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STORIA DELL’ARTE ANTICA

INTRODUZIONE

Quando parliamo di arte antica non dobbiamo pensare all’arte che riguarda solo ed esclusivamente quel
periodo ma pensiamo anche al ruolo che ha avuto nei secoli successivi. L’arte antica sicuramente ha
giocato da protagonista nel corso del Rinascimento e lo vediamo in artisti come Michelangelo, Brunelleschi
nei suoi crocifissi, oppure con Perugino, il quale scopre attraverso scavi la Domus Aurea, e altri artisti
importanti. Dunque, l’arte rinascimentale si basa sul recupero e imitazione dell’antico; anche l’arte
neoclassica fa lo stesso. Tuttavia, vi saranno momenti in cui l’arte antica viene totalmente abbandonata e
pensiamo quindi all’impressionismo, al realismo, ma anche nei primi anni del Novecento con il Futurismo,
Cubismo (vedi per esempio il dipinto di Picasso, Les Demoiselles D’Auvignon). Poi il gusto per l’antico verrà
ripreso negli anni Trenta del Novecento con il Nazismo e Fascismo.
Dunque, tutto questo per dire che nel corso dei secoli l’arte antica è stata presa in imitazione, è stata
prediletta, e secoli in cui altre correnti artistiche la ripudiano.

LA GRECIA PRECLASSICA
LO STILE GEOMETRICO

La storia dell’arte antica parte da qui. Siamo nel periodo in cui il mondo miceneo crolla e si sta formando
quella che sarà la Grecia. È la fase in cui si prediligono oggetti provenienti dall’Oriente, in particolare siamo
in una fase in cui è sentita la produzione di oggetti quali Anfore e Crateri che sono di ordine funerario,
commemorativo. Le Anfore sono le tombe dove le ceneri del defunto venivano messe all’interno, e sono
riconoscibili in quanto sono molto grandi e hanno il collo allungato con le anse per essere trasportate; i
Crateri invece sono quelli che noi oggi definiamo lapidi, e quindi messi sopra le Anfore per indentificare il
defunto.
L’anfora più prestigiosa e famosa ad Atene è quella del Dipylon (Anfora a pancia
ansata): è un oggetto funerario, molto prestigioso e dunque di costo sicuramente
importante e di un artigiano eccelso. La lavorazione è sicuramente complessa.
È un’anfora molto grande e pesante, infatti possiede due anse all’estremità della
pancia.
Possiamo qui notare lo stile geometrico: decorazioni con meandri, a dente di
coccodrillo, trattini con puntini, e via dicendo.
IL SOGGETTO RAFFIGURATO: è raffigurato un funerale di una donna,
probabilmente. In particolare, vediamo raffigurato il momento in cui il defunto
viene esposto al pubblico con una sorta di processione. Ricordiamo che i funerali
seguivano tre fasi: prothesis, ekphora, processione. Abbiamo un linguaggio
convenzionale: le figure sono raffigurate stilizzate tutte convenzionalmente
uguali. Inoltre, le figure sono realizzate seguendo il modello dello stile
geometrico. Il gesto di portarsi le mani al capo è simbolo di sofferenza.
Se vogliamo questa raffigurazione segue uno schema narrativo in quanto le due figure all’estrema sinistra
hanno le gambe più divaricate delle altre e ciò significa che stanno arrivando (idea del movimento). Il
funerale può essere definito di classe in quanto il telo che copre il defunto è ricamato e realizzato a
quadretti e quindi si pensa ad un funerale di una persona ricca.

Il linguaggio geometrico si manifesta anche in forme di artigianato plastico: un motivo tipico è il cavallo.
Possedere un cavallo al tempo significava appartenere ad un’élite, ed era sicuramente simbolo di prestigio
ed eleganza tant’è che lo vediamo raffigurato nelle fibule.
FASE ORIENTALIZZANTE: CERAMICA PROTOCORINZIA

In questo periodo vi sono numerose importazioni dall’oriente di prodotti molto prestigiosi da parte di
famiglie ricche e potenti. Si tratta di profumi e oli profumati. Infatti, in questo periodo si iniziano a produrre
piccoli oggetti in ceramica destinati come contenitori di questi profumi prestigiosi. Inoltre, questo fu molto
importante in quanto queste importanti famiglie con questi prodotti esotici e orientali potevano sfoggiare
il proprio status.
L’Aryballos plastico con protone di leone

È il primo esempio di cui parliamo: è infatti un contenitore di 7 cm di


questi prodotti. Sicuramente un oggetto maschile.
Dalla bocca del leone vengono fatti colare questi oli profumati.
Quello che è interessante notare è la scena ritratta sulla pancia di
questo piccolo vaso: scena di guerra tra due guerrieri opliti che
combattono per i rispettivi eserciti.
Sotto vediamo invece una scena di caccia.
Vediamo anche delle decorazioni.
Questo sicuramente è un oggetto molto prestigioso anche per la
lavorazione e la raffigurazione delle figure in spazi molto piccoli.

Aryballos plastico con protone di donna

Un altro oggetto importante è quello analogo a quello visto prima


solamente che è un oggetto prettamente femminile, con protone di
donna.
Abbiamo ritratte le stesse scene di guerra e caccia.
I capelli sono policromi rossi.
Già da qui possiamo dire che si sta affermando lo stile figurativo a
discapito di quello geometrico.

Olpe Chigi

La brocca è stata ritrovata in una tomba. È alta 123cm e in origine


apparteneva alla collezione Chigi.
La forma tipica è riconducibile a quella dell’Olpe: produzione corinzia che presenta oggetti con collo tondo
e un’unica ansa.
Presenta una tecnica policroma che è l’assoluta novità del tempo.
Raffigurata una scena di battaglia: la novità qui sta nel fatto che la scena raffigura i due interi eserciti e non
solo due opliti che combattono.
Abbiamo qui tutti gli elementi tipici raffigurati assieme: cavallo, caccia, guerra.
Il linguaggio anche per quanto riguarda le figure umane non è più legato alla convenzione e si sta pian
piano sviluppando.

Anfora a collo distinto

È alta 130cm. Proviene dal periodo proattico, ovvero da Atene. In attica


non vi era l’uso di produrre ceramiche di piccole dimensioni come a
Corinto, ma si produce solo oggetti funerari come questa.
Nella pancia dell’anfora abbiamo raffigurato il mito di medusa e Perseo;
mentre se guardiamo il collo vediamo ritratto il mito di Polifemo che
viene accecato da Odisseo da un calice di vino.
L’anfora presenta dello stile geometrico, lo vediamo, per esempio, nelle
anse.
Per quanto riguarda il retro dell’anfora, vi sono solamente semplici
raffigurazioni di vegetazione e natura: probabilmente stava appoggiata
ad un muro in quanto questo è un oggetto funerario ed essendo
un’anfora è una tomba.
Inoltre, abbiamo uno spazio simbolico, i personaggi sono sparsi nello
spazio e vengono riempiti gli spazi rimanenti con vari simboli spesso
senza un preciso significato.

L’ETÀ ARCAICA: LA RAPPRESENTAZIONE DELLA FIGURA UMANA


KOUROS

Siamo nel VI secolo a.C. e non vi è più l’uso di collocare vasi funerari sulle tombe ma si predilige la
realizzazione di sculture umane: sono statue di carattere votivo e venivano comprate da privati ricchi per la
devozione al dio.
Il modello di riferimento è un tipo di statua dell’Egitto: figura giovane con capelli
lunghi, la gamba sinistra in avanti, statica, in posa eretta, le mani sono a pugno ma
socchiuso, le braccia sono lungo i fianchi. I greci iniziano a copiare tale modello. Il kuroi
è nudo, analogo al modello egiziano.

