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LEOPARDI

PRESENTAZIONE - LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA


La Quiete Dopo la Tempesta è una poesia di Giacomo Leopardi che è stata scritta nel 1829 e fa parte dei Canti, una
raccolta di tutte le poesie che Leopardi ha scritto nell’arco della sua vita.

METRICA
La quiete dopo la tempesta è articolata in 3 strofe, caratterizzate da endecasillabi e settenari sciolti. Sono presenti poche
rime sparse nella poesia. Dal punto di vista tematico la poesia è bipartita in una fase descrittiva del villaggio che ritorna
alla quotidianità che coincide con la prima strofa e da una fase riflessiva e filosofica che riguarda la teoria del piacere e
che coincide invece con la seconda e terza strofa.

PRIMA STROFA
La prima strofa descrive la fine della tempesta, che provoca uno stato ti quiete e felicità nel paese. La natura ha finito di
scaricarsi su un villaggio. La prima immagine è data dall’udire degli uccelli che cantano e da una gallina che canta il
suo verso immagine sonora. “festa” è significativamente in rima con “tempesta”, sono parola antitetiche

Egli descrive il ritorno dei versi degli animali e dei rumori degli uomini tramite elementi uditivi (``Odo augelli far
festa…..``, vv.2-4; ``risorge il romorio e il lavoro usato``, v.9; ``E l’erbaiuol….`` ,v.16-18) e tramite elementi visivi
( ``viene fuor la femminetta…``, v.14; ``ecco il sol che ritorna…```,v.19).

Leopardi descrive il ritorno della quotidianità, alternando abitudini dell’uomo e il risveglio degli animali e della natura
dopo la tempesta. Tutti ritornano alle loro abitudini, e occupandosi quindi distolgono il loro pensiero dalla ricerca del
piacere, visto che l’anima occupata è incapace di desiderare. Egli usa diversi termini che ricordano l’azione di
ricominciare e ritornare alla quotidianità come per esempio ``risorge`` (v.), ``rinnova`` /v.), ``ritorna``(v.).

Dopo il temporale, l’azzurro del cielo erompe da ovest e dissolve le nubi. Il fiume giù nella valle torna ad apparire
(prima era coperto dalla foschia). Finora non c’è traccia di uomo, appare per la prima volta dal verso 8. Tutte le persone
si rallegrano, tutte le attività che erano state interrotte riprendono la tempesta è stata solo un’interruzione
momentanea, le attività riprendono tali e quali (lavoro usato, r.10 = solite mansioni).

C’è un artigiano che con l’oggetto che ha in mano, esce e guarda il cielo, cantando. Frettolosamente arriva una fanciulla
che esce a raccogliere l’acqua portata dalla recente pioggia. Le due figure hanno in comune un tratto: entrambe escono
all’esterno dopo la pausa forzata. Il fruttivendolo riparte con il lancio campagnolo del mercato.

Si torna ad un’immagine di tipo atmosferico che chiude le tre immagini dedicate alle tre figure umane. Il sole ritorna e
illumina le ville e le campagne. La servitù apre i balconi, terrazze e logge. Dalla strada principale del villaggio di ode il
tintinnio del carretto di un viandante che riprende il suo cammino (indicazione di tipo fonico, sonoro). Il carretto sonoro
è tipico dei monatti (raccogli-morti).

Questa è una strofa puramente descrittiva, che descrive la ripresa della vita di un villaggio dopo un pericolo scampato,
dopo una tempesta. Composta da parole che riprendono la gioia, ma anche da espressioni che indicano la ciclicità delle
azioni riprese dopo un’interruzione, la monotonia (“tornata”, “risorge”, “torna”, “rinnova”, “giornaliero”, “ripiglia”). La
tempesta è un fenomeno dove la natura si scaglia contro l’uomo (come nell’islandese). L’idillio inizia dunque quando
con la cessazione di un pericolo.

SECONDA STROFA
La seconda strofa è una riflessione di Leopardi, che è caratterizzata da una serie di interrogative retoriche che prepara
alla riflessione filosofica che è il vero oggetto della poesia: il ritorno della quiete dopo la tempesta comporta una

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rinnovata serenità d’animo ma – afferma il poeta – il piacere è «figlio d’affanno» (v. 32),  è una «gioia vana» (v. 33),
che si sperimenta in modo temporaneo e solamente quando cessa un grande dolore.

