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SCULTURA.

ETA’ ARCAICA.
A seguito del tracollo della civiltà micenea, durante il periodo delle Dark Ages iniziarono a svilupparsi forme di scultura
n maniera molto graduale a partire dal X sec.
Si tratta di statuette rappresentanti figure umane o animali (bovini, arieti ma spiccano in quantità i cavalli) in terracotta,
ceramica o bronzo.
Un numero cospicuo di queste statuette è stato rinvenuto nel santuari panellenico di Olimpia, dalla cui analisi possono
essere riscontrati alcuni elementi ricorrenti: la nudità degli uomini, per lo più guerrieri (lo si evince dall’elmo in testa e
dalla lancia posta nel foro della mano chiusa) oppure semplici uomini rappresentati nell’atto di una preghiera (lo si
capisce dalle mani alzate).
Il più delle volte dunque si tratta di offerte votive oppure di decorazioni a corredi funebri e in molti casi erano adoperate
come decorazione ai bordi laterali dei tripodi.

 LA STATUETTA DI CENTAURO.

Essa, rinvenuta nella necropoli di Toumba, a Lefkandì (in Eubea), risale alla seconda
metà del X sec. e rappresenta un centauro, ibrido tra uomo e cavallo.
Le forme risultano essere particolarmente arrotondate e fini, non spigolose; ogni parte
del corpo si presenta adornata da decorazioni geometriche (questo è il chiaro segno
dello stretto legame con la coeva produzione ceramica).
Questa statua potrebbe rappresentare il centauro Chirone, mitico maestro di Achille
ed Eracle, ferito accidentalmente da quest’ultimo con una freccia avvelenata e il dettaglio
che suggerisce ciò è la presenza di un taglio apparentemente intenzionale sul ginocchio
sinistro.

 STATUETTA VOTIVA DEDICATA AD APOLLO DA MANTIKLOS.

Si tratta di una figuretta maschile di bronzo risalente all’ VIII sec.,


rinvenuta in Beozia e oggi conservata al Museum of Fine Arts di
Boston.
Le singole parti del corpo non ricreano nel loro insieme una grande
armonia compositiva. La testa triangolare, posta al di sopra del
lunghissimo collo, sembra quasi essere un elemento a parte.
Un elemento peculiare è la particolare rappresentazione dei
capelli, ripresentati in boccoli voluminosi.
L’uomo è nudo e indossa una cintura.
Sulle coscie si vede un’iscrizione, in cui in prima persona la
statuetta è dedicata ad Apollo “dall’arco d’argento” perché possa
dare a Mantiklos “una gradita ricompensa”.
La statuetta rappresenta i tratti chiave della cosiddetta “scultura dedalica”. A partire dall’VIII sec, la scultura non è più esclusivamente destinata a
corredi funebri, ma è anche legata ai santuari panellenici. Inoltre di fianco alla “coroplastica” ritroviamo anche la costruzione di statuette in bronzo, in
genere applique decorativi per utensili come i tripodi (calderoni emisferici su sostegni a tre gambe). Il nome di questo stile è legato a Dedalo, padre
della scultura secondo le fonti letterarie antiche.

 KOUROI E KORAI.
Nel corso dell’età arcaica la scultura è caratterizzata da un numero abbastanza ristretto di tipi figurativi, che
riscontrano linee generali in comune.
La realizzazione di statue di fanciulle e fanciulli segue dunque delle caratteristiche abbastanza standardizzate
nel corso del tempo, nonostante le graduali modificazioni nel corso del tempo e le variazioni legate ai diversi
ambienti culturali in cui le statue stesse sono state realizzate.
Questo modello è fortemente debitore nei confronti della statuaria egizia: l posa, la frontalità e la rigidtà sono i
tre elementi che più collegano i due tipi di sculture (questo legame è riconosciuto ance nelle fonti letterarie
greche; Diodoro Siculo parla del soggiorno in Egitto di alcuni antichissimi maestri greci, che trova il punto d
collegamento nella rappresentazione dei soggetti intenti a camminare e con le braccia distese lungo il corpo
con le mani all’altezza dei fianchi).
Ciò nonostante, esistono ovviamente anche elementi di differenza:
1. i kouroi e le korai non hanno, diversamente dal caso delle statue egizie, un pilastro di sostegno dietro
il dorso, su cui viene fatto ricadere tutto il peso della statua;
2. la nudità greca è il simbolo di perfezione esteriore e interiore, segno di appartenenza sociale e
predsposizioneall’attività atletica e militare;
3. gli scultori greci non adoperavano le pietre colorate cavate in Egitto, ma marco delle Cicladi (Paro e
Nasso) oppure quello dell’Attica.

 LA DAMA DI AUXERRE.