Kuroi argivi detti Kleobis e Biton


Erodoto stesso testimonia la storia di queste due sculture in Erodoto I, 31: la storia narra di Creso, il quale
chiese a Solone chi fosse la persona più felice che conoscesse con la convinzione che avrebbe risposto sé
stesso, ma Solone gli nominò dapprima Tello, e come secondi Cleobi e Bitone. Queste due figure erano due
giovani di Argo, dalla grande forza fisica, che in un momento di necessità trascinarono il carro della madre
fino al santuario di Era, guadagnando così il rispetto della comunità e l'ammirazione della madre. In segno
di riconoscimento, la madre chiese alla dea Era di concedere ai figli il meglio possibile. Dopo essersi lavati e
coricati i due morirono, in quanto ai tempi la massima realizzazione di fortuna e felicità era considerata la
morte all'apice della propria gloria, lasciando così una memoria immacolata di sé. Gli argivi dedicarono
quindi queste due statue ai giovani, per poi venir consacrate e ritrovate a Delfi. Sulla base della statua di
Kleobis (sinistra) c'è un'iscrizione con la firma incompleta dello scultore, con tanto di aggiunta sulla
provenienza, a sua volta argivo.

Kuros di Isches dell'Heraion di Samo


Sulla coscia sinistra c'è un'iscrizione realizzata con grandissima cura col nome di chi ha
dedicato il Kuros e annesso patronimico. Il nome è Isches, tipicamente non greco, quindi
probabilmente chi ha commissionato l'opera non proveniva dalla Grecia ma ha
commissionato l'opera ad uno scultore del luogo che ha realizzato l'opera in un modo
tipicamente greco.
A differenza degli altri questo è un infante: non ha la muscolatura definita e sviluppata e
nemmeno la peluria sul pube.

Kuros di Kroisos da Anavyssos


Prende il nome dalla base su cui è posto, in cui compare appunto il nome di Kroisos. È
emerso dal nulla a Parigi nel 1937, mentre stava venendo trasportato illegalmente da un
mercante greco-francese (Michel Russos). Sulla vita ha una frattura causata da una
rottura artificiale per facilitarne il trasporto. Anche questo Kuros ha un'iscrizione
realizzata con grandissima cura con un brevissimo componimento di due versi fatto da
un esametro (verso un po' più lungo, 6 unità metriche) e un pentametro (5 unità
metriche). In questa iscrizione il kuros stesso si rivolge ai passanti, dicendo loro di
fermarsi, mostrare compassione presso la tomba di Kreso, morto in prima fila per mano
del dio della guerra Ares. Grazie all'iscrizione sappiamo che il kuros era un segnacolo
posto davanti ad una tomba di guerra. Rispetto agli altri kuros ha uno stile leggermente
più progredito, seppur arcaico.
A differenza degli altri, inoltre, questo ha una cuffia indossata sulla testa, caratteristica estremamente
peculiare in quanto non compare in nessun altro kuros, e forse rimanda alla
condizione di oplita del morto. La cuffia è probabilmente di tessuto o di pelle
sottile, come si evince dal fatto che lascia intravedere lo spessore delle ciocche
di capelli sottostanti.

Efebo di Kritios

Cambia totalmente la posa convenzionale.


Si tende sempre di più a un realismo formale più naturale possibile: cambiano
l'anatomia, migliorano le proporzioni e le forme diventano più morbide. Solo i
greci compiono questa ricerca verso il naturalismo, gli altri popoli restano nelle loro riproduzioni standard
senza significative evoluzioni.
Siamo alla fine del IV secolo a.C.

LE KORAI

Le rappresentazioni femminili sono altrettanto antiche e frequenti di quelle maschili. Le statue prese in
considerazione provengono tutte dall'Attica, da Atene in particolare, in quanto era il luogo in cui ne
producevano di più. Il primo esempio viene da Samos, dal santuario di Era, ovvero quelle di Cheramyes e
sono votive.
Nel caso della versione femminile non è possibile vedere l'evoluzione del corpo, in quanto vestite, ma
possiamo vedere l'evoluzione nella rappresentazione degli abiti e dei panneggi. Gli abiti delle donne
greche erano generalmente in lino (filato vegetale) per l'estate o in pelliccia animale o lana per l'inverno.
Qui si può anche vedere l'evoluzione nel metodo di rappresentazione del sistema dell'ornamento
personale, che nel kuros maschile non compare a causa della fissità della posa rituale. Le officine avevano
molta più libertà di personalizzazione dell'oggetto rispetto al volere del committente nella realizzazione
delle Korai piuttosto che dei Kouroi.

Kore funeraria
Siamo in Attica. Abbiamo una rappresentazione diversa in quanto questa è molto
giovane. Sappiamo inoltre il suo nome in quanto è scritto sulla base (Phrasikleya).
È piena di gioielli vari. È policroma per conferire maggiore realismo.
Tiene sulla mano sinistra un fiore di loto, chiara allusione alla celebrazione funeraria.
È vestita con una specie di tunica e la policromia mette in risalto i vari particolari del
vestiario.

Inoltre, altri tipi di korai, le possiamo individuare nell’Acropoli di Atene. Quest’ultime trovate lungo la via
che porta al santuario e sono quattordici statue di carattere votivo. Tuttavia, sono molto diverse in quanto
sono sensuali nella posa e nelle forme; il vestiario è attillato alle forme sinuose e sensuali del corpo.
Misurano circa 130cm di altezza, infatti nel mondo greco la donna non era molto alta.
Dunque, possiamo dire che si va verso una rappresentazione più verosimile con questo linguaggio
imitativo: sostituire la realtà con un qualche cosa che la rappresenta.
LA CERAMICA A FIGURE NERE

In tale periodo non si è conservata la pittura su tavola oppure su pietra ed in compenso vi è questo tipo di
cultura figurativa. La pittura si evolve proprio da queste realizzazioni della ceramica figure nere. La
ceramica è una delle arti minori. Tutte queste opere le troviamo anche dopo l'arte antica ovvero nel 1800.
Su queste opere a figure nere vi sono riportate numerose testimonianze dello stile geometrico e scene di
miti famosi importanti. La ceramica attica è l'esempio di questa raffigurazione.
ANFORA A VENTRE ESPANSO = Questa anfora appartiene a Lydos ed è dipinta con una tecnica particolare
ovvero a figure nere. Abbiamo due anse per poterla
trasportare. Vi sono motivi decorativi con delle piccole palme
con dei fiori di loto, i quali fungono da cornice decorativa.
Nello spazio libero vi è raffigurata una scena ben precisa:
innanzitutto il pittore ha dovuto rappresentarla su di una
superficie non regolare, curva, che è dunque un campo
figurativo trapezoidale. Il soggetto rappresentato è l'episodio
di Teseo che uccide il Minotauro. Dunque, abbiamo un mito
raffigurato che è nazionale. Quello che è interessante notare è
il linguaggio figurativo: essendo un vaso il pittore non ha
potuto fare a suo modo, bensì ha dovuto concepire le figure
come silhouettes e realizzare i vari dettagli in modo
impeccabile. Tutti questi dettagli li ha realizzati con l'uso di un
piccolo scalpello. Dunque, ne esce un lavoro sicuramente
eccezionale e molto prestigioso: Lo possiamo vedere ad
esempio nei particolari della tunica di Perseo e nell’anatomia
umana.
Data la complessità della scena il ceramografo ha messo le
figure nello stesso piano e dunque non vi è una concezione
spaziale ma una concezione ottica umana che vede le figure
sovrapporsi, rimanendo nello stesso piano. Le figure sono
parzialmente sovrapposte.
ANFORA A VENTRE ESPANSO DI EXEKIAS = abbiamo qui una
lavorazione eccelsa, di un artigiano eccelso. Stesso linguaggio e gli
stessi elementi decorativi e stessi strumenti concettuali. La scena
raffigura due importanti figure della mitologia classica: Achille e Aiace
che stanno giocando a carte su di un tavolo. Anche qui abbiamo la
medesima concezione di spazio come nell’anfora vista prima. I
particolari del vaso sono di gran lunga più importanti e maggiormente
di qualità e di notevole prestigio. È un’anfora di 60cm e dunque le
figure sono di 19cm. Se vogliamo la scena ha un carattere quasi
fumettista: dalla bocca delle due figure escono delle parole (‘tre’ –
‘quattro’). Inoltre, Exekias ha firmato il vaso: scrive sempre il suo
nome in modo uguale e infatti questo ci fa capire come lui sapesse
scrivere. Inoltre, vediamo delle iscrizioni per degli infanti prediletti: al
tempo ogni artista ne aveva uno.

Inoltre, Exekias ha realizzato opere decorative cimiteriali come le PINAX.

CERAMICA A FIGURE ROSSE

In sostanza qui viene invertita la tecnica. In questo periodo nasceranno scultori che saranno i primi a
introdurre tale tecnica.

