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Collana Quaderni di Diogene

diretta da Stefano Scrima


Angela Chiaino, Alessandro Roani, Mario Trombino

IL MIT O DI P ROMET EO
Il lavoro che c, il lavoro che manca
A cura di Stefano Scrima

Il Giardino dei Pensieri


... comme un arbre de son jardin
Copertina e impaginazione: Jimmy Knows S.C.P., Barcelona (ES)
In copertina: Prometeo, ArtemiDee, acquarello 2013
(www.diogenemagazine.it alla sezione Immagini/Pittura)

ISBN 978-88-98227-36-5
Edizioni del Giardino dei Pensieri di Mario Trombino
Via Nadi 12, 40139 Bologna
I edizione, gennaio 2014
INDICE

Introduzione (Stefano Scrima) 6


Premessa mitologica 11
Capitolo I. 30
Il mito di Prometeo (Erika Panaccione)
Capitolo II. 37
Il Prometeo incatenato di Eschilo
(Mario Trombino)

Capitolo III. 62
Prometeo romantico: Goethe e Schiller
(Stefano Scrima e Mario Trombino)

Capitolo IV. 82
Il Prometeo di Jonas e la sfida della
responsabilit (Alessandro Roani)
Capitolo V. 93
Unamuno: Lavvoltoio di Prometeo
(Stefano Scrima)

Capitolo VI. 107


Simone Weil: Grazie a lui, lalba gioia
immortale (Angela Chiaino)
Indice dei libri citati 129
INT RODUZIONE

Noi, figli di una tradizione occidentale sposatasi col Cristiane-


simo, siamo abituati a sentir parlare di Adamo ed Eva, il pri-
mo uomo e la prima donna a vivere su questa terra una volta
abbandonato lEden, il Paradiso Terrestre, a causa della loro
ingordigia, di quel criminale spuntino come lo chiama Vol-
taire che viol la proibizione di Dio. Uningordigia di sapere,
a quanto pare, considerata la promessa fatta loro dal serpente
sibilante: che grazie al morso di quella mela proibita avreb-
bero potuto finalmente entrare a conoscenza della differenza
tra bene e male (e di conseguenza del potere), fino ad allora
possesso esclusivo di Dio. Questa, come detto, la nostra tra-
dizione, quella cristiana (ma anche ebraica). Tuttavia, unaltra
tradizione, a noi comunque molto vicina perch poi confluita
nella nostra, quella dellantica Grecia culla della civilt occi-
dentale ci narra una storia diversa: il mito una versione del
mito racconta che fu un certo Prometeo, un titano (un se-
midio), sotto lincarico di Zeus, padre degli di, a plasmare gli
uomini dal fango, animandoli col fuoco divino. Prometeo era
fiero delle sue creature, forse perch si rispecchiava in loro,
anchessi mortali e dunque esposti a ogni rischio.

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Nel mito greco, esattamente come nella Bibbia, gli uomini ap-
pena nati vivevano in completa serenit, gli uni scherzando e
banchettando con gli di nella cosiddetta Et dellOro dellu-
manit , gli altri passeggiando nel Paradiso Terrestre, tra far-
falle e prelibatezze, in continuo dialogo con Dio. Ma a un certo
punto successe qualcosa: gli uomini delle generazioni succes-
sive, constatate le grandi difficolt a cui quotidianamente do-
vevano andare incontro, ma rimanendo convinti di un idilliaco
passato originario, cercarono di darsi conto della loro nuova
condizione. la disubbidienza, in entrambi i casi, la chiave di
tutto. Adamo, tentato da Eva, e questa, a sua volta tentata dal
serpente-diavolo, disobbedirono entrambi a Dio; Prometeo,
padre degli uomini, disobbed a Zeus restituendo loro il fuo-
co, il quale venne sottratto allumanit da un adirato Zeus, in
seguito ad un altro inganno sortito dalla mente del titano ai
danni del dio: la suddivisione, chiesta a Prometeo dallo stesso
Zeus, della carne di un toro, luna destinata agli uomini e lal-
tra al sovrano dellOlimpo; al che Prometeo divise lanimale in
due, una parte apparentemente squisita, ma allinterno priva
di carne, e laltra brutta a vedersi, ma deliziosa Zeus, ovvia-
mente, scelse la parte degna di un dio, cadendo nel tranello
prometeico, e a pagarla furono sia Prometeo che i suoi pupilli.
Zeus priv loro del fuoco, cosicch luomo torn alla merc
delle forze della natura e degli altri animali. Ma Prometeo non
si sment riuscendo a rubare una scintilla divina per riportar-
la agli uomini. A questo ulteriore smacco Zeus decise di inca-
tenare Prometeo a una rupe cosicch, ogni giorno, unaquila
avesse potuto squartargli il fegato, il quale la notte sarebbe
ricresciuto1.
Il fuoco come la mela sono dunque simbolo di conoscenza,
la quale, con s, porta inevitabilmente sofferenza, vuoi per la
lotta tra intelligenze (tra uomini e di), vuoi per la semplice ca-
pacit di vedere e capire il male di cui, almeno per met, sono
farcite le nostre esistenze.

[1] Nel capitolo I di questo libro troveremo il mito di Prometeo raccontato


per intero.

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Dio, scacciando Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, da quel
momento in poi costrinse loro a lavorare e guadagnarsi il pane
con il sudore della fronte il lavoro qui inteso come reden-
zione ; ma anche Zeus, dopo lo spiacevole scherzo giocato da
Prometeo in realt questa fu solo una delle gocce che fecero
traboccare il vaso2 scacci gli uomini dallOlimpo, i quali da
quel momento in poi dovettero cavarsela da soli sulla terra.
Ma qui Prometeo, attraverso il suo furto divino, diede alluo-
mo una speranza di vita felice, diede loro il fuoco, e quindi, a
dispetto della loro punizione e degradazione3, la possibilit di
produrre calore, luce ed energia, di emigrare in terre pi fred-
de, cuocere il cibo, fondere i metalli per costruire armi e stru-
menti da lavoro. Il lavoro nel mito greco (e quindi nella menta-
lit greco-antica) non simbolo di redenzione (perlomeno non
nel significato attribuitole dalla Bibbia), ma di forza, di potere
sulle cose, se vogliamo anche di superiorit rispetto, ad esem-
pio, agli altri animali, ma non alla natura dalle leggi indoma-
bili , anche se, attraverso le tecniche, sarebbe stato possibile
sedurla e portarla dalla parte degli uomini4. Prometeo, in que-
sto, pu essere avvicinato anche alla figura di Cristo vedremo
pi avanti, con Simone Weil, che non la prima volta che vie-
ne proposto un tale accostamento , il salvatore, colui che si
schiera dalla parte dei pi deboli; ma sempre qualcosa di pi,
perch Prometeo non lav i peccati del mondo (anche perch
se c qualcuno che ha peccato, in questo caso, non luo-

[2] Prometeo, vedendo che il fratello Epimeteo aveva fornito ogni animale
di armi per difendersi, ma dimenticandosi delluomo, don agli uomini
intelligenza e memoria, cosa che fece molto indispettire Zeus il quale aveva
paura che in questo modo luomo potesse minacciare la supremazia degli di.
[3] Zeus infatti nascose agli uomini i mezzi per vivere, il grano, ci dice
Esiodo, per non parlare poi delle sciagure che, attraverso Pandora, diffuse
sulla terra.
[4] Ma anche vero che Zeus mand sulla terra, identificandole con la
prima donna Pandora, sciagure fino ad allora sconosciute agli uomini, il che
riavvicina, in qualche modo, il mito al racconto biblico, i quali per restano
piuttosto distanti rispetto ai fini perseguiti e alla concezione del lavoro.

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mo bens Prometeo), ma diede alluomo la possibilit di farsi
da solo, di costruirsi il proprio destino e realizzarsi sulla terra,
attraverso il lavoro. Tutto questo in autonomia rispetto agli di,
sebbene essi avessero potuto, in quanto potenti di, interferi-
re nel bene e nel male con le vite dei mortali.

La natura immortale e fuori del tempo del mito, la sua capa-


cit di reinterpretare la condizione umana dogni epoca for-
se perch, fondamentalmente, paure e problemi degli uomini
sono sempre gli stessi infiamm limmaginazione di artisti
e pensatori di tutti i tempi e nazionalit; e quando si tratta di
un mito come quello di Prometeo, cos vicino alle misteriose
origini delluomo e di tutto ci che riguarda le sue attivit pe-
culiari il lavoro su tutte , lattrazione si fa irresistibile: a parti-
re, come vedremo, da uno dei pi grandi tragediografi dellet
greca classica, Eschilo, il quale, in pi di unopera, propose ai
suoi concittadini ateniesi questo mito, parte della loro tradi-
zione e quindi educativo e consolidatore dellunit della polis.
Il mito di Prometeo incarner, nel corso dei secoli, tematiche
di forte attualit e di capitale importanza per levoluzione del-
la societ, delle libert individuali e dei diritti civili (linee poi
concretizzatesi a partire dalla Rivoluzione francese), come nel
caso di Goethe, il quale, attraverso la figura di Prometeo, vei-
col i suoi pensieri di liberazione dalloppressione della nobilt
a favore della nuova borghesia, che, attraverso il lavoro e le
nuove tecniche acquisite dalluomo (lindustria), avrebbe po-
tuto liberarsi da un giogo ormai divenuto insopportabile in
questo caso s, il lavoro, come nel racconto biblico, redime
luomo, lo rende libero e padrone di s (anche se per la Bibbia
la redenzione non ai fini della libert sulla terra ma della pos-
sibilit di accedere al Paradiso, la vita vera).
Ma Prometeo fu anche fonte di sogni che andavano al di l
della contingenza storica e sociale, mire che ben si prestaro-
no alla sensibilit romantica di Percy Bysshe Shelley, il quale,
sviluppando il mito a modo suo, vide in Prometeo un simbo-
lo della pacificazione tra uomo e Natura; o a quella tragica
dello spagnolo Unamuno che identific lagonia del Prometeo

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legato alla rupe ed eternamente squartato dallaquila con la
condizione stessa delluomo in perenne conflitto interiore tra
ragione e sentimento.
I secoli passano e le tecniche cambiano, si evolvono, fino, in al-
cuni casi, a farsi addirittura pericolose per i suoi stessi invento-
ri, sia dal punto di vista ecologico, che vede minato il misurato
interscambio tra uomo e natura, sia da quello pi propriamen-
te lavorativo, in cui i ruoli tra tecniche e padroni, macchine e
uomini, sembrano quasi invertirsi. Queste problematiche ven-
nero accolte da due tra i pi importanti pensatori del Novecen-
to: Hans Jonas e Simone Weil, i quali, proprio a partire dalla
figura di Prometeo, misero a fuoco questi temi e le possibilit
e necessit di un cambiamento.
Questo libro, come recita il sottotitolo, vuole essere una rifles-
sione sul lavoro che c, ma soprattutto su quello che manca,
ripercorrendo la nostra tradizione e lidea che ci siamo fatti
della nostra condizione di esseri umani. La selezione degli au-
tori per cui abbiamo optato, tra i tanti che hanno riflettuto su
e a partire dal mito di Prometeo celebre, ad esempio, la
ripresa del mito nel Protagora di Platone, che per, essendo
trattato in chiave politica, non ha potuto trovato spazio in que-
sta sede, cos come tante altre , appunto frutto di questa
particolare angolazione.
Quale miglior momento di questo per parlare di lavoro, in Ita-
lia, in cui lavoro non ce n, in cui la parola lavoro sembra
essere diventata sinonimo di privilegio? Chiss che questi
pensieri non ci aiutino a trovare una soluzione, o perlomeno a
farci venir voglia di cambiare.

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PREMESSA MITOLOGICA

T EOGONIA E MIT I
COSMOGONICI

Tutto quanto diremo in questo volume ha una base antica: la


troviamo nella Teogonia di Esiodo, un testo poetico dellepoca
arcaica, contemporaneo o di poco posteriore ai poemi ome-
rici. l che per la prima volta (per noi) si parla del ruolo di
Prometeo, insieme con laltro testo poetico di Esiodo, che ci
stato tramandato col titolo Opere e giorni.
Il nostro punto di partenza sar quindi una antica storica, che
racconta come si formato lattuale stato del mondo. E Pro-
meteo ha una parte non di secondo piano in tutto questo. Ecco
una sintesi del racconto esiodeo.

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1. COME NATO IL MONDO?

nato cos. Al principio il Caos, e il Caos qualcosa che di-


viene, che si trasforma. Non qualcosa che sta, cos, sempli-
cemente. qualcosa che genera. Non si pu dire cos, Esiodo
non lo dice, perch il Caos informe, davvero un caos pri-
mordiale.
Ma sa generare. E infatti dal Caos si sono generati Gea (la Ter-
ra) e Urano (il Cielo). Sono il principio femminile del mondo e il
principio maschile, e con loro si generato Eros (lamore come
passione invincibile che d origine alla vita), e moltissimi altri
di primordiali.
Urano copre Gea, e unendosi con essa genera molti figli. Ma
non d loro lo spazio per vivere: li teme, e li nasconde nel grem-
bo della madre. Luniverso bloccato, non pu svilupparsi.

Gea a tramare linganno che sblocca la nascita delluniverso.


Fabbrica una falce, affilata, e chiede ai suoi figli di usarla con-
tro il padre. Uno accetta di farlo: Crono, e sar lui a brandirla
contro il padre.
Non appena dunque Urano copre Gea per unirsi a lei, come il
Cielo copre la Terra, Crono lo sfida, lo assale e lo evira. Con un
urlo tremendo il dio si allontana, e nasce cos la separazione
tra il cielo e la terra, che non formeranno pi una sola cosa.
Il seme del dio Urano va disperso, e cos il suo sangue, e gocce
delluno e dellaltro cadono ovunque, generando multiformi
esseri divini. Ad esempio alcune gocce del seme di Urano ca-
dono al largo dellisola di Citera, e ne nasce Afrodite, la dea
della bellezza e dellamore.

Con Crono la seconda generazione degli di a prendere il so-


pravvento, ma il loro potere instabile, e non durer. Cos ha
prescritto il Fato con i suoi decreti imperscrutabili, incompren-
sibili, ma ai quali nessuno n uomo n dio pu sfuggire.
Accadr quel che deve, in ogni caso.
Il Fato non un dio, al di sopra degli di. limpersonale
destino, loggettivo accadere degli eventi. Accadde che...:

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manca il soggetto, ancora adesso laccadere nella nostra lingua
impersonale.
Crono sa che il decreto del Fato che egli sia sconfitto da uno
dei suoi figli, e tenta di prendere le sue contromisure ma,
se si pu sfidare il destino, non lo si pu vincere! Unendosi
con Rea, la sua sposa, Crono genera molti figli ma li inghiotte
subito dopo, bloccandoli cos dentro il proprio corpo. Non pu
certo ucciderli: gli di infatti nascono, non sono sempre esistiti,
ma non muoiono. Sono immortali, ed questo a differenziarli
in prima battuta da qualsiasi altro essere vivente, uomo com-
preso, creatura di un giorno, dicevano i greci.

Ma come Gea, anche Rea trama inganni. Quando giunge il


tempo per lei di partorire Zeus, si rifugia in una grotta dellisola
di Creta, e l d alla luce il figlio. Al padre d da inghiottire una
pietra, e Crono non si accorge dellinganno.
Cos Zeus cresce, e con lui cresce la sua smisurata potenza. De-
stinato a diventare il signore degli di e delluniverso intero, a
dominare su tutta la realt, il suo potere non si estende al di
sopra del Fato, ma la sua forza superiore a quella di qualsiasi
altro dio. E persino di tutti gli di insieme, se si coalizzassero
contro di lui.
Zeus sa cosa fare. Divenuto abbastanza forte da sfidare il pa-
dre, lo vince facilmente, e con lui la terza generazione degli
di a prendere il sopravvento. Crono deve far uscire dal suo
corpo i figli che ha inghiottito, e lasciarli crescere. Luniverso
supera la fase primordiale, e si avvia ad acquisire i caratteri
dordine e misura che la natura palesemente possiede.
Zeus ha vinto, definitivamente. Nessuna nuova generazione di
di si sostituir al suo potere a quello degli di olimpici. Cos
infatti la mitologia greca chiama Zeus e gli altri di che con lui
hanno preso il potere. Perch? Perch abitano le vette eccelse
delOlimpo, il pi alto monte della Grecia, perennemente cir-
condato da nubi. L la sede degli di, sacra, perfetta, felice.

Molte altre lotte seguiranno, prima della vittoria definitiva. Al-


tri esseri, come i Titani, contenderanno agli di olimpici e a

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Zeus la supremazia. Ma saranno tutti sconfitti e la loro forza
soggiogata.
qui che per la prima volta compare in posizione decisiva il
ruolo di Prometeo. figlio di Giapeto, uno dei Titani nati dagli
amplessi di Gea e Urano (si tratta quindi di di davvero dei pri-
mordi: Giapeto quindi fratello di Crono). Quando scoppi la
lotta finale per il potere tra Zeus e i suoi fratelli e alleati (la terza
generazione divina) e i Titani (che erano la seconda) lotta che
la mitologia greca ricorda come Titanomachia , i rapporti di
forza sembravano rendere incerta la lotta, ma lastuzia e i buoni
consigli di Prometeo consentirono a Zeus di avere la meglio.
I Titani furono precipitati nellabisso del Tartaro, luogo inacces-
sibile e dal quale era impossibile figgire via. Lordine di Zeus si
pu imporre senza pi ostacoli sul mondo, ed per sempre.
Nessun dio pu sperare, per forza e astuzia, di contrastare vit-
toriosamente Zeus.
Questi i decreti immutabili del Fato, cui neppure il potere di
Zeus pu sfuggire.

2. LORDINE COSMICO IMPOSTO DA ZEUS SU OGNI COSA

Questa vicenda cosmica originaria, insieme con moltissime al-


tre vicende legate ai primordi delluniverso, narrata da Esio-
do nella Teogonia, un poema che canta come dice il titolo:
thes, dio, e gon, generazione, discendenza la generazione
degli di.
Ciascuno di essi dipinto in breve, con precisi aggettivi che ne
qualificano il carattere. Chi sono in realt questi di della mito-
logia greca? Ai nostri occhi appaiono come potenze personali,
simili in questo agli uomini, ma immensamente pi potenti e,
soprattutto, immortali.
Incarnano precise forze della natura, e la loro generazione
allo stesso tempo la generazione delluniverso: sono infatti
loro ad aver plasmato la natura.
Prima di loro era solo il caos originario, informe, indescrivibile.
Adesso invece ogni cosa al suo posto: la Terra nutrice di

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tutte le cose, il Cielo ordinato e immutabile nei movimenti
dei suoi astri, il Mare fonte di vita per innumerevoli creature.
E altre realt sono celate allo sguardo delluomo, ma esistono
e sono governate con ordine, ciascuno dalle proprie leggi: ad
esempio il Tartaro, abisso immenso in cui Zeus ha relegato de-
finitivamente le potenze divine che ha vinto, impedendo loro
di tornare sulla Terra a far danni (non poteva ucciderli: gli di
sono immortali). Poi c lAde, il regno dei morti, su cui fiorisco-
no moltissimi racconti, ma che precluso ai viventi.

Chi ha dato un ordine, e quindi una identit stabile e non cao-


tica, ad ogni cosa?
Come si fa ad essere sicuri che non riprenderanno le lotte di
un tempo tra le potenze divine, sconvolgendo nuovamente
luniverso?
La risposta chiara e molto rassicurante: Zeus ad avere posto
ordine su ogni realt ed la sua potenza smisurata a garan-
tire il rispetto delle leggi della natura che quindi adesso, non
prima sono immutabili.

Ora, lordine di Zeus ha questo di singolare agli occhi di noi


uomini moderni, abituati a concezioni diverse: non privilegia
il bene sul male, ma bilancia tutte le forze che possono sta-
re in equilibrio, facendole vivere tutte, ciascuna per solo nel
proprio ambito. E quegli di che esprimono forze primordiali
che non possono stare in equilibrio con nessunaltra? Per loro
c il Tartaro, abisso infinito in cui sono relegate e da cui non
possono mai uscire.
Lordine salvo.
Per le altre per tutte le altre, nessuna esclusa c invece
posto secondo una precisa regola dequilibrio. Non sempre
Giorno, n sempre Notte, ma la vita si svolge nellalternanza
del Giorno e della Notte.
Non tutto acqua e non tutto roccia, ma la Terra ospita i mari
e le terre emerse, in equilibrio.
Non sempre splende il sole e non sempre piove, ma ora il ciclo
delle stagioni rende umida la terra con la pioggia, ora la rende

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secca col calore del Sole. Ed lalternarsi ordinato delle stagio-
ni garantito da Zeus a consentire alle piante di crescere e
svilupparsi, nel loro ciclo annuale, e allagricoltura di nutrire gli
uomini.
Sono solo degli esempi. Potremmo continuare indefinitamen-
te a farne, perch non c ambito della realt in cui prevalga
una sola forza: sempre e ovunque, senza eccezioni, una forza
bilanciata da unaltra, e la realt ha il volto che conosciamo
come frutto dellequilibrio delle forze.
E un equilibrio ciclico, perch c un tempo in cui prevale una
forza, un tempo in cui ne prevale unaltra. Ma mai una forza
annulla le altre, mai prevale sempre.
Cos luniverso ordinato, un cosmo: per un Greco, questul-
tima parola (ksmos) significa sia ordine che universo. Basta
dunque dire cosmo per dire che luniverso ordinato.

Su ciascun ambito della realt presiede un dio, il cui potere


non n buono n cattivo: soltanto in equilibrio con quello
delle altre potenze divine che governano lUniverso.
Poseidone, fratello di Zeus, presiede al mondo delle acque, e
quindi innanzitutto al mare.
Zeus, signore del cosmo, ha mantenuto per s il cielo, ed
quindi il dio del tempo atmosferico, e il fulmine il simbolo
stesso della sua potenza.
Ade, anchegli fratello di Zeus, presiede al mondo sotterraneo,
la dimora dei morti, sede di potenze oscure e di misteri impe-
netrabili.

Non sono solo tre queste grandi aree del cosmo ad essere sot-
to il potere di un dio. Tutto pieno di di per un Greco, e tutto
governato da una potenza divina.
Il Sole egli stesso un dio, ad esempio, e non c fonte che
non sia sede di una ninfa, creature semidivine che popolano la
natura incontaminata.
Non c passione che non sia fatta risalire allazione di un dio o
di una dea. Se si innamorati, perch si preda di Afrodite.
Cos ragionava un Greco, cos spiegava il mondo un Greco.

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3. HYBRIS E THEMISTES

Sono buoni gli di greci? La domanda quasi priva di senso per


il pensiero del mito. Che vuol dire buono? Gli di ci sono, e la
loro potenza immensa rispetto a quella degli uomini. Da loro
deriva alluomo e ad ogni essere ogni bene e ogni male. Pu
derivarne un bene, pu derivarne un male.
Pi che altro sono pericolosi gli di. Sono soggetti a passioni
come gli uomini, e sono passioni di esseri molto, molto po-
tenti. opportuno non provocare queste passioni. Ade, per
esempio, dio che opportuno non invocare neppure, come
dio dei morti. Il suo nome meglio tacerlo.
Non sono n buoni n cattivi: sono quello che sono, esseri in-
dividuali, che incarnano forze della natura.

Esigono sacrifici, li gradiscono. Agli di sacrificano gli individui,


sacrifica la citt. Il sacrificio non un atto damore verso un
dio. un atto necessario finalizzato a ingraziarsene la potenza,
un tentativo di far s che la loro volont coincida con quella
delluomo in definitiva, che il dio sia indotto a fare quel che
vuole luomo. Oppure serve a sfuggire alla prevista punizione
che il dio lancer contro luomo, per aver commesso una colpa.
Ora, che cos una colpa commessa verso un dio, in un mon-
do in cui gli di non incarnano affatto il bene? La colpa un
atto che genera conseguenze negative, pericolose o dannose.
Per esempio, ci si pu contaminare toccando cibi immondi, o
entrando in spazi preclusi alluomo, o non rispettando certi di-
vieti rituali (questo si fa, questo non si fa). Oppure si possono
scatenare terribili vendette, come quando si uccide un paren-
te: si verr perseguitati dalle Erinni terribili dee, implacabili
, che devono ristabilire lordine infranto, non punire il male e
far trionfare il bene.

Luomo sottoposto allordine della natura, di cui parte. Sa


che questordine della natura non sotto il suo potere, ma sot-
to quello degli di. Se vuole che la natura faccia quel che vuole
lui che piova quando deve, che la tempesta non distrugga

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i raccolti, cha la malattia non perseguiti una famiglia , deve
imparare a condizionare la volont degli di.
Ecco allora i sacrifici, ecco i riti tradizionali. Da dove ha impa-
rati un Greco dellVIII-VII secolo a. C. quello che sa sugli di,
quando compaiono le prime testimonianze scritte dopo il co-
siddetto medioevo ellenico?
Li ha imparati dai propri padri. I Greci non avevano una classe
sacerdotale distinta e autonoma dal potere familiare e politi-
co. Era il capo della famiglia a compiere riti e sacrifici nellam-
bito familiare, erano i signori della citt a compiere quelli di
tutta la comunit.
Facevano quello che sin da bambini avevano visto fare ai loro
padri. Generazione dopo generazione le pratiche rituali si tra-
mandavano da padre in figlio, secondo precise e minute rego-
le: erano le themistes, le leggi che nessuno ha scritto, ma che
se non si seguono mettono in pericolo la vita di tutti.

molto importante sottolineare che, quando agisce in modo


da provocare lira degli di, luomo scatena col suo comporta-
mento una serie di eventi che non si fermano alla sua persona,
ma coinvolgono la sua famiglia e lintera comunit.
Noi oggi ragioniamo in questo modo: ciascuno responsabile
per s del bene e del male che compie. La colpa dovr essere
espiata mediante una pena, che coinvolge solo chi ha com-
messo la colpa.
Un Greco non ragionava cos, perch quel che scatenava la
punizione divina non era laver commesso il male. Era lessere
andato contro volontariamente o involontariamente, aveva
poca importanza una forza divina. Era necessario placarla, al-
trimenti essa si sarebbe scatenata non solo contro il colpevole,
ma anche contro la sua famiglia e la sua citt.
Cos le colpe dei padri ricadono sui figli.
Cos per un colpevole una intera citt paga un prezzo a volte
altissimo.
Le themistes dicono cosa fare in tutti i casi. Un Greco sa cosa
fare perch conosce le regole da seguire.

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La colpa pi grave, quella che scatena inevitabilmente guai su
guai, la hybris. Traduciamo abitualmente questa parola greca
con tracotanza, termine che tuttavia rende solo in parte il con-
cetto. Commette hybris chi non sa restare entro i limiti della
propria natura e va oltre: se agisce cos, ovviamente non riusci-
r a fare quel che cerca di fare e fallir. Ad esempio, commette
hybris chi sfida qualcuno che pi forte di lui. Si sa gi come
andr a finire.
La hybris pi grave sfidare il potere degli di. Si va incontro a
rovina inevitabile.
Ora, difficile non macchiarsi di hybris. Gli di infatti governano
ogni ambito della realt, e non sfidarli difficile. Un esempio
tratto dai racconti mitici greci chiarir il concetto. Ippolito era
un giovane appassionato di caccia e assai poco interessato ai
giochi degli amanti. Era quindi molto legato ad Artemide, dea
della caccia, e disprezzava Afrodite, dea dellamore. Ma non si
sfidano impunemente gli di, ci si macchia di hybris e la rovina
inevitabile. Ippolito pagher con la vita lira di Afrodite.

Una delle localit sacre pi importanti della Grecia era a Delfi.


Qui sorgeva il santuario del dio Apollo il dio della luce e della
sapienza, figlio di Zeus, rappresentato come un giovane bellis-
simo a cui ci si rivolgeva da tutta la Grecia per porgli doman-
de e averne il responso.
In questo tempio era incise alcune massime molto importante
per i Greci.
Una diceva: Conosci te stesso!
Unaltra diceva: Nulla di troppo!
Queste massime ricordavano ai visitatori la condizione delluo-
mo e la necessit di rispettare le antiche themistes: era prati-
ca decisiva quella di non andare oltre i propri limiti (Nulla di
troppo!) e di non macchiarsi per conseguenza di hybris, ma era
anche una pratica difficile da seguire, perch implicava la co-
noscenza dei propri limiti, ovviamente non uguali per tutti, n
uguali per ciascuno in tutte le et. Era quindi indispensabile
saper valutare le proprie forze e la propria natura (Conosci te
stesso!), in modo da essere sempre in pari con se stessi.

