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ATLANTE FARNESE

IL GIGANTE E LA VOLTA CELESTE


In questa conferenza, intendo presentare una diversa lettura su di una tra le opere più intriganti, tra
quelle raffiguranti il mondo mitologico greco: l’Atlante Farnese. Inizierò, accennando al mito di
Atlante, per poi illustrare la storia della statua e la sua descrizione, quale testimonianza artistica di
fama mondiale; continuerò accennando alle scoperte astronomiche di Ipparco da Nicea, per
concludere con le ipotesi del prof. Schaefer.

Per la ricerca, mi sono avvalsa di vari testi, di articoli rilevati da internet e di un articolo , messo a
disposizione, molto gentilmente, dal Museo Archeologico di Napoli cui vanno i miei più fervidi
ringraziamenti. Ho cercato, quindi ,d’integrare i vari elementi di questo studio, considerando sia i
ritrovamenti di approccio scientifico, sia i reperti di origine artistica.

Numerose sono le opere che rappresentano costellazioni e segni zodiacali; molte sono state
realizzate con svariate tecniche artistiche, come quelle pittoriche, a rilievo o a mosaico. Il reperto
più antico e più conosciuto nel mondo dell’arte, è la statua dell’Atlante Farnese, opera considerata
tra le più interessanti, sia per la completezza degli elementi, sia per la complessità esecutiva.

Quella che ammiriamo oggi, è una tarda copia romana risalente


al II s. d.C., proveniente da una statua bronzea di epoca ellenistica.
Inizialmente, la statua sembra fosse stata inserita nella decorazione
della biblioteca del foro di Traiano a Roma e forse, realizzata in
uno dei più importanti centri culturali e scientifici del tempo: il
Museo di Alessandria.

Prima di addentrarci nella descrizione della statua e del mistero che


essa racchiude, è necessario accennare al mito che essa sottende,
perché anche le più complesse teorie astronomiche diventano
comprensibili, attraverso simboli e racconti mitologici.

Diversi autori classici hanno scritto sul mito di Atlante: Esiodo,


Pindaro, Eschilo, Ovidio; Virgilio, Apollonio Rodio e altri.

Atlante appartiene alla generazione divina anteriore a quella degli Olimpici ed in particolare, al
ceppo degli esseri mostruosi e giganti. Per alcune tradizioni era figlio di Giapeto e dell’Oceanina
Climene o Asia, mentre in altri miti era figlio di Urano e fratello di Crono.

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Atlante ebbe come figlie le ninfe Pleiadi da Pleinone e le Hyadi da Etra. Egli personifica la qualità
della perseveranza e fu considerato nella fantasia popolare ”colui che istruì gli uomini all’arte
dell’astronomia”, insegnando loro le leggi del cielo per navigare in modo sicuro.

Inoltre, è considerato la Divinità che, come chiaramente mostrato dalla sua iconografia, rovesciò i
cieli intorno al proprio asse, permettendo la rivoluzione dei pianeti.

Il mito racconta: Crono e Rea avevano generato vari figli e figlie, ma Crono li aveva divorati tutti,
eccetto Zeus che era stato nascosto da Rea. Infatti, ella aveva ingannato il marito, offrendogli una
pietra avvolta nelle fasce al posto del figlio. Una volta cresciuto, Zeus chiese consiglio alla
Titanessa Meti che gli suggerì di rivolgersi a sua madre Rea per ottenere l’incarico di coppiere di
Crono. Rea acconsentì felicemente alla richiesta del figlio che mescolò alle bevande del padre
l’emetico consigliato da Meti. Crono, dopo aver bevuto, vomitò la pietra, unitamente ai fratelli e
alle sorelle maggiori di Zeus che gli chiesero di guidarli nella guerra contro i Titani e contro Crono
che nel frattempo avevano scelto come loro capo Atlante. La guerra durò dieci anni e la Madre
Terra profetizzò la vittoria di Zeus se egli si fosse alleato con coloro che Crono aveva esiliato nel
Tartaro. Zeus, allora uccise la vecchia carceriera del Tartaro, le tolse le chiavi e liberò i Ciclopi e i
giganti centimani. I ciclopi premiarono Zeus e i suoi fratelli con le armi per vincere Crono. A Zeus
fu data la folgore, Ade ottenne l’elmo per essere invisibile e Poseidone, il tridente. Con queste armi
essi vinsero Crono, mentre i giganti centimani contribuirono sotto una pioggia di sassi a far
scappare il resto dei Titani superstiti. Allora Crono e tutti i Titani sconfitti furono esiliati nelle isole
britanniche all’estremo occidente (o nel tartaro per altri), sotto la sorveglianza dei giganti centimani.
Alle Titanesse fu risparmiata la vita per intercessione di Meti e di Rea, mentre Atlante fu
condannato a reggere sulle spalle il peso di tutto il cielo.

