IL MIT O DI P ROMET EO
Il lavoro che c, il lavoro che manca
A cura di Stefano Scrima
ISBN 978-88-98227-36-5
Edizioni del Giardino dei Pensieri di Mario Trombino
Via Nadi 12, 40139 Bologna
I edizione, gennaio 2014
INDICE
Capitolo III. 62
Prometeo romantico: Goethe e Schiller
(Stefano Scrima e Mario Trombino)
Capitolo IV. 82
Il Prometeo di Jonas e la sfida della
responsabilit (Alessandro Roani)
Capitolo V. 93
Unamuno: Lavvoltoio di Prometeo
(Stefano Scrima)
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Nel mito greco, esattamente come nella Bibbia, gli uomini ap-
pena nati vivevano in completa serenit, gli uni scherzando e
banchettando con gli di nella cosiddetta Et dellOro dellu-
manit , gli altri passeggiando nel Paradiso Terrestre, tra far-
falle e prelibatezze, in continuo dialogo con Dio. Ma a un certo
punto successe qualcosa: gli uomini delle generazioni succes-
sive, constatate le grandi difficolt a cui quotidianamente do-
vevano andare incontro, ma rimanendo convinti di un idilliaco
passato originario, cercarono di darsi conto della loro nuova
condizione. la disubbidienza, in entrambi i casi, la chiave di
tutto. Adamo, tentato da Eva, e questa, a sua volta tentata dal
serpente-diavolo, disobbedirono entrambi a Dio; Prometeo,
padre degli uomini, disobbed a Zeus restituendo loro il fuo-
co, il quale venne sottratto allumanit da un adirato Zeus, in
seguito ad un altro inganno sortito dalla mente del titano ai
danni del dio: la suddivisione, chiesta a Prometeo dallo stesso
Zeus, della carne di un toro, luna destinata agli uomini e lal-
tra al sovrano dellOlimpo; al che Prometeo divise lanimale in
due, una parte apparentemente squisita, ma allinterno priva
di carne, e laltra brutta a vedersi, ma deliziosa Zeus, ovvia-
mente, scelse la parte degna di un dio, cadendo nel tranello
prometeico, e a pagarla furono sia Prometeo che i suoi pupilli.
Zeus priv loro del fuoco, cosicch luomo torn alla merc
delle forze della natura e degli altri animali. Ma Prometeo non
si sment riuscendo a rubare una scintilla divina per riportar-
la agli uomini. A questo ulteriore smacco Zeus decise di inca-
tenare Prometeo a una rupe cosicch, ogni giorno, unaquila
avesse potuto squartargli il fegato, il quale la notte sarebbe
ricresciuto1.
Il fuoco come la mela sono dunque simbolo di conoscenza,
la quale, con s, porta inevitabilmente sofferenza, vuoi per la
lotta tra intelligenze (tra uomini e di), vuoi per la semplice ca-
pacit di vedere e capire il male di cui, almeno per met, sono
farcite le nostre esistenze.
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Dio, scacciando Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, da quel
momento in poi costrinse loro a lavorare e guadagnarsi il pane
con il sudore della fronte il lavoro qui inteso come reden-
zione ; ma anche Zeus, dopo lo spiacevole scherzo giocato da
Prometeo in realt questa fu solo una delle gocce che fecero
traboccare il vaso2 scacci gli uomini dallOlimpo, i quali da
quel momento in poi dovettero cavarsela da soli sulla terra.
Ma qui Prometeo, attraverso il suo furto divino, diede alluo-
mo una speranza di vita felice, diede loro il fuoco, e quindi, a
dispetto della loro punizione e degradazione3, la possibilit di
produrre calore, luce ed energia, di emigrare in terre pi fred-
de, cuocere il cibo, fondere i metalli per costruire armi e stru-
menti da lavoro. Il lavoro nel mito greco (e quindi nella menta-
lit greco-antica) non simbolo di redenzione (perlomeno non
nel significato attribuitole dalla Bibbia), ma di forza, di potere
sulle cose, se vogliamo anche di superiorit rispetto, ad esem-
pio, agli altri animali, ma non alla natura dalle leggi indoma-
bili , anche se, attraverso le tecniche, sarebbe stato possibile
sedurla e portarla dalla parte degli uomini4. Prometeo, in que-
sto, pu essere avvicinato anche alla figura di Cristo vedremo
pi avanti, con Simone Weil, che non la prima volta che vie-
ne proposto un tale accostamento , il salvatore, colui che si
schiera dalla parte dei pi deboli; ma sempre qualcosa di pi,
perch Prometeo non lav i peccati del mondo (anche perch
se c qualcuno che ha peccato, in questo caso, non luo-
[2] Prometeo, vedendo che il fratello Epimeteo aveva fornito ogni animale
di armi per difendersi, ma dimenticandosi delluomo, don agli uomini
intelligenza e memoria, cosa che fece molto indispettire Zeus il quale aveva
paura che in questo modo luomo potesse minacciare la supremazia degli di.
[3] Zeus infatti nascose agli uomini i mezzi per vivere, il grano, ci dice
Esiodo, per non parlare poi delle sciagure che, attraverso Pandora, diffuse
sulla terra.
[4] Ma anche vero che Zeus mand sulla terra, identificandole con la
prima donna Pandora, sciagure fino ad allora sconosciute agli uomini, il che
riavvicina, in qualche modo, il mito al racconto biblico, i quali per restano
piuttosto distanti rispetto ai fini perseguiti e alla concezione del lavoro.
8
mo bens Prometeo), ma diede alluomo la possibilit di farsi
da solo, di costruirsi il proprio destino e realizzarsi sulla terra,
attraverso il lavoro. Tutto questo in autonomia rispetto agli di,
sebbene essi avessero potuto, in quanto potenti di, interferi-
re nel bene e nel male con le vite dei mortali.
9
legato alla rupe ed eternamente squartato dallaquila con la
condizione stessa delluomo in perenne conflitto interiore tra
ragione e sentimento.
I secoli passano e le tecniche cambiano, si evolvono, fino, in al-
cuni casi, a farsi addirittura pericolose per i suoi stessi invento-
ri, sia dal punto di vista ecologico, che vede minato il misurato
interscambio tra uomo e natura, sia da quello pi propriamen-
te lavorativo, in cui i ruoli tra tecniche e padroni, macchine e
uomini, sembrano quasi invertirsi. Queste problematiche ven-
nero accolte da due tra i pi importanti pensatori del Novecen-
to: Hans Jonas e Simone Weil, i quali, proprio a partire dalla
figura di Prometeo, misero a fuoco questi temi e le possibilit
e necessit di un cambiamento.
Questo libro, come recita il sottotitolo, vuole essere una rifles-
sione sul lavoro che c, ma soprattutto su quello che manca,
ripercorrendo la nostra tradizione e lidea che ci siamo fatti
della nostra condizione di esseri umani. La selezione degli au-
tori per cui abbiamo optato, tra i tanti che hanno riflettuto su
e a partire dal mito di Prometeo celebre, ad esempio, la
ripresa del mito nel Protagora di Platone, che per, essendo
trattato in chiave politica, non ha potuto trovato spazio in que-
sta sede, cos come tante altre , appunto frutto di questa
particolare angolazione.
Quale miglior momento di questo per parlare di lavoro, in Ita-
lia, in cui lavoro non ce n, in cui la parola lavoro sembra
essere diventata sinonimo di privilegio? Chiss che questi
pensieri non ci aiutino a trovare una soluzione, o perlomeno a
farci venir voglia di cambiare.
10
PREMESSA MITOLOGICA
T EOGONIA E MIT I
COSMOGONICI
11
1. COME NATO IL MONDO?
12
manca il soggetto, ancora adesso laccadere nella nostra lingua
impersonale.
Crono sa che il decreto del Fato che egli sia sconfitto da uno
dei suoi figli, e tenta di prendere le sue contromisure ma,
se si pu sfidare il destino, non lo si pu vincere! Unendosi
con Rea, la sua sposa, Crono genera molti figli ma li inghiotte
subito dopo, bloccandoli cos dentro il proprio corpo. Non pu
certo ucciderli: gli di infatti nascono, non sono sempre esistiti,
ma non muoiono. Sono immortali, ed questo a differenziarli
in prima battuta da qualsiasi altro essere vivente, uomo com-
preso, creatura di un giorno, dicevano i greci.
13
Zeus la supremazia. Ma saranno tutti sconfitti e la loro forza
soggiogata.
qui che per la prima volta compare in posizione decisiva il
ruolo di Prometeo. figlio di Giapeto, uno dei Titani nati dagli
amplessi di Gea e Urano (si tratta quindi di di davvero dei pri-
mordi: Giapeto quindi fratello di Crono). Quando scoppi la
lotta finale per il potere tra Zeus e i suoi fratelli e alleati (la terza
generazione divina) e i Titani (che erano la seconda) lotta che
la mitologia greca ricorda come Titanomachia , i rapporti di
forza sembravano rendere incerta la lotta, ma lastuzia e i buoni
consigli di Prometeo consentirono a Zeus di avere la meglio.
I Titani furono precipitati nellabisso del Tartaro, luogo inacces-
sibile e dal quale era impossibile figgire via. Lordine di Zeus si
pu imporre senza pi ostacoli sul mondo, ed per sempre.
Nessun dio pu sperare, per forza e astuzia, di contrastare vit-
toriosamente Zeus.
Questi i decreti immutabili del Fato, cui neppure il potere di
Zeus pu sfuggire.
14
tutte le cose, il Cielo ordinato e immutabile nei movimenti
dei suoi astri, il Mare fonte di vita per innumerevoli creature.
E altre realt sono celate allo sguardo delluomo, ma esistono
e sono governate con ordine, ciascuno dalle proprie leggi: ad
esempio il Tartaro, abisso immenso in cui Zeus ha relegato de-
finitivamente le potenze divine che ha vinto, impedendo loro
di tornare sulla Terra a far danni (non poteva ucciderli: gli di
sono immortali). Poi c lAde, il regno dei morti, su cui fiorisco-
no moltissimi racconti, ma che precluso ai viventi.
15
secca col calore del Sole. Ed lalternarsi ordinato delle stagio-
ni garantito da Zeus a consentire alle piante di crescere e
svilupparsi, nel loro ciclo annuale, e allagricoltura di nutrire gli
uomini.
Sono solo degli esempi. Potremmo continuare indefinitamen-
te a farne, perch non c ambito della realt in cui prevalga
una sola forza: sempre e ovunque, senza eccezioni, una forza
bilanciata da unaltra, e la realt ha il volto che conosciamo
come frutto dellequilibrio delle forze.
E un equilibrio ciclico, perch c un tempo in cui prevale una
forza, un tempo in cui ne prevale unaltra. Ma mai una forza
annulla le altre, mai prevale sempre.
Cos luniverso ordinato, un cosmo: per un Greco, questul-
tima parola (ksmos) significa sia ordine che universo. Basta
dunque dire cosmo per dire che luniverso ordinato.
Non sono solo tre queste grandi aree del cosmo ad essere sot-
to il potere di un dio. Tutto pieno di di per un Greco, e tutto
governato da una potenza divina.
Il Sole egli stesso un dio, ad esempio, e non c fonte che
non sia sede di una ninfa, creature semidivine che popolano la
natura incontaminata.
Non c passione che non sia fatta risalire allazione di un dio o
di una dea. Se si innamorati, perch si preda di Afrodite.
Cos ragionava un Greco, cos spiegava il mondo un Greco.
16
3. HYBRIS E THEMISTES
17
i raccolti, cha la malattia non perseguiti una famiglia , deve
imparare a condizionare la volont degli di.
Ecco allora i sacrifici, ecco i riti tradizionali. Da dove ha impa-
rati un Greco dellVIII-VII secolo a. C. quello che sa sugli di,
quando compaiono le prime testimonianze scritte dopo il co-
siddetto medioevo ellenico?
Li ha imparati dai propri padri. I Greci non avevano una classe
sacerdotale distinta e autonoma dal potere familiare e politi-
co. Era il capo della famiglia a compiere riti e sacrifici nellam-
bito familiare, erano i signori della citt a compiere quelli di
tutta la comunit.
Facevano quello che sin da bambini avevano visto fare ai loro
padri. Generazione dopo generazione le pratiche rituali si tra-
mandavano da padre in figlio, secondo precise e minute rego-
le: erano le themistes, le leggi che nessuno ha scritto, ma che
se non si seguono mettono in pericolo la vita di tutti.
18
La colpa pi grave, quella che scatena inevitabilmente guai su
guai, la hybris. Traduciamo abitualmente questa parola greca
con tracotanza, termine che tuttavia rende solo in parte il con-
cetto. Commette hybris chi non sa restare entro i limiti della
propria natura e va oltre: se agisce cos, ovviamente non riusci-
r a fare quel che cerca di fare e fallir. Ad esempio, commette
hybris chi sfida qualcuno che pi forte di lui. Si sa gi come
andr a finire.
La hybris pi grave sfidare il potere degli di. Si va incontro a
rovina inevitabile.
Ora, difficile non macchiarsi di hybris. Gli di infatti governano
ogni ambito della realt, e non sfidarli difficile. Un esempio
tratto dai racconti mitici greci chiarir il concetto. Ippolito era
un giovane appassionato di caccia e assai poco interessato ai
giochi degli amanti. Era quindi molto legato ad Artemide, dea
della caccia, e disprezzava Afrodite, dea dellamore. Ma non si
sfidano impunemente gli di, ci si macchia di hybris e la rovina
inevitabile. Ippolito pagher con la vita lira di Afrodite.
19
Non troppo.
Non troppo poco.
Eccedere in un senso o nellaltro sempre pericoloso. Lordine
della natura prevede equilibrio. Non si deve mai andare contro
se stessi, n presumere troppo di s.
20
Le leggi di cui parliamo adesso sono le stesse themistes di cui
parlavamo prima, nel paragrafo precedente: tramandate oral-
mente, sono lespressione della sapienza e della prudenza dei
padri.
Ma il mondo umano non il mondo divino, e non neppure il
mondo della natura incontaminata.
S, parte della natura, ma la citt un organismo che
luomo a costruire, in natura non esiste. Dire che fa par-
te della natura non significa dire che non luomo a co-
struirla: significa piuttosto dire che luomo d vita alla citt
- rispettando le leggi della realt fisica su cui costruita (sar
costruita su un terreno stabile che sostiene le case, costru-
ite per quanto possibile in modo da resistere a eventi na-
turali potenzialmente distruttivi frequenti nellarea gre-
ca come i terremoti; sar costruita in un luogo salubre,
privo di malaria o di altri problemi ambientali, e cos via);
- rispettando le leggi della natura umana (la struttura fisica sar
a misura duomo, la struttura politica consentir a tutti i cittadini
di vivere al meglio, come la propria natura impone, e cos via).