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Non troppo.
Non troppo poco.
Eccedere in un senso o nellaltro sempre pericoloso. Lordine
della natura prevede equilibrio. Non si deve mai andare contro
se stessi, n presumere troppo di s.

4. LA POLIS: ORDINE DELLA CITT E ORDINE DELLUNIVERSO

Abbiamo spesso usato la dizione ordine della natura.


Ora, sappiamo che ordine vuol dire equilibrio, composizione di
forze che si bilanciano dinamicamente, in modo diverso a se-
conda del ciclo del tempo (le stagioni dellanno, il ciclo della vita,
e cos via). Ma che cos la natura (in greco physis) di cui si parla?
la realt tutta intera. Sono le cose, gli animali, gli uomini, gli
di. Ne fa parte il Cielo, ne fa parte la Terra, ne fanno parte il
Mare come i campi, il Tartaro come lAde.
tutto, nulla escluso. Anzi, il tutto, oggi diremmo, perch la
natura una sola. In essa esistono molto forze, ma c ordine
perch tutte occupano un posto preciso e non vanno oltre i
propri limiti.
Per questo ciascun essere deve seguire la propria natura: se
non lo fa, ne paga un prezzo (o c chi ne paga un prezzo: ad
esempio la sua famiglia, o la sua citt).

Il mondo degli di e quello degli uomini appartengono quin-


di alla stessa natura: la physis una sola. Nella cultura greca
dellepoca arcaica nulla soprannaturale questa nozione non
appartiene alluniverso greco delle origini.
La natura tutta la natura regolata da leggi divine, ed
dominata da una oscura e incomprensibile forza che i Greci
chiamavano Fato, destino. evidente allora che le leggi che
governano la citt non possono essere concepite se non come
parte dellordine complessivo della natura.
Perch? Perch luomo e la citt fanno parte della natura.
Come potrebbero avere leggi che non tengono conto delle leg-
gi di natura?

20
Le leggi di cui parliamo adesso sono le stesse themistes di cui
parlavamo prima, nel paragrafo precedente: tramandate oral-
mente, sono lespressione della sapienza e della prudenza dei
padri.
Ma il mondo umano non il mondo divino, e non neppure il
mondo della natura incontaminata.
S, parte della natura, ma la citt un organismo che
luomo a costruire, in natura non esiste. Dire che fa par-
te della natura non significa dire che non luomo a co-
struirla: significa piuttosto dire che luomo d vita alla citt
- rispettando le leggi della realt fisica su cui costruita (sar
costruita su un terreno stabile che sostiene le case, costru-
ite per quanto possibile in modo da resistere a eventi na-
turali potenzialmente distruttivi frequenti nellarea gre-
ca come i terremoti; sar costruita in un luogo salubre,
privo di malaria o di altri problemi ambientali, e cos via);
- rispettando le leggi della natura umana (la struttura fisica sar
a misura duomo, la struttura politica consentir a tutti i cittadini
di vivere al meglio, come la propria natura impone, e cos via).
Come sappiamo dallo studio della storia greca, la forma tipica
della vita associata dei Greci era la polis, che loro considerava-
no una forma politica perfettamente rispondente alla natura
umana, e quindi alla natura universale di cui luomo parte.

Da un punto di vista fisico, la polis non solo la citt. lin-


sieme del territorio su cui vivono gli uomini, a cui viene data
una struttura ordinata finalizzata alle esigenze della vita:
- c labitato pi importante, con precise caratteristiche (ad
esempio la cittadella fortificata, la cosiddetta acropoli);
- ci sono i porti, che mettono in comunicazione la citt, at-
traverso il mare, con lesterno, consentendo i commerci;
- ci sono i demi, cio i villaggi sparsi nella campagna a una certa
distanza dallacropoli, dove vive la popolazione contadina;
- ci sono le fonti per lapprovvigionamento dellacqua, c
il terreno agricolo indispensabile ala produzione del cibo;
- ci sono i sistemi di difesa, che consentono alla polis di difen-
dersi dai (molti) nemici che la insidiano.

21
Da un punto di vista sociale, la polis composta dallinsieme
dei cittadini, sentiti nel mondo greco come persone che hanno
diritti speciali rispetto agli altri, che cittadini non sono: gli stra-
nieri, ad esempio, i cosiddetti meteci che a volte vivono in citt
da molto tempo, ma non hanno lo status di cittadini.
Fermo restando un ruolo diverso delle donne (ne abbiamo
parlato nel Quaderno di Diogene dedicato al Mito di Pan-
dora), nel periodo arcaico i cittadini erano uguali di fronte alla
legge, sicch si poteva dire che rispettassero il principio delli-
sonomia termine composto da isos, uguale, e nomos, legge,
cio eguaglianza di fronte alla legge.
Ma se la legge uguale per tutti (per tutti i cittadini), questo
non significa che non vi erano differenze sociali e politiche.
Significa che queste differenze erano regolate e limitate dalle
themistes, e a nessuno lecito andare oltre ci che esse co-
mandavano. La loro origine era divina, come era per tutte le
altre leggi di natura, ed erano immodificabili, se non si voleva-
no avere guai.

Questi schemi erano sentiti come appartenenti a tradizioni an-


tichissime, gradite agli di. Per ogni decisione importante la
polis consultava loracolo di Delfi, e si manteneva cos in accor-
do con lordine divino.

5. IL CAPRICCIO DEGLI DI, LA VENDETTA DEGLI DI

Va chiarita una cosa importante sugli di. Lordine divino che


governa la natura la natura delle cose, la natura umana e la
stessa natura degli di stabile e le sue leggi sono immuta-
bili. Ma, fermo restando questordine, la volont degli di
comunque fortemente capricciosa.
Usiamo questo termine certamente forte, se riferito al mon-
do divino in un senso preciso: nella mitologia greca gli di
allinterno del loro ambito di potere avevano piena libert
dazione, e la usavano! I miti mostrano di tutto: di che com-
mettono azioni addirittura innominabili, di vendicativi, o mol-

22
to buoni, premurosi, ora dolcissimi con un mortale (cio un
uomo, cos chiamato dai poeti proprio in contrapposizione agli
di, che sono immortali), ora terribili.
Imprevedibili. Capricciosi, appunto, nel senso che la loro vo-
lont era libera, e quindi instabile e mutevole, bench ciascu-
no certo seguiva la propria natura (Afrodite non si comportava
come si comporta Artemide, la vergine dea della caccia).

Non sappiamo quale sia stata lorigine di questa concezione


degli di, ma se si riflette sul fatto che la natura in effetti for-
temente capricciosa nei suoi comportamenti (pur rispettan-
do anche per noi leggi immutabili), nel senso che luomo non
riesce a prevederne il comportamento (si pensi ai terremoti),
si comprende come agli occhi di un Greco potesse risultare del
tutto ovvio che gli di avessero un comportamento capriccio-
so, perch gli di quella natura governano di essa esprimono,
personalizzate, le forze.
Anzi, proprio il capriccio degli di spiega linstabilit della natura.
Poseidone adirato, dunque certo che il mare in tempesta!
Zeus adirato, ecco il perch dei fulmini!
E per molti, altrimenti inspiegabili, comportamenti della na-
tura si raccontavano antiche storie degli di e degli eroi, che
spiegavano perch proprio l nascesse una certa fonte con ca-
ratteristiche specifiche (per esempio a Siracura la fonte Aretu-
sa, ninfa trasformata in fonte in seguito agli amori con un dio
fluviale), o perch una citt avesse un certo nome (come Ate-
ne, in rapporto agli antichi miti che la legavano alla dea Atena).
Cera sempre un racconto, che in genere univa gli uomini e gli
di, a spiegare tutto.

Gli di greci non erano solo capricciosi. Potevano anche essere


invidiosi, e per un mortale incappare nellinvidia degli di po-
teva rappresentare un pericolo tremendo. Questa concezione
greca permette di capire meglio il rapporto tra gli uomini e gli
di, che vivevano nella stessa natura e per forza di cose inte-
ragivano tra loro. La loro presenza era reale, quasi tangibile,
perch rappresentavano le forze della natura e queste forze

23
esistono, se ne fa esperienza. Un Greco fa esperienza della pre-
senza di Ares, il dio della guerra, quando infuria la battaglia;
sente la forza di Afrodite quando innamorato, sperimenta la
potenza di Poseidone nella tempesta, e cos via.
Gli di sono esseri superiori, ma gelosi della loro superiorit.
Abbassano luomo che felice e fortunato, che simile agli
di, scrivono spesso gli autori greci, per bellezza, o favori della
sorte, o felicit. Linvidia degli di pu colpire facilmente un
uomo con queste caratteristiche, ed quindi opportuno non
vantarsene mai, non farle pesare.
Gli di non vanno sfidati.
Sono pericolosi, vincono sempre loro. Perch? Perch sono
molto, molto pi potenti di qualsiasi uomo. Ma non sono trop-
po diversi per emozioni, sentimenti, passioni.
I Greci hanno concepito se stessi a immagine e somiglianza de-
gli di. O, se vogliamo, hanno concepito gli di a immagine e
somiglianza degli uomini.

Torniamo per un momento a Prometeo, prima di porlo al cen-


tro dei nostri discorsi con la specifica narrazione dei miti che
lo riguardano.
Da tutto quanto abbiamo fin qui detto, chiara una cosa: che
i Greci hanno elaborato (con Esiodo) una complessa e ordina-
ta teogonia, che spiega lorigine degli di e quindi dellattuale
stato del mondo; ma nessun poeta ha elaborato una altrettan-
to organica e ordinata antropogonia. Ci sono soltanto vari
accenni, diversi tra loro, alla nascita degli uomini in poeti di
diverse et della storia greca (per noi spesso soltanto in poeti
tardi, che riprendono antichi miti di cui non abbiamo pi anti-
che redazioni scritte).
La figura di Prometeo al centro del processo di civilizzazione,
perch lui ad aver donato il fuoco agli uomini e ad aver inse-
gnato loro le tecniche (matematica e alfabeto compreso, come
vedremo commentando un passo del Prometeo incatenato di
Eschilo). Lo vedremo nel prossimo capitolo. E in una versione
del mito Prometeo ha addirittura plasmato con largilla i primi
uomini (tutti maschi, la donna arriva dopo: lEva greca Pando-

24
ra, a cui abbiamo dedicato un altro dei Quaderni di Diogene5).
Vista quindi la cornice generale dei miti cosmogonici esiodei,
concentriamo adesso la nostra attenzione al mito specifico di
Prometeo.

ESIODO
T EOGONIA
(versi dedicati a Prometeo)6

Nascita di Prometeo (vv. 507-514)


Iapeto la fanciulla Oceanina8 dalle belle caviglie,
7

Climene, prese per sposa e con lei lo stesso talamo ascese;


ed essa a lui Atlante, dal cuore violento, partor come figlio;
partor lorgoglioso Menetio, e poi Prometeo,

[5] Il mito di Pandora. Una riflessione filosofica sullambiguit al femminile,


a cura di A. Chiaino, Edizioni del Giardino dei Pensieri, Bologna 2013.
[6]Traduzione dal greco tratta da Esiodo, Opere, a cura di G. Arrighetti,
Einaudi-Gallimard, Torino 1998, pp. 29-33.
[7] Giapeto, titano figlio di Urano e Gea (le divinit delle origini), fratello
maggiore di Crono, appartiene dunque alla seconda generazione degli di.
[8] Le Oceanine erano ninfe figlie del titano Oceano e della titanide Teti,
moglie e sorella di Oceano, entrambi figli di Urano e Gea. Personificavano i
ruscelli e le sorgenti.

25
versatile e astuto, e il malaccorto9 Epimeteo10,
che dallinizio fu un male per gli uomini che mangiano il pane:
per primo infatti accolse la donna11 formata da Zeus,
fanciulla. ()

Punizione di Peometeo per aver rubato il fuoco agli di (vv.


521-525)
Leg12 Prometeo da vari pensieri con inestricabili lacci,
con legami dolorosi che a mezzo duna colonna poi avvolse,
e sopra gli avvent unaquila, ampia dali; questa il fegato
gli mangiava immortale, che ricresceva altrettanto
la notte quanto nel giorno gli aveva mangiato luccello
dallampie ali.

Liberazione di Prometeo (vv. 526-534)


Ma quello lo uccise il prode figlio di Alcmena dalle belle ca-
13

viglie,
Eracle, e dalla crudele siciagura allontan
il figlio di Iapeto, e lo liber dai tormenti
non contro il volere di Zeus Olimipio che regna nellalto,
perch di Eracle, stirpe di Tebe, la fama fosse
maggiore di quanto lo era prima sulla terra nutrice.
Cos dunque rispett e onor lillustre suo figlio

[9]Malaccorto perch, al momento di donare a ogni animale unarma


peculiare per difendersi, si dimentic delluomo (al quale poi pens Prometeo
donandogli memoria e intelligenza), ma soprattutto perch si fece ingannare
da Zeus sposando Pandora, la prima donna, portatrice di sciagure per gli
uomini. Daltronde il nome stesso a fornirci un significato del suo modo di
agire: Epimeteo colui che riflette in ritardo.
[10] Atlante, Epimeteo, Menezio e Prometeo sono dunque i quattro figli di
Giapeto e Climene.
[11]Pandora.
[12] Zeus incaric il dio Efesto di incatenare Prometeo ad una rupe.
[13]Laquila.

26
e, pur irato, lasci il rancore che prima nutriva
perch quello volle contendere contro i disegni del possente
figlio di Kronos14.

Linganno di Prometeo a Zeus (vv. 535-557)


Infatti, quando si separarono di e uomini mortali
a Mecone15, allora un grande bue16, con animo consapevole,
offr, dopo averlo spartito, volendo ingannare la mente di
Zeus;
per la stirpe degli uomini, infatti, carni e interiora ricche di
grasso
pose in una pelle, nascostele nel ventre del bue,
per la stirpe degli di, poi, ossa bianche di bue, per perfido
inganno,
con arte dispose, nasconste nel bianco grasso.
E allora gli disse il padre degli uomini e degli di:
O figlio di Iapeto, illustre fra tutti i signori,
amico mio caro, con quanta ingiustizia facesti le parti.
Cos disse, Zeus beffardo che sa eterni pensieri;
ma a lui rispose Prometeo dai torti pensieri,
ridendo sommesso, e non dimenticava le sue ingannevoli arti:
O Zeus nobilissimo, il pi grande degli di sempre esistenti,
di queste scegli quella che il cuore nel petto ti dice.
Cos disse meditando inganni, ma Zeus che sa eterni pensieri
riconobbe linganno, n gli sfugg, e mali meditava dentro il
suo cuore
per gli uomini mortali e a compierli si preparava.
Con ambedue le mani il bianco grasso raccolse;
si adir dentro lanimo e lira raggiunse il suo cuore,
come vide le ossa bianche del bue, frutto del perfido inganno:

[14] Zeus il figlio di Crono, appartiene dunque alla terza generazione degli
di, quella definitiva.
[15] Il primo scontro tra Prometeo e Zeus avvenne nella mitica citt di
Mecone.
[16] Altre versioni (e traduzioni) del mito parlano di un toro.

27
da allora che agli immortali la stirpe degli uomini sulla terra
brucia ossa bianche sugli altari odorosi17.

La punizione degli uomini per aver ricevuto da Prometeo la


parte migliore del bue (vv. 558-564)
Molto indignato gli disse Zeus adunatore di nubi:
O figlio di Iapeto, tu che tutti superi nei pensieri,
caro amico, non mi sfugg la tua arte ingannevole.
Cos disse Zeus adirato, che sa eterni pensieri,
e da allora dellinganno memore sempre
non concesse pi al legno la forza del fuoco indefesso
per gli uomini mortali che sulla terra hanno dimora.

Prometeo ruba il fuoco per donarlo agli uomini (vv. 565-569)


Ma il prode figlio di Iapeto lo ingann
rubando il bagliore lungisplendente del fuoco indefesso
in una ferula cava; saddolor fino in fondo nel cuore
Zeus altotonante, e lanimo gli arse dallira
appena vide fra gli uomini il bagliore lungisplendente del
fuoco18.

[17] Questa, dunque, la mitica origine dei sacrifici agli di ad opera degli
uomini.
[18] Qui Zeus, per vendicarsi di Prometeo e degli uomini, ord il suo piano
pi malefico, quello di mandare sulla terra una donna, Pandora, portatrice
di mali e sciagure. Ancora una volta si rimanda al nostro gi citato Mito di
Pandora.

28
ESIODO

OP ERE E GIORNI 19
(versi dedicati a Prometeo, vv. 42-59)

Gli di nascondono agli uomini i mezzi per vivere;


facilmente un giorno soltanto potresti lavorare
e per un anno avresti di che restare nellozio,
subito lasceresti al focolare appeso il timone
e andrebbe perduta la dura fatica dei buoi e delle mule pa-
zienti20.
Ma Zeus tutto questo occult, sdegnato nellanimo,
ch Prometeo, dai torti pensieri, laveva ingannato.
Da ci, per gli uomini medit sciagure che portano pianto
e nascose il fuoco; di nuovo per la stirpe mortale,
il prode figlio di Giapeto lo sottrasse al saggio Zeus,
in una ferula cava, di nascosto a Zeus signore del fulmine.
Gli disse allora irato Zeus, adunatore dei nembi:
Figlio di Giapeto, il pi astuto fra tutti gli uomini,
ti rallegri daver rubato il fuoco e ingannato il mio volere,
grande sciagura per te stesso e per gli uomini a venire;
a loro dar un male, in cambio del fuoco, per il quale tutti
gioiranno, accogliendo con amore il loro malanno21.
Cos disse, poi rise il padre degli uomini e degli di.

[19]Traduzione dal greco tratta da Esiodo, Opere e giorni, a cura di S.


Romani, Mondadori, Milano 1997, p. 7.
[20] Esiodo allude cos alla mitica Et dellOro, in cui di e uomini godevano
delle primizie della natura senza dover lavorare.
[21] Si riferisce, ovviamente, a Pandora.

29
CAPITOLO I

IL MIT O DI P ROMET EO

I miti dellantichit hanno e sempre avranno qualcosa da inse-


gnare, anche alluomo della post-modernit. Forse soprattutto
alluomo della post-modernit, smarrito in uno spazio infinito
dove labirinti di immagini, messaggi, stimoli, spot pubblicitari
e merci da acquistare come imperativi assoluti si avvicendano
senza sosta, lasciandolo spesso confuso e alla ricerca di una
identit forte e solida, di una strada certa da seguire. Soprat-
tutto in tempi di crisi e di incertezza la mitologia pu rischia-
rare la via.
Perch i racconti mitologici dovrebbero avere ancora un senso
per noi?
Perch sono degli universali, degli archetipi in senso junghia-
no22 - ovvero dei temi che appartengono allumanit nella sua
totalit, al di l dello spazio geografico e del tempo storico; raf-
figurano le esperienze fondamentali che luomo affronta nella
sua esperienza di vita: la vita e la morte, la trasformazione,
il rapporto con la natura e gli di, il bene e il male, lamore e
lodio, la caduta e la salvezza, il maschile e il femminile e tutti
i grandi motivi che le profondit dellinconscio individuale e
collettivo direbbe Jung possono svelare.

[22] Vedi, di C. G. Jung, per esempio Gli archetipi dellinconscio collettivo,


Bollati Boringhieri, Torino 1982.

30
James Hillman ci dice che la mitologia la psicologia dellan-
tichit, e prosegue: gli antichi non avevano una psicologia
in senso stretto, ma avevano i miti, racconti congetturali su-
gli esseri umani nella loro relazione con forze e immagini pi
che umane23. Essi sono una rappresentazione del complesso
mondo interiore delluomo nella sua universalit, delle forze
che ne popolano le profondit, alle quali le culture antiche
hanno dato forma e vita.
Raccontiamo allora una storia, di certo conosciuta, ma le gran-
di storie non temono di essere ri-raccontate tante e tante volte
e non hanno paura di invecchiare.
Il protagonista di questa storia leggendaria un personaggio
dalla natura ambigua: non uomo, eppure paladino della spe-
cie umana, non dio a tutti gli effetti, perch non appartiene
alla discendenza degli di olimpici, Titano senza esserlo com-
pletamente, poich suo padre, Giapeto, fratello di Cronos,
un Titano, ma lui non prende parte come gli altri alla battaglia
contro Zeus e la sua stirpe di di olimpici. Il suo nome Pro-
meteo, (pro-metis, colui che pensa in anticipo, il preveggente e
per questo anche lastuto). Suo alter-ego il fratello Epimeteo
(anchegli rimasto neutrale nella scalata al cielo dei Titani e per
questo non punito dal re degli di: Zeus, il rappresentante del-
la Giustizia e dellordine cosmico). Epimeteo la controparte
di Prometeo, colui che pensa e conosce troppo tardi, limpul-
sivo e lirriflessivo, colui che cadr nellinganno di Zeus.
Nel corso delle vicende mitologiche, Prometeo d prova ri-
petutamente della sua scaltrezza, sempre a difesa o a favore
della specie umana e a scapito di Zeus che, adirato, infligge
puntualmente il suo castigo.
Un giorno, nellepoca doro in cui uomini e di vivevano vici-
ni e in pace, nasce una discussione su quali parti di un toro
da sacrificare devono essere offerte agli di e quali possono
rimanere agli uomini. Zeus l, in prima fila ad assistere alla
discussione. Affida infine a Prometeo il gravoso incarico di de-

[23] J. Hillman, Il sogno e il mondo infero, Adelphi, Milano 2003, cit., pp.
36-37.

31
cidere come affrontare la spartizione. Non si tratta infatti solo
di un compito tecnico: le parti da assegnare agli uni e agli altri
segneranno la frontiera che separa gli uomini e gli di e la loro
differenza di condizione. Il destino umano nelle sue mani e
Prometeo non ha dubbi.
Scuoia lenorme animale, ne pulisce le ossa e procede al taglio
della carne. Poi riunisce tutte le ossa, che ricopre di uno strato
di grasso bianco e succulento, mentre le parti di carne polposa
e nutriente vengono nascoste dentro il ventre viscido e sporco
dellanimale. Cos confezionati, i due pacchetti vengono portati
al cospetto di Zeus, affinch faccia la sua scelta. Nonostante la
sua grandezza, Zeus si lascia abbagliare dallesteriorit e, forse
con una punta di incertezza, sceglie la parte avvolta nel grasso
appetitoso e bianco. Quando per apre linvolucro, appaiono
alla vista di tutti solo le ossa, linde e perfettamente ripulite
della carne che le avvolgeva. Zeus stato ingannato24 e la sua

[24]La storia appena narrata potrebbe stupire, poich sembra mostrare


che Prometeo ha potuto ingannare Zeus, riservando agli uomini la parte
migliore del sacrificio. (). Nelloperare la divisione Prometeo agisce in
modo menzognero poich lapparenza una finzione. Il buono si cela sotto
le sembianze del brutto, il cattivo prende laspetto del bello. Ma veramente
Prometeo ha destinato agli uomini la parte migliore? Anche qui lambiguit
resta. Certo gli uomini ricevono le parti commestibili della bestia sacrificata,
ma il fatto che i mortali hanno bisogno di mangiare. La loro condizione
opposta a quella divina, non possono vivere senza nutrirsi di continuo.
Gli uomini non sono autosufficienti, hanno bisogno di procurarsi risorse di
energia dal mondo circostante, senza le quali deperiscono. Ci che definisce
gli umani infatti proprio la necessit di mangiare il pane e la carne dei
sacrifici, e bere il vino della vigna. Gli di non hanno bisogno di mangiare,
non conoscono ne il pane, ne il vino, ne la carne degli animali sacrificati.
Vivono senza doversi nutrire, o meglio assimilano soltanto degli pseudo-
nutrimenti, il nettare e lambrosia, cibi divini che donano immortalit.
La vitalit degli di dunque di natura diversa rispetto a quella umana.
Questultima e una sub-vitalit, una sub-esistenza, una sottospecie di forza:
unenergia a intermittenza. Bisogna alimentarla in eterno. Non appena un
essere umano ha fatto un qualche sforzo, subito si sente stanco, spossato,
affamato. Per dirla in altre parole, nella divisione fatta da Prometeo, la parte
migliore proprio quella che, sotto lapparenza pi appetitosa, nasconde

32
ira non si fa attendere.
A seguito di questo umiliante inganno di Prometeo il dio de-
cide di sottrarre agli uomini un bene assai prezioso: il fuoco,
condannandoli cos ad una sorta di caduta verso lanimalit, un
regresso evolutivo straordinario anche se il paradigma evolu-
zionista non appartiene al pensiero greco antico. Il fuoco in-
fatti un elemento naturale carico di un fortissimo simbolismo:
il fuoco viene infatti dal fulmine di Zeus, strumento e simbolo
del suo potere divino; il fuoco lenergia maschile, che trasfor-
ma o distrugge, lo strumento che consente alluomo di posse-
dere la techne, il potere della conoscenza25.
Vi era un tempo in cui gli uomini vivevano in una sorta di Et
dellOro, in cui non conoscevano la fatica, il lavoro, la fame:
tutto ci che serviva loro era l, a loro disposizione, non do-
vevano che servirsi. Ora invece, per decisione di Zeus, ci che
prima era spontaneo diventa il frutto di un lavoro, conquistato
con fatica e sudore. Insieme al fuoco, inoltre Zeus nasconde
agli uomini anche il nutrimento per eccellenza, il grano. Se
prima esso cresceva ovunque spontaneo, ora luomo dovr

invece le ossa spolpate. Le ossa bianche rappresentano proprio quello che


lanimale o lessere umano possiede di veramente prezioso, di non mortale;
le ossa non rischiano di putrefarsi, esse disegnano larchitettura del corpo.
La carne si disfa, si decompone, ma lo scheletro rappresenta lelemento di
continuit. Tutto quello che in un animale non commestibile, e anche ci
che non mortale, limmutabile, ci che, di conseguenza, pi si avvicina al
divino. Agli occhi di chi ha inventato questa storia le ossa appaiono ancor
pi importanti, poich contengono il midollo, quella molle sostanza che, per
i Greci, in relazione con il cervello e anche con il seme maschile. Il midollo
rappresenta la vitalit di un animale nella sua continuit, di generazione in
generazione, e assicura la fecondit e la progenie. J.-P. Vernant, Luniverso,
gli di, gli uomini, Einaudi, Torino 2000, cit., pp. 54-55.
[25] Per i Greci il grano una pianta cotta dal calore del sole, ma anche
dallintervento delluomo. Il fornaio cuoce il grano mettendolo in forno.
Il fuoco quindi veramente il simbolo della cultura umana. Il fuoco di
Prometeo, rubato con astuzia, proprio un fuoco tecnico, un processo
intellettuale, che differenzia gli uomini dalle bestie e ne consacra il carattere
di creature civilizzate. Ivi, p. 61.

33
scavare nel ventre della terra, nascondervi i semi, attendere
che germogli, raccoglierlo e lavorarlo. Lagricoltura far il suo
ingresso nella storia degli esseri umani.
Di fronte a tale sventura, Prometeo lastuto non si d certo per
vinto ed escogita un altro dei suoi piani per soccorrere il gene-
re umano. Si introduce di nascosto nellOlimpo, ruba un seme
del fuoco (sperma pyros26) di Zeus e lo nasconde nellincavo di
una canna, verde allesterno ma secca allinterno, cos che il
fuoco pu bruciare senza essere visto, mentre egli torna sulla
terra e fa dono agli uomini del seme del fuoco celeste.
Quando Zeus, dalla sua dimora olimpica, scorge il bagliore bril-
lare nelle case degli uomini viene invaso dalla collera; il suo ca-
stigo forse il peggiore non tarder ad abbattersi sugli uomini.
Ha inizio il terzo atto. Zeus convoca Efesto, dio del fuoco, dei
metalli e della metallurgia, il grande inventore e costruttore a
cui nessun miracolo tecnico impossibile. Egli dovr plasma-
re dallargilla una forma umana femminile, bella e giovane, in
cui verr soffiata la vita e che verr adornata da tutte le dee
dellOlimpo. Ecco che prende vita Pandora, larchetipo della
donna, la prima, poich ancora tra gli umani non ve ne erano.
Bellissima, giovane, aggraziata, adornata di gioielli splendenti
e pregiati, di vesti preziose e che ne fanno intravedere il corpo
dalle forme sinuose. Pandora ha laspetto di una dea, risplende
di una bellezza quasi paralizzante e di fronte alla quale non si
pu che rimanere soggiogati.
La sua sembianza divina nasconde per una natura astuta e
menzognera, accompagnata da un appetito inesauribile e da
tutti gli attributi misogini del femminile. Ancora una volta le-

[26] Scrive sempre Jean-Pierre Vernant: Gli uomini dispongono nuovamente


di un fuoco, ma si tratta di un fuoco che non pi quello di un tempo. Il fuoco
che Zeus ha nascosto il fuoco celeste, quello che brilla in permanenza nella
sua mano, senza mai affievolirsi, senza mai venir meno: un fuoco immortale.
Il fuoco di cui dispongono ora gli uomini a partire da questo seme, piuttosto
un fuoco che nato poich generato da un seme e, di conseguenza,
un fuoco che muore. Bisogna infatti darsi da fare per mantenerlo, bisogna
vegliare su di lui. Ivi, pp. 60-61.

