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TESTI LEOPARDI

DALLO ‘’ZIBALDONE’’: ‘’Teoria del piacere’’, ‘’del vago e l’ indefinito” “la teoria della visione”
“la teoria del suono”
Sulla base della teoria del piacere si sviluppa tutta una poetica che identifica la poesia col ‘’vago ed indefinito’’. Sono
tutte basate sull’ ILLUSIONE DELL’ INFINITO che si attua in 2 passaggi:
1. Il piacere infinito a cui l’ uomo tende per natura è impossibile, poiché nessun piacere è illimitato per
estensione o durata
2. Tale aspirazione impossibile è compensata dall’ illusione dell’ infinito creata nell’ immaginazione da aspetti
vaghi ed indefiniti della realtà (VISIONI E SUONI)
3. Tali immagini in poesia sono bellissime, il bello dell’ arte consiste in tali sensazioni indefinite, e nascono
parole ‘’POETICISSIME’’ per le idee indefinite che suscitano
1)TEORIA DEL PIACERE GIA ANALIZZATA NELLA PARE TEORICA= TEORIA DEL VAGO E L’
INDEFINITO (2)
3) TEORIA DELLA VISIONE:
DAI CANTI: “L’ Infinito” “la sera del dì di festa” , “canto notturno di un pastore errante”, “A
Silvia”, “la quiete dopo la tempesta” “il sabato del villaggio” “ a se stesso” “la ginestra”

1)L’INFINITO
Composto a Recanati nel 1819, e pubblicato nel 1825, 1826 e infine nei Canti nel 1831. È anticipazione della “teoria
del piacere” da cui si sviluppa quella del “vago ed indefinito” secondo leopardi particolari sensazioni visive ed
uditive per il loro carattere vago ed indefinito, inducono l’ uomo a crearsi con l’ immaginazione quell’ infinito a cui
aspira, che è irraggiungibile. La realtà invece offre solo piaceri finiti e deludenti.
Qui è rappresentato un tipico momento in cui si abbandona la realtà per l’ immaginazione e ci si immerge nell’
INFINITO. Ebbene, l'Infinito di Leopardi racconta un processo interiore: di come gradualmente, partendo dalle
concrete esperienze sensoriali, il soggetto giunga a immaginare ciò che non ha limiti di spazio e di tempo, fino a uscire
da se stesso e a sprofondare («naufragar») in quella sensazione assoluta. Potremmo anche dire che esso racconta una
esperienza di perdita della coscienza, di annullamento di sé. 
LA POESIA SI ARTICOLA IN DUE MOMENTI:
1. (VV 1-8) l’ avvio è dato da una sensazione visiva o dall’ impossibilità della visione, dovuta alla siepe che
ostacola alla vista inducendo a far subentrare l’ aspetto fantastico creando un infinito spaziale fatto di
“sovrumani silenzi” e “profondissima quiete”
2. (vv, 8-15) l’ immaginazione prende invece avvio sa una sensazione uditiva “il vento tra le piante” e la voce
del vento è paragonata all’ infinito silenzio dell’ immaginazione e suscita l’ idea del perdersi delle labili cose
umane nel silenzio dell’ oblio da qui scaturisce l’ idea di un infinito temporale (ETERNO) in contrasto col
passato ed il presente
Tra i due momenti c’ è un passaggio psicologico:
1. L’ io lirico avanti all’ infinito spaziale prova un senso di sgomento ‘’ per poco il cor non si spaura’’
2. L’ io si annega nell’ immensità dell’ infinito immaginato (spaziale e temporale) cosi da perdeere la sua
identità, provando una sensazione di naufragio dell’ io piacevole, “dolce”, poiche lo spargersi della coscienza
individuale da una sensazione di “piacere”
-tratta quindi sia della dimensione percettiva sia di quella psicologica

[si potrebbe cadere nel pensiero secondo cui ad essere rappresentata sia una dimensione sovrannaturale, ma l’
infinfinito non ha le caratteristiche del divino, di una entità spirituale e trascendente. È un infinito “materiale” ,
soggettivo poiche creato dall’ immaginazione e viene evocato da sensazioni fisiche. ]

STRUTTURE FORMALI:
Le due parti occupano rispettivamente sette versi e mezzo e sono separati da una pausa centrale segnata da un punto
femro. Ma comunque vi sono elementi che collegano le due parti in quanto si tratta sempre di un processo unico in cui
ogni immaginazione scaturisce dall’ altra. La congiungione è sintattica e consiste nella congiunzione ‘’e’’ all’ inizio
del secondo periodo.
L’ impressione di infinità spaziale è resa con l’ uso di vocale tonica “a” che danno sempre idea di vastità e da A
rinforzare l'idea di infinito concorrono anche i plurali («interminati spazi», «sovrumani silenzi», «morte stagioni») e
le serie di coordinazioni in
Il brivido di sgomento è reso con vocali dal suono cupo, “U” “spaura”.
Su 15 versi ci sono 10 ejambaman per creare un discorso unitario e continuum
Il gioco dei tempi: un'esperienza ricorrenteI versi iniziali sembrerebbero dare l'impressione che il tema della poesia
sia quello tradizionale del piacere della solitudine ricercata in luogo ameno e riparato. L'avvio sembra narrativo,
perché il «sempre caro mi fu» suggerisce l'idea di un legame antico, che rimanda al passato. Ma subito dopo subentra
e domina in assoluto il presente. L'esperienza descritta è dunque attuale o, piuttosto, si ripete ogni volta con la stessa
forza della prima.
v. 1= “ermo colle” è il monte Tabor, altura a sud di Recanati, nei pressi di casa sua, “solitario” è una delle parole dal
lessico dell vago ed indefinito
v. 7 = “io nel pensier mi fingo” il poeta immagina e si costruisce una situazione con gli strumenti della sua fantasia

2)LA SERA DEL Dì DI FESTA:


composto a recanati nel 1820 , pubblicato piu volte fino a nei Canti nel 1831
La sera del dì di festa di Leopardi si apre con un notturno che solo in un secondo momento si rivelerà essere la sera
di un giorno festivo («Questo dì fu solenne»). l motivo dell’attesa gioiosa della festa e della conseguente e
dolorosa delusione appare dunque centrale nell’immaginario poetico leopardiano e acquista un valore simbolico che
lo trascende: mentre nel Sabato del villaggio la festa, che coincide con la tanto attesa maturità, è di per se stessa fonte
di «tristezza e noia», qui l’angoscia del poeta è connessa al finire della festa e al pensiero dell’inesorabile passare del
tempo. Alla serenità di una notte tranquilla si contrappongono l’inquietudine e il dolore quasi esasperato dell’io
narrante («qui per terra mi getto, e grido e fremo»). Chiuso nella sua stanza o affacciato a un balcone, egli vive un
senso di solitudine e di frustrazione per l’indifferenza della donna vagheggiata («O donna mia») che lo ha ferito nel
cuore. Inconsapevole del male che ha procurato, anch’essa riposa serena. 
La morte come riposo, e viceversaDa questo punto di vista, il riposo notturno, prima contrapposto all’insonnia
dell’amante deluso, appare sotto un altro profilo, cioè come emblema della morte (la morte è spesso definita
eufemisticamente riposo) e della distruzione connessa alla perdita della memoria: «e più di lor non si ragiona».  
STRUTTURA:
La poesia si apre con un notturno lunare, immagine vaga ed indefinita. Per leopardi gli antichi erano maestri
nel trattare immagini vaghe ed indefinite. Nasce da un esperienza vissuta ed è filtrato da reminescenze della
letteratura classica. Sovrappone cosi una realtà imamginata ad unavissuta attraverso un filtro letterario. Ma
leopardi è convinto che nel mondo moderno non sia piu realizzabile la poesia immaginosa e fanciullesca
degli antichi. Ma nel suo tempo era praticabile piu una poesia “sentimentale”, nutrita di filosofia e amara
consapevolezza del vero, ma comunque non rinucia a immagini vaghe e suggestive proprio come il notturno
lunare.
DUE TEMI FONDAMENTALI:
1. (VV. 4-24) c’ è contrapposizione fra due figure giovanili: la fanciulla che si abbandona alle sue
gioie e speranze, in armonia con la quiete notturna della natura, e quella del poeta che ala natura ha
creato per essere infelice. L’ io lirico sottorinea la propria diversità che lo esclude dall’ umanità
comune ma sottolinea anche il contrasto tra presenza dell’ essere infelice e la bellezza quieta e serena
della natura
2. (vv. 24-46) TEMA PRINCIPALE: il passare di tutte le cose, il tempo che nel suo scorrere vanifica
ogni umano accidente. Tale meditazione nasce da una sensazione vaga ed indefinita, ‘’ il canto
solitario che risuona nella notte allontanandosi a poco a poco’’
IL SIGNIFICATO COMPLESSIVO:
LE DUE PARTI SONO TENUTE INSIEME DA VARI ELEMENTI:
 Continuità metrica
 Il legame puo essere: ‘’i giorni del poeta sono orrendi ma anche queta infelicità è un nulla, cioè
destinata a vanificarsi nel fluire del tempo l’ INFINITO riporta una scena analoga in cui il pensier
del poeta si annulla nell’ immaginazione dell’ infinito spaziale e temporale.
 Conclusione catartica?
1. Per alcuni il vanificarsi di ogni umano accidente riprende il motivo dell’ indifferenza della natura
verso il poeta cosi che il suo destino epersonale si allarga ad una visione universale . il pensiero
della vanità universale accresce la disperazione iniziale
2. Per altri c’ è una forma di catarsi: prima di tutto, la considerazione della vanità del tutto, vanifica
la disperazione iniziale in una contemplazione struggente ma rasserenante di un destino di
annullamento universle
3)CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE ERRANTE DELL’ ASIA
Pubblicato il 9 aprile 1830 pubblicanto per la prima volta nei Canti del 1831, ultimo dei canti recanatesi. L’
idea per questo canto gli fu data da un ‘’giornale dei sapienti” da cui apprendeva che i pastori nomadi d’
asia centrale trascorrevano le notti seduti su una pietra a guardare la luna e ad improvvisare parole
tristissime. Priorità della liricaNello stesso tempo, le osservazioni relative ai canti dei pastori primitivi
venivano in qualche modo a confermare le sue idee intorno alla priorità del genere lirico sugli altri generi:
secondo Leopardi, infatti, la lirica è la forma di espressione primigenia e più naturale, perché
solo attraverso il canto l’uomo è in grado di manifestare i sentimenti e gli affetti. Essa svolge inoltre
una funzione ricreativa e consolatoria nei riguardi dei dolori dell’esistenza. 
Il Canto ha delle caratteristiche innovative che chiudono la stagione degli idilli e presentano la stagione
successiva del ‘’Ciclo di Aspasia”, poesia nuda e severa di puro pensiero.
PROTAGONISTA: NON è l’ autore a parlare ma è un uomo primitivo. I primitivi durante il pessimismo
storico erano ritenuti piu vicini alla natura inconsapevoli dell’ “acerbo vero”, immaginosi. Qui si tratta di un
PRIMITIVO FILOSOFO, come gli uomini civilizzati, sente l’ infelicità propria ed universale è indizio di
un passaggio al futuro pessimismo cosmico
POESIA DEL VERO: Il canto non si fonda piu sulla memoria, sul vagheggiamento del “caro immaginar”,
ma è una lucida riflessione sui grandi problemi metafisici, quindi è POESIA FILOSOFICA FONDATA SUL
VERO . Il linguaggio quindi, pur avendo l’ essenzialità e la purezza proprie di tale periodo della poesia
leopardiana, non ha le inflessioni affettuose che nascono dall’ impulso dell’ illusione
PAESAGGIO METAFISICO: Nel quadro dei canti pisano-recanatesi Il canto notturno di un pastore
errante dell’Asia  si distingue a prima vista per la scelta di un’ambientazione esotica. Mentre gli altri
componimenti di questo gruppo tendono infatti a collocare il discorso dell’io lirico nei paesaggi familiari
recanatesi, i più idonei a sollecitare il ricordo, nel Canto di un pastore errante Leopardi allude, nel titolo, a
un luogo lontano, l’Asia, senza peraltro fornirne una caratterizzazione precisa. Sappiamo solo che il pastore
si muove in un paesaggio deserto nel quale riposa il gregge e splende la luna.   il paesaggio non è piu quello
idillico, ma è un paesaggio astratto e metafisico. Permane la suggestione leopardiana dello spazio sconfinato
e del tempo infinito [sempiterni calli, eterni giri, silenziosa lune] ma non è infinito creato dall’
immaginazione, bensì è contemplato dalla ragione, e nella contemplazione non c’ è riscatto, il dolce
“naufragar” della coscienza. Nella coscienza resta sempre presente la percezione della sofferenza e della
mancanza di senso dell’ universo.
STRUTTURA:
1. Prima strofa Nella prima stanza il pastore si rivolge direttamente alla luna e la interroga sul
senso del suo moto perpetuo constatando l’analogia che corre fra la monotonia del corso lunare e
quella della vita quotidiana del conduttore di greggi. La luna è qui l’emblema della Natura, alla
quale Leopardi non cessa mai di rivolgere i suoi interrogativi (lo stesso accade, sul versante della
prosa, nel Dialogo della Natura e di un Islandese del 1824).   
2. Seconda strofa Nella seconda strofa la vita umana è equiparata al cammino faticoso di un
vecchio infermo, perseguitato dalle avversità del clima e diretto all’ultimo precipizio.
3. Terza strofaNella terza i tormenti dell’esistenza sono estesi al neonato, che ha bisogno di essere
consolato già dalla nascita e poi nella crescita dei mali dell’esistenza, con l’amara conclusione che
«se la vita è sventura» sarebbe forse meglio non nascere.
4. Quarta strofaSe non è dato conoscerla all’uomo, forse la luna potrebbe sapere il senso della vita
e della morte – si chiede il pastore nella quarta stanza; da parte sua lui può soltanto rispondere
che la vita è dolore. 
5. Quinta strofaNella quinta strofa un nuovo paragone, questa volta fra l’uomo e il gregge (simbolo
della naturalità animale), ribadisce l’infelicità umana: mentre il gregge riesce infatti a riposarsi
perché non ha memoria del dolore e non prova la noia, l’uomo è sempre ‘ingombrato’ da «un
fastidio», da un’accidia (noia, depressione) esistenziale che non gli dà pace.  
6. Sesta e ultima strofaForse se sapesse volare come un uccello o vagare fra le sommità dei monti
(figure dell’impossibile) l’uomo potrebbe essere felice; o forse e più probabilmente l’uomo
è condannato all’infelicità in qualunque circostanza e in qualunque fase della vita e «funesto a chi
nasce è il dì natale» (ultima stanza). 

