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LA LIRICA VOLGARE

La nascita della lirica volgare


La lirica volgare del 200 ci è giunta attraverso canzonieri organizzati a distanza dalla composizione dei testi. I
manoscritti hanno subito una forte toscanizzazione, riconducibile alla provenienza dei compilatori e al ruolo
dominante del toscano. Nel De Vulgari Eloquentia, Dante distingue tre momenti della storia della lirica:
Creazione di una lingua letteraria illustre da parte dei poeti siciliani della corte di Federico Il.
Presenza di una poesia cortese in Toscana in forme stilisticamente "plebee" per opera di Guittone
d'Arezzo. Ripresa di forme illustri dal bolognese Guinizzelli e dal gruppo fiorentino di Dante.
Differentemente dalla lirica cortese in lingua d'oc, in quella italiana il testo scritto acquista un'assoluta
preminenza anche se frequente è la lettura orale. Questa preminenza comporta una più sistematica
elaborazione metrica: alle numerose forme provenzali se ne sostituiscono di più articolate, mentre il loro
nurnero si riduce; nasce il sonetto
Componimenti e forme strofiche italiane
La maggior parte si sviluppa nel XIII secolo con l'influenza delle poesie francese e provenzale ma
inizialmente gli schemi e le possibilità sono molto vari: si hanno terzine, quartine, sestine e ottave.
Con terzina si intende la struttura di base dei componimenti in terza rima: strofe di tre endecasillabi
legate da rima incatenata. Il termine ottava definisce la stanza in ottava rima. che nel XIV secolo con
Boccaccio e i cantari divenne il metro essenziale della poesia narrativa italiana, costituito da otto
endecasillabi ABABABCC. Le forme liriche essenziali della letteratura italiana sono la canzone e il sonetto.
La prlma è modellata sulla canso provenzale e si articola in stanze, cioè le strofe di canzoni. ballate e
componimenti in ottava rima. Le stanze hanno una struttura costante, fatta di endecasillabi settenari e
sono seguite da un congedo finale. una stanza di canzone si compone di una prima parte, fronte, divisa in
due piedi e di una seconda parte, sirma, divisa in due volte. Tra la fronte e la sirma può esserci un verso
di collegamento, chiave. Il sonetto è una creazione italiana e siciliana; è formato da 14 endecasillabi,
raggruppati in due quartine e due terzine. La ballata. di parziale origine popolare. è composta di stanze di
endecasillabi settenari ed è legata alla musica e alla danza: le stanze venivano cantate da un solista e il
ritornello da un coro. La struttura delle stanze è analoga a quella della canzone ma la loro misura è più
breve. La canzonetta, a, riproduce le strutture della canzone, ma con versi brevi: settenari od ottonari.
La scuola siciliana
La lirica cortese in volgare italiano sorge nel XIII secolo alla corte di Federico Il. Essa è influenzata della
lirica cortese provenzale: dei trovatori la poesia siciliana adotta i temi prediletti, come quello amoroso,
insieme al repertorio di forme e immagini che lo caratterizzano (topos della devozione che lega l'amante
alla donna). Nel cantare il suo rapporto con la donna il poeta accresce il proprio valore; il servire l'amata
e la sua fedeltà lo rendono più degno.
La poesia della Scuola Siciliana è caratterizzata anche da altri tratti peculiari. in parte legati al diverso
contesto sociale in cui nasce: non più la corte di un signore feudale. ma la corte di Federico Il, aperto
verso una pluralità di espressioni culturali e linguistiche di grande diversità. Manca quindi il legame
diretto della poesia con il mondo feudale: i topoi dell'amante-vassallo e gli elementi cortesi diventano
modelli puramente astratti. Inoltre, la poesia non è più opera di poeti professionisti che prestano
"servizio" alla corte, ma è pensata come uno svago.
Le rime dei Siciliani non sono destinate alla recitazione pubblica. ma alla lettura individuale, quindi non
sono accompagnate dalla notazione musicale. Essi adottano la canzone, sperimentata con una grande
varietà di esiti metrici e stilistici. L'invenzione del sonetto è dovuta invece al celebre rappresentante della
Scuola siciliana, Giacomo da Lentini.
