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CARTOGRAFIA ASTRONOMICA

Quando ci poniamo di notte a guardare il cielo abbiamo l’impressione di essere al centro di una
sfera cava sulla cui superficie interna si individuano una serie di puntini luminosi. Tale sfera
(la Sfera celeste) sembra ruotare da Est verso Ovest e pare toccare la terra o il mare lungo
una linea curva, l’orizzonte.
Da un punto di vista psicologico viene spontaneo unire i vari punti luminosi e associarli in modo
da ottenere figure di oggetti o di animali a noi familiari, forse è proprio questo il modo più
semplice per spiegare l’origine delle costellazioni.
Dato che spesso è difficile ritrovare in ogni costellazione la forma che il nome suggerisce, è
assai probabile che queste abbiano un significato allegorico e raccontino, come in un libro di
figure, imprese di dei e racconti morali. Come afferma Ridpath: “Le costellazioni sono
invenzioni dell’immaginazione umana… Sono un’espressione del desiderio dell’uomo di imprimere
il proprio ordine nel caos apparente del cielo notturno… Ma forse la motivazione più antica di
questa esigenza fu quella di umanizzare la tremenda oscurità della notte.”
Attualmente noi consideriamo le costellazioni come insiemi fittizi di stelle, a volte
lontanissime tra loro e senza nessun legame gravitazionale, ma che è possibile associare per un
semplice effetto prospettico e la loro utilizzazione ha solo scopi pratici, in quanto è così
possibile localizzare i fenomeni e gli oggetti in cielo.
Ma chi inventò le costellazioni di cui troviamo traccia in Esiodo (VIII secolo a.C.) e ancora
prima in Omero (non prima del IX secolo a.C.)? Questi autori citano infatti le Pleiadi, le Iadi,
l'Orsa Maggiore, Boote e Orione; Orione e Iadi compaiono anche nella Bibbia e inoltre la
suddivisione zodiacale in 12 segni si ritrova in molte culture (Egizi, Persiani, Indiani,
Babilonesi) a suggerire una origine comune.
Riguardo alle costellazioni, uno dei primi documenti che vi accennano è la babilonese Epopea di
Gilgamesh datata tra il 1500 e il 1200 a.C., ma che forse si riferisce a miti della civiltà
sumerica all'inizio del III millennio a.C.
Una completa descrizione di 45 costellazioni ci è fornita dal poemetto Phainòmena di Arato di
Soli in Cilicia (attuale costa meridionale della Turchia), IV-III secolo a.C., che a sua volta
riprende il sistema esposto da Eudosso di Cnido in Asia Minore, IV secolo a.C. che fu autore
di un globo astronomico andato perduto, la sfera di Eudosso, nel quale erano incise le
costellazioni, l'eclittica e l'equatore celeste.
Si ritiene che neanche Eudosso si riferisse alle proprie osservazioni, ma piuttosto a quanto
appreso durante la sua permanenza in Egitto.
Il lavoro di Arato ebbe molto successo anche presso i Romani e può essere anche oggi
ammirato nella statua dell’Atlante Farnese, conservata al Museo Nazionale di Napoli, copia
romana del II secolo d.C. di un’opera forse risalente al III secolo a.C.(sono rappresentate solo
42 costellazioni).
Ipparco parla nell'unica sua opera rimastaci, Commentario ai Fenomeni di Arato e di Eudosso ,
dell'opera di Arato, ma lo commenta sfavorevolmente in quanto trova degli errori nella
collocazione delle costellazioni, tali da influire sulla determinazione dell'ora di notte con le
stelle.
Nel corso del nostro secolo molti autori hanno cercato di ricostruire il cielo di Arato e sono
giunti a formulare ipotesi interessanti. Ovviamente nel poemetto non viene descritto nessun
insieme di stelle in un raggio di circa 36° intorno al Polo sud celeste, trovandoci noi
nell'emisfero boreale. Attenzione: quale Polo sud celeste?