Questa statua femminile proverrebbe molto probabilmente a Creta e dovrebbe


risalire al 640-630 a.C. circa (seconda metà del VII sec. Circa). Il nome deriva
dalla località francese nella quale essa fu conservata a partire dall’Ottocento ed
oggi si trova al Museo del Louvre di Parigi.
La fanciulla, alta 75 cm circa, è quasi totalmente immobile ad eccezione della
mano destra (dalle dita lunghissime) sul petto che segna l’atto di preghiera. Il
peplo scende in maniera dritta lungo le gambe ed è stretto alla vita da una
cintura. Su di esso si intravedono motivi di decorazione geometrica. Sulle spalle
la fanciulla porta uno scialle che cade anch’esso in modo dritto, privo di pieghe
come il peplo.
L’estrema rigidità della statua, assieme alle forme geometriche che caratterizzano
le parti del corpo (la testa triangolare, i seni tondi e il corpo squadrato), lasciano
intravedere il blocco di pietra originale usato per la realizzazione della statua.
Questi elementi conferiscono alla statua una sorta di monumentalità nonostante
le sue piccole dimensioni.
Non di poca importanza sono le tracce policrome rinvenute sulla scultura, che
suggeriscono come quest’ultima fosse stata originariamente caratterizzata da decorazioni cromatiche anche
abbastanza vivaci.

Come già anticipato in precedenza, se non per alcune peculiari caratteristiche quali la posizione delle mani o la
rappresentazione dei capelli, il modello base rimane sostanzialmente invariato, ebbene anche da un punto di vista
sincronico si possono notare elementi distintivi a seconda delle diverse aree culturali e geografiche.

 LA SCUOLA DORICO-PELOPONNESIACA.

I tratti distintivi sono le proporzioni massicce e le forme solide, la testa squadrata, la fronte bassa e gli occhi a
mandorla, oltre a una chioma resa attraverso molteplici forme geometriche.

CLEOBI E BITONE.

Si tratta di due sculture rinvenute tra il 1893 e il 1894 nel santuario di Delfi. I due kouroi arcaici sono quasi
identici, hanno un’altezza di circa 2 m e la data più probabile della loro esecuzione è il 585 a.C. Alcuni critici
riconoscono nelle statue i mitici figli di Zeus generati assieme a Lleda, i Dioscuri. Altri vedono in queste due
sculture i figli di una sacerdotessa della dea era della città di argo, Cidippide. Secondo il mito, non essendo
disponibili i buoi del carro che doveva portare la madre al tempio, per consentire alla donna di arrivare a
destinazione, i due fratelli trainarono essi stessi il veicolo e la madre, commossa, pregò la dea di premiare i
figli; allora ella concesse loro un sonno eterno che li preservò all’invecchiamento e alla morte.
L’autore è con ogni probabilità Polimede, come suggerito da un’iscrizione alla base delle statue (“Polimede
l’agivo mi ha fatto”).

I due sono
scolpiti

immaginandone una vista frontale. I volti sono squadrati, schiacciati e dotati di grandi orecchie;
mentre la fronte è particolarmente bassa, al di sotto della quale ritroviamo delle sopracciglia marcate e
occhi a mandorla. A completamento dell’analisi del volto occorre porre la nostra attenzione su quello
ce viene definito “sorriso arcaico”: in passato si è pensato ad un tentativo di dare alla rappresentazione
scultorea un’espressività umana, tuttavia oggi si tende ad analizzare questa scelta rappresentativa
come un elemento legato ad aspetti più tecnici, ovvero, dare profondità prospettica al volto e quindi
maggior rilievo mediante un espediente tecnico che consiste nel tirare le estremità della bocca verso
l’alto.
In merito al corpo, quest’ultimo ha una complessità massiccia, le braccia sono stese lungo i fianchi e
le mani a pugni chiusi. La gamba sinistra è davanti rispetto alla destra (come se fossero in partenza
per una corsa). Le due sculture sembrano essere una soluzione intermedia tra la rappresentazione
naturalistica del corpo umano e la stilizzazione delle sue singole componenti anatomiche; infatti lo
scultore ha rinunciato alla rappresentazione degli addominali, la cui forma è indicata solo con una
linea incisa, e allo stesso modo le ginocchia sono risolte con solchi circolari che indicano le
rotule.

 LA SCUOLA IONICA.

In merito alla scultura nell’area delle Cicladi e della Ionia, i kouroi riflettono una concezione del corpo meno
rigida e schematica: essi ripresentano forme arrotondate con una testa gracile montata su un lungo collo.

550-540 circa a.C.


Atene, Museo Archeologico Nazionale
POSTURA
• Il peso poggia su entrambe le gambe
• La testa e tutto il busto sono rigidamente frontali
ANATOMIA
• L’anatomia del corpo è geometrica e rigida
• Massa muscolare statica e rigidamente astratta
VOLTO
• L’espressione del volto è caratterizzata dal sorriso arcaico

 LA SCUOLA ATTICA.