Guittone d'Arezzo e i rimatori siculo-toscani
Negli anni 50-60 si ebbe un trapianto della nuova lirica volgare nell'Italia comunale, in particolare in
Toscana. Qui la lirica cortese si adatta a un pubblico comunale aristocratico e legato ai gruppi dei
funzionari amministrativi. La tematica si allarga oltre l'ambito amoroso e vengono istituiti nuovi contatti
con la poesia provenzale; a livello linguistico, si dà spazio a forme dialettali toscane, provenzali e latine. Il
caposcuola di questa poesia è Guittone d'Arezzo (1235-1294) nella cui produzione distinguiamo due tipi
di poesia: amorosa, dove descrive l'alternarsi di gioia e dolore e civile, dove è evidente l'orizzonte
municipale. Le lettere in prosa di Guittone sono prediche scritte con scopi morali e civili. I poeti che
tentavano esperienze analoghe erano etichettati come poeti cortesi siculo-toscani o guittoniani. I
principali centri di produzione di questa lirica furono Lucca, Pisa, Pistoia, Firenze e Bologna.
Il "dolce stil novo": caratteri generali
Non è una scuola ma un insieme di esperienze che mettono capo a una nuova poesia d'amore di grande
coerenza linguistica ed ambizione intellettuale. Il bolognese Guinizzelli ne è il padre ma la nuova poesia
trova la sua definizione più articolata a Firenze ad opera di Cavalcanti e Dante. La denominazione di
"dolce stil novo" si ricava a posteriori dalle parole che Dante nel canto XXIV del Purgatorio fa dire ad un
esponente della lirica cortese, Bonagiunta Orbicciani, nel girone dei golosi. Dante gli espone la propria
poetica.
Il distacco dalla poesia cortese è garantito dall'associazione tra dolcezza stilistica e significazione
razionale. L'amore e la poesia sono i caratteri distintivi di una élite, che non si definisce in base a una
precisa collocazione sociale ma nella scelta di intendere l'esperienza amorosa e poetica come un valore
assoluto. Il rapporto amoroso è fatto di fuggevoli incontri ed emozioni collocati in una dimensione
urbana e corale; questi incontriapparizioni producono effetti sconvolgenti sul poeta. Gli effetti dell'amore
vengono considerati come conseguenza del movimento di sostanze incorporee, gli spiriti, dotate di una
loro autonomia e capaci di influire sulle facoltà dell'anima individuale. La donna stilnovistica non viene
quasi mai raggiunta: spesso appartiene a un altro 0 comunque si frappongono inibizioni sociali:
l'obiettivo di questo amore non è la realizzazione di un desiderio ma continua tensione verso un valore
inafferrabile. Guido Guinizzelli, precursore dello "stil novo"
Nato a Bologna nel 1240 circa, mori in esilio a Monselice nel 1276 (Ghibellino). Iniziò la sua attività da
rimatore in stile guittoniano per poi passare a uno stile "novo" e "dolce" ma ricco di tensione intellettuale.
Nelle sue rime più esemplari sono in primo piano il "valore" della donna e lo stupore per il suo
manifestarsi. L'apparizione della donna ha una forza benefica ma riduce l'amante all 'immobilità. La più
alta espressione dell'amore del poeta è la lode di lei. Guinizzelli raggiunge in alcuni sonetti una misura
melodica animata dalla gioia per lo splendore della donna ma forte è anche la sua disposizione dottrinaria
e filosofica. come prova la canzone Al Cor genti/ rempaira sempre Amore, manifesto dell'amore
stilnovista. Inserendosi nella disputa Sulla nobiltà, Guinizzelli afferma la solidarietà tra Amore e gentilezza.
qualità della stessa sostanza e legate ad alcune qualità naturali determinate dalle influenze celesti.
L'autentico amore è riservato ad alcuni cuori gentili, ma la gentilezza non si identifica con la nobiltà di
sangue.