Come sappiamo dallo studio della storia greca, la forma tipica
della vita associata dei Greci era la polis, che loro considerava-
no una forma politica perfettamente rispondente alla natura
umana, e quindi alla natura universale di cui luomo parte.
21
Da un punto di vista sociale, la polis composta dallinsieme
dei cittadini, sentiti nel mondo greco come persone che hanno
diritti speciali rispetto agli altri, che cittadini non sono: gli stra-
nieri, ad esempio, i cosiddetti meteci che a volte vivono in citt
da molto tempo, ma non hanno lo status di cittadini.
Fermo restando un ruolo diverso delle donne (ne abbiamo
parlato nel Quaderno di Diogene dedicato al Mito di Pan-
dora), nel periodo arcaico i cittadini erano uguali di fronte alla
legge, sicch si poteva dire che rispettassero il principio delli-
sonomia termine composto da isos, uguale, e nomos, legge,
cio eguaglianza di fronte alla legge.
Ma se la legge uguale per tutti (per tutti i cittadini), questo
non significa che non vi erano differenze sociali e politiche.
Significa che queste differenze erano regolate e limitate dalle
themistes, e a nessuno lecito andare oltre ci che esse co-
mandavano. La loro origine era divina, come era per tutte le
altre leggi di natura, ed erano immodificabili, se non si voleva-
no avere guai.
22
to buoni, premurosi, ora dolcissimi con un mortale (cio un
uomo, cos chiamato dai poeti proprio in contrapposizione agli
di, che sono immortali), ora terribili.
Imprevedibili. Capricciosi, appunto, nel senso che la loro vo-
lont era libera, e quindi instabile e mutevole, bench ciascu-
no certo seguiva la propria natura (Afrodite non si comportava
come si comporta Artemide, la vergine dea della caccia).
23
esistono, se ne fa esperienza. Un Greco fa esperienza della pre-
senza di Ares, il dio della guerra, quando infuria la battaglia;
sente la forza di Afrodite quando innamorato, sperimenta la
potenza di Poseidone nella tempesta, e cos via.
Gli di sono esseri superiori, ma gelosi della loro superiorit.
Abbassano luomo che felice e fortunato, che simile agli
di, scrivono spesso gli autori greci, per bellezza, o favori della
sorte, o felicit. Linvidia degli di pu colpire facilmente un
uomo con queste caratteristiche, ed quindi opportuno non
vantarsene mai, non farle pesare.
Gli di non vanno sfidati.
Sono pericolosi, vincono sempre loro. Perch? Perch sono
molto, molto pi potenti di qualsiasi uomo. Ma non sono trop-
po diversi per emozioni, sentimenti, passioni.
I Greci hanno concepito se stessi a immagine e somiglianza de-
gli di. O, se vogliamo, hanno concepito gli di a immagine e
somiglianza degli uomini.
24
ra, a cui abbiamo dedicato un altro dei Quaderni di Diogene5).
Vista quindi la cornice generale dei miti cosmogonici esiodei,
concentriamo adesso la nostra attenzione al mito specifico di
Prometeo.
ESIODO
T EOGONIA
(versi dedicati a Prometeo)6
25
versatile e astuto, e il malaccorto9 Epimeteo10,
che dallinizio fu un male per gli uomini che mangiano il pane:
per primo infatti accolse la donna11 formata da Zeus,
fanciulla. ()
viglie,
Eracle, e dalla crudele siciagura allontan
il figlio di Iapeto, e lo liber dai tormenti
non contro il volere di Zeus Olimipio che regna nellalto,
perch di Eracle, stirpe di Tebe, la fama fosse
maggiore di quanto lo era prima sulla terra nutrice.
Cos dunque rispett e onor lillustre suo figlio
26
e, pur irato, lasci il rancore che prima nutriva
perch quello volle contendere contro i disegni del possente
figlio di Kronos14.
[14] Zeus il figlio di Crono, appartiene dunque alla terza generazione degli
di, quella definitiva.
[15] Il primo scontro tra Prometeo e Zeus avvenne nella mitica citt di
Mecone.
[16] Altre versioni (e traduzioni) del mito parlano di un toro.
27
da allora che agli immortali la stirpe degli uomini sulla terra
brucia ossa bianche sugli altari odorosi17.
[17] Questa, dunque, la mitica origine dei sacrifici agli di ad opera degli
uomini.
[18] Qui Zeus, per vendicarsi di Prometeo e degli uomini, ord il suo piano
pi malefico, quello di mandare sulla terra una donna, Pandora, portatrice
di mali e sciagure. Ancora una volta si rimanda al nostro gi citato Mito di
Pandora.
28
ESIODO
OP ERE E GIORNI 19
(versi dedicati a Prometeo, vv. 42-59)
29
CAPITOLO I
IL MIT O DI P ROMET EO
30
James Hillman ci dice che la mitologia la psicologia dellan-
tichit, e prosegue: gli antichi non avevano una psicologia
in senso stretto, ma avevano i miti, racconti congetturali su-
gli esseri umani nella loro relazione con forze e immagini pi
che umane23. Essi sono una rappresentazione del complesso
mondo interiore delluomo nella sua universalit, delle forze
che ne popolano le profondit, alle quali le culture antiche
hanno dato forma e vita.
Raccontiamo allora una storia, di certo conosciuta, ma le gran-
di storie non temono di essere ri-raccontate tante e tante volte
e non hanno paura di invecchiare.
Il protagonista di questa storia leggendaria un personaggio
dalla natura ambigua: non uomo, eppure paladino della spe-
cie umana, non dio a tutti gli effetti, perch non appartiene
alla discendenza degli di olimpici, Titano senza esserlo com-
pletamente, poich suo padre, Giapeto, fratello di Cronos,
un Titano, ma lui non prende parte come gli altri alla battaglia
contro Zeus e la sua stirpe di di olimpici. Il suo nome Pro-
meteo, (pro-metis, colui che pensa in anticipo, il preveggente e
per questo anche lastuto). Suo alter-ego il fratello Epimeteo
(anchegli rimasto neutrale nella scalata al cielo dei Titani e per
questo non punito dal re degli di: Zeus, il rappresentante del-
la Giustizia e dellordine cosmico). Epimeteo la controparte
di Prometeo, colui che pensa e conosce troppo tardi, limpul-
sivo e lirriflessivo, colui che cadr nellinganno di Zeus.
Nel corso delle vicende mitologiche, Prometeo d prova ri-
petutamente della sua scaltrezza, sempre a difesa o a favore
della specie umana e a scapito di Zeus che, adirato, infligge
puntualmente il suo castigo.
Un giorno, nellepoca doro in cui uomini e di vivevano vici-
ni e in pace, nasce una discussione su quali parti di un toro
da sacrificare devono essere offerte agli di e quali possono
rimanere agli uomini. Zeus l, in prima fila ad assistere alla
discussione. Affida infine a Prometeo il gravoso incarico di de-
[23] J. Hillman, Il sogno e il mondo infero, Adelphi, Milano 2003, cit., pp.
36-37.
31
cidere come affrontare la spartizione. Non si tratta infatti solo
di un compito tecnico: le parti da assegnare agli uni e agli altri
segneranno la frontiera che separa gli uomini e gli di e la loro
differenza di condizione. Il destino umano nelle sue mani e
Prometeo non ha dubbi.
Scuoia lenorme animale, ne pulisce le ossa e procede al taglio
della carne. Poi riunisce tutte le ossa, che ricopre di uno strato
di grasso bianco e succulento, mentre le parti di carne polposa
e nutriente vengono nascoste dentro il ventre viscido e sporco
dellanimale. Cos confezionati, i due pacchetti vengono portati
al cospetto di Zeus, affinch faccia la sua scelta. Nonostante la
sua grandezza, Zeus si lascia abbagliare dallesteriorit e, forse
con una punta di incertezza, sceglie la parte avvolta nel grasso
appetitoso e bianco. Quando per apre linvolucro, appaiono
alla vista di tutti solo le ossa, linde e perfettamente ripulite
della carne che le avvolgeva. Zeus stato ingannato24 e la sua
32
ira non si fa attendere.
A seguito di questo umiliante inganno di Prometeo il dio de-
cide di sottrarre agli uomini un bene assai prezioso: il fuoco,
condannandoli cos ad una sorta di caduta verso lanimalit, un
regresso evolutivo straordinario anche se il paradigma evolu-
zionista non appartiene al pensiero greco antico. Il fuoco in-
fatti un elemento naturale carico di un fortissimo simbolismo:
il fuoco viene infatti dal fulmine di Zeus, strumento e simbolo
del suo potere divino; il fuoco lenergia maschile, che trasfor-
ma o distrugge, lo strumento che consente alluomo di posse-
dere la techne, il potere della conoscenza25.
Vi era un tempo in cui gli uomini vivevano in una sorta di Et
dellOro, in cui non conoscevano la fatica, il lavoro, la fame:
tutto ci che serviva loro era l, a loro disposizione, non do-
vevano che servirsi. Ora invece, per decisione di Zeus, ci che
prima era spontaneo diventa il frutto di un lavoro, conquistato
con fatica e sudore. Insieme al fuoco, inoltre Zeus nasconde
agli uomini anche il nutrimento per eccellenza, il grano. Se
prima esso cresceva ovunque spontaneo, ora luomo dovr
33
scavare nel ventre della terra, nascondervi i semi, attendere
che germogli, raccoglierlo e lavorarlo. Lagricoltura far il suo
ingresso nella storia degli esseri umani.
Di fronte a tale sventura, Prometeo lastuto non si d certo per
vinto ed escogita un altro dei suoi piani per soccorrere il gene-
re umano. Si introduce di nascosto nellOlimpo, ruba un seme
del fuoco (sperma pyros26) di Zeus e lo nasconde nellincavo di
una canna, verde allesterno ma secca allinterno, cos che il
fuoco pu bruciare senza essere visto, mentre egli torna sulla
terra e fa dono agli uomini del seme del fuoco celeste.
Quando Zeus, dalla sua dimora olimpica, scorge il bagliore bril-
lare nelle case degli uomini viene invaso dalla collera; il suo ca-
stigo forse il peggiore non tarder ad abbattersi sugli uomini.
Ha inizio il terzo atto. Zeus convoca Efesto, dio del fuoco, dei
metalli e della metallurgia, il grande inventore e costruttore a
cui nessun miracolo tecnico impossibile. Egli dovr plasma-
re dallargilla una forma umana femminile, bella e giovane, in
cui verr soffiata la vita e che verr adornata da tutte le dee
dellOlimpo. Ecco che prende vita Pandora, larchetipo della
donna, la prima, poich ancora tra gli umani non ve ne erano.
Bellissima, giovane, aggraziata, adornata di gioielli splendenti
e pregiati, di vesti preziose e che ne fanno intravedere il corpo
dalle forme sinuose. Pandora ha laspetto di una dea, risplende
di una bellezza quasi paralizzante e di fronte alla quale non si
pu che rimanere soggiogati.
La sua sembianza divina nasconde per una natura astuta e
menzognera, accompagnata da un appetito inesauribile e da
tutti gli attributi misogini del femminile. Ancora una volta le-
34
sterno seducente nasconde linganno che cova al suo interno.
Prometeo, lessere che vede in anticipo, ancora non a cono-
scenza del destino che attender i mortali, ma sa che Zeus non
lascer impunito il suo gesto. Egli intuisce che attraverso il fra-
tello Epimeteo, lo sprovveduto, passer la mano della giustizia
divina, cos si raccomanda al fratello, facendolo giurare di non
accettare nessun dono dagli di, per quanto bello e seducen-
te esso possa apparire. Epimeteo allertato e giura. Ma nulla
pu contro il volere divino, cos, quando Pandora si presenta
al suo cospetto, sfavillante di bellezza e fascino, lui dimentica
tutto e la fa entrare in casa sua come sua sposa.
Ora tutto fila secondo i piani di Zeus, che pu portare a ter-
mine in suo intento. Il dio sussurra a Pandora di cercare una
grande giara, come tante che stavano nelle dispense a con-
tenere vino, olio, cereali, ma ben chiusa e nascosta. Pandora
ubbidisce e, appena il marito esce, si introduce nella dispensa,
trova la misteriosa giara e ne apre il coperchio per vedere cosa
contiene, premurandosi di rimetterlo subito al suo posto come
Zeus le ha indicato. Ecco allora che da essa fuoriescono, invisi-
bili ma dilaganti, tutti i mali e le sofferenze che agli umani era-
no stati fino ad ora risparmiati: le malattie, la fame, la morte, il
dolore, la povert, la paura, la violenza, la guerra Solo elpis,
lattesa di ci che ancora deve accadere, rimane intrappola-
ta nella giara, lasciando al genere umano il dono consolatorio
della speranza.
La donna dunque, ingannevole maleficio di Zeus, porta sul
mondo degli uomini ogni genere di sventura, sempre precedu-
ta dallo scintillio che la seduzione e la bellezza esteriore porta-
no con s. Ora lumanit ha una natura duplice data appunto
dalla dualit dei sessi, il maschile e il femminile; essi saranno
legati dalla lotta ma al contempo dallattrazione, la differenza
ne presuppone la complementariet.
Se il genere umano ora ridotto a subire impotente i mali del
mondo, anche Prometeo non se la cava tanto meglio, Zeus lo
costringe infatti fra cielo e terra, imprigionandolo su una mon-
tagna, incatenato saldamente ad una colonna. Cos colui che
aveva consegnato agli uomini il loro cibo mortale, la carne, di-
35
venta ora il nutrimento dellaquila di Zeus, luccello che porta
il fulmine del dio ed messaggero della sua forza invincibile.
lui, Prometeo, che diventa la vittima, le carni tagliate nel
vivo della carne. Tutti i giorni laquila di Zeus divora il suo fe-
gato senza lasciarne una sola briciola, e ogni notte questo si
rigenera affinch lanimale possa trovare, al mattino, il suo pa-
sto intatto. E cos sar fino a quando Eracle27, con il consenso
di Zeus, non liberer Prometeo, che ricever una sorta di im-
mortalit dalla morte del Centauro Chirone. Era questultimo
un eroe saggio e benevolo che aveva insegnato ad Achille e a
molti altri eroi ad essere invincibili. Chirone dunque ferito,
soffre moltissimo e la sua piaga non pu guarire, ma essendo
immortale, sebbene lo desideri, non pu morire. Ha cos luogo
uno scambio. Prometeo, nato mortale, offre a Chirone il suo
diritto alla morte e in cambio prende la sua immortalit. En-
trambi sono liberi28.
Il sipario si chiude. Cos ha termine il racconto di Prometeo,
essere dei due mondi, il divino e lumano, il seme della conte-
stazione nel seno dellordine di Zeus, colui che non sapr rima-
nere nel limite che il dio ha inscritto nel mondo e sempre cer-
cher di sfidarne il disegno, attraverso lingegno e il coraggio.