CALICE A CRATERE = Dipinto da Euprhonios il quale ha riempito impeccabilmente gli spazi neri. La scena
raffigura la morte di Sarpedone, ucciso da Achille. Sotto vi sono
due demoni che trasportano il cadavere del defunto; questi sono
Hypnos e Thanatos.
La scena è relativamente semplice. Qui abbiamo una lieve
maturità della rappresentazione dell’anatomia del morto anche
delle varie posizioni del corpo.
Sul retro del calice vi sono raffigurati tre ragazzi: uno si infila il
para stinco, uno che impugna lo scudo e uno al centro.
Sicuramente sono giovani che il pittore conosceva bene.

CRATERE DEI NIOBIDI = l’assoluta novità è che qui ora le figure non sono più poste nello stesso piano ma
sono sparse nello spazio per suggerire il concetto di spazialità. L’idea del terreno dove le figure poggiano è
data da dei piccoli tratti. Il pittore è stato battezzato in base alla scena principale che noi vediamo: vi sono
rappresentate figure maschili e femminili che usano delle frecce per trafiggere altre figure maschili e
femminili. Il mito raffigurato è quello che vede protagonista la dea Latona e Niobe. È un mito popolare in
età arcaica ed è questo un episodio molto antico. L’episodio racconta di questa dea Niobe che genera una
numerosa prole e si vanta verso Latona la quale ha solo due figli
(Apollo e Artemide). Niobe verrà punita per il suo vanto in quanto
considerato una mancanza di rispetto verso tutti gli dèi. Infatti,
vediamo nel cratere la punizione che viene a lei inflitta, ovvero i figli di
Latona che stanno sterminando i figli di Niobe.
Quando guardiamo quest’opera dobbiamo fare riferimento a
Polignòto, un importante artista, il quale ha realizzato un dipinto
(Nekyia) dove si vede lo stesso linguaggio usato per questo cratere.
Noi sappiamo di Polignòto attraverso delle fonti come quella di
Pausania.

LA CERAMICA A FONDO BIANCO

La tecnica a figure nere e figure rosse l’abbiamo vista: è una il contrario dell’altra. La ceramica a fondo
bianco presenta un linguaggio ed uno stile molto diverso: parliamo di pittura di contorno. La ceramica a
fondo bianco viene usata per vasi funerari o per riti funerari. Sono ceramiche molto prestigiose e molto
fragili. Per giungere al bianco bisogna coprire la superfice del vaso con della vernice bianca che si ottiene
mescolando grandi quantità di ossido di piombo.

INTERNO DI COPPA A FONDO BIANCO = figura policroma con pittura di contorno. Attribuita a Brygos.
PYXIS A FONDO BIANCO = raffigurato Eracle che si presta ad andare nell’ade ed è accompagnato da Ermes.
CRATERE A FONDO BIANCO = abbiamo Ermes che porta il fratello piccolo a Sileno che si occupa della sua
educazione.
LASTRA DI AVORIO = lastre che facevano parte di cavalieri Sciiti, i quali le mostravano come segno del
proprio status simbolo. La scena raffigura il giudizio di Paride.

Il linguaggio va via via sempre più maturandosi.

LA GRECIA CLASSICA
Siamo intorno al IV secolo a.C. e abbiamo numerosi e importanti scultori come Prassitele, Lisippo. Ma
partiamo da uno meno conosciuto ma comunque importante, ovvero Skopas.
Skopas è uno scultore che viene da Paros e lavora principalmente ad Atene in vari santuari. Il suo periodo
di attività lo collochiamo intorno alla prima metà del IV secolo a. C.
Le opere di Skopas le conosciamo attraverso fonti (vedi Callistrato). Un’opera molto importante è la
MENADE: è una statua alta 45cm. Le menadi sono figure femminili che danzano vorticosamente fino a
perdere i sensi, le troviamo nel corteo dionisiaco. Diventa una statua molto famosa durante l’età imperiale
e infatti diventa oggetto di retorica. Gli allievi dovevano descrivere degli oggetti facendo così
immedesimare fino ad entrare in contatto con l’oggetto stesso il lettore. Tutto questo lo possiamo capire
da un testo di Callistrato, maestro di retorica: si evince come la statua sia fatta quasi dal divino; viene
descritta la statua; emerge il concetto del vero che porta ad un maggiore apprezzamento; la pietra è come
carne morbida; abbiamo chiare allusioni erotiche.
Parlando poi di un altro scultore importante ed eccelso, Prassitele ci presenta l’AFRODITE CNIDIA: statua
più famosa dell’arte antica. La storia dell’opera ci viene raccontata da Plinio nella ‘Storia Naturale’: siamo
nella sezione 36, dedicata alle pietre, dove si parla di quest’opera così famosa tanto da essere visitata da
numerosi turisti presso il Santuario di Cnido. È una statua così prestigiosa tanto da suscitare profondi
richiami erotici, quasi pornografici.
Altra opera è l’APOLLO DEL BELVEDERE: statua di proprietà di Giulio II il quale la fa collocare nel suo
giardino del Belvedere (1496). Ovviamente da qui la statua riceve una fama immediata. Abbiamo
numerose copie di quest’ultima come le copie in bronzo di un artigiano veneziano; troviamo questo Apollo
citato nel barocco letterario nel 1600 da Gian Battista Marino; l’opera viene analizzata da Winckelmann nel
1764 in un suo testo (Storia delle arti e del disegno) dove viene descritto come il più grande ideale per la
corrente neoclassica.
Parlando di Lisippo invece abbiamo l’ERACLE IN RIPOSO: è un pezzo colossale di 3metri. La vicenda
racconta che l’Eracle in riposo entra a far parte della collezione di un importante pontefice, Paolo III,
protagonista del Concilio di Trento. Dopo degli scavi sono rinvenute opere importanti, tra cui questa.
Ricordiamo che il pontefice è membro della famiglia Farnese (Parma).

ORIGINALI E COPIE

La maggior parte delle statue antiche ci sono giunte attraverso delle copie. Nel mondo antico le statue
venivano prodotte per essere usate come arredo, come ad esempio il Doriforo di Policleto. Alcune sculture
famose sono state rinvenute in almeno cinquanta copie. Vediamo alcuni esempi di copie, le più importanti:

 Il gruppo dei Tirannicidi: conservato al museo di Napoli. Sono due individui maschi, entrambi
atletici, uno più vecchio (Armodio) e l’altro più giovane
(Aristogitene). Questi due hanno ucciso, in un corteo, Ipparco, figlio
di Pisistrato. La storia ce la racconta Tucidide, in una fonte. Di
quest’opera vi sono altre, numerose, testimonianze, per esempio le
troviamo a Roma. Il gruppo dei Tirannicidi lo troviamo raffigurato
anche in un vaso greco del IV secolo a.C.; in un’anfora panatenaica.

 L’Auriga di Delfi: questa scultura ci permette di introdurre il concetto di stile severo. È stata
recuperata intorno alla fine del 1800, nel santuario di Apollo. Possiamo
dire che è l’Auriga di Delfi in quanto la base è stata accostata alla statua
in quanto rinvenute lo stesso giorno. La statua rappresenta un giovane
auriga, ovvero uno sportivo che guidava il carro con i cavalli durante le
olimpiadi. È dunque un monumento celebrativo dei vittoriosi delle
olimpiadi. Ricordiamo che le olimpiadi comprendevano quattro giochi
che erano: giochi olimpici, ad Olimpia, per Zeus; giochi panatenaici, a
Delfi, per Apollo; giochi istmici, ad Istmia; giochi enemici, ad Enemea. I
giochi prediletti erano ad esempio la corsa, il pancratio, la lotta, l’atletica,
e via dicendo. Di maggior rilievo era la corsa con il carro. Dobbiamo
inoltre dire che non era l’atleta in sé a vincere ma il proprietario. Infatti,
noi conosciamo per via della base chi fosse il proprietario di questa
scultura celebrativa dell’atleta, ovvero Polyzalos: membro di
un’importante famiglia Siciliana di Siracusa. L’auriga inoltre porta un
vestiario attillato e molto complesso. Il volto presenta lo stile severo: è
distaccato, estraniato, dal contesto nel quale sta operando. Abbiamo un volto quasi impassibile non
connesso allo sforzo che sta facendo.
 Discobolo di Mirone: un’altra opera riconducibile allo stile severo. Una delle copie più famose e
importanti è il discobolo Lancellotti: donato da parte di Mussolini ad
Hitler per siglare il famoso patto d’acciaio. Sicuramente qui emerge la
capacità eccelsa della rappresentazione dell’anatomia umana.