Guido Cavalcanti: l'amore che distrugge
Nacque nel 1260 circa da una nobile famiglia guelfa fiorentina: sposò una figlia del ghibellino Farinata
degli Uberti e fin da giovane si occupò di letteratura volgare e di filosofia. Gli Ordinamenti di Giustizia del
1293 lo esclusero dalle cariche politiche ma egli partecipò ai conflitti tra Bianchi e Neri schierandosi con i
Bianchi. Implicato in episodi di lotta politica, il 24 giugno 1300 fu esiliato; dopo la revoca dell'esilio, mori a
Flrenze il 29 agosto.
La sua poesia è caratterizzata da una melodia soave ed un accurato lavoro retorico. I suoi versi fissano
immagini nel loro improvviso apparire e si succedono con un lieve ritmo di danza. Nella canzone dottrinale
Donna me prega, per ch'eo voglio dire, ardua e difficile il tema è l'azione dell'amore sulle facoltà
dell'anima: dalla bellezza della donna l'amore ricava una immagine astratta che crea una scissione
nell'uomo; una potenza minacciosa e incontrollabile sfugge al controllo razionale. Tutta la poesia di
Cavalcanti tende a illuminare questi effetti sconvolgenti dell'amore a partire dall'esaltazione del "valore"
della donna, provvista di una forza magica che costringe il poeta a "servire", Al solo suo rivelarsi, l'anima
sbigottita trema e si sente minacciata dalla morte, che si dipinge nell'aspetto del poeta. Ma la forza
dell'amore spinge a cercare ciò che distrugge e a riaffermare il "valore" assoluto che porta alla morte:
questa contraddittorietà ha origine nella pluralità delle essenze che agiscono sull'anima. Nella poesia di
Cavalcanti si intrecciano figure e personificazioni, entità insieme fisiche e psichiche; l'immagine della
donna si moltiplica in presenze incorporee o apparizioni femminili; dappertutto si muovono gli spiriti. ln
Perch'i' non spero di tornar giammai il poeta è lontano dalla Toscana e dalla Sua donna e si sente assalito
dalla morte. Per inviare un messaggio all'amata si rivolge alla ballatetta, che dovrà raggiungere la donna
restando nascosta da ogni persona "nemica di gentil natura" per confermarle che il poeta è ancora "servo
d'Amore". Cavalcanti è il primo ad avvertire la violenza distruttiva dell'anwre. La ricerca di un valore
"totale" coincide con la disintegrazione dell'unità della persona.
Lo sviluppo della poesia "giocosa"
Dopo Rustico Filippi si sviluppa in Toscana, specialmente a Siena, una produzione di sonetti giocosi che
raffigurano una realtà distorta; spesso si tratta di caricature di un personaggio 0 di tenzoni comiche,
scambi di sonetti tra rimatori che si aggrediscono a vicenda. Sonetti giocosi vengono scritti anche da
Guinizzelli, Cavalcanti e Dante. Per descrivere una quotidianità concreta e limitata, i testi fanno propri i
modi più bassi del volgare, opponendosi alle ambizioni illustri della poesia cortese e amorosa. Di ricca
famiglia guelfa senese, Cecco Angiolieri fu poco più anziano di Dante e morì nel 1311 circa. I sonetti del
suo canzoniere comico esibiscono un repertorio di gesti aggressivi e provocazioni ma il suo "personaggio"
non intende rovesciare quei valori che schernisce; si limita a esprimere la Sua insoddisfazione. Tre sono i
temi principali: l'amore per Becchina, parodia di quello stilnovista; l'odio per il padre, vecchio e avaro; il
bisogno di denaro, unica fonte di felicità. Il linguaggio è vivo e incalzante, ricco di cadenze popolaresche e
scatti colloquiali. Ma il personaggio non esce da un orizzonte municipale chiuso ed assai lontano dalla
grande comicità.
