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Fidia la vita e le opere

Fidia fu uno scultore greco attivo in epoca classica, nel V secolo avanti Cristo e autore delle statue
che decoravano il Partenone di Atene.

Amazzone ferita di Fidia


Amazzone ferita di Fidia è nota oggi grazie a copie realizzate
in epoca romana e rappresenta una donna guerriera descritta
nel mito greco.

Descrizione dell’Amazzone ferita di Fidia


L’Amazzone rappresentata da Fidia è stante con il braccio
destro sollevato oltre il capo e con la mano afferra l’estremità
superiore di un arco. Il braccio sinistro invece è disteso lungo
il fianco e stringe una faretra. Indossa poi un chitone corto
stretto in vita da un kolpos e un paio di calzari. Il seno sinistro
è scoperto. Il corpo inoltre poggia sulla gamba destra mentre la
sinistra è leggermente sollevata e flessa.

Interpretazioni e simbologia
La statua rappresenta una donna guerriera come descritta nella mitologia classica. Secondo il mito a
capo della comunità guerriera esclusivamente femminile vi era una regina.

I committenti, le collezioni, la storia espositiva e la collocazione


La copia di Fidia è custodita presso i Musei Capitolini di Roma.

L’opera originale risale al 440 a.C. circa. Fidia realizzò l’originale in marmo in occasione di una
gara indetta dal Santuario di Efeso intorno al 435 a.C. A tale competizione parteciparono anche altri
scultori tra i quali Policleto.

Lo stile
Fidia fu uno sculture molto importante del periodo classico. Le sue opere decoravano il Partenone
di Atene ed evidenziano una grande abilità tecnica nel rendere l’anatomia ed i panneggi.

La tecnica
La scultura è una copia romana in marmo dell’originale fuso in bronzo con la tecnica a cera persa.

La struttura
In origine la figura poggiava le mani sull’asta che arrivava fino a terra. La struttura della scultura è
quindi condizionata da tale elemento. Gli archeologi nel 1955 ritrovarono una copia dell’Amazzone
ferita di Fidia. Questa copia rivelava una ferita sanguinante sulla gamba destra. Da questo
particolare gli studiosi ipotizzarono che l’asta fungesse da sostegno per la guerriera.

Athena Parthènos di Fidia


La monumentale statua crisoelefantina di Athena Parthènos,
realizzata da Fidia, è ormai perduta. Le cronache degli scrittori del
tempo la descrivono come un’opera di eccezionale fattura e grande
fascino religioso ed estetico.

Descrizione di Athena Parthènos di Fidia


Della grande statua crisoelefantina (realizzata in oro e avorio)
scolpita da Fidia non rimane alcun frammento. La statua era
collocata all’interno del Partenone, sull’Acropoli di Atene, nella
zona anteriore. Sono i racconti degli scrittori antichi che hanno
tramandato la monumentalità e la bellezza della statua alta circa 12 metri. Dell’opera rimangono
solamente alcune raffigurazioni su gemme o copie, più o meno conformi all’originale. Analogo
destino subì la statua di Zeus ad Olimpia, sempre in oro e avorio, alta 14 metri. Secondo le
ricostruzioni Athena era raffigurata in piedi, abbigliata con un peplo ricadente in molti panneggi che
creavano pieghe verticali. Sul petto vi era una fibia con la rappresentazione di Medusa e l’egida (il
suo scudo) con la testa di una Gorgone.

Una copia forse fedele nel Museo Archeologico Nazionale di Atene


Il volto era frontale e lo sguardo diretto e deciso puntato lontano con un’espressione da guerriero.
Infatti, sul capo indossava un elmo con cresta, sul quale era raffigurato un cavallo e la sfinge sui tre
cimieri. Con la mano sinistra, poi, sorreggeva uno scudo tondo, poggiato a terra e portava una
lancia. La mano destra, invece, era poggiata su di una colonnina e sorreggeva la statuetta di Nike la
vittoria alata. Sullo scudo, dal diametro di circa quattro metri, erano scolpite scene di
amazzonomachia (battaglia tra greci amazzoni) e di gigantomachia (battaglia tra greci e giganti).
All’interno dello scudo vi era nascosto il serpente Erittonio, nato dal seme di Efesto sparso sulle
gambe di Athena. La dea, disgustata lanciò il seme su Gea che gravida generò Erittonio con due
gambe a forma di serpe. Sui sandali di Athena Parthènos vi erano scene di centauromachia (lotta
con i centauri)

L’artista e la società. La storia dell’opera


L’originale Athena Parthènos venne danneggiata una prima volta prima del 165 a.C., restaurata
venne, poi, distrutta definitivamente nel V secolo dopo Cristo. La copia esposta al Museo
Archeologico Nazionale di Atene fu ritrovata nei pressi della scuola di Varvakeion.