 sono tutte dedicate ad un quadro diverso: luna, vecchio, bambino, gregge, ma il motivo è uno: LA VITA
è MALE SEMPRE E COMUNQUE
LUNA ANTROPOMORFAAlla ricerca di una seppur muta solidarietà, il pastore umanizza la luna
rifacendosi implicitamente al mito che la identifica con la vergine cacciatrice Diana («Vergine luna», v. 39).
Nello sviluppo del componimento la luna è sempre definita con caratteri umani: oltre che «vergine», essa è
di volta in volta «intatta» ('immacolata'), «solinga, peregrina, silenziosa, muta, pensosa, giovinetta
immortal». La bianchezza è associata alla verginità della «giovinetta immortal», ma anche alla sua
lontananza e intangibilità. La luna non risponde, ma forse potrebbe farlo, a differenza del gregge, al quale il
pastore non chiede risposta («se tu parlar sapessi»).

4)A SILVIA:
composto a pisa nel 1828, pubblicato solo nell’ edizione fioretina dei Canti del 1831. Inaugura la nuova stagione della
poesia leopardiana dei “GRANDI IDILLI”
tale opera è la massima rappresentazione della CIFRA DELLA VAGHEZZA, infatti non è rappresentato un diretto
rapporto sentimentale tra due giovani o una vicenda d’ amore, ma la situazione è lasicata nel vago e dell’
indeterminato. Cio che unisce SILVIA ed il POETA a distanza è il parallelismo tra due condizioni: sono associati
dalla condizione giovanile, salle loro speranze e sogni e poi dalla loro delusione. Le prime due strofe di A
Silvia evocano uno dei due protagonisti del canto: Silvia, il ‘tu’ con cui dialoga l’io poetico, la fanciulla che risorge
dal passato tramite i ricordi di lei conservati dal poeta. La terza strofa introduce l’altro protagonista, l’io che in quel
tempo passato dedicava «la miglior parte» (v. 18) della sua vita agli studi: studi che il suono della voce di Silvia di
tanto in tanto interrompeva. 
VAGHEZZA:
1. LA FIGURA FEMMINILE: è povera di indicazioni concrete, l’ immagne di silvia ha solo 2 particolari,
uno fisico, “gli occhi ridenti e fuggitivi” e uno psicologico “ atteggiamento lieto e pensoso”.
2. MONDO ESTERNO: il paesaggio primaverile è povero di indicazioni sensibili, concrete. Non ci sono
proprio descrizioni ma solo aggettivi sobri [“odoroso, sereno”] . è un mondo rarefatto, cosi da creare una
vaghezza tipica della poetica leopardiana, la tendenza del vado ed indefinito in cui secondo il poeta in cui
ssecondo il poeta consiste il bello ed il piacevole delle cose, dando l’ illusione di un infinito a cui l’ uomo
ispira.
LA REALTA “FILTRATA”:
Tale poesia prende spunto da un evento realmente vissuto, Per delineare il personaggio
di Silvia, Leopardi probabilmente si ispirò alla figura di Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta
di tisi giovanissima nel 1818. Ma, molto più che alla reale biografia di Teresa Fattorini, questo personaggio poetico
appartiene all’interiorità di Leopardi: la Silvia che prende forma in questo canto è anzitutto una grande figura del suo
immaginario . Ma per essere assunto in poesia tale avvenimento deve essere sottoposto a filtri che lo depurano dall’
urgenza materiale propria dell’ “arido vero”.
 FILTRO FISICO il filtro fisico è la finestra della casa paterna da cui guarda il mondo esterno impedendo
a leopardi un contatto diretto con la realtà. L’ io lirico non è mai immerso nel mondo, leopardi percepisce il
mondo dal chiuso della propria stanza, dove studia e pensa, quindi dal chiuso del proprio mondo interiore. È
quindi un confine simbolico che mette in contatto il mondo interiore con quello esteriore, l’ immaginario ed il
reale.
Funzione: analoga a quella della siepe nell’ “infinito”, infatti sono citate insieme nella parte dello
“Zibaldone” in cui leopardi teorizza l’ esperienza dell’ infinito attraverso l’ indefinito.
 FILTRO DELL’ IMMAGINAZIONE il canto delle figlie del cocchiere non è percepito con i sensi ma
trasfigurato attraverso l’ immaginazione. Cosi nel rapporto con il reale si determina una “doppia visione” .
leopardi dice: “ egli vedrà con gli occhi una torre, una campagna; udrà con gli orecchi il suono di una
campana, e nel tempo stesso con l’ immaginazione vedra un’ altra torre, campagna e udrà un altro suono” e
nel secondo genre (immaginazione) sta tutto il bello ed il piacevole delle cose.
 FILTRO DELLA MEMORIA il ricordo per leopardi ha la stessa funzione dell’ imamginazione nel
rendere indefinite e poetiche le cose. Nel caso di “A SILVIA” la memoria richiama un particolare del passato,
il canto della fanciulla, trasfigurandolo. Ma il particolare del mondo esterno era gia stato trasfigurato a quel
tempo dall’ immaginazione , salla “doppia visione”. Quindi non si ha solo la memoria, ma la MEMORIA DI
UN ILLUSIONE.  è proprio nello spazio del passato e della morte che Leopardi dà corpo nel modo più aereo
e splendido ai fantasmi della felicità.  fn questo senso, A Silvia segna una svolta nella poetica di Leopardi,
che stabilisce ora un legame privilegiato non più con l’immaginazione, ma con la memoria di ciò che è
perduto per sempre. Lo Zibaldone ne dà conferma: il 14 dicembre 1828, otto mesi dopo la composizione di A
Silvia, Leopardi vi scrive: «La rimembranza è essenziale e principale nel sentimento poetico, non per altro, se
non perché il presente, qual ch’egli sia, non può esser poetico; e il poetico, in uno o in altro modo, si trova
sempre consistere nel lontano, nell’indefinito, nel vago».   
 FILTRO LETTERARIO le immaginazioni suscitate dalla suggestione indefinita del canto della fanciulla
sono anche memorie poetiche . in tal caso sulla figura di Silvia che canta mentre è intenta al telaio si
sovrappone il ricordo virgiliano del CANTO DI CIRCE, che giunge ai troiani,mentre veleggiano avanti alle
coste italiche. In piu la sovrapposizione di questi due ricordi è confermata dal fatto che Leopardi ha semrpre
mostrato grande ammirazione per virgilio e per la poetica antica.
 FILTRO FILOSOFICO l’ illusione recuperata dalla memoria non puo piu essere vissuta ingenuamente
come da giovani, poiche è subentrata la presa di coscienza filosofica del “vero”, approdo ad una visione
pessimistica del mondo. L’ illusione risorge comunque, ma in questo caso è accompagnata dalla
conspevolezza del vero, e della “vanità del tutto”. Per questo la realtà è presentata smaterializata, povera di
determinazioni concrete. Ma la poesia nasce dall’ esigenza di affermare il BISOGNO DI FELICITà,
nonostante le conquiste filosofiche. A SILVIA si chiude infatti con l’ imamgine della fredda morte, ma per
tutto il compontimento il poeta evoca le immagini della vita e della gioia come PROTESTA CONTRO LA
FORZA MALIGNA DELLA NATURA CHE LE HA LEGATO ALL’ UOMO. La sesta e ultima strofa
stabilisce, infine, un parallelismo tra la morte di Silvia e quella, di poco posteriore, della speranza del poeta: i
sogni infantili di lei e di lui non si sarebbero mai avverati e, anzi, sarebbero svaniti una volta per tutte. 
STRUTTURE FORMALI:
A LIVELLO MORFOLOGICO risalta l’ opposizione dei tempi verbali, l’ imperfetto ed il presente.
L’ IMPERFETTO è il tempo che indica continuità nel passato, quindi segna l’ immersione nella durata
indefinita dei sogni, è il tempo della memoria e dell’ illusione. La continuità è poi interrotta nel momento in
cui il poeta non ricorda piu ma trae un amaro bilancio della sua protesta contro la natura che nega la felicità
all’ uomo. Qui si passa al PRESENTE, il tempo del vero e della consapevolezza, e della delusione. Questo
mostra come la memoria addolcisce la durezza del vero.
IL LESSICO risponde invece alla poetica dell’ indefinito con parole vaghe che leopardi considera “poetiche”
LIBERTA’ METRICA C’ è liberta assoluta nella struttura metrica, dall’ alternarsi libero di endecasillabi e
settenari. Tale libertà asseconda la tendenza alla vaghezza e all’ indefinitezza delle imamgini. Le pause danno poi
fluidità musicale poiche molti endecasillabi non hanno pause interne. L’ estrema scorrevolezza musicale corrisponde
al ‘’vago ed indefinito”. Mentre nei versi riflessivi e di protesta si assiste a piu pause