Questo è quello che ci trasmettono le antiche tradizioni che, è bene ripeterlo, forniscono una base
essenziale per comprendere l’oggetto della nostra tesi.

La prima descrizione del famoso Atlante Farnese risale al tardo cinquecento. Nel libro “Delle Statue
Antiche” di Ulisse Aldrovandi (1550), l’autore racconta di aver visto a Roma “un busto di Atlante,
una cosa bellissima e rara”, inoltre lo descrive così: ”Senza braccia, né viso, ma sulle spalle
aggobbite, una sphera marmorea con tutti i circoli celesti che per lo cielo sono, di mezzo rilievo
scolpito”…

Dal 500 in poi, la statua, subì una serie di interventi per essere restaurata nelle parti mancanti, come
il volto, le braccia, le gambe ed il basamento (elementi dove a tutt’oggi e possibile vederne gli
innesti.)

Nel 1562, essa , fu venduta dal mercante d’arte Paolo Bufalo al cardinale Alessandro Farnese che la
inserì nella sua collezione, assegnandole il nome di Atlante Farnese con il quale la statua è
conosciuta in tutto il mondo.

La collezione Farnese, in seguito, fu ereditata dai Borbone di Napoli che la inglobarono nel Museo
Borbonico nel primo Ottocento. Qui l’Atlante ebbe un grande successo e divenne famoso, grazie
alle esposizioni tenute nelle sale del museo e alle relative guide realizzate su carta stampata.

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Ricordiamo che tra le tante edizioni quella di GEORG THIELE è considerata una delle più
importanti fonti citate per lo studio di quest’opera.

La statua, dopo diverse vicende di collezionismo e di antichità borboniche, giunse al Museo


Archeologico di Napoli, dove attualmente è conservata nella preziosa Collezione Farnese.

Nel 1980 l’Atlante fu esposto al Centro Pompidou, dove fu fatta la misurazione del globo, grazie al
rilevamento fotogrammetrico realizzato da una serie di studiosi a Napoli, in quella occasione fu
calcolato l’esatta dimensione della sfera e delle posizioni dei vari circoli; il risultato di questo studio
fu poi pubblicato in un ampio articolo del 1987.

La statua è alta più di 2 mt. e rappresenta il Titano che sorregge con le due mani la sfera celeste,
quasi bloccata tra le spalle e la testa. Enorme e muscoloso, Atlante ci appare in piena tensione,
schiacciato e contratto sotto il possente peso del globo celeste.

Osservandolo più attentamente, possiamo notare che le fasce muscolari delle braccia, dell’addome
e del torace sono in forte contrazione. Lo stesso
avviene per i solidi quadricipiti, volti a suggerire che
tutta la sua forza è rivolta a sostenere l’enorme peso. A
questo sforzo sono chiamate anche le arterie che, sotto
la pelle, appaiono ben evidenti, partecipando così alla
grande fatica del Titano.

Il corpo è modellato con maestria artistica e grande


abilità tecnica.

Anche la testa è rappresentata con la stessa forza


espressiva. Il volto volge a sinistra ed è coperto da una folta barba
ricciuta e incolta. Ondulati, sono i lunghi capelli che incorniciano una
fronte spaziosa, attraversata, orizzontalmente, da rughe espressive che
marcano il gravoso compito che incombe sul gigante. Le labbra
socchiuse sembrano emettere un respiro affannoso, il volto è contratto
dallo sforzo e lo sguardo comunica dignità e coscienza del peso da
portare.