Fidia fu un apprezzato scultore ateniese dell’Età classica e operò nella seconda metà del V secolo
a.C. Lo scultore è considerato dagli storici dell’arte con uno dei più grandi geniali creatori di forme
scultoree di ogni tempo. Fortunatamente, dell’artista si sono conservate un numero sufficiente di
opere originali che permettono di approfondire la sua conoscenza. Le tracce della sua opera di
scultore si ritrovano nei fregi del Partenone di Atene. Fidia ed i suoi allievi furono impegnati per
molti anni, dal 447 al 432 a.C. nella creazione di 92 metope, circa 40 statue a tutto tondo per i due
frontoni e un fregio di 159 metri. Esistono copie di sue statue quali Athena Lemnia, Apollo nudo e
l’Anadumenos.

Lo stile di Athena Parthènos di Fidia


I soggetti trattati da Fidia furono dei e uomini uniti nei miti che raccontano gli eventi terreni. Gli
stessi umani, impegnati in battaglie e altre vicende, vennero idealizzati e rappresentati con caratteri
e forme derivati dagli dei. Nel caso dell’Athena Parhènos le dimensioni monumentali e il materiale
usato, non consentirono di scolpire una vera e propria statua. Si trattò, piuttosto, di una impalcatura
sulla quale furono ancorati pezzi di oro, avorio e altri materiali preziosi.

Diversamente dal carattere ideale della rappresentazione di un corpo atletico come nel Discobolo di
Mirone e nel Doriforo di Policleto, nell’Athena Parhènos di Fidia occorre considerare la finalità
religiosa dell’opera. Fu il carattere della religione dell’epoca a dettare le condizioni di realizzazione
della statua destinata al Partenone. La perfezione formale che è la caratteristica principale delle
statue degli atleti, in Athena e in Zeus di Olimpia, è solo una delle componenti. Così, per
rappresentare la sacralità della dea o del dio, Fidia utilizzò materiali preziosi e dimensioni
monumentali. In seguito, nel IV secolo a.C. le rappresentazioni delle divinità torneranno ad essere
di dimensioni reali.

Lisippo
Lisippo fu uno scultore greco di epoca classica che lavorò per Alessandro Magno realizzando
diversi suoi ritratti e in seguito per Cassandro I.

Lisippo nacque a Sicione intorno al 390/385 a.C.

Lo stile
Lisippo realizzò principalmente sculture in bronzo.
Lisippo è considerato dagli storici come un importante
maestro della scultura greca classica.

Eros che incorda l’arco di


Lisippo
Eros che incorda l’arco di Lisippo è una scultura che
descrive l’azione del dio di armare l’arma che lo
accompagna e lo identifica.
Descrizione dell’Eros che incorda l’arco di Lisippo
Il piccolo Eros è in piedi impegnato nel tendere il suo arco. Si sostiene sulla gamba sinistra mentre
poggia l’estremità inferiore dell’arco contro la tibia destra. Le braccia quindi sono spostate verso la
sinistra dell’osservatore e impegnate nell’incordare l’arma. Sul tronco di destra poi è appesa la
faretra che contiene le frecce. Infine si intravede sulla schiena un piccolo paio di ali piumate.

I committenti, le collezioni, la storia espositiva e la collocazione


Lisippo realizzò la statua di Eros in bronzo per il santuario di Tespi. La copia più fedele
all’originale si trova ai Musei Capitolini di Roma presso la Centrale Montemartini.

L’artista e la società. La storia dell’opera Eros che incorda l’arco


di Lisippo
La copia custodita presso i Musei Capitolini di Roma fu realizzata in epoca imperiale intorno al I
sec. a.C. a partire dalla copia greca del 338 – 335 a.C. Pausania nella sua opera Periegesi della
Grecia, nel libro IX dedicato alla Beozia (IX, 27.3) testimoniò la presenza dell’opera che fu
replicata con numerose opere in marmo in età imperiale romana. Fu l’archeologo italiano Ennio
Quirino Visconti (1751 – 1818) che per primo si occupò di studiare e documentare l’opera di
Lisippo. Fu così lo storico ad attribuire a Lisippo la scultura presente ora nei Musei Capitolini.
L’Eros infatti fu ritrovato a Villa d’Este a Tivoli.