[27] Si tratta di uno degli eroi pi popolari della mitologia, colui che i Latini
chiamavano Ercole.
[28] J.-P. Vernant, Luniverso, gli di, gli uomini, p. 69.
36
CAPITOLO II
IL P ROMET EO
INCAT ENATO DI ESCHILO
1. LUOMO, IL DESTINO,
LA DIVINIT NELLA TRAGEDIA GRECA
37
oscuro periodo delle origini, che dovette avere inizio intorno al
540 a. C., la cultura dei cittadini a cui essa si rivolge quella del
V secolo, contraddistinta da una nuova concezione del mondo
distaccata dagli antichi miti e avviata verso una compiuta con-
sapevolezza della razionalit delluomo e della sua autonomia
morale.
Luomo greco ha ormai preso coscienza della propria autono-
ma sfera spirituale, ma si sente in bala di potenze superiori
insondabili, la cui forza sperimenta non solo negli eventi og-
gettivi del mondo, ma anche nella propria vita interiore, sotto
forma di passioni, ansie, ambizioni, conflitti emotivi: egli ne av-
verte la potenza e vive il conflitto tra la sua libera personalit
e il cieco dominio di cui si sente vittima. Come cittadino, poi,
luomo greco si considera ormai padrone del proprio destino
dal punto di vista politico: la tragedia fiorisce nel momento di
massimo vigore della democrazia ateniese, tra la vittoria di
Salamina e la sconfitta nella guerra del Peloponneso. E la sua
nascita parallela alla nascita della democrazia.
Tuttavia, nonostante i tempi nuovi, nella tragedia alcuni temi
collegano il mondo arcaico che va scomparendo con la nuova
cultura, che trover la sua espressione filosofica, sul finire del
secolo, nei sofisti ed in Socrate. Questo prolungarsi nel tempo
delle tematiche degli antichi poeti (soprattutto Omero, Esiodo
e Solone) ci dice come la tragedia debba essere inserita armo-
nicamente nellalveo della cultura greca e non rappresenti, per
la visione delluomo e del divino, una rivoluzione. come una
pianta che cresce, di cui si riconoscono bene le radici, tutte
legate al mondo del mito.
38
sofia ha proposto una diversa immagine del divino: si pensi, ad
esempio, a Senofane, il primo nei cui versi compaia lidea che
la divinit debba essere concepita in modo totalmente diver-
so dalla tradizione, tacciata di antropomorfismo. I poeti tragici
esplorano il mito, non lo abbandonano, ma cercano una verit
pi profonda dei racconti: una verit sul divino e sullumano.
Le due ricerche sono collegate. Nei tragici la ricerca umana
sullessenza del divino nel mondo torna sulla scena della rifles-
sione poetica in stretta connessione con la impietosa visione
del destino delluomo e del dolore come condizione propria
del vivere (loro, senza morte, noi, esseri di un giorno, dicono
i Greci).
La ricerca umana sulla verit pone al divino domande senza
risposta: perch il male vince nel mondo? perch il giusto va in
rovina e lingiusto vive una vita piena e felice? Come possono
gli di permettere questo ed essere chiamati giusti?
I tragici trattano questi temi non attraverso argomentazioni fi-
losofiche, ma portando sulla scena gli antichi miti, facendo dia-
logare uomini e di di fronte al pubblico, ponendo sulle labbra
del coro meditazioni poetico-filosofiche. Essi esprimono con
tono grave ed elevato il sentire proprio delluomo, coscienza
libera di fronte allimplacabile necessit del corso del mondo.
E poich la cultura del mito riflette su un piano eroico e divino
lesperienza dellumanit, lo spettatore portato a immedesi-
marsi, a meditare anchegli sul messaggio del poeta, guidato
dalla suggestione fortissima del teatro, della sceneggiatura,
dellatmosfera magica che la rappresentazione greca sa creare
nella cornice quasi incantata dello spazio scenico.
Del resto che la tragedia produca i suoi effetti attraverso una
sorta di incantesimo della parola immagine gi antica: la fa
propria il sofista Gorgia quando scrive: Fior allora la tragedia
e fu celebrata dai contemporanei come audizione e spettacolo
mirabile, poich creava con le sue finzioni e passioni un ingan-
no dice Gorgia per il quale chi inganna agisce meglio di
chi non inganna, e chi ingannato pi saggio di chi non
ingannato. Il testo un frammento che ci stato conservato
da Plutarco, e per intenderne il senso utile richiamare la teo-
39
ria di Gorgia sulla parola come un vero e proprio incantesimo:
Grande padrone la parola, che pur con un corpo microsco-
pico e del tutto invisibile riesce per a compiere opere assolu-
tamente degne degli di: infatti pu placare il timore, elimina-
re il dolore, infondere la gioia, accrescere la piet. E mostrer
come ci avvenga.
Bisogna infatti renderlo evidente per lopinione degli ascolta-
tori. Io considero e definisco tutta la poesia discorso in metri-
ca; essa infonde negli ascoltatori brividi di paura, lacrime di
compassione, il rimpianto struggente per un lutto, e attraverso
le parole riesce a fare sentire come proprie le fortune o le di-
sgrazie relative a fatti e persone estranei. Ors, bisogna che
faccia un ulteriore passaggio.
Gli incantesimi di ispirazione divina attraverso le parole induco-
no il piacere, rimuovono il dolore; infatti diventando una cosa
sola con lopinione dellanima, con il suo potere lincantesimo
la affascina, la seduce e la trasforma con il suo potere magico.
La magia e lincanto hanno trovato due mezzi per raggiungere
il loro scopo: gli errori dellanimo e gli inganni della opinione
(da Gorgia da Lentini, Encomio di Elena).
40
anche sulluomo, sulle sue passioni e sulla sua stessa mente,
rendendolo, mentre crede di essere libero, strumento ogget-
tivo del fato? oppure al contrario la libert delluomo tanto
ampia da permettergli di combattere contro il destino?
Proprio questo, infatti, accade sulla scena: leroe tragico com-
batte come persona contro il destino, anche se ci spesso lo
conduce alla morte. Ma questa la sua dignit, il suo onore.
Il senso tragico della responsabilit sorge allorch lazione
umana forma loggetto di una riflessione, di un dibattito, ma
non ha acquisito uno statuto sufficientemente autonomo per
bastare compiutamente a se stessa. La sfera propria della tra-
gedia si colloca in questa zona di confine, ove gli atti umani
vengono ad articolarsi con le potenze divine e rivelano il loro
vero senso, ignorato da coloro stessi che ne hanno preso lini-
ziativa e ne portano la responsabilit, inserendosi in un ordine
che oltrepassa luomo e gli sfugge (J.-P. Vernant).
Il tema della lotta umana contro il cieco e necessario corso de-
gli eventi universale, cos come universale linterrogarsi sul
senso del male e del dolore, in una natura che luomo sente
vivificata dalla presenza del divino. I Greci guardano a questi
temi dallangolazione particolare della loro cultura, ma la forza
dei personaggi tragici sta proprio nel fatto che essi incarnano
modelli che sono attuali in ogni tempo. In filosofia il problema
del male tormenter le coscienze lungo tutto il corso della sua
storia soprattutto dallaffermarsi del Cristianesimo in poi, con
la sua visione di una divinit perfetta che mal si concilia con le-
sistenza del male nel creato. E il rapporto tra la libert delluo-
mo e il cieco destino che incombe sulla vita porta ancora oggi
a meditare sul senso della vita: luomo combatte da persona
libera, e il cieco caso sembra dirigere al posto suo il corso degli
eventi. Luomo domina la sua vita? Domina la storia? O ne
dominato, nonostante la sua libert?
La risposta che la tragedia greca d al tema del destino che
s, luomo pu combattere contro il destino, anche consape-
volmente sapendo di perdere, e non fermarsi. Ma non pu
vincere.
41
La tragedia nella polis
42
Nella prospettiva tragica, agire (...) [significa] entrare nel gioco di
forze soprannaturali delle quali non si sa se preparino, collabo-
rando con voi, il vostro successo o la vostra rovina. (...) Perch vi
sia azione tragica occorre che si sia gi sviluppata la nozione di
una natura umana avente caratteri suoi propri, e che di conse-
guenza i piani umano e divino siano abbastanza distinti per con-
trapporsi; ma bisogna anche che non cessino di apparire insepa-
rabili. Il senso tragico della responsabilit sorge allorch lazione
umana fa posto al dibattito interiore del soggetto, allintenzio-
ne, alla premeditazione, senza avere per acquisito bastante
consistenza e autonomia per essere autosufficiente. Il mondo
proprio della tragedia si colloca in questa zona di confine ove
gli atti umani acquistano il loro vero senso, ignorato dallagente,
integrandosi in un ordine che supera luomo e gli sfugge29.
Le origini della tragedia greca e della parola stessa sono oscu-
re. Il termine tragedia significa etimologicamente canto per il
capro, con riferimento a Dioniso, il dio silvestre a cui il capro
in qualche modo connesso.
Il rapporto fra le tragedie e il dio Dioniso era stretto: esse in-
fatti erano rappresentate in Atene nel corso delle festivit in
onore di questa divinit. Erano quindi parte di un atto di culto,
circondate dalla sacra atmosfera di mistero che pervade ogni
forma di manifestazione religiosa. La messa in scena delle tra-
gedie seguiva precisi rituali e aveva un carattere competitivo,
perch i poeti erano in gara fra loro. Le rappresentazioni tragi-
che duravano tre giorni, mentre un quarto giorno era dedicato
alla commedia. In ciascuna delle giornate dal mattino alla
sera un solo autore portava sulla scena una trilogia cio tre
tragedie, dapprima di argomento collegato, poi separato ed
un dramma satiresco, cio una rappresentazione di carattere
burlesco. Alla fine delle quattro giornate si proclamava il poeta
vincitore. Questa celebrazione accomunava le gare tragiche
ai grandi giochi, come quelli di Olimpia, ai quali nel mondo gre-
co era attribuita una importanza enorme.
43
Alle rappresentazioni partecipava tutto il popolo, in un clima
di festa che si prolungava per diversi giorni durante i quali era-
no sospese le attivit lavorative. E questo doveva accentuare
quella sorta di sospensione del tempo che condizione spiri-
tuale necessaria allimmersione in un mondo mitico-religioso,
cos come richiesto dallevento teatrale. Poich lintera comu-
nit partecipava alla festa, essa era un momento di unit del
popolo, e una delle fondamentali funzioni della tragedia era
quella di determinare un ampio consenso del popolo alla vita
unitaria della polis, che tutti sentivano come propria anche in
grazia di questi momenti comuni.
44
Nato ad Eleusi intorno al 525 a. C., Eschilo apparteneva ad una
nobile famiglia e visse ad Atene negli anni cruciali della nasci-
ta e del consolidarsi della democrazia. Forse iniziato ai Misteri
eleusini (ma nella sua opera questo tratto non appare), accett
gli sviluppi della democrazia ateniese e ne riflesse i valori nelle
sue tragedie. Sappiamo che partecip alle pi importanti bat-
taglie delle Guerre persiane (combatt a Maratona nel 490, a
Salamina nel 480, a Platea nel 479) e che ottenne i primi rico-
noscimenti per la sua arte drammatica soltanto nel 485, cio
quando aveva circa quarantanni.
Fu due volte in Sicilia, alla corte del tiranno Ierone di Siracusa,
dove sembra sia entrato in contatto con i circoli pitagorici. Nel
corso del suo secondo viaggio nellisola mor a Gela, nel 456 o
nel 455 a. C.
stato uno dei massimi tragediografi di ogni tempo. Della sua
vastissima produzione (probabilmente superiore alle settanta
opere) ci rimangono solo sette tragedie. Una di queste, lOre-
stea, lunica trilogia completa che ci sia rimasta dellintera
produzione tragica antica. Le altre singole tragedie giunte fino
a noi sono Le supplici, Prometeo incatenato, I Persiani e I Sette
contro Tebe. Abbiamo anche un certo numero di frammenti
di altre tragedie e di alcuni drammi satireschi. Riport tredici
volte la vittoria nelle rappresentazioni tragiche.
Risale ad Eschilo laccentuazione del ruolo del dialogo tra i
personaggi rispetto al coro. E fu probabilmente lui a fissare in
modo definitivo per il V secolo a. C. la struttura delle tragedie.
45
sponsabile, che genera merito e colpa. Ma come intendere il
rapporto tra il destino, del quale luomo certo non respon-
sabile, e la colpa? Eppure un rapporto deve esservi, perch il
destino delluomo non del tutto oggettivo: egli stesso con la
sua azione concorre a determinarlo.
Si prenda il caso di Oreste, uno dei personaggi chiave della sua
Orestea. Ultimo discendente di una famiglia macchiata da de-
litti tra consanguinei, spinto da Apollo ma segue al tempo
stesso la propria volont ad uccidere la madre Clitennestra,
che ha assassinato il marito Agamennone, eroe vittorioso, al
suo ritorno da Troia. Oreste si quindi macchiato di un atro-
ce delitto. Ma davvero lui il responsabile? Oreste si trova ad
operare in un contesto per lui oggettivo, del quale non ha re-
sponsabilit: il destino lo chiama a decidere. Ed egli decide, e
uccide la madre, ma rispetta in questo la volont degli di, di
Apollo. responsabile? Deve essere punito?
La tragedia esplora questa zona di confine, posta tra la liber-
t delluomo e loggettivo corso del mondo, segnato dalla vo-
lont divina. Eschilo medita sulla vicenda umana e sullordine
morale delluniverso, alla ricerca di una superiore giustizia, di
una pura immagine della divinit che possa rendere ragione
del dolore e del conflitto che si agita nel cuore delluomo, lace-
rato tra la responsabilit della colpa e il senso di impotenza di
fronte ad avvenimenti che lo sovrastano, ed a cui pure come
parte in causa ed attore del dramma della vita non pu sfug-
gire. Vivere significa soffrire e imparare dal dolore, ma si deve
dare un senso al dolore umano. Linsensatezza follia e luomo
ha bisogno di una chiara visione del mondo in cui vive, una
visione che possa comprendere.
Proprio il fatto che il poeta mediti sullordine morale del mon-
do, e sembri identificare in Zeus il centro di una superiore giu-
stizia, ha fatto s che sulla tragedia Prometeo incatenato sor-
gesse il dubbio sulla sua paternit, perch qui Zeus non appare
affatto giusto. Vediamo di cosa si tratta.