Il drappo che scende dalla spalla sinistra, offre maggiore stabilità


all’enorme statua, mentre le pieghe lunghe e verticali conferiscono al corpo del gigante un delicato

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chiaroscuro, inoltre quelle pieghe sembrano quasi raggiera di luce che dal cielo viene sulla terra,
per raccogliersi ai piedi del Titano.

Sul globo dal diametro tra 65/70 cm. sono


raffigurate in rilievo di circa 6mm., le costellazioni conosciute ai tempi degli antichi Greci, i cerchi
armillari, l’equatore celeste, -i tropici, il circolo artico ed antartico (con differenti funzioni e
coordinate rispetto alle attuali).

Ci sono anche due cerchi meridiani che attraversano i poli e i punti dei solstizi e degli equinozi,
l’ellittica con la fascia dello zodiaco e infine, 19 costellazioni boreali, i 12 Segni zodiacali e le 14
costellazioni australi per un totale di figure, comprese tra 41e 45. Sul globo sono ben visibili gli
emisferi che sono separati dall’equatore e la cui fascia a rilievo è attraversata obliquamente
dall’ellittica.

Nell’iconografia delle costellazioni, emergono alcune curiosità: sopra il segno del Cancro, sotto
l’Orsa Maggiore, appare un piccolo trono; forse si tratta di una cometa visibile in Italia all’epoca di
Augusto e per questo, fu chiamata “Trono di Cesare". Sono,
inoltre, assenti il Piccolo Cavallo (una costellazione secondaria
vicina a Pegaso), il Cavallo Alato e il Triangolo; non si vede il
Pesce Australe perché coperto dalle spalle dell’Atlante, e infine,
per la presenza di un foro sulla parte superiore del globo, non
sono evidenti l’Orsa Minore e buona parte dell’Orsa Maggiore.

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Per il suo particolare valore astronomico, cosmologico, astrologico e mitologico, questa statua ha
sempre attirato l’attenzione di vari studiosi, e in particolare quello dell’astrofisico Bradlley
E.Schaefer della Louisiana State University che, in un convegno dell’American Astronomical
Society, tenutosi a San Diego in California, il 10 gennaio del 2005, ha dichiarato che sul globo
dell’Atlante Farnese sono riportate in modo accurato le costellazioni del Catalogo stellare di
Ipparco da Nicea, per molto tempo stato dato per disperso.

Questa notizia in Italia fu accolta con grande interesse dagli studiosi e in modo particolare dal Prof.
Sigismondi, docente di Storia dell’Astronomia presso l’Università La Sapienza di Roma, che
ritenne tale “scoperta davvero importante per la storia dell’astronomia”.

L’astrofisico americano, dunque, dopo aver condotto svariate ricerche e raccolto diversi elementi,
ha dimostrato, che il catalogo stellare di Ipparco è effettivamente riportato sul globo della famosa
statua.

Ma chi era Ipparco da Nicea?

Matematico e geografo, Ipparco nato a Nicea è ricordato come il primo astronomo dell’antichità
greca; a lui sono attribuiti accurati modelli sul moto del sole e della luna, il perfezionamento della
teoria sulla durata di un anno e l’astrolabio.

Tutte le scoperte realizzate da Ipparco, si basano sul metodo delle proprie osservazioni e sulle
conoscenze accumulate nei secoli dai Caldei babilonesi. Come astronomo, fu il primo a
sperimentare una nuova tecnica di misurazione, basata sulla trigonometria, prevedendo in modo
piuttosto sicuro le eclissi solari. Questa tecnica, gli consentì tante altre scoperte, come quella della
Precessione degli Equinozi (fenomeno per il quale, l'asse terrestre non solo ruota su se stesso, ma
compie anche un movimento a trottola attorno alla sua verticale).