Lo stile dell’Eros che incorda l’arco di Lisippo


Lisippo fu un esponente della scultura greca del periodo della tarda classicità. La sua opera rivela
l’intenzione di creare sculture più espressive, di maggiore profondità psicologica. Inoltre la struttura
dei corpi diventa complessa e dinamica grazie al contrapposto che infrange la frontalità della
scultura del periodo precedente.

La tecnica
La copia custodita presso i Musei Capitolini di Roma è in marmo ed è alta 123 cm.

La luce sulla scultura


La scultura presenta una superficie chiara che determina una conseguente resa della luce. Inoltre la
posizione articolata del corpo determina ombre profonde e portate che suggeriscono movimento
compositivo e chiaroscurale.

Rapporto con lo spazio


La scultura è un tuttotondo che risulta quindi dettagliato in ogni sua parte. Una caratteristica delle
sculture di Lisippo fu proprio quella di invitare l’osservatore a guardare la scultura da più
angolature. Nel caso dell’Ermes in questione è proprio la postura del dio con il contrapposto verso
sinistra che invita a ruotare intorno alla statua.
La struttura
Secondo gli studi degli storici la scultura originale in bronzo presentava il braccio sinistro più
scostato dal busto. Come conseguenza la struttura della statua era molto più articolata e l’anatomia
dell’addome era più costruita. Inoltre nella copia romana si coglie il contrapposto che rende più
dinamica la composizione. Anche la posizione dell’arco è diversa nelle varie copie. Inoltre la
faretra, la custodia delle frecce, si trova in una posizione che probabilmente non era quella
d’origine. Infine il tronco risulta aggiunto negli esemplari in marmo.

Apoxyómenos di Lisippo
L’Apoxyómenos di Lisippo raffigura un giovane atleta che deterge il
proprio corpo dall’olio e dalla polvere dopo la fatica della lotta.

Descrizione dell’Apoxyómenos di Lisippo


La scultura rappresenta un giovane atleta che si deterge utilizzando
uno strigile. Il ragazzo impugna lo strumento con la mano sinistra e
lo passa sul braccio destro sollevato.

Interpretazioni e simbologia
dell’Apoxyómenos di Lisippo
Apoxyómenos (ἀποξυό μενος) è un termine del greco antico che
significa “colui che si deterge”. Il giovane è raffigurato nell’atto di liberare la propria pelle
dall’olio, dal sudore e dalla sabbia accumulati dopo la competizione. Infatti era uso cospargere il
corpo dell’atleta con olio per favorire la gara. La sabbia invece era usata per rimuovere l’olio e
levigare la pelle. Lo strumento che utilizza l’atleta è lo strigile, un raschietto ricurvo in metallo,
ferro o bronzo. Questo strumento era usato solo dai maschi.

I committenti, le collezioni, la storia espositiva e la collocazione


La scultura esposta presso il Museo Pio-Clementino di Città del Vaticano è una copia romana
dell’originale di Lisippo. La scultura in bronzo invece è documentata presso le terme di Agrippa in
Roma. L’Imperatore Tiberio che amava molto la statua decise così di trasferirla presso la sua
dimora. I romani però si opposero per via della notorietà che godeva l’Apoxyómenos presso i
frequentatori delle terme.

L’artista e la società. La storia dell’Apoxyómenos di Lisippo


La copia romana dell’Apoxyómenos di Lisippo fu realizzata in età claudia. La scultura originale in
bronzo era esposta presso le terme di Agrippa a Roma con un’altra scultura di Lisippo che
rappresentava un Leone giacente. La scoperta della versione romana in marmo invece risale al 1849
quando fu ritrovata in via delle Palme nella zona di Trastevere a Roma. Nel tempo poi la statua ha
subito diversi restauri. In varie località inoltre sono presenti altre riproduzioni.

Lo stile Apoxyómenos di Lisippo


Lisippo fu uno scultore e bronzista greco del tardo classicismo e rinnovò il linguaggio scultoreo. Le
sue opere introducono infatti una concezione più articolata nello spazio. La struttura delle figure si
proietta nello spazio e diventa tridimensionale per la prima volta come nell’Apoxyómenos che
solleva le braccia di fronte a se. Per questo l’osservatore è invitato a girare intorno alla scultura e ad
osservarla in ogni sua parte.

La luce sulla scultura


La copia romana del bronzo di Lisippo presenta una superficie chiara. La luce quindi viene riflessa
e alleggerisce le ombre che si creano in seguito alla sovrapposizione dei volumi. Infatti i rilievi
muscolari sono morbidi anche se rappresentano una muscolatura ben definita. Infine un chiaroscuro
più intenso si determina tra le chiome dei capelli e sul viso.