DANTE ALIGHIERI
La vita
Nato a Firenze nel 1265 (Durante). Il padre, Aighiero, apparteneva alla piccola nobiltà cittadina guelfa e
aveva un certo benessere economico. Nel 1285 Dante sposò Gemma Donati, da cui ebbe tre o quattro
figli. La sua educazione si basò sullo studio della "grammatica"; nella giovinezza manifestò curiosità per la
letteratura classica e romanza. Essenziale per lui fu Brunetto Latini ed alcuni contatti che ebbe con la vita
intellettuale di Firenze: con Guido Cavalcanti si impegnò nella poesia amorosa dello stil novo. Ala
frequentazione dei gruppi giovanili fiorentini è legato l'incontro con Beatrice, una donna realmente vissuta
di nome Bice. Verso la fine del 1200 nella classe dirigente guelfa si aprì un divario tra Bianchi, capeggiati
dai Cerchi e favorevoli a una gestione autonoma della vita politica, e Neri, capeggiati dai Donati e legati al
papa da interessi mercantili; Dante si schierò con i Bianchi.
Quando la lotta entrò nella fase cruciale, Dante venne eletto tra i sei priori: egli voleva difendere
l'autonomia di Firenze dal pontefice. Il primo novembre del 1301 Carlo di Valois entrò a Firenze
destituendo il governo bianco e richiamando i Neri dall'esilio; il 27 gennaio 1302 il podestà condannò
Dante all'esilio da Firenze per due anni e a pagare un'ammenda di 5000 fiorini; non presentandosi, Dante
fu condannato a morte. Iniziò così l'esilio, durato fino alla morte, in cui chiese ospitalità a corti e signori
dell'Italia centro-settentrionale. All'inizio rimase legato ai Bianchi, sostenendo il loro progetto di rovesciare
il governo di Firenze; poi dopo un soggiorno nella Marca Trevigiana fu in Lunigiana presso i Malaspina e in
diverse località della Toscana: questi sono gli anni del De Vulgari Eloquentia e dell'inferno. La notizia
dell'elezione di Arrigo VII di Lussemburgo suscitò in Dante la speranza del trionfo della giustizia; i Guelfi
però si opponevano ai suoi progetti e Dante si accostò ai Ghibellini. ma le sue speranze crollarono con la
morte dell'imperatore. Mori di febbre il 14 settembre 1321; fu sepolto a Ravenna nella Chiesa di San
Francesco.
La prima attività poetica
Dante non segue un unico modello stilistico, ma adotta vari modi di scrittura. Testimonianza di questo
sperimentalismo sono i poemetti allegorico-didattici Fiore e Detto d'Amore.
La produzione più nota di Dante inizia con una serie di rime, legate alla tradizione della lirica amorosa. Le
Rime non furono raccolte in un libro unitario, ad eccezione di quelle comprese nella Vita Nova, ma
circolarono in modo sparso in canzonieri e zibaldoni. Le prime rime si legano agli schemi guittoniani e a
quelli della lirica cortese toscana, ma hanno una maggiore leggerezza di tono dovuta ad un rapporto più
diretto con la poesia siciliana. Nelle Rime appare evidente la suggestione della poesia di Guido
Cavalcanti, sia quello più festoso e Soave, sia quello più doloroso, che lo porta a cantare l'azione
distruttiva della donna sull'amante.
VITA NUOVA
Contemporanee alle rime dell'amore doloroso sono quelle dedicate a Beatrice, in cui si affermano i
caratteri più originali dello stil novo dantesco, che insiste sul legame tra amore e gentilezza e vede nella
donna una fonte di grazia. La bellezza di Beatrice si riflette nel mondo circostante ed è anche annuncio di
salvezza. Le rime dedicate a Beatrice furono raccolte nella Vita Nuova, composta tra 1292-93. Essa è
costruita sul modello del prosimetro — alternanza tra parti in prosa e in versi. Dante vuole narrare una
vicenda autobiografica: quella del suo amore per Beatrice. Gli interventi in prosa, che sembrano essere
stati scritti di getto. fanno da raccordo tra le liriche inserendole in una struttura unitaria e si propongono
di rivelare i significati complessi. Il poeta cerca nella scrittura una consolazione per la morte di Beatrice:
sono infatti le liriche a lei dedicate a indicargli una possibilità di salvezza.