Le statue attiche nella loro fase più antica si distinguono per lo stile
asciutto ed essenziale , in cui semplici incisioni geometriche
delineano la struttura ossea e muscolare, con volti allungati e
chiome lunghe. Questo è il caso del Kouros Milani.
Diverso è il caso delle sculture attiche più recenti, che dimostrano una maggiore apertura verso la sinuosità dei
tratti anatomici e un’idea generale di movimento. Le statue hanno i capelli corti, le braccia leggermente flesse
e staccate dal resto del corpo. Le statue del periodo più recente testimoniano un passo avanti nella resa
anatomicamente corretta del corpo umano. Questo è invece il caso del Kouros Aristòdikos.

La kore, nonostante sia caratterizzata dalla stessa rigidità frontale propria della sua versione maschile, essa si
sviluppa secondo alcune caratteristiche differenti: non è mai rappresentata nuda, ma sempre vestita, in abiti
lunghi e sontuosi; è immobile nella parte inferiore del corpo e il dinamismo è accentuato da una mano alzata in
segno di preghiera ed un‘altra che regge lo strascico della veste; inoltre esse nascono dall’assemblaggio di più
parti.

Le korai più antiche indossavano il peplo, una veste stretta alle spalle da due
fibbie e legata alla vita da una cintura.
Successivamente vennero rappresentate con il chitòne (a partire dal VI secolo), un rettangolo di lino cucito sul
lato lungo coì da formare una sorta di cilindro, fermato alle spalle e alla vita.

Al di sopra del chitòne poteva essere aggiunto anche un mantello, l’himàtion.

LA KORE DEL SANTUARIO DI HERA A SAMO.

La produzione ionica si contraddistingue per una predilezione per le sagome


slanciate e i contorni continui. La kore rinvenuta nel santuario di Hera a
Samo risale al 570/560 a.C.
La donna indossa un chitòne che cade verticalmente lungo il corpo con un
panneggio regolare e che cade a campana sul fondo. Sulla parte superiore c’è
un mantello.
La forma cilindrica e la superficie scandita da incisioni regolari richiamano
la struttura di una colonna ionica.

LE KORAI DELL’ACROPOLI DI ATENE.

La maggior parte delle korai proviene dall’Acropoli di atene e questo grande numero testimonia la vivacità
produttiva delle botteghe nell’ultimo trentennio del VI secolo. Le statue sono differenti l’una dall’altra per i
minuziosi particolari nella rappresentazione dei capelli, delle vesti e dei singoli ornamenti (collane, orecchini e
altri gioielli), o scolpiti in marmo o applicati in metallo. Un caso particolare è rappresentato dalla “ Kore dagli
occhi a mandorla”, dalla carnagione scura e i profondi occhi neri. Il suo enigmatico sorriso è stato spesso
interpretato come una caratteristica espressiva, sebbene esso serva a dare una profondità prospettica al viso.
 LA DECORAZIONE SCULTOREA DEI TEMPLI.
I complessi architettonici erano anch’essi interessati da decorazioni scultoree, in particolare, oltre a contenere
al loro interno statue che rappresentavano il soggetto divino ivi venerato, anche alcuni elementi esterni erano
interessati dalla decorazione e il punto maggiormente sfruttato per la stessa era il timpano, nonostante la sua
struttura triangolare e schiacciata determinasse non poche problematiche rappresentative, specie per quanto
riguarda il rapporto di proporzioni e la visione prospettica.

IL FRONTONE OCCIDENTALE DELL’ARTEMÍSION DI CORFÙ.

La costruzione del tempio risale al VI secolo. Il centro del timpano è caratterizzato dalla rappresentazione di
Medusa, signora delle belve feroci, al pari di Artemide, cui era dedicato il tempio. Nello specifico ella è
rappresentata in volo con calzari
alati e gambe di profilo, secondo
il consueto schema del tempo, la
cosiddetta “corsa in ginocchio”.
La sua presenza aveva scopo
apotropaico. Al suo fianco sono
rappresentati i due figli nati dopo
la decapitazione della madre da
parte di Pèrseo, Crisàore e
Pègaso. Di dimensioni maggiori
sono le pantere accovacciate su
entrambi i lati, rappresentate con
la testa frontale e il corpo di
profilo (altro richiamo al ruolo di
Medusa). Segue sul lato destro la rappresentazione di una scena tratta dalla Gigantomachia, che vede Zeus
fulminare un gigante, seguita dal corpo di quest’ultimo disteso e privo di vita. Parallelamente sul lato sinistro
ritroviamo l’uccisione di Priamo, seguita da un altro corpo disteso, segno della vittoria sui Troiani da parte
degli Achei.

ETA’ CLASSICA.

Nel corso del V sec., l’arte greca raggiunge il suo più alto grado di perfezione. Le sculture di questo periodo storico
hanno il vanto di rappresentare la natura anatomica del corpo umano mediante il raggiungimento del perfetto equilibrio
tra le sue singole componenti.
A partire da Winckelmann si sviluppò l’idea dell’arte classica come metro di giudizio extra-temporale sino agli inizi del
Novecento. Tuttavia, nonostante il segno di un’evidente evoluzione rappresentativa del corpo umano e la profonda
influenza sull’arte successiva, questo metro di giudizio è stato accantonato a partire proprio dal XX secolo.
L’arte figurativa ebbe uno sviluppo dinamico:
1. Stile Severo;
2. Stile Classico Maturo;
3. Stile Ricco.