Rapporto con lo spazio


La scultura è apprezzabile in ogni suo lato poichè lo scultore concepì attentamente il corpo
dell’atleta. La vista frontale inoltre permette di valutare l’equilibrio e la struttura della
composizione. Il braccio sinistro sollevato e posto a 90 gradi rispetto l’asse verticale del corpo,
frontalmente però si presenta fortemente scorciato. La sua proiezione in avanti assume un migliore
significato se osservata lateralmente.

La struttura
La scultura in marmo si sviluppa in verticale ed è in equilibrio grazie alla posizione del giovane
atleta. Inoltre un tronco scolpito contro il polpaccio sinistro contribuisce ad aumentare la base di
sostegno.

Hermes in riposo di Lisippo


Hermes in riposo di Lisippo è una scultura in bronzo attribuita a
Lisippo e conservata presso il Museo Archeologico di Napoli.

Descrizione dell’Hermes in riposo di


Lisippo
Il giovane Hermes è raffigurato nudo e seduto su una roccia. La testa del dio è coronata da capelli
corti riuniti in ciocche scomposte ed è voltata verso sinistra. Il messaggero siede con la gamba
destra allungata in avanti e la gamba sinistra flessa con il piede poggiato sulla pietra. Il giovane
assume quindi una postura molto disinvolta e rilassata. Il braccio sinistro è piegato e poggiato sulla
coscia mentre la mano destra si regge al sedile roccioso sollevando la spalla corrispondente. Infine
Hermes ai piedi indossa un paio di calzari alati.

Interpretazioni e simbologia dell’Hermes in riposo di Lisippo


Hermes è un personaggio del mito greco ed è considerato il messaggero degli dei. Nella scultura di
Napoli è raffigurato in riposo, seduto su delle rocce. Hermes inoltre è riconoscibile dai suoi attributi
iconografici, due piccole ali poste alle caviglie.

I committenti, le collezioni, la storia espositiva e la collocazione


Di questa scultura esistono diverse copie. La più nota è quella conservata in Spagna a Merida ed è
in marmo.

Dopo la scoperta ad Ercolano la statua fu trasferita al Museo Napoletano. poi il Re Ferdinando I


delle Due Sicilie portò L’Hermes a Palermo insieme ad altre sculture per metterle al riparo dai
tumulti della rivoluzione dello stesso anno. Infine nel 1816 la scultura è documentata presso il
palazzo reale di Portici.

L’artista e la società. La storia dell’opera Hermes in riposo di


Lisippo
L’Hermes a riposo è attribuito a Lisippo e l’originale risale al 330 – 320 a.C. La copia di epoca
romana esposta al Museo Archeologico di Napoli risale invece al 79 a.C. L’attribuzione a Lisippo si
basa su un confronto stilistico compiuto dagli storici dell’arte. Gli archeologi infatti ritrovarono la
copia di Napoli nel 1758 nell’area vesuviana nei dintorni della villa dei Papiri a Ercolano. Francis
Haskell e Nicholas Penny, due storici britannici, la valutarono come la scultura più importante degli
scavi di Ercolano e Pompei dell’epoca.

Secondo alcuni storici la posizione del dio e lo stile del modellato si ispirano alle opere di Lisippo.
Verosimilmente, si tratta della produzione di uno scultore di Roma Antica.

La tecnica
L’Hermes di Lisippo custodito a Napoli è una fusione in bronzo con tracce di altri metalli. Il globo
oculare è di osso o avorio mentre le pupille sono in pietra grigia e le iridi in pietra nera.

La luce sulla scultura


La superficie bronzea della scultura influisce sulla resa della luce che viene in gran parte assorbita.
L’illuminazione non crea quindi decisi stacchi anatomici e le diverse parti del corpo sono
evidenziate dalle luci che si riflettono sulle superfici curve e rilevate.

Rapporto con lo spazio


L’Hermes offre una molteplicità di prospettive di fruizione poichè il corpo non è concepito per
essere osservato solo frontalmente. Inoltre il busto del giovane compie una leggera flessione verso
la destra dell’osservatore. La postura del corpo diventa così dinamica e invita lo sguardo a
percorrere la scultura nelle altre parti. La visione laterale invece, seppur articolata e movimentata,
risulta leggermente più statica. Di particolare efficacia infine è la visione di tre quarti verso sinistra
dell’osservatore con il viso frontale di Hermes.

