Sei sulla pagina 1di 4

RUSTCO FILIPPI

RUSTICO FILIPPI
Rustico Filippi può essere considerato il primo esponente
della maniera comico-realistica toscana. Le notizie biogra-
fiche che lo riguardano sono scarsissime: è noto solo che
fu ghibellino e che morì tra il 1291 e il 1300. La produzione
poetica di Rustico Filippi è stata definita “bifronte”: il corpus
delle sue rime, infatti, è equamente diviso tra sonetti di ma-
teria amorosa in stile curiale siculo toscano e sonetti burleschi,
per lo più appartenenti al genere del “vituperium”, a danno di
personaggi ormai di difficile identificazione (“Dovunque vai,
con teco porti il cesso” → ripropone il tema del “vituperium
vetulae”, cioè l’ingiuria nei confronti di un'anziana donna).
Questa doppia direzione poetica, sui due fronti lirico-amoroso
e parodico-satirico, evidenzia come il filone comico-realistico
fosse in stretto legame con la tradizione letteraria colta da cui
nacque anche lo Stilnovo.

Il linguaggio delle opere di Rustico Filippi è spesso di difficile


interpretazione e presenta caratteristiche proprie. Tuttavia, è
possibile indicare alcuni elementi condivisi con il resto dei poeti
burleschi: spesso ricorrenti sono le forme proverbiali di carattere
popolare, mentre la sintassi sembra imitare la vivacità del parlato.
Il suo poetare si caratterizza inoltre per la sua straordinaria creati-
vità linguistica ma anche per l’oscurità di alcuni testi, data dai conti-
nui riferimenti a persone e situazione ignoti al lettore, che ne limitano
la comprensione. Infine il breve canzoniere di rustico Filippi si con-
traddistingue per la forza satirica, spesso capace di divertita brutalità,
come nei sonetti-ritratto, che si presentano come la fotografia defor-
mante di un carattere, sia esso reale o fittizio.

CECCO ANGIOLIERI

CECCO ANGIOLIERI
Cecco Angiolieri, insieme a Filippi, Guinizzelli e Dante, fu
uno dei maggiori esponenti della poesia comica. Egli nacque
a Siena nel 1260 da genitori appartenenti a due tra le più in-
fluenti e ricche famiglie senesi e morì in miseria nelle 1313,
dopo aver sperperato tutti i beni familiari. Dai documenti di
cui oggi siamo in possesso risulta che Cecco Angiolieri fu un
uomo insofferente indisciplinato, spesso coinvolto in risse, che
trascorse un’esistenza dissipata e sregolata, tanto che veniva
considerato come un “poeta maledetto ante litteram”. Tuttavia,
non bisogna credere che i sonetti di Cecco Angiolieri ne rap-
presentino fedelmente la vita, in quanto questa immagine che
lui dà di sé non è nient'altro che frutto della costruzione di un
personaggio scherzoso che sfrutta le sue passioni come pretes-
to per i suoi giochi di comicità poetica. Tra i temi principali della
poesia di Cecco Angiolieri spicca quello delle donne, del gioco,

del denaro e del vino, ma anche dell'amore, dai tratti volgari e


triviali, per una certa Becchina, donna avida e di facili costumi.
La comicità è prodotta dal rovesciamento dei canoni dell’amore
dello Stilnovo: si tratta di un amore fatto di tradimenti, liti e ripic-
che, in cui la donna è presentata in modo totalmente contrario
alla figura idealizzata dai poeti come Guinizzelli e Dante. Un'altra
delle componenti tematiche importanti in Cecco Angiolieri è l'uso
in chiave comica di toni pessimisti e violenti. La malinconia, defini-
ta da Cecco “ricadìa”, rappresenta una scontentezza che non ha
nulla di drammatico, ma che serve al poeta per creare un gioco
parodico. La ricadìa è provocata non solo dal rifiuto da parte dell'
amata d'intimità carnale, ma in particolare dalla mancanza di dena-
ro e di cibo.È proprio questa miseria materiale a diventare il motivo
principale per accessi di violenza verbale, soprattutto contro il padre
e la madre.

- AL COR GENTIL REMPAIRA SEMPRE AMOR (112)


- AL COR GENTIL REMPAIRA SEMPRE AMOR (112)
Il tema centrale della canzone è quello della vera nobiltà, ossia
la nobiltà d’animo, detta gentilezza, contrapposta alla nobiltà di
sangue. Questa tematica era già stata trattata dalla cultura cor-
tese con Andrea Cappellano il quale affermava che la nobiltà non
dipende dalla nascita, ma dal valore della persona, dalle sue virtù,
e quindi la vera nobiltà non è ereditaria, perché non è sufficiente
essere di sangue nobile per essere veramente dei gentiluomini. C’è
in tutto questo il desiderio da parte dell’alta borghesia di soppian-
tare il potere della nobiltà comunale, per dare vita ad una nuova
nobiltà cittadina la cui esistenza è basata sulle doti di intelligenza e
cultura, ovvero quello che Dante chiamava altezza dell'ingegno.
L’altro tema centrale è quello della caratterizzazione angelica della
donna.