46
La trama del Prometeo incatenato
47
segreto offrendogli in cambio la liberazione dal tormento, ma
il Titano rifiuta, rimanendo fedele alla propria missione di pro-
tettore degli uomini e alla libera scelta compiuta. Prometeo si
dimostra cos superiore, perch capace di accettare i tormenti
e le sofferenze, di resistere alle lusinghe e alle minacce, per
affermare lautonomia del suo destino. Il segreto non viene
perci rivelato e Zeus scaglia un fulmine contro la rupe a cui
Prometeo legato affinch questi rimanga schiacciato.
La terza tragedia, come gi detto, non ci pervenuta, ma sap-
piamo che Zeus e Prometeo si riconcilieranno, cosicch forza
e saggezza potranno rinsaldare la sovranit diventata cos pi
forte e giusta.
Carlo Carena, in una nota al testo della sua edizione del Pro-
meteo incatenato da cui abbiamo tratto i versi che tra poco
leggeremo, cos ricostruisce (certo ipoteticamente, perch la
tragedia perduta, se non per frammenti) la trama del Prome-
teo liberato: La seconda tragedia, stando alle ricostruzioni pi
accreditate, si apriva quando, parecchie migliaia di anni dopo,
Prometeo tornato alla luce del sole ma ancora incatenato
alla rupe e anzi straziato da unaquila. Anche i Titani erano sta-
ti liberati dal Tartaro, ove avevano scontato laiuto prestato a
Crono; ed ora vengono al fratello per esporgli i mutamenti che
in tanto lasso di tempo si sono verificati nel mondo: al clima di
rancori e vendette inique determinatosi in seguito alla vittoria
di Zeus sullantico ordine, seguito un addolcimento della ti-
rannide, e il sommo dio si volto a benevolenza verso lumani-
t e a giustizia dimpero. () Poi appariva la grande dea madre
Terra e alle sue suasorie Prometeo cedeva rivelando larcano:
Zeus non si unisca a Teti, di cui si proprio invaghito, perch
essa destinata a generare un rampollo pi forte comunque
del padre. Infine sopraggiunge Eracle () che ascolta la pre-
dizione delle sue gesta future, abbatte col dardo guidato da
Apollo laquila, e infrange le catene del Titano (C. Carena).
48
Non invece possibile ricostruire la trama del Prometeo por-
tatore di fuoco, per la mancanza di basi filologiche. E non si sa
nulla del dramma satiresco che, come sempre, seguiva la trilo-
gia e chiudeva la giornata di rappresentazioni tragiche.
3. LE PAROLE DI PROMETEO
SULLUOMO E IL CANTO DEL CORO
49
niamo di leggere in parallelo con Primo stasimo della tragedia
Antigone, di Sofocle, anchesso dedicato alla figura delluomo
signore della natura, eppure in difficolt sui temi etici30).
PRIMO EPISODIO
Corifea31
Svelaci tutti gli eventi, facci conoscere
la colpa in cui Zeus tincolse,
da punirti senza piet e con oltraggio.
Sii cortese, se il parlare non ti nuoce.
Prometeo
Vicenda per me dolorosa anche solo a parlarne,
e pur dolore tacerne. Infelicit dappertutto.
Appena gli di concepirono i loro furori,
sorse fra essi una contesa:
gli uni volevano sbalzare Crono32 dal solio
per imporvi appunto Zeus; altri invece
si adoperavano a che Zeus giammai dominasse gli di.
Io allora mi proposi dindurre agli intenti migliori
[30] Il testo, commentato per noi da uno dei massimi filosofi della fine del
XX secolo, Han Jonas, nel capitolo dedicato a Il Prometeo di Jonas e la
sfida della responsabilit.
[31] Nella tragedia greca il corifeo ha una funzione centrale. la figura
che guida il coro nel canto e nella danza, e a volte, come in questa tragedia,
dialoga col protagonista, divenendo cos in prima persona un personaggio
della tragedia.
[32]Per questa narrazione vedi la nostra Premessa mitologica. Le linee
portanti di questo racconto sono in accordo con i testi di Esiodo che l
abbiamo citato.
50
i Titani33, figli del Cielo e della Terra34,
ma senza riuscirvi. Disdegnando le arti dellastuzia,
per la loro baldanza pensarono
che grazie alla forza avrebbero regnato senza difficolt.
Ma a me, n solo una volta, la madre Temi
e Gea35 ununica forma con nomi diversi
aveva predetto come il futuro si compirebbe:
non con la forza n con la violenza, ma con linganno,
i vincitori dovrebbero prevalere.
Quando lesposi loro con vigoria di frasi,
neppure di uno sguardo mi degnarono.
Mi parve allora il meglio, in tali circostanze,
di prendere mia madre con me, e di pormi
al fianco di Zeus; e il mio desiderio era il suo.
per i miei consigli che labisso del Tartaro36
cela nelle sue nere cavit lantico Crono
e i suoi seguaci. Del soccorso che gli prestai
il signore degli di mi ricompens
con le pene ignominiose che vedi.
Davvero una maledizione della tirannide
51
questa, di non conservare la fiducia degli amici37.
Quanto poi alla vostra domanda per quale ragione
mi tormenti di tutto vinformer.
Appena si fu insediato sul trono paterno,
saccinse subito ad assegnare i privilegi agli di,
a chi luno, a chi laltro, e a distribuire i poteri38.
Ma per i miseri mortali non ebbe parola,
anzi si proponeva di sterminare
tutta la stirpe, per crearne una nuova.
Nessuno si lev a contrastare tali progetti
allinfuori di me: io ardii, ed evitai agli uomini
di precipitare nel nulla dellAde39.
52
Per non altro, credete, queste pene mi soffocano,
duro strazio, ben pietoso spettacolo.
Io, che mi piegai a piet per gli uomini,
di piet non fui degnato, e a duro destino
cos costretto, innalzo scenari alla gloria di Zeus40.
Corifea
Cuore di ferro, e intagliato nella roccia,
o Prometeo, chi non soffre i tuoi mali con te.
Oh, come vorrei non averli veduti,
perch ora ne ho lanima piena di pena.
Prometeo
Appunto: mi ridusse a destare piet agli amici.
Corifea
Ma forse non procedesti pi oltre?
Prometeo
Liberai gli uomini dallincubo della morte.
Corifea
Quale rimedio scopristi a tale malanno?
Prometeo
Infusi in loro cieche speranze41.
state distribuite ordinatamente fra tre fratelli, che dominano in pace tra loro,
rispettando le rispettive prerogative: Zeus il signore del Cielo, Poseidone
del mare, Ade del mondo ctonio (cio sotterraneo: chthon la terra e quel che
vi sta sotto).
[40] Per la sensibilit greca, che legata alla celebrazione dei vincitori in
una gara o in un conflitto, la pena del vinto (in questo caso Prometeo) , ipso
facto, gloria del vincitore.
[41] Non c scampo al destino. I Greci di questo erano fermamente convinti,
come vedremo anche in un altro passo del discorso di Prometeo, al Secondo
episodio.
53
Corifea
Grande beneficio largisti alluomo.
Prometeo
Oltre a questo, poi, trasmisi loro il fuoco.
Corifea
Che? I vivi dun giorno42 hanno il fuoco abbagliante?
Prometeo
E da esso apprenderanno molte arti43.
Corifea
Ordunque per questi motivi che Zeus
Prometeo
Mi colpisce e non allevia nessuno dei miei mali.
Corifea
Non ti pose dunque alcun termine a questo patire?
Prometeo
Nessun altro se non quando gli piaccia.
54
SECONDO EPISODIO
Prometeo44
Non pensate che io taccia per arroganza
o disdegno; ma il cuore mi rodo sapendo,
al vedermi cos calpestato.
Eppure chi altro, se non io, assicur
gli onori a queste nuove deit?
Me ne taccio, perch parlerei
a chi sa. Udite piuttosto le pene
dei mortali, e quali bambini erano, prima
che li rendessi saggi con luso della ragione.
Parler non perch abbia a lamentarmi degli uomini45,
ma per dimostrarvi la generosit dei miei doni.
Essi, prima, pur vedendo non vedevano,
pur udendo non udivano46: simili a larve di sogni
passavano nel tempo una loro esistenza confusa,
senza conoscere dimore di mattoni esposte al sole,
senza lavorare il legno; ma sotto la terra
abitavano, come formiche che il vento disperde
via, in antri profondi non rallegrati dal sole.
N conoscevano i segni costanti che presagiscono
linverno e il tripudio dei fuori a primavera
e quello dei frutti in estate; ma agivano in tutto
senza discernimento. Finch io additai loro il sorgere
e il cadere degli astri, difficili da stabilire;
55
quindi per loro ritrovai la scienza dei numeri,
base di ogni dottrina, e laccoppiamento delle lettere,
che serba il ricordo di tutto ed padre delle Muse47.
Io per primo piegai al giogo le fiere selvagge,
affinch, schiave di cinti e di basti,
sostituissero luomo nei lavori pi penosi,
e sospinsi sotto il timone dei cocchi i cavalli,
docili al freno, ornamento di splendidi fasti;
nessun altro, fuor chio, invent i veicoli dei marinai,
che ali di lino48 fan scivolare sui mari.
Tali strumenti trovai peri mortali,
e ora quellio non dispone dalcuna trovata
per sciogliersi dalla presente infelicit.
Corifea
Infelicit ignominiosa davvero patisci; il tuo senno
fuorviato si smarrisce; come un medico dappoco
caduto in malattia, ti lasci prostrare e non riesci
56
a ritrovare farmaci per guarire te stesso49.
Prometeo
Maggiore ancora sar il tuo stupore quando udirai
le arti e gli espedienti che ho escogitato.
E questo il pi grande: se qualcuno cadeva ammalato,
non disponeva affatto di rimedi
in cibo o in unguenti o in bevande,
ma si disseccava per mancanza di cure; finch io
insegnai loro misture di medicine efficaci
che sgombrano ogni affezione.
Determinai le leggi dellarte divinatoria50,
per primo distinsi quali fra i sogni
dovessero realizzarsi, e li feci attenti alle voci
indistinte e agli incontri fatti per via;
spiegai i significati precisi dei voli dei rapaci,
quali per lor natura sono fausti ed avversi,
e le abitudini di ciascheduno, e i rancori
che divampano tra loro, e gli amori e i convegni;
e come sia importante la levigatezza delle interiora,
e quale colore rende accetta ai numi la bile,
e le varie posizioni propizie del fegato.
Bruciai gli arti avvolti di grasso e lombi diritti
per avviare i mortali verso la scienza
57
degli astrusi presagi, e resi evidenti i significati
del guizzar delle fiamme, fin allora avvolti di tenebra.
Questa tutta lopera mia. E le ricchezze
che sotto la terra si celano agli uomini,
il rame, il ferro, largento e loro,
chi oserebbe dichiarare daverle portate alla luce prima di me?
Nessuno, io credo, che non intenda ciarlare a vuoto.
In breve, insomma, sappi tutto:
tutte le arti agli uomini vengono da Prometeo51.
Corifea
Ma ora, per aiutare troppo i mortali,
non trascurare la tua sventura.
Ho buona speranza che un giorno, sciolto da questi ceppi,
avrai potenza pari a quella di Zeus.
Prometeo
No: la Moira che porta tutto a compiersi
non lo vuole, per ora. Solo dopo esser stato piegato
da mille pene e malanni, mi si apriranno queste catene.
O arte, quanto pi debole sei del destino!
Corifea
Ma chi regge mai il timone del destino?
Prometeo
Le Moire triformi e le memori Erinni.
Corifea
Dunque anche Zeus soggetto a costoro?
Prometeo
Neppure lui sfuggirebbe al destino fissato.
[51] il tema centrale del rapporto tra Prometeo e gli uomini. Ed quello
che fa di Prometeo la figura simbolica del rapporto tra luomo e le tecniche, e
quindi tra luomo e il lavoro.
58
SECONDO STASIMO
Coro52
59
nel trasporto generoso con cui ti chini sugli uomini.
60
Questi gli insegnamenti che ricavo dallosservare
la tua sorte infelice, o Prometeo.
Diverso dal presente,
un canto mi torna per laria:
limeneo58 che intonavo al rito nunziale
attorno ai lavacri e al talamo
il giorno in cui inducesti con doni
Esione59, mia sorella,
a dividere sposa il letto con te.
61
CAPITOLO III
62
Il mito di Prometeo, come altri che vengono dalla nostra an-
tichit (cio dalla Grecia, visto che l sono alcune delle radici
che diciamo nostre), ha tutte queste caratteristiche, e le ha in
grado molto alto per due ragioni:
- la prima che rimanda ai primordi in cui la nostra specie
nata: quindi un mito delle origini, non tanto delluniverso,
quanto delluomo; non a caso in una delle versioni del mito
Prometeo non solo colui che fa progredire lumanit donan-
dogli le tecniche (il fuoco), ma anche colui che plasma luo-
mo, vero e proprio padre dellumanit;
- la seconda che, se qualsiasi mito un nodo da cui si di-
partono innumerevoli vie, quello di Prometeo anche uno di
quei miti da cui si dipartono varie serie di altre narrazioni, tutte
connesse alluomo (ad esempio la vicenda di Pandora e del ce-
lebre vaso, nonch quella di Deucalione e Pirra, la coppia che
genera nuovamente il genere umano dopo la distruzione del
diluvio60).
Insomma, se qualsiasi immagine pu essere letta, legittima-
mente (secondo coerenza e verit), a diversi livelli di senso e
aprire a percorsi della mente e del cuore, il mito di Prometeo
ha queste caratteristiche in massimo grado. cosa comune tra
i grandi miti, non rara di per s. Ma con Prometeo luomo
in primo piano, e non affatto cos per tutti i miti. (Per quan-
to luomo abbia veramente fatto di tutto per vedere se stesso
al centro del cosmo in molte et, non sempre stato cos; e
nel mito di Prometeo, centrato sulluomo, il protagonista non
affatto luomo, che non al centro di nulla: il protagonista
Prometeo).
63
vendetta di Zeus si abbatte su Prometeo.
Fin qui la tradizione che discende da Eschilo. Nellet moder-
na per la cultura occidentale, che ha nellumanesimo rina-
scimentale il suo punto di svolta, tende a considerare luomo
stesso come motore della civilizzazione, non una forza esterna.
La prima sintesi di questa nuova idea applicata a Prometeo in
Bacone, che allinizio del Seicento vede in questa figura arcaica
del mito appartiene ad unepoca in cui lordine attuale del
mondo non si era ancora consolidato un simbolo per luma-
nit stessa, e pi esattamente per la volont umana di sapere
non sfidando la natura, ma interpretandola e imparando a co-
noscerne e a rispettarne le leggi (non questo che Prometeo
insegna agli uomini nella tragedia di Eschilo?).