La struttura
Il corpo di Hermes se osservato di profilo crea una triangolazione per via della posizione assunta.
La struttura compositiva è quindi sviluppata in obliquo a partire dal piede destro in basso. La
scultura in bronzo infine poggia su una base in altro materiale sagomata in forma di sedile roccioso.

Ercole Farnese di Glicone


di Atene
L’Ercole Farnese di Glicone di Atene è una statua in
marmo che è stata realizzata copiando l’originale in
bronzo di Lisippo.

Descrizione dell’Ercole Farnese di


Glicone di Atene
Ercole dal corpo massiccio e maturo si riposa
appoggiato alla sua clava coperta dalla pelle del leone Nemeo. L’eroe ha appena terminato le dodici
leggendarie prove e nella mano destra nascosta posteriormente stringe alcune sfere.

Interpretazioni e simbologia Ercole Farnese di Glicone di Atene


Ercole o Eracle fu sottoposto dagli dei ad una serie di dodici terribili prove. L’eroe però riuscì a
vincerle brillantemente battendo gli dei gelosi. Il figlio di Zeus diventò così il simbolo del riscatto
dell’umanità sulle prove volute dalle divinità capricciose. L’Ercole di Lisippo è un eroe umano e
quindi portatore anche di difetti e mancanze. La sua interpretazione ebbe molto seguito e fu presa a
modello da future generazioni di artisti. Gli oggetti sferici che il protagonista stringe nella mano
destra sono i pomi sottratti nel giardino delle Esperidi.

I committenti, le collezioni, la storia espositiva e la collocazione


La scultura che ritrae Ercole è esposta al Museo Archeologico Nazionale di Napoli dall’Ottocento.
In seguito al suo ritrovamento, nel 1546 la statua diventò proprietà del cardinale Alessandro Farnese
ed entrò a far parte della sua collezione. Trovò quindi posto nella sala d’Ercole di Palazzo Farnese.
Una copia della scultura è custodita presso la Galleria degli Uffizi di Firenze.

L’artista e la società. La storia dell’opera Ercole Farnese di


Glicone di Atene
Glicone di Atene fu l’autore di questa copia datata III secolo d.C. della scultura in bronzo di Lisippo
del IV sec a. C. Il nome dell’artista si trova infatti inciso sulla base. Gli archeologi ritrovarono la
statua nell’area delle terme di Caracalla

Gli archeologi trovarono solo il tronco della copia dell’Ercole di Napoli. Infatti alla statua
mancavano la mano, l’avambraccio sinistro e le gambe. L’avambraccio ora ricostruito è in gesso
mentre le gambe furono scolpite nel Cinquecento da Guglielmo Della Porta, allievo
di Michelangelo. In un secondo momento gli archeologi rinvennero le gambe originali ma i curatori
decisero di mantenere quelle ricostruite per via della loro migliore qualità. Verso la fine del
Settecento infine, il restauratore Carlo Albacini decise di sostituire le gambe originali.

Durante la civiltà romana si produssero un gran numero di copie che testimoniano la fama raggiunta
da questa interpretazione di Ercole.

Lo stile di Ercole Farnese di Glicone di Atene


Lisippo di Sicione fu autore di una grande rivoluzione nella scultura del suo tempo. Inoltre rese più
dinamica la posizione dei personaggi ritratti facendo assumere agli atleti e agli eroi pose
asimmetriche. La postura assunta dall’eroe in riposo esprime invece una grande potenza controllata
nel momento della stasi. Infine inserì una decisa componente psicologica per caratterizzare il
personaggio. Ercole non è raffigurato nel momento del combattimento. L’eroe è invece in riposo,
quindi stanco, e dimostra tutta la sua umanità prima di assumere lo status di divinità.

La tecnica
La scultura è in marmo e misura 317 cm di altezza.

La luce sulla scultura


La scultura dell’Ercole Farnese presenta una superficie chiara, interessata però dalla cromia
prodotta dalla degradazione della superficie del marmo.

Le ombre si intensificano nella testa di Ercole, nei tratti del viso dove le parti scure permettono di
definire lo sguardo e la piega delle labbra. Profondi solchi sono poi presenti tra i capelli e nella
barba dove modellano le ciocche e i ricci molto accentuati. Lo stesso effetto si ritrova nella pelle del
leone Nemeo posata sulla clava a destra. Un’ombra scura e profonda segna le fauci spalancate e
modella la criniera ricciuta. Inoltre lo scuro contribuisce, verso il basso, a identificare la clava
coperta parzialmente dalla pelle. Il masso che sorregge la clava, infine, presenta deboli rilievi che lo
rendono più naturale ma non sbilanciano l’equilibrio visivo della composizione.

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