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Ricostruendo la zona di assenza di costellazioni nell'opera di Arato si è trovato la posizione
del Polo sud e si è poi definita la latitudine a cui sono state fatte le osservazioni, circa 35°-
36° lat N, cioè a sud della Grecia (38° -36° lat N) e a nord dell’Egitto (30°lat N).
E' interessante notare che la posizione del Polo sud non corrisponde a quella che esso aveva
all'epoca di Eudosso, bensì, per la precessione degli equinozi, a quella che aveva in una data
che si colloca verso la fine del III millennio a. C..
Da quanto detto si deduce che le costellazioni descritte da Arato furono proposte da una
popolazione che viveva intorno al 2300 a.C. in una zona a 36° di latitudine nord.
Alla latitudine citata corrisponde la regione tra il Tigri e l’Eufrate dove era fiorente, tra il
2400 e il 2150 a.C., la civiltà mesopotamica degli Accadi (popolazione di origine semitica che si
modellò sulla precedente cultura delle città-stato sumeriche). Esistono diversi reperti
archeologici (tavolette, pietre confinarie, steli) anche di epoca più recente dove è possibile
riconoscere la rappresentazione di costellazioni quali il Toro, il Leone, lo Scorpione, Orione e
oggetti come il Sole e la Luna.
Forse in Orione e nel vicino Toro si rappresenta la lotta del mitico eroe Gilgamesh come viene
narrata nell'epopea omonima.
Il primo catalogo stellare sistematico risale a Tolomeo, astronomo del II secolo d.C. (ma già
descritte da Ipparco nel II secolo a.C.). Egli, secondo la consuetudine del mondo greco
stabilita da Eratostene III-II secolo a.C. e da Ipparco, non identifica le stelle con un nome
proprio, ma descrive la posizione di ciascuna di esse nella figura di ogni costellazione
(Aldebaran è "quella rossastra sull'occhio sud") e queste sono interpretate come vere e
proprie figure esistenti nel cielo. In alcuni casi Tolomeo dovette faticare non poco, come ad
esempio per una stella dell'antica costellazione della Nave, che egli definisce "quella più a
nord delle due stelle ravvicinate poste sul piccolo riparo della poppa" ….
Le stelle più splendenti del cielo hanno nomi di origine talvolta greco-latina, ma più spesso
araba. Questo perché durante il Medioevo, quando nell'Europa cristiana la cultura regredisce
fino a dimenticare o a respingere le conquiste del mondo greco, le scienze, e in particolar
modo l'astronomia, continuano ad essere coltivate nel mondo islamico, il quale, in lingua araba,
ci ha restituito le opere dell'antichità classica.
Nel mondo arabo spesso si traduce, magari abbreviando o modificando, la locuzione utilizzata
nel testo di riferimento del sapere astronomico, cioè l' Almagesto, e, quando in Europa viene
recuperato tale patrimonio di conoscenze attraverso traduzioni latine, si preferisce
mantenere il nome arabo sia per la difficoltà della traduzione sia perché in tale modo appare
più conciso.
Delle 254 stelle con nome proprio, 170 denominazioni sono di origine araba o da esso derivata,
27 di fonte latina, 22 greca (alcuni anteriori a Tolomeo, come Spica, Vindemiatrix, Antares,
Sirio); è bene sottolineare che la maggior parte dei nomi latini e greci viene assegnata nel
Rinascimento (Mira, Gemma).
Dobbiamo al grande astronomo arabo Abd al-Rahman as-Sufi (X sec.) le prime bellissime
rappresentazioni delle costellazioni catalogate da Tolomeo; per ogni costellazione egli fece
due disegni: uno come appare ad un osservatore sulla Terra, l'altro visto dall'esterno della
sfera celeste ("dalla parte di Dio"), come era uso nei globi stellari.
La prima carta "piatta" degna di questo nome si deve al grande artista tedesco Albrecht
Durer, che nel 1515 incise su legno un atlante stellare derivato dal catalogo dell' Almagesto di
Tolomeo; anche Durer rappresentò le 48 costellazioni alla rovescia, viste dall'esterno. Si
nota l'assenza di costellazioni australi.