 LA COLMATA PERSIANA.
La colmata persiana e il giacimento di reperti archeologici derivante dalla raccolta e successivo seppellimento,
sull’acropoli di Atene, dei resti mutili odi strutti di statue. Le sculture provenivano dalla distruzione e dal
saccheggio delle città perpetrati dai persiani guidati da Serse nella seconda guerra persiana.
Essa ha restituito anche opere del pieno arcaismo, come il Cavaliere Rampin e il Moscoforo.

IL CAVALIERE RAMPIN.

Testa Rampin, 550 a.C. ca.,


marmo pario,
h 27cm.
Parigi, Museo del Louvre. 

Minute sfere compongono la barba e i riccioli simmetrici che si dividono sulla


fronte e ricadono sulle tempie. Sfere leggermente mosse formano, invece, il
resto della capigliatura, che scende fino a metà del collo in eleganti trecce.

IL MOSCOFORO.

560 a.C.
scultura in marmo dell’Imetto striato in venature azzurre
altezza 162 cm
Atene, Museo dell’Acropoli

Si tratta probabilmente di una statua votiva, offerta alla dea Atena da un


certo Rombos, come recita l’iscrizione incisa sul basamento.
Questa scultura raffigura un giovane in posizione eretta. Il suo corpo è
in parte rivestito da un mantello e sulle spalle porta il vitello da offrire
alla dea (moscoforo, infatti, significa “portatore di animale giovane”). Il
viso è incorniciato dai capelli trattenuti da una benda e dalla barba; gli occhi, in pasta vitrea e avorio, sono
intensamente espressivi. La linea orizzontale che riassume la posizione dell’animale rompe la verticalità della
figura umana. Nel Moscoforo coesistono una notevole compattezza e un attento gioco di volumi che rendono
la scultura vitale e al tempo stesso raffinata. Caratteristico è il cosiddetto “sorriso arcaico”, facilmente
ritrovabile in altre sculture della stessa epoca.
 LO STILE SEVERO.
La principale innovazione tecnica dell’età classica consiste nella “ponderazione”, cioè la distinzione tra una
gamba d’appoggio e un’altra flessa. L’ossimorica coesistenza di elementi attivi e dinamici ed elementi passivi
e statici aveva come scopo rendere percepibile la tensione intrinseca.
Questo schema dimostra l’assenza di equilibrio e interazione tra le varie parti del corpo nella scultura di età
arcaica.

L’EEFEBO DI KRITIOS.

480 circa a.C.


Marmo pario
117 cm
Atene, Museo dell’Acropoli

Partendo dal basso, notiamo che il peso della statua poggia


interamente sulla gamba sinistra, mentre la destra è leggermente
flessa (c.d. ponderazione). La generale rappresentazione del corpo
risulta essere più accurata di quella dei kouroi. Alla staticità delle
precedenti statue viene sostituita una leggera idea di movimento,
suggerita, oltre che dalla posizione delle gambe, anche da linee e
curve più armoniose che delineano un’anatomia morbida: il bacino
è leggermente flesso (così come il capo, dalla forma ovale),
l’arcata epigastrica e il solco inguinale formano due archi di
cerchio; le spalle sono curve; il volto è caratterizzato da labbra
carnose e prive del “sorriso arcaico”, il che conferisce alla statua
un’espressione assorta; la presenza di due solchi a livello degli
occhi testimonia l’inserimento di pietre o pasta vitrea al loro
interno proprio per la rappresentazione dei medesimi; infine, i
capelli sono raccolti in una treccia arrotolata attorno alla testa.

APOLLO DEL’OMPHALOS.

470 a.C.
Marmo
Atene, Museo Nazionale

Valgono gli stessi principi generali dell’Efebo di Kritios


L’EFEBO BIONDO.

480 a.C.
Atene, Museo dell’Acropoli

Evidente la resa organica dei capelli, strettamente aderenti alla testa


e dunque profondamente distinti dalle voluminose trecce che
caratterizzavano la statuaria precedente.

IL GRUPPO DEI TIRANNICIDI.

Il gruppo scultoreo è interessato da una difficoltà


di precisa collocazione cronologica, specie in
virtù del fatto che l’originale greco in bronzo è
andato perso e l’opera ci viene tramandata tramite
una serie di copie romane. Secondo le fonti,
questo gruppo scultoreo, rappresentante i due
eroici ateniesi che tentarono di porre fine alla
tirannide di Atene, Aristogìtone e Armodio,
venne saccheggiato dai Persiani per poi essere
riportato in Grecia da Alessandro Magno.
Gli eroi si ergono imperturbabili brandendo le
armi. L’elemento innovativo si riscontra
nell’utilizzo de nudo non per una
rappresentazione divina o atletica, ma di due
personaggi “storici” e testimonia l’evolversi del
gusto e delle sperimentazioni stilistiche, che si
adeguano anche alle nuove esigenze narrative.
Il tema centrale che traspare da questa
rappresentazione scultorea e sicuramente di tipo
sociale e politico: la lotta contro la tirannide in
nome della democrazia.
IL DISCOBOLO.