 Zeus o Poseidone: statua bronzea. Se è Zeus sta lanciando un fulmine; se è Poseidone sta lanciando
il bastone di Tritone. Non è di grande qualità. Anatomia
sempre più verosimile, e una capigliatura ancora più
complessa. Abbiamo anche di questa numerose copie.

BRONZI DI RIACE

Sono stati rinvenuti nello Ionio, siamo a Riace Marittima.


Vengono chiamati, convenzionalmente, bronzo A e
bronzo B. Sicuramente hanno una lavorazione molto
lunga e complessa. Il bronzo A presenta una tecnica
eccelsa a differenza del bronzo B. Anche la capigliatura è
complessa per quanto riguarda il bronzo A: è molto
voluminosa. La testa del bronzo A non è molto deformata
a differenza del B. Le teste sono deformate in quanto
portavano degli elmi alzati sul capo. Sicuramente
entrambi sono identici per le pose e la lancia sulla mano
sinistra. Ma quello che li differenzia è lo stile: il bronzo A è
antico, ha linee dritte del corpo; il bronzo B ha una posa più complicata ed è meno naturale in quanto è
riconducibile ad uno stile classico. Sono stati rinvenuti assieme ma sono diversi stilisticamente in quanto i
due artisti sono diversi e, l’artista più giovane, ha sperimentato uno stile innovativo e dunque non legato
allo stile del tempo.

DORIFORO DI PLOICLETO

È stato menzionato in diverse fonti, come in quella di Plinio. Plinio racconta di Policleto in un suo testo e
racconta anche delle sue opere, tra cui il Doriforo: ci viene detto che questa scultura è il Canone, cioè un
modello che spiega il linguaggio di Policleto dal quale prendere
spunto per gli altri artisti data la grandiosità dell’opera e dell’artista.
Inoltre, il Canone sarà poi redatto in forma di testo e questo ce lo dice
Plutarco in una sua fonte. Che il Doriforo e il Canone siano la stessa
cosa ce lo dice Karl Friedrich durante una conferenza del 1863. A
partire a lì noi sappiamo che sono la stessa cosa. Sicuramente è il
Doriforo perché ‘dorum=portatore di lancia’ ma in realtà è stato
trovato un segno sul braccio riconducibile al segno dell’imbragatura
dello scudo. Quindi che sia realmente il doriforo e quindi il canone
non possiamo dirlo con esattezza.

L’ETÀ ELLENISTICA
Il termine ‘ellenismo’ viene coniato dallo storico olandese Gustav Droysen nel corso del XIX secolo: indica il
mondo greco dopo Alessandro Magno il cui collante era ormai l’uso della lingua greca.
L’età ellenistica va dalla morte di Alessandro Magno, nel 323 a.C., fino alla fine del mondo antico.
Ricordiamo inoltre che Magno muore a Babilonia e non ha il tempo fino a quel momento di unificare tutto
il regno vasto che aveva messo in piedi. Il tutto rimane in mano ai Diadochi, ovvero i suoi successori;
abbiamo numerose guerre civili per la contesa del territorio, il quale poi si divide in quattro regni: Regno di
Macedonia, Regno di Egitto, Regno di Asia e Regno di Tracia. Le cose poi cambiano quando arrivano i
romani. Dunque, l’ellenismo lo possiamo suddividere in ben quattro periodi:

1. ETÀ DEI DIADOCHI: le conquiste di Alessandro Magno si sfaldano dando origine agli stati
ellenistici.
2. ALTO ELLENISMO: il periodo che va dalla stabilizzazione dei regni ellenistici fino alla battaglia di
Magnesia.
3. PIENO ELLENISMO: il periodo che va dalla battaglia di Magnesia fino alla completa
trasformazione del mondo greco.
4. TARDO ELLENISMO: il periodo che va dal 133 a.C. fino all’inizio dell’Età imperiale romana.

Dell’arte ellenistica abbiamo numerose opere ma di cui non sappiamo molto in quanto le fonti sono andate
perdute. In particolare, ci focalizziamo sulla città di Pergamo: città nata con un tradimento da parte di
Filetero, un eunuco, il quale tradisce Lisimaco passando dalla parte di Seleuco. Col tempo Pergamo diventa
un vero e proprio regno, il quale sarà inglobato nell’impero romano.
A Pergamo si sviluppa un linguaggio nuovo: vediamo l’Acropoli di Pergamo. Di questa Acropoli ci
soffermiamo su due monumenti molto importanti: la terrazza di Atena e l’altare di Zeus.

LA TERRAZZA DI ATENA: partiamo dalla vicenda per la quale questo monumento è importante. I due
sovrani pergameni, Attalo I e Nicomede I, avevano chiesto ad un gruppo di mercenari celti di venire in Asia
minore ma questo provocò l’ingresso dei Tolistogoi. Dopo varie vicende Attalo I riesce ad affrontarli e
sconfiggerli. Dunque, la terrazza di Atena presenta numerosi monumenti celebrativi di queste guerre.
Vediamo qui il GALATA SUICIDA: un guerriero che si sta infilando la spada in gola. L’opera viene rinvenuta
nel corso del 1600 a Roma, ed entra così a far parte della collezione Ludovisi. La statua è in marmo venato.
Un’altra opera straordinaria è il GALATA MORENTE.

ALTARE DI ZEUS: monumento attributo a


Eumene II e Attalo I.
L’altare si trova circondato da un enorme
porticato dov’è raffigurato il mito di Telefo.
Sulla parte esterna abbiamo la gigantomachia.
Abbiamo due stili diversi che ora vediamo:
- Gigantomachia: anzitutto la
gigantomachia è la lotta tra gli dèi
olimpici e i figli della Terra, dunque
creature non completamente umane.
La gigantomachia è il simbolo della
lotta tra il caos e l’ordine. Gli dèi più
importanti sono messi sul lato O
(Apollo, Latona, Zeus); sul lato Nord e Sud ne abbiamo degli altri; sul lato nord-ovest vi sono gli dèi
appartenenti al regno marino. La narrazione è tipica del linguaggio greco: sono tutti disposti
linearmente e si tratta di lastre attaccate al monumento e dunque abbiamo personaggi ripetuti su
diverse lastre. Gli dèi sono completamente umani, mentre i giganti sono metà umani (ad esempio
un gigante è anguipede, ovvero con gambe di serpente; altri sono alati). Quello che è interessante
notare è il linguaggio: estremamente enfatizzato per quanto riguarda i giganti. Abbiamo un
linguaggio estremamente esagerato nelle passioni, nel vestiario, nelle gesta. Le divinità sono invece
pacate e misurate. Questo linguaggio lo definiamo Barocco Ellenistico in quanto riconducibile e
paragonabile al Barocco seicentesco.
- Fregio di Telefo: partiamo con il mito di Telefo. Lui è nato con una violenza sessuale. Lui, dopo tutta
una serie di vicende, diventerà il fondatore di Pergamo. Il fregio sta a circondare l’altare di Zeus e
racconta appunto il mito. Qui abbiamo un linguaggio, a differenza della gigantomachia,
estremamente misurato, pacato, e dunque classicista.

Abbiamo due stili diversi in un unico monumento in quanto a Pergamo la cultura artistica era molto varia
nel linguaggio.

SCULTURA ELLENISTICA: TEMI DIONISIACI, IDILLICI, EROTICI.

Dato che della scultura ellenistica sappiamo poco, dobbiamo parlare di essa attraverso temi erotici, idillici e
dionisiaci. Questo, ad esempio, lo vediamo nel FAUNO BARBERINI: è un satiro in quanto ha la coda e le
orecchie equine, e lo vediamo nei cortei dionisiaci. Presenta una chiara allusione erotica nei gesti e nella
posa. Chiara allusione erotica anche perché un oggetto simile doveva per forza appartenere
all’arredamento di privati.
Un’altra opera di cui possiamo parlare è IL FANCIULLO CHE STROZZA
L’OCA.
Altre opere importanti:
INVITO ALLA DANZA: è un gruppo. Le due statue sono una Ninfa e un
satiro danzante. Sono ovviamente due sculture diverse ma vi sono
monete, coniate durante la fine del II secolo a.C., che ci testimoniano il
fatto che stavano assieme e dunque possiamo definire quest’opera un
gruppo di queste due sculture. Il contesto può essere interpretato come un’innocente danza campestre ma
anche con una chiara allusione erotica: danza come un invito al sesso.

