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OTIUM
Nella cultura romana del I secolo ha una pluralità di significati.
Nella vita della comunità romana indica la pace interna dello Stato, la Pax
invece la non belligeranza.
Nella vita individuale assume un significato negativo. Infatti se lo Stato è in
pace l’individuo può godere di maggiori libertà anche nella vita privata. Con la
conquista di questi spazi il termine otium muta, il tempo libero porta a
trascurare la vita pubblica, fino ad arrivare a significare il suo contrario: negoti
inopia. La pace nello Stato consente dunque il tempo libero, nel quale fioriscono
cultura, filosofia, poesia, ma anche l’eros e la dissipazione.
Traina dirà che la scelta di Catullo, in un periodo in cui lo Stato Romano era in
procinto di passare da res publica a res unius, mostra la forza dirompente
dell’otium ma rischia anche di essere il colpo finale allo Stato.
CATULLO
Nacque tra l’87 e l’84 a Verona, e da questo comprendiamo l’emergere della
sua moralità tradizionale in quanto originario di una provincia, le quali sono più
tradizionali. Morì nel 54. La fonte principale della sua vita è San Girolamo
LIBER
Il Liber che ci è giunto non coincide con il ‘libellus’ dedicato a Cornelio Nepote
di cui parla.
L’ordine in cui ci sono giunti i carmi si basa su criteri metrici, scelti da filologi
antichi e non dallo stesso Catullo, si tratta quindi di una raccolta postuma.
- 1-60: polimetri;
- 61-68: carmina docta;
- 69-116: distici elegiaci.
CARMI BREVI
Sono caratterizzati da un’estensione esigua che va di pari passo con la modestia
dei contenuti. In questi carmi vengono trattati argomenti quotidiani:
- affetti;
- amicizie;
- inimicizie;
- passioni;
- aspetti minori della vita (come l’invito a cena o la morte del passerotto).
AMORE
L’amore è al centro dell’opera di Catullo. La donna amata è Clodia, donna
indipendente come la Sempronia descritta da Sallustio, che il poeta presenta
sotto il nome idealizzante di Lesbia. Quello che prova Catullo è un sentimento
di furor, una passione accesa invisa alla morale dei quiriti per la sua forza
dirompente.
Catullo per parlare del legame con Lesbia utilizza il termine foedus, conferendo
così sacralità. Il legame con la donna amata è infatti un patto di fedeltà eterna,
un surrogato del matrimonio che non si poteva fare. Così facendo Catullo
conferisce una forma di legittimità ad un rapporto che va contro ai principi
dell’ethos tradizionale.
I continui tradimenti di Lesbia portano il poeta ad una riflessione sulle
dinamiche del sentimento amoroso. Arriva a distinguere tra ‘amare’ e ‘bene
velle’.
Catullo è consapevole che il sentimento amoroso è ambivalente e lo declina
sotto la formula dell’ ‘odi et amo’. Questa formula evidenzia il turbamento
dell’amante a causa dei tradimenti, e si ricollega al termine saffico
‘glukupikron’.
Catullo di fronte alla consapevolezza di un diverso impegno psicologico nel
rapporto e ai tradimenti di Lesbia, rivendica per sé la pietas, l’assolvere dei
doveri di cittadino, verso dei e famiglia.
AMICIZIA
L’amicizia è un sentimento molto importante e a Roma era declinato sotto
l’aspetto di alleanze politiche. Cicerone nella sua opera ‘De amicitia’ supera
questo concetto e introduce l’amicizia non come legame politico, ma come
concetto fondato su valori etici e morali. Sono amici quelli che condividono lo
stesso sentire, non solo di ideali politici.
Anche per Catullo il concetto tradizionale di amicizia viene interpretato in
modo diverso. Viene visto come un sentimento autonomo fondato sulla fides.
Per Catullo gli amici sono coloro che condividono ideali, gusti e
comportamenti. Devono essere altrettanto eleganti e raffinati. Si diffonde infatti
l’estetica del lepos: infatti si sostituisce al vir gravis (l’uomo serio e
compassato) il vir lepidus (uomo elegante e raffinato).
Catullo individua nella città lo spazio ideale e tranquillo nel quale trova il suo
spazio la vita e l’attività letteraria raffinata. Questa contrapposizione tra città e
campagna la ritroviamo anche negli ‘Adelphi’ di Terenzio, dove vengono
contrapposte la vita di Micione e Demea, e la città diventa il polo positivo.
INIMICIZIA
Oltre all’amicizia nei carmi di Catullo è ricorrente anche il tema dell’inimicizia.