Il Discobolo fu scolpito da Mirone tra il 455 e il 450 a.C.


La statua, come indica lo stesso nome, rappresenta un atleta mostrato nell’atto di lanciare il disco, durante una
competizione sportiva. È stato ipotizzato che l’opera sia stata realizzata per la città di Sparta e che l’identità del
giovane atleta sia quella mitologica di Giacinto, ragazzo amato da Apollo e ucciso, involontariamente, proprio
dal dio, che poi lo trasformò in fiore.

L’originale in bronzo del Discobolo è andato perso ma la statua ci è nota grazie ad alcune copie romane in
marmo o in bronzo. Fra le copie marmoree del Discobolo, due in particolare sono degne di interesse, in quanto
completamente integre: la versione detta Lancellotti del Museo Nazionale delle Terme a Roma, considerata la
più bella, e la versione detta Townley, conservata al British Museum di Londra.

Il Discobolo impugna il disco nella mano destra (1) e sembra


colto nel momento in cui, dopo averlo alzato, si appresta a
compiere una forte rotazione prima di scagliarlo. Il corpo è
ripiegato su sé stesso, ad esclusione del braccio destro (2) che
invece è completamente disteso all’indietro per ottenere più
slancio. Il braccio sinistro (3) è appoggiato quasi verticalmente
al ginocchio destro (4). Il torso (5), piegato in avanti, ruota
verso destra, come la testa (6) girata in direzione del braccio
sollevato.

Il Discobolo presenta i muscoli incredibilmente contratti e le


sue vene in rilievo sembrano pulsare. Il viso del giovane,
tuttavia, è assolutamente sereno, non manifesta alcun segno
dello sforzo compiuto. Ciò indica che non era intenzione
dell’artista proporre una immagine realistica dell’atleta
impegnato nello svolgimento di un gesto faticoso e
impegnativo.

La posa del Discobolo appare talmente sciolta, naturale e


convincente che la scultura, da sempre, è stata considerata
come una sorta di fotogramma, in grado di fissare l’attimo
esatto in cui, raggiunta la massima torsione, l’atleta si ferma un
solo istante, prima di effettuare lo scatto e scagliare il disco. In
realtà, Mirone volle soltanto esprimere l’idea del movimento,
attraverso la costruzione rigidamente geometrica di una
posizione. L’artista, cioè, scelse di alterare la rigorosa “verità”
del gesto atletico per ottenere una “immagine” più nobile e
bella di quel gesto. Il braccio destro che regge il disco forma
con il braccio sinistro e la gamba sinistra (arretrata) un arco
ideale ed elastico che compensa quello creato dalla coscia destra e dal torso. Inoltre, il busto dell’atleta si
presenta frontalmente, nonostante le sue gambe siano di profilo. Un vero atleta non riuscirebbe a scagliare il
disco posizionandosi così.

Policeto di Argo.

Con la figura di Policleto l’arte rappresentativa della statuaria greca raggiunge il punto di massimo sviluppo, che
permette dunque di considerare questo periodo l’acmè della statuaria di età classica.
In particolare i suoi studi sulla natura umana partono da un’analisi diretta del corpo umano, sottoposto a specifici studi
di carattere matematico per trovare le dimensioni ideali di ogni singola parte costitutiva della scultura così da delineare
perfetti rapporti di proporzione tra le differenti parti anatomiche.
I princìpi fondamentali della sua tecnica rappresentativa vennero esposti in un trattato, il Canone, di cui tuttavia
abbiamo pochi frammenti; in uno di questi vengono delineate le proporzioni ideali di ogni singola parte costituente:
 Testa 1/8;
 Busto 3/8;
 Gambe 2/8.

IL DORIFORO DI POLIOCLETO.
IL DIADUMENO.

Il giovane viene rappresentato ne momento in cui stringe


attorni al capo la fascia della vittoria, che causa un
rigonfiamento della voluminosa chioma ricciuta. Entrambe le
braccia sono alzate nell’atto di stringere la fascia, le cui
estremità erano mantenute tra le mani, andate perse.
Anche in questo caso il punto di appoggio è quello della gamba
destra e ciò determina un maggiore spostamento dell’anca
verso l’esterno e un ripiegamento verso l’interno del fianco
destro.
La composizione nel complesso rivela una volontà di ricerca
verso un preziosismo caratterizzato da cadenze dolci rilassate.
La statuaria di IV secolo è interessata da un abbandono delle tematiche civili e politiche proprie del periodo precedente:
alla tendenza a costruire imponenti strutture architettoniche per celebrare la ricchezza della città e a rappresentare atleti
virili o le divinità tradizionali del pàntheon greco, si sostituisce una ricerca della dimensione intima nei soggetti
rappresentati e una particolare sensibilità per l’edonismo individuale (ragion per cui la scultura pullula di
rappresentazioni di Afrodite e Dioniso).

