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CARDUCCI-opere analizzate

1. PIANTO ANTICO
Pianto antico è una celebre poesia di Giosuè Carducci dedicata a suo figlio che dovrebbe,
secondo la data riportata sul testo autografo, risalire a giugno 1871. Inserita nella raccolta
Rime nuove del 1887, si tratta del quarantaduesimo componimento. Il piccolo Dante, così si
chiamava il bambino, morì che aveva soli tre anni a causa, probabilmente, del tifo. Si
trovava nella casa paterna di via Broccaindosso, a Bologna. All’epoca, così come il bimbo di
Carducci, non era insolito che gli infanti morissero, considerate le conoscenze ancora
limitate dell’epoca in termini di medicina. Vediamo ora testo, parafrasi e analisi di Pianto
antico di Carducci.

Nella poesia si nota sin dall’inizio la fortissima opposizione tra vita e morte, data dall’antitesi
simmetrica che Carducci crea tra immagini vitali e luminose, che si accumulano nelle prime
due strofe, e quelle scure e morenti presentate nelle ultime due strofe. Fintanto che si tratta
di immagini luminose si vedono i colori della primavera e la vitalità di una natura che rinasce;
quando la poesia va incupendosi si impone in maniera prepotente l’assenza di vita,
l’impossibilità anche per la forza dell’amore di un padre di sconfiggere la morte. Pur
provandoci, Carducci non riesce a cacciare via quell’immagine ossessiva della morte che lo
pervade tramite il costante richiamo ai colori e alla vita della primavera. Già nelle strofe
colorite c’è come un anticipo di ciò che sarà, l’orto solitario ("muto orto solingo" v. 5), così
come il melograno (v. 3) che, seppur fiorito, nella mitologia classica era la pianta sacra di
Persefone, la dea degli Inferi. A primo impatto la tematica della poesia di Carducci ha solo
una componente autobiografica, ma non è così: a una più attenta osservazione emerge una
contrapposizione generica tra la morte di ogni uomo, che è inevitabile, e il ripetersi continuo
e ciclico della natura. La bella stagione è tornata, la natura si è risvegliata, proprio quello che
il figlioletto del poeta non potrà fare mai più.

2. ALLA STAZIONE IN UNA MATTINA D’AUTUNNO

Alla stazione in una mattina d’autunno fu scritta da Carducci nel 1875 in occasione di una
partenza in treno di “Lidia” (Carolina Cristofori Piva), la sua amante nel periodo bolognese,
di cui si cantano le vicende nella prima edizione delle Odi barbare (1877). Nell’analisi del
testo di Alla stazione in una mattina d’autunno presentata di seguito, oltre a sviluppare la
parafrasi e riconoscere le figure retoriche, all’interno del commento vengono analizzate le
tematiche, i significati, lo stile e la lingua di questa poesia, in cui Carducci contrappone
l’aspetto terrificante del treno in partenza al candore della donna che vi sale.

● La poesia strutturalmente si divide in tre parti:


1. Vv. 1-36 – Nella parte iniziale della poesia vi è la rappresentazione descrittiva
dell’ambiente esterno, in un giorno autunnale di pioggia, alla stazione dei treni da cui
la donna amata, Lidia, si appresta a partire;
2. Vv. 37-48 – La parte centrale si basa sul ricordo: il Poeta rievoca, in antitesi con il
grigiore e il tedio della mattina autunnale, un momento felice vissuto in passato con
Lidia, sotto il giovine sole di giugno, ovvero in estate;
3. Vv. 49-60 – La parte conclusiva è riflessiva: nelle ultime tre strofe il poeta, dopo aver
salutato la donna, rientra mestamente a casa dominato da una sensazione di
malinconia dell’anima (tedio) e da un senso di squallore esistenziale.
● Analisi del testo
1. Vv. 1-36 – La prima parte è incentrata sulla scena di addio alla stazione, quindi al
tempo verbale al presente.

Il componimento è dominato dall’idea del tedio, della desolazione, dello sconforto per
la partenza della donna amata, e le prime immagini già illustrano un paesaggio in cui
l’uso dei termini: accidiosi, sbadigliando, plumbeo induce ad immaginare un
ambiente cupo, autunnale, freddo, nebbioso, che avvolge tutto e tutti travolge;

2. Vv. 37-48 – Nel mezzo sono inserite tre strofe narrate al passato dove viene ricordata
un’altra occasione di incontro tra i due amanti, in estate, al mare.