Ogni cuore si rallegra (chiasmo). Leopardi si chiede perché ci sia una così grande felicità dopo questo evento. Sono
presenti diverse domande retoriche con cui Leopardi riflette per la presenza di questa gioia. Le domande sono disposte a
climax.

A verso 32 viene sintetizzato tutto il succo del canto un uomo è felice dopo che è passato un pericolo, ma questo è
veramente un vero piacere? Il benessere provato dall’uomo è vero ma è un piacere figlio di affanno, perché non hai
niente più di prima, la tua normalità rimane immutata ma impari ad apprezzarla dopo i momenti brutti. Il piacere figlio
di affanno è una delle grandi tesi di Leopardi, che ritiene sia l’unico piacere concesso dalla natura, ma è un piacere
effimero, inconsistente, finito, illusorio. È un gioire tra un dispiacere e l’altro. Le persone per cui la vita è indifferente
ma si trovano di faccia alla morte, si riattaccano fortemente alla vita, come se si risvegliassero e si accorgessero di
quello che stavano per perdere. Il timore è davvero molto forte per noi. Nel primo pezzo dello Zibaldone si riprende
questa tematica: quando vedi che c’è un temporale sopra il villaggio del tuo peggior nemico speri che possa morire, ma
se il temporale è sopra di te ti spaventi e provi paura. Quando un fenomeno è fonte di bene non ci speri tanto, ma questo
esso è fonte di male ne sei spaventato a morte. Il timore è più forte su di noi rispetto alla speranza.
ripresa a verso 37:
Nel momento in cui ci troviamo di fronte a un pericolo si palpita di fronte alla paura. Nel momento in cui la vita ti è
ingrata ma scampi da un pericolo ti riattacchi ad essa. Leopardi si voleva suicidare, ma il timore della morte gli ha fatto
“apprezzare” la vita. La natura non ci permette di toglierci la vita perché altrimenti l’uomo non può far continuare la
specie e continuare il suo ciclo di creazione e distruzione.

TERZA STROFA- CONCLUSIONE FINALE


Secondo Leopardi la natura non è per niente benigna nei riguardi dell’essere umano. Si rivolge alla natura,
descrivendola come ``cortese`` (v.42) ironicamente. La natura è colei che ha dato all’uomo la condizione di infelicità e
insoddisfazione. L’uomo può sperimentare una felicità illusoria grazie alla temporanea cessazione del dolore infertigli
dalla natura. Di seguito si rivolge agli uomini, dicendo che la seconda condizione umana di felicità viene dalla morte
(``umana prole…, v.50-54). Anche qua ironicamente dice che la specie umana è cara agli dei (``uamna prole..). Il
piacere è assenza temporanea del dolore a cui l’uomo è costretto a subire. L’immagine idillica della prima strofa quindi
rappresenta il pensiero di leopardi; la tempesta è il dolore, e la quiete rappresenta la temporanea felicità.

Nella terza strofa Leopardi si rivolge direttamente alla natura con tono sarcastico (o natura cortese). Nel testo “cortese”
rima con “offese”. La terza strofa è detta “gnome” è una sentenza morale, conclusiva. Leopardi dice anche “doni” e
“diletti” in tono antifrastico, ironico. Il piacere per gli uomini è uscire dalla sofferenza. La natura diffonde la sofferenza
in larga mano. Il piacere che nasce talvolta dopo l’affanno è un gran guadagno, molto caro agli eterni. Lice= licenza.
Considerati felice se ti è concesso di respirare tra due dolori, se puoi essere felice tra un dolore e l’altro. Ma considerati
beata se sei morta, perché non sei più sottoposto al dolore morte come cessazione del dolore.
Se la nostra vita fosse sempre bella dopo un po’ diventerebbe noiosa il male ogni tanto è necessario per apprezzare il
bene. Se non ci fossero i mali, non ci sarebbero i beni, ci sarebbe uniformità pedante e noiosa.