5)LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA


Fa parte dei GRANDI IDILLI composto el 1829 pubblicato nel Canti del 1831. La poesia parla di una schiarita dopo
un temporale che viene utilizzata per riflettere sul destino dell’ uomo. Si apre con la descrizione della vita del borgo
che dopo un forte temporale torna alle semplici attività quotidiane. Alle limpide immagini iniziali, che esprimono
sollievo per il rapido cessare del mal tempo. C’ è una successione di interrogative che segna il passaggio dal
particolare all’ universale passando ad un amara riflessione sulla condizione umana e sull’ illusorietà del piecere.
LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA E IL PESSIMISMO COSMICO 
 Negli ultimi versi della poesia Leopardi esprime una sua considerazione: l’ “umana prole” si dimostra felice se le è
concesso un solo attimo di riposo dai mali incessanti della vita, e beata se libera da ogni affanno con il sopraggiungere
della morte. Il pensiero del poeta espresso nelle poche parole conclusive all’opera è quello caratterizzante
il pessimismo cosmico, in cui Leopardi perde la speranza di ogni illusione e si riduce a contemplare in modo
distaccato la vita come il saggio stoico, la cui atarassia è fondamentale. Persa ogni reazione titanica il poeta si
rassegna a considerare il destino dell’uomo inevitabile ed eguale per tutti, il cui rimedio non è altro che la morte.
Nell’evoluzione del pensiero leopardiano riscontriamo qualche affinità con l’evoluzione di quello foscoliano, ma
ribaltato in successione temporale.

LA POESIA è DIVISA IN DUE PARTI:


1. Descrittiva ed idilliaca la descrizione iniziale offre spetti del piccolo mondo del villaggio, ma non i vuole
tracciare un quadro realistico. È un pesaggio costruito sulla suggestione dei suoni lontani e della vastita
spaziale indeterminata. Tale descrizione è ispirata alla poetica del vago ed indefinito, significa che non si
tratta di una scena oggettiva ma tutta interiorizzata, e trasfigurata dall’ immaginazione soggettiva, dalla
“doppia visione”. La poesia si apre con la rappresentazione idilliaca della vita del borgo di Recanati dopo la
tempesta: gli animali della campagna tornano alle loro occupazioni così come gli abitanti recanatesi
riprendono i loro doveri quotidiani: chi affacciandosi sulla porta per guardare il cielo prima della laboriosa
giornata, chi come le fanciulle andando a raccogliere l’acqua appena caduta o chi come gli erbivendoli già sul
sentiero da attraversare. Il cielo si schiarisce e il sole torna a risplendere permettendo ad ogni uomo di
affrontare un nuovo giorno con rinnovata felicità.
2. Riflessiva è una parte filosofica. Il concetto centrale è che il piacere è “figlio d’ affanno”, nasce dalla
cessazione di un timore o dolore. Alla parte descrittiva segue quella riflessiva e filosofica delle strofe seguenti
con le quali Leopardi espone il suo pessimismo sotto forma di ironia. La gioia che viene espressa nella prima
parte della lirica si presenta come un ottimo espediente per una meditazione complessiva della condizione
umana. La vita secondo il poeta è bella proprio dopo che è passata la tempesta ed ogni uomo si rallegra
perché, come la natura vuole, al dolore segue il piacere che è tanto raro ed effimero che si riduce a niente.
Quest’ultimo a differenza del dolore che domina la vita degli uomini.

 La poesia si fonda sull’ opposizione tra illusione-consapevolezza del vero, vagheggiamento della vita e
della gioia-contemplazione del dolore e del nulla. Queste opposizioni vivono all’ interno di una poesia
fortemente unitaria, e le due parti non sono inseparabili per la validità della poesia. Sono inserparabili
perche lo stacco di temi e tonalità fra le due parti danno rilievo e vigore al movimento dinamico del
discorso poetico

STRUTTURA STILISTICA:
Riflette le opposizioni appena citate
La prima parte ha movimenti sintattici e ritmici limpidi e scorrevoli
La seconda parte è piu tesa e drammatica, si alternano frasi brevissime a movimenti piu ampi con interrogazioni ed
esclamazioni.