Il poeta attacca nei suoi carmi nemici e rivali (in arte e amore) e anche i
‘nemici’ che non condividono i dettami e i concetti dei poeti novi.
Le sue invettive prendono il nome di ‘truces iambi’, e segue il modello di
Andriolo colpendo i suoi nemici con la poesia.
CARMINA DOCTA
I carmina docta sono il riflesso del nuovo stile poetico, caratterizzati dalla
brevitas, dalla dottrina e dalla raffinatezza. I carmina docta sono epilli, piccoli
poemi epici, eleganti e dotti. Essi sono contrapposti alla sovrabbondante
faciloneria degli imitatori di Ennio, che compongono moltissimi versi senza
però curarsi di dar loro una forma, venendo meno a quel ‘labor limae’.
I carmina docta rappresentano l’applicazione dei principi della poetica
callimachea: brevità, dottrina ed eleganza. Catullo criticherà più volte la
mancata cura formale o l’ampollisità di certi poeti. Un esempio è il carme 95
dove prima attacca Ortensio, mettendo in antitesi la sua sovrabbondante
produzione letteraria sinonimo di scarsa cura delle opere, alla Zmyrna di Cinna;
e poi critica l’ampollosità e l’essere prolisso di Antimaco, un poeta greco del IV
secolo che scriveva poemi epici, al quale contrappone il culto della brevità.
Rispetto alle altre parti del liber, i carmina docta appaiono come divisi in quanto
si riscontrano due incongruenze:
- sul piano linguistico: infatti lo stile è elevato e non quotidiano;
- e anche sul piano della narrazione. Nei carmi brevi Catullo usa la 1°/2°
persona. Nei carmina docta invece la narrazione è più distaccata e viene
usata la 3°.
Tuttavia possiamo trovare l’unità con il resto dell’opera se analizziamo questi
carmi sotto l’aspetto dell’ethos e del pathos. Nei carmina docta Catullo riflette
sulle sue vicende personali proiettandole nel mito. Ad esempio nel carme 64
propone il matrimonio di Peleo e Teti come esempio di matrimonio esemplare,
quello che lui non può avere con Lesbia. A questo si intreccia la vicenda di
Arianna e Teseo. Arianna dopo aver aiutato Teseo a sconfiggere il Minotauro
fugge con lui sull’isola di Naxos. Teseo però sbadatamente la abbandonò e
Arianna, sola, si dispera. In questo carme Catullo lascia spazio alle sue
aspirazioni di un’unione alla cui base stia al fides, e allo stesso tempo mostra le
sue sofferenze e le sue frustrazioni patite per amore. Questo carme, come gli
altri carmina docta, pur all’apparenza presentandosi distaccato rappresenta una
continuità nell’opera in quanto l’io del poeta è sempre presente.
ARTE ALLUSIVA
Alla base dei carmi di Catullo troviamo la poetica di imitazione del modello
greco, sia ellenistico che alla lirica arcaica. L’imitatio catulliana non è nascosta,
ma messa in mostra. Infatti Catullo non persegue un’imitazione pedissequa del
modello greco, ma il modello greco viene ripreso e gli si dà una nuova forma.
Così facendo Catullo arricchisce il suo testo di risonanze e significato, che è
pensato apposta per far venire in mente il modello greco al lettore dotto, l’unico
in grado di cogliere la raffinatezza adoperata.
Un esempio è il carme 51 nel quale riprende il testo di Saffo, adoperandosi in un
lavoro di rielaborazione e traduzione, non pedissequa ma artistica.
STILE
Anche per quanto riguarda lo stile Catullo è un innovatore. A partire dal
concetto alessandrino di poikilia, varietà, riuscì a unire in modo ponderato il
linguaggio letterario, al sermo cotidianus, che conserva termini ed espressioni
tipiche del linguaggio parlato. Inserisce nella letteratura tanti elementi tipici del
linguaggio popolare, come basium anziché osculum, o bellum anziché pulcher,
le interiezioni come Iupiter. Utilizza anche molti diminutivi, e sempre di aspetto
popolare sono gli insulti pesanti ed osceni che rivolge a molti nemici. Utilizza
però anche numerosi grecismi e formule tipiche antiche. Catullo è un poeta
doctus che accostando la raffinatezza al cotidianus crea uno stile mediano.
T2 CARME 3
Epicedio in onore del passerotto di Lesbia. A questo topos letterario unisce
immagini e aspetti di quotidianità.
Catullo rivolge il canto ai ‘venusti’ ovvero coloro che conducono uno stile di
vita elegante, sensibili alle cose belle e che possono apprezzare questo genere di
poesia.