Si passa dal linguaggio realistico a quello convenzionale. Ora alla descrizione


dettagliata della stazione e del treno delle prime strofe, subentra una descrizione
visionaria in cui la lode a Lidia viene svolta secondo i canoni tradizionali della poesia
d’amore. Vi è una forte antitesi tra questi ricordi felici e la cupezza del presente: sole,
vitalità e dolcezza si contrappongono a pioggia, freddo, foschia e tristezza.

3. Vv. 49-60 – Nella chiusura vi è un brusco ritorno alla realtà, Carducci ritorna al
linguaggio realistico e al tempo verbale presente nelle ultime tre quartine in cui il
triste paesaggio autunnale riflette analogicamente la triste malinconia dell’anima.
Tutto sprofonda nel tedio ed emerge un malessere interiore in cui il poeta smarrisce il
senso dell’essere.

PRAGA

1. PRELUDIO

La poesia “Preludio”, del 1864, fa parte della raccolta Penombre. Rappresenta una sorta di
manifesto della Scapigliatura, in cui Praga descrive la condizione spirituale di un’intera
generazione, successiva al Romanticismo che assume il ruolo di coscienza critica
dell’epoca.

L’autore abbandona il naturalismo della sua precedente poetica, fatta di ritratti bozzettisti
di paesaggi e figure, per penetrare nella sua irrequieta interiorità.

Si possono distinguere nella poesia tre tematiche fondamentali:

-Nella prima parte il Poeta mira a delineare, in negativo, ciò che la sua generazione non è e
non può più essere: essenzialmente fedele a degli ideali e alla fede, fonti delle certezze
umane. La sua generazione è priva della fede religiosa, fonte di tutti i valori. Per questo
Praga esprime un duro rifiuto nei confronti di Manzoni, che ha fondato la sua vita e la sua
opera sui valori cristiani. Nei confronti di Manzoni gli scapigliati hanno un rapporto
ambivalente, di odio-amore, ammirazione-repulsione. Praga rifiuta l’impronta morale e
cristiana di Manzoni ma non può liberarsi della sua lezione linguistica e letteraria,
avvertendo la superiorità poetica.

-La seconda parte definisce invece ciò che quella generazione è dopo la perdita delle
certezze a cui si era affidata. Si delinea la tematica baudelairiana della Noia (carnefice della
tormentata anima moderna), la tensione verso l’ideale e nello stesso tempo nella perdizione
del vizio e del male.
-L’ultimo verso (“canto il vero”) delinea l’intento della sua poetica: cantare senza finzioni la
difficile condizione spirituale dell’uomo contemporaneo. La poesia deve rivelare in ogni suo
brutale aspetto la realtà squallida e desolata della vita moderna, priva di fedi e ideali. Per
questo la canzone è “misera”, perché dipinge senza falsi pudori la miseria della vita
moderna.

TARCHETTI

1. FOSCA

A cinque anni di distanza, Giorgio, militare di carriera, decide di affidare alla carta le
memorie di un periodo particolarmente doloroso della sua vita, caratterizzato dall'amore per
due donne dai caratteri antitetici:Clara e Fosca. I ricordi iniziano quando il giovane militare,
in congedo per malattia, decide di abbandonare il suo odiato villaggio natio per recarsi a
Milano, a far visita a un amico. Qui Giorgio incontra Clara, una giovane donna ricca di
bellezza e virtù con la quale intrattiene una tenera relazione amorosa (Clara è però sposata
con un impiegato dell'amministrazione governativa). L'idillio dura solo due mesi, quando
Giorgio Viene promosso capitano e destinato ad un nuovo incarico.Di stanza in un piccolo
villaggio, Giorgio è spesso ospite nella casa del colonnello, comandante della guarnigione. È
proprio in questa casa che il giovane fa conoscenza con la cugina del colonnello,
Fosca,descritta dal proprio medico come «la malattia personificata, l'isterismo fatto donna,
un miracolo vivente del sistema nervoso». Fosca è una donna di rara bruttezza affetta da
una grave malattia, ma allo stesso tempo dotata di un'acuta sensibilità e di una raffinata
cultura: Giorgio presto inizia a subirne l'oscuro fascino, tanto da non riuscire ad evitarla e da
essere costretto ad instaurare con la donna un morboso legame sentimentale.Da questa
relazione Fosca sembra trarre nuovo vigore e quasi guarire dalla sua malattia, a scapito
però di Giorgio, che si sente deperire e avvicinare alla morte. Con la complicità del medico, il
giovane riesce a ottenere un trasferimento provvisorio a Milano, che in seguito dovrà
diventare definitivo. Tuttavia, negli ultimi giorni di soggiorno in casa del colonnello succede
l'irreparabile: Fosca, alla fine del romanzo, muore logorata dalla malattia in seguito ad una
morbosa nottata trascorsa con l'amato, mentre Giorgio, sfidato a duello dal colonnello, è
colto da un malore e si rende conto di essere vittima della stessa malattia della donna.
Sopravvissuto al duello, Giorgio riprenderà solo dopo quattro mesi di malattia della morte di
Fosca,avvenuta tre giorni dopo il duello. Il romanzo si chiude con una lettera del medico, che
consiglia a Giorgio Di viaggiare e distrarsi, in modo da poter guarire completamente.