6)IL SABATO DEL VILLAGGIO


Composto a recanati, dopo la QUIETE nel 1829. Con la quiete forma un dittico, hanno la stessa struttura: prima la
parte descrittiva, dedicata ad aspetti della vita borghigiana, poi una parte riflessiva. È poi complementare alla
QUIETE anche tematicamente nella Quiete il piacere è visto come cessazione del dolore, qui il piacere è visto come
attesa di un godimento futuro, come speranza ed illusione. Questa riflessione intorno al piacere si concretizza e prende
vita poeticamente nella descrizione di un sabato paesano e nel clima di festa che lo contraddistingue. Dall'attesa
gioiosa della domenica, destinata inevitabilmente alla delusione, il poeta trae spunto per una considerazione generale
sull'esistenza. Nella vita il sabato è rappresentato dalle illusioni della fanciullezza, la domenica dalla vita adulta che
coincide con la 'scoperta del vero' e con la caduta delle illusioni.  Nella seconda, contenente la vera e propria morale,
la dinamica sabato-domenica è tradotta sul piano esistenziale come rapporto tra fanciullezza e maturità.
Ma Leopardi mostra una sorta di reticenza («altro dirti non vo'») a proclamare che la vita adulta è «tristezza e noia», e
si limita a esortare il fanciullo ideale a cui si rivolge sul finale («garzoncello scherzoso») a godersi la «stagion lieta»
della giovinezza: un moderno carpe diem ('cogli l'attimo'). 
QUADRO DI VITA PAESANA: [PARTE DESCRITTIVA]
Si apre con due figure femminili contrapposte, la DONZELLETTA che immagina le gioie del giorno festivo
avvenire, e la VECCHIARELLA che ricorda le gioie della sua giovinezza. Le due figure rappresentano
rispettivamente: la speranza giovanile e la memoria strettamente congiunte nel sistema leopardiano.
SPERANZA e GIOVINEZZA si collegano col tema della FESTA E PRIMAVERA. Queste due si concretano nel
simbolo del MAZZOLIN DI ROSE E VIOLE. Ad esso si oppone il “fascio delle erbe” che rappresenta invece la
realtà quotidiana, col suo peso di fatiche.
PASCOLI critica l’ unione di rose di maggio e viole di marzo nello stesso mazzo da parte di leopardi. E a partire
da questo polemizza contro la genericità di tutta la tradizione poetica italiana che non istaura un rapporto immediato
con le cose della natura. Ma in realta la genericità è la precisa intenzione di Leopardi (vago ed indefinito)
IL FILTRO LETTERARIO Vi sono dei rimandi letterari. Per esempio la donzelletta rimanda ad una serie
letteraria di figure femminili che si ornano con ghirlande di fiori, ex la fanciulla della ballata delle rose di Poliziano.
La trama di rimandi letterari testimonia la “doppia visione” delle cose, che non sono colte nella loro oggettività, ma
filtrate attraverso l’ immaginazione e la memoria (che puo essere memoria di impressioni letterarie)

LE IMMAGINI VAGHE ED INDEFINITE:


La perdita di oggettività realistica è dovuto all’ utilizzo di immagini vaghe ed indefinite: “dalla campagna, “la dove si
perde il giorno, “

PARTE RIFLESSIVA:
La parte riflessiva è posta dopo il quadro idillico senza pero segnare un brusco stacco . è una riflessione che mira a
negare la possibilità del piacere. La conclusione filosofica è affidata ad un colloquio con il garzoncello, facendo un
invito a non spingere lo sguardo oltre i confini dell’ illusione giovanile, quindi non polemizza sul vero ma lo
dissimula. Quindi non c’ è un distacco tra le due parti ma una continuità
 Anche sul piano stilistico avviene questa unità attraverso la scorrevolezza musicale e il gioco dele rime,
anche il lessico dell’ ultima strofa rimanda al linguaggio dell’ imamginar, e non a quello del vero

6) A SE STESSO
Composto nel 1835 a firenze. L’ occasione esterna è  la fine della passione nutrita dal poeta per l’affascinante Fanny
Targioni Tozzetti. la scoperta della vera realtà della donna amata, che negava l’ immagine costruitasi dal poeta. Fu
pubblicata nell’ edizione dei canti del 1835. Appartiene ai 5 canti del ciclo di aspasia.
Vi è in tale poesia la negazione definitiva dell’ illusione, c’ è la scomparsa dell’ inganno, l’ amore. segna il distacco
definitivo dalla fase giovanile delle illusini. Non c’ è piu un atteggiamento contemplativo di fronte al “vero” tipico
delle operette morali, compare il contegno agonistico ed eroico che si esprime nel disprezzo verso se stesso che ha
ceduto ancora ai “cari inganni”, sia verso la natura e la forza malefica del fato che domina l’ universo avendo come
fine il male
Per comprendere a pieno il significato di A se stesso è necessaria una lettura in chiave narrativa dei Canti, ossia una
lettura che tenga conto delle poesie che nella raccolta la precedono, Il pensiero dominante e Amore e Morte: mentre in
quelle era celebrata la potenza del sentimento amoroso, in questa si registrano gli effetti devastanti della fine di
quell’ultima illusione, di quell’«inganno estremo» (v. 2).   
Una lapide per l’insensatezza di tutte le coseIl titolo annuncia un soliloquio che, per il suo contenuto mortuario,
prende la forma di un’iscrizione tombale. Il soggetto si chiude in se stesso e invita il proprio cuore ad abbandonare la
vita, la speranza, i palpiti, a constatare l’insensatezza di tutte le cose e a disprezzare se stesso e il resto del mondo.

STRUTTURA STILISTICA:
Il collasso del desiderio e della vita si traduce in un collasso della forma poetica: all’opposto della retorica
elaboratissima delle canzoni, le frasi che compongono questo testo sono tronche, spezzettate, danno spesso
l’impressione di essere incomplete e di rimanere sospese, e si susseguono tumultuosamente, come fremiti di disgusto e
di collera.   
IL lessico è spoglio, gli aggettivi sono rari, consta solo di verbi e sostantivi. Crea quindi una distanza con il linguaggio
degli idilli, con un fitto ricorrere di immagini e parole vaghe ed indefinite e con scorrevolezza musicale dei versi. Non
è un inaridimento dell’ aspirazione ma di una poesia nuova

7)LA GINESTRA
Composta a napoli presso torre del greco, in una villa alle falde del Vesuvio, pubblicata da antonio ranieri nei canti del
1845.
È una svolta, e testamento spirituale di leopardi. Chiude il suo percorso poetico. Il componimento ripropone la dura
polemica antiottimistica e antireligiosa. Ma qui leopardi non nega la possibilità di un progresso civile, ma cerca di
costruire una sua idea di progresso sulla base del suo pessimismo. La consapevolezza della reale condizione umana,
indicando la natura come nemica, puo indurre gli uomini ad unirsi per combatterla. Invitando gli uomini alla
solidarietà [spiraglio di luce = amicizia e solidarietà ]
LA GINESTRA: è un fiore del deserto giallo che anche in inverno mostra la sua bellezza. Il fiore infatti riesce a
sopravvivere anche alle falde del vesuvio , il quale era una minaccia continua per l’ umanità, “la distruzione” . il
terreno lungo il vesuvio è arido e fatto di lava solidificata, ma la ginestra riesce a fiorire dinuovo.- “l’ uomo non
deve quindi arrendersi ma come la ginestra deve rinascere dalle ceneri”