I miti, lo dicevamo prima, si prestano a questo tipo di sovra-in-
terpretazioni. Ma sulla loro trama, narrata da poeti del passato
greco come Esiodo ed Eschilo, non sono stati dei filosofi come
Bacone a costruire una interpretazione che segue una delle
possibili vie della narrazione e la prolunga, ma una folta schie-
ra di poeti moderni. E chi pi di altri vede in Prometeo una
forza che agisce allinterno dellumanit stessa Goethe61, in
un frammento poetico che risale allepoca della sua formazio-
ne, quando era ancora molto giovane e gi celebre per avere
incarnato lo spirito (che oggi chiamiamo preromantico) dello
Sturm und Drang62.
[61] Johan Wolfgang Goethe (1749-1832) stato uno dei massimi scrittori
e poeti tedeschi dellet che si snoda tra i fermenti preromantici della cultura
tedesca di fine secolo agli esiti romantici e post romantici, essendo vissuto
a lungo ed avendo occupato la scena poetica tedesca sin da giovanissimo.
Personalit poliedrica, ha lasciato col suo Faust una delle rappresentazioni
pi efficaci dellanimo romantico, ma anche del dramma delluomo sospeso
tra le leggi di natura e la spiritualit che lo porta verso il divino.
[62]Lo Sturm und Drang stato uno dei pi importanti movimenti interni
alla cultura tedesca alla fine del Settecento, e pi esattamente negli anni
intorno al 1770. La traduzione letterale delle due parole tedesche tempesta
e assalto, dizione che nasce dal dramma Wirrwar (Caos) pubblicato da
Maximillian Klinger nel 1776. Si suole considerare lo Sturm und Drang come
64
2. IL PROMETEO DI GOETHE
uno dei diversi movimenti che in vari paesi europei portarono alla nascita del
romanticismo. Da qui la notazione movimento preromantico.
65
letteralmente spazzare via, e vivere in libert coi suoi simili,
gli uomini, in comunit che si autogovernano e attraverso il
lavoro realizzano concretamente lideale di un rapporto orga-
nico e felice con la natura, pacificata e resa amica attraverso
le tecniche. Nellepoca in cui scrive Goethe questi sono valo-
ri borghesi, e il lavoro che rende liberi attraverso le tecniche
la matrice dei valori borghesi (soprattutto nel contesto del
mondo protestante in cui Goethe si muove). Il suo Prometeo
incarna quindi i valori borghesi che danno alla collettivit degli
uomini la libert dai poteri fino allora superiori, in accordo con
la natura.
Solo che questi poteri superiori ci sono ancora, alla data del
1773 ( lanno del frammento di cui parliamo), la Rivoluzione
francese era di l da venire e i nobili governano con dispoti-
smo (a volte illuminato, a volte no) come Zeus nella tragedia di
Eschilo (prima che la sua giustizia ponesse un ordine pacifica-
tore sul mondo e Prometeo fosse quindi liberato).
a una rivoluzione politica che il giovane Goethe pensa? Ben-
ch in anni successivi il poeta si sarebbe concretamente occu-
pato di politica (e avrebbe ripreso i temi del giovanile Prome-
teo nella chiusa del suo Faust), qui il giovane Goethe mette in
poesia unaspirazione del suo tempo. D voce al suo tempo,
come i poeti fanno, non fa certo politica. Ma questa voce ri-
voluzionaria, borghese e antinobiliare, e il disprezzo per Zeus
il disprezzo per i circoli di corte, per chi vive di rendita senza
far nulla ingannando e opprimendo chi lavora.
Lavoro che libera contro ordine sociale che rende schiavi. Il
lavoro rivoluzionario, come la borghesia del tempo (lo si ve-
dr esattamente quindici anni dopo, nella Sala della Pallacorda
della Versailles del 1789, e due mesi pi tardi alla Bastiglia, nel
cuore della vecchia Parigi).
66
vogliono sottomettere il destino ai propri voleri (e la borghesia
attraverso le tecniche qualche tentazione in questa direzione
ce lha anche oggi, non solo nellet ottimista di Goethe). Nel
Prometeo incatenato Eschilo fa dire a Prometeo, nel brano che
abbiamo letto del Secondo episodio, le seguenti parole: O
arte, quanto pi debole sei del destino!, negando che persino
Zeus, non solo lui e i vivi per un giorno, potessero modificare
i decreti immutabili del Fato.
Si osservi che larte di cui parliamo non debole per nulla, in
s: consente il dominio della natura garantito dalle tecniche,
di cui il dominio del fuoco matrice. Sono parole di venticin-
que secoli fa, e di molte tecnologie fa, ma in epoca di terza
rivoluzione industriale non possiamo certo dire che larte (oggi
diremmo lindustria) si sia rivelata diversa da come la descrive
Prometeo: semplicemente, appare ancora ai nostri occhi pi
debole del destino.
67
oggi, il nome di Spinoza nella cultura ufficiale del tempo, fu un
intellettuale al di sopra di ogni sospetto, amico di molti potenti
e di Goethe stesso: si chiamava Jacobi63 e cos descrive un suo
dialogo con Lessing64, che allora era da poco scomparso, la cui
fama di scrittore era altissima:
[63] Friedrich Heinrich Jacobi (1743-1819) stata una figura singolare nel
panorama filosofico del romanticismo tedesco. Autore di studi importanti,
in particolare su Spinoza e sullidealismo delle origini, la sua opera stata
importante anche per la rete di relazioni che ha intessuto con le grandi figure
della cultura tedesca del suo tempo, da cui sono derivati dibattiti fecondi,
epistolari, libri.
[64] Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781) stata una delle pi importanti
figure dellet dellilluminismo tedesco. Studioso di estetica, drammaturgo,
scrittore, nelle sue opere si espresso lo spirito di libera ricerca tipico
dellilluminismo. Suo il celebre testo teatrale Nathan il saggio (1779) che
esprime gli ideali di tolleranza e di eguaglianza tra gli uomini tipici delle
correnti avanzate della cultura del tempo.
68
Anche questa poesia conduce l, e, devo riconoscerlo, essa mi
piace molto . Io: Allora Lei converrebbe assai con Spinoza
. Lessing: Se mi devo chiamare secondo qualcuno, non so
nessun altro . Io: Spinoza mi piace abbastanza: ma pure,
quale cattiva salvazione troviamo nel suo nome! Lessing:
S! Se Lei vuole!... Eppure... Sa Lei qualcosa di meglio?65.
[65] F. H. Jacobi, Lettere sulla dottrina di Spinoza, tr. it. di F. Capra, Laterza,
Roma-Bari 1969, cit., pp. 66-67.
69
In questo contesto di necessit il lavoro appare come una re-
alizzazione delle forze naturali stesse, che sono sia materiali
che spirituali, e spirituali nelluomo e nella sua scienza, da cui
deriva la tecnica che lo rende signore della Natura.
Il lavoro rende dunque la comunit degli uomini non solo li-
bera, ma soprattutto libera in armonia con la Natura, di cui si
riconosce frammento.
Non era forse ovvio, per quei giovani e meno giovani poeti,
filosofi, musicisti, intellettuali dellepoca, spazzare via i vecchi
legami e le classi sociali in cui essi si esprimevano?
Quindici anni dopo il tema della rivoluzione sarebbe stato
allordine del giorno, anche in Germania. Per il momento, leg-
giamo il frammento che Goethe ha dedicato a Prometeo.
70
J. W. GOETHE
P ROMET EO
(Inno, frammento di una tragedia incompiuta66, 1774)
71
e la mia capanna non lhai costruita tu!
e il fuoco che vi arde
per la sua fiamma
mi porti invidia69.
Anchio da bambino,
inesperto, inconsapevole,
volgevo i miei occhi, senza capire,
verso il Sole, cercando qualcuno lass,
un orecchio che ascoltasse il mio lamento,
un cuore simile al mio cuore,
che sentisse con pena la mia pena71.
Chi mi aiut
contro larrogante violenza dei Titani?
Chi mi salv dalla morte,
[69] Il riferimento al furto del fuoco, donato agli uomini. Il fuoco arde
nella capanna, che non ha costruito Zeus ma opera di Prometeo, cio degli
uomini, ed qui simbolo di autonomia della coscienza umana da poteri
superiori.
[70] Luomo quindi, non questi di, padrone di se stesso. Gli di possono
vivere solo ingannando gli uomini e facendosi indebitamente adorare e
servire da essi.
[71] qui espresso un concetto romantico, che la religione sia innanzitutto
legame dei cuori che unisce lumano e il divino. Lo sfondo , anche in questo
caso, vicino allo spinozismo romantico.
72
dalla schiavit?
Non hai fatto tutto da te,
sacro ardente mio cuore?
E non ardevi, giovane e buono,
ingannato e colmo di gratitudine,
per lui che dormiva72 lass?
73
Credevi forse
che avrei finito con lodiare la vita,
col fuggire nel deserto,
perch non tutti i sogni
son sbocciati come fiori?
74
Quel che tutto crea e opera il Pensiero?
Dovrebbessere: In principio era lEnergia.
Pure, mentre trascrivo questa parola, qualcosa
gi mi dice che non qui potr fermarmi.
Mi d aiuto lo Spirito! Ecco che vedo chiaro
e, ormai sicuro, scrivo: In principio era lAzione!76
[76]W. Goethe, Faust, tr. it. di F. Fortini, Mondadori, Milano 1987, cit.,
p. 95. In nota a questa edizione del Faust il curatore Franco Fortini cos
commenta: Faust vorrebbe imprendere la traduzione dellEvangelo secondo
Giovanni, il primo versetto quello che contiene (En arch n o lgos, in
principium erat verbum) la parola che chiave stessa della realt. Di qui
la difficolt di tradurre il greco logos. Lutero ha tradotto con Wort, parola,
verbum. Ma al termine latino e tedesco manca un elemento essenziale del
logos, e cio la sua concettualit. Faust passa quindi a Sinn, inteso come
intelletto e pensiero. Ma anche questo non pu soddisfarlo, perch viene a
mancare la spinta creatrice che pur nelloriginale greco: e allora propone
Kraft, che forza ed energia. Ancora una volta Faust-Goethe avverte che
Kraft sarebbe il principio creatore ma solo dalla parte del soggetto; e troppo
esclusivamente potenziale. La conclusione die Tat, lazione, la prassi. Si ha
qui uno dei termini che riassumono quello che si convenuto di chiamare il
Faustismo; quel complesso atteggiamento che unisce attivismo e volontarismo
e che nel secolo XIX, dallimpeto creativo della borghesia in ascesa, trapassa
allirrazionalismo estetizzante di quella avviata allimperialismo. Va poi
aggiunto che probabilmente nel passaggio da Wort a Sinn a Kraft e a Tat
il cammino di Faust ripete il cammino storico (C. Cases, Introduzione al
Faust, Torino 1965, p. LX) dallet della filologia umanistica al razionalismo
cartesiano e illuministico e da questo alla forza espressa nellazione creatrice
della espansione borghese.
75
3. IL PROMETEO DI SCHELLEY
76
re in pace con la Natura e coi propri simili senza dominio n
violenza. Lantica profezia dice che Zeus sar sconfitto da un
figlio avuto con Teti e Prometeo, che ne a conoscenza, ab-
bastanza forte da non rivelarla. Sicch la profezia si realizza, e
la liberazione di Prometeo non avviene per un accordo col dio,
ma in seguito alla sua uscita di scena.
Prometeo, nella tragedia di Schelley, sposa una delle ninfe
Oceanine, Asia, qui assurta a simbolo della Natura stessa, ri-
conciliata col signore delle tecniche. Il lavoro che trasforma
la Natura e la Natura stessa si amano e generano un mondo
damore.
La linea quella di Goethe, ma in uno spirito di pacificazione
realizzata. il sogno di un visionario? Cos stata abitualmente
interpretata. Ma visionario il poeta quando vede ci che gli
altri non vedono, perch troppo lontano. Schelley stava inter-
pretando una possibile linea di sviluppo del mito nella realt
storica.
La domanda se il lavoro pu riconciliare luomo e la Natura
come vide questo visionario. (Interrompendo la sequenza in
ordine cronologico dellindice di questo libro, abbiamo inserito
dopo questo capitolo una riflessione in chiave di attualit di
uno dei massimi filosofi della fine del XX secolo, Hans Jonas,
che sviluppa in un senso originale e interessante questo tema
della conciliazione tra luomo e la natura nellet industriale
avanzata, quando Prometeo , per cos dire scatenato, per
via del potere che le macchine stanno dando alluomo. Consi-
gliamo quindi di leggere il prossimo capitolo come ideale pro-
seguimento della lettura del testo di Schelley.)
77
Ritorna qui il motivo di Amore come forza cosmica che i Ro-
mantici ripresero dalla tradizione prima platonica, poi rinasci-
mentale.
P. B. SCHELLEY
P ROMET EO LI BERAT O
(Dramma lirico in quattro atti, 1819)
Atto IV
La Luna
La neve sui miei monti senza vita
si scioglie in sorgenti piene di vita78
i miei Oceani gelati scorrono e cantano e splendono
uno spirito dal mio cuore si innalza,
riveste con inattesa nascita
il mio freddo nudo petto: possa essere il tuo
sul mio, sul mio!
78
La Terra
Lamore penetra la mia massa di granito,
attraverso contorte radici e compatte argille
sale verso le pi alte foglie e i pi delicati fiori;
lamore nel vento, nelle nuvole,
risveglia a vita i morti che nessuno ricorda pi,
e il loro spirito respira dalle loro oscure tombe.
()
I.
Le sorgenti diventano fiume
e i fiumi Oceano,
i venti del Cielo si uniscono tra loro,
sempre, con una dolce emozione;
niente al mondo single;
tutte le cose per una legge divina
in unit di spirito si incontrano e si fondono.
Perch non io con te?
II.
Vedi le montagne baciare lalto cielo
e le onde abbracciarsi tra loro;
non vedi nessun fiore-sorella
scostarsi, ritroso, da suo fratello;
vedi la luce del Sole avvolgere la Terra
e i raggi della Luna baciare il Mare:
per che cosa tutto questo dolce lavoro
se tu non baci me?
(Il testo, del 1819, tradotto per questa edizione dalla redazione di Diogene
Magazine).
[80]Non sorprenda in questo contesto di vita e di energia che il poeta
richiami espressamente il pensiero come forza che vivifica la materia ed
creatrice dentro la Natura. davvero questa lidea romantica: la Natura ha in
s lo Spirito, e lamore lo libera. Amore e potenza, dice il poeta, associando
i due termini.
79
come fa il Sole, che regge, sebbene con locchio del tiranno,
linquieta Repubblica delle masse
dei Pianeti, che lottano attraverso i cieli liberi,
deserti81.
La Luna
Tu sei racchiusa, tu sei avvolta
nella luce senza tempo
della tua stessa gioia e nel divino sorriso del Cielo;
tutti i soli e le costellazioni emanano
verso di te una luce, una vita, una potenza
che rende bella la tua sfera e tu la riversi
su di me, su di me!