- IO VOGLIO DEL VER LA MIA DONNA LAUDA (119)

- IO VOGLIO DEL VER LA MIA DONNA LAUDA (119)


All’inizio il poeta affronta il prima tema del sonetto, ossia quello
della lode della donna amata, dove dichiara di voler lodare la sua
donna, e lo fa evocandola attraverso una serie di paragoni con
alcuni elementi naturali, secondo il modello letterario del plazer
provenzale (un elenco di piaceri e desideri). Il sonetto può essere
diviso in due parti: nella prima (le due quartine) si loda la bellezza
fisica della donna, mentre nella seconda (le due terzine) le sue ca-
pacità e virtù morali. Qui, il poeta non rivela esplicitamente le azioni
della donna, ma quali sono i loro effetti su chi le sta intorno: colui
che riceve il suo saluto, è reso umile; chi non crede, si avvicina alla
fede cristiana; allontana coloro che possiedono un animo ignobile e
vile; spegne i pensieri malvagi in coloro che la osservano. Un secondo
tema presente in questo sonetto è proprio quello del saluto: il gesto
del saluto compiuto dalla donna porta salvezza poiché innalza la pro-
pria moralità ed è in grado di avvicinare a Dio, poiché la bellezza e la
virtù della donna sono segni sulla terra della presenza divina.

- CHI E’ QUESTA CHE VEN, CH’OGN’OM LA MIRA (128)

- CHI E’ QUESTA CHE VEN, CH’OGN’OM LA MIRA (128)


Nella seconda quartina Cavalcanti riprende il tema della limitata
capacità della parola del poeta, che ha una duplice valenza: da un
lato ha una funzione retorica, che il poeta utilizza per esprimere
la sua modestia; dall’altro lato, evidenzia il limite della parola uma-
na, che non può raccontare lo splendore legato all’apparizione
della donna, che risulta quindi più divino che umano. Nella prima
terzina, Cavalcanti spiega che la donna, essendo superiore a qual-
siasi altro modello di bellezza o valore positivo, rende il poeta inca-
pace di esprimere le sue qualità, perché il linguaggio non risulta
adeguato. L’oggetto da conoscere e di cui parlare (la donna) risulta
dunque superiore alla conoscenza e all’espressione stesse.Nell’ultima
terzina, infatti, il poeta spiega che la Grazia non ha concesso all’uomo
la possibilità di conoscere razionalmente la perfezione dell’amata

– VOI CHE PER LI OCCHI MI PASSASTE IL CORE (131)

– VOI CHE PER LI OCCHI MI PASSASTE IL CORE (131)


La prima quartina descrive l’innamoramento del poeta. L’immagine
della donna, attraverso gli occhi dell’amante, arriva fino al cuore e
risveglia la mente, cioè la memoria, dal suo sonno. Già in questa
strofa si allude alla potenza distruttrice di Amore, tema fondamentale
di questo componimento. Ciò che avviene nel cuore del poeta è spie-
gato nella seconda quartina ed è rappresentato come una battaglia:
l’amore ferisce con forza e mette in fuga gli “spiritelli”, cioè entità che
si muovono nel corpo umano e che si riferiscono alle facoltà percettive
dell’uomo (come la vista) o a ciò che scuote il suo animo (come il tre-
more). Dalla battaglia chi esce trionfante è dunque Amore, mentre
l’uomo ne rimane completamente distrutto. Nelle due terzine finali si
descrive come l’Amore colpisca l’amante con una freccia, scuotendo
la sua anima. L’azione descritta si conclude con la “morte” del cuore,
sconvolto dalla passione amorosa.

- LO VOSTRO BEL SALUTO


- LO VOSTRO BEL SALUTO
Nel sonetto “Lo vostro bel saluto e ‘l gentil sguardo” scritto da Guido
Guinizzelli ricorrono tre temi fondamentali dello stilnovo: il tema del
saluto, il tema della donna virtuosa e soprattutto il tema della pena
d’amore. Nella prima quartina il verbo «m’ancide» rompe la serenità
dell’inizio e l’attenzione passa ai dolorosi effetti che l’amore produce
sull’innamorato. Amore lo assale senza preoccuparsi se abbia sull’
uomo effetti benefici o dolorosi: Guinizzelli riprende così il tema della
pena d’amore, utilizzando la metafora del dardo che provoca una
ferita. Il cuore dell’amante è ferito dal dardo scoccato da Amore, al
punto da provocare il blocco della parola. Le terzine descrivono con
una similitudine il tragitto del dardo di Amore, lanciato attraverso gli
occhi della donna. La potenza della freccia è paragonabile a quella di
un fulmine, che entrando dalla finestra di una torre distrugge all’in-
terno l’edificio. Guinizzelli immagina il corpo dell’amante come se fosse
la torre colpita dalla saetta: la freccia scoccata, vale a dire il fulmine,
penetra negli occhi dell’uomo, raggiunge il suo cuore e distrugge dall’
interno il poeta, il quale è ridotto ad una statua d’ottone, che ha par-
venza umana, ma è completamente priva di vita interiore.

