Tuttavia alla base di questa “spinta verista”
non c’è una solidarietà di classe o un ideale democratico. Questi epigrammisti sono comunque poetae docti
e si rivolgono ad un pubblico aristocratico. Più che altro vi è il desiderio di sfuggire alla realtà e al contesto
cittadini dietro questa ricerca del primitivo incontaminato e felice, ripresentato come una nuova versione
della vecchia favola dell’età dell’oro (esaltazione dell’umile in Leonida, l’attenzione al mondo dei bambini in
Anite)

La scuola ionico-alessandrina.

Sebbene la scuola sia contemporanea alla precedente, non ha alcun elemento in comune con quest’ultima.
Gli epigrammi hanno un carattere per lo più erotico-simposiale, ben lontano dall’idillio bucolico di Anite o
dalla λιτότης di Leonida; si tratta di una scuola che ha alle basi la vita frenetica e mutevole delle metropoli
ellenistiche. Se i “peloponnesiaci” avevano alle spalle la Stoà e soprattutto il cinismo, gli “alessandrini”
presuppongono semmai Epicuro.
Vi è un totale disinteresse nei confronti della gente umile e un netto distacco dal volgo, che preannuncia
l’oraziano “odi profanum vulgus et arceo”.

Asclepiade La maggior parte degli epigrammi di Asclepiade è incentrata attorno all’amore, delineato in
svariate forme. La concezione che emerge dell’έρως è profondamente diversa da quella della lirica di età
arcaica: prima di tutto l’espressione degli affetti diventa individualistica e non più specchio dell’eteria, ma
allo stesso tempo l’amore è vissuto in modo molto meno drammatico e l’esperienza erotica si risolve nello
spazio momentaneo dell’hic et nunc. Le protagoniste degli epigrammi sono per lo più etere (Didima è bella
nonostante la carnagione scura, Archeanassa mantiene il suo fascino anche da vecchia).

A.P. V 85
Φείδῃ παρθενίης. καὶ τί πλέον; οὐ γὰρ ἐς Ἅιδην
   ἐλθοῦσ' εὑρήσεις τὸν φιλέοντα, κόρη.
ἐν ζωοῖσι τὰ τερπνὰ τὰ Κύπριδος· ἐν δ' Ἀχέροντι
   ὀστέα καὶ σποδιή, παρθένε, κεισόμεθα.

Risparmia la verginità! A che scopo? Infatti non troverai chi ti ama, o fanciulla, discendendo
nell’Ade. Il piacere di Cipride è tra i vivi; nell’Acheronte giaceremo tutti, o vergine, ossa ecenere.

Il poeta affronta il tema della brevità della vita, invitando una giovane fanciulla a non risparmiare la propria
verginità poiché, una volta morta, non potrà godere delle gioie di Afrodite. Questa fugacità del tempo è
sottolineata dall’espressione ὀστέα καὶ σποδιή e dal verbo κεισόμεθα.

A.P. V 158
Ἑρμιόνῃ πιθανῇ ποτ' ἐγὼ συνέπαιζον ἐχούσῃ
   ζωνίον ἐξ ἀνθέων ποικίλον, ὦ Παφίη,
χρύσεα γράμματ' ἔχον· Διόλου, δ' ἐγέγραπτο, φίλει με
   καὶ μὴ λυπηθῇς, ἤν τις ἔχῃ μ' ἕτερος.

Un tempo giocavo con l’affascinante Ermione, che aveva, o signora di Pafo, una cintura ricamata
di fiori e una scritta dorata:”Ama me interamente e non soffrire se mi possiede unaltro”.

L’atteggiamento di questa ragazza è totalmente diverso rispetto a quello della protagonista dell’epigramma
precedente. Non a caso il primo termine che la caratterizza è πιθανῇ, che è collegato al verbo πείθω, e vuol
dire nel contempo “seducente” e “che si lascia sedurre”.
A.P. V 189
Νὺξ μακρὴ καὶ χεῖμα, μέσην δ’ ἐπὶ Πλειάδα δύνει,
   κἀγὼ πὰρ προθύροις νίσσομαι ὑόμενος,
τρωθεὶς τῆς δολίης κείνης πόθῳ· οὐ γὰρ ἔρωτα
   Κύπρις, ἀνιηρὸν δ’ ἐκ πυρὸς ἧκε βέλος.