34
sterno seducente nasconde linganno che cova al suo interno.
Prometeo, lessere che vede in anticipo, ancora non a cono-
scenza del destino che attender i mortali, ma sa che Zeus non
lascer impunito il suo gesto. Egli intuisce che attraverso il fra-
tello Epimeteo, lo sprovveduto, passer la mano della giustizia
divina, cos si raccomanda al fratello, facendolo giurare di non
accettare nessun dono dagli di, per quanto bello e seducen-
te esso possa apparire. Epimeteo allertato e giura. Ma nulla
pu contro il volere divino, cos, quando Pandora si presenta
al suo cospetto, sfavillante di bellezza e fascino, lui dimentica
tutto e la fa entrare in casa sua come sua sposa.
Ora tutto fila secondo i piani di Zeus, che pu portare a ter-
mine in suo intento. Il dio sussurra a Pandora di cercare una
grande giara, come tante che stavano nelle dispense a con-
tenere vino, olio, cereali, ma ben chiusa e nascosta. Pandora
ubbidisce e, appena il marito esce, si introduce nella dispensa,
trova la misteriosa giara e ne apre il coperchio per vedere cosa
contiene, premurandosi di rimetterlo subito al suo posto come
Zeus le ha indicato. Ecco allora che da essa fuoriescono, invisi-
bili ma dilaganti, tutti i mali e le sofferenze che agli umani era-
no stati fino ad ora risparmiati: le malattie, la fame, la morte, il
dolore, la povert, la paura, la violenza, la guerra Solo elpis,
lattesa di ci che ancora deve accadere, rimane intrappola-
ta nella giara, lasciando al genere umano il dono consolatorio
della speranza.
La donna dunque, ingannevole maleficio di Zeus, porta sul
mondo degli uomini ogni genere di sventura, sempre precedu-
ta dallo scintillio che la seduzione e la bellezza esteriore porta-
no con s. Ora lumanit ha una natura duplice data appunto
dalla dualit dei sessi, il maschile e il femminile; essi saranno
legati dalla lotta ma al contempo dallattrazione, la differenza
ne presuppone la complementariet.
Se il genere umano ora ridotto a subire impotente i mali del
mondo, anche Prometeo non se la cava tanto meglio, Zeus lo
costringe infatti fra cielo e terra, imprigionandolo su una mon-
tagna, incatenato saldamente ad una colonna. Cos colui che
aveva consegnato agli uomini il loro cibo mortale, la carne, di-

35
venta ora il nutrimento dellaquila di Zeus, luccello che porta
il fulmine del dio ed messaggero della sua forza invincibile.
lui, Prometeo, che diventa la vittima, le carni tagliate nel
vivo della carne. Tutti i giorni laquila di Zeus divora il suo fe-
gato senza lasciarne una sola briciola, e ogni notte questo si
rigenera affinch lanimale possa trovare, al mattino, il suo pa-
sto intatto. E cos sar fino a quando Eracle27, con il consenso
di Zeus, non liberer Prometeo, che ricever una sorta di im-
mortalit dalla morte del Centauro Chirone. Era questultimo
un eroe saggio e benevolo che aveva insegnato ad Achille e a
molti altri eroi ad essere invincibili. Chirone dunque ferito,
soffre moltissimo e la sua piaga non pu guarire, ma essendo
immortale, sebbene lo desideri, non pu morire. Ha cos luogo
uno scambio. Prometeo, nato mortale, offre a Chirone il suo
diritto alla morte e in cambio prende la sua immortalit. En-
trambi sono liberi28.
Il sipario si chiude. Cos ha termine il racconto di Prometeo,
essere dei due mondi, il divino e lumano, il seme della conte-
stazione nel seno dellordine di Zeus, colui che non sapr rima-
nere nel limite che il dio ha inscritto nel mondo e sempre cer-
cher di sfidarne il disegno, attraverso lingegno e il coraggio.

[27] Si tratta di uno degli eroi pi popolari della mitologia, colui che i Latini
chiamavano Ercole.
[28] J.-P. Vernant, Luniverso, gli di, gli uomini, p. 69.

36
CAPITOLO II

IL P ROMET EO
INCAT ENATO DI ESCHILO

1. LUOMO, IL DESTINO,
LA DIVINIT NELLA TRAGEDIA GRECA

I poeti tragici di cui ci sono state conservate per intero alcune


tragedie (sono Eschilo, Sofocle ed Euripide), pur non elaboran-
do una filosofia, hanno portato sulla scena alcuni drammati-
ci problemi che lumanit ha dovuto affrontare in ogni tem-
po e che ancora oggi sono acutamente sentiti. Nonostante la
distanza che ci separa dal mondo mitico rappresentato sulla
scena, la tragedia attica appare alluomo moderno come parte
non superata del proprio mondo, come una meditazione sen-
za tempo sulla condizione umana. Le opere dei poeti tragici
dellAtene classica sono in questo senso attuali e lo spettato-
re, oggi come un tempo, prova un grande godimento estetico
nellassistere ad una loro rappresentazione ed portato a me-
ditare ancora una volta sui destini delluomo e sul significato
della vita.
Quanto alla collocazione storica, il mondo della tragedia greca
nasce alla fine dellet arcaica. Dopo un (per noi) largamente

37
oscuro periodo delle origini, che dovette avere inizio intorno al
540 a. C., la cultura dei cittadini a cui essa si rivolge quella del
V secolo, contraddistinta da una nuova concezione del mondo
distaccata dagli antichi miti e avviata verso una compiuta con-
sapevolezza della razionalit delluomo e della sua autonomia
morale.
Luomo greco ha ormai preso coscienza della propria autono-
ma sfera spirituale, ma si sente in bala di potenze superiori
insondabili, la cui forza sperimenta non solo negli eventi og-
gettivi del mondo, ma anche nella propria vita interiore, sotto
forma di passioni, ansie, ambizioni, conflitti emotivi: egli ne av-
verte la potenza e vive il conflitto tra la sua libera personalit
e il cieco dominio di cui si sente vittima. Come cittadino, poi,
luomo greco si considera ormai padrone del proprio destino
dal punto di vista politico: la tragedia fiorisce nel momento di
massimo vigore della democrazia ateniese, tra la vittoria di
Salamina e la sconfitta nella guerra del Peloponneso. E la sua
nascita parallela alla nascita della democrazia.
Tuttavia, nonostante i tempi nuovi, nella tragedia alcuni temi
collegano il mondo arcaico che va scomparendo con la nuova
cultura, che trover la sua espressione filosofica, sul finire del
secolo, nei sofisti ed in Socrate. Questo prolungarsi nel tempo
delle tematiche degli antichi poeti (soprattutto Omero, Esiodo
e Solone) ci dice come la tragedia debba essere inserita armo-
nicamente nellalveo della cultura greca e non rappresenti, per
la visione delluomo e del divino, una rivoluzione. come una
pianta che cresce, di cui si riconoscono bene le radici, tutte
legate al mondo del mito.

Il dolore delluomo e lessenza del divino

I poeti arcaici che hanno cantato le divinit olimpiche e hanno


narrato il formarsi del dominio sul mondo che esse esercitano,
non hanno esaurito la ricerca religiosa, sempre viva nel mute-
vole mondo del mito. Parallelamente, al loro fianco si sono dif-
fuse le religioni dei misteri. Poi, a partire dal VI secolo, la filo-

38
sofia ha proposto una diversa immagine del divino: si pensi, ad
esempio, a Senofane, il primo nei cui versi compaia lidea che
la divinit debba essere concepita in modo totalmente diver-
so dalla tradizione, tacciata di antropomorfismo. I poeti tragici
esplorano il mito, non lo abbandonano, ma cercano una verit
pi profonda dei racconti: una verit sul divino e sullumano.
Le due ricerche sono collegate. Nei tragici la ricerca umana
sullessenza del divino nel mondo torna sulla scena della rifles-
sione poetica in stretta connessione con la impietosa visione
del destino delluomo e del dolore come condizione propria
del vivere (loro, senza morte, noi, esseri di un giorno, dicono
i Greci).
La ricerca umana sulla verit pone al divino domande senza
risposta: perch il male vince nel mondo? perch il giusto va in
rovina e lingiusto vive una vita piena e felice? Come possono
gli di permettere questo ed essere chiamati giusti?
I tragici trattano questi temi non attraverso argomentazioni fi-
losofiche, ma portando sulla scena gli antichi miti, facendo dia-
logare uomini e di di fronte al pubblico, ponendo sulle labbra
del coro meditazioni poetico-filosofiche. Essi esprimono con
tono grave ed elevato il sentire proprio delluomo, coscienza
libera di fronte allimplacabile necessit del corso del mondo.
E poich la cultura del mito riflette su un piano eroico e divino
lesperienza dellumanit, lo spettatore portato a immedesi-
marsi, a meditare anchegli sul messaggio del poeta, guidato
dalla suggestione fortissima del teatro, della sceneggiatura,
dellatmosfera magica che la rappresentazione greca sa creare
nella cornice quasi incantata dello spazio scenico.
Del resto che la tragedia produca i suoi effetti attraverso una
sorta di incantesimo della parola immagine gi antica: la fa
propria il sofista Gorgia quando scrive: Fior allora la tragedia
e fu celebrata dai contemporanei come audizione e spettacolo
mirabile, poich creava con le sue finzioni e passioni un ingan-
no dice Gorgia per il quale chi inganna agisce meglio di
chi non inganna, e chi ingannato pi saggio di chi non
ingannato. Il testo un frammento che ci stato conservato
da Plutarco, e per intenderne il senso utile richiamare la teo-

39
ria di Gorgia sulla parola come un vero e proprio incantesimo:
Grande padrone la parola, che pur con un corpo microsco-
pico e del tutto invisibile riesce per a compiere opere assolu-
tamente degne degli di: infatti pu placare il timore, elimina-
re il dolore, infondere la gioia, accrescere la piet. E mostrer
come ci avvenga.
Bisogna infatti renderlo evidente per lopinione degli ascolta-
tori. Io considero e definisco tutta la poesia discorso in metri-
ca; essa infonde negli ascoltatori brividi di paura, lacrime di
compassione, il rimpianto struggente per un lutto, e attraverso
le parole riesce a fare sentire come proprie le fortune o le di-
sgrazie relative a fatti e persone estranei. Ors, bisogna che
faccia un ulteriore passaggio.
Gli incantesimi di ispirazione divina attraverso le parole induco-
no il piacere, rimuovono il dolore; infatti diventando una cosa
sola con lopinione dellanima, con il suo potere lincantesimo
la affascina, la seduce e la trasforma con il suo potere magico.
La magia e lincanto hanno trovato due mezzi per raggiungere
il loro scopo: gli errori dellanimo e gli inganni della opinione
(da Gorgia da Lentini, Encomio di Elena).

Luomo e il destino: si pu combattere contro il destino?

Accanto al rapporto tra luomo e la divinit, i tragici hanno


poi portato sulla scena il conflitto che insorge nelluomo tra la
propria libert carattere irrinunciabile della persona, senza
la quale luomo non uomo e limpersonale destino che so-
vrasta ogni cosa e guida ogni evento.
Luomo vive in un mondo dominato dalla Moira, limpersonale
fato, eppure libero. Quanto ci accade intorno le condizioni
nelle quali luomo si trova a vivere e che lo costringono a pren-
dere decisioni a volte estremamente gravi non opera del
singolo. Luomo si trova in una determinata situazione, a volte
vi nasce, come accade per le famiglie in cui le colpe dei padri
ricadono sui figli.
responsabile delle sue scelte? O il dominio del fato grava

40
anche sulluomo, sulle sue passioni e sulla sua stessa mente,
rendendolo, mentre crede di essere libero, strumento ogget-
tivo del fato? oppure al contrario la libert delluomo tanto
ampia da permettergli di combattere contro il destino?
Proprio questo, infatti, accade sulla scena: leroe tragico com-
batte come persona contro il destino, anche se ci spesso lo
conduce alla morte. Ma questa la sua dignit, il suo onore.
Il senso tragico della responsabilit sorge allorch lazione
umana forma loggetto di una riflessione, di un dibattito, ma
non ha acquisito uno statuto sufficientemente autonomo per
bastare compiutamente a se stessa. La sfera propria della tra-
gedia si colloca in questa zona di confine, ove gli atti umani
vengono ad articolarsi con le potenze divine e rivelano il loro
vero senso, ignorato da coloro stessi che ne hanno preso lini-
ziativa e ne portano la responsabilit, inserendosi in un ordine
che oltrepassa luomo e gli sfugge (J.-P. Vernant).
Il tema della lotta umana contro il cieco e necessario corso de-
gli eventi universale, cos come universale linterrogarsi sul
senso del male e del dolore, in una natura che luomo sente
vivificata dalla presenza del divino. I Greci guardano a questi
temi dallangolazione particolare della loro cultura, ma la forza
dei personaggi tragici sta proprio nel fatto che essi incarnano
modelli che sono attuali in ogni tempo. In filosofia il problema
del male tormenter le coscienze lungo tutto il corso della sua
storia soprattutto dallaffermarsi del Cristianesimo in poi, con
la sua visione di una divinit perfetta che mal si concilia con le-
sistenza del male nel creato. E il rapporto tra la libert delluo-
mo e il cieco destino che incombe sulla vita porta ancora oggi
a meditare sul senso della vita: luomo combatte da persona
libera, e il cieco caso sembra dirigere al posto suo il corso degli
eventi. Luomo domina la sua vita? Domina la storia? O ne
dominato, nonostante la sua libert?
La risposta che la tragedia greca d al tema del destino che
s, luomo pu combattere contro il destino, anche consape-
volmente sapendo di perdere, e non fermarsi. Ma non pu
vincere.

41
La tragedia nella polis

La tragedia non solamente una forma darte; unistituzio-


ne sociale che, con la fondazione dei concorsi tragici, la citt
instaura accanto ai suoi organi politici e giudiziari. Instaurando
sotto lautorit dellarconte eponimo, nello stesso spazio urba-
no e secondo le stesse norme costituzionali delle assemblee e
dei tribunali popolari, uno spettacolo aperto a tutti i cittadini,
diretto, interpretato e giudicato dai rappresentanti qualificati
delle diverse trib, la citt si fa teatro; in un certo senso essa
prende se stessa come oggetto di rappresentazione e interpre-
ta se stessa davanti al pubblico. Ma se, cos, la tragedia appa-
re radicata pi di qualsiasi altro genere letterario nella realt
sociale, ci non significa che ne sia il riflesso. Essa non riflet-
te questa realt: la mette in causa. Presentandola lacerata, in
urto con se stessa, la rende tutta quanta problematica. (...) La
tragedia () nasce quando si comincia a guardare il mito con
locchio del cittadino. (...) Il mondo della citt (...) si trova mes-
so in causa e, attraverso il dibattito, contestato nei suoi valori
fondamentali. (...)
Ci che forse definisce [la tragedia] nella sua essenza il fatto
che il dramma portato sulla scena si svolge contemporanea-
mente a livello dellesistenza quotidiana, in un tempo umano,
opaco, fatto di presenti successivi e limitati, e in un aldil della
vita terrestre, in un tempo divino, onnipresente, che abbraccia
ad ogni istante la totalit degli eventi, ora per celarli, ora per
scoprirli, ma senza che nulla mai gli sfugga n si perda nello-
blio. (...)
Tentare la sorte: nei tragici, lazione umana non ha in s abba-
stanza forza per fare a meno degli di, non ha abbastanza au-
tonomia per pensarsi completamente al di fuori di essi. (...) In
questo gioco, che non lui a condurre, luomo rischia sempre
di essere preso nella trappola delle proprie decisioni. Gli di
gli sono incomprensibili. Quando li interroga per precauzione,
prima di agire, ed essi accettano di parlare, la loro risposta
equivoca e ambigua come la situazione sulla quale si sollecita-
va il loro consiglio.

42
Nella prospettiva tragica, agire (...) [significa] entrare nel gioco di
forze soprannaturali delle quali non si sa se preparino, collabo-
rando con voi, il vostro successo o la vostra rovina. (...) Perch vi
sia azione tragica occorre che si sia gi sviluppata la nozione di
una natura umana avente caratteri suoi propri, e che di conse-
guenza i piani umano e divino siano abbastanza distinti per con-
trapporsi; ma bisogna anche che non cessino di apparire insepa-
rabili. Il senso tragico della responsabilit sorge allorch lazione
umana fa posto al dibattito interiore del soggetto, allintenzio-
ne, alla premeditazione, senza avere per acquisito bastante
consistenza e autonomia per essere autosufficiente. Il mondo
proprio della tragedia si colloca in questa zona di confine ove
gli atti umani acquistano il loro vero senso, ignorato dallagente,
integrandosi in un ordine che supera luomo e gli sfugge29.
Le origini della tragedia greca e della parola stessa sono oscu-
re. Il termine tragedia significa etimologicamente canto per il
capro, con riferimento a Dioniso, il dio silvestre a cui il capro
in qualche modo connesso.
Il rapporto fra le tragedie e il dio Dioniso era stretto: esse in-
fatti erano rappresentate in Atene nel corso delle festivit in
onore di questa divinit. Erano quindi parte di un atto di culto,
circondate dalla sacra atmosfera di mistero che pervade ogni
forma di manifestazione religiosa. La messa in scena delle tra-
gedie seguiva precisi rituali e aveva un carattere competitivo,
perch i poeti erano in gara fra loro. Le rappresentazioni tragi-
che duravano tre giorni, mentre un quarto giorno era dedicato
alla commedia. In ciascuna delle giornate dal mattino alla
sera un solo autore portava sulla scena una trilogia cio tre
tragedie, dapprima di argomento collegato, poi separato ed
un dramma satiresco, cio una rappresentazione di carattere
burlesco. Alla fine delle quattro giornate si proclamava il poeta
vincitore. Questa celebrazione accomunava le gare tragiche
ai grandi giochi, come quelli di Olimpia, ai quali nel mondo gre-
co era attribuita una importanza enorme.

[29] Da J.-P. Vernant e P. Vidal-Naquet, Mito e tragedia nellantica Grecia,


tr. it. di M. Rettori, Einaudi, Torino 1976, pp. 11-13, 24-27.

43
Alle rappresentazioni partecipava tutto il popolo, in un clima
di festa che si prolungava per diversi giorni durante i quali era-
no sospese le attivit lavorative. E questo doveva accentuare
quella sorta di sospensione del tempo che condizione spiri-
tuale necessaria allimmersione in un mondo mitico-religioso,
cos come richiesto dallevento teatrale. Poich lintera comu-
nit partecipava alla festa, essa era un momento di unit del
popolo, e una delle fondamentali funzioni della tragedia era
quella di determinare un ampio consenso del popolo alla vita
unitaria della polis, che tutti sentivano come propria anche in
grazia di questi momenti comuni.

Il poeta, inoltre, aveva la grande responsabilit di istruire il


popolo proseguendo con questo la tradizione degli antichi
poeti, maestri del popolo perch attraverso la rappresen-
tazione tragica lantica tradizione veniva riproposta, dando ai
cittadini il senso della appartenenza ad una comune cultura. I
problemi politici e culturali del momento trovavano poi une-
co sulla scena, e il poeta poteva influire sulla formazione della
opinione pubblica richiamando i cittadini alla meditazione
sui valori su cui si reggeva la citt antica. Anche per questi mo-
tivi lorganizzazione delle rappresentazioni tragiche era a ca-
rico dello Stato, che ne curava tutti gli aspetti. I poeti agivano
quindi al servizio della polis.

2. LA NARRAZIONE DEL MITO


NEL PROMETEO INCATENATO DI ESCHILO

Eschilo il primo poeta tragico di cui ci sono state tramandate


alcune opere. La produzione precedente per noi perduta, se
ne intravedono i caratteri solo dalle narrazioni degli antichi che
ci sono state tramandate e da qualche frammento.
La vita di Eschilo

44
Nato ad Eleusi intorno al 525 a. C., Eschilo apparteneva ad una
nobile famiglia e visse ad Atene negli anni cruciali della nasci-
ta e del consolidarsi della democrazia. Forse iniziato ai Misteri
eleusini (ma nella sua opera questo tratto non appare), accett
gli sviluppi della democrazia ateniese e ne riflesse i valori nelle
sue tragedie. Sappiamo che partecip alle pi importanti bat-
taglie delle Guerre persiane (combatt a Maratona nel 490, a
Salamina nel 480, a Platea nel 479) e che ottenne i primi rico-
noscimenti per la sua arte drammatica soltanto nel 485, cio
quando aveva circa quarantanni.
Fu due volte in Sicilia, alla corte del tiranno Ierone di Siracusa,
dove sembra sia entrato in contatto con i circoli pitagorici. Nel
corso del suo secondo viaggio nellisola mor a Gela, nel 456 o
nel 455 a. C.
stato uno dei massimi tragediografi di ogni tempo. Della sua
vastissima produzione (probabilmente superiore alle settanta
opere) ci rimangono solo sette tragedie. Una di queste, lOre-
stea, lunica trilogia completa che ci sia rimasta dellintera
produzione tragica antica. Le altre singole tragedie giunte fino
a noi sono Le supplici, Prometeo incatenato, I Persiani e I Sette
contro Tebe. Abbiamo anche un certo numero di frammenti
di altre tragedie e di alcuni drammi satireschi. Riport tredici
volte la vittoria nelle rappresentazioni tragiche.
Risale ad Eschilo laccentuazione del ruolo del dialogo tra i
personaggi rispetto al coro. E fu probabilmente lui a fissare in
modo definitivo per il V secolo a. C. la struttura delle tragedie.

La meditazione sulluomo e sul divino in Eschilo

Al centro dellattenzione di Eschilo, c luomo: carico della re-


sponsabilit morale che gli
deriva dalla sua libert, luomo non per libero in senso as-
soluto, ma opera in un contesto tanto naturale quanto divino,
in un universo dominato da forze che non pu padroneggiare,
oggettive e inesorabili. C un oggettivo corso del mondo, un
destino che ne governa le sorti, c latto umano libero e re-

45
sponsabile, che genera merito e colpa. Ma come intendere il
rapporto tra il destino, del quale luomo certo non respon-
sabile, e la colpa? Eppure un rapporto deve esservi, perch il
destino delluomo non del tutto oggettivo: egli stesso con la
sua azione concorre a determinarlo.
Si prenda il caso di Oreste, uno dei personaggi chiave della sua
Orestea. Ultimo discendente di una famiglia macchiata da de-
litti tra consanguinei, spinto da Apollo ma segue al tempo
stesso la propria volont ad uccidere la madre Clitennestra,
che ha assassinato il marito Agamennone, eroe vittorioso, al
suo ritorno da Troia. Oreste si quindi macchiato di un atro-
ce delitto. Ma davvero lui il responsabile? Oreste si trova ad
operare in un contesto per lui oggettivo, del quale non ha re-
sponsabilit: il destino lo chiama a decidere. Ed egli decide, e
uccide la madre, ma rispetta in questo la volont degli di, di
Apollo. responsabile? Deve essere punito?
La tragedia esplora questa zona di confine, posta tra la liber-
t delluomo e loggettivo corso del mondo, segnato dalla vo-
lont divina. Eschilo medita sulla vicenda umana e sullordine
morale delluniverso, alla ricerca di una superiore giustizia, di
una pura immagine della divinit che possa rendere ragione
del dolore e del conflitto che si agita nel cuore delluomo, lace-
rato tra la responsabilit della colpa e il senso di impotenza di
fronte ad avvenimenti che lo sovrastano, ed a cui pure come
parte in causa ed attore del dramma della vita non pu sfug-
gire. Vivere significa soffrire e imparare dal dolore, ma si deve
dare un senso al dolore umano. Linsensatezza follia e luomo
ha bisogno di una chiara visione del mondo in cui vive, una
visione che possa comprendere.
Proprio il fatto che il poeta mediti sullordine morale del mon-
do, e sembri identificare in Zeus il centro di una superiore giu-
stizia, ha fatto s che sulla tragedia Prometeo incatenato sor-
gesse il dubbio sulla sua paternit, perch qui Zeus non appare
affatto giusto. Vediamo di cosa si tratta.

46
La trama del Prometeo incatenato

una delle sette tragedie di Eschilo che ci sono rimaste. Non se


ne conoscono per n la data n loccasione della rappresen-
tazione. Si ipotizza facesse parte di una trilogia, come prima
opera seguita dal Prometeo liberato e dal Prometeo portatore
di fuoco, opere entrambe perdute. Del Prometeo liberato per
lo stato dei frammenti tale da consentirci almeno di ricostru-
ire la trama.
Vediamo prima la trama del Prometeo incatenato, tragedia
tutta di di, riversata sugli uomini (C. Carena) perch la scena
in cui si svolgono i fatti coinvolge solo divinit, ma gli uomini
sono evocati in passaggi essenziali.
Siamo nella Scizia, terra desolata; il titano Prometeo, figlio di
Giapeto, fratello di Crono, punito da Zeus per aver donato
agli uomini il fuoco. La sua punizione quella di essere legato
ad una rupe, esposta alle tempeste, con catene pi dure del
diamante. Lo legano due figure simboliche, Violenza (Kratos)
e Forza (Bia), e il dio Efesto (controvoglia, ma gli ordini di Zeus
non si discutono) lo inchioda alla roccia. Lorigine di questa
punizione non risiede in una maledizione, ma nella volont e
nella scelta di Prometeo stesso: Liberai gli uomini dallincu-
bo della morte. Infusi in loro cieche speranze. Trasmisi loro il
fuoco. Prometeo dunque colui che di sua volont ha deciso
di aiutare i mortali, sfidando il tiranno Zeus e subendo cos la
collera del padre degli di. Arrivano sulla scena le Oceanine,
che tentano di portare conforto a Prometeo; poi Oceano, che
vuole indurlo alla rassegnazione; poi ancora Io, una fanciulla
tramutata da Zeus in mucca, e resa folle nel suo eterno viaggio,
a cui il Titano predice la sua futura liberazione e infine Ermes.
A nulla valgono le parole di conforto e i consigli dispensati:
Prometeo ribadisce che la punizione e i tormenti che sta su-
bendo sono la conseguenza della sua volont.
Il protagonista potrebbe avere una via duscita: conosce infatti
un segreto che pu rovinare Zeus. Teti, di cui Zeus innamo-
rato, generer da questi un figlio in grado di sconfiggere il pa-
dre. Zeus tenta di estorcere a Prometeo, attraverso Ermes, il

47
segreto offrendogli in cambio la liberazione dal tormento, ma
il Titano rifiuta, rimanendo fedele alla propria missione di pro-
tettore degli uomini e alla libera scelta compiuta. Prometeo si
dimostra cos superiore, perch capace di accettare i tormenti
e le sofferenze, di resistere alle lusinghe e alle minacce, per
affermare lautonomia del suo destino. Il segreto non viene
perci rivelato e Zeus scaglia un fulmine contro la rupe a cui
Prometeo legato affinch questi rimanga schiacciato.
La terza tragedia, come gi detto, non ci pervenuta, ma sap-
piamo che Zeus e Prometeo si riconcilieranno, cosicch forza
e saggezza potranno rinsaldare la sovranit diventata cos pi
forte e giusta.

La trama del Prometeo liberato

Carlo Carena, in una nota al testo della sua edizione del Pro-
meteo incatenato da cui abbiamo tratto i versi che tra poco
leggeremo, cos ricostruisce (certo ipoteticamente, perch la
tragedia perduta, se non per frammenti) la trama del Prome-
teo liberato: La seconda tragedia, stando alle ricostruzioni pi
accreditate, si apriva quando, parecchie migliaia di anni dopo,
Prometeo tornato alla luce del sole ma ancora incatenato
alla rupe e anzi straziato da unaquila. Anche i Titani erano sta-
ti liberati dal Tartaro, ove avevano scontato laiuto prestato a
Crono; ed ora vengono al fratello per esporgli i mutamenti che
in tanto lasso di tempo si sono verificati nel mondo: al clima di
rancori e vendette inique determinatosi in seguito alla vittoria
di Zeus sullantico ordine, seguito un addolcimento della ti-
rannide, e il sommo dio si volto a benevolenza verso lumani-
t e a giustizia dimpero. () Poi appariva la grande dea madre
Terra e alle sue suasorie Prometeo cedeva rivelando larcano:
Zeus non si unisca a Teti, di cui si proprio invaghito, perch
essa destinata a generare un rampollo pi forte comunque
del padre. Infine sopraggiunge Eracle () che ascolta la pre-
dizione delle sue gesta future, abbatte col dardo guidato da
Apollo laquila, e infrange le catene del Titano (C. Carena).

