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Il primo carme, appartenente alla prima categoria di carmina, funge da introduzione per il Liber

catulliano ed introduce il principio guida dell’ars poetica che verrà seguito continuamente nel Liber.

La dedica
Testo latino del I carme di Catullo
Cui dono lepidum novum libellum
arida modo pumice expolitum?
Corneli, tibi: namque tu solebas
Meas esse aliquid putare nugas,
iam tum, cum ausus es unus italorum
omne aevum tribus explicare cartis,
doctis, Iuppiter, et laboriosis.
Quare habe tibi quidquid hoc libelli,
Qualecumque; quod, < o > patrona virgo,
plus uno maneat perenne saeclo.

Traduzione in italiano del I carme di Catullo


A chi offro il libretto nuovo e piacevole
Ancora levigato con la pomice asciutta?
Cornelio, a te: certamente tu eri solito a
giudicare alcune mie sciocchezze, già allora,
quando provasti a narrare unico tra gli Italici
tutta la storia in tre libri, dotti, a Giove, e laboriosi.
Pertanto possiedi tu questo qualcosa di libretto,
qualunque sia il suo valore; e questo, o vergine patrona,
possa durare perenne per più di un secolo.

Il primo carme di Catullo è una dedica a Cornelio Nepote, amico e conterraneo di Catullo, egli
analizzava spesso le opere del poeta e le giudicava positivamente. Il carme si apre con
Catullo che immagina di avere la sua opera levigata dalla pomice asciutta e si chiede a chi
potrebbe dedicarla. La prima persona che gli viene in mente è Cornelio, non solo perché
aveva già giudicato le opere del poeta in passato, ma anche perché riuscì a narrarre tutta la
storia in tre libri dotti e laboriosi secondo Catullo. Infine conclude il carme proemiale con una
invocazione alla vergine patrona affinché questo componimento “resti durevole” per un intera
generazione (saeclo).
Il componimento scritto in endecasillabi faleci non è solamente una dedica a Cornelio, infatti possiede
una duplice funzione: non solo situa Cornelio nella cerchia degli amici destinatari delle poesie di
Catullo, ma rende anche omaggio all’arte di storico dell’amico (unus italorum vv 5-7). In questo carme
alcune parole del testo come “libello” o “nugae” usate per definire la propria opera potrebbero apparire
come un’affermazione di modestia ma in realtà sono degli elementi chiave del credo poetico-letterario
scelto da Catullo: quella della poesia raffinata e leggera ispirata agli ideali del greco Callimaco. Infatti
l’aggettivo lepidum si tradurrebbe come “grazioso” ma in realtà si riferisce al principio più importante
dei valori canoni callimachei: il lepos, l’eleganza. Questo è accompagnato dall’aggettivo novum che
indicava l’arte del poeta nuovo (poetae novi). Inoltre negli aggettivi come nugae “cosuccie” o
nell’espressione quidquid hoc libelli / qualecumque “per quel che è e per quel che vale” egli vuole
indicare la cortezza o la piccolezza dell’opera in quanto un’opera di grandi dimensioni era considerata
addirittura “malvagia” secondo l’ars poetae novi. Catullo crea queste allusioni servendosi
intelligentemente di diminuitivi come “libellum” tipici del sermo familiaris che rappresentano anche un
senso di immediatezza e spontaneità. Un altro artificio retorico presente nel carme proemiale è
l’evidentia, con espressioni come arida pumice vv.2 egli riesce ad esprimere sensazioni o idee tramite
l’impiego di immagini, in questo caso la pomice asciutta che ha levigato il libretto da un senso di novità
e cosa recente. Questo primo componimento, che andrà a far parte della collezione del Liber
catulliano, rappresenta un nuovo inizio per l’arte della poetica latina tramite la cerchia dei poetae novi.

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