L'opera ha 42 capitoli e contiene 31 testi lirici inseriti all'interno di una narrazione in prosa. Il titolo allude
alla rivelazione di un'esperienza assoluta che da nuovi significati alla vita. Dante incontra Beatrice per la
prima volta a 9 anni e la rincontrerà 9 anni dopo, ricevendo in quest'occasione il suo saluto. Dopo un
sogno in cui Amore invita Beatrice a cibarsi del cuore del poeta, Dante scrive il primo sonetto. Timoroso
che si possa identificare in Beatrice la donna amata, trasgredendo le regole dell'amore cortese, Dante
corteggia un'altra donna— donnaschermo. Beatrice, offesa, gli nega il saluto. Allora il poeta decide di
manifestare i suoi desideri, ma la sola presenza dell'amata è motivo di turbamento. ln un'occasione
viene anche schernito da Beatrice e dalle donne che la accompagnano.
Le liriche iniziali sono influenzate da Guittone e Cavalcanti, ma Dante si accorge che una poesia limitata
alla propria condizione di amante non è soddisfacente e che è necessario cercare materia nuova. I
capitoli 17-19 raccontano il formarsi di quest'ultima: Dante si affida alla poesia della loda, su cui insiste
tutta parte centrale. Tra annunci e premonizioni giunge la morte di Beatrice, che Dante non narra
direttamente: egli insiste sul senso di perdita legato all'assenza dell'amata. L'opera si conclude con la
mirabile visione di Beatrice e Dante promette di non scrivere più di lei finché potrà parlarne più
degnamente: la Vita nuova trova il suo coronamento nella Commedia.
Il ricorrere del numero nove, le citazioni bibliche e le numerose allegorie assimilano Beatrice a Cristo:
Beatrice è un annuncio di salvezza; la sua immagine non è ben definita ed è spesso evocata da un
linguaggio sfumato e impreciso.
Le rime della maturità e dell'esilio
La produzione poetica di Dante, oltre la Vita Nuova. può essere ripartita in quattro gruppi:
Tenzone con Forese Donati: breve e violento scambio di sonetti con l'amico caratterizzato da un
linguaggio oltraggioso e risentito e da un'asprezza lessicale e ritmica.
Rime dottrinali: legate agli studi filosofici e teologici, qui passati al vaglio del linguaggio della poesia
amorosa: Dante esprime la propria passione per il sapere i termini analoghi a quelli usati per
l'esperienza amorosa.
Rime per la pargoletta e rime petrose: gruppo di rime che definiscono altri aspetti della condizione
amorosa e una nuova concezione della figura femminile; la donna appare come una bellezza
corporea, minacciosa ed inafferrabile. Protagoniste di queste rime sono una "pargoletta" e una donna
"petra": la prima sembra scesa dal cielo per mostrare la propria bellezza ma è scontrosa (riflette la
difficoltà del linguaggio poetico).
Rime dell'esilio: Dante denuncia l'ingiustizia dominante e vi contrappone la propria solitudine sempre
attraverso la parola amorosa, che qui si realizza in modo negativo.
CONVIVIO
Il Convivio è un'opera in volgare concepita come commento in prosa di canzoni dottrinali. Il progetto prevedeva
15 trattati sotto forma di prosimetro, di cui il primo introduttivo e gli altri dedicati al commento di canzoni, ma
Dante si fermò ai primi 4. La data di stesura si aggira tra 1303-1304, la prima edizione a stampa è del 1490. Il
rapporto tra prosa e poesia nel Convivio è diverso dalla Vita nuova: se prima la prosa aveva un andamento
liricheggiante, ora presenta uno stile argomentativo che affronta temi filosofici. Le riflessioni spaziano dall'etica
alla metafisica. alla politica ma l'intenzione principale è quella di tradurre in termini razionali i significati più
indeterminati delle canzoni. Dante sottolinea l'opposizione tra la natura fervida della Vita Nova e quella
temperata del Convivio: se il pubblico della prima opera era formato dai 'fedeli d'amore', ora Dante si
rivolge ad un pubblico più vasto (volgare), di cui fanno parte anche coloro che non si sono dedicati agli
studi.
Primo libro: giustifica il titolo ed il fine dell'opera: è un banchetto che offre a chi ha desiderio di
conoscenza una vivanda — canzoni — accompagnata da un pane — commento.