FANCIULLO CHE STROZZA L’OCA: stiamo sempre parlando di temi idillici


– narrativi. Abbiamo un fanciullo che abbraccia energicamente l’oca.
Scultura molto famosa in quanto vi sono numerose copie. Informazioni
riguardo lo scultore le ricaviamo dal testo di Plinio, nella sezione 34: è
una statua di bronzo quindi. Viene dunque attribuita a Boezio ma di
fatto non sappiamo quale dei tre o quattro del periodo. È impossibile
definire chi sia questo fanciullo ma sappiamo che statue di questo tipo
erano un mezzo di diffusione del linguaggio greco nel Mediterraneo.

ERMAFRODITO BORGHESE: abbiamo numerose copie ma la più celebre si trova al Louvre: non siamo in un
contesto naturalistico ma dorme su di un materasso
realizzato da Pietro Bernini. È una scultura di tipo erotico-
narrativo: ermafrodito nasce a causa di una violenza
sessuale; assorbe i due sessi maschile e femminile.
Guardandolo da davanti lo possiamo vedere come una
ninfa che dorme, se guardiamo dall’altra parte vediamo
emergere il suo lato virile da uomo: concetto della
meraviglia.

IL REALISMO: altro tipo di innovazione ellenistica. Viene riprodotta la realtà anche negli aspetti più brutti:
lo vediamo in una statuetta in terracotta di 16cm (dunque un soprammobile): è un giovane, con
espressione deforme, brutta, insolita, e così via, che si sta togliendo una spina dal piede. Ma come mai uno
teneva questi oggetti in casa come arredo? Venivano conservati non per benevolenza, cultura tipica
cristiana, ma in quanto agli dèi che ti donavano la fortuna della bellezza e una vita normale, ricordandoti
che c’è gente come i soggetti di queste statuette che dunque vive una vita assai dura.
Dunque, il realismo è imitazione della realtà spinta in ogni suo aspetto. Sono opere che vanno visti in
funzione apotropaica.
Il realismo lo vediamo nella tradizione moderna con opere della cultura artistica fiamminga e olandese,
hanno chiaramente stili diversi. Tuttavia, il concetto è sempre lo stesso: riprodurre e imitare in modo
estremamente fedele la realtà di oggetti e soggetti. Abbiamo un realismo (con Van Eyck) ai limiti
dell’umano. Nel corso del 1800 invece abbiamo più una rappresentazione fortemente reale di aspetti crudi.
Arriviamo poi al 1900 fino ai giorni nostri dove il concetto di forte realismo lo vediamo nel realizzare opere,
sculture, con oggetti reali suggerendoci l’animazione dell’oggetto: realismo come critica sociale in America.
Possiamo dunque affermare che il realismo nei secoli è mutato.
LA VECCHIA UBRIACA: opera del II secolo a. C.; è una donna molto
anziana che stringe al petto una brocca riconducibile ad una
damigiana. Questa è seduta con gli occhi e il volto rivolti verso l’alto. È
un’opera che suggerisce un notevole realismo e questo lo vediamo
dalla pelle cadente per esempio, oppure dalle clavicole che escono e
anche l’espressione della bocca che è semi aperta. Tutti questi
elementi sono riconducibili ad una condizione di ubriachezza. Tale
condizione veniva rappresentata al tempo con una convenzione,
ovvero il braccio appoggiato al capo e gli occhi verso l’alto. Sono gesti
convenzionali. Qui invece abbiamo l’espressione del volto che
suggerisce una condizione di ubriachezza.
Al passo 34, 32 di Plinio noi sappiamo che questa era una statua in
bronzo. Tuttavia, Plinio la attribuisce a Mirone ma la cosa che non
torna è il fatto che lo stile di Mirone non corrisponde a questo
linguaggio scultoreo. Dunque, Plinio si è sbagliato o ha confuso scultura.
Quello che è interessante notare è che il fiasco che sta stringendo la vecchia è un oggetto tipico dell’Asia e
dunque possiamo ricondurre tale opera all’Asia minore. Dove si possono trovare questo tipo di soggetti?
Possiamo ricondurli al Santuario di Dionisio sicuramente. Possiamo anche ricondurre tale statua a una
figura della commedia dell’arte: la vecchia Maronide.
TESTA DI VECCHIA CHE RIDE: ha una corona di edera nel capo. Altra capacità di realismo di riprodurre lo
stato di ubriachezza. Il maggior realismo fedele alla realtà lo notiamo dalla realizzazione della piega
nasolabiale.
VECCHIA CHE STA PORTANDO UNA CESTA DI FRUTTA: emerge qui un maggiore realismo nella realizzazione
della condizione di vecchiaia della donna: problemi alla schiena. Abbiamo stanchezza e affanno colti in
questa rappresentazione.

IL MONDO ROMANO
All’età del ferro il mondo romano è suddiviso in aree: etruschi, popolazioni italiche, popolazioni al nord.
Roma in una prima fase è influenzata dagli etruschi, fino al IV secolo a.C.: città italica dunque. In una
seconda fase, quella repubblicana, Roma si espande (III secolo) ed è già una potenza che si scontra contro
Cartagine. Espansione verso ovest e poi verso est. Poi espansione anche in Europa centrale.

Dunque:

- FASE REGIA  fine nel 509 a.C.


- FASE REPUBBLICANA  dal 509 a.C. fino al 27 a.C.
- FASE IMPERIALE fine nel 476 d.C.

Parlando di storia dell’arte romana dobbiamo parlare e affrontare le varie opere seguendo i vari generi
artistici e non in ordine cronologico come l’arte del periodo geometrico, arcaico, classico. La traduzione
figurativa romana è anonima, nel senso che non conosciamo i nomi di artisti romani. Tuttavia, conosciamo
un solo nome che accomuna tutte le opere, ovvero Fabullus, pittore importante del periodo; conosciamo
inoltre i proprietari delle aziende che producono questi prestigiosi oggetti. Inoltre, gran parte della cultura
figurativa romana ha degli scopi ben precisi: rilievi che raccontano vicende ben precise. Infatti, il genere da
cui partiamo a parlare dell’arte romana è il RILIEVO STORICO: prevede l’uso del basso rilievo per
raccontare vicende storiche come, per esempio, eventi bellici o vicende familiari. Un’importante opera di
questo genere è il cosiddetto ARA DI DOMIZIO ENOBARBO —> si intendono due grandi rilievi di differenti
lastre con dei soggetti con due differenti stili di linguaggio. Il primo rilievo si trova a Monaco di Baviera; il
secondo si trova al Louvre. Sono 5 metri di lunghezza e 1,75cm di altezza. Questi rilievi sono stati rinvenuti
insieme e nello stesso luogo intorno al 1800: parliamo della Chiesa di San Salvatore in Campo. Il rilievo di
Monaco di Baviera ci presenta una scena, o per meglio dire, un mito che si svolge nel mondo marino: lo
vediamo perché vi è Poseidone, i tritoni, le nereidi. Vi sono anche equini e bovini con coda di pesce. È un
linguaggio che noi definiamo classicismo ellenistico, contrario all’esagerazione dei gesti e dei panneggi. Il
mito raffigurato è il corteo di Poseidone e Anfitrite. Vi è anche un richiamo erotico. 
Il rilievo del Louvre invece è tutt’altra cosa. Per cominciare il linguaggio è diverso e anche ciò che si vuole
raccontare. È raccontata una scena ben precisa storica. È una scena quotidiana che si svolge a Roma: la
cerimonia del censimento. Vediamo raffigurato, inoltre, il sacrificio per la divinità Marte: vediamo che gli
schiavi a destra stanno portando i tre animali sacrificali che sono un toro, un ariete e un maiale. Abbiamo
dunque raffigurato una cerimonia, un sacrificio solenne del mondo romano.
Viene chiamato il c.d. Ara di Dominzio Enobardo in quanto Plinio in un suo passo vi ha messo una etichetta
che noi ancora oggi non abbiamo levato sebbene la descrizione di Plinio sia pressoché confusa. 