80
La Terra
Io giro intorno alla mia piramide della notte,
che punta verso i Cieli, sognando delizie,
mormorando gioia vittoriosa nel mio sogno incantato;
come un giovane perso nei sogni damore, languidamente
sospira,
sotto lombra della bellezza di lei
che circonda il suo sonno con un che
di luce e di tepore.
La Luna
Quando giunge leclisse dolce e lieve,
e anima e anima sincontrano sulle labbra degli amanti,
e i cuori elevati sono calmi, e gli occhi brillano di pi, languidi;
allora la tua ombra mi copre
allora silenzio e pace sono in me da te
avvolta; del tuo amore, Sfera splendente,
piena, tanto piena!
81
CAPITOLO IV
IL P ROMET EO
DI JONAS E LA SF IDA
DELLA RESP ONSABILIT
82
restrizioni impedisca alla sua potenza di diventare una sventu-
ra per luomo84.
83
Lesistere del mondo uno stupore
infinito, ma nulla pi delluomo
stupendo. Anche di l dal grigio mare,
tra i venti tempestosi, quando sapre
a lui sul capo londa alta di strepiti,
luomo passa; e la terra, santa madre,
con laratro affatica danno in anno
e con la stirpe equina la rovescia. ()
84
La vita delluomo oscillava tra la dimensione del permanente
e quella del mutevole: la prima rappresentata dalla Natura, la
seconda dalle sue opere.
Riguardo la dimensione etica, il filosofo sostiene, attraverso
unargomentazione serrata e puntuale, che luniverso mora-
le della tradizione era contrassegnato dai contemporanei e il
relativo orizzonte futuro limitato dalla durata probabile della
loro vita. La leva breve del potere umano non richiedeva la
leva lunga del sapere predittivo86.
Oggigiorno, invece, la tecnica si imposta e trasformata in una
illimitata tensione progressiva della specie verso mete sempre
pi elevate. Jonas parla a tale proposito del trionfo dellho-
mo faber sullhomo sapiens (dellingegnere e dellindustriale
sulluomo che si dedica al pensiero e non allazione), di cui un
tempo non costituiva altro che una parte ausiliaria.
Una nuova dimensione prende forma: quella della citt uni-
versale come seconda natura umana. Il confine tra polis e
natura stato cancellato. La citt degli uomini, un tempo
unenclave nel mondo non-umano, si estende ora alla totalit
della natura terrena e ne usurpa il posto. La differenza tra lar-
tificiale e il naturale sparita, il naturale stato fagocitato dal-
la sfera dellartificiale; e nel contempo la totalit degli artefatti,
le opere delluomo che come mondo operano su e per mezzo
di lui, producono un nuovo tipo di natura, ossia una peculia-
re necessit dinamica con la quale la libert umana si trova a
essere confrontata in un senso del tutto nuovo87.
85
anche tu possa volere che la tua massima diventi legge univer-
sale. Se ne analizziamo attentamente il significato, possiamo
dedurre che esso era diretto allindividuo e il suo criterio era
riferito al presente. Inoltre, come afferma Jonas: le conse-
guenze reali non vengono affatto prese in considerazione e il
principio non quello della responsabilit oggettiva, ma quello
del carattere soggettivo della mia autodeterminazione88.
Limplicazione evidente: il vecchio imperativo morale accu-
sato di essere indifferente alle conseguenze reali delle nostre
azioni.
Il filosofo, e qui risiede la peculiarit del suo pensiero, suggeri-
sce di ripensare letica guardando allorizzonte ecologico della
salvaguardia delle generazioni future.
Limperativo adeguato al nuovo tipo di agire umano suonereb-
be in questi termini: Agisci in modo che le conseguenze della
tua azione siano compatibili con la permanenza di unautentica
vita umana sulla terra, oppure, tradotto in negativo: Agisci in
modo che le conseguenze della tua azione non distruggano la
possibilit futura di tale vita, oppure, semplicemente: Non
mettere in pericolo le condizioni della sopravvivenza indefinita
dellumanit sulla terra89.
86
a venire, perch ad essere in gioco la sopravvivenza stessa
della specie umana. Sullo sfondo di questa riflessione si intra-
vede quindi un principio metafisico, un bene collocato nella
dimensione del futuro, oltre ogni possibile riferimento empiri-
co: la priorit del bene futuro sul vantaggio presente somiglia
quasi ad una scelta di tipo religioso.
Ragionare in questottica significa riconoscere alla natura
quella dignit di fine in s che in precedenza Kant aveva rico-
nosciuto esclusivamente alluomo. Per la collettivit dunque,
considerata lenorme portata di ci che in gioco e per cui i
nostri posteri dovranno un giorno pagare le conseguenze, esi-
ste lurgenza di fondare unetica nuova, ispirata al sentimento
dellumilt: unumilt indotta, a differenza che nel passato,
non dalla limitatezza, ma dalla grandezza abnorme del nostro
potere, che si manifesta nelleccesso del nostro potere di fare
rispetto al nostro potere di prevedere e al nostro potere di va-
lutare e giudicare91.
Ecco la necessit di dirigere diversamente il processo di civiliz-
zazione iniziatosi col dono del fuoco agli uomini nella mitologia
greca. Ecco il senso della frase di Jonas da cui siamo partiti:
Il Prometeo irresistibilmente scatenato, al quale la scienza
conferisce forze senza precedenti e leconomia imprime un im-
pulso incessante, esige unetica che mediante auto-restrizioni
impedisca alla sua potenza di diventare una sventura per luo-
mo.
87
SOFOCLE
ANT IGONE
(Primo stasimo)
88
questo il celebre testo sofocleo che Jonas com-
menta. Ecco il testo: Questo omaggio angoscia-
to al potere angosciante delluomo narra della
sua irruzione violenta e violentatrice nellordine
cosmico, della sua temeraria invasione nelle va-
rie sfere della natura grazie alla sua infaticabile
intelligenza. Nel contempo, per, ci dice anche
che luomo, in virt della facolt autoappresa del
discorso, del pensiero e del sentimento sociale,
costruisce una casa per la sua autentica umanit
vale a dire la formazione artificiale della citt. La
violazione della natura e la civilizzazione delluo-
mo vanno di pari passo. Entrambe sfidano gli ele-
menti, luna avventurandosi in essi e sopraffacen-
done le creature, laltra edificando contro di essi
unenclave al riparo della citt e delle sue leggi.
Luomo lartefice della propria vita in quanto
umana; egli sottomette le circostanze alla propria
volont e ai propri bisogni e, tranne che dinanzi
alla morte, non mai disarmato.
Tuttavia in questo canto di esaltazione del prodi-
gio umano si avverte un tono contenuto, persino
impaurito, e nessuno pu ritenerlo unimmodesta
millanteria. Ci che non viene espresso, essendo
per quei tempi scontato, il sapere che luomo,
malgrado tutta la grandezza della sua sconfinata
inventiva, ancor sempre piccolo se commisura-
to agli elementi; appunto questa circostanza ren-
de cos temerarie le sue irruzioni in essi e consen-
te loro di tollerare la sua insolenza. Tutte le libert
che egli si prende con gli abitanti della terra del
mare, e dellaria lasciano pur sempre immodifi-
cata la natura che ingloba queste sfere e non ne
intaccano le forze generatrici. Esse non vengono
realmente danneggiate se dal loro grande regno
egli se ne ritaglia uno piccolo tutto suo; durano
nel tempo, mentre le sue imprese hanno un cor-
89
so di breve durata. Per quanto tormentata anno
dopo anno dal suo aratro, la terra non ha et e
non si lascia fiaccare; nella sua pazienza costan-
te luomo pu e deve aver fiducia ed costretto
ad adattarsi al suo ciclo. Altrettanto senza et il
mare. Nessuna rapina ai danni della sua prole pu
esaurirne la fecondit; nessuna traversata di navi
pu nuocergli, nessuno scarico nelle sue profon-
dit pu contaminarlo. E per quanto luomo pos-
sa trovare rimedio a molte malattie, la mortalit
stessa non si piega alla sua astuzia.
Tutto ci risulta vero perch prima del nostro tem-
po gli interventi delluomo nella natura, come egli
stesso li vedeva, furono essenzialmente superfi-
ciali e incapaci di turbare il suo equilibrio stabilito.
(Lanalisi retrospettiva scopre che la verit non fu
sempre cos innocua). N (...) nellAntigone n da
qualche altra parte rintracciabile unallusione
al fatto che si tratta soltanto di un inizio, perch
successi pi grandi nel campo della tecnica e del
potere sono ancora a venire per luomo lanciato
nella corsa interminabile delle sue conquiste. Cos
avanti egli si spinto nel dominare la necessit,
cos tante cose egli ha astutamente imparato a
strapparle per umanizzare la propria vita, che me-
ditando su ci stato colto da un brivido davanti
alla propria temerariet.
Lo spazio cos creato fu occupato dalla citt de-
gli uomini la cui destinazione era delimitare e
non espandersi; in tal modo si produsse un nuovo
equilibrio nel pi ampio equilibrio del tutto. Ogni
bene o male verso cui, una volta pi che unaltra,
la facolt inventiva pu spingere luomo, si collo-
ca allinterno dellenclave umana e non coinvolge
la natura delle cose.
Linvulnerabilit del tutto, le cui profondit non
vengono turbate dallinvadenza umana, vale a
90
dire la sostanziale immutabilit della natura in
quanto ordine cosmico, costituiva in effetti lo
sfondo di tutte le imprese delluomo mortale, in-
clusi i suoi interventi in quellordine stesso. La sua
vita si svolgeva tra il permanente e il mutevole:
il permanente era la natura, il mutevole erano le
sue opere. La pi grande di esse fu la citt, a cui
luomo pot conferire un certo grado di durata
mediante le leggi, che per essa egli ide e si ac-
cinse a onorare. Ma alla lunga nessuna certezza
caratterizzava questa continuit artificiale. Come
unopera darte minacciata, la formazione cultu-
rale pu indebolirsi o smarrirsi.
Neppure allintervento del suo spazio artificiale,
malgrado tutta la libert che esso concede allau-
todeterminazione, larbitrario potr mai rim-
piazzare le condizioni fondamentali dellesisten-
za umana. Anzi, proprio linstabilit del destino
umano assicura la stabilit della condizione uma-
na. Il caso, la fortuna e la follia, i grandi livellatori
nelle faccende umane, agiscono come una sorta
di entropia, facendo sfociare alla fine nella norma
eterna tutti i progetti stabiliti. Gli Stati sono carat-
terizzati dallascesa e dalla caduta, le dominazioni
vanno e vengono, le famiglie prosperano e de-
generano nessun mutamento duraturo e alla
fine, nel bilanciamento reciproco di tutte le de-
viazioni temporanee, la condizione umana resta
uguale a quella di sempre. Cos persino qui, nel
suo prodotto artificiale, il mondo sociale, il con-
trollo delluomo scarso e la sua natura costante
riesce ad avere il sopravvento.
Purtuttavia, questa cittadella di sua stessa crea-
zione, nettamente separata dal resto delle cose e
affidata alla sua tutela, costituiva lintero e unico
ambito della responsabilit umana. La natura non
era oggetto di tale responsabilit; essa provvede-
91
va a se stessa e, se adeguatamente sollecitata e
incalzata, anche alluomo. Non letica, ma lintel-
ligenza e lo spirito inventivo le erano appropriati.
Ma nella citt, ossia nella formazione sociale
artificiale, in cui gli uomini hanno rapporti con al-
tri uomini, lintelligenza deve unirsi alla moralit,
perch questultima lanima della sua esistenza.
in questo contesto interumano, dunque, che di-
mora anche ogni etica tradizionale, conformando-
si alle dimensioni dellagire cos condizionate93.
92
CAPITOLO V
UNAMUNO:
LAVVOLTOIO DI P ROMET EO
1. QUELLAVVOLTOIO IL PENSIERO
93
fatti, in una lettera al poeta catalano Juan Maragall, Unamuno
scrive: Sto stampando ora, a Bilbao, il mio tomo di Poesas.
Ce ne sono un po che lei non conosce, tra queste Lavvoltoio
di Prometeo, che stimo essere delle pi mie. Quellavvoltoio
il pensiero96.
Per Manuel Garca Blanco, attento commentatore dellintera
opera unamuniana, e quindi anche della sua produzione po-
etica, Lavvoltoio di Prometeo non altro che il suo stesso
pensiero, che lo attanaglia, che lo divora senza fine97. Per Ro-
berto Paoli, primo traduttore italiano delle poesie dello spa-
gnolo, invece, Lavvoltoio di Prometeo non rappresenterebbe
uno dei migliori episodi della carriera dellUnamuno poeta,
anzi esempio di quel difetto che Paoli dice essere lide-
azione proliferatoria, caratteristica della esuberante mente
unamuniana. () La discorsivit rende certe liriche alquanto
prolisse. Egli sembra diffidare della parola suggeritrice, simbo-
lista. Cos frequente che commenti e razionalizzi se stesso via
via, nel corso del poema98. probabilmente per questo che la
traduzione di questa poesia non figura nellantologia di Paoli
dedicata ad Unamuno.
Cerchiamo qui di colmarne la mancanza proponendo la nostra
traduzione del poema (considerata la sua lunghezza forse
meglio chiamarlo cos) avvertendo il lettore della libert pre-
saci nella resa di alcuni passaggi, restando per cos para-
dossalmente fedeli alla libert unamuniana di composizione,
giacch a dominare qui il verso libero leopardiano. Pur costa-
tando con Manuel Garca Blanco la presenza di endecasillabi,
eptasillabi e pentasillabi, per la loro scarsa rigidit e proba-
bile casualit, non sempre li abbiamo voluti conservare nella
versione italiana. Inoltre, per dirla con Jos Ortega y Gasset,
94
consci che la traduzione sia un genere letterario a s, questa
riproposizione in italiano vuol esser solo unapprossimazione,
seppur attenta, e un invito alla lettura delloriginale castigliano.
MIGUEL DE UNAMUNO
LAV VOLT OIO DI P ROMET EO
Alla rocca del mondo Prometeo,
che degli uomini il miglior amico
con divine catene
legato e impedito,
salimenta di pene,
e allavvoltoio accarezzando, suo castigo,
allavvoltoio, Pensamento, cos dice:
95
mi fan morire e non ti sento;
dammi un dolor lento, mite, sordo,
dammi un dolor di vita, pensamento!
Quieto e becco al lavoro!
Il mio sangue la vista ti oscura?
E che timporta?
Mangiar non devi, insaziabil fiera?
Quanto pi mangi la mia carne ricresce.
96
Cerchi di Giove legger la fronte?
Non ti do carne, carne fino a stancarti?
Cerchi ottener dal suo sorriso brio?