Secondo libro: commento a Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete; si apre con la definizione dei
diversi sensi che può assumere la scrittura: Dante si propone di spiegare prima il senso letterale delle
canzoni, poi quello allegorico.
Terzo libro: commento della canzone Amorehê ne la mente mi ragiona. È una "lode" della "donna
gentile". Quarto libro: commento della canzone Le dolci rime d'amor. Dante prende posizione nella
disputa sulla nobiltà.
I materiali enciclopedici accumulati nel Convivio indicano che il sapere è la manifestazione più alta del
bisogno di perfezione che realizza la felicità dell'uomo. Dante interruppe il Convivio quando ebbe l'idea di
scrivere la Commedia.
DE VULGARI ELOQUENTIA
Nel De Vulgari Eloquentia, contemporaneo al Convivio, Dante ricorre alla prosa latina per convincere i dotti
del valore della lingua volgare. Il progetto prevedeva 4 libri ma Dante interruppe l'opera al secondo per
dare vita alla Commedia.
• Primo libro: 19 capitoli, è di argomento puramente linguistico. Dante afferma la naturalità della lingua
volgare, appresa fin dall'infanzia e per questo più nobile del latino che considera una lingua artificiale.
Per giustificare la sua posizione, Dante traccia una storia delle lingue umane: fino alla costruzione della
Torre di Babele gli uomini parlavano un'unica lingua, la stessa di Adamo. ma dopo la punizione inflitta
da Dio i linguaggi si frammentarono. Dante divide i volgari d'Europa in tre gruppi: greco, lingue
germano-slave e lingue dell'Europa occidentale, che si dividono in lingua d'oil, d'oc e del sì.
All'instabilità di queste loquele originarie si oppone la stabilità del latino che sarebbe appunto una
lingua artificiale inventata per consentire una comunicazione universale.
Dante poi, dopo aver definito le caratteristiche delle lingue d'oc, d'oil e del si, si chiede quale possa essere
il più illustre, ma nessun volgare si rivela degno di essere considerato illustre. Il volgare ideale dev'essere
illustre, perché capace di dare lustro a chi lo usa: cardinale, perché dev'essere il cardine comune degli altri
volgari: aulico. perché degno di essere usato in una reggia; curiale, perché le sue regole dovrebbero essere
elaborate dalla curia.
• Secondo libro: in base al presupposto che la poesia è superiore alla prosa, Dante inizia la parte più
dettagliata della sua trattazione partendo dall'uso del volgare nella poesia La forma metrica più degna
è la canzone, il cui stile va costruito imitando il rigore tecnico dei poeti latini. Seguendo la distinzione
tra stile tragico, comico ed elegiaco, Dante afferma che al volgare illustre conviene quello tragico,
mentre alla commedia quello mediocre ed 'humile'.
DE MONARCHIA
Trattato in latino in tre libri. Dante interviene nella polemica sul rapporto tra Impero e Papato: se prima
aveva difeso l'autonomia del Comune dal Papa, Ora difende l'ImperO. LO Stile oscilla tra la ripresa di
tecniche proprie della filosofia scolastica e momenti di passione politica e religiosa. Il discorso parte da
principi generali per arrivare a verità particolari: il procedimento fondamentale è quello del sillogismo
aristotelico.
Due interpretazioni dell'opera: c'è chi vi legge un esempio di visione laica dello Stato e chi una
subordinazione ai valori religiosi. La discordanza tra i due punti di vista è anche legata alla datazione
dell'opera: alcuni la collocano nel 1308, considerandola uno sviluppo del Convivio; altri nel 1318. poiché la
frase "come ho già detto nel Paradiso della Commedia" fa pensare che il trattato sia successivo alla
composizione della III cantica; altri considerano il riferimento al Paradiso un'aggiunta posteriore e
anticipano la datazione al 1311-13, anni della discesa in Italia di Arrigo VII.
• Primo libro: il fine della civiltà umana consiste nell'attuazione di tutte le possibilità dell'intelletto
umano; si può tendere a questo fine solo a condizione di una pace universale ed un governo unitario.
• Secondo libro: mostra l'origine divina dell'Impero Romano. L'unificazione del mondo antico nel segno
di Roma fu voluta da Dio per far si che la parola di Cristo potesse diffondersi.