- DOVUNQUE VAI PORTI CON TECO IL CESSO (151)

- DOVUNQUE VAI PORTI CON TECO IL CESSO (151)


Questo sonetto affronta il tema dell’“improperium in vetulam”
(invettiva contro una vecchia), che non è certo nuovo e trova
precedenti sia nella poesia latina che in quella goliardica del
Medioevo. L’innovazione di Rustico consiste nella trasposizione
di questo genere in un volgare dai tratti prevalentemente fio-
rentini, con il guadagno di tutte le potenzialità di descrizione e
di deformazione parodistica offerte da una lingua viva e quoti-
diana. Interessante è il fatto che la rappresentazione dell’anziana
donna contiene pochissimi tratti visivi (solo quelli della bocca) e
che l’insostenibile sua presenza sia sempre percepita attraverso
l’olfatto. Per rendere l’idea di quanto essa possa essere ripugnan-
te, Rustico deve valersi di alcune similitudini (l’odore nauseabon-
do che la donna emana è indicato con l'immagine del cesso; il tar-
taro dei denti è paragonato a l'arenaria; l'alito pesante al fetore
dei e degli animali selvatici). In alcuni casi, rinunciando a trovare
un paragone adeguato a un simile odore, il poeta sottolinea come
esso sia superiore alla capacità di umana sopportazione o tale
che, al confronto, ogni altro fetore sembrerà profumo.

- S’I’ FOSSI FOCO, ARDEREI IL MONDO (156)

- S’I’ FOSSI FOCO, ARDEREI IL MONDO (156)


Nel sonetto Cecco Angiolieri esprime la rabbia per non poter godere
appieno delle gioie del mondo, la passione per le donne giovani e
belle, ma inveisce anche contro i propri genitori. Lo scatenare di
quest’ira inizia a partire dalla prima terzina: Cecco, che in altre oc-
casioni ricorda l’avarizia paterna, si distingue dai propri genitori e
si identifica come amante delle donne «giovani e leggiadre» e spre-
giatore di quelle, ritiene, meno fortunate in amore. Il componimento
risulta una parodia del plazer, una tecnica provenzale che consisteva
nell’elenco di una serie di cose piacevoli: quello di Cecco è invece
un’invettiva contro ciò che odia e che vorrebbe distruggere. L’opera
si regge su una serie di ipotesi impossibili, eccezione fatta per l’ultima
strofa che è quella che riassume la vita di Cecco. Egli infatti presenta,
pur utilizzando ancora il «se» ipotetico, una realtà, cioè la sua vera
occupazione: lo svagarsi con donne attraenti.

- TRE COSE SOLAMENTE MI SO ‘N GRADO (158)

- TRE COSE SOLAMENTE MI SO ‘N GRADO (158)


Nel sonetto "Tre cose solamente m'enno in grado", egli afferma di
amare solo la donna, la taverna e il gioco, uniche cose che lo fanno
sentire veramente felice. Ma l'autore sostiene di non poter godere di
queste cose per colpa della borsa sempre vuota. Questa difficile con-
dizione di vita lo spinge a pronunciare invettive violente contro il pa-
dre: " sia trafitto con una lancia che mi tiene così a corto di denaro",
infatti togliere un soldo al padre è faticoso anche se accadesse la mat-
tina di Pasqua quando tutti regalano le mance. Il padre di Cecco è
talmente avaro che è più facile che una poiana catturi una gru piuttosto
che conceda al figlio del denaro. Cecco usa un linguaggio pieno di modi
di dire e di cadenze popolari che meglio si presta alla battuta e alla pa-
rola dialettale incisiva. Il modello di Cecco è in un certo senso il plazer
provenzale, ovvero l'elenco di cose piacevoli per dilettare il lettore,
anche se qui il tono è molto più basso e i piaceri citati appartengono
alla sfera triviale, non certo alla nobile vita cavalleresca.
- BECCHIN’ AMOR

- BECCHIN’ AMOR
L’intero sonetto è basato sul dialogo o disputa tra due figure, reali
o allegoriche; esso ricorre con frequenza nella tradizione cortese.
Il testo ha natura sostanzialmente teatrale e segue lo svolgersi di
un’azione. Si parte da due posizioni che appaiono inconciliabili
(Cecco chiede perdono, Becchina lo nega); la situazione di partenza
si protrae quasi per tutta la lunghezza del sonetto; solo la battuta
finale di Becchina determinerà un cambiamento della situazione,
una riconciliazione di cui, però, sarà la donna a dettare le condizioni.
Il sonetto è uno dei più significativi per illustrare l’immagine della
donna, che incarna l’immagine opposta a quella della donna angeli-
cata. Continue risse, offese reciproche e l’uso di un linguaggio plebeo
e grottesco caratterizzano l’intero sonetto. Cecco riprende qui anche
il genere tradizionale del contrasto, ma per sottoporlo a un rovescia-
mento parodico. Con intento comico, il poeta impiega i termini illustri
della tradizione cortese, calandoli in un contesto basso sia tematica-
mente (una lite assai meschina) sia stilisticamente (abbondano, sopra-
ttutto nelle risposte di Becchina, modi di dire e tipiche forme popolari).

Potrebbero piacerti anche