Un altro monumento sicuramente noto è l’ARA PACIS —> si trova a Roma. L’altare è all’interno di questo
recinto di rilievi: sulla parte superiore abbiamo
vicende ben precise; sulla parte inferiore
abbiamo motivi vegetali abitati da animali
naturali. È un monumento celebrativo di
Augusto, tornato, nel 13 a.C., dalla Spagna. Lo
troviamo nel Campo Marzio assieme al
Mausoleo. L’Arapacis si trova vicino ad un
grande pilastro con un orologio solare
(Solarium). 
Questo monumento, rinvenuto già nel 1500, è
diventato nel periodo fascista (1930) oggetto
propagandistico.
Con l’Arapacis entriamo nel linguaggio augusteo
che presuppone un messaggio politico. Nei lati
brevi del monumento vediamo raffigurato una
sorta di racconto simbolico dei primordi di Roma: una donna al centro con due fanciulli che giocano con lei;
ai lati due figure femminili scoperte sulla parte superiore su di un airone e su di un essere marino. Qui
possiamo cogliere il concetto di personificazione, ovvero rappresentare umanamente figure non umane o
comunque difficili da raffigurare. Dunque, la donna al centro rappresenta la Terra (Tellus) che tiene con sé
elementi naturali e vegetali; la donna sull’airone rappresenta il cielo; la donna sul mostro marino raffigura
il mare. Abbiamo dunque un luogo in cui nasce la storia di Roma. 
Sul lato corto orientale abbiamo una donna armata: simbolo di Roma come potenza imperiale (dea Roma).
Diciamo inoltre che nel mondo antico è tutto violentemente colorato. 
Sul lato corto Occidentale vi è raffigurato il mito autoctono della nascita di Roma: ci sono Romolo e Remo
assieme al pastore Fausto, il Dio Marte e la lupa che li nutre. È un racconto ambientato nel Lazio. Dall’altra
parte vi è il sacrificio di Enea. Riconduciamo Enea alla fondazione di Roma in quanto lui aveva un figlio con
un nome che si avvicina notevolmente a Julia (nome della gens di Augusto). 
Sul fregio sud (parte superiore) vi è una processione dov’è tutte le figure sono girate a sinistra (si veda i
piedi) ma che comunque interagiscono tra loro e creano una sorta di affollamento e di movimento della
processione. La processione è il momento dell’inaugurazione del monumento (9 a.C.). Abbiamo maggiore
realismo e l’idea della profondità è data dai quattro livelli scolpiti dallo scultore sulla lastra, ovviamente
molto spessa. 
Le incisioni che vediamo non sono dell’originale bensì sono frutto di una restaurazione. Dunque, vi è l’uso
di un linguaggio classicista: compostezza dei gesti, dei panneggi, volti perfetti. Tra l’altro questo linguaggio
appartiene ai regimi autoritari e totalitari. 
Augusto: lo conosciamo per via della corona sul capo e per la sua altezza che lo distingue dalle altre figure.
Di Augusto abbiamo numerosi ritratti; la cosa interessante è che lui non è mai vecchio nei vari ritratti in
quanto entra in gioco il classicismo. 

L’ARCO ONORARIO DEL DIVO TITO: dopo


il restauro la parte conservata antica è
essenzialmente l’iscrizione centrale.
L’arco era incastonato in un muro. La
parte scultorea decorativa è
sopravvissuta, ovvero la parte all’interno
del fornice con i due grandi rilievi.
Ricordiamo che Tito fu un membro della
dinastia dei Flavi, figlio di Vespasiano.
Tito lo ricordiamo per aver assediato
Gerusalemme e cacciato i giudei. Una
volta preso il potere, due anni dopo muore.
I rilievi dell’arco sono sul fornice centrale, un soffitto a cassettoni, imponente, in cui la volta è decorata con
cassettoni con vari elementi vegetali e floreali; la figura al centro è un busto di Tito sopra ad un’aquila: è
una rappresentazione simbolica del momento in cui il re Tito riceve l’apoteosi (diventa un dio). Dunque,
questo rilievo ci dice che questo è un monumento onorario di Tito.
I rilievi ai lati sono pressoché malconci. Per poterli capire meglio e anche il linguaggio che ne deriva
dobbiamo fare affidamento a ciò che ci dice Franz Wickoff ne ‘Il Genesi di Vienna’. Nello scritto Wickoff
prende in esame dei monumenti e sviluppa una serie di principi che costituiranno l’arte medievale e poi
l’arte moderna. Dei vari monumenti vi sono anche questi due rilievi dell’arco di Tito. Uno rappresenta il
momento più alto della carriera del principe, ovvero la Guerra Giudaica. Qui è però rappresentata la
cerimonia trionfale: Tito sopra un cavallo affiancato da Victoria (Vittoria); dietro vi sono i vari prigionieri e il
bottino. Vi sono poi due figure, uno è seminudo e l’altro ha la toga: sono rispettivamente la
rappresentazione del popolo romano e la rappresentazione del senato. L’altro rilievo rappresenta la sfilata
del bottino che sono due elementi giudaici, ovvero il candelabro a sette braccia e l’arca dell’alleanza. Se noi
dobbiamo porre a confronto questa rappresentazione con il linguaggio augusteo dell’Arapacis troviamo
una sostanziale differenza: questa raffigurazione è convessa. Lo possiamo affermare in quanto basti
guardare alle figure poste alle estremità che sembrano scomparire e il centro invece emerge
notevolmente. Possiamo quasi parlare di illusionismo. Dunque, è una raffigurazione unica e assolutamente
innovativa.
Ne usciamo dicendo che per capire il Rinascimento si deve guardare all’arte romana.
COLONNA TRAIANA: questa enorme colonna di 30
metri è posta su di un basamento che nel medioevo è
diventata una chiesetta. La cosa interessante è che
prima di Traiano abbiamo Augusto, Vespasiano, Tito,
Domiziano, Nerva. Sono tutti italiani. Traiano no. Lui è
spagnolo.
Traiano governa per venti anni. La sua più importante
impresa è quella della conquista della Dacia, del bacino
del Danubio.
La colonna è un edificio costruito con una serie di grossi
basamenti di marmo uno sopra l’altro. All’apice
abbiamo un abaco con un terrazzo e la statua di
Traiano vincitore sopra. È una colonna dorica. Attorno
al busto dell’imponente edificio si avvolge per ben
trentadue volte un nastro dove vengono raccontate le
due campagne militari intervallate da una Victoria. Data
l’altezza è illeggibile una buona parte della storia
raccontata; infatti, bisogna andare nel museo della
civiltà romana per vedere i calchi della colonna traiana.
Vediamo alcune scene:
- Scene 4 e 5: si vede il Danubio con le varie case
tipiche dacie. Dunque, è una vita sicuramente
commerciale con vari marinai. Nella scena successiva (6) vi è visibile la personificazione del
Danubio.
- Scena 7: esercito che entra in Dacia. I legionari sono sopra le barche (questo ci suggerisce una
scomparsa delle proporzioni in quanto si vuole fare emergere l’importanza del vestiario, dei vari
particolari dell’esercito)
- Scena 9: Traiano sopra un basamento sta parlando ai suoi legionari.
- Scena 12: raffigurato il re con i legionari che stanno costruendo accampamenti con varie mura e
tronchi.
- Scena 16: momento di esplorazione dell’esercito.
Notiamo come le scene di battaglia sono poche se non inesistenti. L’aspetto bellico fino a qui è messo in
secondo piano in quanto non si vuole mostrare la potenza bellica ma i romani che portano la civiltà a
questo popolo.
- Scene 27 e 28: Traiano parla con i legionari; Traiano incontra i Daci (riconoscibili dal loro vestiario
tipico barbaro).
Non abbiamo dunque una guerra violenta in cui l’esercito sovrasta l’altro.
- Scena 40: prima scena di scontro. I morti sono solo daci, in ogni rappresentazione.
- Scena 53: assedio
- Scena 75: Traiano aspetta seduto lo sconfitto. Elemento simbolico bellico.