La notte è lunga e l’inverno sprofonda nelle Pleiadi; io davanti la porta vado su e giù bagnato di
pioggia, ferito dal desiderio di quell’ingannatrice: infatti Cipride non mi scagliò l’amore, ma un feroce
dardo di fuoco.

Il componimento è un παρακλαυσίθυρον, che presenta un innamorato grondante di pioggia davanti la casa


dell’amata in una notte d’inverno. Elementi topici della sofferenza d’amore sono l’aggettivo δολίης, il dolore
amoroso paragonato ad un dardo infuocato. Evidenti sono anche le reminescenze saffiche ed anacreontee
sono πόθῳ, ἔρωτα e Κύπρις.

A.P. XII 50
Πῖν’, Ἀσκληπιάδη. Τί τὰ δάκρυα ταῦτα; τί πάσχεις;
   οὐ σὲ μόνον χαλεπὴ Κύπρις ἐληίσατο,
οὐδ’ ἐπὶ σοὶ μούνῳ κατεθήξατο τόξα καὶ ἰοὺς
   πικρὸς Ἔρως. Τί ζῶν ἐν σποδιῇ τίθεσαι;
πίνωμεν Βάκχου ζωρὸν πόμα· δάκτυλος ἀώς.
   ἦ πάλι κοιμιστὰν λύχνον ἰδεῖν μένομεν;
πίνομεν· οὐ γὰρ ἔρως· μετά τοι χρόνον οὐκέτι πουλύν,
   σχέτλιε, τὴν μακρὰν νύκτ’ ἀναπαυσόμεθα.

Bevi, Asclepiade. Perché queste lacrime? Perché soffri? La crudele Cipride non fece sua preda
solo te. Né a tesolo Eros amaro tese l’arco e le sue frecce . Perché, vivo, stai nella cenere? Beviamo
la pura bevanda di Bacco! Il giorno è un dito. Oppure aspettiamo di vedere nuovamente la lampada,
compagna del sonno? Beviamo, disperato amante: infelice, tra non molto dormiremo la lunga notte.

L’epigramma può essere diviso in due parti


1. vv.1-4. Il poeta riflette sulla sofferenza provocata dall’amore, ripiegandosi su se stesso
2. vv.5-8. L’attenzione di Asclepiade si concentra sulla fugacità dell’esistenza, passando da una
dimensione interiore, espressa dall’imperativo Πῖν’, ad una universale, evidenziata dalla prima
persona del congiuntivo esortativo πίνωμεν.
Comune alle due sezioni è l’atmosfera malinconica: l’esortazione iniziale sembra riportare al clima sereno del
simposio, in cui I convitati si scambiano l’invito a bere; ma le due interrogative successive, quasi come un
effetto di απροσδόκητον, introducono un forte sentimento di inquietudine.
Il modello è chiaramente Alceo (fr.396 Voigt), che esorta I compagni dell’eteria a bere perché il giorno è lungo
quanto un dito, ma Asclepiade va oltre, giocando su una serie di contrapposizioni, quali vino/pianto,
amore/sofferenza, vita/cenere, chiarore della vita/ oscurità della morte, per poi terminare nell’unica certezza
della morte.

A.P. XII 135


Οἶνος ἔρωτος ἔλεγχος· ἐρᾶν ἀρνεύμενον ἡμῖν
   ἤτασαν αἱ πολλαὶ Νικαγόρην προπόσεις·
καὶ γὰρ ἐδάκρυσεν καὶ ἐνύστασε καί τι κατηφὲς
   ἔβλεπε, χὠ σφιγχθεὶς οὐκ ἔμενε στέφανος.

Il vino è spia dell’amore: molte tazze soinsero Nicagore che negava di amarmi. E infatti pianse,
chinò il capo nella tristezza e la corona pendeva da un lato.