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Il primo grande atlante veramente completo lo troviamo nel 1603, ad opera di Johann Bayer,
un avvocato tedesco con la passione dell'astronomia.
L'atlante, chiamato Uranometria, contiene oltre 2000 stelle, ed è particolarmente importante
perché introduce il sistema di catalogazione stellare in uso ancora oggi: le stelle visibili ad
occhio nudo (circa 6000) vengono classificate, per ogni costellazione, in ordine decrescente di
luminosità; alla stella più splendente di ciascuna costellazione si assegna la prima lettera
dell'alfabeto greco; esaurito l'alfabeto greco minuscolo si passa a quello latino minuscolo e
solo in rari casi si arriva alle cifre arabe. Tale sistema è ancora oggi detto delle "lettere di
Bayer".
Non sempre però le lettere di Bayer seguono rigorosamente l'ordine di splendore, e talvolta la
successione segue l'allineamento della figura mitologica.
E’ doveroso ricordare che l’arcivescovo Alessandro Piccolomini già nel 1561 nell’opera “Della
sfera del mondo e delle stelle fisse” aveva usato le lettere dell’alfabeto latino per
identificare le stelle di ogni costellazione.
Bayer stranamente non assegnò lettere greche alle costellazioni australi; ci pensò nel 1763
l'abate Nicolas Louis de Lacaille, nella sua carta dei cieli australi. Pochi anni dopo la
pubblicazione di Uranometria, l'astronomia fu rivoluzionata dall'invenzione del telescopio, che
non solo rese visibili molte più stelle di quelle finora conosciute, ma consentì misurazioni di
posizione sempre più accurate.
Ma una voce fuori dal coro fu costituita da Johannes Hevelius, astronomo di Danzica che per
tutta la vita si ostinò a misurare la posizione degli astri ad occhio nudo, ritenendo che l'uso di
lenti potesse introdurre delle distorsioni. Il catalogo di Hevelius indicava le posizioni di oltre
1500 stelle, e fu pubblicato postumo nel 1690, insieme ad un atlante, il Firmamentum
Sobiescianum, da lui stesso inciso (e che purtroppo rappresenta di nuovo le costellazioni alla
rovescia). Per le stelle australi egli utilizzò i dati delle osservazioni effettuate dall'isola di
S. Elena da Edmund Halley.
La rappresentazione su carta fece un ulteriore passo avanti ad opera dell'Astronomo Reale
inglese John Flamsteed, che dall'osservatorio di Greenwich catalogò quasi 3000 stelle con
una precisione senza precedenti. La sua opera Atlas Coelestis, pubblicata postuma nel 1725,
è composta da 25 tavole basate sulle sue osservazioni, più una carta della zona australe non
visibile da Greenwich basata sulle osservazioni di Keyser, Houtmann ed Halley.
Nella catalogazione delle stelle, in alternativa alle lettere di Bayer esistono anche i "numeri di
Flamsteed", ma essi non furono affatto introdotti da lui: fu il francese J. J. Lalande, nel
1783, che in un'edizione francese del catalogo di Flamsteed aggiunse una colonna in cui per
ogni costellazione indicò con numeri consecutivi le stelle secondo l'ordine con cui le aveva
catalogate Flamsteed; attualmente i numeri di Flamsteed vengono usati solo per le stelle
deboli che non sono catalogate con una lettera dell'alfabeto greco.
Nel 1801 fu pubblicato il monumentale atlante Uranographia dell'astronomo tedesco Johann
Elert Bode, direttore dell'Osservatorio di Berlino. Contiene oltre 17000 stelle suddivise in
108 costellazioni
L'opera di Bode segna il culmine dell'era degli atlanti figurati vecchio stile; dopo di lui gli
astronomi hanno dato sempre minore importanza alle figure fantasiose delle costellazioni dei
Greci, e sempre maggiore risalto a posizione, luminosità e caratteristiche fisiche delle stelle.
In tutti questi atlanti però variano continuamente i confini tra le varie costellazioni e proprio
per questo nel 1922, nel corso della sua prima assemblea generale, la Unione Astronomica
Internazionale decise di approvare un elenco ufficiale di 88 costellazioni, in grado di coprire

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l’intero cielo, e l'astronomo belga Delporte ebbe l'incarico di fissarne in modo netto i confini
(nel 1930 venne pubblicata Delimitazione scientifica delle costellazioni).
Tra gli atlanti moderni vediamo a metà del 1900 l' Atlas of the Heavens dello sloveno Antonin
Becvar, in due edizioni, rispettivamente con stelle nere su fondo bianco e bianche su fondo
nero; le posizioni delle stelle (rappresentate fino alla magnitudine 8) sono calcolate per
l'Epoca 1950.0.
Segue l'opera in tre volumi Uranometria 2000, derivata dalle lastre fotografiche del Palomar
Sky Survey, con 1870 carte celesti che riportano stelle fino alla 21 a magnitudine.
Viene poi nel 1981 lo Sky Atlas 2000 di Will Tyrion, probabilmente l'atlante stellare più
usato dagli astrofili degli ultimi decenni, che riporta 43000 stelle fino alla magnitudine 8, e
2500 oggetti di cielo profondo.
Infine abbiamo l'era della cartografia virtuale, con programmi per computer sempre più
sofisticati, che consentono di simulare l'aspetto del cielo in ogni epoca passata o futura, di
calcolare direttamente le coordinate locali (altazimutali) di un oggetto, di collegarsi via
Internet a vari siti per aggiornare continuamente i dati di stelle, comete, asteroidi, e
addirittura di interfacciarsi con telescopi dotati di montature computerizzate per puntare
automaticamente gli oggetti selezionati sullo schermo.
Attualmente il set di dati più completo per tali tipi di programmi è costituito dai 10 CD del
Catalogo USNO (United States Naval Observatory), contenente i parametri (in formato
compresso) di oltre 500 milioni di stelle.
Eppure ancora oggi il fascino di quelle antiche incisioni che raffiguravano le costellazioni del
mondo greco è tanto forte che alcuni di questi programmi hanno, in aggiunta alla
rappresentazione "moderna" delle costellazioni, anche la raffigurazione pittorica dei miti che
le hanno generate, un piccolo omaggio al mondo antico cui siamo tanto debitori.

Bruno Pulcinelli

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