EIRENE DI CEFISODOTO.

La rappresentazione di un concetto astratto come la pace è del tutto inusuale


rispetto alle tematiche della statuaria precedente.
Calandoci nel contesto, molto probabilmente essa è stata realizzata nel 374 a.C.,
in occasione della costruzione di un altare a seguito di un successo militare di
Atene, che aveva reso possibile la ricostituzione della Lega Ateniese, segno di
una possibile rinascita della città dopo l’esito infausto della Guerra del
Peloponneso.
La rappresentazione umana di un concetto ideologico è il simbolo chiave del
mutamento culturale del IV secolo.
La dea è scolpita con il figlio Pluto in braccio.
Sebbene vi siano alcuni tratti che richiamano la statuaria precedente, quali la
posizione delle gambe, il drappeggio delle vesti e l’accenno alle forme corporee
al di sotto di esse, possiamo notare la rappresentazione ravvicinata di occhi, naso
e bocca, volta a dare un aspetto più sferico alla testa.

Prassitele.

La grande svolta della statuaria di IV secolo si ha con Prassitele, figlio di Cefisodoto. Il nuovo modello della polis
tardo-classica trova un’espressione pregnante in Prassitele. Dai temi rappresentati si può notare un forte interesse per il
privato e la dimensione intima (anche per quanto riguarda gli dei); mentre dal punto di vista tecnico le statue sono
concepite non più come sistemi razionali, ma ne vengono messi in evidenza i tratti armonici e sensuali mediante le linee
sinuose e ondeggianti che caratterizzano i corpi, non più in un compromesso tra stasi e movimento.
Caratteristica di Prassitele è l’estensione plastica della figura e una forte oscillazione tra un punto di appoggio esterno
per la statua (generalmente un tronco d’albero) e la sua gamba portante; il corpo non è più concepito come frutto
razionale ed equilibrato dell’unione delle sue singole parti, ma come un insieme armonico dove le sue singole parti si
fondono in passaggi che formano un’immagine d’insieme; viene accentuata la sinuosità e la postura rilassata delle
statue, levigate in modo da ottenere una superficie translucida.
AFRODITE CNIDIA.
Si tratta del primo nudo femminile
completo della storia dell’arte
greca.
La statua venne composta per il
tempio di Afrodite nella città di
Cnido.
La dea dunque appare nella sua
totale nudità. Forse, spogliatasi
della tunica, si appresta a un
bagno, oppure è proprio di
ritorno da quest’ultimo e, uscita
dall’acqua, sta per rivestirsi. Per
quanto le ginocchia ravvicinate e
la mano posta davanti l’inguine
siano apparenti segni di
pudicizia, nel complesso
conferiscono all’immagine una
spiccata sensualità.
Il corpo sinuoso sembra seguire la
forma di una S e
quest’articolazione delle
membra secondo una linea curva
determina la presenza di
un’appoggio esterno al corpo,
costituito dall’anfora al suo
fianco, al di opra della quale è
appoggiata la veste, le cui pieghe con la luce generano ombre che gettano un contrasto con il corpo morbido e liscio
della dea.

APOLLO SAUROKTONOS.

La scena
rappresentata è tratta
dalla giovinezza di
Apollo. Molto
probabilmente
Prassitele rilegge in
chiave scherzosa il
mito di Apollo
uccisore di animali
impuri. Il giovane
Apollo, appogiato ad
un tronco d’albero, è
rappresentato
nell’intento di
uccidere una lucertola.
L’aspetto da fanciullo
è suggerito dalla
corporatura esile e le
membra ancora
acerbe. Egli sta per
trafiggere una
lucertola che si è
arrampicata sul
tronco.
Anche in questo caso
la statua si costruisce lungo un asse obliquo e per questo, oltre alla posizione totalmente flessa della gamba sinistra, in
quanto il piede sinistro è fatto accostare al tallone destro.
HERMES CON DIONISO BAMBINO.

In linea con le tematiche scultoree di IV


secolo, l’autore sceglie consapevolmente
di rappresentare Hermes, dio della
giovinezza, ispiratore dei mercante e dei
sogni degli uomini, e Dioniso, dio
dell’ebrezza e dell’euforia prodotti dal
vino. Prassitele riprende una scena
mitica: sotto richiesta di Zeus, Hermes
sta portando l piccolo Dioniso lontano da
Hera, cosicché quest’ultima non possa
vendicare la relazione adulterina del
marito con Semele; in un momento di
pausa Hermes distrae il piccolo con un
grappolo d’uva (vedi ricostruzione) in
un atteggiamento dolce e confidenziale.
L’accurata levigatezza del marmo e la
morbida trattazione dei particolari
anatomici conferiscono alla scultura un
effetto pittorico.