48
Non invece possibile ricostruire la trama del Prometeo por-
tatore di fuoco, per la mancanza di basi filologiche. E non si sa
nulla del dramma satiresco che, come sempre, seguiva la trilo-
gia e chiudeva la giornata di rappresentazioni tragiche.

3. LE PAROLE DI PROMETEO
SULLUOMO E IL CANTO DEL CORO

Adesso leggiamo il testo di Eschilo in alcuni passaggi chiave


che riguardano il nostro argomento, cio limmagine di Pro-
meteo come figura decisiva per la civilizzazione umana in una
direzione precisa: il dominio delle tecniche. Lintelligenza di
tipo prometeico ha questo di caratteristico: punta a dominare
la natura rendendola soggetta ai bisogni delluomo, da selvag-
gia e primordiale che , non attraverso la forza, ma attraverso
la conoscenza, il sapere. Certo non basta: serve che questo
sapere sia incanalato in elementi di forza, perch la natura
fatta di forze, ed su queste che luomo deve agire, e pu farlo
solo controllandole attraverso altre forze. Da qui limportanza
del fuoco, padre e simbolo delle tecniche, che sono figlie della
razionalit (prometeica) umana volta al fare, sia pure indiret-
tamente, cio attraverso lausilio di strumenti (oggi diremmo:
attraverso le macchine).
Leggiamo adesso tre brani:
- il primo un dialogo tra Prometeo, ormai incatenato (la sce-
na segue quella dellopera di Efesto che lo incatena) e la Cori-
fea ( tratto dal Primo episodio della tragedia);
- il secondo un lungo monologo di Prometeo, inframmezza-
to da alcune battute con la Corifea, in cui il tema del destino
come superiore a qualsiasi altra forza messo a fuoco, pro-
prio nel contesto della superiorit che luomo prometeico ha
raggiunto attraverso le tecniche ( tratto dal Secondo episodio
della tragedia);
- il terzo il canto del Coro che ricorda come luomo, cos be-
neficato da Prometeo, sia il grande assente nel momento della
sua punizione ( il celebre Secondo stasimo, che noi propo-

49
niamo di leggere in parallelo con Primo stasimo della tragedia
Antigone, di Sofocle, anchesso dedicato alla figura delluomo
signore della natura, eppure in difficolt sui temi etici30).

PRIMO EPISODIO

Corifea31
Svelaci tutti gli eventi, facci conoscere
la colpa in cui Zeus tincolse,
da punirti senza piet e con oltraggio.
Sii cortese, se il parlare non ti nuoce.

Prometeo
Vicenda per me dolorosa anche solo a parlarne,
e pur dolore tacerne. Infelicit dappertutto.
Appena gli di concepirono i loro furori,
sorse fra essi una contesa:
gli uni volevano sbalzare Crono32 dal solio
per imporvi appunto Zeus; altri invece
si adoperavano a che Zeus giammai dominasse gli di.
Io allora mi proposi dindurre agli intenti migliori

[30] Il testo, commentato per noi da uno dei massimi filosofi della fine del
XX secolo, Han Jonas, nel capitolo dedicato a Il Prometeo di Jonas e la
sfida della responsabilit.
[31] Nella tragedia greca il corifeo ha una funzione centrale. la figura
che guida il coro nel canto e nella danza, e a volte, come in questa tragedia,
dialoga col protagonista, divenendo cos in prima persona un personaggio
della tragedia.
[32]Per questa narrazione vedi la nostra Premessa mitologica. Le linee
portanti di questo racconto sono in accordo con i testi di Esiodo che l
abbiamo citato.

50
i Titani33, figli del Cielo e della Terra34,
ma senza riuscirvi. Disdegnando le arti dellastuzia,
per la loro baldanza pensarono
che grazie alla forza avrebbero regnato senza difficolt.
Ma a me, n solo una volta, la madre Temi
e Gea35 ununica forma con nomi diversi
aveva predetto come il futuro si compirebbe:
non con la forza n con la violenza, ma con linganno,
i vincitori dovrebbero prevalere.
Quando lesposi loro con vigoria di frasi,
neppure di uno sguardo mi degnarono.
Mi parve allora il meglio, in tali circostanze,
di prendere mia madre con me, e di pormi
al fianco di Zeus; e il mio desiderio era il suo.
per i miei consigli che labisso del Tartaro36
cela nelle sue nere cavit lantico Crono
e i suoi seguaci. Del soccorso che gli prestai
il signore degli di mi ricompens
con le pene ignominiose che vedi.
Davvero una maledizione della tirannide

[33] Come abbiamo visto nella Premessa mitologica, i Titani appartenevano


alla prima generazione degli di, nati da Urano e Gea. Crono uno di loro,
e quando Zeus, suo figlio, lanci la sfida al padre ne nacque un conflitto in
cui la maggior parte dei Titani si schierarono contro Zeus, essendone poi
sconfitti.
[34] Cio di Urano e Gea, le due divinit delle origini.
[35] la divinit primordiale, la Grande Madre, da cui tutte le generazioni
degli di hanno avuto origine.
[36] Rappresentato come una pianura buia, circondata da un muro di bronzo,
o come un abisso di vuota tenebra, nella mitologia greca il Tartaro lestremo
abisso posto al di sotto degli stessi Inferi, il luogo pi lontano possibile dalle
sedi degli di. L le varie generazioni divine, succedutesi,confinarono i loro
nemici non potendoli uccidere erano di stirpe divina anchessi e quindi
immortali.

51
questa, di non conservare la fiducia degli amici37.
Quanto poi alla vostra domanda per quale ragione
mi tormenti di tutto vinformer.
Appena si fu insediato sul trono paterno,
saccinse subito ad assegnare i privilegi agli di,
a chi luno, a chi laltro, e a distribuire i poteri38.
Ma per i miseri mortali non ebbe parola,
anzi si proponeva di sterminare
tutta la stirpe, per crearne una nuova.
Nessuno si lev a contrastare tali progetti
allinfuori di me: io ardii, ed evitai agli uomini
di precipitare nel nulla dellAde39.

[37] Il riferimento a Zeus, ma la tirannide un sistema politico ben noto ai


Greci, e i tiranni erano stati al potere anche ad Atene prima dellinstaurazione
della democrazia. Questa massima ha quindi qui anche un significato politico.
La rappresentazione di Zeus come di un tiranno uno degli aspetti che hanno
fatto dubitare dellattribuzione a Eschilo di questa tragedia, come abbiamo
visto prima.
[38] La terza generazione divina, quella degli di olimpici, una volta giunta
al potere con Zeus stabilisce regole di giustizia (personificata nella dea
Dike), che non rispondono a criteri morali, ma ad una politica di equilibrio
e di equa distribuzione dei poteri tra le forze divine, in modo che tra loro
non sorgano conflitti, fermo restando il superiore potere di Zeus. Giustizia
quindi equilibrio di poteri.
[39]Il termine greco Aides, la cui radice rimanda allinvisibilit (se
letimologia corretta, Ade sarebbe dunque linvisibile per eccellenza).
il dio delloltretomba, fratello di Zeus e presiede ad ogni evento che abbia
sede nelle case di Ade, cio nel regno sotterraneo dei morti. La sua sposa
Persefone, che un giorno rap egli stesso nelle pianure della Sicilia, mentre
raccoglieva fiori con le sue compagne.
Il nome di Ade in Grecia non si pronunciava, per paura di evocarne la
potenza, sicch era chiamato con molti appellativi, tra cui Plutone (Plouton),
che significa ricco, perch dalle profondit della terra si generano grandi
ricchezze (il termine connesso con i miti sulla nascita del grano, una volta
seminato sottoterra).
Ade regna sugli Inferi in pieno accordo con lordine di Zeus, perch, nella
generale sistemazione dei poteri di tutte le divinit, le parti del Cosmo sono

52
Per non altro, credete, queste pene mi soffocano,
duro strazio, ben pietoso spettacolo.
Io, che mi piegai a piet per gli uomini,
di piet non fui degnato, e a duro destino
cos costretto, innalzo scenari alla gloria di Zeus40.

Corifea
Cuore di ferro, e intagliato nella roccia,
o Prometeo, chi non soffre i tuoi mali con te.
Oh, come vorrei non averli veduti,
perch ora ne ho lanima piena di pena.

Prometeo
Appunto: mi ridusse a destare piet agli amici.

Corifea
Ma forse non procedesti pi oltre?

Prometeo
Liberai gli uomini dallincubo della morte.

Corifea
Quale rimedio scopristi a tale malanno?

Prometeo
Infusi in loro cieche speranze41.

state distribuite ordinatamente fra tre fratelli, che dominano in pace tra loro,
rispettando le rispettive prerogative: Zeus il signore del Cielo, Poseidone
del mare, Ade del mondo ctonio (cio sotterraneo: chthon la terra e quel che
vi sta sotto).
[40] Per la sensibilit greca, che legata alla celebrazione dei vincitori in
una gara o in un conflitto, la pena del vinto (in questo caso Prometeo) , ipso
facto, gloria del vincitore.
[41] Non c scampo al destino. I Greci di questo erano fermamente convinti,
come vedremo anche in un altro passo del discorso di Prometeo, al Secondo
episodio.

53
Corifea
Grande beneficio largisti alluomo.

Prometeo
Oltre a questo, poi, trasmisi loro il fuoco.

Corifea
Che? I vivi dun giorno42 hanno il fuoco abbagliante?

Prometeo
E da esso apprenderanno molte arti43.

Corifea
Ordunque per questi motivi che Zeus

Prometeo
Mi colpisce e non allevia nessuno dei miei mali.

Corifea
Non ti pose dunque alcun termine a questo patire?

Prometeo
Nessun altro se non quando gli piaccia.

[42] la stirpe degli uomini.


[43] il nodo del conflitto tra Zeus e Prometeo: questultimo sta dalla parte
degli uomini e offre loro la chiave del progresso, della civilizzazione, contro
il volere di Zeus. Nel brano successivo questo aspetto viene chiarito con molti
esempi.

54
SECONDO EPISODIO

Prometeo44
Non pensate che io taccia per arroganza
o disdegno; ma il cuore mi rodo sapendo,
al vedermi cos calpestato.
Eppure chi altro, se non io, assicur
gli onori a queste nuove deit?
Me ne taccio, perch parlerei
a chi sa. Udite piuttosto le pene
dei mortali, e quali bambini erano, prima
che li rendessi saggi con luso della ragione.
Parler non perch abbia a lamentarmi degli uomini45,
ma per dimostrarvi la generosit dei miei doni.
Essi, prima, pur vedendo non vedevano,
pur udendo non udivano46: simili a larve di sogni
passavano nel tempo una loro esistenza confusa,
senza conoscere dimore di mattoni esposte al sole,
senza lavorare il legno; ma sotto la terra
abitavano, come formiche che il vento disperde
via, in antri profondi non rallegrati dal sole.
N conoscevano i segni costanti che presagiscono
linverno e il tripudio dei fuori a primavera
e quello dei frutti in estate; ma agivano in tutto
senza discernimento. Finch io additai loro il sorgere
e il cadere degli astri, difficili da stabilire;

[44] Anche in questo secondo episodio Prometeo dialoga con la corifea.


[45] Su questo punto si veda quanto dice il coro nel Secondo stasimo, pi
avanti riportato.
[46] una descrizione, che si ritrova anche nella filosofia delle origine,
tipica per indicare chi avrebbe gli strumenti per capire e progredire, ma resta
invece nel suo stato di inconsapevolezza. Il ruolo di Prometeo quindi quello
di svegliare gli uomini, di indicare loro in molti modi (di cui il dono del
fuoco, padre delle tecniche, solo uno) la strada della civilizzazione. Pi
avanti Prometeo user lespressione: Additai loro.

55
quindi per loro ritrovai la scienza dei numeri,
base di ogni dottrina, e laccoppiamento delle lettere,
che serba il ricordo di tutto ed padre delle Muse47.
Io per primo piegai al giogo le fiere selvagge,
affinch, schiave di cinti e di basti,
sostituissero luomo nei lavori pi penosi,
e sospinsi sotto il timone dei cocchi i cavalli,
docili al freno, ornamento di splendidi fasti;
nessun altro, fuor chio, invent i veicoli dei marinai,
che ali di lino48 fan scivolare sui mari.
Tali strumenti trovai peri mortali,
e ora quellio non dispone dalcuna trovata
per sciogliersi dalla presente infelicit.

Corifea
Infelicit ignominiosa davvero patisci; il tuo senno
fuorviato si smarrisce; come un medico dappoco
caduto in malattia, ti lasci prostrare e non riesci

[47] Dunque la matematica, come linvenzione della scrittura, sono indotte


da Prometeo e proposte come base della civilt umana capace di progredire da
sola. Di questa civilizzazione le Muse sono il simbolo stesso: nella mitologia
greca sono figlie di Zeus e di Mnemosine, la dea che personifica la memoria,
che attraverso le Muse diviene appunto accessibile agli uomini consentendo
un forte salto in avanti della cultura.
Le Muse erano nove e furono generate in nove notti damore. Esistono
altre genealogie, ma in ogni caso il loro significato simbolico: alle
Muse collegato infatti il predominio dellarmonia nellUniverso. Il
legame in particolare con la musica, perch le Muse hanno come
loro specificit quella di cantare e allietare gli di, ma presiedono a
tutte le arti e alla sfera della cultura: eloquenza, persuasione, saggezza,
storia, matematica, astronomia e le singole arti, tutto questo sotto
linfluenza delle Muse.
Una tradizione le associa al monte Elicona e le pone in diretto rapporto
con il dio Apollo, che dirige i loro canti.
[48] Le vele.

56
a ritrovare farmaci per guarire te stesso49.

Prometeo
Maggiore ancora sar il tuo stupore quando udirai
le arti e gli espedienti che ho escogitato.
E questo il pi grande: se qualcuno cadeva ammalato,
non disponeva affatto di rimedi
in cibo o in unguenti o in bevande,
ma si disseccava per mancanza di cure; finch io
insegnai loro misture di medicine efficaci
che sgombrano ogni affezione.
Determinai le leggi dellarte divinatoria50,
per primo distinsi quali fra i sogni
dovessero realizzarsi, e li feci attenti alle voci
indistinte e agli incontri fatti per via;
spiegai i significati precisi dei voli dei rapaci,
quali per lor natura sono fausti ed avversi,
e le abitudini di ciascheduno, e i rancori
che divampano tra loro, e gli amori e i convegni;
e come sia importante la levigatezza delle interiora,
e quale colore rende accetta ai numi la bile,
e le varie posizioni propizie del fegato.
Bruciai gli arti avvolti di grasso e lombi diritti
per avviare i mortali verso la scienza

[49] il leit motiv continuamente riproposto dai visitatori che, in dialogo


con Prometeo, animano la tragedia di Eschilo. Ma sempre Prometeo risponde
di essere perfettamente consapevole di quello che fa, e di agire con lucidit
in vista di un fine, tutto rivolto al bene degli uomini, in un rapporto con
Zeus ambiguo, perch caratterizzato insieme da conflitto e complicit ( in
seguito ai suoi consigli che Zeus ha potuto prendere il potere, in seguito
alla rivelazione di un segreto che Prometeo conosce e Zeus no, che questi,
una volta liberato Prometeo dal supplizio, potr mantenere stabilmente e per
sempre il potere).
[50] Cio larte di interpretare i segni con cui gli di parlano agli uomini,
e con cui possibile leggere il destino e conoscerlo pur senza poterlo
modificare. I versi che seguono sono tutti esempi di questarte.

57
degli astrusi presagi, e resi evidenti i significati
del guizzar delle fiamme, fin allora avvolti di tenebra.
Questa tutta lopera mia. E le ricchezze
che sotto la terra si celano agli uomini,
il rame, il ferro, largento e loro,
chi oserebbe dichiarare daverle portate alla luce prima di me?
Nessuno, io credo, che non intenda ciarlare a vuoto.
In breve, insomma, sappi tutto:
tutte le arti agli uomini vengono da Prometeo51.

Corifea
Ma ora, per aiutare troppo i mortali,
non trascurare la tua sventura.
Ho buona speranza che un giorno, sciolto da questi ceppi,
avrai potenza pari a quella di Zeus.

Prometeo
No: la Moira che porta tutto a compiersi
non lo vuole, per ora. Solo dopo esser stato piegato
da mille pene e malanni, mi si apriranno queste catene.
O arte, quanto pi debole sei del destino!

Corifea
Ma chi regge mai il timone del destino?

Prometeo
Le Moire triformi e le memori Erinni.

Corifea
Dunque anche Zeus soggetto a costoro?

Prometeo
Neppure lui sfuggirebbe al destino fissato.

[51] il tema centrale del rapporto tra Prometeo e gli uomini. Ed quello
che fa di Prometeo la figura simbolica del rapporto tra luomo e le tecniche, e
quindi tra luomo e il lavoro.

58
SECONDO STASIMO

Coro52

Mai Zeus che su tutto domina


volga la sua potenza contro le mie speranze;
n io tardi a invitare gli di
ai santi banchetti delle ecatombi53
presso le irrequiete correnti del padre Oceano54;
n mi rendano colpevole le mie parole.
Tale principio si saldi in me, per non svanire mai.

dolce stendere lunga la vita


fra intrepide speranze,
inebriando di serene gioie lanima.
Ma io trasalisco quanto contemplo te,
stritolato da mille sventure.
Tu non temi Zeus55, o Prometeo,

[52] Nella tragedia greca il coro ha diverse funzioni, variamente interpretate


dagli studiosi moderni. al centro del movimento scenico, perch danza
e canta, guidato dal corifeo, e dialoga con le figure che svolgono il ruolo
individuale di protagoniste. Quella del coro invece davvero una figura
corale: parla, balla e canta come se fosse una sola persona, e esprime spesso
un punto di vista esterno ai fatti, in cui il tragediografo esprime in modo pi
diretto le proprie riflessioni.
Nel Prometeo incatenato il coro composto dalle ninfe Oceanine, figlie del
Titano Oceano (che nella Titanomachia si schierato dalla parte vincente di
Zeus ed era quindi alleato di Prometeo). Sono le ninfe che personificano i
ruscelli e le sorgenti.
[53] il sacrificio di cento buoi. La dizione per usata anche in modo
generico per indicare un grande sacrificio rituale di animali.
[54] Padre delle Oceanine, lOceano una delle figure divine dei primordi,
legato alle acque che circondano le terre secondo la geografia del mito.
Rappresenta la potenza feconda delle acque, e genera quella dei fiumi.
[55] Non temi: ne sfidi la potenza accettando la sua vendetta pur di conseguire
il tuo scopo. Prometeo, lo sottolinea pi volte, l per sua volont.

59
nel trasporto generoso con cui ti chini sugli uomini.

Ed ecco il tuo amore rimasto senza amore,


o amico. Di: dov il sostegno,
dove laiuto dei vivi di un giorno56?
Non vedi limpotenza fievole57,
questa vanit di sogni
che impiglia in lacci
la cieca stirpe degli uomini?
Mai la volont dei mortali
pu spezzare lordine stabilito da Zeus.

[56]Sono gli uomini, e non stanno aiutando il loro benefattore in alcun


modo.
[57] Proponiamo di leggere in parallelo questo testo col Primo stasimo della
tragedia Antigone, di Sofocle, che abbiamo riportato nel capitolo dedicato
a Il Prometeo di Jonas e la sfida della responsabilit. La ragione la
seguente: in entrambi i testi i due poeti, Eschilo e Sofocle, sottolineano la
potenza tecnica raggiunta dalluomo, affiancata da una estrema debolezza se
non si appoggiano a regole ferree di giustizia.

60
Questi gli insegnamenti che ricavo dallosservare
la tua sorte infelice, o Prometeo.
Diverso dal presente,
un canto mi torna per laria:
limeneo58 che intonavo al rito nunziale
attorno ai lavacri e al talamo
il giorno in cui inducesti con doni
Esione59, mia sorella,
a dividere sposa il letto con te.

[58]Nellantica Grecia era il canto tipico delle nozze, eseguito da un


coro di ragazzi e ragazze. Si distingue dallepitalamio solo per il fatto che
questultimo veniva eseguito non durante le nozze, ma la sera del giorno delle
nozze o il mattino successivo. Testi di questo genere poetico risalgono allet
dei primi poeti lirici (la poetessa che ci ha lasciato i canti pi celebri Saffo),
ma il genere venne molto coltivato anche in et ellenistica e romana.
Il nome Imeneo richiama una divinit che nel mito guida il corteo nuziale. Si
raccontavano anche antiche storie su un giovane ateniese di questo nome, che
in tempi remotissimi avrebbe affrontato molte peripezie, poi finite bene, con
la propria innamorata, divenuta infine sua sposa. Veniva quindi invocato il
suo nome come buon augurio per gli sposi.
[59] una delle Oceanine.

61
CAPITOLO III

P ROMET EO ROMANT ICO:


GOET HE E SCHELLEY

1. I MITI E LA POESIA NELLET DISINCANTATA DELLA SCIENZA


CHE NON RINUNCIA AFFATTO ALLINCANTO

Gli antichi miti non possono essere letti unitariamente e in-


terpretati come se fossero soltanto dei rivestimenti poetico-
narrativi di esperienze dellumanit, o di problemi a cui dare
una soluzione attraverso un racconto che ne descriva la gene-
si e lesito. Non possibile farlo non perch non siano anche
questo, ma perch sono molto di pi: sono narrazioni, incen-
trate su figure, in cui numerose linee desperienza, profondi e
superficiali movimenti di pensiero, a diversi livelli, sincontrano
in un gioco di immagini.
Questo significa certo che limmaginazione vi ha un ruolo cen-
trale, ma anche che, se un centro, il centro di una galassia,
in cui non c aspetto delluomo che non sia presente. Non c
emozione che non trovi spazio, non c corrente di pensieri che
non possa attraversarlo: il mito un nodo da cui si diparto-
no innumerevoli vie, seguendo le quali si trova di tutto, per il
semplice fatto che le vie sono appunto innumerevoli e portano
quindi in innumerevoli luoghi.

62
Il mito di Prometeo, come altri che vengono dalla nostra an-
tichit (cio dalla Grecia, visto che l sono alcune delle radici
che diciamo nostre), ha tutte queste caratteristiche, e le ha in
grado molto alto per due ragioni:
- la prima che rimanda ai primordi in cui la nostra specie
nata: quindi un mito delle origini, non tanto delluniverso,
quanto delluomo; non a caso in una delle versioni del mito
Prometeo non solo colui che fa progredire lumanit donan-
dogli le tecniche (il fuoco), ma anche colui che plasma luo-
mo, vero e proprio padre dellumanit;
- la seconda che, se qualsiasi mito un nodo da cui si di-
partono innumerevoli vie, quello di Prometeo anche uno di
quei miti da cui si dipartono varie serie di altre narrazioni, tutte
connesse alluomo (ad esempio la vicenda di Pandora e del ce-
lebre vaso, nonch quella di Deucalione e Pirra, la coppia che
genera nuovamente il genere umano dopo la distruzione del
diluvio60).
Insomma, se qualsiasi immagine pu essere letta, legittima-
mente (secondo coerenza e verit), a diversi livelli di senso e
aprire a percorsi della mente e del cuore, il mito di Prometeo
ha queste caratteristiche in massimo grado. cosa comune tra
i grandi miti, non rara di per s. Ma con Prometeo luomo
in primo piano, e non affatto cos per tutti i miti. (Per quan-
to luomo abbia veramente fatto di tutto per vedere se stesso
al centro del cosmo in molte et, non sempre stato cos; e
nel mito di Prometeo, centrato sulluomo, il protagonista non
affatto luomo, che non al centro di nulla: il protagonista
Prometeo).

quindi opportuno essere precisi. Luomo s in primo pia-


no, ed lui il soggetto attivo del processo di civilizzazione, ma
il motore Prometeo, non luomo. Nella tragedia di Eschilo
luomo non compare neppure, e anzi il Coro, nello stasimo che
abbiamo letto, lamenta la sua assenza nel momento in cui la

[60] Rimandiamo su questo punto al Quaderno di Diogene dedicato a Il


Mito di Pandora, Edizioni del Giardino dei Pensieri, Bologna 2013.

63
vendetta di Zeus si abbatte su Prometeo.
Fin qui la tradizione che discende da Eschilo. Nellet moder-
na per la cultura occidentale, che ha nellumanesimo rina-
scimentale il suo punto di svolta, tende a considerare luomo
stesso come motore della civilizzazione, non una forza esterna.
La prima sintesi di questa nuova idea applicata a Prometeo in
Bacone, che allinizio del Seicento vede in questa figura arcaica
del mito appartiene ad unepoca in cui lordine attuale del
mondo non si era ancora consolidato un simbolo per luma-
nit stessa, e pi esattamente per la volont umana di sapere
non sfidando la natura, ma interpretandola e imparando a co-
noscerne e a rispettarne le leggi (non questo che Prometeo
insegna agli uomini nella tragedia di Eschilo?).
I miti, lo dicevamo prima, si prestano a questo tipo di sovra-in-
terpretazioni. Ma sulla loro trama, narrata da poeti del passato
greco come Esiodo ed Eschilo, non sono stati dei filosofi come
Bacone a costruire una interpretazione che segue una delle
possibili vie della narrazione e la prolunga, ma una folta schie-
ra di poeti moderni. E chi pi di altri vede in Prometeo una
forza che agisce allinterno dellumanit stessa Goethe61, in
un frammento poetico che risale allepoca della sua formazio-
ne, quando era ancora molto giovane e gi celebre per avere
incarnato lo spirito (che oggi chiamiamo preromantico) dello
Sturm und Drang62.

[61] Johan Wolfgang Goethe (1749-1832) stato uno dei massimi scrittori
e poeti tedeschi dellet che si snoda tra i fermenti preromantici della cultura
tedesca di fine secolo agli esiti romantici e post romantici, essendo vissuto
a lungo ed avendo occupato la scena poetica tedesca sin da giovanissimo.
Personalit poliedrica, ha lasciato col suo Faust una delle rappresentazioni
pi efficaci dellanimo romantico, ma anche del dramma delluomo sospeso
tra le leggi di natura e la spiritualit che lo porta verso il divino.
[62]Lo Sturm und Drang stato uno dei pi importanti movimenti interni
alla cultura tedesca alla fine del Settecento, e pi esattamente negli anni
intorno al 1770. La traduzione letterale delle due parole tedesche tempesta
e assalto, dizione che nasce dal dramma Wirrwar (Caos) pubblicato da
Maximillian Klinger nel 1776. Si suole considerare lo Sturm und Drang come

64
2. IL PROMETEO DI GOETHE

In Goethe, come vedremo leggendo il frammento di cui parlia-


mo, Prometeo dunque luomo stesso, o meglio la collettivit
degli uomini che si autogoverna e plasma la natura piegandola
alle proprie esigenze, ma nel pieno rispetto delle sue leggi. Gli
di sono, in questo discorso, un corpo estraneo: Goethe li trat-
ta con aperto disprezzo, come un residuo di un passato supe-
rato per sempre in cui lumanit non era ancora padrona di se
stessa e aveva bisogno di ancorarsi a poteri superiori: unuma-
nit in stato di minorit che si aggrappa a un potere superiore
come un bambino chiede aiuto agli adulti. Prometeo incarna
quindi luscita degli uomini dallo stato di minorit. Come ovvia
conseguenza, si ribella contro gli adulti-di che vogliono tener-
li ancora in soggezione.
Il testo degli anni Settanta del Settecento. Fuori metafora, chi
sono questi di-adulti? I poeti rinascimentali, come i pittori e
in genere la cultura dellepoca, avevano ripreso gli antichi miti
attribuendo loro significati simbolici o allegorici o metaforici.
Mentre per i Greci i loro di, comunque li si considerasse, era-
no presenze reali, non simboli, nel contesto della cultura cri-
stiana la capacit dei miti che prima sottolineavamo di aprirsi a
interpretazioni, prolungamenti, creazioni simboliche, e simili,
fece s che essi potessero essere adattati ad esprimere valori
sia eterni (ad esempio il rapporto tra luomo e il destino) sia
storici (ad esempio il rapporto storico tra la borghesia ormai
padrona di s e il ceto dei nobili che ancora deteneva il potere
politico).
La lettura molto trasparente che gli studiosi danno del fram-
mento di Goethe propone una sorta di rivoluzione sotto en-
trambi gli aspetti, quello dei valori eterni e quello della storia.

Partiamo da questultimo per risalire al primo aspetto. Goe-


the ci propone un Prometeo che disprezza gli di, che li vuole

uno dei diversi movimenti che in vari paesi europei portarono alla nascita del
romanticismo. Da qui la notazione movimento preromantico.

