Talché il pianto per il bene perduto può avere i contorni del pianto per la
morte di Masella, madre di Jacopo (esplicitamente citata nel
componimento).
Fin dal Seicento, nelle città in cui esisteva una stagione d’opera, il recarsi
a teatro divenne una consuetudine imprescindibile; molte famiglie
nobiliari affittavano i palchetti del teatro dove ogni sera vi si recavano in
compagnia di amici e conoscenti. L’opera diventava così la più importante
occasione di divertimento e di relazioni sociali per le classi dominanti;
inoltre per molti spettatori era l’unica possibilità di venire a contatto con i
grandi temi mitologici o storici, con la musica d’arte e con la cultura
stessa.
I teatri italiani erano molto rumorosi infatti proprio per questo destavano
l’ interesse di molti turisti. Dato che gli spettatori dell’opera erano anche i
finanziatori di quest’ultima, si sentivano in pieno diritto di dimostrare il
loro gradimento o dissenso; nel caso in cui l’opera non fosse di
gradimento agli spettatori, gli impresari dovevano allestire uno spettacolo
sostitutivo.
Infatti nel momento in cui venne a formarsi la prima riforma italiana del
libretto gli operisti francesi mostrarono tutta la loro ostilità. Gli argomenti
degli operisti francesi erano indirizzati contro gli eccessi spettacolari
dell’opera italiana che si era allontanata dagli ideali greci della Camerata
Fiorentina; mentre il melodramma francese era in grado di elaborare le
tragedie classiche francesi mantenendo una forma più aderente all’ideale
drammaturgico.
La prima riforma italiana del libretto nasce a Vienna, presso la corte
Asburgica, come risposta ad un’esigenza di coerenza, concisione ed
aderenza al testo letterario portata avanti dal melodramma francese,
esemplato nelle opere dei grandi drammaturghi Corneille e Racine.
Una delle prime esigenze che si affermò fu quella del ritorno alle unità
aristoteliche di tempo, luogo e azione (Poetica di Aristotele); anche se
tale unità erano regole desunte dagli intellettuali del ‘500. L’uso di queste
unità aristoteliche ebbe successo tra teorici e drammaturghi italiani del
‘500 e nonché francesi del ‘600 che applicarono queste regole alle loro
composizioni, come Corneille e Racine che adottorano queste regole
senza rendere stucchevole il contenuto drammatico delle loro opere.
Le opere di Zeno oscillano nel numero degli atti mentre quelle del
Metastasio saranno sempre in 3 atti. Inoltre Zeno e i suoi contemporanei
non abolirono i personaggi buddi o arie di sortita e di mezzo, ma ne
usarono in proporzioni minori. Molti dei libretti di Zeno sono destinati ad
un pubblico di “spiriti eletti”. Le fonti da cui attinge Zeno comprendono:
fonti classiche greche e drammatiche francesi contemporanee.
Tra l’altro Metastasio nei suoi componimenti fa ampio uso della figura
retorica il cui nome è: l’ossimoro ( può essere composto accostando nella
stessa espressione termini antitetici dal punto di vista concettuale)
nell’espressione del canto lirico nonché nella composizione della musica è
una figura fondamentale che serve a muovere in modo razionale gli
affetti: dolce martir, i dolci sospir, i felici pianti, il diletto sospirar.
Scrisse opere serie, oratori, azioni sacre e qualsiasi genere gli venisse
commissionato dalla famiglia reale degli Asburgo.
Lo stesso Metastasio scrisse degli intermezzi tra cui due composti per la
“Didone abbandonata” in occasione della rappresentazione dell’opera a
Napoli. I due intermezzi sono conosciuti sotto il titolo de “ L’impresario
delle canarie”, questi erano una sottile parodia dell’opera seria.