ARCO TRIONFALE DI SETTIMIO SEVERO: si trova presso


l’area del foro romano. L’arco è una struttura che di
fatto non ha una funzione; è un passaggio triplo; è un
monumento che è eretto per poter raccontare qualcosa
attraverso le iscrizioni sopra come possiamo vedere. Un
esempio di com’è un arco trionfale lo vediamo a
Benevento (arco di Traiano): sopra alle vele vi sono delle
vittorie, le quali sono un’immagine standard per tutti gli
archi. I rilievi ai lati del fornice contengono il messaggio
più importante del monumento. Gli archi hanno delle
differenze gli uni dagli altri nelle iscrizioni che possono
essere grandi o piccole; nel fregio vi possono essere immagini più piccole di altre. Dunque, un arco viene
spesso usato come oggetto di propaganda.
Parlando di Settimio Severo: fu il primo imperatore della dinastia dei Severi; capo dello stato romano anche
se africano lui; nel 193 d.C. è capo della Pannonia; nel 197 è padrone di Roma. Il senato costruisce dunque
quest’arco su sue disposizioni; l’iscrizione del monumento ci dice che è sicuramente per celebrare
l’imperatore in quanto importante. I vari rilievi dell’arco raccontano la guerra del 195 e altri raccontano
una campagna di conquista quando Severo prende potere. L’arco che vediamo oggi nel corso dei secoli è
mutato: interrato sempre di più tra 1490-1500/1600. Quello che noi vediamo oggi è frutto di restauro. Nei
rilievi II e III si vede raffigurato la guerra che si sviluppa su registri; è sicuramente un linguaggio che sta
profondamente cambiando. Siamo chiaramente lontani dal linguaggio augusteo dell’Arapacis. Qui, dunque,
non vi è una concezione di spazio. Sulla parte bassa vediamo una scena di guerra che rappresenta l’assedio
di Edessa. Vi è poi la raffigurazione della resa del nemico (la vediamo anche nella colonna Traiana). Sulla
parte ancora più in alto abbiamo il sovrano Severo all’interno di un edificio che è rappresentato
simbolicamente; accanto l’esercito che, forse, sta partendo per una spedizione.
Nel rilievo IV vi è rappresentato il momento in cui Severo assedia il Regno dei Parchi. Il sovrano sta qui
parlando con i suoi soldati.
Dunque, è questo un linguaggio che si proietta fortemente verso l’arte medievale.

L’ARCO DI COSTANTINO: è un arco onorario e NON


trionfale. Dall’iscrizione, infatti, vediamo che l’arco viene
dedicato all’imperatore per motivi generici: celebrare il suo
ventesimo anno di potere. Questo è simile all’arco di
Severo ma ha una particolarità: uso del reimpiego. Vuol
dire che i rilievi utilizzati appartengono a diverse epoche
per cambiare così il ritratto dell’imperatore in Costantino.
Le statue e i rilievi che vediamo appartengono all’epoca di
Traiano; i tondi sono del II secolo e sono di Adriano; i rilievi
in cima provengono sicuramente dall’epoca di Marco
Aurelio. Il resto è di Costantino. Anche le varie modanature
sono state reimpiegate in quanto possiamo vederle non tutte uguali. Sul fornice centrale, in una scena di
battaglia, l’imperatore ora è Costantino (prima era Traiano); nei tondi lo stesso (prima vi era Marco
Aurelio). Dunque, non è più un linguaggio realistico e si va verso il linguaggio dell’arte medievale.
Analizziamo adesso i vari reimpieghi: i tondi adrianei sono stati reimpiegati sostituendo il volto originale di
Adriano con quello di Costantino questa dedica, come tutti gli altri reimpieghi, viene giustificata nel rilievo
sotto dove l’imperatore sta svolgendo cose generiche. Diciamo con certezza che sono di età adrianea in
quanto lo stile è riconducibile a quel periodo, con le barbe, i vestiti, i capelli. Altra indicazione è la presenza
di Antino, il soggetto favorito di Adriano. Questi tondi li possiamo definire ‘strani’ in quanto la parte bassa è
irregolare; sembra che la parte bassa non si stata lavorata. Dunque, qui siamo nel II secolo: linguaggio
classico. Al posto del volto di Adriano ora vi è il volto di Costantino (IV secolo). Per quanto riguarda i rilievi
sull’attico, vi sono scene di carattere generico: in origine vi era Marco Aurelio. Anche qui sappiamo lo stile
dell’età aureliana in quanto è un linguaggio meno classico visibile dalle vesti, barba, capelli: panneggio è
molto più profondo e dunque il realismo viene meno. Da qui possiamo affermare che si va verso uno stile e
un linguaggio sempre più convenzionale. Passiamo ora ai fregi, che sono di Costantino e dunque non
reimpiegati. Questi raccontano la guerra contro Massenzio e quindi la presa di potere dell’imperatore.
Abbiamo due guerre: assedio a Verona e battaglia di Ponta Miglio. Qui saltano le proporzioni con
Costantino che è molto più grande dei soldati; i legionari sono piccoli ma più grandi dei cavalli. È questo un
linguaggio convenzionale con i soggetti in proporzione secondo la loro importanza. Vi è poi un elemento
simbolico, ovvero la Vittoria alata. Inoltre, sono riconoscibili figure di bambini dalla mantellina e anche
perché sono la metà degli altri. Le colonne sullo sfondo si trovavano sull’area del foro. Su di un’altra
rappresentazione vediamo personaggi (di diverso strato sociale, e lo vediamo dalle vesti) che con il braccio
alzato prendono monete durante il congiarium.
Un altro elemento che caratterizza il mondo romano sono i SARCOFAGI, dopo il rilievo. Il sarcofago è un
altro genere importante della cultura romana. Esso è una sorta di contenitore che ospita il corpo del
defunto. I primi nascono in età arcaica. Durante l’età del bronzo si usava porre il cadavere in posizione
rannicchiata usando urne corte. I sarcofagi li troviamo in Sicilia, Cipro, con l’uso di raffigurare scene
quotidiane della vita del defunto. Nel IV secolo, a Cartagine, i sarcofagi sono a forma del corpo del
cadavere. In Grecia vi sono sarcofagi veri e propri.

SARCOFAGO DELLE PREFICHE: concepito come una


sorta di portico. Tra le colonne abbiamo donne che
mostrano il lutto per il defunto. Quest’ultime hanno
pose di lutto differenti. Il sarcofago è chiuso da un
coperchio dove sul lato principale è raffigurato la
processione del defunto. Ai lati ci sono due piccole
sfingi, simbolo di morte.

SARCOFAGO DI ALESSANDRO: raffigurata la lotta tra


Persiani e Greci. Sarcofago come fosse una
cassapanca con tradizioni ioniche-doriche. Coperchio
come un tetto di un edificio. La lotta presenta anche
Alessandro Magno. Nel lato breve, sullo scudo, vi è
una scena dipinta di guerra.

Dunque, questi sono due esempi dei più noti ed importanti.

Quando parliamo di sarcofagi è sicuramente importante distinguere due rituali: incinerazioni e inumazioni.
Il sarcofago lo troviamo solamente quando parliamo di inumazione del cadavere. Invece per quanto
riguarda l’incinerazione esistono urne cinerarie, chiamate per l’appunto ‘ciste’ in quanto simulano anche
delle ceste. Quest’ultime sono aperte sopra e le ceneri del defunto vengono messe lì all’interno di un
contenitore di vetro. Queste urne spesso sono collocate in un sepolcro oppure dentro a dei recinti funerari
(posti all’aperto). Le urne urbane sono di gran lunga più grandi di quelle provinciali. Vengono spesso
concepiti come edifici con scene di banchetti o comunque scene della vita del defunto.
Tutto ciò prevale fino al I secolo a Roma. Dall' dall'inizio del secondo secolo vi fu un grande cambiamento,
ovvero ritorna la pratica dell'inumazione e dunque parliamo dei sarcofagi. Ne vediamo alcuni:

SARCOFAGO A GHIRLANDE CON SCENE DEL MITO DI TESEO: la cassa è alta circa 50/60cm. Il sistema delle
ghirlande è tipico di questi primi sarcofagi. Tra queste decorazioni si alternano tre scene del mito di Teseo.
Per quanto riguarda il coperchio, abbiamo rappresentata una scena giocosa: siamo in un contesto da circo.
Questo lo possiamo affermare con certezza data la presenza della colonna utilizzata per un certo tipo di
gioco.
SARCOFAGO SCENE DEL MITO DI MEDEA: siamo nella seconda metà del II secolo. Qui il mito occupa tutta la
superficie della cassa. Dobbiamo leggere il mito da sinistra verso destra: abbiamo Giasone; i due figli
piccoli; dietro un’anziana; Medea. Questa è la scena sulla sinistra.
Per quanto riguarda la scena centrale abbiamo Creonte che si dispera vedendo la figlia Creuse bruciare.
Infine, sull’estrema destra abbiamo Medea in meditazione con la spada.
Dunque, sembra uscirne un’unica scena ma in realtà Medea è rappresentata per ben tre volte: questa è la
narrazione continua.