Confrontando le proprie esplorazioni con quelle dei suoi predecessori, Ipparco scoprì che si erano
verificati dei lievi spostamenti rilevabili solo, attraverso osservazioni fatte a distanza di tempo tra di
loro. Egli riportò il risultato di questa ricerca nella sua celebre opera “Spostamento dei punti dei
solstizi e degli equinozi”, di cui si ha conoscenza attraverso riferimenti successivi.

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Di tutte le sue opere, l’unica sopravvissuta fino ad oggi, è il “Commentario” con la descrizione
dettagliata delle costellazioni. Ipparco compilò un celebre catalogo stellare, nel quale sono riportate
circa 1080 stelle con le relative latitudini, longitudini, posizione rispetto all’ellittica e luminosità.

Grazie alla luminosità, Ipparco riuscì a classificare le varie stelle e ad assegnarle a diversi gruppi.
Egli in questo modo aveva scoperto la magnitudine stellare. Ricordiamo che questo metodo
leggermente modificato nell’Ottocento, è ancora oggi usato per misurare la luminosità stellare. Il
catalogo stellare di Ipparco, sembra che sia stato realizzato intorno al 129 a.C. ed è considerato il
primo catalogo in assoluto.

Del Catalogo si dice che fosse andato perduto all’inizio dell’era cristiana in seguito ad un rogo
scoppiato nell’immensa biblioteca di Alessandria nel 295 d.C. Della sua esistenza, si è avuta
notizia, solo molto tempo dopo, grazie a Claudio Tolomeo che lo menziona nel suo Almagesto,
realizzato nel 120 a.C., e che per certi versi si basa anche sulle scoperte fatte dallo stesso Ipparco.

Il prof. Schaefer, affascinato dalle scoperte fatte dell’antico astronomo e dalle costellazioni presenti
sul globo dell’Atlante Farnese, ha incominciato a svolgere lunghe ricerche durate svariati anni, per
concludere che quei rilievi rappresentati erano una riproduzione abbastanza fedele del catalogo
stellare di Ipparco.

Le osservazioni e gli studi fatti dall’astrofisico circa le costellazioni rappresentate sul globo, si
basano principalmente su risultati ricavati sia da rilevamenti fotografici fatti personalmente sul
globo, sia dall’accuratezza dei dettagli con cui lo scolpite ha ritratto le costellazioni. Quindi,
secondo lo stesso Schaefer, lo scultore per realizzare quest’opera, avrebbe usato osservazioni
astronomiche specifiche, provenienti da un catalogo stellare che solo Ipparco avrebbe creato, prima
del 128 a.c. Per avvalorare la sua ipotesi, lo studioso ha soggiornato a Napoli ed ha trascorso molto
tempo al Museo Archeologico per fare la prima analisi astronomica delle costellazioni.

Usando il fenomeno della precessione di Ipparco, Schaefer è riuscito a dimostrare che sul globo
dell’Atlante Farnese è rappresento, effettivamente, il celebre catalogo stellare dell’astronomo greco.
Egli ha riportato le posizioni delle stelle scultorie su di una mappa e poi le ha confrontate con quelle
sviluppate al computer, calcolando anche le coordinate e i moti stellari, tornando indietro fino a
2130 anni fa. In questo modo, egli ha notato, che non tutte le posizioni combaciavano esattamente,
forse perché lo scultore aveva commesso alcuni errori.

Inoltre, Schaefer ha misurato attraverso osservazioni fatte a livello fotografico, circa 70 posizioni
sul globo per ricostruire la posizione esatta delle costellazioni osservate da Ipparco a suo tempo. In
questo modo, ha ipotizzato, come data più verosimile per la realizzazione del catalogo, quella del
125 a.C. La data è compresa tra il 180 a.C. e il 70 a.C., poiché, in questi casi può verificarsi calcoli
di errori che variano tra +- 55anni, per cui ne risulta che in qualunque dei casi o sottraendo o
sommando il risultato è sempre 125.