STROFE:
1. Viene descritto il deserto. Il paesaggio è rappresentato ponendo attenzione alla potenza distruttiva della
natura, con immagine di desolazione ed abbandono, immagine di morte.
 Le connotazioni positive della ginestra sono: abbellisce i deserti, è gentile in opposizione alla
spietatezza del vulcano.  valore simbolico: rappresenta la pietà verso la sofferenza degli esseri
perseguitati dalla natura. Per leopardi la pietà si esprime soprattutto attraverso la poesia, unico
conforto all infelicità. Attraverso questo fiore mostra la sua pietà verso le vittime della natura.
 È la vita che restiste ad ogni costo al deserto, e alla potenza della natura
2. POLEMICA ANTIRELIGIOSA contro il ritorno religioso del suo presente. Leopardi è un materialista, e
per lui attraverso il religioso significa abbandonare la via seguita dal peniero moderno, tornando all’
oscurantismo del medioevo. Il poeta attribusce il trionfo della visione religiosa alla vigliaccheria, l’ eta attuale
non ha il coraggio di guardare in volto al “vero” , la sorte infelice. Lui a tale vigliaccheria contrappone la sua
figura eroica e solitaria.
3. Il poeta definisce la vera nobiltà spitiruale consiste nel guardare coraggiosamente in faccia il destino
comune e nel dire il vero sulla condizione del genere umano, mostrandosi forti nel soffrire e solidali con altri
uomini
 .costruzione di una sua IDEA DI PROGRESSO: Parte dall’ idea del suo pessimismo e la
consapevolezza della tragica condizione umana. Se gli uomini capissero che causa delle proprie
sofferenze è la natura, sarebbero spinti a coalizzarsi contro essa, creando legami sociali “la social
catena” . questo progresso non garantisce la felicità ma una società piu giusta e civile . l’ uomo sara
infelice per natura, ma non ci sarà piu l’ infelicità addizionale che nasce dai conflitti tra uomini
 IL COMPITO DELL’ INTELLETTUALE Nella creazione di tale società deve rendeeere palesi
al vulgo questi concetti e diffondere la consapevolezza del “vero”” indicando il nemico contro cui
combattere e spingendo alla fraternità fra uomini.
4. SQUARCIO PAESISTICO è lo stesso paesaggio della prima strofa (vesuvio) la distesa di lava
pietrificata, qui si affaccia anche la figura del poeta. A differenza degli idilli in cui il poeta era separato dalla
realta attraverso vari espedienti [ex la finestra], inducendo a servirsi di imamginazione , cadendo in una realtà
interiore. In questo caso, non ci sono separi, ma l’ io è immerso nella realtà esterna, e la affronta eroicamente,
mostrando la vera condizione dell’ uomo.
 Da qui si esalta l’ ultimo leopardi che vuole fare poesia non piu attraverso l’ “immaginazione”
ma attraverso il “vero”
5. Riprende motivo della prima: LA POTENZA DISTRUTTIVA DELLA NATURA che è indifferente alla
condizione umana distruggendolo e schiacciandolo[ex il vesuvio che distrugge ercolano e pompei nel 1. D.C ]

6. MOTIVO DEL TEMPO contrasto fra tempo umano insignificante e immobilità del tempo eterno della
natura. Il tempo umano scorre vario, trasformando le cose, la natura maligna incombe immutata e ferma nella
sua minaccia [il vulcano]

7. TORNA IN PRIMO PIANO LA GINESTRA Ne viene richiamato il significato simbolico, ovvero la


pietà per la condizione delle creature. Ma poi ha significati eroici: modello di comportamento nobile ed
eroico, anche se sara sconfitta la sua dignità non verrà cancellata, non ha mai supplicato l’ oppressore, e non
ha mai voluto imporre il suo dominio su altre creature.  è “l’ immagine ideale della nobiltà dell’ uomo “

DALLE OPERETTE MORALI: “IL DIALOGO DI TORQUATO TASSO E


DEL SUO GENIO FAMILIARE, IL DIALOGO DELLA NATURA E DI UN
ISLANDESE, IL DIALOGO DI TRISTANO E DI UN AMICO”
1) IL DIALOGO DI TORQUATO TASSO E DEL SUO GENIO
FAMILIARE
Opera composta nel 1824. Protagonista è torquato tasso, poeta amato da leopardi. Lo spunto deriva dal fatto che
durante la prigionia nell’ ospedale di sant’ anna tasso era convinto di vedere a volte “uno spirito buono e amico” e
spesso ragionava con lui per confortarsi della sua solitudine. La scelta di Tasso come protagonista dell’opera non è
casuale: Tasso offre a Leopardi l’esempio di un poeta “moderno” con un percorso simile al suo, infelice per troppa
“sensibilità”, che “ha provato sventura”. svolge la funzione di alter ego di Leopardi, che finisce per parlare
autobiograficamente per bocca sua
affronta tre argomenti:
 la consistenza del vero;
 la natura del piacere;
 la noia.
La tesi è che il sogno è più bello della realtà e che il piacere si risolve nel desiderio, cioè nella finzione del
vero (sogni e ricordi), e che la noia è il più tremendo dei mali e occupa gran parte della vita degli uomini.
RIASSUNTO
Torquato Tasso nella solitudine della sua prigionia inizia un dialogo con il suo Genio, che tenta di fargli compagnia. Il
poeta inizia a ricordare con malinconia Leonora, la donna amata, pensiero che alleggerisce i suoi problemi.Il continuo
pensare all'amata innalza la sua immagine al pari di una dea, anche se nella realtà non è così. Tasso e il suo Genio
continuano a parlare della differenza che intercorre tra sogno e verità, sostenendo che il primo è migliore perché dà la
possibilità di continuare quei pochi piaceri veramente vissuti e li migliora fino a farli diventare più piacevoli della
realtà. Solo il sogno permette di raggiungere quella felicità che non è possibile ritrovare nella realtà. Come seguito a
queste considerazioni, vi è un elogio degli uomini antichi che erano più soliti dedicarsi ai sogni rispetto a quelli
“moderni” come il Tasso. I due protagonisti dunque si soffermano sul concetto di piacere, aspetto mancante della vita
che conduce Tasso alla domanda: “Ma dunque perché viviamo noi?”. Questa domanda non trova risposta anzi viene
evidenziato come la vita sia costituita soprattutto dalla noia, stato usuale dell’uomo a proposito del quale i due
esprimono pareri diversi su quale sia il giusto rimedio.
Il Genio infine lascia Tasso dicendogli che sognando consumerà la vita, questo scorrere del tempo verso la morte è
l’unico dono che ci è stato dato.
L’amore e l’idealizzazione della donna:
L'operetta tocca alcuni dei temi fondamentali del pensiero e dell’opera leopardiani. Il primo è l’amore, con la
conseguente idealizzazione della donna da parte dell’uomo: l’amore, come Leopardi teorizza ampiamente nella Storia
del genere umano (» T19, p. 127), è l’illusione più forte e tenace, l’ultima a cedere all’azione distruttiva del «vero»,
per cui ha la facoltà di far rivivere anche nell’uomo maturo, che ha sperimentato la crudeltà della vita, la condizione
giovanile, quella appunto segnata dal fiorire delle illusioni. Ma poi il motivo dell’immagine idealizzata della donna
dissolta dalla presenza della donna reale offre lo spunto per riprendere la riflessione sulla dolcezza dell’immaginare,
che è inevitabilmente compromessa dal sopraggiungere del vero. Di qui è agevole il passaggio al motivo del sogno, la
cui funzione è analoga a quella dell’immaginazione, nel creare mondi alternativi a quello reale, in cui invece
dominano l’infelicità e il dolore. Non potendo essere felici nello stato di veglia, gli uomini lo possono essere
dormendo (un motivo toccato anche nel Cantico del gallo silvestre >T22, p. 147).
I piacere:
Così di nuovo facile è il passaggio a un altro motivo centrale, quello del piacere, identificato con la felicità in base
alle concezioni sensistiche. Qui Leopardi riprende la teoria già enunciata nel 1820 nelle pagine dello Zibaldone:
l’irraggiungibilità del piacere, perché nessun piacere goduto soddisfa mai interamente, di modo che non è mai
presente, ma sempre o proiettato nel futuro (la speranza di godere), o aflidato al ricordo (la convinzione ingannevole
di aver goduto nel passato). Con logica stringente Tasso deduce che se il fine della vita è il piacere, e il piacere è
nulla, la nostra vita è uno stato imperfetto e violento. Ne scaturisce il terribile interrogativo esistenziale: PERCHE
ALLORA VIVIAMO? È una domanda che si porrà anche un altro a/ter ego del poeta, il pastore del Canto notturno
(«se la vita è sventura / perché da noi si dura?», > T13, p. 82), e che rimarrà senza risposta, La soluzione più razionale,
che scaturirebbe necessariamente da questa logica implacabile, sarebbe il suicidio: ma Leopardi, come testimonia
un’altra operetta, il Dialogo di Plotino e di Porfirio, composto nel 1827 ®T23, p. 152), lo respinge in nome delle
ragioni della solidarietà umana, perché il darsi la morte causerebbe sofferenza alle persone che ci amano, parenti ed
amici.
La noia e la solitudine:
Tasso passa poi a toccare il tema della noia, di cui viene data qui una suggestiva e inquietante definizione: come l’aria
occupa tutti gli spazi interposti fra i corpi, così la noia occupa tutti gli intervalli della vita frapposti fra piaceri e
dolori. Ma poiché i piaceri sono labili e inconsistenti, la vita umana oscilla perennemente fra il dolore e la noia.
Per Tasso, prigioniero nella sua squallida cella, la noia è alimentata dalla sua solitudine. Ma paradossalmente questa
solitudine è rovesciata in positivo dal Genio: l'essere separati dal resto degli uomini induce a guardare le cose da
lontano, e la distanza le fa apparire molto più belle che non siano in realtà; di modo che la solitudine assume una
funzione analoga a quella dell’immaginazione, e in certo qual modo riporta l’uomo alla gioventù. Così si ritorna al
tema iniziale, quello dell’immaginazione, e l’operetta assume una forma circolare. Ma la conclusione del
ragionamento affidato al Genio è desolata: il poeta tra sognare e fantasticare andrà consumando la sua vita, senz’altra
utilità che di consumarla; e questo per gli uòmini è l’unico frutto che se ne possa ricavare. Leopardi ribadisce dunque,
con questa sentenza secca, lapidaria, definitiva, la vanità senza rimedio dell’esistenza umana. Ma poi preferisce
chiudere in calando, con la notazione finale in tono minore, scherzoso (ma non privo di un fondo amaro), sul conforto
che può venire da qualche «liquore generoso». Unici rimedi alla noia, secondo il Genio, sono l’oppio, il sogno e
addirittura il dolore, perché l’uomo, mentre soffre, non si annoia.Ma, secondo Tasso, contro la noia quel che più
conta è vivere intensamente, sia nell'azione che nel pensiero.