Prendi, prendi e bevi il mio sangue;
lascia, lascia il tiranno, ora sei mio!
E non hai da legger la sua fronte, il chiaro cielo,
che la bruma del sangue cui attingi
dei tuoi occhi velo.
Andiamo, quieto, e divorami con calma;
io ti do carne e sangue, pensiero,
e Giove, solo luce, luce solo e aria
e che? non sei contento?
Vuoi di pi? Sei forse impazzito?
Il mio sangue tubriac?
Andiamo, ingoia con calma e poco a poco!
Lascia che le mie viscere si rinnovino
e razzolami tra le interiora;
siamo vecchi amici, boia mio;
gli anni passano
e tu, col tuo fare distruttore
la tela della vita stai lacerando!
Quieto, quieto e divora;
stiam passando!
Senti nostalgia della tua patria in cielo?
Vuoi volar alla dirupata roccia
che custodisce il tuo nido
a cui le nubi fan da tenda?
Non riuscirai a raggiungerla, tabbatte a terra
lo stomaco della mia carne pregno;
cos alta la serra!
Ti si consuma il becco?
Puoi affilarlo sulle costole
che a nudo mi mettesti.
97
Nascer fu il mio delitto.
Nascere alla coscienza,
sentir il mare in me dellinfinito
e amar gli umani
pensar il mio castigo!
Dai, dai con fermezza, crudele amico!
Dai bordi della tua cornea bocca
al mio aperto grembo
il mio sangue scorre,
come pioggerella sul crepaccio
che protegge la fonte dove nasce il fiume;
fiume che dalla nube poi risboccia,
nube che torna al fiume goccia a goccia.
Quanto mi ami, mio avvoltoio, quanto!
Con che vorace affetto mi divori
dal desiderio del mio cibo acceso!
Sangue sei del mio sangue ed la tua carne
di mia carne germoglio!
Mi abbracci e mi stringi tra i tuoi artigli,
come in uno spasmo di fusion suprema;
trema il mio corpo di dolor tra quelli,
uncini palpitanti,
ma la mia anima,
la mia anima a te si volge, boia mio,
ch della vita il succo a te deve.
Ci che in me dolore in te delizia,
mia disgrazia tuo trionfo;
mentre il tuo curvo becco maccarezza,
comio soffro godi;
per gonfiarti di vita mi sconquassi.
Per no, non spostarti dal mio seno,
che senza te per sempre maddormento:
98
raschia tra le viscere, pensamento;
meglio che il vuoto, tuo tormento.
Esistere, esistere, pensar soffrendo
meglio che dormir, libero da pene,
il sonno senza sogni, che non ha fine;
benedette le tue catene,
ch senza quelle presto affonderei
dallombre pallide al paratico.
Sia immortal dolore, mio avvoltoio eterno,
e non piacer effimero, il mio premio!
Avvicinati cos di pi, su me affossato;
al calor del tuo petto il mio petto arda,
custodiscilo dallaria dura montana,
dalle sue crescenti frustate;
non esser pi crudel del tiranno,
e al compir la sentenza pietoso
con le ali tue proteggimi e asciuga
col petto intero le ferite;
sia unguento la sua piuma,
blanda spugna, setosa come schiuma!
Quando in estate le ferite riaccende
il sol che veder ci fa e lui cieco,
fa delle tue forti ali ventaglio
e arieggiami con quelle
al tempo dei colpi del tuo becco.
E scaccia via le mosche,
le schifose mosche, cocciute, mollicce,
sciame di cancrena,
portatrici di sangue e marciume;
non avvilir la mia pena;
a quelle impossibil chio mi abitui!
Tutto, divoralo tutto, non gettare
ai corvi cenci;
non son cibo da buttare sotto la tavola;
99
niente, niente da avanzare ai servi:
tuttintera riservati la preda!
Sei degno di me, io di te degno,
ma i corvi,
quelli che aman la carogna
cacciali, mio falco, a beccate!,
che sappiano che sono vivo;
lontano, lontano da me, becchno,
senza compagni, ci bastiamo tu ed io!
E questo, finir? Tutto finisce,
Nella pi dura roccia goccia a goccia
il filo dacqua il suo sepolcro scava,
e dal petroso e funereo calice
il suo vapor invisibile
nel cielo fonde.
Goccia a goccia il mio sangue intacca
questi ferrei lacci
che Ercole e la Forza sciolsero;
goccia a goccia li rode con la ruggine
cos da spezzare alfin la prostrazione.
Vivo il sangue, morte le catene;
lo custodisco come ruscello
duna linfa perenne che nelle vene
ha il suo alveo stretto.
E voi, immobili legature
che mi solcate il petto,
siete solo ferro inerte,
e alla fine pi forte colui che vive.
Con limmortal succo delle viscere
diroccar pu luomo la montagna.
E tu, carnefice, ti stancherai un giorno;
arriverai allangoscia e allastio;
ingozzato fino alla gola
al deliquio abbatterai il tuo brio,
e abbattuto, vizzo
100
ti accosterai per dormir il tuo stremo;
cuscino avrai in me su questa roccia
su cui merc dei tuoi furori giaccio.
Dormirai per sempre
qui, mio avvoltoio, in me, sulla tua preda
ed io, oggi tuo cibo, sar la tua fossa.
E tu, impassibil Giove celeste,
Ragion augusta, Idea sovrana,
Avvoltoio delluniverso che divori
mondi, soli, e stelle,
Tu, per cui i secoli son come ore
anche Tu stanco un giorno,
la testa, merlata di scintille,
piegherai al peso del torpore.
Sar la tua fine, la fine del tuo regno;
su di te comanda, incontrastabile, il Destino.
E dopo? Quando cessi il Pensiero
che da regger ha il mondo?
E dopo?
ahi, ahi, ahi! Non cos forte!
non cos forte, mio avvoltoio!
guarda che cos mi strappi la coscienza;
ancor nel pieno del tuo incarico, abbi clemenza!
101
2. INTERPRETAZIONE TRAGICA DEL MITO DI PROMETEO
102
eterno privato un inferno in carne e ossa per svegliarlo dal
sogno di una vita morente. La vita sogno? Forse; di sicuro
agonia. Devesserlo per essere vita davvero. Solo cos pu
nascere in noi la speranza, sincera speranza, di vivere eterna-
mente. Che se fosse gi certo non avrebbe pi senso vivere, e
lidea di morire non smetterebbe dessere orrenda: niente di
pi scandaloso.
Se ci fosse garantita limmortalit, non basterebbe questa a se-
dare il nostro tormento? Il sentimento tragico della vita, con-
flitto tra vita che vuol vivere e ragione che preannuncia la pol-
vere, non lascerebbe spazio a un cielo senza nubi? E che vita
sarebbe una vita senza affanno dassoluto, senza pi speranza
di vittoria sul nulla? Una vita beata. Custodendo o no, nellal-
tra vita, lindividualit, la nostra coscienza, finanche il nostro
corpo, come potremmo mai considerarli davvero nostri? Sa-
rebbe vivere la vita di un altro, un altro io, che vive quella che
era la mia vita, svanita cos in qualcosa che non pi mi appar-
tiene. Questa lulteriore tragedia che si aggiunge alla tragedia,
laporia dissanguante.
[101] Dove vuoi volger la testa? / A guardar la patria, per caso, il cielo? /
Cerchi di Giove legger la fronte? / Non ti do carne, carne fino a stancarti? /
Cerchi ottener dal suo sorriso brio? / Prendi, prendi e bevi il mio sangue; /
lascia, lascia il tiranno, ora sei mio!. Ivi, pp. 235-236.
103
Prometeo-Unamuno non vuole che lavvoltoio si dissolva nella
luce del cielo, che perda la sua vita per un sogno di beatitudi-
ne: tornare alla propria patria, il cielo, il nulla.
Ma ci in cui spera lavvoltoio ed pieno di speranza forse
essere un giorno liberato, poter tornare a volare nel suo regno,
scrollarsi dal suo ruolo di carnefice, tormento ancor pi torvo
di quello prometeico. Non forse questo un degno anelito?
Degno dessere protratto nellagonia vitale? Ma come se Pro-
meteo lo avvertisse che meglio vivere, e quindi agonizzare,
che raggiungere lobiettivo e perder cos ogni nuovo motivo di
speranza.
104
Mi alma a ti se vuelve, mi verdugo / pues que te debe de su vida
el jugo. // [...] / mejor que no el vaco, tu tormento. / Existir, exi-
stir, pensar sufriendo / ms bien que no dormir, libre de penas,
/ el sueo sin ensueos, que no acaba; / benditas tu cadenas, /
ya que sin ellas pronto me hundira / de la plidas sombras en
el gremio. / Sea inmortal dolor, mi eterno buitre, / y no placer
efmero, mi premio!.104.
105
diventare una sorta di meditatio mortis. Todo se acaba107,
tutto finisce, e anche la speranza, piano piano, sembra spe-
gnersi. Arriver il giorno in cui lavvoltoio, stremato, morr; e
anche Zeus, Ragione augusta, Idea sovrana, avvoltoio delluni-
verso che divora mondi soli e stelle, prima o poi si stancher, e
cesser cos il suo regno.
106
CAPITOLO VI
SIMONE W EIL:
GRAZIE A LUI, LAL BA
GIOIA IMMORTALE
107
1. DALLA PARTE DEGLI OPPRESSI:
IL FILO ROSSO NEL PENSIERO DI SIMONE WEIL
108
dallopera della sua protagonista. Insieme al rifiuto del cibo, il
rammarico per non essere stata impiegata in una missione
pericolosa, come aveva espressamente richiesto ai membri di
France Libre, lorganizzazione per cui lavora, a Londra, negli
ultimi mesi della sua vita. Tutta la vita e la produzione filosofica
di Simone Weil animata da questo spirito di abnegazione e
rinuncia in nome di un ideale pi alto: la ricerca della libert,
esigenza imprescindibile di ogni essere umano, di ogni indivi-
duo, da perseguire e realizzare ad ogni costo.
109
Per i suoi studenti, Simone compresa, tutto ci si traduce nel-
la necessit di coniugare pensiero e azione in un movimento
di rivolta (una vera e propria rivoluzione) che vada contro
i valori borghesi, la politica della Terza Repubblica con la sua
corruzione ed i piccoli scandali, il retorico e vacuo patriottismo
del dopoguerra, il capitalismo e la corsa sfrenata al guadagno.
La parola dordine engagement: impegno, che in primo
luogo, impegno sociale e politico. Linterlocutore privilegiato
di questi giovani diventa il proletariato, quelle masse a cui
occorre dare unistruzione e condizioni di vita migliori, in vista
di una societ nuova: un discorso di questo genere non pu
prescindere da una riflessione seria sulla questione del lavoro.
110
chi quegli ordini deve eseguirli, che alla base della moderna
schiavit).
Altro tema che emerge dai primi scritti quello del conflitto,
sempre sotteso, fra uomo e mondo, fra individuo e societ (fra i
due termini, Simone Weil predilige sempre il primo, lindividuo
rispetto alla societ; c in lei una forte diffidenza nei confronti
della massa, come agglomerato indistinto, incapace di pen-
siero autonomo e facilmente influenzabile da una qualsivoglia
propaganda, come di fatto accadr nella Germania di Hitler).
C anche una teoria dellazione che sempre azione indiret-
ta, mediata sul mondo, legata ad un binomio libert/necessit
(dove finisce la libert delluomo e inizia la necessit del suo
agire, laddove cio il suo agire non pu essere diverso da come
) che assumer nella riflessione di Simone Weil interessanti
riflessi, anche spirituali e religiosi.
E, infine ma non da ultimo, la volont di cogliere la complessi-
t del reale a partire da categorie filosofiche che si caleranno,
sempre di pi, nella concretezza, negli ostacoli, nella sofferen-
za della vita di tutti i giorni.
La necessit del lavoro diventa uno dei temi centrali della ri-
flessione e dellimpegno di Simone terminati gli studi e fino
alla fine della sua breve esistenza. Gi negli anni dellinsegna-
mento, nella cittadina di Le Puy-en-Velay dove, a partire dal
1931, le viene assegnato lincarico di docente, Simone parte-
cipa e condivide il disagio, le privazioni e le proteste dei lavo-
ratori: vive con il minimo indispensabile per versare sistema-
ticamente una parte del suo stipendio alla cassa dei minatori
di Saint-tienne, sostiene economicamente i disoccupati locali
e guida una loro delegazione nelle trattative con lamministra-
zione comunale, partecipa a diverse manifestazioni, fra cui
quella dei minatori del 3 dicembre 1933 in cui porta la ban-
111
diera rossa in testa al corteo110, episodio che susciter grande
scandalo in paese e per cui subir un rapporto della polizia e
diverse ispezioni da parte delle autorit scolastiche. Pi che al
partito comunista, organizzazione troppo vasta e burocratica,
che rischia di allontanarsi dai problemi concreti, quotidiani dei
lavoratori, Simone si lega al sindacalismo rivoluzionario, picco-
le sigle che raggruppano militanti di sinistra ancora vicini alla
base. Il suo pensiero sul lavoro si esplica in un breve e intenso
scritto del 1934 (ma che verr pubblicato postumo) intitolato
Riflessioni sulle cause della libert e delloppressione sociale, in
cui Simone Weil parte da Marx per mettere in luce limportan-
za ma anche i limiti della sua teoria politica ed economica, nel
tentativo di superarla.
112
ro sopravvissute. Eliminare il capitalismo, infatti, non basta: la
storia della rivoluzione russa, sfociata in un regime totalitario
e oppressivo, ne un esempio chiaro e doloroso. Marx stato
lucido nella sua analisi, ma si fermato allespropriazione e
alla gestione collettiva dei mezzi di produzione, non ha pensa-
to a una riorganizzazione radicale del sistema produttivo. Ha
dato per scontato lo sviluppo illimitato delle forze produttive,
senza offrire alcuna dimostrazione o spiegazione scientifico-
economica di tale fenomeno.
113
della produzione un grado di coercizione sar ineliminabile,
si tratta di concepire e cercare di realizzare un sistema di la-
voro che risulti il meno oppressivo possibile. Nellevoluzione
sociale, da societ di tipo primitivo caratterizzate da forme
economiche elementari a sistemi pi complessi, luomo si
affrancato sempre pi dalla natura, riuscendo a possederne e
dominarne molti aspetti attraverso il progresso scientifico, la
tecnica, la specializzazione delle conoscenze e del lavoro. Ma
questo tipo di emancipazione non ha eliminato loppressione:
invece di essere tormentato dalla natura, luomo ormai tor-
mentato dalluomo112. Il fatto che forme di oppressione siano
esistite in tutte le societ e in tutte le epoche (e che continuino
a esistere), tuttavia, non deve scoraggiare nella ricerca della
libert.