Ancora una volta viene ripreso un motivo caro alla tradizione simpoiale: il tema del vino come rivelatore
dell’animo umano, cantato già da Alceo e Teognide. L’attenzione di Asclepiade va verso I segni rivelatori della
sofferenza amorosa, che culminano con l’immagine della corona che cade, la quale richiama una credenza
popolare secondo cui agli innamorati le corone non restavano intatte sul capo.
Posidippo Fino al 1993 la conoscenza di Posidippo si limitava a una trentina di Epigrammi pervenuti
dall’Antologia Palatina. In un papiro recuperato dal cartonnage di una mummia sono stati rinvenuti 608
versi che hanno definito meglio la fisionomia letteraria del poeta. I temi spaziano da situazioni erotico
simposiali a iscrizioni funebri, celebrazioni di eventi pubblici, descrizioni di opere d’arte o pietre preziose.

Edilo Nacque a Samo e visse nella prima metà del III secolo a.C. Di lui restano una decina di epigrammi
politici, funerari e simposiali. Si ricorda l’epigramma in cui descrive con una particolare allusività la perdita
della verginità di una ragazza durante un simposio.

Dioscoride Visse nella seconda metà del III secolo a.C. sotto Tolomeo III Evergete. Abbiamo una
quarantina di epigrammi; l’esaltazione della virtù lacedemone è giustificata dal sentimento indipendentista
che animò la lega etolica contro il dominio macedone.

Alceo da Messene Visse tra la Fine del III secolo e l’inizio del II secolo a.C. Restano una ventina di
epigrammi molti dei quali d’ispirazione politica. Il poeta si scaglia ferocemente contro Filippo V il macedone
arrivando ad augurarsi di poter brindare alla libertà con il cervello del sovrano macedone. Celebre invece in
in maniera molto entusiasta Tito Quinzi ho Flaminio Eno come liberatore della Grecia dopo la battaglia di
Cinocefale.

La scuola fenicia.

Meleagro La cornice degli epigrammi di Meleagro è il simposio, come testimoniato dalla


presenza di tipico elementi del simposio (vino, ghirlande, coppe) e i tipici contenuti dello stesso
(invito a bere, l’eros, l’elogio della bellezza). L’amore viene descritto nelle più variate sfaccettature:
dalla passione alla gelosia, al rifiuto… Tra i personaggi degne di nota sono due etere, Zenofila ed
Eliodora; in particolare quest’ultima è definita “anima dell’anima”. Non manca l’amore
omosessuale.

A.P. V 147
Πλέξω λευκόιον, πλέξω δ' ἁπαλὴν ἅμα μύρτοις
   νάρκισσον, πλέξω καὶ τὰ γελῶντα κρίνα,
πλέξω καὶ κρόκον ἡδύν· ἐπιπλέξω δ' ὑάκινθον
   πορφυρέην, πλέξω καὶ φιλέραστα ῥόδα,
ὡς ἂν ἐπὶ κροτάφοις μυροβοστρύχου Ἡλιοδώρας
   εὐπλόκαμον χαίτην ἀνθοβολῇ στέφανος.
Intreccerò la violaciocca, intreccerò il delicato narciso assieme ai mirti, intreccerò anche i ridenti
gigli, intreccerò anche il dolce croco, il giacinto purpureo e la rosa cara agli amanti, affinché sulle
tempie di Eliodora dai riccioli profumati una corona ricopra la splendida chioma.

Il poeta attinge al repertorio botanico per offrire un tripudio di fiori alla donna amata. Nonostante le
immagini apparentemente scontate, il componimento trasmette un’impressione di tenerezza languida e una
sensibilità fragile e raffinata, cogliendo le sensazioni più sottili. Da ricordare anche che la simbologia floreale è
alla base di tutta l’attività poetica di Meleagro: più volte nella sua produzione il poeta associa la bellezza della
donna amata a immagini floreali.
A.P. V 152
Πταίης μοι, κώνωψ, ταχὺς ἄγγελος, οὔασι δ' ἄκροις
   Ζηνοφίλας ψαύσας προσψιθύριζε τάδε·
Ἄγρυπνος μίμνει σε· σὺ δ', ὦ λήθαργε φιλούντων,
   εὕδεις. εἶα, πέτευ· ναί, φιλόμουσε, πέτευ·
ἥσυχα δὲ φθέγξαι, μὴ καὶ σύγκοιτον ἐγείρας
   κινήσῃς ἐπ' ἐμοὶ ζηλοτύπους ὀδύνας.
ἢν δ' ἀγάγῃς τὴν παῖδα, δορᾷ στέψω σε λέοντος,
   κώνωψ, καὶ δώσω χειρὶ φέρειν ῥόπαλον.