Catullo parla della disperazione di Lesbia a seguito della morte del suo
passerotto a cui era molto legata. Rappresenta scene di vita quotidiana, parla dei
momenti passati insieme tra Lesbia e il passero e il suo affetto per quello. In
questo carme convivono espressioni quotidiane e toni elevati. Il carme è denso
di pathos, sia nei versi 3-5 dove annuncia la morte del passerotto, sia nei versi
conclusivi nei quali Catullo attraverso i due diminutivi rimarca la sua
sofferenza. Pare che quello che lo turbi non sia la morte del passero, bensì le
lacrime della donna amata.
T11 CARME 13
“Cenerai bene presso di me, oh mio Fabullo, tra pochi giorni, se lo approvano
gli dei, se con te porterai una buona e abbondante cena, non senza una bella
ragazza e vino e sale/sagacia e tante risa. Dico che se porterai ciò, mio caro,
cenerai bene; infatti il borsellino del tuo Catullo è pieno di ragnatele. Ma in
cambio riceverai amore sincero o quanto c’è di più dolce e raffinato; infatti ti
darò un profumo, che Venere e gli Amorini donarono alla mia ragazza, che
quando lo sentirai, chiederai agli dei che ti trasformino tutto in un naso, o
Fabullo.”
Interessante è il secondo verso che indica sia la pietra pomice che veniva usata
per levigare i papiri, ma allude anche al ‘labor limae’ la meticolosa cura formale
a cui Catullo sottopone il testo. Infatti l’impressione di spontaneità e naturalità
nel poetare è frutto di un artificio; Catullo sottopone la sua opera ad un accurato
labor limae e rende l’impressione di spontaneità. Troviamo esposto un altro dei
tratti della poetica di Catullo, la brevitas. Nell’elogio a Cornelio Nepote Catullo
sottolinea come il poeta abbia scritto in soli 3 libri tutta la storia dell’umanità,
mentre ad esempio altri autori illustri come Omero per raccontare hanno
impiegato 24 libri e migliaia di versi per trattare 1 solo anni di guerra. Nepote
invece viene elogiato per aver saputo trattare in soli 3 libri una materia tanto
ampia, possiamo dunque ritrovare qua la massima espressione del principio
callimacheo della brevitas.
Catullo criticherà invece altri poeti per la loro ampollosità e la mancata cura
formale. Nel carme 95 propone la critica alla poesia tradizionale e la
contrapposizione con i principi callimachei. Il carme si regge su più
contrapposizioni tra poeti ‘tradizionali’ e Cinna che aveva composto la Zmyrna
che è presentata come exemplum della buona poetica.
Nella prima antitesi troviamo contrapposti Ortensio Ortalo e Cinna, il cui
legame di affettività con Catullo è evidenziato dal possessivo. Catullo mette in
antitesi la sovrabbondante produzione letteraria di Ortensio, sinonimo di scarsa
cura formale, alla Zmyrna di Cinna il quale ha impiegato 9 anni per pubblicarla.
La seconda antitesi riguarda la Zmyrna e gli Annali di Volusio. Catullo
profetizza la diffusione del poemetto di Cinna e lo esalta come opera imperitura,
mentre gli Annali di Volusio sono destinati ad una scarsissima circolazione,
tanto da essere definiti ironicamente come carta per avvolgere gli sgombri.
Catullo infine elogia la brevitas dell’amico Cinna, capace di scrivere un'opera
‘parva’ piccola e breve. E’ invece contrapposto a Cinna Antimaco, poeta greco
del IV secolo già criticato da Callimaco per la sua ampollosità. Troviamo anche
una nota critica e di disprezzo verso il ‘populus’ la plebe. La poesia di Catullo
infatti non poteva essere apprezzata dal popolo, ma solo da quelle persone che
coltivavano come lui l’eleganza e la raffinatezza, i venusti di cui parla anche nel
carme 3.
T1 CARME 5
“Viviamo e amiamo, mia Lesbia, e i rimproveri dei vecchi severi consideriamoli
tutti insieme un soldo bucato. I giorni tramontano e tornano, ma quando cade
per noi la breve luce, dobbiamo dormire una sola notte perpetua. Dammi mille
baci, poi cento, poi altri mille, poi di nuovo cento, poi di seguito altri mille e poi
ancora cento. Quando poi ne avremo dati molte migliaia li confonderemo, per
non sapere il numero, e perché nessun malvagio ci faccia un malocchio,
sapendo che esiste un così gran numero di baci.