65
letteralmente spazzare via, e vivere in libert coi suoi simili,
gli uomini, in comunit che si autogovernano e attraverso il
lavoro realizzano concretamente lideale di un rapporto orga-
nico e felice con la natura, pacificata e resa amica attraverso
le tecniche. Nellepoca in cui scrive Goethe questi sono valo-
ri borghesi, e il lavoro che rende liberi attraverso le tecniche
la matrice dei valori borghesi (soprattutto nel contesto del
mondo protestante in cui Goethe si muove). Il suo Prometeo
incarna quindi i valori borghesi che danno alla collettivit degli
uomini la libert dai poteri fino allora superiori, in accordo con
la natura.
Solo che questi poteri superiori ci sono ancora, alla data del
1773 ( lanno del frammento di cui parliamo), la Rivoluzione
francese era di l da venire e i nobili governano con dispoti-
smo (a volte illuminato, a volte no) come Zeus nella tragedia di
Eschilo (prima che la sua giustizia ponesse un ordine pacifica-
tore sul mondo e Prometeo fosse quindi liberato).
a una rivoluzione politica che il giovane Goethe pensa? Ben-
ch in anni successivi il poeta si sarebbe concretamente occu-
pato di politica (e avrebbe ripreso i temi del giovanile Prome-
teo nella chiusa del suo Faust), qui il giovane Goethe mette in
poesia unaspirazione del suo tempo. D voce al suo tempo,
come i poeti fanno, non fa certo politica. Ma questa voce ri-
voluzionaria, borghese e antinobiliare, e il disprezzo per Zeus
il disprezzo per i circoli di corte, per chi vive di rendita senza
far nulla ingannando e opprimendo chi lavora.
Lavoro che libera contro ordine sociale che rende schiavi. Il
lavoro rivoluzionario, come la borghesia del tempo (lo si ve-
dr esattamente quindici anni dopo, nella Sala della Pallacorda
della Versailles del 1789, e due mesi pi tardi alla Bastiglia, nel
cuore della vecchia Parigi).

Ma un poeta come Goethe non solo ancorato al proprio tem-


po. Sinterroga, come i grandi filosofi, sulleterno, sul rapporto
che luomo intrattiene col proprio destino. Prometeo una fi-
gura chiave per questa riflessione, perch nella tragedia eschi-
lea lui a dire una parola chiarissima e terribile per coloro che

66
vogliono sottomettere il destino ai propri voleri (e la borghesia
attraverso le tecniche qualche tentazione in questa direzione
ce lha anche oggi, non solo nellet ottimista di Goethe). Nel
Prometeo incatenato Eschilo fa dire a Prometeo, nel brano che
abbiamo letto del Secondo episodio, le seguenti parole: O
arte, quanto pi debole sei del destino!, negando che persino
Zeus, non solo lui e i vivi per un giorno, potessero modificare
i decreti immutabili del Fato.
Si osservi che larte di cui parliamo non debole per nulla, in
s: consente il dominio della natura garantito dalle tecniche,
di cui il dominio del fuoco matrice. Sono parole di venticin-
que secoli fa, e di molte tecnologie fa, ma in epoca di terza
rivoluzione industriale non possiamo certo dire che larte (oggi
diremmo lindustria) si sia rivelata diversa da come la descrive
Prometeo: semplicemente, appare ancora ai nostri occhi pi
debole del destino.

Tuttavia, cosa si cela dietro la parola destino? Per la cultura tra-


dizionale greca il destino nelle mani di oscurissime figure mito-
logiche come Le Moire triformi e le memori Erinni, dice Prome-
teo in risposta ad una precisa domanda della Corifea. I decreti
delle Moire (altrove la figura singolare, e nei poeti a volte la
parola Moira significa di per s destino) sono imperscrutabili.
Per un uomo dellet di Goethe, dietro il velo del mito, ci sono
teorie filosofiche utili a dare una versione non mitologica del
destino. Infatti nel suo Prometeo, Goethe allude allo spinozi-
smo quando fa dire a Prometeo contro Zeus Non mi ha forse
fatto uomo / il tempo onnipotente, / e il destino eterno, / miei,
e tuoi, signori?
Ora, il nome di Spinoza era allepoca impossibile da pronuncia-
re: questo filosofo olandese della met del Seicento e le sue
opere erano bandite dalla cultura ufficiale, e spinozismo era
sinonimo di ateismo, o peggio. E infatti Goethe non pronuncia
questo nome. Ma subito il suo frammento venne interpretato
in questa chiave. Lo prova un passo di un libro di poco poste-
riore ( del 1785), che si intitola Lettere sulla dottrina di Spi-
noza. A pubblicarlo, e quindi a sdoganare, come diremmo

67
oggi, il nome di Spinoza nella cultura ufficiale del tempo, fu un
intellettuale al di sopra di ogni sospetto, amico di molti potenti
e di Goethe stesso: si chiamava Jacobi63 e cos descrive un suo
dialogo con Lessing64, che allora era da poco scomparso, la cui
fama di scrittore era altissima:

Il mio viaggio ebbe luogo, e il 5 luglio, al dopo pranzo, ab-


bracciavo la prima volta Lessing. Ancora nello stesso giorno
parlammo di molte cose importanti; anche di persone morali
e immorali, atei, teisti e cristiani.
La mattina seguente Lessing venne nella mia camera, che io
non avevo ancora finito alcune lettere, che avevo da scrivere.
Gli diedi diverse cose della mia cartella, perch intanto ingan-
nasse il tempo. Nel restituirmele, mi domand se non avessi
pi nulla che egli potesse leggere. S, s! dissi (stavo per
suggellare), ecco ancora una poesia; Lei ha dato tanti scan-
dali; per una volta ne pu ben anche prendere uno.
Lessing, dopo avere letto la poesia e restituendomela: Non
ne ho preso nessuno scandalo; questargomento lho di prima
mano gi da un pezzo . Io: Lei conosce la poesia? Lessing:
La poesia non lho mai letta, ma mi piace . Io: Nel suo
genere, piace anche a me; altrimenti non glielavrei fatta ve-
dere . Lessing: Non intendevo questo... Il punto di vista, da
cui la poesia parte, il mio proprio punto di vista... I concetti
ortodossi della divinit non sono pi per me; io non li posso
gustare. En kai pan (Uno-Tutto)! Non conosco nientaltro.

[63] Friedrich Heinrich Jacobi (1743-1819) stata una figura singolare nel
panorama filosofico del romanticismo tedesco. Autore di studi importanti,
in particolare su Spinoza e sullidealismo delle origini, la sua opera stata
importante anche per la rete di relazioni che ha intessuto con le grandi figure
della cultura tedesca del suo tempo, da cui sono derivati dibattiti fecondi,
epistolari, libri.
[64] Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781) stata una delle pi importanti
figure dellet dellilluminismo tedesco. Studioso di estetica, drammaturgo,
scrittore, nelle sue opere si espresso lo spirito di libera ricerca tipico
dellilluminismo. Suo il celebre testo teatrale Nathan il saggio (1779) che
esprime gli ideali di tolleranza e di eguaglianza tra gli uomini tipici delle
correnti avanzate della cultura del tempo.

68
Anche questa poesia conduce l, e, devo riconoscerlo, essa mi
piace molto . Io: Allora Lei converrebbe assai con Spinoza
. Lessing: Se mi devo chiamare secondo qualcuno, non so
nessun altro . Io: Spinoza mi piace abbastanza: ma pure,
quale cattiva salvazione troviamo nel suo nome! Lessing:
S! Se Lei vuole!... Eppure... Sa Lei qualcosa di meglio?65.

La poesia che Jacobi fa leggere a Lessing il frammento su


Prometeo di Goethe. E Lessing riconosce non una particolare
dottrina filosofica coi suoi tecnicismi, ma lo spirito dello spi-
nozismo, che sotterraneamente circolava in Germania e in-
fiammava i dibattiti dei giovani e meno giovani spiriti che si
avviavano a costruire quella che sarebbe diventata la grande
stagione del romanticismo tedesco.
Ora, che cos lo spinozismo? Per certi aspetti lontano dalle
autentiche teorie di Spinoza, ma questo qui poco importa. Non
infatti di Spinoza che parliamo, ma di un sentire, a met tra il
poetico e il filosofico, che si richiama al suo nome.
Spinozismo significava nella Germania di allora la percezione
della Natura come una di totalit vivente, vivificata al suo in-
terno da forze spirituali che sono le stesse che operano in noi.
Luomo quindi con la sua anima, la sua mente, il suo sentire,
la sua spiritualit percepito come frammento della Natura
e sua espressione. E le tecniche che dominano la Natura sono
intese come espressione della forza spirituale della Natura
stessa in noi.
Ma la Natura ha le sue leggi, inesorabili, non modificabili. re-
golata da interna necessit. Non fu difficile quindi per i giovani
che si avviavano alla stagione del romanticismo e sognavano
armonia tra luomo e la Natura identificare questa necessit
spinozista col destino dei Greci, reso trasparente nella sua
razionalit: non sono forse comprensibili alla ragione le leggi
della natura?
Una Moira disvelata

[65] F. H. Jacobi, Lettere sulla dottrina di Spinoza, tr. it. di F. Capra, Laterza,
Roma-Bari 1969, cit., pp. 66-67.

69
In questo contesto di necessit il lavoro appare come una re-
alizzazione delle forze naturali stesse, che sono sia materiali
che spirituali, e spirituali nelluomo e nella sua scienza, da cui
deriva la tecnica che lo rende signore della Natura.
Il lavoro rende dunque la comunit degli uomini non solo li-
bera, ma soprattutto libera in armonia con la Natura, di cui si
riconosce frammento.
Non era forse ovvio, per quei giovani e meno giovani poeti,
filosofi, musicisti, intellettuali dellepoca, spazzare via i vecchi
legami e le classi sociali in cui essi si esprimevano?
Quindici anni dopo il tema della rivoluzione sarebbe stato
allordine del giorno, anche in Germania. Per il momento, leg-
giamo il frammento che Goethe ha dedicato a Prometeo.

70
J. W. GOETHE
P ROMET EO
(Inno, frammento di una tragedia incompiuta66, 1774)

Stendi pure un velo sul tuo67 cielo, Zeus,


con ombre di nubi,
e colpisci, come fa un bambino
con le teste dei cardi,
le querce e le vette dei monti;
la mia terra68 per
devi a me lasciare,

[66]Il testo poetico che leggiamo un Inno, composto nellautunno del


1773 per la tragedia Prometeo che il ventiquattrenne Goethe aveva progettato
nellestate precedente e per cui aveva scritto i primi due atti. La tragedia
rimase incompiuta. Ecco la trama della parte impostata da Goethe: Prometeo
rifiuta la proposta degli di di spartire con loro il cielo, rifiuta persino che le
figure da lui create siano animate dagli di, perch non vuole avere nulla in
comune con loro, perch non si cura affatto del cielo; vuole invece per s la
terra che sua, veramente e soltanto sua, la terra per la quale sta gi creando
una nuova e felice umanit fatta a sua immagine e somiglianza. (L. Mittner,
Storia della letteratura tedesca II, Einaudi, Torino 1978, cit., p. 363).
[67] Nella divisione degli ambiti della natura coi suoi fratelli seguita alla
vittoria di Zeus, il mare stato assegnato a Poseidone, il mondo sotterraneo
ad Ade e il cielo a Zeus, che ha anche assunto il ruolo di supremo garante
dellequilibrio cosmico. Nel successivo accenno al gioco del bambino da
vedere un cenno di disprezzo per i capricci di Zeus: Prometeo non rispetta
affatto il signore delluniverso e, per la verit, nessuno degli di.
[68] Prometeo qui visto da Goethe simile a un uomo, ancorato alla terra da
una vita di lavoro che garantisce lautonomia e la libert. Quanto al termine
capanna, che in questo contesto viene utilizzato, usato altrove dai poeti
romantici e da Goethe stesso per indicare il legame delluomo (e della donna)
con la terra, su cui costruisce qualcosa di stabile, qualcosa in cui pu vivere
in libert.

71
e la mia capanna non lhai costruita tu!
e il fuoco che vi arde
per la sua fiamma
mi porti invidia69.

Io non conosco nulla di pi misero,


sotto il sole, di voi di!
Costretti a nutrire
con offerte votive
e preghiere biascicate
la vostra maest,
a stento vivreste
senza bambini e mendicanti
pieni di vane speranze70.

Anchio da bambino,
inesperto, inconsapevole,
volgevo i miei occhi, senza capire,
verso il Sole, cercando qualcuno lass,
un orecchio che ascoltasse il mio lamento,
un cuore simile al mio cuore,
che sentisse con pena la mia pena71.

Chi mi aiut
contro larrogante violenza dei Titani?
Chi mi salv dalla morte,

[69] Il riferimento al furto del fuoco, donato agli uomini. Il fuoco arde
nella capanna, che non ha costruito Zeus ma opera di Prometeo, cio degli
uomini, ed qui simbolo di autonomia della coscienza umana da poteri
superiori.
[70] Luomo quindi, non questi di, padrone di se stesso. Gli di possono
vivere solo ingannando gli uomini e facendosi indebitamente adorare e
servire da essi.
[71] qui espresso un concetto romantico, che la religione sia innanzitutto
legame dei cuori che unisce lumano e il divino. Lo sfondo , anche in questo
caso, vicino allo spinozismo romantico.

72
dalla schiavit?
Non hai fatto tutto da te,
sacro ardente mio cuore?
E non ardevi, giovane e buono,
ingannato e colmo di gratitudine,
per lui che dormiva72 lass?

E adesso dovrei onorarti? E perch?


Hai mai tu consolato le pene
dellafflitto?
Hai mai tu asciugato le lacrime
dellangosciato73?
Non mi ha forse fatto uomo
il tempo onnipotente,
e il destino eterno,
miei, e tuoi, signori74?

[72] Luomo, in autonomia, salva se stesso. Gli di dormono. Linterpretazione


politica che a volte si data di questi passi chiara: il lavoro rende luomo
libero, la religione ha senso solo nella comunanza dei cuori, in assonanza
con la Natura a cui tutto appartiene. Nessun essere superiore partecipe di
questo gioco.
[73] Se la religione comunanza dei cuori, dentro lunit della Natura, questi
e non altri ne sono i tratti tipici: consolare le pene dellafflitto, asciugare le
lacrime dellangosciato, cio vivere nellunit degli spiriti viventi. (La vita
una, diranno i filosofi romantici.)
[74]Il punto di vista goethiano nella poesia spinoziano secondo
laccezione romantica del termine: anche gli di infatti soggiacciono al
tempo onnipotente ed al destino eterno. Il titano Prometeo nella sua
invettiva contro di essi rappresenta quindi luomo nella pienezza della sua
potenza, che si identifica in rapporto al Tutto come un elemento s, ma tale
da essere col lavoro padrone di se stesso. Al testo della poesia sotteso un
significato politico: indubbio che con la sua condanna della dinastia degli
di sfruttatrice dellingenuit umana e del lavoro umano Goethe condanna
anche le dinastie terrene che sfruttano in modo non diverso i sudditi e per
giunta si valgono della religione per tenerli in soggezione. La poesia fu subito
intesa come doppiamente rivoluzionaria. (L. Mittner, Storia della letteratura
tedesca, cit., pp. 363-364).

73
Credevi forse
che avrei finito con lodiare la vita,
col fuggire nel deserto,
perch non tutti i sogni
son sbocciati come fiori?

Io sto qui, plasmo uomini


a mia immagine,
una stirpe, che mi sia simile,
nel soffrire, nel piangere,
nel godere e nellesser felice,
e di te non si curi,
come me!75

Per completezza, ci sar utile richiamare una breve citazione


dal Faust, lopera a cui Goethe dedicher una intera vita, con
continui ampliamenti e rifacimenti. I pochi versi che leggiamo
sono tratti da una delle scene iniziali. Faust rientra nello stu-
dio dopo la passeggiata domenicale, con lanimo inquieto, e
legge la Bibbia in greco. Si accinge a tradurre il primo versetto
del Vangelo di Giovanni, e in questo suo lavoro emerge con
chiarezza lidea romantica (o che si avvia a divenire romantica)
della Natura vivificata da uno spirito vivente, da una energia
spirituale che assume un valore religioso:

Sta scritto: In principio era La Parola.


E eccomi gi fermo. Chi maiuta a procedere?
M impossibile dare a Parola
tanto valore. Devo tradurre altrimenti,
se mi dar giusto lume lo Spirito.
Sta scritto: In principio era il Pensiero.
Medita bene il primo rigo,
ch non ti corra troppo la penna.

[75]Il testo tradotto per questa edizione dalla redazione di Diogene


Magazine.

74
Quel che tutto crea e opera il Pensiero?
Dovrebbessere: In principio era lEnergia.
Pure, mentre trascrivo questa parola, qualcosa
gi mi dice che non qui potr fermarmi.
Mi d aiuto lo Spirito! Ecco che vedo chiaro
e, ormai sicuro, scrivo: In principio era lAzione!76

Questa energia spirituale originaria (lAzione!) opera nella


Natura e in noi e ci rende uomini. Liberi attraverso la nostra
creativit, attraverso la scienza e quindi le arti o, se si preferi-
sce anticipare i tempi, lindustria, con cui la razionalit umana,
che spirito, domina e plasma la materia.

[76]W. Goethe, Faust, tr. it. di F. Fortini, Mondadori, Milano 1987, cit.,
p. 95. In nota a questa edizione del Faust il curatore Franco Fortini cos
commenta: Faust vorrebbe imprendere la traduzione dellEvangelo secondo
Giovanni, il primo versetto quello che contiene (En arch n o lgos, in
principium erat verbum) la parola che chiave stessa della realt. Di qui
la difficolt di tradurre il greco logos. Lutero ha tradotto con Wort, parola,
verbum. Ma al termine latino e tedesco manca un elemento essenziale del
logos, e cio la sua concettualit. Faust passa quindi a Sinn, inteso come
intelletto e pensiero. Ma anche questo non pu soddisfarlo, perch viene a
mancare la spinta creatrice che pur nelloriginale greco: e allora propone
Kraft, che forza ed energia. Ancora una volta Faust-Goethe avverte che
Kraft sarebbe il principio creatore ma solo dalla parte del soggetto; e troppo
esclusivamente potenziale. La conclusione die Tat, lazione, la prassi. Si ha
qui uno dei termini che riassumono quello che si convenuto di chiamare il
Faustismo; quel complesso atteggiamento che unisce attivismo e volontarismo
e che nel secolo XIX, dallimpeto creativo della borghesia in ascesa, trapassa
allirrazionalismo estetizzante di quella avviata allimperialismo. Va poi
aggiunto che probabilmente nel passaggio da Wort a Sinn a Kraft e a Tat
il cammino di Faust ripete il cammino storico (C. Cases, Introduzione al
Faust, Torino 1965, p. LX) dallet della filologia umanistica al razionalismo
cartesiano e illuministico e da questo alla forza espressa nellazione creatrice
della espansione borghese.

75
3. IL PROMETEO DI SCHELLEY

Tra il 1818 e il 1819, un trentennio dopo il Prometeo di Goethe,


uno dei massimi poeti romantici, il giovanissimo Percy Bysshe
Shelley77 scrisse un dramma lirico in quattro atti che intito-
l Prometeo liberato. Questopera, per varie ragioni, andata
incontro a una notevole fortuna, ed esprime valori romantici
ormai maturi, in linea con quelli del giovane Goethe, in un con-
testo per, per cos dire, post-rivoluzionario.
Schelley quando scrisse il suo Prometeo era infatti nella Roma
della prima et della restaurazione (siamo tre anni dopo il Con-
gresso di Vienna che chiude let rivoluzionaria apertasi con il
1789), e la Roma dei papi doveva essere laperta antitesi, in
quegli anni, dello spirito rivoluzionario. Ma era anche la Roma
dei ruderi che facevano sognare i romantici, la citt del potere
e della gloria antica, la civilizzatrice dei popoli.
Schelley era personalmente un visionario, legato a una conce-
zione romantica dellanarchismo: sognava la Natura pacifica-
ta con luomo, come nello spinozismo dei romantici tedeschi
della generazione precedente alla sua, e una societ governa-
ta dallamore tra gli uomini. Prometeo quindi il suo eroe, in
linea con linterpretazione di Goethe, ma con una essenziale
variante del mito.

Vediamo di cosa si tratta. Anche Schelley riprende limmagi-


ne di Prometeo incatenato a una roccia del Caucaso, e anche
per lui la figura che subisce il supplizio dellaquila una figura
essenzialmente umana: rappresenta, in qualche modo, luma-
nit che anela alla liberazione da ogni potere, per poter vive-

[77]Percy Bysshe Shelley (1792-1822) uno dei pi noti e amati poeti


romantici inglesi, circondato da un alone di mistero per la sua stessa vita,
tutta spesa a seguire ideali e visioni poetiche (ma concretamente ancorate
ad un sogno di rigenerazione della societ e della vita) e per la sua morte,
avvenuta per naufragio al largo di Lerici: fu lamico Byron ad ardere il suo
corpo, restituito dal mare e trovato pochi giorni dopo il naufragio, sulla
spiaggia della Versilia. Visse gli ultimi anni della sua vita in Italia.

76
re in pace con la Natura e coi propri simili senza dominio n
violenza. Lantica profezia dice che Zeus sar sconfitto da un
figlio avuto con Teti e Prometeo, che ne a conoscenza, ab-
bastanza forte da non rivelarla. Sicch la profezia si realizza, e
la liberazione di Prometeo non avviene per un accordo col dio,
ma in seguito alla sua uscita di scena.
Prometeo, nella tragedia di Schelley, sposa una delle ninfe
Oceanine, Asia, qui assurta a simbolo della Natura stessa, ri-
conciliata col signore delle tecniche. Il lavoro che trasforma
la Natura e la Natura stessa si amano e generano un mondo
damore.
La linea quella di Goethe, ma in uno spirito di pacificazione
realizzata. il sogno di un visionario? Cos stata abitualmente
interpretata. Ma visionario il poeta quando vede ci che gli
altri non vedono, perch troppo lontano. Schelley stava inter-
pretando una possibile linea di sviluppo del mito nella realt
storica.
La domanda se il lavoro pu riconciliare luomo e la Natura
come vide questo visionario. (Interrompendo la sequenza in
ordine cronologico dellindice di questo libro, abbiamo inserito
dopo questo capitolo una riflessione in chiave di attualit di
uno dei massimi filosofi della fine del XX secolo, Hans Jonas,
che sviluppa in un senso originale e interessante questo tema
della conciliazione tra luomo e la natura nellet industriale
avanzata, quando Prometeo , per cos dire scatenato, per
via del potere che le macchine stanno dando alluomo. Consi-
gliamo quindi di leggere il prossimo capitolo come ideale pro-
seguimento della lettura del testo di Schelley.)

Il brano che proponiamo in lettura tratto dallultimo atto del


dramma lirico, quando ormai tutto si compiuto. La scena
ha una dimensione cosmica perch le due protagoniste sono
la Luna e la Terra, personificate, in una visione tipicamente
romantica. Ad essere descritti qui sono gli esiti dellamore, la
nascita a nuova vita. La rigenerazione dellumanit attraverso
il lavoro in armonia con la Natura porta alla rinascita della Na-
tura stessa.

77
Ritorna qui il motivo di Amore come forza cosmica che i Ro-
mantici ripresero dalla tradizione prima platonica, poi rinasci-
mentale.

P. B. SCHELLEY
P ROMET EO LI BERAT O
(Dramma lirico in quattro atti, 1819)

Atto IV

La Luna
La neve sui miei monti senza vita
si scioglie in sorgenti piene di vita78
i miei Oceani gelati scorrono e cantano e splendono
uno spirito dal mio cuore si innalza,
riveste con inattesa nascita
il mio freddo nudo petto: possa essere il tuo
sul mio, sul mio!

Guardando te, io sento, io vedo


nascere verdi gemme, sbocciare fiori colorati,
e forme viventi muoversi su di me:
c una musica nel mare e nellaria,
nuvole celesti corrono qua e l,
sogno di pioggia per le nuove gemme:
amore, tutto amore79!

[78]La Natura sterile tale non perch lo sia in s, ma perch bloccata


nella sua originaria energia vivente da un mondo di conflitti di cui Zeus il
simbolo. Liberata da questa logica di dominio, la Natura rinasce e la sterile
Luna, innamorata, genera adesso, non pi sterile, ogni sorta di elementi di
vita. Non lamore a creare il miracolo, perch la Natura vivente, ma
lamore a rendere possibile il suo manifestarsi.
[79] Forse utile, per commentare questo verso, leggere una celebre poesia
di Schelley dedicata allamore e intitolata appunto Filosofia dellamore:

78
La Terra
Lamore penetra la mia massa di granito,
attraverso contorte radici e compatte argille
sale verso le pi alte foglie e i pi delicati fiori;
lamore nel vento, nelle nuvole,
risveglia a vita i morti che nessuno ricorda pi,
e il loro spirito respira dalle loro oscure tombe.
()

Una catena di intrecci di pensiero80


damore e di potenza, inseparabili,
costringe gli elementi con forza di diamante

I.
Le sorgenti diventano fiume
e i fiumi Oceano,
i venti del Cielo si uniscono tra loro,
sempre, con una dolce emozione;
niente al mondo single;
tutte le cose per una legge divina
in unit di spirito si incontrano e si fondono.
Perch non io con te?

II.
Vedi le montagne baciare lalto cielo
e le onde abbracciarsi tra loro;
non vedi nessun fiore-sorella
scostarsi, ritroso, da suo fratello;
vedi la luce del Sole avvolgere la Terra
e i raggi della Luna baciare il Mare:
per che cosa tutto questo dolce lavoro
se tu non baci me?
(Il testo, del 1819, tradotto per questa edizione dalla redazione di Diogene
Magazine).
[80]Non sorprenda in questo contesto di vita e di energia che il poeta
richiami espressamente il pensiero come forza che vivifica la materia ed
creatrice dentro la Natura. davvero questa lidea romantica: la Natura ha in
s lo Spirito, e lamore lo libera. Amore e potenza, dice il poeta, associando
i due termini.

79
come fa il Sole, che regge, sebbene con locchio del tiranno,
linquieta Repubblica delle masse
dei Pianeti, che lottano attraverso i cieli liberi,
deserti81.

Uomo, Anima armonia di molte anime82,


la tua natura nel tuo stesso divino controllo
in te tutte le cose fluiscono al tutto, come i fiumi al mare;
le azioni familiari sono belle attraverso lamore;
Lavoro e Sofferenza e Rammarico83 nel verde vivaio della vita
Giocano come animali addomesticati nessuno sapeva quan-
to amabili essi
avrebbero potuto essere!
()

La Luna
Tu sei racchiusa, tu sei avvolta
nella luce senza tempo
della tua stessa gioia e nel divino sorriso del Cielo;
tutti i soli e le costellazioni emanano
verso di te una luce, una vita, una potenza
che rende bella la tua sfera e tu la riversi
su di me, su di me!

[81]La forza, come si vede, non superata dallamore. Davvero amore


e potenza coincidono: la forza acquista per con lamore un aspetto non
tirannico, ma vitale. La lotta dei Pianeti (il gioco della forza di gravit) nel
deserto dello spazio vuoto consente, ordinandosi con amore, la vita nel cosmo
(non solo sulla Terra, qui personificata, ma anche sulla Luna).
[82]Nellanima umana lo spirito vitale, il pensiero, come prima lo ha
chiamato si esprimono le stesse forze della Natura che si esprimono in ogni
essere. Le anime sono quindi, alla radice, connesse tra loro. La vita una.
[83] Il male non eliminato, ma acquista un senso. E luomo ha una centralit
che non quella evocata dagli umanisti, ma quella evocata da Bacone:
il prometeico controllo delle tecniche che gli consente di avere un divino
controllo.

80
La Terra
Io giro intorno alla mia piramide della notte,
che punta verso i Cieli, sognando delizie,
mormorando gioia vittoriosa nel mio sogno incantato;
come un giovane perso nei sogni damore, languidamente
sospira,
sotto lombra della bellezza di lei
che circonda il suo sonno con un che
di luce e di tepore.

La Luna
Quando giunge leclisse dolce e lieve,
e anima e anima sincontrano sulle labbra degli amanti,
e i cuori elevati sono calmi, e gli occhi brillano di pi, languidi;
allora la tua ombra mi copre
allora silenzio e pace sono in me da te
avvolta; del tuo amore, Sfera splendente,
piena, tanto piena!