Secondo il Prof. Sigismondi, convinto assertore delle ipotesi dell’astrofisico americano, il fenomeno
della precessione, cambia le coordinate celesti delle stelle e quindi, per questo motivo gli equinozi
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si spostano nel corso del tempo sulle varie costellazioni. Inoltre, la presunta data del 125. a.C.,
sembra coincidere più o meno, con alcune testimonianze rilasciate dagli antichi e in particolare, da
Tolemeo. Il Sigismondi sostiene ancora che Schaefer, abbia dimostrato che l'unico catalogo stellare
pervenutoci, fosse quello dell’Almagesto compilato da Tolomeo. Esso fu in buona parte realizzato
ad Alessandria d'Egitto, mentre nella parte restante, le stelle del catalogo mostravano alcuni errori
di posizione, quasi come se fossero stati osservati da Rodi, che si trova più a nord, rispetto ad
Alessandria. Da questo, Schaefer ha dedotto che Tolomeo abbia usato i dati che Ipparco aveva
corretto per la precessione degli equinozi, proprio a Rodi tre secoli prima di lui. «Con questa nuova
scoperta - ha concluso Sigismondi - abbiamo una prova ancora più valida che a partire dal 125 a.C.
circolava un catalogo stellare, su cui lo scultore dell’Atlante Farnese si è basato per rappresentare le
costellazioni ».

All’astronomo americano va così dato il merito di aver risolto una questione dibattuta da
moltissimi anni. Allo stesso tempo, grazie a questa scoperta, l’Atlante Farnese, quale custode e
testimone dell’antica scienza celeste dei Greci, è riuscito ancora una volta a catturare l’attenzione su
di se e sugli abitanti di quel mondo che porta sulle spalle.

La statua è stata scolpita, tenendo presenti mappe stellari o un altro globo stellare, ma la sua
realizzazione potrebbe, per motivi puramente tecnico- artistici, aver compromesso le reali posizioni
stellari e la sua esatta datazione. Inoltre, la posizione della mano della Vergine sulla quale è
collocata Spica, si trova al disotto dell’equatore (posizione data da Tolomeo nel suo Almagesto). Di
là da tutto questo, oltre ogni scoperta e ogni ipotesi, resta il fatto è che questo capolavoro di
notevole bellezza, è sia un’imponente espressione artistica che trasmette il mito di Atlante, ma
anche una straordinaria testimonianza sulle più antiche conoscenze scientifiche e astronomiche del
mondo mediterraneo.

BIBLIOGRAFIA DÌ RIFERIMENTO:

- Dizionario di Mitologia greca e romana – Ed. Paideia di Pierre Grimal


- I miti greci – Ed. Longanesi di Robert Graves
- L’Atlante Farnese le rappresentazioni delle costellazioni di Vladimiro Valeri

Da internet:

- Le costellazioni di Domenico Licchelli


- Delle virtù delle stelle inerranti di Lucia Bellizzia
- Miti cosmogonici e ordine di Valerio Valeri
- Ipparco di Nicea da Wikipedia
- Archeologia: Ecco la mappa celeste di Ipparco tratto dal quotidiano “Il Messaggero” (16
gennaio 2005.)
- L’astronomia nell’arte antica: l’Atlante Farnese di Claudio Del Duca
- Storia dell’arte: l’astronomia nell’arte greca- l’Atlante Farnese.

Siti:
7
- www.astroarte.it-artivisive
- www.antiqui.it/archeoastronomia/planetari.htm
- www.ilmessaggero.it
- http://en.wikipedia.org/wiki/BradleyE.Scharfer

Lucia Gangheri, vive e lavora a Napoli, si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Napoli ed è
docente di Discipline Pittoriche presso il Liceo Artistico di Napoli. Artista dalla personalità
eclettica e dagli ampi interessi, nella sua formazione artistica, culturale e professionale confluiscono
non solo la ricerca e la passione per la pittura, ma anche quella per la fotografia, il video, la musica,
le pratiche meditative , lo zen-shiatsu ed il gioiello . Dal 1983 ad oggi ha all’attivo diverse mostre
collettive e personali in Italia e all’Estero. Dal 1993 firma le sue opere con il nome d’arte Gāngāri.

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