T4 CARME 87-109
“Nessuna donna può dire di essere stata amata tanto sinceramente, quanto tu
mia Lesbia sei stata amata da me. Nessuna fedeltà ci fu mai in un patto, quanta è
stata trovata da parte mia nel mio amore per te.”
“Vita mia, mi prometti che il nostro amore tra di noi sarà gioioso ed eterno. Dei
grandi fate in modo che possa promettere sinceramente, e che dica ciò dal
cuore, in modo che sia lecito far durare per tutta la vita questo patto eterno di
sacra amicizia.”
Questi carmi sono collegati dai concetti di fides e foedus. I termini hanno la
radice comune e si rifanno al mos maiorum. Per Catullo il foedus indica il patto
d’amore tra i due amanti, retto dalla fides ovvero dal rigoroso rispetto degli
obblighi morali che conseguono ad un rapporto. I due non potevano sposarsi in
quanto per l’etica tradizionale Clodia doveva rimanere fedele al defunto marito
Metello. Tuttavia Catullo individua nel foedus un surrogato del matrimonio, che
in quanto tale impone vincoli di fedeltà. Clodia non rispetterà però questi
vincoli. Catullo come vediamo nel carme 109 nutre speranze per la relazione.
Catullo nell’evolversi della relazione si riconoscerà pius, riconoscerà sé stesso
come fedele e rispettoso della fides, e nel carme 8 chiede di agli dei di essere
liberato da questo tormento.
T5 CARME 8
Misero Catullo, smettila di impazzire, e ciò che vedi essere finito consideralo
finito. Splendettero un tempo per te splendidi giorni, quando andavi dove ti
conduceva la ragazza amata da me quanto nessuna sarà amata. Lì allora si
facevano quelle cose divertenti, che tu volevi e che la tua ragazza non rifiutava.
Splendettero davvero per te giorni splendidi. Adesso quella non vuole più; tu
pure incapace di dominarti, non volere e non inseguire lei che fugge, e non
vivere infelice, ma con animo risoluto sopporta e resisti. Addio ragazza. Ormai
Catullo tiene duro, non ti cercherà e non ti supplicherà contro il tuo volere. Ma
tu soffrirai, quando non sarai cercata da me. Sciagurata, male a te, che vita ti
resta! Chi ti cercherà ora? A chi sembrerai bella? Ora chi ti amerà? Di chi dirai
essere? Chi bacerai? A chi morderai le labrette? Ma tu Catullo, ostinato resisti.
T6 CARME 70
Catullo riprende il topos del giuramento d'amore di una donna visto come una
scritta sull’acqua dalla tradizione greca: da Sofocle, Callimaco e Meleagro.
Tuttavia non si limita a fare proprio questo concetto, bensì lo utilizza per
proiettare la sua esperienza autobiografica collocandola in una dimensione
universale ed eterna.
Lesbia è definita mulier e non puella, il tono è serio. Il verbo ‘nubere’ di solito
indica lo sposarsi per le donne, in questo caso non potendo sposarsi indica
l’unirsi a letto, in chiave erotica. Si richiama il fatto che Giove era considerato
nel mito seduttore di donne.
“La mia donna dice di non voler unirsi con nessuno se non con me, nemmeno se
Giove stesso lo chiedesse. Dice, ma ciò che una donna dice ad un amante
bramoso, conviene scriverlo nel vento e nell’acqua impetuosa.”
TESTO 7 CARME 72
Dicevi, o Lesbia, un tempo di conoscere solo Catullo, e di non volere tenere al
posto mio neppure Giove. Ti amai allora non tanto come la gente del popolo
ama un’amica, ma come un padre ama i figli e i generi. Ora ti ho conosciuta,
perciò anche se ardo con maggiore violenza, tuttavia mi sei molto più vile e
insignificante. ‘Com’è possibile?’ chiedi. Perché una tale offesa costringe
l’amante ad amare di più, ma a volere meno bene.”
T8 CARME 85
“Odio e amo. Forse mi chiedi perché faccio ciò. Non lo so, ma sento che accade
e sono tormentato.
Catullo si arrende e può solo provare tormento, e esprime la sua lacerazione con
l’ossimoro. Il bene velle è venuto bene e ha preso il suo posto odi.
T16 CARME 51
“Quello mi sembra essere pari ad un dio, quello, se è lecito, mi sembra
superiore agli dei, che sedendo di fronte a te continuamente ti guarda e ti
ascolta, mentre sorridi dolcemente, e ciò a me infelice toglie tutti i sensi; infatti
non appena ti vedo, o Lesbia, non mi resta un filo di voce ma la lingua è
intorpidita, una fiamma sottile, le orecchie tintinnano di un suono interno, da
una doppia notte sono coperti i miei occhi. L’ozio, o Catullo, ti danneggia; a
causa del troppo ozio smani e ti esalti troppo. L’ozio in passato ha mandato in
rovina re e città ricche.”