81
CAPITOLO IV

IL P ROMET EO
DI JONAS E LA SF IDA
DELLA RESP ONSABILIT

Nellambito del dibattito contemporaneo sui rischi implicati


dal vivere in una realt fortemente permeata dalla tecnica,
merita una particolare attenzione lopera del filosofo Hans Jo-
nas (1903-1993).
Di notevole rilievo e di larga risonanza il suo intervento
espresso nellopera del 1979 Il principio responsabilit. Uneti-
ca per la civilt tecnologica (Das Prinzip Verantwortung), dove
in seguito ad unattenta e puntuale analisi delle potenzialit
distruttive della tecnica, il filosofo offre la prospettiva di une-
tica della responsabilit nei confronti delle generazioni future
come condizione necessaria della sopravvivenza umana sulla
terra.
Jonas, la cui esistenza si snoda attraverso quasi tutto il secolo
scorso, rappresenta uno dei principali esponenti del pensiero
ecologico. Il Prometeo irresistibilmente scatenato, al quale la
scienza conferisce forze senza precedenti e leconomia impri-
me un impulso incessante, esige unetica che mediante auto-

82
restrizioni impedisca alla sua potenza di diventare una sventu-
ra per luomo84.

Forte in questo passaggio lassonanza con unaltra opera capi-


tale della filosofia contemporanea, la Dialettica dellIlluminismo
di Horkheimer e Adorno, nella quale i due autori criticano la
pretesa umana di voler illuminare, grazie alla ragione umana,
il proprio cammino sulla terra, non riuscendo purtroppo ad evi-
tare le nubi di una catastrofe incombente. Una sorta di dialetti-
ca del rovesciamento dove, grazie alla tecnica e agli accresciu-
ti poteri a propria disposizione, luomo insegue lideale di un
completo assoggettamento della natura a proprio vantaggio,
ritrovandosi per smarrito, inadeguato e impotente di fronte
alleminenza e alla pericolosit dei manufatti da esso realizzati.
Un fatto del tutto nuovo nel corso della storia: la sottomissione
della natura in vista della felicit umana pone ed impone, se-
condo Jonas, una riflessione profonda capace di delineare una
nuova etica, fondata appunto sulla responsabilit.

E allorizzonte ecco comparire un termine nuovo, il futuro,


categoria temporale non considerata dalletica tradizionale.
Prima dellavvento della civilt tecnologica, infatti, il sapere e
il potere erano troppo limitati per incidere significativamen-
te nelle dinamiche naturali e per includere il futuro nellottica
della previsione.
Per Jonas, quindi, conseguentemente ai significativi svilup-
pi del pensiero e del potere umani, stata la natura stessa
dellagire umano a subire trasformazioni radicali. Il mutamen-
to sostanziale della natura dellagire umano richiede quindi un
mutamento nel campo delletica.
Lanalisi del filosofo tedesco muove da un iniziale riferimen-
to allAntigone di Sofocle, e pi esattamente al celebre Primo
stasimo:

[84]Hans Jonas, Il principio responsabilit. Unetica per la civilt


tecnologica, tr. it. di P. P. Portinaro, Einaudi, Torino 1993, in Prefazione, cit.,
p. XXVII.

83
Lesistere del mondo uno stupore
infinito, ma nulla pi delluomo
stupendo. Anche di l dal grigio mare,
tra i venti tempestosi, quando sapre
a lui sul capo londa alta di strepiti,
luomo passa; e la terra, santa madre,
con laratro affatica danno in anno
e con la stirpe equina la rovescia. ()

La parola, il pensiero come il vento


veloce, lindole civile apprese
da solo e a ripararsi dalla pioggia
e dai freddi sereni della notte;
fatto esperto di tutto, audace corre
al rischio del futuro: ma riparo
non avr dalla morte, pur vincendo
lassalto dogni morbo inaspettato85.

Luomo dunque penetrato con violenza nellordine cosmico


grazie alla sua intelligenza contribuendo alla formazione arti-
ficiale della citt, una costruzione che lo mette al riparo dai
pericoli derivanti dallesterno, unenclave fatta di leggi che re-
golamentano il proprio comportamento permettendo la nasci-
ta del processo di civilizzazione. Sottomettendo le circostan-
ze alla propria volont, luomo faber vitae suae (artefice, e
quindi padrone, della propria vita), e risulta essere disarmato
solo nei confronti dellevento limite, la morte. Tuttavia, Jonas
afferma che allinterno del sopracitato canto di esaltazione del
prodigio umano, risulta inespresso, perch scontato ai tempi
di Sofocle, un fatto di straordinaria rilevanza: il sapere delluo-
mo, nonostante la grandezza derivante dalla sua inesauribile
inventiva, risultava pur sempre piccolo nei confronti degli ele-
menti. In sintesi: la natura e le sue forze generatrici non sono
per nulla intaccate dallazione umana.

[85] La versione completa e commentata dello stasimo nella scheda posta


in coda a questo capitolo.

84
La vita delluomo oscillava tra la dimensione del permanente
e quella del mutevole: la prima rappresentata dalla Natura, la
seconda dalle sue opere.
Riguardo la dimensione etica, il filosofo sostiene, attraverso
unargomentazione serrata e puntuale, che luniverso mora-
le della tradizione era contrassegnato dai contemporanei e il
relativo orizzonte futuro limitato dalla durata probabile della
loro vita. La leva breve del potere umano non richiedeva la
leva lunga del sapere predittivo86.
Oggigiorno, invece, la tecnica si imposta e trasformata in una
illimitata tensione progressiva della specie verso mete sempre
pi elevate. Jonas parla a tale proposito del trionfo dellho-
mo faber sullhomo sapiens (dellingegnere e dellindustriale
sulluomo che si dedica al pensiero e non allazione), di cui un
tempo non costituiva altro che una parte ausiliaria.
Una nuova dimensione prende forma: quella della citt uni-
versale come seconda natura umana. Il confine tra polis e
natura stato cancellato. La citt degli uomini, un tempo
unenclave nel mondo non-umano, si estende ora alla totalit
della natura terrena e ne usurpa il posto. La differenza tra lar-
tificiale e il naturale sparita, il naturale stato fagocitato dal-
la sfera dellartificiale; e nel contempo la totalit degli artefatti,
le opere delluomo che come mondo operano su e per mezzo
di lui, producono un nuovo tipo di natura, ossia una peculia-
re necessit dinamica con la quale la libert umana si trova a
essere confrontata in un senso del tutto nuovo87.

Si pone con forza lesigenza di riflettere seriamente su una


questione mai prima dora presa in considerazione: sussiste la
possibilit reale che il Tutto possa andare in rovina per effetto
di azioni umane.
Soffermiamoci per un momento sui caratteri di quellimpera-
tivo categorico kantiano che affermava: Agisci in modo che

[86] H. Jonas, Il principio responsabilit, cit., p. 9.


[87] Ivi, p. 14.

85
anche tu possa volere che la tua massima diventi legge univer-
sale. Se ne analizziamo attentamente il significato, possiamo
dedurre che esso era diretto allindividuo e il suo criterio era
riferito al presente. Inoltre, come afferma Jonas: le conse-
guenze reali non vengono affatto prese in considerazione e il
principio non quello della responsabilit oggettiva, ma quello
del carattere soggettivo della mia autodeterminazione88.
Limplicazione evidente: il vecchio imperativo morale accu-
sato di essere indifferente alle conseguenze reali delle nostre
azioni.
Il filosofo, e qui risiede la peculiarit del suo pensiero, suggeri-
sce di ripensare letica guardando allorizzonte ecologico della
salvaguardia delle generazioni future.
Limperativo adeguato al nuovo tipo di agire umano suonereb-
be in questi termini: Agisci in modo che le conseguenze della
tua azione siano compatibili con la permanenza di unautentica
vita umana sulla terra, oppure, tradotto in negativo: Agisci in
modo che le conseguenze della tua azione non distruggano la
possibilit futura di tale vita, oppure, semplicemente: Non
mettere in pericolo le condizioni della sopravvivenza indefinita
dellumanit sulla terra89.

Lindicazione fornita dal filosofo tedesco supera la riflessione


kantiana evocando una riflessione relativa non esclusivamente
allatto con se stesso, ma ai suoi effetti ultimi, nellottica della
continuit dellattivit umana nellavvenire.
Jonas auspica unetica della responsabilit di matrice planeta-
ria e universalista, attraverso la quale lumanit possa far fron-
te alla sfida costituita dagli effetti, anche collaterali, delle sue
attivit collettive90. Unetica che guardi alle conseguenze delle
azioni umane sul lungo periodo, quello riferito alle generazioni

[88] Ivi, p. 17.


[89] Ivi, p. 16.
[90] K. O. Apel, Saggio presentato alla conferenza di Melbu (Norvegia) sul
rapporto tra ecologia ed etica, 18-23 luglio 1990.

86
a venire, perch ad essere in gioco la sopravvivenza stessa
della specie umana. Sullo sfondo di questa riflessione si intra-
vede quindi un principio metafisico, un bene collocato nella
dimensione del futuro, oltre ogni possibile riferimento empiri-
co: la priorit del bene futuro sul vantaggio presente somiglia
quasi ad una scelta di tipo religioso.
Ragionare in questottica significa riconoscere alla natura
quella dignit di fine in s che in precedenza Kant aveva rico-
nosciuto esclusivamente alluomo. Per la collettivit dunque,
considerata lenorme portata di ci che in gioco e per cui i
nostri posteri dovranno un giorno pagare le conseguenze, esi-
ste lurgenza di fondare unetica nuova, ispirata al sentimento
dellumilt: unumilt indotta, a differenza che nel passato,
non dalla limitatezza, ma dalla grandezza abnorme del nostro
potere, che si manifesta nelleccesso del nostro potere di fare
rispetto al nostro potere di prevedere e al nostro potere di va-
lutare e giudicare91.
Ecco la necessit di dirigere diversamente il processo di civiliz-
zazione iniziatosi col dono del fuoco agli uomini nella mitologia
greca. Ecco il senso della frase di Jonas da cui siamo partiti:
Il Prometeo irresistibilmente scatenato, al quale la scienza
conferisce forze senza precedenti e leconomia imprime un im-
pulso incessante, esige unetica che mediante auto-restrizioni
impedisca alla sua potenza di diventare una sventura per luo-
mo.

[91] Ivi, p. 29.

87
SOFOCLE
ANT IGONE
(Primo stasimo)

Lesistere del mondo uno stupore


infinito, ma nulla pi delluomo
stupendo. Anche di l dal grigio mare,
tra i venti tempestosi, quando sapre
a lui sul capo londa alta di strepiti,
luomo passa; e la terra, santa madre,
con laratro affatica danno in anno
e con la stirpe equina la rovescia.

La tenue prole degli uccelli o quella


selvaggia delle fiere o la progenie
abitatrice dei marini abissi
con intrico di reti a s trascina
insidioso luomo; e doma scaltro
i liberi animali: piega al giogo
il crinito cavallo e placa limpeto
del toro irresistibile sui monti.
La parola, il pensiero come il vento
veloce, lindole civile apprese
da solo e a ripararsi dalla pioggia
e dai freddi sereni della notte;
fatto esperto di tutto, audace corre
al rischio del futuro: ma riparo
non avr dalla morte, pur vincendo
lassalto dogni morbo inaspettato.

Fornito doltre misura di sapere,


dingegno e darte, ora si volge al male,
ora al bene; e se accorda la giustizia
divina con le leggi della terra,
far grande la patria. Ma se il male
abita in lui superbo, senza patria
e misero vivr: ignoto allora
sia costui alla mia casa e al mio pensiero92.

[92]Sofocle, Antigone, tr. it di E. Cetrangolo, in Tragici Greci, a cura di C.


Diano, Sansoni, Firenze 1989, p. 183.

88
questo il celebre testo sofocleo che Jonas com-
menta. Ecco il testo: Questo omaggio angoscia-
to al potere angosciante delluomo narra della
sua irruzione violenta e violentatrice nellordine
cosmico, della sua temeraria invasione nelle va-
rie sfere della natura grazie alla sua infaticabile
intelligenza. Nel contempo, per, ci dice anche
che luomo, in virt della facolt autoappresa del
discorso, del pensiero e del sentimento sociale,
costruisce una casa per la sua autentica umanit
vale a dire la formazione artificiale della citt. La
violazione della natura e la civilizzazione delluo-
mo vanno di pari passo. Entrambe sfidano gli ele-
menti, luna avventurandosi in essi e sopraffacen-
done le creature, laltra edificando contro di essi
unenclave al riparo della citt e delle sue leggi.
Luomo lartefice della propria vita in quanto
umana; egli sottomette le circostanze alla propria
volont e ai propri bisogni e, tranne che dinanzi
alla morte, non mai disarmato.
Tuttavia in questo canto di esaltazione del prodi-
gio umano si avverte un tono contenuto, persino
impaurito, e nessuno pu ritenerlo unimmodesta
millanteria. Ci che non viene espresso, essendo
per quei tempi scontato, il sapere che luomo,
malgrado tutta la grandezza della sua sconfinata
inventiva, ancor sempre piccolo se commisura-
to agli elementi; appunto questa circostanza ren-
de cos temerarie le sue irruzioni in essi e consen-
te loro di tollerare la sua insolenza. Tutte le libert
che egli si prende con gli abitanti della terra del
mare, e dellaria lasciano pur sempre immodifi-
cata la natura che ingloba queste sfere e non ne
intaccano le forze generatrici. Esse non vengono
realmente danneggiate se dal loro grande regno
egli se ne ritaglia uno piccolo tutto suo; durano
nel tempo, mentre le sue imprese hanno un cor-

89
so di breve durata. Per quanto tormentata anno
dopo anno dal suo aratro, la terra non ha et e
non si lascia fiaccare; nella sua pazienza costan-
te luomo pu e deve aver fiducia ed costretto
ad adattarsi al suo ciclo. Altrettanto senza et il
mare. Nessuna rapina ai danni della sua prole pu
esaurirne la fecondit; nessuna traversata di navi
pu nuocergli, nessuno scarico nelle sue profon-
dit pu contaminarlo. E per quanto luomo pos-
sa trovare rimedio a molte malattie, la mortalit
stessa non si piega alla sua astuzia.
Tutto ci risulta vero perch prima del nostro tem-
po gli interventi delluomo nella natura, come egli
stesso li vedeva, furono essenzialmente superfi-
ciali e incapaci di turbare il suo equilibrio stabilito.
(Lanalisi retrospettiva scopre che la verit non fu
sempre cos innocua). N (...) nellAntigone n da
qualche altra parte rintracciabile unallusione
al fatto che si tratta soltanto di un inizio, perch
successi pi grandi nel campo della tecnica e del
potere sono ancora a venire per luomo lanciato
nella corsa interminabile delle sue conquiste. Cos
avanti egli si spinto nel dominare la necessit,
cos tante cose egli ha astutamente imparato a
strapparle per umanizzare la propria vita, che me-
ditando su ci stato colto da un brivido davanti
alla propria temerariet.
Lo spazio cos creato fu occupato dalla citt de-
gli uomini la cui destinazione era delimitare e
non espandersi; in tal modo si produsse un nuovo
equilibrio nel pi ampio equilibrio del tutto. Ogni
bene o male verso cui, una volta pi che unaltra,
la facolt inventiva pu spingere luomo, si collo-
ca allinterno dellenclave umana e non coinvolge
la natura delle cose.
Linvulnerabilit del tutto, le cui profondit non
vengono turbate dallinvadenza umana, vale a

90
dire la sostanziale immutabilit della natura in
quanto ordine cosmico, costituiva in effetti lo
sfondo di tutte le imprese delluomo mortale, in-
clusi i suoi interventi in quellordine stesso. La sua
vita si svolgeva tra il permanente e il mutevole:
il permanente era la natura, il mutevole erano le
sue opere. La pi grande di esse fu la citt, a cui
luomo pot conferire un certo grado di durata
mediante le leggi, che per essa egli ide e si ac-
cinse a onorare. Ma alla lunga nessuna certezza
caratterizzava questa continuit artificiale. Come
unopera darte minacciata, la formazione cultu-
rale pu indebolirsi o smarrirsi.
Neppure allintervento del suo spazio artificiale,
malgrado tutta la libert che esso concede allau-
todeterminazione, larbitrario potr mai rim-
piazzare le condizioni fondamentali dellesisten-
za umana. Anzi, proprio linstabilit del destino
umano assicura la stabilit della condizione uma-
na. Il caso, la fortuna e la follia, i grandi livellatori
nelle faccende umane, agiscono come una sorta
di entropia, facendo sfociare alla fine nella norma
eterna tutti i progetti stabiliti. Gli Stati sono carat-
terizzati dallascesa e dalla caduta, le dominazioni
vanno e vengono, le famiglie prosperano e de-
generano nessun mutamento duraturo e alla
fine, nel bilanciamento reciproco di tutte le de-
viazioni temporanee, la condizione umana resta
uguale a quella di sempre. Cos persino qui, nel
suo prodotto artificiale, il mondo sociale, il con-
trollo delluomo scarso e la sua natura costante
riesce ad avere il sopravvento.
Purtuttavia, questa cittadella di sua stessa crea-
zione, nettamente separata dal resto delle cose e
affidata alla sua tutela, costituiva lintero e unico
ambito della responsabilit umana. La natura non
era oggetto di tale responsabilit; essa provvede-

91
va a se stessa e, se adeguatamente sollecitata e
incalzata, anche alluomo. Non letica, ma lintel-
ligenza e lo spirito inventivo le erano appropriati.
Ma nella citt, ossia nella formazione sociale
artificiale, in cui gli uomini hanno rapporti con al-
tri uomini, lintelligenza deve unirsi alla moralit,
perch questultima lanima della sua esistenza.
in questo contesto interumano, dunque, che di-
mora anche ogni etica tradizionale, conformando-
si alle dimensioni dellagire cos condizionate93.

[93] H. Jonas, Il principio di responsabilit, cit., pp. 5-7.

92
CAPITOLO V

UNAMUNO:
LAVVOLTOIO DI P ROMET EO

1. QUELLAVVOLTOIO IL PENSIERO

La poesia Lavvoltoio di Prometeo (El buitre de Prometeo,


1907)94 figura tra le Meditazioni (Meditaciones) del primo li-
bro di versi del filosofo-poeta-romanziere spagnolo Miguel de
Unamuno95 Poesie (Poesas) ed , a detta sua, una delle
pi sentite, delle pi vicine alla trasposizione in parola di quel
sentimento tragico che sarebbe di l a poco sbocciato in lui. In-

[94] M. de Unamuno, El buitre de Prometeo (1907), in Poesas (1907) , in


Obras completas, vol. VI, Escelicer, Madrid 1969, pp. 234-239.
[95] Miguel de Unamuno (1864-1936) fu uno dei filosofi e letterati pi celebri
del XX secolo spagnolo. Scrisse opere che lasciarono una forte impronta nel
suo paese come Vita di Don Chisciotte e Sancio (1905) e Del sentimento
tragico della vita (1913), nelle quali, anche se con accenti diversi, rivendica
le necessit vitali della fede e del sogno contro il puro razionalismo che
insterilisce la vita (Don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento esempio
di colui che non si fa soggiogare dalla ragione e lotta per la conquista del
regno della fede). Il sentimento tragico nasce proprio dal conflitto interiore
tra vita e ragione, bisogno di credere in qualcosa che va oltre a ci che
vediamo e rassegnazione per unesistenza destinata a finire.

93
fatti, in una lettera al poeta catalano Juan Maragall, Unamuno
scrive: Sto stampando ora, a Bilbao, il mio tomo di Poesas.
Ce ne sono un po che lei non conosce, tra queste Lavvoltoio
di Prometeo, che stimo essere delle pi mie. Quellavvoltoio
il pensiero96.
Per Manuel Garca Blanco, attento commentatore dellintera
opera unamuniana, e quindi anche della sua produzione po-
etica, Lavvoltoio di Prometeo non altro che il suo stesso
pensiero, che lo attanaglia, che lo divora senza fine97. Per Ro-
berto Paoli, primo traduttore italiano delle poesie dello spa-
gnolo, invece, Lavvoltoio di Prometeo non rappresenterebbe
uno dei migliori episodi della carriera dellUnamuno poeta,
anzi esempio di quel difetto che Paoli dice essere lide-
azione proliferatoria, caratteristica della esuberante mente
unamuniana. () La discorsivit rende certe liriche alquanto
prolisse. Egli sembra diffidare della parola suggeritrice, simbo-
lista. Cos frequente che commenti e razionalizzi se stesso via
via, nel corso del poema98. probabilmente per questo che la
traduzione di questa poesia non figura nellantologia di Paoli
dedicata ad Unamuno.
Cerchiamo qui di colmarne la mancanza proponendo la nostra
traduzione del poema (considerata la sua lunghezza forse
meglio chiamarlo cos) avvertendo il lettore della libert pre-
saci nella resa di alcuni passaggi, restando per cos para-
dossalmente fedeli alla libert unamuniana di composizione,
giacch a dominare qui il verso libero leopardiano. Pur costa-
tando con Manuel Garca Blanco la presenza di endecasillabi,
eptasillabi e pentasillabi, per la loro scarsa rigidit e proba-
bile casualit, non sempre li abbiamo voluti conservare nella
versione italiana. Inoltre, per dirla con Jos Ortega y Gasset,

[96] Lettera del 15-II-1907.


[97] M. Garca Blanco, Don Miguel de Unamuno y sus Poesas, Universidad
de Salamanca 1954, cit., p. 109.
[98] R. Paoli, Saggio critico introduttivo a M. de Unamuno, Poesie, Vallecchi
Editore, Firenze 1968, cit., p. XLIV.

94
consci che la traduzione sia un genere letterario a s, questa
riproposizione in italiano vuol esser solo unapprossimazione,
seppur attenta, e un invito alla lettura delloriginale castigliano.

MIGUEL DE UNAMUNO
LAV VOLT OIO DI P ROMET EO
Alla rocca del mondo Prometeo,
che degli uomini il miglior amico
con divine catene
legato e impedito,
salimenta di pene,
e allavvoltoio accarezzando, suo castigo,
allavvoltoio, Pensamento, cos dice:

Che mi racconti? Che vedesti l tra le nubi?


Il tuo collo accarezzando al vil tiranno
la mano gli tremava?
Era pi dolce e blanda della mia?
Ahi, ahi, ahi! che il senso mi strappi;
quieto, quieto, con calma!
lascia che ti senta, che ti sazio!

Andiamo, andiamo, boia,
sommergi qui la testa tua, nel seno mio,
e le mie viscere ingoia,
per il becco non alzare,
sommesso impara a mangiare, senza bruschi movimenti,
ti supplico, cos non lo agitare!
No, non questi strappi,
mangia con calma, testa immersa;
guarda che quelle beccate

95
mi fan morire e non ti sento;
dammi un dolor lento, mite, sordo,
dammi un dolor di vita, pensamento!

Quieto e becco al lavoro!
Il mio sangue la vista ti oscura?
E che timporta?
Mangiar non devi, insaziabil fiera?
Quanto pi mangi la mia carne ricresce.

Dai, dai, mio avvoltoio, senza pensare;


non temer che muoia;
mangiar avrai in te per lunghi secoli:
comune nostra vita,
e intanto che divori
si manterr la mia vita con dolori.
Non cercar altro pasto,
guarda, vita mia, come ti basto.

Sotto le tue beccate le mie viscere
morendo di continuo mi rinascono:
quando la morte vien cos, di faccia,
senza vil travestimento, senzinganno,
combatterla si pu;
il male quando vien di sbieco,
prudente, nascosta, non si sente;
la sua violenza non temo, s il suo dolo.

Grazie a te, mio avvoltoio, non son solo:
in te ho un compagno,
mio amico e macellaio!
la solitudine il nulla;
il dolor di pensar gi rimedio;
meglio le tue beccate che il tedio

Dove vuoi volger la testa?
A guardar la patria, per caso, il cielo?

96
Cerchi di Giove legger la fronte?
Non ti do carne, carne fino a stancarti?
Cerchi ottener dal suo sorriso brio?
Prendi, prendi e bevi il mio sangue;
lascia, lascia il tiranno, ora sei mio!

E non hai da legger la sua fronte, il chiaro cielo,
che la bruma del sangue cui attingi
dei tuoi occhi velo.
Andiamo, quieto, e divorami con calma;
io ti do carne e sangue, pensiero,
e Giove, solo luce, luce solo e aria
e che? non sei contento?
Vuoi di pi? Sei forse impazzito?
Il mio sangue tubriac?
Andiamo, ingoia con calma e poco a poco!

Lascia che le mie viscere si rinnovino
e razzolami tra le interiora;
siamo vecchi amici, boia mio;
gli anni passano
e tu, col tuo fare distruttore
la tela della vita stai lacerando!
Quieto, quieto e divora;
stiam passando!

Senti nostalgia della tua patria in cielo?
Vuoi volar alla dirupata roccia
che custodisce il tuo nido
a cui le nubi fan da tenda?
Non riuscirai a raggiungerla, tabbatte a terra
lo stomaco della mia carne pregno;
cos alta la serra!

Ti si consuma il becco?
Puoi affilarlo sulle costole
che a nudo mi mettesti.

97

Nascer fu il mio delitto.
Nascere alla coscienza,
sentir il mare in me dellinfinito
e amar gli umani
pensar il mio castigo!
Dai, dai con fermezza, crudele amico!

Dai bordi della tua cornea bocca
al mio aperto grembo
il mio sangue scorre,
come pioggerella sul crepaccio
che protegge la fonte dove nasce il fiume;
fiume che dalla nube poi risboccia,
nube che torna al fiume goccia a goccia.

Quanto mi ami, mio avvoltoio, quanto!
Con che vorace affetto mi divori
dal desiderio del mio cibo acceso!
Sangue sei del mio sangue ed la tua carne
di mia carne germoglio!
Mi abbracci e mi stringi tra i tuoi artigli,
come in uno spasmo di fusion suprema;
trema il mio corpo di dolor tra quelli,
uncini palpitanti,
ma la mia anima,
la mia anima a te si volge, boia mio,
ch della vita il succo a te deve.

Ci che in me dolore in te delizia,
mia disgrazia tuo trionfo;
mentre il tuo curvo becco maccarezza,
comio soffro godi;
per gonfiarti di vita mi sconquassi.

Per no, non spostarti dal mio seno,
che senza te per sempre maddormento:

98
raschia tra le viscere, pensamento;
meglio che il vuoto, tuo tormento.
Esistere, esistere, pensar soffrendo
meglio che dormir, libero da pene,
il sonno senza sogni, che non ha fine;
benedette le tue catene,
ch senza quelle presto affonderei
dallombre pallide al paratico.
Sia immortal dolore, mio avvoltoio eterno,
e non piacer effimero, il mio premio!

Avvicinati cos di pi, su me affossato;
al calor del tuo petto il mio petto arda,
custodiscilo dallaria dura montana,
dalle sue crescenti frustate;
non esser pi crudel del tiranno,
e al compir la sentenza pietoso
con le ali tue proteggimi e asciuga
col petto intero le ferite;
sia unguento la sua piuma,
blanda spugna, setosa come schiuma!

Quando in estate le ferite riaccende
il sol che veder ci fa e lui cieco,
fa delle tue forti ali ventaglio
e arieggiami con quelle
al tempo dei colpi del tuo becco.
E scaccia via le mosche,
le schifose mosche, cocciute, mollicce,
sciame di cancrena,
portatrici di sangue e marciume;
non avvilir la mia pena;
a quelle impossibil chio mi abitui!

Tutto, divoralo tutto, non gettare
ai corvi cenci;
non son cibo da buttare sotto la tavola;

99
niente, niente da avanzare ai servi:
tuttintera riservati la preda!
Sei degno di me, io di te degno,
ma i corvi,
quelli che aman la carogna
cacciali, mio falco, a beccate!,
che sappiano che sono vivo;
lontano, lontano da me, becchno,
senza compagni, ci bastiamo tu ed io!

E questo, finir? Tutto finisce,
Nella pi dura roccia goccia a goccia
il filo dacqua il suo sepolcro scava,
e dal petroso e funereo calice
il suo vapor invisibile
nel cielo fonde.
Goccia a goccia il mio sangue intacca
questi ferrei lacci
che Ercole e la Forza sciolsero;
goccia a goccia li rode con la ruggine
cos da spezzare alfin la prostrazione.
Vivo il sangue, morte le catene;
lo custodisco come ruscello
duna linfa perenne che nelle vene
ha il suo alveo stretto.
E voi, immobili legature
che mi solcate il petto,
siete solo ferro inerte,
e alla fine pi forte colui che vive.
Con limmortal succo delle viscere
diroccar pu luomo la montagna.

E tu, carnefice, ti stancherai un giorno;
arriverai allangoscia e allastio;
ingozzato fino alla gola
al deliquio abbatterai il tuo brio,
e abbattuto, vizzo

100
ti accosterai per dormir il tuo stremo;
cuscino avrai in me su questa roccia
su cui merc dei tuoi furori giaccio.
Dormirai per sempre
qui, mio avvoltoio, in me, sulla tua preda
ed io, oggi tuo cibo, sar la tua fossa.