BOITO

1. DUALISMO

La vita umana procede su un doppio binario di bene e male che sono due facce della stessa
medaglia, come esemplificato in modo chiaro dalla figura dell’angelo ribelle, in cui convivono
la tendenza alla luce e al buio. Dunque nell’uomo sono presenti: bene e male; virtù e
peccato; debolezza e grandezza. A seconda della prevalenza di una di queste componenti, il
poeta si orienta verso l’ideale cui inutilmente aspira, oppure si orienta, compiaciuto di tanta
bassezza verso il reale, da intendersi come sacche di degrado fisico e morale. L’artista
scapigliato è scisso tra il suo presente (brutto, turpe e doloroso) sullo sfondo del nascente
industrialismo in Italia e un ideale di purezza estetica e bellezza morale. La dichiarazione
programmatica è la seguente: il poeta aspira a una bellezza ideale, ma poiché questa
bellezza è irraggiungibile, l’unico oggetto della poesia è il prosaico presente con il risultato di
versi aspri e sgradevoli.

Il funambolo dell’ultima strofa, che rappresenta il poeta, anticipa il poeta-clown-saltimbanco


di Palazzeschi del testo E lasciatemi divertire! del 1909. Diverso è il caso di Böll, esponente
della neoavanguardia tedesca degli anni ’50, nel romanzo Opinioni di un clown del 1963. In
questo caso il clown dà voce alla critica della crisi di valori in Germania nel Secondo
Dopoguerra.

DE GONCOURT

1. PREFAZIONE GERMINIE

"Germinie Lacerteux" e un romanzo dei fratelli Jules e Edmond de Goncourt in cui si narra la
vita segreta di una donna di servizio di una casa nobile. La Prefazione, datata ottobre 1864,
è uno dei primi e più significativi "manifesti" del Naturalismo francese. Il romanzo, uscito nel
1865 fu ispirato ad un caso vero, quello di una domestica dei due fratelli. Nel Ricostruire la
vicenda, essi si fondano su una rigorosa documentazione: si tratta dunque di un "documento
umano", una formula che avrà poi molta fortuna nel naturalismo. Gli autori nella prefazione
definiscono il testo severo e puro e con lo scopo di accrescere la curiosità dei lettori si
scusano preventivamente col pubblico ma lo fanno sancendo una dualità poiché il pubblico è
abituato a romanzi definiti dai de Goncourt "falsi" i quali si oppongono al loro tipo di romanzo
"vero"

VERGA

1. MASTRO DON GESUALDO- LA MORTE


● lei non dormiva la notte in quanto commetteva degli adulteri
● riga 10=vede che è tormentata ma lei non si confida ritira le corna come la lumaca
● avere lo stomaco peloso=stomaco pieno di rancore
● vede che è distaccata e lui vorrebbe parlarle
● dietro l’invetriata guardava i servi
● pensava alla roba che veniva sperperata riga 25
● da una parte pensa alla figlia e dall’altra pensa che la sua roba non verra mai
conservata da nessuno
● riga 44 quando c’erano la duchessa e il duca i servitori lavoravano
● riga 52 contava le tegole e pensava a quanto denaro venisse preso dai servitori che
sono divoranti come il male che lo stava uccidendo
● riga 65 la figlia lo va a visitare
● puntini di sospensione per non dire ciò che vorrebbe
● sospetti odiosi= dicevano che non era sua figlia legittima
● vuole essere amato ma poi pensa alla roba che gli viene sottratta
● le vuole dire che darà i soldi ai suoi figli naturali però non esplicitamente
● i Trao descritti come superbi e incapaci di sensibilità
● riga 150 il servitore era infastidito di averlo dovuto accudire
● riga 169 muore tra i commenti freddi dei camerieri

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