2)IL DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE


Lo spunto è offerto dalla storia di jenni di Voltair, dove si parla di terribili condizioni degli islandesi, minacciati dal
gelo e dal vulcano. Cosi l’ islandese diventa esempio di infelicità dell’ uomo e dei mali che lo affliggono per colpa
della natura. Composta nel 1824. L’ islandese è stanco della crudeltà nella sua isola perciò parte alla ricerca di
un luogo lontano dalle sofferenze arrecate dalle asprezze della Natura e dalle intemperie. Durante uno dei suoi
viaggi nel cuore dell'Africa, l'Islandese si imbatte proprio nella Natura, che gli si presenta nella figura di una donna
gigantesca: per nulla felice dell'incontro, l'uomo confessa alla Natura di aver viaggiato per tutto il mondo cercando un
luogo in cui vivere senza l'assillo di climi estremi, aria cattiva e malattie, non trovandolo mai. La Natura, sorpresa per
l'ingenuità dell'Islandese, gli dichiara di non essere per nulla interessata alla sorte della specie umana (la quale
potrebbe anzi sparire da un momento all'altro senza conseguenze rilevanti); le interessa soltanto perpetuare
il meccanismo della vita, di cui sofferenza fisica, malattia e morte sono condizioni necessarie.  
Un epilogo beffardoA nulla valgono le obiezioni dell'Islandese, il quale non può far altro che lamentarsi
dell'ingiustizia della Natura, e domandarsi a chi piaccia o a chi giovi «cotesta vita infelicissima dell'universo,
conservata con danno e con morte di tutte le cose che lo compongono». Per tutta risposta a questo fondamentale
interrogativo, che chiude l'operetta, l'Islandese viene ucciso.
SOFFERENZA è dunque per Leopardi uno degli elementi del tutto necessari affinché la morte, e
conseguentemente la legge naturale, possa continuare a operare. Il Dialogo nega una volta per tutte la possibilità di
intendere le leggi che dominano la Natura come buone, o riconducibili a una visione provvidenziale. 
La svolta nel pensiero di Leopardi:
Come ha ben dimostrato Luigi Blasucci, l’operetta segna una fondamentale svolta nel pensiero leopardiano: il
passaggio da un pessimismo sensistico-esistenziale a un pessimismo radicalmente materialistico e cosmico, dalla
concezione di una natura benefica e provvidente a quella di una natura nemica e persecutrice. È al mutamento
dell'idea leopardiana di Natura che va attribuito anche l'abbandono della poesia da parte dell'autore nel periodo
1824-1828. In tutte le operette precedenti l’infelicità dell’uomo veniva fatta derivare da cause psicologiche, cioè
dall’aspirazione ad un piacere infinito e dall’impossibilità di raggiungerlo; qui invece l’infelicità è fatta dipendere
materialisticamente dai mali esterni, fisici, a cui l’uomo non è in grado di sfuggire. L’Islandese, che è chiaramente
portavoce di Leopardi, ne fa un elenco puntiglioso, ossessivo, che assume un tono di tragica terribilità: i climi avversi,
le tempeste, i cataclismi, le bestie feroci »u: :1°: infine, più terribili di tutti i mali perché non risparmiano nessuno, la
decadenza fisica ela vecchiaia, Di qui l’idea di una natura nemica, che mette al mondo le e creature per perseguitarle.
una scoperta preparata da tempo nelle meditazioni dello Zibaldone, che già avevano messo in dubbio che la natura
avesse come fine il bene del singolo. Ma viene in piena luce in questa operetta; e la scoperta folgorante, traumatica,
cambierà tutto il corso della riflessione leopardiana successiva. Leopardi approda così a un materialismo assoluto e a
un pessimismo cosmico (» Il pensiero, p. 17), che abbraccia tutti gli esseri, non solo gli uomini, e tutti i tempi.
L'infelicità non è dovuta solo INe psicologiche, ma a cause materiali, alle leggi stesse del mondo fisico, che non
sono affatto per fine il bene degli uomini. Il mondo è un ciclo eterno di «produzione e distruzione», e la distruzione è
indispensabile alla conservazione del mondo, ad esempio, animali o piante vengono distrutti per fornire nutrimento
agli altri: nella chiusa l’Islandese costituisce il cibo che permette a due leoni sfiniti dalla fame di sopravvivere). La
SOFFERENZA è la legge stessa dell’universo, e nessun luogo, nessun essere ne è immune. E il dialogo con la
natura si conclude con la domanda:
“ A CHE SERVE QUESTA VITA INFELICISSIMA DELL’ UNIVERSO?”
la domania c He il pastore del Canto notturno rivolgerà alla luna (:T13, p. 82), ed è una domanda che non ha risposta
(«Arcano è tutto, fuor che il nostro dolor», aveva già affermato il poeta per bocca di Saffo nell’Ultimo canto, YT8, p.
56).
duplice visione della natura.
Si può però osservare che, in realtà, nell’operetta risultano due diverse concezioni della natura:
1. per ISLANDESE: essa è come un’entità malvagia che perseguita deliberatamente le sue creature;
2. la NATURA STESSA : invece» obietta che fa il male senza accorgersene, in obbedienza a leggi oggettive.
In questa dupLice Immagine sI rispecchiano due diversi atteggiamenti dello scrittore: 1)quello filosofico-scientifico
che considera la natura come un puro meccanismo impersonale e inconsapevole. 2) poetico immaginoso e mitico, che
vede la natura come una specie di divinità malefica. È la visione che Leopardi affiderà poi all’abbozzo dell’inno Ad
Arimane, la divinità del male nell’antica religione persiana, e alla lirica A sé stesso («il brutto / poter che, ascoso, a
comun danno impera», »T16, vv. 14-15, p. 100).
stile
di questa operetta è diverso da quello delle precedenti: non la contemplazione fredda, distaccata dell’infelicità, che è
conseguenza dell’ideale dell'imperturbabilità del “saggio”, ma una requisitoria incalzante, appassionata, che anticipa
la protesta degli idilli pisano-recanatesi del ’28-°30 e della Ginestra (+T18, p. 109).