114
lo sforzo richiesto dagli ostacoli esterni114. Bisogna scontrarsi
con la durezza delle condizioni esterne, provare la fatica anche
fisica, in una parola, agire: la libert autentica non definita
da un rapporto tra il desiderio e la soddisfazione, ma da un
rapporto tra il pensiero e lazione115. Tutta la libert delluomo
racchiusa nel pensiero che guida il suo corpo, i suoi muscoli;
il che significa che il lavoro veramente libero solo quello in
cui luomo a guidare le proprie azioni in base al proprio pen-
siero. Ora sappiamo quali sono le condizioni per un lavoro ed
una societ liberi dalloppressione: la societ meno cattiva
quella in cui la maggior parte degli uomini si trova per lo pi
obbligata a pensare mentre agisce, ha le maggiori possibilit
di controllo sullinsieme della vita collettiva e possiede la mag-
giore indipendenza116.
[114]
Ivi, p.76.
Ivi, p.77. Si veda sul punto R. Chenavier, Civilisation du travail ou
[115]
civilisation du temps libre? Parte I, in Cahiers Simone Weil, Tome X, n, 3,
septembre 1987, p. 238, e Simone Weil. Une philosophie du travail, op. cit., p.
282 e segg.; G.Leroy, La critique de lide de rvolution dans les Rflexions
sur les causes de la libert et de loppression sociale, cit., p. 21.
[116] S. Weil, Riflessioni sulle cause della libert e delloppressione sociale,
cit., p. 101. Particolarmente interessante luso che Simone fa, in questa sede,
dellespressione la societ meno cattiva, a intendere che una societ per nulla
cattiva praticamente impossibile, non solo da realizzare ma, pare, finanche
da concepire.
115
no di pensare117. Nel dominio della collettivit sullindividuo
Simone vede il grande male dellepoca moderna. Perch la
collettivit non ha uno spirito, non ha unanima, non pensa;
guidata da meccanismi che non tengono conto della libert
e della dignit umane, incentrati sullunica logica del potere
e dellaffermazione di s. Ovunque, in tutti i campi, si assiste
ad una limitazione del pensiero individuale, a vantaggio della
collettivit e del potere centrale, che si rafforza sempre pi e
finisce con lo schiacciare lindividuo fino ad annullarlo comple-
tamente. questa lorganizzazione totalitaria che caratterizza
la societ contemporanea: appare abbastanza chiaro che lu-
manit contemporanea tende un po dovunque a una forma
totalitaria di organizzazione sociale (), vale a dire a un regime
in cui il potere di Stato deciderebbe sovranamente in tutti gli
ambiti, anche e soprattutto nellambito del pensiero118. Biso-
gna reagire, restituendo al pensiero il suo ambito, il suo valore:
questa lunica speranza per una societ libera.
[117]
Ivi, p. 110.
[118]
Ivi, p. 119.
116
operaia il titolo del volume che raccoglie questa esperienza,
sotto forma di lettere, bozze di articoli e saggi e di un diario
giornaliero, il giornale di fabbrica. Per Simone si tratter di
unesperienza devastante, tanto dal punto di vista fisico che
da quello psicologico, che la segner per sempre. Conosce-
r ancora la gioia, ma una certa leggerezza di cuore mi rimar-
r, credo, impossibile per sempre119, scriver in una lettera
allamica Albertine. E tuttavia considerer questa del lavoro in
fabbrica unesperienza positiva: ho sofferto molto di questi
mesi di schiavit, ma per nulla al mondo vorrei non averli at-
traversati. Mi hanno permesso di provare me stessa, di toccare
con mano tutto quello che avevo potuto solo immaginare120.
Le condizioni di lavoro sono durissime: turni massacranti, rit-
mi di produzione troppo veloci, condizioni ambientali pessime
(rumori assordanti, scarsa aereazione dei locali, cibo insuffi-
ciente). Il salario a cottimo e questo significa che i pi deboli,
ovvero quelli che fisicamente non riescono a produrre di pi
sono destinati a guadagnare meno, rischiando continuamente
di essere licenziati. E soprattutto, Simone si rende conto che
nellambiente della fabbrica impossibile qualsiasi forma di
solidariet, amicizia, contatto umano con i colleghi di lavoro (il
che rende inconcepibile qualsiasi tentativo di organizzazione
di una protesta o di una ribellione). I ritmi di lavoro e la fatica
fisica impediscono spesso agli operai di parlarsi, la gerarchia
allinterno della fabbrica genera invidie, incomprensioni, pic-
cole angherie quotidiane. La circostanza che il lavoro sia retri-
buito a cottimo rende le persone competitive e litigiose, nel
tentativo di accaparrarsi i lavori pi semplici e le macchine pi
leggere sottraendoli ai colleghi. In simili condizioni difficile
scambiarsi confidenze ed impressioni o aiutarsi a vicenda: la
mancanza assoluta di solidariet fra gli operai, la pressoch to-
tale inesistenza, salvo sporadici casi, di uno spirito di fratellan-
117
za nella sorte comune uno dei dati che, pi di altri, colpisce
in negativo Simone121.
118
il sistema stesso, lorganizzazione del lavoro come conce-
pita nella grande industria a generare e alimentare sottomis-
sione, paura, remissivit, in pratica, la schiavit e laccettazio-
ne, da parte degli operai, di tale condizione. E questo ci che
contraddistingue la moderna societ capitalistica dalle societ
schiaviste del passato: in tutte le altre forme di schiavit, la
schiavit nelle circostanze. Solo qui trasferita nel lavoro
stesso124.
119
pi forte fra le tentazioni che comporta questo genere di vita:
quella di non pensar pi, unico mezzo per non soffrirne126.
Luomo-macchina luomo che non pensa, che agisce come
un automa, come un robot. questo il prodotto della gran-
de industria, splendidamente incarnato dallo Charlot di Tempi
moderni, il film di Chaplin in cui Simone si riconosciuta127.
[126]
Ivi, p. 35.
[127]
Ivi, p. 163, p. 164 e p. 195.
[128]
Ivi, p. 273.
[129]
Ivi, p. 274.
120
sforzo, fa proposte concrete per migliorare la vita in fabbrica.
Loperaio dovrebbe conoscere la macchina che utilizza, pezzo
per pezzo, essere in grado di smontarla o di ripararla, in pra-
tica, dovrebbe essere lui a padroneggiare la macchina (e non
viceversa).
Dovrebbe poter invitare i propri familiari a visitare la fabbrica,
in giornate ed orari appositamente deputati a tale scopo.
Dovrebbe godere di una maggiore autonomia nello svolgimen-
to del proprio lavoro, sapendo gi in anticipo quali ordinazioni
dovr eseguire nellimmediato futuro, in modo da poter orga-
nizzare le proprie energie ed il proprio tempo.
[130]
Ivi, p. 293.
121
14. PROMETEO, IL DIO CROCIFISSO
PER AVER AMATO TROPPO GLI UOMINI131
122
e medesima essenza132. Qualcuno ha letto in questo interes-
se religioso sempre pi marcato della Weil un allontanamento
dalla questione politica, ma non cos. Linteresse di Simone
Weil resta, fino alla fine, di natura essenzialmente politica. Gli
scritti degli anni Quaranta, quando Simone costretta a lascia-
re la Francia per rifugiarsi prima negli Stati Uniti e poi in In-
ghilterra, nellinfuriare della seconda guerra mondiale, vanno
in questa direzione: la piece teatrale rimasta incompiuta Ve-
nezia salva, gli articoli dedicati alla questione coloniale e alla
guerra, molti passaggi dei Quaderni testimoniano, ancora una
volta, la volont di Simone Weil di opporsi ad ogni forma di
uso indiscriminato della forza e, per contro, di realizzare una
societ di uomini finalmente liberi, padroni del proprio lavoro,
radicati alla terra che abitano e al proprio passato. Prometeo si
iscrive in questo contesto, tra impegno politico, lotta sociale e
misticismo religioso: il dio crocifisso per aver amato troppo
gli uomini.
SIMONE WEIL
P ROMET EO
Un animale stravolto di solitudine,
con un pungolo incessante che gli morde il ventre,
lo fa correre, tremante di stanchezza,
per fuggire la fame, a cui si sottrae solo morendo;
un animale che cerca la sua vita per oscure selve;
cieco quando la notte distende le sue ombre;
sferzato da freddi mortali nel cavo delle rocce;
che si accoppia soltanto in casuali amplessi;
che urla, preda degli di, ai loro strali
uomini, senza Prometeo, voi sareste tali.
123
Fuoco che crei e che distruggi, artefice fiamma!
Fuoco, erede dei bagliori del tramonto!
Troppo triste laurora ascende al cuore della sera;
il dolce focolare ha congiunto le mani; il campo
ha preso il posto delle sterpaglie arse.
Il duro metallo zampilla nelle colate.
Il ferro ardente si piega, docile al martello.
Un lume sotto il tetto colma lanima.
Il pane matura come un frutto nella vampa.
Quanto vi am, per portarvi un dono cos bello!
124
Nel cielo senza fondo trova posto ogni stella;
senza inganno fa da guida alla vela.
Lopera si aggiunge allopera; niente solo;
tutto si corrisponde sullesatta bilancia.
Nascono canti puri come il silenzio.
Talvolta il tempo dischiude il suo sudario.
125
e lo abbraccia fino in fondo.
quellamor fati di cui parla anche Nietzsche, lamare il pro-
prio destino in virt di una visione pi ampia e pi alta della
vita, una visione a 360 gradi che fa propria la gioia ma anche la
sofferenza che lesistenza, inevitabilmente, porta con s.
Abbracciare il proprio destino significa essere liberi: Prometeo
incatenato ma paradossalmente libero, muore ogni giorno
ma ogni giorno risorge, esattamente come nel racconto evan-
gelico risorge il Cristo morto e sepolto.
Risorge, Prometeo, per morire ancora, in un circolo che la
vita stessa, eterno ritorno delluguale; perch se cos non fos-
se, non potrebbe salvare lumanit. Prometeo deve morire
e rinascere in continuazione, per perpetrare il mistero della
salvezza, per ricordare agli uomini che, sempre parafrasando
Nietzsche, la vera libert non fare ci che si vuole, ma volere
ci che si fa.
Prometeo ha compiuto un sacrificio, il pi alto dei sacrifici: ha
immolato se stesso per donare agli uomini il fuoco, fonte della
scienza, della conoscenza, della gioia. Senza il fuoco gli uomini
brancolerebbero nel buio, incapaci di costruire utensili, di scal-
dare e vincere il freddo delle tenebre, della paura e delligno-
ranza. Non pentito, il Prometeo di Simone Weil, di ci che ha
fatto, anzi: lo rifarebbe ancora ed ancora, tanto il suo amo-
re per gli uomini. un amore trabordante, enorme, indicibile
quello che Prometeo prova per gli esseri umani, per il mondo:
lui, secondo il mito, ad aver plasmato gli uomini, lui ad avergli
fatto il dono pi grande, il fuoco, simbolo di chiarezza, di intel-
ligenza e di civilt, senza cui gli uomini non sarebbero nulla,
poco pi che animali.
Prometeo mosso dallamor mundi, amore per il prossimo,
per laltro, per chi soffre, per chi ha poco o forse nulla, unin-
clinazione spontanea e naturale, unempatia verso laltro che
Simone Weil conosceva bene, per averla sperimentata di per-
sona, facendone la quintessenza del suo pensiero filosofico.
Riecheggiano in questi versi di eroica disperazione tutte le
esperienze forti di Simone Weil, affrontate per scelta, mai per
bisogno o costrizione, sulla scia di quellimplacabile sete di sa-
126
pere, di conoscere, di toccare con mano lumana esistenza in
tutte le sue sfaccettature che la caratterizza sin da giovanissi-
ma.
Nei versi dedicati a Prometeo ci sono le battaglie politiche de-
gli anni delluniversit, la passione per la filosofia, la militanza
nel sindacato, gli anni dellinsegnamento, il duro lavoro in fab-
brica, la partecipazione alla resistenza spagnola, la denuncia
del colonialismo e di ogni forma di sfruttamento, la costante
ricerca della verit che sfocia nel misticismo e nella fede. C
tutta la sua vita in questi versi, una vita vissuta con coraggio e
passione, senza mai tirarsi indietro davanti alle difficolt, senza
mai risparmiarsi in nulla, portandone i segni sul fisico e sul-
la psiche, cicatrici come trofei, perch soltanto il dolore porta
alla vera conoscenza, soltanto il dolore ci rende uomini.
Cristo uomo in carne e ossa quando sperimenta la sofferen-
za della tortura, della croce, delle ferite inferte al suo corpo;
Prometeo uomo tra gli uomini quando laquila gli rode il
fegato, facendo contorcere il suo corpo fra atroci sofferenze.
Lesperienza della sofferenza, per Simone Weil, ci che ac-
comuna gli uomini e dio: dio che si fa uomo e sperimenta la
sofferenza umana (Sofferenza: superiorit delluomo su Dio.
C voluta lIncarnazione perch quella superiorit non fosse
scandalosa134). Prometeo, allora, carne abbandonata alla
sventura, allo stesso tempo anche un eroe, colui grazie al
quale lalba gioia immortale135.
Limmortalit limmortalit del suo gesto, grandioso per le
sue conseguenze che saranno imperiture, perch il fuoco,
come lintelligenza e la memoria che Prometeo dona agli uo-
mini, rimangono un loro patrimonio e nessun dio, per quanto
potente, potr privarli di questi doni. Il gesto di Prometeo
definitivo e ultimo, per questo viene punito. Indietro non si
pu tornare, gli uomini amati da Prometeo hanno conquistato
la conoscenza, sono divenuti capaci di provvedere a loro stessi,
127
artefici del proprio destino.
Prometeo incarna il dio che ama gli uomini, quello che nella
visione religiosa della Weil il vero dio: non il dio degli eserciti,
vendicativo e terribile della tradizione ebraica, non il dio che
punisce e sanziona, ma il dio che ama e che accoglie.
Perch, secondo Simone Weil, lamore non consolazione,
luce136.
Luce, dunque fuoco.
Il dono di Prometeo allumanit.
128
INDICE DEI LI BRI CITAT I
Premessa mitologica
J.-P. Vernant, Luniverso, gli di, gli uomini, trad. it. di I. Babbo-
ni, Einaudi, Torino 2000.
129
J.-P- Vernant, P. Vidal-Naquet, Mito e tragedia nellantica Gre-
cia, trad. it. di M. Rettori, Einaudi, Torino 1976.
130
K. O. Apel, Saggio presentato alla conferenza di Melbu (Norve-
gia) sul rapporto tra ecologia ed etica, 18-23 luglio 1990.
131
S. Weil, Quaderni, III, trad. it. di G. Gaeta, Adelphi, Milano
1988.
132