SARCOFAGO CON LA MORTE DI MELEAGRO: stessa tecnica della narrazione continua. Rappresentato il
mito della morte di Meleagro. La scena in questo caso va letta da destra a sinistra. La scena al centro
rappresentata il funerale di Meleagro. Possiamo inoltre dire che lo stile appartiene all’età Antonina.

Altri sarcofagi hanno forme diverse come quello che raffigura Selene. Ha una forma quasi di una vasca da
bagno. La scena qui occupa tre lati. Selene riconoscibile in quanto ha il seno scoperto ed un panno sul
capo. Qui le due grandi teste di leone fanno parte dello stile del monumento. Vi sono anche forti richiami
dionisiaci.

SARCOFAGO DEL PORTONACCIO: siamo qui nella prima metà del III secolo. Rappresentata la guerra tra
romani e Germani. Molto probabilmente siamo nel periodo tra Settimio Severo e Commodo. Un sarcofago
questo di eccelsa qualità e prestigio che non rappresenta la vita o onora io generale/personaggio
importante in quanto realizzato prima. Il sarcofago racconta la vita, attraverso tre fasi, del defunto.

Dobbiamo sicuramente dire che i sarcofagi anche dopo il Medioevo sono stati reimpiegati con
rappresentazioni diverse da quelle mitiche.

IL RITRATTO

STATUA EQUESTRE DI MARCO AURELIO: un tipo di statua equestre, tra le più


importanti, per commemorare i più grandi capi militari o grandi imperatori come in
questo caso Marco Aurelio. L’imperatore indossa un vestiario tipico da viaggio; ha
un corpo tonico, in posa stante e con tutti elementi convenzionali e tipici del
linguaggio imperiale.

STATUA EQUESTRE DA POMPEI: qui un personaggio nudo su di un cavallo.

AUGUSTO DI PRIMA PORTA: è un altro tipo di statua, ovvero quella loricata. In


genere questo tipo di statue venivano dedicate a capi militari o semplicemente a
militari in quanto, come possiamo notare, indossano la corazza. Oltre a ciò, viene
valorizzata l’anatomia umana. Vediamo poi che indossa un mantello che va a coprire
i fianchi, una variante di questo tipo di statua.
ARRINGATORE: va a connotare un terzo tipo di statua, ovvero quella togata.
Queste statue permettono di capire come cambia la toga nel tempo. Vediamo
una tunica con il panneggio che va a tradursi in un mantello sul quale vediamo
un ricamo sulla parte inferiore, lasciano inoltre una spalla scoperta. Questo un
chiaro esempio di ‘toga exigua’.

AUGUSTO DELLA VIA LABICANA: il lembo della toga è ribaltato sopra la testa,
probabilmente questo durante un atto di rispetto religioso. La stessa cosa la
vediamo, anche se concepito diversamente, nella statua che ritrae Massenzio.
Col il passare del tempo vediamo come l’abito diventa sempre più costoso (vedi
anche la statua di Nerva).
Inoltre, le toghe hanno due elementi fissi: il primo è la caduta del tessuto sulla
gamba destra: sinus. Il secondo è che il lembo delle toghe viene infilato nel
margine che attraversa il petto.
Citando Svetonio: dice che era diventato di moda andare in giro con toghe di un
tessuto particolare, per esempio il tessuto lucido, toghe variopinte. Svetonio le
disprezza in quanto conservatore.

Dunque, tutte queste statue hanno una loro gerarchia: quella togata è più importante; quella loricata è
dedicata ai capi militari; la statua equestre è dedicata a chi godeva di meriti importanti. La prima diffusione
del ritratto avviene intorno al I secolo a.C.
I ritratti più antichi godono di un linguaggio di impronta ellenistica come: il ritratto proveniente da Cirene,
con tratti fisionomici nord-africani, che trasuda enfasi della composizione e anche un certo pathos.
Abbiamo poi il ritratto da Delos, anche se non si direbbe dal volto, il personaggio era obeso. Un ritratto di
patrizio romano, forse Silla, con il volto girato verso sinistra, visibile dal tendine in tensione e torsione del
collo; sicuramente un personaggio di rango che si fa rappresentare da uno scultore greco. Inoltre, abbiamo
anche il ritratto di Pompeo magno con un volto quasi divinizzante e riconducibili ad Alessandro Magno.

I membri dell’aristocrazia si vedono dedicare statue onorarie con l’utilizzo di un linguaggio sempre più
realistico (rughe e la vecchiaia messi in evidenza) per esprimere un segnale di virtù. Esempi ne abbiamo: il
ritratto da Osimo con un crudo realismo; un ritratto maschile di un vecchio uomo, con il concetto di
‘ferocitas’, ovvero un atteggiamento duro, determinato.
In età cesariana abbiamo un linguaggio che insiste di più sulla fisionomia e particolari vari. Il togato
Barberini ne è un esempio. Altri esempi li abbiamo citati sopra.
In età augustea il linguaggio cambia. Abbiamo un totale classicismo, volti perfetti giovanili, privi di rughe.
Lo vediamo in tutti i ritratti di augusto. Vi è dunque un abbandono del realismo.
Per sottolineare il cambiamento si utilizzano i tipi:

- Tipo Azio, 27 a.C. al linguaggio realistico si sostituisce un linguaggio


classicistico
- Tipo Primo, 20 a.C. che cancella i segni del tempo.
- Tipo Forbes (o secondario), 4 a.C.

Diventa sempre più importante la capigliatura. Supponiamo che Augusto faccia aggiornare il suo ritratto
nel 4 a.C.
I modelli vengono mandati nelle provincie per poi essere copiati; vengono realizzati da scultori locali che
cambiano i tratti stravolgendoli. I capelli sono il modo per indentificarli: abbiamo il ritratto di Livia, moglie
di Augusto e madre di Tiberio; ha occhi enormi tipici dei membri della famiglia claudia; ha una capigliatura
semplice e tipica di I secolo a.C. Il ritratto di Agrippina Maggiore, dove vediamo un cambio
dell’acconciatura.
Con Nerone e i suoi ritratti il linguaggio classico cede. Questi ritratti ci presentano Nerone come obeso e
vecchio.
Con i Flavii le cose cambiano ancora: una vecchiaia ancor più evidente. Lo vediamo nei ritratti di
Vespasiano. Le immagini più vecchie ritornano al gusto repubblicano. A mano a mano che cambiano i
ritratti dei principi, cambiano anche i ritratti di personaggi di vita comune che appunto si ispirano ai principi
(vedi il concetto ‘il vostro tempo’, dal tedesco).
Con Marco Aurelio si diffonde il linguaggio del busto; il cambiamento avviene nel III secolo a.C.; prima il
trapano a sostituire lo scalpello. Nel corso del III secolo (anarchia militare) i soldati si fanno rappresentare
come soldati: barbe tagliate con forbici, i capelli corti, aspetti realistici e l’espressione cambiata. Esempi ne
abbiamo: il ritratto di massimino il Trace, oppure quello di Traiano Decio. Hanno tutte le caratteristiche
tipiche del III secolo: realismo; dolore di vivere, pupille verso l’alto; barbe/capelli corti.

Alla metà del III secolo: ritorno al linguaggio classico.


Alla fine del III secolo: nascita del linguaggio tardo-antico (convenzionalità dell’arte medievale)  i
tetrarchi a Venezia, San Marco. Abbiamo una forte stilizzazione che caratterizza l’arte del Medioevo.

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