Catullo scrive questo carme partendo da una celebre ode di Saffo. Propone una
traduzione artistica della poesia saffica, adattandola alla cultura romana e
sintetizzando i sintomi poetici. A differenza del testo saffico qua troviamo una
centralità nella figura dell’uomo sottolineato dall’anafora ‘ille’ ‘ille’.
Nell’apostrofe della strofa finale mostra un atteggiamento moraleggiante nei
confronti dell’ozio. Catullo ha fatto dell’ozio, il disimpegno, il centro della sua
vita, ma di fronte a questo amore che lo travolge, scaturito dall’ozio, ritrova i
valori romani.
T20 CARME 93
“Non mi interessa affatto, o Cesare, di piacerti, né sapere se sei un uomo bianco
o nero”
Era un amico di famiglia di Catullo, lo conobbe durante il suo proconsolato in
Gallia. Rimase impassibile al suo fascino di uomo militare e capo politico
poiché ha fatto una scelta di ozio.
POESIA NUGATORIA
Il I secolo a.C fu un secolo di grandi cambiamenti a Roma, dalla guerra civile
tra Mario e Silla, la congiura di Catilina, il triumvirato...pure la poesia fu
investita da grandi cambiamenti. A seguito dell’entrata in contatto con la cultura
greca, si assistette ad una sempre maggiore ellenizzazione di molti aspetti
tradizionali romani. Il contatto con la cultura greca portò ad un affievolimento,
o come direbbe Catone alla corruzione, del mos maiorum romano. Riscontriamo
questo cambiamento anche nella poesia. I poeti infatti non assumevano più un
ruolo di subordinazione rispetto ai modelli greci, ma si fece largo il principio
dell’emulatio, quindi una maggiore consapevolezza. I poeti iniziarono a
condurre una vita dedicata all’otium e ai suoi piaceri e passioni, abbandonando
la vita tradizionale del cives romano, che doveva essere dedicata all’impegno
per lo Stato. Tra l’elite colta romana, che si era disinteressata degli impegni
civili per dedicarsi all’otium, si diffonde un nuovo genere di poesia. Una poesia
dalle dimensioni brevi, dal tono leggero, destinata all’uso privato e che non
aveva dunque ricadute su largo pubblico, ed aveva spesso carattere ludico. In
questa poesia troviamo l’espressione dei sentimenti del poeta. I temi trattati
infatti non erano più le guerre o la gloria di Roma, ma gli amori, le passioni e
gli odi e tutto ciò che la quotidianità del poeta offriva. Dato appunti gli
argomenti trattati, le nugae, sciocchezze, prese il nome di poesia nugatoria.
RIVOLUZIONE NEOTERICA
A Roma cambiarono il gusto letterario, e si andò a preferire una poesia raffinata
ed essenziale sul modello callimacheo. Cambiò anche l’etica, infatti questa
nuova generazione di poeti, i poetae novi, hanno fatto una scelta di vita legata
esclusivamente all’otium, trascurando attività politiche e civili. Si afferma così
la poesia neoterica, nella quale rispetto alla poesia nugatoria l’otium viene
messo al centro della vita dei poeti eliminando ciò che era importante per il
civis romanus. In questo possiamo tracciare un parallelismo con la filosofia
epicurea. Infatti anche gli epicurei perseguono un abbandono delle passioni,
delle ansie e degli impegni. Tuttavia avevano come fine il raggiungimento
dell’atarassia, ovvero la liberazione dalle passioni che erano viste
negativamente, e probabilmente la più dannosa era proprio l’eros. Invece i poeti
neoterici pongono l’eros come elemento quasi centrale delle loro vite e poesie.
Il termine neoterico fu utilizzato da Cicerone per definire in tono dispregiativo
la nuova generazione di poeti, infatti novus vuole si dire nuovo ma anche da un
idea di diversità rispetto al passato e quindi di degenerazione dei principi.
MIO DISCORSO
“A chi donerò il nuovo ed elegante libretto, appena levigato dalla ruvida
pomice? A te, o Cornelio: infatti tu eri solito ritenere essere qualcosa le mie
sciocchezze, già allora quando, unico fra gli Italiani, hai osato trattare tutta la
storia in tre libri dotti e sudati, per Giove. Perciò tieni per te questo libretto
qualsiasi, qualunque sia; e questo, o vergine signora, possa durare perenne per
più di una generazione.”