PARAFRASI- Il SABATO DEL VILLAGGIO


PRESENTAZIONE

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Afferente ai Canti (nella sezione nota come “Grandi idilli”) e composta poco dopo La quiete dopo la tempesta, nel
settembre 1829, questa lirica muove dalla rappresentazione di una scena di vita paesana per indagare uno degli aspetti
della teoria leopardiana del piacere: il piacere non è mai attuale ma è sempre proiettato nel futuro, ovvero il piacere è
attesa del piacere.

METRICA
Canzone libera in endecasillabi e settenari, raggruppati in quattro strofe di lunghezza differente, la lirica, dal punto di
vista contenutistico è divisa in due parti asimmetriche, similmente a La quiete dopo la tempesta, con la quale condivide
anche la tematica (la teoria del piacere che, però, nell’altro componimento è declinata diversamente: lì il piacere è figlio
d’affanno). Questa poesia è divisa in quattro strofe di lunghezza variabile costituite da un alternarsi, in modo casuale, di
versi endecasillabi e settenari. Non c’è una vera e propria struttura rimica, ma si può notare che in alcuni casi Leopardi
utilizza la rima interna: “appresta” e “festa” (vv. 6 e 7) e “mensa” e “pensa” (vv. 27 e 30). 4 strofe (prima lunga e le
altre brevi), endecasillabi e settenari.

Figure retoriche
Il sabato del villaggio è una canzone libera leopardiana. Non presenta dunque uno schema metrico fisso, ma si può
evidenziare il frequente ricorso alla rima al mezzo (es. “appresta”-"festa"), alle assonanze (es.
“campagna”-"calar"-"ornava"-"sana"-"danzar") e alle consonanze (es. “affretta”-"tutta"-"tetti"-"frotta"-"tutto"-"sette").

 allitterazioni e richiami sonori: es. “donzelletta”, “vecchierella”, “novellando”, “sulla”, “bella”, “colli”; o i


dittonghi ("giorno", “chiaro”, “ciascuno”, “gioia”, “stagion”, “pien”, “pensier”, “lieta”)
 enjambement: vv. 4-5, 13-14-15, 20-21, 33-34, 36-37, 40-41, 44-45. 50-51
 iperbato: “tornare ella si appresta / dimani, al dì di festa, il petto e il crine”; “ed al travaglio usato / ciascuno in suo
pensier farà ritorno”; “ma la tua festa / ch’anco tardi a venir non ti sia grave”
 metafore: “età più bella”, “età fiorita”, “stagion lieta” (impiegate per indicare la giovinezza); “festa” (l’età matura)
Le metafore presenti in questa poesia sono dedicate principalemente alla giovinezza: “età più bella” (v. 15) e
“stagion lieta” (v. 49).
 similitudine: “cotesta età fiorita è come un giorno d’allegrezza pieno”
 metonimia: “sereno” (v. 17, per indicare il cielo)
 anastrofe: “novellando vien” (v. 11), “d’allegrezza pieno” (v. 45)
 apostrofe: “garzoncello scherzoso” (v. 43)
 anadiplosi: “un giorno d’allegrezza pieno / giorno chiaro, sereno” (vv. 45-46)
 preterizione: “altro dirti non vo” (v. 50)