E tu, impassibil Giove celeste,
Ragion augusta, Idea sovrana,
Avvoltoio delluniverso che divori
mondi, soli, e stelle,
Tu, per cui i secoli son come ore
anche Tu stanco un giorno,
la testa, merlata di scintille,
piegherai al peso del torpore.
Sar la tua fine, la fine del tuo regno;
su di te comanda, incontrastabile, il Destino.

E dopo? Quando cessi il Pensiero
che da regger ha il mondo?
E dopo?
ahi, ahi, ahi! Non cos forte!
non cos forte, mio avvoltoio!
guarda che cos mi strappi la coscienza;
ancor nel pieno del tuo incarico, abbi clemenza!

101
2. INTERPRETAZIONE TRAGICA DEL MITO DI PROMETEO

Io ti conceder volentieri che luomo perfettissimo, se tu ti


risolvi a dire che la sua perfezione si rassomigli a quella che si
attribuiva da Plotino al mondo: il quale, diceva Plotino, otti-
mo e perfetto assolutamente; ma perch il mondo sia perfet-
to, conviene che egli abbia in se, tra le altre cose, anche tutti i
mali possibili: per in fatti si trova in lui tanto male, quanto vi
pu capire. E in questo rispetto forse io concederei similmente
al Leibnizio che il mondo presente fosse il migliore di tutti i
mondi possibili.99
GIACOMO LEOPARDI

Prometeo, il miglior partidario delluomo, o forse il miglior


esempio di uomo, legato, incatenato, alla roccia sorella. Si
nutre delle pene che scandiscono il suo tempo, senza rimor-
so alcuno per aver peccato contro il Cielo. E cos, rivolgendosi
al suo fedele avvoltoio, incaricato da Zeus di squartargli ogni
giorno il ventre, canta:

Dme un lento dolor, sordo, apacible; / dme un dolor de


vida, pensamiento!100.

Qualsiasi cosa piuttosto che il nulla! E a parlare qui non Pro-


meteo non lo mai stato ma Unamuno, il Prometeo di
Spagna, colui che am s tanto la sua patria da peccare contro
il dogma castigliano, mulini a vento della tradizione. Am la
sua gente, e am luomo che voleva portar via con s nel suo

[99]G. Leopardi, La scommessa di Prometeo (1824), in Operette morali


(1835), Feltrinelli, Milano 2006, cit., p. 104.
[100]Dammi un dolor lento, mite, sordo, / dammi un dolor di vita,
pensamento!. M. de Unamuno, El buitre de Prometeo, cit., p. 234.

102
eterno privato un inferno in carne e ossa per svegliarlo dal
sogno di una vita morente. La vita sogno? Forse; di sicuro
agonia. Devesserlo per essere vita davvero. Solo cos pu
nascere in noi la speranza, sincera speranza, di vivere eterna-
mente. Che se fosse gi certo non avrebbe pi senso vivere, e
lidea di morire non smetterebbe dessere orrenda: niente di
pi scandaloso.
Se ci fosse garantita limmortalit, non basterebbe questa a se-
dare il nostro tormento? Il sentimento tragico della vita, con-
flitto tra vita che vuol vivere e ragione che preannuncia la pol-
vere, non lascerebbe spazio a un cielo senza nubi? E che vita
sarebbe una vita senza affanno dassoluto, senza pi speranza
di vittoria sul nulla? Una vita beata. Custodendo o no, nellal-
tra vita, lindividualit, la nostra coscienza, finanche il nostro
corpo, come potremmo mai considerarli davvero nostri? Sa-
rebbe vivere la vita di un altro, un altro io, che vive quella che
era la mia vita, svanita cos in qualcosa che non pi mi appar-
tiene. Questa lulteriore tragedia che si aggiunge alla tragedia,
laporia dissanguante.

lavvoltoio di Prometeo, il carnefice, a rappresentare la ten-


tazione del riposo, lannullamento in Dio, per uomini (forse)
troppo deboli per agonizzare nella speranza. Luce e carne in
duello:

Adnde volver quieres la cabeza? / A ver tu patria, el cielo,


por ventura? / Buscas leer de Jpiter la frente? / No te doy
carne, carne hasta la hartura? / Buscas cobrar de su sonrisa
bro? / Toma, toma y bebe mi sangre; / dja, dja al tirano,
eres ya mo!101.

[101] Dove vuoi volger la testa? / A guardar la patria, per caso, il cielo? /
Cerchi di Giove legger la fronte? / Non ti do carne, carne fino a stancarti? /
Cerchi ottener dal suo sorriso brio? / Prendi, prendi e bevi il mio sangue; /
lascia, lascia il tiranno, ora sei mio!. Ivi, pp. 235-236.

103
Prometeo-Unamuno non vuole che lavvoltoio si dissolva nella
luce del cielo, che perda la sua vita per un sogno di beatitudi-
ne: tornare alla propria patria, il cielo, il nulla.
Ma ci in cui spera lavvoltoio ed pieno di speranza forse
essere un giorno liberato, poter tornare a volare nel suo regno,
scrollarsi dal suo ruolo di carnefice, tormento ancor pi torvo
di quello prometeico. Non forse questo un degno anelito?
Degno dessere protratto nellagonia vitale? Ma come se Pro-
meteo lo avvertisse che meglio vivere, e quindi agonizzare,
che raggiungere lobiettivo e perder cos ogni nuovo motivo di
speranza.

Yo te doy carne y sangre, pensamiento, / y Jove, slo


luz, luz slo y aire...102.

Passiamo cos allo stadio tragico successivo. Non potrebbe es-


sere questa la tragedia delle tragedie: non aver pi speranza e
dannarsi nella disperazione? Ma la disperazione, per Unamu-
no, il miglior alimento della speranza. Il problema che non
possiamo disperarci senza il pensamiento che carne, e la car-
ne agonia o non niente. Carne ossa e spirito, una tensione
indissolubile, pena lo smembramento della vita stessa.
Chi non ha speranza, perde la vita e non pu riaverla, poich
quello di cui avrebbe bisogno , appunto, speranza.

Non potrebbe sopportare, Prometeo, la liberazione del suo


boia: chi lo intratterr, chi gli ricorder desser vivo se nessu-
no assaporer pi le sue entraas (viscere)? La soled es la
nada103 (la solitudine il nulla), e lassenza di pena, dagonia,
ancor di pi.

[102] Io ti do carne e sangue, pensiero, / e Giove, solo luce, luce solo e


aria. Ivi, p. 234.
[103] Ivi, p. 235.

104
Mi alma a ti se vuelve, mi verdugo / pues que te debe de su vida
el jugo. // [...] / mejor que no el vaco, tu tormento. / Existir, exi-
stir, pensar sufriendo / ms bien que no dormir, libre de penas,
/ el sueo sin ensueos, que no acaba; / benditas tu cadenas, /
ya que sin ellas pronto me hundira / de la plidas sombras en
el gremio. / Sea inmortal dolor, mi eterno buitre, / y no placer
efmero, mi premio!.104.

Inmortal dolor, s, meglio cibo per linferno che polvere da-


bisso, ma solo perch in Prometeo, che vivo e agonizzante,
ancor regna la speranza, speranza che il supplizio possa un
giorno placarsi, cos come Unamuno sogna affannato una vita
che non muore, un mondo che sia sempre carne. Ma chi dei
due, infondo, crede realmente in questi sogni? Dicesi sogno di
qualcosa che, per definizione, irrealizzabile. La pena di Pro-
meteo pena eterna, la vita di Unamuno vita corta e se c
unaltra vita chi lo sa? Ma vivere realmente, accettando in
pieno il sentimento tragico che sgorga dai petti degli uomini
abbandonati, sta nel non arrendersi anche dinanzi allimpossi-
bile, crudele scandalo.
Dio mio, Dio mio, perch mi lasciasti? (Matteo, XXVII, 46)105

Ma ecco il colpo di scena: Prometeo viene liberato. Eracle


spezza le catene.
E quello che in principio appare come la vittoria della vita sulla
morte A la larga el que vive es el ms fuerte106 finisce per

[104] La mia anima a te si volge, boia mio, / ch della vita il succo a te


deve. // [] / meglio che il vuoto, tuo tormento. / Esistere, esistere, pensar
soffrendo / meglio che dormir, libero da pene, / il sonno senza sogni, che
non ha fine; / benedette le tue catene, / ch senza quelle presto affonderei /
dallombre pallide al paratico. / Sia immortal dolore, mio avvoltoio eterno, /
e non piacer effimero, il mio premio!. Ivi, p. 237.
[105] I Vangeli, nella traduzione di Niccol Tommaseo, Einaudi, Torino
1991, cit., p. 75.
[106] Alla fine pi forte colui che vive. M. de Unamuno, El buitre de
Prometeo, Madrid 1969, cit., p. 239.

105
diventare una sorta di meditatio mortis. Todo se acaba107,
tutto finisce, e anche la speranza, piano piano, sembra spe-
gnersi. Arriver il giorno in cui lavvoltoio, stremato, morr; e
anche Zeus, Ragione augusta, Idea sovrana, avvoltoio delluni-
verso che divora mondi soli e stelle, prima o poi si stancher, e
cesser cos il suo regno.

Y despus? Cuando cese el Pensamiento / de regir a los


mundos? / Y despus...?108.

No, non pu finire tutto cos, non giusto. Prometeo-Una-


muno supplica se stesso di resistere, di far s che tutto ci sia
moralmente ingiusto. Dobbiamo resistere allingiustizia della
cenere!

Ay, ay, ay! no tan recio! / no tan recio, mi buitre! / mira


que as me arrancas la conciencia; / an dentro de tu oficio, ten
clemencia!109.

Che continui, eterno, il supplizio! Che non muoia la speranza!

[107] Ivi, p. 238.


[108] E dopo? Quando cessi il Pensiero / che da regger ha il mondo? / E
dopo?. Ivi, p. 239.
[109] ahi, ahi, ahi! Non cos forte! / non cos forte, mio avvoltoio! /
guarda che cos mi strappi la coscienza; / ancor nel pieno del tuo incarico,
abbi clemenza!. Ibidem.

106
CAPITOLO VI

SIMONE W EIL:
GRAZIE A LUI, LAL BA
GIOIA IMMORTALE

Fra coloro che si sono occupati del mito di Prometeo figura il


nome di Simone Weil (1909-1943), filosofa francese del No-
vecento, nota per i suoi scritti appassionati, fra impegno poli-
tico e sociale e riflessione mistico-teologica. La Weil dedica a
Prometeo una poesia, e lo fa nel 1938, nel momento di piena
maturit del suo pensiero filosofico e della sua esperienza per-
sonale. Nei versi della Weil, Prometeo assume il calibro di un
dio in terra. Come il Cristo della tradizione cristiana, simmola
per amore degli uomini e, grazie a lui lalba diviene gioia im-
mortale.
In questo suo essere umano, troppo umano (per citare un
noto testo nietzschiano) Prometo incarna tutto il pensiero di
Simone Weil, a partire da quel suo schierarsi sempre dalla par-
te dei vinti che tema ricorrente delle sue opere.

107
1. DALLA PARTE DEGLI OPPRESSI:
IL FILO ROSSO NEL PENSIERO DI SIMONE WEIL

C un sottile filo rosso che collega tutta la riflessione e lopera


di Simone Weil ed rappresentato dalla sua naturale inclina-
zione per le categorie pi deboli, i vinti della societ e della
storia. Tutto in lei animato da questa tendenza a mettersi
sempre al posto degli altri, di chi soffre, di chi subisce un so-
pruso o una discriminazione, a partire dalla sofferenza che
prova, ancora bambina, davanti alle tragedie della prima guer-
ra mondiale. Lindagine sulle condizioni di vita dei lavoratori
manuali, siano essi minatori, contadini o operai delle fabbri-
che, che la porter a sperimentare in prima persona la fatica
e loppressione del lavoro fisico, e a scrivere i suoi saggi forse
pi famosi (Le Riflessioni sulle cause della libert e delloppres-
sione sociale, del 1934 e gli scritti raggruppati sotto il titolo di
La condizione operaia, del 1935); la lucida analisi della situa-
zione politica e sociale della Germania alla vigilia dellavvento
di Hitler (contenuta negli scritti del volume intitolato Sulla Ger-
mania totalitaria); le critiche, appassionate e sferzanti al par-
tito comunista, alla politica coloniale francese, ad ogni forma
di totalitarismo, alla guerra e alluso indiscriminato della forza
(espresse nei tanti articoli e saggi degli anni Trenta, pubblicati
su celebri riviste dellepoca come i Cahiers du Sud) ed infine
lesperienza mistico-religiosa che segner gli ultimi anni della
sua vita (e che traspare dalle sue ultime opere, in particolare
i quattro volumi dei Quaderni, nonch La prima radice, 1942-
43); sono tutte orientate verso un interesse nei confronti dei
pi deboli. Al punto da sacrificarvi la propria esistenza: pare
certo che la sua morte, avvenuta a soli 34 anni in un sanato-
rio inglese, non fu causata dalla tubercolosi, bens dal rifiuto
di nutrirsi a sufficienza, deciso caparbiamente come forma di
solidariet nei confronti dei francesi rimasti in patria nellim-
perversare del conflitto. Un sacrificio sconvolgente, contrario
ad ogni istinto di auto-conservazione, persino irritante per la
sua inutilit, che rischierebbe di apparire del tutto incompren-
sibile e folle, se non fosse illuminato dallesperienza vissuta e

108
dallopera della sua protagonista. Insieme al rifiuto del cibo, il
rammarico per non essere stata impiegata in una missione
pericolosa, come aveva espressamente richiesto ai membri di
France Libre, lorganizzazione per cui lavora, a Londra, negli
ultimi mesi della sua vita. Tutta la vita e la produzione filosofica
di Simone Weil animata da questo spirito di abnegazione e
rinuncia in nome di un ideale pi alto: la ricerca della libert,
esigenza imprescindibile di ogni essere umano, di ogni indivi-
duo, da perseguire e realizzare ad ogni costo.

2. LIMPEGNO POLITICO E SOCIALE:


I PRIMI ANNI DI SIMONE WEIL

Simone Weil nasce a Parigi nel 1909, in una famiglia borghese


e benestante di origine ebraica ma di convinzioni laiche. Stu-
dia allcole Normale, dove trova un punto di riferimento intel-
lettuale e culturale nel suo maestro, il filosofo mile Auguste
Chartier (pi noto con il nome di Alain) che la introduce alla
lettura dei classici della filosofia: Platone, Descartes, Spinoza,
Kant, Hegel. Il metodo di Alain, che consiste principalmente
nella lettura e nel libero commento di brani di grandi opere,
sar lo stesso metodo di insegnamento che Simone applicher
alle sue allieve, pochi anni pi tardi, quando inizier ad inse-
gnare nei licei. Alain non un politico, tutti i suoi interessi sono
incentrati sulla filosofia; ma nelle sue lezioni c unattenzio-
ne particolare alla sfera etico-morale (il dovere di agire bene,
ovvero di agire per il bene, liberamente ma con rettitudine,
indipendentemente dal credo religioso o da qualsivoglia ap-
partenenza culturale) che non pu sfuggire allo spirito acuto
e sensibile di Simone. Siamo nella Francia degli anni Venti, e
per questa generazione di studenti cresciuti sullo sfondo della
prima guerra mondiale, linsegnamento di Alain finisce con lo
sfiorare, inevitabilmente, corde politiche, mettendo daccordo
radicali, socialisti e comunisti (ma anche studenti cattolici) su
tematiche importanti, come lopposizione alla guerra, alluso
della forza e, in generale, ad ogni forma di potere costituito.

109
Per i suoi studenti, Simone compresa, tutto ci si traduce nel-
la necessit di coniugare pensiero e azione in un movimento
di rivolta (una vera e propria rivoluzione) che vada contro
i valori borghesi, la politica della Terza Repubblica con la sua
corruzione ed i piccoli scandali, il retorico e vacuo patriottismo
del dopoguerra, il capitalismo e la corsa sfrenata al guadagno.
La parola dordine engagement: impegno, che in primo
luogo, impegno sociale e politico. Linterlocutore privilegiato
di questi giovani diventa il proletariato, quelle masse a cui
occorre dare unistruzione e condizioni di vita migliori, in vista
di una societ nuova: un discorso di questo genere non pu
prescindere da una riflessione seria sulla questione del lavoro.

3. I TEMI CARI A SIMONE WEIL:


IL LAVORO COME CONDIZIONE DELLESISTENZA, IL BINOMIO
LIBERT/NECESSIT,
IL CONFLITTO INDIVIDUO/SOCIET

Negli scritti giovanili di Simone Weil sono gi contenuti temi


che verranno sviluppati nelle opere successive.
Innanzitutto, lassoluta centralit del concetto di lavoro, colto
nelle sue diverse dimensioni: una dimensione gnoseologica,
in quanto presupposto della conoscenza, una dimensione non
solo sociale ma anche morale, in quanto fondante una vera e
propria etica del lavoro, una dimensione ontologica, in quanto
possibilit dellesistenza stessa delluomo (in particolare, nel-
la tesi di diploma intitolata Scienza e percezione in Descartes,
scritta fra il 1929 e il 1930, Simone formula unimportante ri-
flessione su pensiero e percezione come fondamento di una
nuova concezione del lavoro, laddove il lavoro sarebbe una
sorta di intermediario, appunto, fra il pensiero e lazione, fra la
parte passiva delluomo, che vede il mondo ma non in grado
di afferrarlo con la sola immaginazione, e la parte attiva; da
qui lesigenza imprescindibile del lavoro, inteso come lavoro
fisico e manuale, a completamento dellazione dellintelletto e
la necessit di ricomporre lo iato fra chi impartisce gli ordini e

110
chi quegli ordini deve eseguirli, che alla base della moderna
schiavit).
Altro tema che emerge dai primi scritti quello del conflitto,
sempre sotteso, fra uomo e mondo, fra individuo e societ (fra i
due termini, Simone Weil predilige sempre il primo, lindividuo
rispetto alla societ; c in lei una forte diffidenza nei confronti
della massa, come agglomerato indistinto, incapace di pen-
siero autonomo e facilmente influenzabile da una qualsivoglia
propaganda, come di fatto accadr nella Germania di Hitler).
C anche una teoria dellazione che sempre azione indiret-
ta, mediata sul mondo, legata ad un binomio libert/necessit
(dove finisce la libert delluomo e inizia la necessit del suo
agire, laddove cio il suo agire non pu essere diverso da come
) che assumer nella riflessione di Simone Weil interessanti
riflessi, anche spirituali e religiosi.
E, infine ma non da ultimo, la volont di cogliere la complessi-
t del reale a partire da categorie filosofiche che si caleranno,
sempre di pi, nella concretezza, negli ostacoli, nella sofferen-
za della vita di tutti i giorni.

4. LA LIBERT PASSA ATTRAVERSO IL LAVORO:


LE RIFLESSIONI SULLE CAUSE DELLA LIBERT
E DELLOPPRESSIONE SOCIALE

La necessit del lavoro diventa uno dei temi centrali della ri-
flessione e dellimpegno di Simone terminati gli studi e fino
alla fine della sua breve esistenza. Gi negli anni dellinsegna-
mento, nella cittadina di Le Puy-en-Velay dove, a partire dal
1931, le viene assegnato lincarico di docente, Simone parte-
cipa e condivide il disagio, le privazioni e le proteste dei lavo-
ratori: vive con il minimo indispensabile per versare sistema-
ticamente una parte del suo stipendio alla cassa dei minatori
di Saint-tienne, sostiene economicamente i disoccupati locali
e guida una loro delegazione nelle trattative con lamministra-
zione comunale, partecipa a diverse manifestazioni, fra cui
quella dei minatori del 3 dicembre 1933 in cui porta la ban-

111
diera rossa in testa al corteo110, episodio che susciter grande
scandalo in paese e per cui subir un rapporto della polizia e
diverse ispezioni da parte delle autorit scolastiche. Pi che al
partito comunista, organizzazione troppo vasta e burocratica,
che rischia di allontanarsi dai problemi concreti, quotidiani dei
lavoratori, Simone si lega al sindacalismo rivoluzionario, picco-
le sigle che raggruppano militanti di sinistra ancora vicini alla
base. Il suo pensiero sul lavoro si esplica in un breve e intenso
scritto del 1934 (ma che verr pubblicato postumo) intitolato
Riflessioni sulle cause della libert e delloppressione sociale, in
cui Simone Weil parte da Marx per mettere in luce limportan-
za ma anche i limiti della sua teoria politica ed economica, nel
tentativo di superarla.

5. SIMONE WEIL E KARL MARX: UN RAPPORTO COMPLESSO

A Marx (1818-1883) riconosce il merito di aver compreso e de-


nunciato i meccanismi della moderna societ capitalista che
negano la libert umana e aver rivendicato il diritto e lassoluta
necessit di un capovolgimento dello status quo, lavvento di
una vera e propria rivoluzione dal basso. Come Marx anche Si-
mone Weil individua nella separazione tra lavoro intellettuale
e lavoro manuale loppressione che affligge il mondo attuale.
Ma laddove Marx parla di sfruttamento (della forza lavoro da
parte di chi detiene i mezzi di produzione) Simone preferisce,
sin dallinizio, parlare di oppressione, privilegiando un termi-
ne che contiene gi una sfumatura politico-statuale piuttosto
che economica. A Marx infatti Simone Weil rimprovera lesse-
re rimasto imbrigliato in quelle maglie che voleva spezzare, in
quel meccanismo che era sua intenzione scardinare: e questo
perch Marx non ha compreso che, anche eliminando il capi-
talismo, la divisione del lavoro e quindi loppressione sarebbe-

[110] Per un racconto dettagliato dellepisodio, J. Cabaud, Une exprience


vcue de Simone Weil: la marche des mineurs du 3 dcembre 1933, in Cahiers
Simone Weil, Tome II, n.1 mars 1979, pp. 21-26.

112
ro sopravvissute. Eliminare il capitalismo, infatti, non basta: la
storia della rivoluzione russa, sfociata in un regime totalitario
e oppressivo, ne un esempio chiaro e doloroso. Marx stato
lucido nella sua analisi, ma si fermato allespropriazione e
alla gestione collettiva dei mezzi di produzione, non ha pensa-
to a una riorganizzazione radicale del sistema produttivo. Ha
dato per scontato lo sviluppo illimitato delle forze produttive,
senza offrire alcuna dimostrazione o spiegazione scientifico-
economica di tale fenomeno.

6. NON ABOLIZIONE DELLA PROPRIET PRIVATA,


MA ABOLIZIONE DELLOPPRESSIONE:
IL PUNTO CENTRALE DELLANALISI DI SIMONE WEIL

Una rivoluzione che voglia essere fondante di una societ nuo-


va dovr essere concepita in termini e con scopi diversi: non
leliminazione della propriet privata, ma labolizione dellop-
pressione il punto fondamentale del discorso weiliano111. Lo
stato di minorit dei lavoratori, infatti, non dovuto a circo-
stanze di natura meramente economica, bens riposa su altre
cause, prime fra tutte, leterna lotta per la potenza e uninnata
inclinazione umana a sopraffare i pi deboli; necessario agi-
re sulle cause profonde delloppressione sociale. Simone parte
dalla constatazione che in ogni tipo di societ un certo grado
di coercizione nei confronti dellindividuo inevitabile, al fine
di mantenere lordine. Ma loppressione nasce solo se c sepa-
razione tra chi detiene il potere e chi lo subisce, per cui i primi
diventano sfruttatori, i secondi sfruttati (nella moderna societ
industriale i due termini si identificano nel binomio imprendi-
tori/operai). Posto dunque che nella moderna organizzazione

[111]Sul punto si veda il saggio di R. Prevost, Le refus de loppression


conomique, in CSW, Tome III, n.1, mars 1980, pp. 39-45, che parte proprio
da questo presupposto, per cui liberalismo e marxismo, secondo la Weil, nella
misura in cui esaltano la produzione, contribuirebbero entrambi e in egual
misura alla nascita delloppressione.

113
della produzione un grado di coercizione sar ineliminabile,
si tratta di concepire e cercare di realizzare un sistema di la-
voro che risulti il meno oppressivo possibile. Nellevoluzione
sociale, da societ di tipo primitivo caratterizzate da forme
economiche elementari a sistemi pi complessi, luomo si
affrancato sempre pi dalla natura, riuscendo a possederne e
dominarne molti aspetti attraverso il progresso scientifico, la
tecnica, la specializzazione delle conoscenze e del lavoro. Ma
questo tipo di emancipazione non ha eliminato loppressione:
invece di essere tormentato dalla natura, luomo ormai tor-
mentato dalluomo112. Il fatto che forme di oppressione siano
esistite in tutte le societ e in tutte le epoche (e che continuino
a esistere), tuttavia, non deve scoraggiare nella ricerca della
libert.

7. TEMPO DI RINUNCIARE A SOGNARE LA LIBERT,


E DI DECIDERSI A CONCEPIRLA: PENSIERO E AZIONE
COME PRESUPPOSTO DI UNA LIBERT AUTENTICA.

Come Pascal, Simone convinta che la dignit, presupposto


stesso della libert delluomo, sia racchiusa nel pensiero: ()
nulla al mondo pu impedire alluomo di sentirsi nato per la
libert. Mai, qualsiasi cosa accada, potr accettare la servit:
perch egli pensa113. Simone anche convinta che laspirazio-
ne alla libert non debba essere pi un sogno, ma una realt,
concretamente realizzabile su questa terra. Libert non signi-
fica non lavorare, al contrario, una vita dalla quale la nozione
stessa di lavoro fosse pressoch scomparsa sarebbe preda del-
le passioni e forse della follia; non c padronanza di s senza
disciplina, e non c altra fonte di disciplina per luomo oltre

S. Weil, Riflessioni sulle cause della libert e delloppressione sociale,


[112]
Adelphi, Milano 2000, cit., p. 46.
[113]
Ivi, p.74.

114
lo sforzo richiesto dagli ostacoli esterni114. Bisogna scontrarsi
con la durezza delle condizioni esterne, provare la fatica anche
fisica, in una parola, agire: la libert autentica non definita
da un rapporto tra il desiderio e la soddisfazione, ma da un
rapporto tra il pensiero e lazione115. Tutta la libert delluomo
racchiusa nel pensiero che guida il suo corpo, i suoi muscoli;
il che significa che il lavoro veramente libero solo quello in
cui luomo a guidare le proprie azioni in base al proprio pen-
siero. Ora sappiamo quali sono le condizioni per un lavoro ed
una societ liberi dalloppressione: la societ meno cattiva
quella in cui la maggior parte degli uomini si trova per lo pi
obbligata a pensare mentre agisce, ha le maggiori possibilit
di controllo sullinsieme della vita collettiva e possiede la mag-
giore indipendenza116.

8. CONTRO OGNI FORMA DI TOTALITARISMO:


FAR AGIRE IL PENSIERO

Il lavoro manuale devessere guidato dal pensiero; luomo


che lavora devessere presente a se stesso, consapevole delle
proprie azioni e del risultato del proprio lavoro. E invece mai
lindividuo stato cos completamente abbandonato a una
collettivit cieca, e mai gli uomini sono stati pi incapaci non
solo di sottomettere le loro azioni ai loro pensieri, ma persi-

[114]
Ivi, p.76.
Ivi, p.77. Si veda sul punto R. Chenavier, Civilisation du travail ou
[115]
civilisation du temps libre? Parte I, in Cahiers Simone Weil, Tome X, n, 3,
septembre 1987, p. 238, e Simone Weil. Une philosophie du travail, op. cit., p.
282 e segg.; G.Leroy, La critique de lide de rvolution dans les Rflexions
sur les causes de la libert et de loppression sociale, cit., p. 21.
[116] S. Weil, Riflessioni sulle cause della libert e delloppressione sociale,
cit., p. 101. Particolarmente interessante luso che Simone fa, in questa sede,
dellespressione la societ meno cattiva, a intendere che una societ per nulla
cattiva praticamente impossibile, non solo da realizzare ma, pare, finanche
da concepire.

115
no di pensare117. Nel dominio della collettivit sullindividuo
Simone vede il grande male dellepoca moderna. Perch la
collettivit non ha uno spirito, non ha unanima, non pensa;
guidata da meccanismi che non tengono conto della libert
e della dignit umane, incentrati sullunica logica del potere
e dellaffermazione di s. Ovunque, in tutti i campi, si assiste
ad una limitazione del pensiero individuale, a vantaggio della
collettivit e del potere centrale, che si rafforza sempre pi e
finisce con lo schiacciare lindividuo fino ad annullarlo comple-
tamente. questa lorganizzazione totalitaria che caratterizza
la societ contemporanea: appare abbastanza chiaro che lu-
manit contemporanea tende un po dovunque a una forma
totalitaria di organizzazione sociale (), vale a dire a un regime
in cui il potere di Stato deciderebbe sovranamente in tutti gli
ambiti, anche e soprattutto nellambito del pensiero118. Biso-
gna reagire, restituendo al pensiero il suo ambito, il suo valore:
questa lunica speranza per una societ libera.