• Terzo libro: Dante afferma che l'autorità imperiale non è subordinata a quella papale, ma che deriva
direttamente da Dio. Il papa deve condurre gli uomini alla vita eterna, l'imperatore deve guidarli alla
felicità terrena.
DIVINA COMMEDIA
Non abbiamo documenti precisi sui tempi di composizione dell'opera; le ipotesi più verosimili fanno
risalire l'avvio della stesura agli anni 1304-05 0 1306-07, quando Dante lasciò incompiuti Convivio e De
Vulgari Eloquentia.
• Inferno: non contiene allusioni a fatti successivi al 1309 e fa supporre che sia stato concluso intorno a
quella data.
• Purgatorio: non contiene allusioni a fatti successivi al 1313, fu divulgato tra 1315-16.
• Paradiso: iniziato forse nel 1316 e concluso negli ultimi anni di vita del poeta.
Non abbiamo manoscritti autografi 0 notizie precise sulle prime forme di diffusione della Commedia. Alla
morte di Dante appaiono commenti al poema o a sue parti; le copie integrali più antiche risalgono agli
anni Trenta e sono chiare e corredate da illustrazioni. Gli interventi di copisti corne Francesco di Barberino
e Boccaccio furono determinanti.
Titolo e struttura
Il titolo originale è Commedia, l'aggettivo divina fu usato per la prima volta da Boccaccio nella sua
biografia dantesca e fu integrato nel titolo a partire dal 500. Il poema si collega alla tradizione medievale
delle visioni dell'aldilà e dei viaggi allegorici e morali; esso narra in prima persona il viaggio del poeta nei
tre regni dell'aldilà. Esso ha inizio 1'8 aprile 1300 nella notte del Venerdi Santo e consente a Dante di
comprendere la struttura dell'universo, conoscere la condizione delle anime dopo la morte e vedere Dio.
Beatrice invia a Dante come guida attraverso l'Inferno e il Purgatorio l'anima di Vlrgilio: sarà lei poi a
condurlo in Paradiso.
La struttura del poema si basa su rigorosi rapporti numerici a partire dal tre (Trinità): Dante usa il metro
della terzina, costruita su tre strofe, ciascuna di tre endecasillabi legati da rima incatenata. I canti si
raccolgono in 3 cantiche di 33 canti ciascuna, salvo l'Inferno che ne ha uno in più in funzione di prologo,
per un totale di 100, numero perfetto.
L'interpretazione: visione, allegoria, figura
Dante rivendica la veridicità del suo viaggio: è un percorso di redenzione che conduce alla salvezza, ma si
offre anche come immagine esemplare di ogni esperienza umana. ln questo senso la Commedia è
un'opera dottrinale, che trasmette verità religiose, morali e filosofiche. Secondo il metodo dell'allegoria. le
singole fasi del viaggio nascondono altri significati. Tuttavia la maggior parte delle figurazioni sembrano
sfuggire a precise valenze allegoriche e si mostrano come simboli indeterminati. Questo vale anche per
Virgilio Beatrice; il primo rappresenta la ragione umana, la seconda la fede e la scienza divina, Ma molti
altri significati sono assunti dalle due guide nelle quali sono individuabili gradi diversi dell'intelletto
umano. per una migliore comprensione è utile il concetto di figura: come l'interpretazione figurale
metteva in relazione due termini collocati su piani diversi, ma entrambi reali, cosi la lettura della
Commedia dovrebbe svelare il rapporto tra figure della realtà umana e storica e i significati che esse
acquisiscono nell'aldilà. Il sistema filosofico, cosmico e teologico
La concezione dantesca dell'universo si basa sulla filosofia aristotelica. Tuttavia, al razionalisrno
aristotelico Dante aggiunge una prospettiva mistica e mette l'accento sull'impulso dell'anima di salire
verso Dio. Rispetto alla morale è determinante l'insegnamento dei classici latini mentre le cognizioni
geografiche e astronomiche sono attinte dalle scienze medievali. Dante presuppone che la conoscenza
umana parta dall'osservazione della realtà sensibile, per raggiungere i livelli più alti tramite la fede. Dio è
puro amore, è il primo motore che contiene in sé tutto l'universo. Il movimento si propaga per impulso
divino e si trasmette gerarchicamente attraverso i cieli, che sono 9 e ruotano a velocità diverse; la
trasmissione del movimento è dovuta all'azione delle intelligenze angeliche, distinte in 9 schiere
corrispondenti ai cieli. Al centro si trova la Terra, la cui materia, creata da Dio, è sotto l'influsso delle
intelligenze. La gerarchia dell'universo riflette la concezione della società feudale e comunale. Benché Dio
conosca il destino di ognuno, all'uomo viene lasciato il libero arbitrio. Al centro della Terra. in fondo
all'Inferno, che sprofonda in un baratro nei pressi di Gerusalemme, si trova Lucifero, li precipitato per
avere guidato gli angeli ribellatisi a Dio. L'uomo era collocato nel Paradiso terrestre, ma dopo il peccato
originale venne cacciato ed ebbe inizio la vita storica, Nell'aldilà le anime si distinguono tra dannati, anime
penitenti e beati; quando il mondo finirà, le anime recupereranno i loro corpi risorti e vivranno in eterno
beati 0 dannati.