Vola per me, zanzara, veloce messaggera, sfiorando Zenofila all’estremità delle orecchie e di’
queste cose: “Ti aspetta sveglio, invece tu, dimentica di chi ti ama, dormi”. Suvvia vola, sì, amante
del canto, vola, non ridestare anche il compagno di letto, eccitando contro di me gelosie dolorose. Se
mi riporterai la ragazza, o zanzara, ti cingerò con una pelle di leone e ti darò una clava da portare in
mano.

L’impronta ironica dell’epigramma è chiara sin dal primo verso, quando il poeta appella la zanzara con un’apostrofe
che Omero utilizza per il falco o l’aquila (ταχὺς ἄγγελος). Tale ironia raggiunge il culmine nel momento in cui la zanzara
è paragonata ad Eracle, che veniva rappresentato armato di clava e ricoperto della pelle del leone di Nemea, che
aveva ucciso.

A.P. XII 48
Κεῖμαι· λὰξ ἐπίβαινε κατ' αὐχένος, ἄγριε δαῖμον.
   οἶδά σε, ναὶ μὰ θεούς, καὶ βαρὺν ὄντα φέρειν·
οἶδα καὶ ἔμπυρα τόξα. βαλὼν δ' ἐπ' ἐμὴν φρένα πυρσούς,
   οὐ φλέξεις ἤδη· πᾶσα γάρ ἐστι τέφρη.

Sono a terra: selvaggio demonio, calpestami il collo. So che sei grave da sopportare, per gli dei.
Conosco anche i tuoi dardi di fuoco. Se hai appiccato fuochi nel mio cuore, è inutile: infatti ormai è
tutto cenere.

L’io lirico appare pienamente consapevole del potere di Eros, decretando la propria sconfitta; il dio è
ripresentato come feroce vincitore, al quale la vittima non può che offrire il proprio collo come segno di resa.

Filodemo.

Nato a Gadara nel 110 a. C., giunse a Roma nel 75 a.C. e godette della protezione di Lucio Calpurnio Pisone. Gli scavi
nella “Villa dei papiri” del XVIII secolo hanno portato alla luce numerosi frammenti del poeta- filosofo, che hanno
permesso di comprendere meglio anche la sua matrice epicurea. Restano circa 30 epigrammi, trasmessi dall’Antologia
Palatina, che risentono dell’influsso epicureo, senza però rifiutare anche altre filosofie: si riscontrano inviti a non
temere la morte, a godere del momento presente e a coltivare solide amicizie. Infine, l’amore è trattato con
disincantato realismo, senza gli slanci passionali di Meleagro.

Antipatro di Sidone.

Nato a Sidone nel 170 a.C., visse a Roma, dove frequentò il circolo di Lutazio Catulo; l’Antologia Palatina tramanda
circa 80epigrammi. Questi ultimi si distinguono per raffinatezza ed erudizione, non provi di legami con i modelli
precedenti. Per quanto riguarda gli epigrammi sepolcrali, abbiamo un esempio sui generis nel A.P. IX 151, dedicato alla
città di Corinto dopo la sua distruzione nel 146 a.C.

Antipatro di Tessalonica.

Si hanno scarse notizie e spesso viene confuso con il precedente.Soggiornò a Roma sotto la protezione dei Pisoni. I
suoi epigrammi spaziano dalla tematica politica, ecfrastica, fino a quella mitologica.
Assai divertente è l’epigramma in cui Bitto, una vecchia filatrice, stanca del proprio mestiere, decide di fare l’etera,
affermando che la volontà vale più dell’età.

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