3) IL DIALOGO DI TRISTANO E DI UN AMICO


OPERA SCRITTA NEL 1832 E PUBBLICATA NEL 1834 COLLOCATA A CHIUSURA DEL VOLUME.
Personaggio principale del Dialogo è Tristano, protagonista di molti romanzi medievali che narrano la storia della
sua infelice passione per Isotta, moglie dello zio Marco, re di Cornovaglia: il nome è scelto a rappresentare
l'infelicità dell'autore anche in quanto amante sfortunato. Tristano discute con un amico di un proprio libro uscito
a stampa, identificabile con le Operette. L'amico interroga Tristano sulle visioni pessimistiche espresse nell'opera,
definita «malinconica, sconsolata, disperata» (le Operette morali erano state definite «malinconiche» in molte delle
recensioni scritte dai contemporanei di Leopardi): Tristano confessa però di avere cambiato idea, e di credere ora alla
«felicità della vita», «una delle grandi scoperte del secolo decimonono». L'alter ego di Leopardi si professa inoltre
favorevole all'idea, cara al suo secolo, del progresso della natura umana, non mancando però di sottolineare come
gli antichi fossero fisicamente molto superiori ai suoi contemporanei: si tratta di una critica
allo spiritualismo ottocentesco e al suo disinteresse per l'educazione del fisico (la quale è – secondo Leopardi –
premessa necessaria allo sviluppo di passioni e virtù eroiche).    
La polemica contro il secolo decimonono.
L'operetta è impostata sul procedimento ironico, Tristano, che è proiezione dello scrittore stesso, finge di ritrattare
le sue concezioni pessimistiche sull’infelicità umana e di accettare le opinioni ottimistiche del suo tempo. Ma, a
differenza della Palinodia, l’ironia non è tenuta con continuità: per larghi tratti Leopardi l’abbandona, per lasciar
posto alla polemica diretta.
La polemica, aspra e impietosa, è indirizzata contro il secolo decimonono, a cui Leopardi si sente estraneo e le cui
tendenze disprezza profondamente. È una polemica che tornerà in molte opere di questo periodo, soprattutto nella
Ginestra (+ T18, p. 109). I suoi bersagli qui sono:
 la decadenza dei moderni rispetto agli antichi (nonostante il pessimismo cosmico, Leopardi non cessa di
ammirare l’antichità), che è decadenza non solo intellettuale e morale, ma anche fisica, perché l’educazione
moderna mortifica il corpo (e per Leopardi non vi è possibilità di esistenza «nobile e viva» se non vi è vigore
fisi co);
 l'abbassamento generale del livello di cultura (la più larga diffusione non compensa la rarità di autentici
dotti);
 la mediocrità dominante, che impedisce ai grandi animi di emergere;
 il mito che il crescere dei “lumi” prepari all’umanità un radioso futuro.
LA POLEMICAsi indirizza poi contro la viltà degli uomini, che vogliono credere che la vita sia bella e
desiderabile e non hanno il coraggio di ammettere di non saper nulla, di non esser nulla e di non aver nulla da
sperare dopo la morte.
Critiche all'Ottocento progressista Tristano si dice poi sostenitore del progresso della conoscenza, pur
dichiarando l'inutilità della maggior parte dei libri pubblicati nel suo tempo; anche la presunzione di
superiorità del secolo presente sui passati è ironicamente messa in dubbio, perché affermata da chi ha
vissuto in «tutti i secoli», persino dei «più barbari». Leopardi critica inoltre l'idea, diffusa tra i suoi
contemporanei, che vedeva l'Ottocento come un «secolo di transizione», perché ancora segnato da molte
contraddizioni culturali, politiche e sociali che però – secondo gli ideali positivisti – si sarebbero presto
risolte: secondo Leopardi, il presente è per sua natura "di transizione", e tali contraddizioni sarebbero
rimaste identiche in ogni epoca storica. Nel Dialogo si leggono, inoltre, poco velate critiche all'idea
ottocentesca di «massa», opposta al concetto di individuo.  
L’atteggiamento agonistico ed eroico.
A questa vigliaccheria degli uomini, particolarmente evidente nei suoi tempi, Leopardi contrappone orgogliosamente
la propria diversità, il proprio coraggio di guardare in faccia «il deserto della vita», di «accettare tutte le conseguenze
di una filosofia dolorosa ma vera», di strappare il velo che occulta la «misteriosa crudeltà del destino umano». Pur
confessando la sua infelicità, non si rassegna e non piega il capo al destino né viene con esso a patti. Compaiono qui
quegli atteggiamenti eroici e agonistici, che caratterizzano l’ultimo Leopardi. Per la violenza e l’acrimonia della
polemica, per questo risentito orgoglio della propria forza e nobiltà spirituale, per questi atteggiamenti combattivi,
l’operetta si stacca nettamente dalle operette del ’24, caratterizzate dall’atteggiamento imperturbabile del «saggio»,
dalla contemplazione lucida e rassegnata del «vero».
ULTIMA PAGINA il poeta concentra l’ attenzione su se stesso e sulla propria assoluta infelicità. L’operetta si
conclude con un’invocazione alla morte come liberazione che, in contrasto con il tono delle pagine immediatamente
precedenti, ha una dolcezza e pacatezza d’accenti nuova, la serenità ferma e distaccata di un testamento. È un motivo
che ricomparirà in Amore e Morte (»T15. D. 94). Tristano si dice pronto a morire, tanto da augurarsi una vita il più
possibile breve: una morte veloce è da preferire anche a una vita tanto gloriosa quanto quelle di Giulio
Cesare o Alessandro Magno. È solo in questa prospettiva di totale distacco dalle preoccupazioni terrene
che Leopardi può esprimere un augurio ai propri contemporanei: «Dei disegni e delle speranze di questo secolo
non rido: desidero loro con tutta l'anima ogni miglior successo possibile, e lodo, ammiro ed onoro altamente e
sincerissimamente il buon volere; ma non invidio però i posteri, né quelli che hanno ancora a vivere lungamente». 

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