PRIMA STROFA
il testo si apre con la figura di una donzelletta che vien dalla campagna, torna a casa dopo una giornata di lavoro (sabato
sera al tramonto), con in mano il frutto delle sue fatiche. Ogni verso contiene una coordinata: luogo, tempo,
complemento di unione (con che cosa). A metà del verso tre non c’è solo il frutto del suo lavoro (fascio d’erba) ma
anche un mazzolin di fiori (rose e viole), che gli serve per farsi bella per la domenica, ornando i suoi vestiti e i suoi
capelli. Siamo in una giornata prefestiva. I fiori rose e viole sono una coppia molto famose nella tradizione della poesia
italiana (Dante, Petrarca, Boliziano). Leopardi sceglie i fiori per il loro valore simbolico (rosa= amore, viola=
modestia). Tutte le domeniche la contadinella si prepara così (ogni giorno pre-vestivo ha questa abitudine di portare dei
fiori per ornarsi per la domenica). Appare poi la figura di una vecchia seduta su una scala, mentre stava filando, nel
momento in cui il sole tramonta. La due figure sono evidentemente legate sia per analogia sia per contrasto (figure
femminili, denominate tramite vezzeggiativi, indicazione del tramonto, si ornavano entrambe coi fiori in gioventù =
analogie). Le differenze sono ovviamente l’età e la diversità di moto (una si muove e l’altra è seduta). La vecchia
racconta quando era anche lei giovane e bella e si ornava alla domenica, e poi ballava fino a sera con i suoi compagni
della gioventù. la donzelletta fa le stesse cose della vecchiarella durante la gioventu. La ragazza rappresenta l’attesa
di attendere quello che la vecchia ha già vissuto, mentre la vecchia rappresenta la realizzazione. Dopo queste
considerazioni, Leopardi fa una nota di paesaggio: cala l’oscurità, il cielo ritorna azzurro per poco, dopo il tramonto
(crepuscolo). Per un attimo il tramonto aveva stravolto i colori del cielo. Nello stesso momento tornano anche le ombre,
grazie alla luce lunare, che dà dei contorni indeterminati. La luce lunare è migliore di quella solare perché permette di
immaginare, effettuare una costruzione del pensiero, mentre quella del sole è limpida, mostra le cose così come sono,
confinando l’immaginazione. La luce lunare è quella più poetica. La “squilla” è il termine poetico per indicare
“campana”. La campana annuncia la festa che si terrà il giorno dopo (domenica) e questo suono rallegra ogni cuore. C’è
un gruppo di ragazzi che giocano e si rallegrano per la festa domenicale (“frotta” gruppo). Intanto torna alla sua
modesta mensa il contadino, fischiettando allegramente, pensando al giorno di riposo. Le figure sono tutte legate da
questo sentimento gioioso legato all’attesa del giorno festivo.

SECONDA STROFA

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La seconda strofa non è riflessiva come quella della quiete dopo la tempesta, ma è ancora descrittiva ed isola un’altra
figura. Quando nel villaggio è spenta ogni luce e non c’è più nessun rumore, si sente un singolo rumore di un martello
picchiare e di una sega del falegname, che sta ancora lavorando nella sua bottega. Il falegname vuole finire
assolutamente il suo lavoro prima dell’alba, così che non ci pensa più e il giorno seguente possa essere veramente un
giorno festivo. Vuole godersi la domenica senza il pensiero di un lavoro incompiuto.

TERZA STROFA
La terza strofa è riflessiva e rappresenta la terza parte della teoria del piacere leopardiana. Il sabato è il giorno più
gradito della settimana perché è pieno di speranza e di gioia. La domenica, che è il vero giorno festivo, è invece
descritto come un giorno triste e noioso (opposizione rispetto al sabato). Durante la domenica, le persone tenderanno
sempre a pensare al lunedì, e così ti rovini la giornata. In poche parole, le persone hanno un’immaginazione superiore a
quello che accadrà effettivamente. Il piacere è dato dall’attesa del piacere. La domenica è triste perché è sempre più
deludente di quello che ti aspettavi/immaginavi, e inoltre si tende a pensare alla giornata lavorativa il giorno dopo. Il
piacere umano consiste sempre nel futuro, sperare in qualcosa ci dà piacere, non l’atto quando lo vivi. Leopardi nello
Zibaldone osserva che anche ricordare consiste nel piacere. Perché la speranza è migliore? Perché ti fai una costruzione
mentale di come sarà l’avvenire, nel modo che ti piace di più, che ti dà più soddisfazione. La realizzazione è sempre
peggiore rispetto all’immaginazione.

La “noia” per Leopardi è il non fare nulla, nello Zibaldone né da una definizione: l’uomo si abitua a tutto, ma mai al
non fare nulla. L’uomo è nato per l’azione, non per il nulla, il non avere uno scopo. Per leopardi la domenica è noia,
monotonia.
Alla quarta strofa, Leopardi si rivolge a un giovane, dicendo che la giovinezza è come un giorno pieno di allegria
(sabato), perché è l’attesa dell’età adulta. La giovinezza è il sabato della vita. Leopardi dice al giovane di godersi la
giovinezza, perché è una lieta stagione, un’età felice. Il giovane non deve avere troppa fretta di crescere. Viene gettata
un’ombra sull’età adulta del ragazzo (reticenza= lasciare intendere senza dire), senza disilluderlo. Per mantenere la
specie è necessario avere speranza

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