Skopas.

POTHOS.

La statua venne realizzata


assieme a quelle di Eros e
Imeros per la città di Megara.
Viene qui rappresentata una
delle tre forme del sentimento
amoroso: il sentimento del
languore nutrito verso
l’oggetto amato, lontano.
La statua si articola lungo un
asse obliquo e la posizione
corporea a forma di S, data
dalla posizione incrociata delle
gambe; queste due
caratteristiche determinano la
necessità di un punto di
appoggio esterno alla statua
per garantire ad essa equilibrio
e stabilità e tale elemento è
costituito da un mantello
riccamente pieghettato,
fronteggiato in basso da
un’oca.
Originariamente la mano destra stringeva un tirso.

LA MENADE DANZANTE.

La scultura rappresenta una donna intenta


in una danza dionisiaca dal ritmo
frenetico.
I drastici movimenti traspaiono
chiaramente dalle seguenti caratteristiche:
1. Il capo è rivolto totalmente all’indietro;
2. I capelli, articolati in voluminosi ricci
scomposti, discendono lungo il collo e le
spalle;
3. La veste, mossa dai passi della danza,
scopre la parte sinistra del corpo,
interessando coscia e gluteo.
La violenza delle sensazioni traspare
chiaramente dalle labbra carnose
socchiuse e dalle profonde orbite degli
occhi.
Il complesso conferisce alla
rappresentazione scultorea una generale
idea di erotismo, tratto fondamentale
dell’estasi dionisiaca.

La statua è mutila di braccia e gambe, tuttavia la testimonianza di Callistrato


ci permette di ricostruirla idealmente: la menade sta sacrificando un capretto
al dio Dioniso; esso è tenuto nella mano sinistra, mentre con la destra
impugna il coltello sacrificale.
L’ERACLE FARNESE.

Il pezzo entrò nella collezione del cardinale Alessandro Farnese all’indomani della sua
scoperta delle terme di Caracalla alla metà del 500. Le proporzioni della statua sono
alterate in larghezza per rendere ancora più impressionante la sovrumana muscolatura
dell’eroe, con cui contrasta la piccola testa montata sul poderoso collo. Eracle sembra
spossato e incapace di reggere il peso del proprio corpo immane, che poggia dunque
sulla clava. Contrariamente alla tradizione iconografica del semidio, sempre
raffigurato nel pieno di una delle sue celebri celebri fatiche, Lisippo sceglie un
momento di tranquillità e introspezione. L’eroe ha completato il ciclo delle proprie
imprese, incominciate con l’uccisione del leone di Nemea, la cui pelle è ripiegata su la
clava, e terminate con il furto dei pomi delle Esperidi, che tiene stretta nella mano
destra ce la fai io sono la schiena.

ETÀ ELLENISTICA.
La conquista di Alessandro Magno determinò un significativo ampliamento degli orizzonti culturali della Grecia, che
entrò in contatto con le numerosissime culture eterogenee dell’area orientale, dando vita a nuove forme artistica
nell’ambito della rappresentazione scultorea. I reperti archeologici non sono stati rinvenuti in una maniera omogenea
lungo tutto il vasto territorio interessato dal fenomeno: un ruolo centrale assume la città di Pergamo, interessata da un
elevato numero di ritrovamenti archeologici, contrapposto all’esiguità propria di altri siti, che, stando alle testimonianze
letterarie, erano di altrettanta importanza quali Alessandria (i cui scavi sono resi difficili dalla costruzione di siti
moderni su quello antico), Antiochia, Rodi, Delo e la Macedonia. Nonostante l’importanza del sito di Pergamo
all’’interno di questa grande carenza di testimonianze su larga scala, è improprio parlare di una “fioritura di Pergamo” e
sembra più opportuno analizzare l tutto all’interno dell’ampio quadro generale. Ciò ha portato, tra l’altro, anche una
difficoltà per la datazione dei reperti, che oscillano anche di vari secoli. L’unico schema cronologico relativamente
attendibile è quello proposto da Krahmer, che distingue tre periodi principali:
1. Alto Ellenismo;
2. Medio Ellenismo;
3. Tardo Ellenismo.
Tuttavia questa distinzione si basa su un criterio generale che vene nella scultura una grande omogeneità di sviluppo,
senza analizzare i vari contesti a cui erano destinate le opere, che condizionavano temi, funzioni e tecniche scultoree.
A complicare ancor di più il quadro generale della scultura ellenistica è la concezione negativa del periodo avutosi sin
dall’antichità.
LA TYCHE DI EUTYCHIDES.