9. LA CONDIZIONE OPERAIA: IL DIARIO DI FABBRICA

Le Riflessioni di Simone Weil sul lavoro e sulla libert si raffor-


zano e si completano durante lesperienza in fabbrica. Dal 4
dicembre 1934 al 23 agosto 1935 Simone lavora come opera-
ia in tre diversi stabilimenti industriali francesi. Ha chiesto un
anno di congedo al ministero della pubblica istruzione, ufficial-
mente per completare una tesi di ricerca. In realt quello che
Simone intende fare sperimentare di persona, sulla propria
pelle, le condizioni di vita e i ritmi di lavoro degli operai e delle
operaie francesi. Alla base c sempre quel sentimento innato,
connaturato al suo carattere, di solidariet, empatia nei con-
fronti degli oppressi, dei pi deboli, la volont di condivide-
re la loro sorte per poterla capire fino in fondo. La condizione

[117]
Ivi, p. 110.
[118]
Ivi, p. 119.

116
operaia il titolo del volume che raccoglie questa esperienza,
sotto forma di lettere, bozze di articoli e saggi e di un diario
giornaliero, il giornale di fabbrica. Per Simone si tratter di
unesperienza devastante, tanto dal punto di vista fisico che
da quello psicologico, che la segner per sempre. Conosce-
r ancora la gioia, ma una certa leggerezza di cuore mi rimar-
r, credo, impossibile per sempre119, scriver in una lettera
allamica Albertine. E tuttavia considerer questa del lavoro in
fabbrica unesperienza positiva: ho sofferto molto di questi
mesi di schiavit, ma per nulla al mondo vorrei non averli at-
traversati. Mi hanno permesso di provare me stessa, di toccare
con mano tutto quello che avevo potuto solo immaginare120.
Le condizioni di lavoro sono durissime: turni massacranti, rit-
mi di produzione troppo veloci, condizioni ambientali pessime
(rumori assordanti, scarsa aereazione dei locali, cibo insuffi-
ciente). Il salario a cottimo e questo significa che i pi deboli,
ovvero quelli che fisicamente non riescono a produrre di pi
sono destinati a guadagnare meno, rischiando continuamente
di essere licenziati. E soprattutto, Simone si rende conto che
nellambiente della fabbrica impossibile qualsiasi forma di
solidariet, amicizia, contatto umano con i colleghi di lavoro (il
che rende inconcepibile qualsiasi tentativo di organizzazione
di una protesta o di una ribellione). I ritmi di lavoro e la fatica
fisica impediscono spesso agli operai di parlarsi, la gerarchia
allinterno della fabbrica genera invidie, incomprensioni, pic-
cole angherie quotidiane. La circostanza che il lavoro sia retri-
buito a cottimo rende le persone competitive e litigiose, nel
tentativo di accaparrarsi i lavori pi semplici e le macchine pi
leggere sottraendoli ai colleghi. In simili condizioni difficile
scambiarsi confidenze ed impressioni o aiutarsi a vicenda: la
mancanza assoluta di solidariet fra gli operai, la pressoch to-
tale inesistenza, salvo sporadici casi, di uno spirito di fratellan-

in S. Weil, La condizione operaia, trad. it. di F.


[119] Lettera a A. Thvenon,
Fortini, SE, Milano 2013, p. 121.
[120]Ivi, p. 124.

117
za nella sorte comune uno dei dati che, pi di altri, colpisce
in negativo Simone121.

10. SI SOLI CON IL PROPRIO LAVORO:


LA FATICA E LA RASSEGNAZIONE DELLOPERAIO

Laspetto pi importante che Simone sperimenta nella vita di


fabbrica quella sensazione di abbrutimento, di perdita di
autostima, di paura e di rassegnazione senza speranza che si
abbatte sulloperaio dopo pochi turni di lavoro: in una parola,
il sentimento di schiavit, sentimento che snatura gli uomi-
ni, privandoli della libert e della dignit di esseri umani. La
scoperta, per molti versi inattesa e sconcertante, racchiusa
nellamara constatazione che unoppressione evidentemente
inesorabile ed invincibile non genera come reazione immedia-
ta la rivolta, bens la sottomissione122. La paura immediata, in
tempi di crisi e di disoccupazione, quella di perdere il posto
di lavoro, di ritrovarsi senza un salario. Un motivo sufficiente
per sopportare insulti e umiliazioni persino pi pesanti della
mera sofferenza fisica. Ma le ragioni che impediscono di ribel-
larsi sono anche altre. La rivolta impossibile, se non a in-
tervalli dun lampoAnzitutto, contro che cosa? Si soli con il
proprio lavoro, ci si potrebbe rivoltare solo contro di esso ().
Si come i cavalli che si feriscono se tirano sul morso e ci si
piega. Si perde persino coscienza di questa situazione, la si su-
bisce e basta. Ogni risveglio del pensiero, allora, doloroso123.

[121]Emblematici lepisodio del licenziamento di unoperaia malata che


non ha eseguito un lavoro troppo duro per le sue condizioni di salute, criticata
dalle altre operaie per quel comportamento, (La condizione operaia, p. 19)
e lepisodio, meno drammatico ma altrettanto significativo, di Josphine,
pesantemente rimproverata per essersi lamentata di un cattivo lavoro
affidatole, sotto gli sguardi compiaciuti delle colleghe (Ivi, p. 48).
[122]
Ivi, p. 95.
[123]
Ivi, p. 36.

118
il sistema stesso, lorganizzazione del lavoro come conce-
pita nella grande industria a generare e alimentare sottomis-
sione, paura, remissivit, in pratica, la schiavit e laccettazio-
ne, da parte degli operai, di tale condizione. E questo ci che
contraddistingue la moderna societ capitalistica dalle societ
schiaviste del passato: in tutte le altre forme di schiavit, la
schiavit nelle circostanze. Solo qui trasferita nel lavoro
stesso124.

11. LO CHARLOT DI TEMPI MODERNI: UNA PARABOLA SUI


DANNI DELLA RAZIONALIZZAZIONE DEL LAVORO

Loppressione nella moderna struttura economica industriale


si basa sulla specializzazione, sulla gerarchia, sulla divisione
dei compiti e dei ruoli, in una parola, sulla divisione del lavo-
ro ovvero sulla razionalizzazione del lavoro (o taylorismo). E
soprattutto, ed il dato che Simone coglie sin dallinizio, sul
dominio delle macchine sulluomo (quello che chiama, con un
termine forse desueto, macchinismo); perch (e questo Simo-
ne lo ha capito sin dalle Riflessioni ed il punto di maggior
dissidio rispetto a Marx) il vero problema per gli operai non
quello di non possedere i mezzi di produzione, ma il fatto di
essere ridotti a pura funzione dellapparato industriale, a mere
appendici delle macchine stesse125. Il lavoro macchinale (ri-
petitivo, sistematico, fatto di gesti precisi e sempre uguali a se
stessi), tipico delle grandi fabbriche moderne, appiattisce e an-
nulla completamente le capacit mentali. Loppressione si basa
sullassenza di pensiero, sulla rottura di quellequilibrio fonda-
mentale fra pensiero e azione che la quintessenza della liber-
t. Lo sfinimento finisce col farmi dimenticare le vere ragioni
della mia permanenza in fabbrica, rende quasi invincibile la

[124] Ivi, p. 108.


[125] Come mette bene in luce G. Gaeta nel suo saggio La fabbrica della
schiavit, Ivi, p. 307.

119
pi forte fra le tentazioni che comporta questo genere di vita:
quella di non pensar pi, unico mezzo per non soffrirne126.
Luomo-macchina luomo che non pensa, che agisce come
un automa, come un robot. questo il prodotto della gran-
de industria, splendidamente incarnato dallo Charlot di Tempi
moderni, il film di Chaplin in cui Simone si riconosciuta127.

12. COSA FARE PER RIFORMARE LA CONDIZIONE OPERAIA:


LA RICETTA DI SIMONE WEIL PER UN FUTURO MIGLIORE,
FRA ANALISI STORICO-SOCIALE ED UTOPIA

Quali i rimedi? Occorre mutare la natura degli stimoli al lavo-


ro, diminuire o abolire le cause del disgusto, trasformare il rap-
porto che intercorre fra ogni operaio e il funzionamento com-
plessivo della fabbrica, il rapporto delloperaio con la macchi-
na, e il modo con il quale scorre il tempo durante il lavoro128.
Occorre ricondurre gli operai alla propria coscienza di uomini
e lavoratori, farli sentire parte attiva di un processo produttivo
e non semplici ingranaggi di un sistema, responsabilizzarli e
motivarli attraverso direttive che abbiano un costrutto logico
e scopi necessari, renderli partecipi dei risultati del loro impe-
gno: Sarebbe anche bene che ogni operaio, di tanto in tanto,
veda finito loggetto nella cui fabbricazione ha avuto una par-
te, fossanche minima; e che gli si facesse capire quale esatta-
mente stata la sua parte di lavoro (). Bisogna far capire loro
() che stanno fabbricando oggetti richiesti dai bisogni sociali
e che hanno un diritto limitato ma reale ad esserne fieri129.
E sulla scia di questa esigenza di maggior coinvolgimento psi-
cologico ed emotivo del lavoratore rispetto ai risultati del suo

[126]
Ivi, p. 35.
[127]
Ivi, p. 163, p. 164 e p. 195.
[128]
Ivi, p. 273.
[129]
Ivi, p. 274.

120
sforzo, fa proposte concrete per migliorare la vita in fabbrica.
Loperaio dovrebbe conoscere la macchina che utilizza, pezzo
per pezzo, essere in grado di smontarla o di ripararla, in pra-
tica, dovrebbe essere lui a padroneggiare la macchina (e non
viceversa).
Dovrebbe poter invitare i propri familiari a visitare la fabbrica,
in giornate ed orari appositamente deputati a tale scopo.
Dovrebbe godere di una maggiore autonomia nello svolgimen-
to del proprio lavoro, sapendo gi in anticipo quali ordinazioni
dovr eseguire nellimmediato futuro, in modo da poter orga-
nizzare le proprie energie ed il proprio tempo.

13. RIPARTIRE DALLE FABBRICHE: LINUTILIT DELLA


RIVOLUZIONE E LA NECESSIT DI RIFORME STRUTTURALI

Le riforme devono partire dalle fabbriche stesse, dai capi e dai


lavoratori. La rivoluzione inutile perch non pu abolire le
condizioni di lavoro che rendono infelici le esistenze degli ope-
rai. Occorre un cambiamento profondo e quindi, per forza di
cose, lento, strutturale, che coinvolga lintero apparato socia-
le: tutta la societ devessere anzitutto costruita in modo che
il lavoro non tenda a degradare coloro che lo compiono130. Un
cambiamento di questo tipo presuppone anche una riforma
del sistema scolastico, che dovrebbe essere volto ad una mag-
giore e migliore istruzione dei ceti lavoratori e una rinascita
della scienza, concepita non pi come appannaggio di pochi
ma come conoscenza alla portata di tutti.
Ogni ipotesi di movimento rivoluzionario dal basso, ora, vie-
ne scartata. La riflessione di Simone ha ormai definitivamente
preso le distanze dalla rivoluzione del proletariato pronosti-
cata da Marx; lesperienza di fabbrica, il contatto diretto con
il mondo del lavoro lhanno convinta dellinutilit, anzi, della
dannosit di unazione rivoluzionaria che farebbe precipitare
la situazione nel caos, con esiti imprevedibili.

[130]
Ivi, p. 293.

121
14. PROMETEO, IL DIO CROCIFISSO
PER AVER AMATO TROPPO GLI UOMINI131

Arriviamo cos al 1938, lanno in cui Simone Weil scrive i versi


su Prometeo. Da un punto di vista storico e politico, il 1938
un anno di svolta: Hitler pericolosamente vicino e minac-
cioso, ci che accadr soltanto lanno successivo (lAnschluss,
lannessione dellAustria, che segna di fatto linizio del folle
piano di conquista del Terzo Reich) pi di un triste presagio.
Simone sempre stata una pacifista convinta, questo tutta-
via non le ha impedito di partecipare attivamente alla lotta
partigiana nella Spagna della dittatura di Franco, nel 1936, n
di valutare attentamente lipotesi di una risposta armata alle
pretese hitleriane di dominio sullEuropa. Lobiettivo rimane
sempre lo stesso, quello dei primi anni di studio e di insegna-
mento: la realizzazione della libert. Una libert sempre pi
minacciata, a livello storico e individuale, dallascesa e dal di-
lagare del nazismo, dalla guerra, dai crimini che in ogni parte
del mondo si consumano ai danni dei pi deboli e di cui anche
la Francia si macchiata e continua a macchiarsi (in questa
chiave viene letta e denunciata la questione coloniale). Da
un punto di vista pi strettamente personale, il 1938 lanno
della visione mistica della Weil nellabbazia benedettina di So-
lesmes, sullonda della forte emozione suscitata dalla lettura
di una poesia di G. Herbert, episodio che segue altri due epi-
sodi analoghi (nellestate del 1935, in un villaggio di pescato-
ri in Portogallo, durante una processione religiosa e nel 1937
ad Assisi, nella chiesa di Santa Maria degli Angeli). Negli anni
immediatamente successivi alla stesura di Prometeo Simone
coltiver sempre pi un misticismo religioso che la porter ad
abbracciare il cattolicesimo in unottica che contempli diversi
orientamenti religiosi, dal buddismo ai testi ind, con lintento
di Concepire lidentit delle diverse tradizioni, non accostan-
dole in base a quel che esse hanno di comune; ma cogliendo
lessenza di ci che ciascuna di esse ha di specifico. una sola

[131] S. Weil, Lombra e la grazia, Bompiani, Milano 2003, p. 161.

122
e medesima essenza132. Qualcuno ha letto in questo interes-
se religioso sempre pi marcato della Weil un allontanamento
dalla questione politica, ma non cos. Linteresse di Simone
Weil resta, fino alla fine, di natura essenzialmente politica. Gli
scritti degli anni Quaranta, quando Simone costretta a lascia-
re la Francia per rifugiarsi prima negli Stati Uniti e poi in In-
ghilterra, nellinfuriare della seconda guerra mondiale, vanno
in questa direzione: la piece teatrale rimasta incompiuta Ve-
nezia salva, gli articoli dedicati alla questione coloniale e alla
guerra, molti passaggi dei Quaderni testimoniano, ancora una
volta, la volont di Simone Weil di opporsi ad ogni forma di
uso indiscriminato della forza e, per contro, di realizzare una
societ di uomini finalmente liberi, padroni del proprio lavoro,
radicati alla terra che abitano e al proprio passato. Prometeo si
iscrive in questo contesto, tra impegno politico, lotta sociale e
misticismo religioso: il dio crocifisso per aver amato troppo
gli uomini.

SIMONE WEIL
P ROMET EO
Un animale stravolto di solitudine,
con un pungolo incessante che gli morde il ventre,
lo fa correre, tremante di stanchezza,
per fuggire la fame, a cui si sottrae solo morendo;
un animale che cerca la sua vita per oscure selve;
cieco quando la notte distende le sue ombre;
sferzato da freddi mortali nel cavo delle rocce;
che si accoppia soltanto in casuali amplessi;
che urla, preda degli di, ai loro strali
uomini, senza Prometeo, voi sareste tali.

[132] S. Weil, Quaderni, III, Adelphi, Milano 1988, cit., p. 201.

123
Fuoco che crei e che distruggi, artefice fiamma!
Fuoco, erede dei bagliori del tramonto!
Troppo triste laurora ascende al cuore della sera;
il dolce focolare ha congiunto le mani; il campo
ha preso il posto delle sterpaglie arse.
Il duro metallo zampilla nelle colate.
Il ferro ardente si piega, docile al martello.
Un lume sotto il tetto colma lanima.
Il pane matura come un frutto nella vampa.
Quanto vi am, per portarvi un dono cos bello!

Vi diede ruota e leva. O meraviglia!


Il destino cede sotto il debole peso delle mani.
Il bisogno teme da lontano la mano che vigila
sulle leve, signora delle strade.
O venti marini placati da una vela!
O terra aperta al vomere, sanguinante e svelata!
Abisso dove un esile lume discende!
Il ferro corre, morde, strappa, tende, frantuma,
docile e duro. Le braccia reggono la loro preda,
luniverso greve che dona e beve sangue.

Fu il facitore dei riti e del tempio,


cerchio magico che trattiene gli dei
lontano dal mondo; cos luomo contempla,
solitario e muto, la sorte, la morte, i cieli.
Fu lautore dei segni e dei linguaggi.
Le parole alate vanno attraverso le epoche,
per monti e per valli, a muovere cuori e braccia.
Lanima si parla, e cerca di comprendersi.
Tacciono cielo, terra e mare per ascoltare
due amici, due amanti dialogare a fil di voce.

Pi luminoso ancora fu il dono dei numeri.


Spettri e demoni scompaiono morendo.
La voce che ordina ha saputo scacciare le ombre.
Anche luragano calmo, trasparente.

124
Nel cielo senza fondo trova posto ogni stella;
senza inganno fa da guida alla vela.
Lopera si aggiunge allopera; niente solo;
tutto si corrisponde sullesatta bilancia.
Nascono canti puri come il silenzio.
Talvolta il tempo dischiude il suo sudario.

Grazie a lui, lalba gioia immortale.


Ma una sorte malvagia lo tiene piegato.
Il ferro lo inchioda alla roccia; la sua fronte vacilla;
in lui, che pende crocifisso,
il dolore penetra freddo come una lama.
Ore, stagioni, secoli, gli azzannano lanima,
giorno dopo giorno gli si spezza il cuore.
Invano il suo corpo si contorce nella stretta;
listante che fugge disperde il suo pianto nel vento;
solo e senza nome, carne abbandonata alla sventura.

Poche parole rendono tutta lampiezza e la drammaticit della


figura di Prometeo, incatenato a una rupe, con unaquila che
crudelmente gli squarcia le viscere ogni giorno, ogni giorno co-
stretto a morire e a rinascere tra disumane sofferenze, ogni
giorno costretto a sopportare un dolore sempre uguale e sem-
pre nuovo. Tutto ci, per aver amato troppo gli uomini, per
aver donato loro il fuoco, sfidando la volont degli di.
Il Prometeo di Simone Weil lessere solo che sfida la sua stes-
sa solitudine e la morte. il dio crocifisso: Il ferro lo inchioda
alla roccia; la sua fronte vacilla; in lui, che pende crocifisso, il
dolore penetra freddo come una lama133. Come Cristo in croce
anche Prometeo legato, dilaniato da indicibili torture, prova-
to fino allo stremo nel corpo e nello spirito, destinato a morte
certa fra atroci sofferenze. Ma esattamente come il Cristo dei
Vangeli, Prometeo accetta con coraggio e consapevolezza il
proprio destino, non vi si sottrae in alcun modo, anzi, lo sceglie

[133] S. Weil, Prometeo (vedi testo), in Le poesie, Pistoia, C.R.T. 2000.

125
e lo abbraccia fino in fondo.
quellamor fati di cui parla anche Nietzsche, lamare il pro-
prio destino in virt di una visione pi ampia e pi alta della
vita, una visione a 360 gradi che fa propria la gioia ma anche la
sofferenza che lesistenza, inevitabilmente, porta con s.
Abbracciare il proprio destino significa essere liberi: Prometeo
incatenato ma paradossalmente libero, muore ogni giorno
ma ogni giorno risorge, esattamente come nel racconto evan-
gelico risorge il Cristo morto e sepolto.
Risorge, Prometeo, per morire ancora, in un circolo che la
vita stessa, eterno ritorno delluguale; perch se cos non fos-
se, non potrebbe salvare lumanit. Prometeo deve morire
e rinascere in continuazione, per perpetrare il mistero della
salvezza, per ricordare agli uomini che, sempre parafrasando
Nietzsche, la vera libert non fare ci che si vuole, ma volere
ci che si fa.
Prometeo ha compiuto un sacrificio, il pi alto dei sacrifici: ha
immolato se stesso per donare agli uomini il fuoco, fonte della
scienza, della conoscenza, della gioia. Senza il fuoco gli uomini
brancolerebbero nel buio, incapaci di costruire utensili, di scal-
dare e vincere il freddo delle tenebre, della paura e delligno-
ranza. Non pentito, il Prometeo di Simone Weil, di ci che ha
fatto, anzi: lo rifarebbe ancora ed ancora, tanto il suo amo-
re per gli uomini. un amore trabordante, enorme, indicibile
quello che Prometeo prova per gli esseri umani, per il mondo:
lui, secondo il mito, ad aver plasmato gli uomini, lui ad avergli
fatto il dono pi grande, il fuoco, simbolo di chiarezza, di intel-
ligenza e di civilt, senza cui gli uomini non sarebbero nulla,
poco pi che animali.
Prometeo mosso dallamor mundi, amore per il prossimo,
per laltro, per chi soffre, per chi ha poco o forse nulla, unin-
clinazione spontanea e naturale, unempatia verso laltro che
Simone Weil conosceva bene, per averla sperimentata di per-
sona, facendone la quintessenza del suo pensiero filosofico.
Riecheggiano in questi versi di eroica disperazione tutte le
esperienze forti di Simone Weil, affrontate per scelta, mai per
bisogno o costrizione, sulla scia di quellimplacabile sete di sa-

126
pere, di conoscere, di toccare con mano lumana esistenza in
tutte le sue sfaccettature che la caratterizza sin da giovanissi-
ma.
Nei versi dedicati a Prometeo ci sono le battaglie politiche de-
gli anni delluniversit, la passione per la filosofia, la militanza
nel sindacato, gli anni dellinsegnamento, il duro lavoro in fab-
brica, la partecipazione alla resistenza spagnola, la denuncia
del colonialismo e di ogni forma di sfruttamento, la costante
ricerca della verit che sfocia nel misticismo e nella fede. C
tutta la sua vita in questi versi, una vita vissuta con coraggio e
passione, senza mai tirarsi indietro davanti alle difficolt, senza
mai risparmiarsi in nulla, portandone i segni sul fisico e sul-
la psiche, cicatrici come trofei, perch soltanto il dolore porta
alla vera conoscenza, soltanto il dolore ci rende uomini.
Cristo uomo in carne e ossa quando sperimenta la sofferen-
za della tortura, della croce, delle ferite inferte al suo corpo;
Prometeo uomo tra gli uomini quando laquila gli rode il
fegato, facendo contorcere il suo corpo fra atroci sofferenze.
Lesperienza della sofferenza, per Simone Weil, ci che ac-
comuna gli uomini e dio: dio che si fa uomo e sperimenta la
sofferenza umana (Sofferenza: superiorit delluomo su Dio.
C voluta lIncarnazione perch quella superiorit non fosse
scandalosa134). Prometeo, allora, carne abbandonata alla
sventura, allo stesso tempo anche un eroe, colui grazie al
quale lalba gioia immortale135.
Limmortalit limmortalit del suo gesto, grandioso per le
sue conseguenze che saranno imperiture, perch il fuoco,
come lintelligenza e la memoria che Prometeo dona agli uo-
mini, rimangono un loro patrimonio e nessun dio, per quanto
potente, potr privarli di questi doni. Il gesto di Prometeo
definitivo e ultimo, per questo viene punito. Indietro non si
pu tornare, gli uomini amati da Prometeo hanno conquistato
la conoscenza, sono divenuti capaci di provvedere a loro stessi,

[134] S. Weil, Lombra e la grazia, cit., p. 29.


[135] S. Weil, Prometeo (vedi testo).

127
artefici del proprio destino.
Prometeo incarna il dio che ama gli uomini, quello che nella
visione religiosa della Weil il vero dio: non il dio degli eserciti,
vendicativo e terribile della tradizione ebraica, non il dio che
punisce e sanziona, ma il dio che ama e che accoglie.
Perch, secondo Simone Weil, lamore non consolazione,
luce136.
Luce, dunque fuoco.
Il dono di Prometeo allumanit.

[136] S. Weil, Lombra e la grazia, cit., p. 145.

128
INDICE DEI LI BRI CITAT I
Premessa mitologica

Il mito di Pandora. Una riflessione filosofica sullambiguit al


femminile, a cura di A. Chiaino, Edizioni del Giardino dei Pen-
sieri, Bologna 2013.

Esiodo, Teogonia, in Opere, trad. it. di G. Arrighetti, Einaudi-


Gallimard, Torino 1998.

Esiodo, Opere e giorni, trad. it. di S. Romani, Mondadori, Mi-


lano 1997.

Capitolo I. Il mito di Prometeo

C. G. Jung, Gli archetipi dellinconscio collettivo, trad. it. di E.


Schanzer e A. Vitolo, Bollati Boringhieri, Torino 1982.

J. Hillman, Il sogno e il mondo infero, trad. it. di A. Bottini,


Adelphi, Milano 2003.

J.-P. Vernant, Luniverso, gli di, gli uomini, trad. it. di I. Babbo-
ni, Einaudi, Torino 2000.

Capitolo II. Il Prometeo incatenato di Eschilo

Eschilo, Prometeo incatenato, con i frammenti della trilogia


[Prometeo liberato; Prometeo portatore di fuoco], Bompiani,
Milano 2004.

129
J.-P- Vernant, P. Vidal-Naquet, Mito e tragedia nellantica Gre-
cia, trad. it. di M. Rettori, Einaudi, Torino 1976.

Capitolo III. Prometeo Romantico: Goethe e Schelley

W. Goethe, Prometeo, in Inni, trad. it. di G. Baioni, Einaudi, To-


rino 1981.

W. Goethe, Faust, trad. it. a cura di F. Fortini, Mondadori, Mi-


lano 1987.

P. B. Schelley, Prometeo liberato, trad. it. di C. Pavese, Einaudi,


Torino 1997.

L. Mittner, Storia della letteratura tedesca II, Einaudi, Torino


1978.

F. H. Jacobi, Lettere sulla dottrina di Spinoza, tr. it. di F. Capra,


Laterza, Roma-Bari 1969.

Capitolo IV. Il Prometeo di Jonas e la sfida della responsabilit

Hans Jonas, Il principio responsabilit. Unetica per la civilt


tecnologica, trad. it. di P. P. Portinaro, Einaudi, Torino 1993.

T. W. Adorno, M. Horkheimer, Dialettica dellilluminismo, a


cura di R. Solmi, Einaudi, Torino 2010.

Sofocle, Antigone, trad. it. di E. Cetrangolo, in Tragici Greci, a


cura di C. Diano, Sansoni, Firenze 1989.

130
K. O. Apel, Saggio presentato alla conferenza di Melbu (Norve-
gia) sul rapporto tra ecologia ed etica, 18-23 luglio 1990.

Capitolo V. Unamuno: Lavvoltoio di Prometeo.

M. de Unamuno, El buitre de Prometeo, in Poesa, in Obras


completas, vol. VI, Escelicer, Madrid 1969.

M. Garca Blanco, Don Miguel de Unamuno y sus Poesas, Uni-


versidad de Salamanca 1954.

R. Paoli, Saggio critico introduttivo a M. de Unamuno, Poesie,


Vallecchi Editore, Firenze 1968.

I Vangeli, nella traduzione di Niccol Tommaseo, Einaudi, To-


rino 1991.

G. Leopardi, La scommessa di Prometeo, in Operette morali,


Feltrinelli, Milano 2006.

Capitolo VI. Simone Weil: Grazie a lui, lalba gioia immor-


tale

S. Weil, Prometeo, in Le poesie, trad. it. a cura di M. Del Serra,


Pistoia, C.R.T. 2000.

S. Weil, Riflessioni sulle cause della libert e delloppressione


sociale, trad. it. a cura di G. Gaeta, Adelphi, Milano 2000.

S. Weil, Lombra e la grazia, trad. it. di F. Fortini, Bompiani, Mi-


lano 2003.

131
S. Weil, Quaderni, III, trad. it. di G. Gaeta, Adelphi, Milano
1988.

S. Weil, La condizione operaia, trad. it. di F. Fortini, SE, Milano


2003.

S. Weil, Sulla Germania totalitaria, trad. it. di G. Gaeta, Adelphi,


Milano 1990.

S, Weil, La prima radice, trad. it. di F. Fortini, SE, Milano 2007.

J. Cabaud, Une exprience vcue de Simone Weil: la marche


des mineurs du 3 dcembre 1933, in Cahiers Simone Weil,
Tome II, n.1 mars 1979.

R. Prevost, Le refus de loppression conomique, in CSW, Tome


III, n.1, mars 1980.

R. Chenavier, in Cahiers Simone Weil, Tome X, n, 3, septembre


1987.

132

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