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“La quiete dopo la tempesta”

Con i cosiddetti “grandi idilli”, di cui La quiete dopo la tempesta fa


parte, Leopardi torna alla poesia, dopo l’intervallo di sei anni delle Operette morali.
Queste poesie, a differenza degli idilli giovanili, sono pervase dalla consapevolezza
dell’”arido vero”, causata dalla fine delle illusioni giovanili.

La parte iniziale della poesia è descrittiva, con l’alternarsi di sensazioni visive e


uditive, ma non si tratta di una descrizione oggettiva, bensì tutta basata su elementi della
poetica del “vago e indefinito”: compaiono, infatti, suoni lontani, spazi vasti e indeterminati,
indicazioni paesaggistiche essenziali, in cui secondo la teoria della “doppia visione “,
enunciata nello Zibaldone, al paesaggio reale si sovrappone continuamente quello creato
con l’immaginazione. Questo paesaggio campagnolo festoso e allegro, in cui è tornato il
sereno dopo un temporale, è una chiara metafora delle gioie passeggere della vita.

Nella seconda parte, caratterizzata da un ritmo più lento e dedicata alla riflessione
concettuale e filosofica, invece, viene enunciata la teoria del piacere leopardiana,
secondo la quale il piacere è “figlio d’affanno”, ossia può derivare solo dalla cessazione di
un dolore, in quanto la natura, ormai considerata “matrigna” porta agli uomini solo affanni.
In questa chiave, viene altresì valorizzata la morte come estrema e definitiva fine di ogni
dolore, in quanto l’uomo è, per natura, destinato a soffrire. Il piacere, dunque, non può
assumere connotazioni positive, bensì è solo l’illusione momentanea della cessazione
delle pene. Le due parti della poesia sono strettamente collegate tra loro, poiché l’illusione
della vitalità e della luminosità della scena descritta all’inizio è subito spenta dall’amara
consapevolezza dell’impossibilità di conseguire una stabile felicità, pertanto tutta la poesia
va letta in chiave filosofica. È molto usato il procedimento dell’ironia antifrastica, in
particolare nella terza e ultima strofa, che offre la chiave di interpretazione della poesia:
l’amaro sarcasmo leopardiano si rivolge, come spesso accade, contro la natura ostile,
tutt’altro che “cortese”, che non offre “doni” e “diletti” agli uomini.

La struttura compositiva del componimento La quiete dopo la tempestaè simile


a quella de Il sabato del villaggio: in entrambe le poesie ad una parte descrittiva, segue
una parte di riflessione esistenziale, in cui il piacere appare qualificabile solo in negativo.
Si può anche cogliere un influsso del filosofo coevo Shopenhauer, che affermava che «la
vita è come un pendolo che oscilla tra dolore e noia». Come sottolinea il critico Gianfranco
Contini, nella poesia è rilevabile un «conflitto tra poeticità e prosasticità», poiché vi
coesistono termini del tutto quotidiani (come “gallina”) e parole auliche e poetiche (come
“augelli”). Questa contrapposizione è presente anche dal punto di vista stilistico: nella
prima parte, i periodi sono brevi e semplici; nella seconda prevalgono periodi lunghi e
complessi con numerose inversioni.

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