La rappresentazione scultorea della dea della Fortuna costituisce, a


livello storico-culturale, la testimonianza del sincretismo culturale tipico
del conteso ellenistico e l’istituzione di culti nuovi.
La dea è rappresentata seduta con le gambe accavallate, presenta una
corona turrita sulla testa e delle spighe nella mano destra, con il piede
appoggiato sulla personificazione del fiume Oronte (molto
probabilmente era collocata in un bacino d’acqua)
La statua venne prodotte da Eutychides, un allievo di Lisippo, e la sua
iconografia venne concepita ex novo e, trovando ampio consenso,
divenne il modello rappresentativo di molte altre divinità.

AFRODITE ACCOVACCIATA E LA VENERE DI MILO.

Nella rappresentazione scultorea la dea è colta in un momento intimo: nuda, è


accovacciata, intenta nella sua toelettatura, coprendo e scoprendo al tempo stesso
il suo corpo; il dinamismo della statua è conferito dal drastico movimento della
testa, volta verso destra, a segnalare dunque l’interruzione della sua attività
privata. Il fascino della statua è dato da un’abile costruzione: al profilo chiuso si
contrappone un ricco gioco chiaroscurale delle pieghe del ventre, parzialmente
nascosto dalle gambe.
Il realismo rappresentativo, dato dalla
ricca decorazione dei capelli, dalla
posizione inusuale, da cui, tra l’altro, si
stagliano linee sinuose volte a delineare
le forme morbide, fa trasparire uno
stupefacente naturalismo.
Diverso è il caso della Venere di Milo, che ripresenta una struttura più aderente agli schemi classicisti e, nonostante non
sia possibile ricostruire la posizione delle braccia, il modello di riferimento è sicuramente l’Afrodite di Capua. La
sensualità della dea è suggerita dai tratti morbidi del torso e dalla contrapposizione tra il petto nudo con i seni scoperti e
la veste che copre le gambe ma è in procinto di cadere.

IL FAUNO BARBERINI.

Si tratta di uno dei rari originali greci in marmo conservati fino ad


oggi. Venne portato a Roma, per poi finire nelle mani della potente
famiglia romana da cui prende il nome fino al XVII secolo.
Viene rappresentato un satiro addormentato su una roccia in uno
stato di ebrezza.
I capelli, sciolti e spettinati, sono cinti di una corona d’edera e,
distesa sulla roccia, c’è la pelle di un animale.
In realtà alcuni indizi tradiscono l’idea generale di sonno profondo:
la sua stessa posizione precaria sulla roccia, in un equilibrio
difficile da mantenere, e il volto corrucciato con tratti grossolani
tipici dei satiri.

IL GRANDE ALTARE DI PERGAMO.

L’altare venne realizzato sull’acropoli nel 180 a.C. oppure nel 166 a.C. ed è interessato da una ricca decorazione
scultorea lungo il fregio monumentale.
La rappresentazione della Gigantomachia costituisce il paradigma della vittorie di Pergamo contro i propri nemici e
tutti gli dei sono rappresentati lungo i quattro punti cardinali del fregio.
La parete del porticato interno costituisce un esempio di narrazione continua ante litteram, in cui è rappresentato il mito
dell’eroe locale Telefo: la sua nascita in attica e il successivo arrivo in Asia Minore; la lotta conto i Greci in difesa della
sua nuova patria.
I due miti costituiscono il segno della piena integrazione di Pergamo nel contesto panellenico da un lato e la
celebrazione di un’entità patriottica dall’altro.

IL LAOCOONTE.
L’opera è interessata da un grande
problema di collocazione
cronologica, che ocilla tra il II
secolo a.C. e il I d.C. Il gruppo
scultoreo, frutto del lavoro di quattro
diversi scultori (Agesandro,
Adenodoro e Polidoro), mostra
un’episodio mitico legato alla guerra
di Troia, cui Virgilio dedicò ampio
spazio nel II libro dell’Eneide: la
morte del sacerdote di Troia,
Laocoonte. Percepito il presagio del
cavallo di Troia, una volta che i
Troiani accettarono l’offerta di pace,
tentò in tutti i modi di dissuaderli,
ma senza riuscirci; infatti la dea
Atena lo bloccò facendo uscire dai
flutti del mare due serpenti, che lo
uccisero assieme ai figli. Il
sacerdote è colto nel momento di
massimo sforzo nella lotta contro i serpenti, rappresentato dall’espressione del volto, disperato e rassegnato e dalla
torsione del busto per liberarsi dalla morsa dei serpenti. Questi ultimi costituiscono il filo conduttore che lega le tre
statue, proponendo un’unica vista di tipo frontale. Il confronto tra la rappresentazione del sacerdote e quella di Zeus sul
fregio di pergamo indicano evidenti collegamenti di natura compositiva e stilistica: l’opera in tal senso una
testimonianza del clima cosmopolita dell’arte e della cultura ellenistica, trasmesse facilmente da un centro a un altro. Il
Leitmotiv etico che interessa la rappresentazione è la natura umana sottoposta ai capricci del caso, di forze invisibili e
sovrumane, che lasciano l’uomo in balia di un destino imprevedibile; altri esempi scultorei sono Marsia, i Niobidi o
anche il Gruppo di Scilla

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