Il giudizio sul mondo storico e politico
Distinguendo le schiere dei dannati, penitenti e beati, Dante vuole presentare al lettore gli effetti del
giudizio di Dio e valutare le esistenze degli uomini del passato e del presente in rapporto al bene e al male.
Costretto all'esilio, Dante nella Commedia giunge ad una sorta di riscatto simbolico dalle ingiustizie subite.
Dante rivaluta anche la funzione del mondo pagano e dell'impero Romano. Nel mondo antico Dante
riconosce l'affermazione di supremi valori civili ed un modello di giustizia umana, a cui però manca il
sostegno della grazia divina. Con rimpianto egli guarda a coloro che sono destinati a rimanere lontano
dalla beatitudine, come Virgilio. L'umanità per Dante deve essere retta da Chiesa ed Impero, ma dalla
compromissione dei due è nato un conflitto inevitabile che ha portato alla corruzione della vita sociale. Il
mondo contemporaneo è diventato teatro di lotte feroci e la tematica politica si affaccia spesso nel
poema: molte anime rivelano IO sdegno di Dio e ne profetizzano la vendetta. Al tempo stesso vi è la
speranza che nel mondo cristiano possano instaurarsi pace e giustizia.
Dante come personaggio-poeta
La poesia si riconosce come sforzo per ricavare dalla parola il massimo di senso. Beatrice diventa
immagine simbolica e allegorica dei valori che conducono a Dio ma nello stesso tempo resta una donna
terrena. Il racconto del viaggio ultraterreno si intreccia con l'esperienza personale di Dante. La Commedia
è animata da una continua tensione che chiama in causa il lettore, spesso sollecitato da Dante
all'attenzione e all'interpretazione. L'autore è una figura concreta, col suo retroterra personale e
letterario: la sua esperienza diventa paradigma di un'esperienza universale.
Le forme della rappresentazione
L'oltretomba dantesco non sciogli i legami con la storia umana. Il complimento che qui avviene, atto finale
di un percorso iniziato nel mondo umano, non è definitivo, ma sarà tale solo dopo il Giudizio universale. ln
ogni cantica, il realismo figurale di Dante assume forme diverse: nell'inferno abbiamo una
rappresentazione che precisa i segni della sofferenza fisica; nel purgatorio la rappresentazione è più
delicata, sospendendo le figure in movimenti lenti e pacati: il paradiso è il regno di immagini non
commensurabili all'occhio mortale.
Molti sono i riferimenti all'esistenza quotidiana: attraverso l'uso di similitudini Dante inserisce nel mondo
dell'aldilà la realtà mondana più minuta. Spesso le anime che Dante incontra lo rendono partecipe delle
loro vicende personali, che possono legarsi a fatti storici, episodi mitici 0 fatti oscuri della cronaca
contemporanea.
Visto che il viaggio è immaginato nel 1300, ma la scrittura del poema avviene più tardi, Dante affida a
molti personaggi profezie sul suo destino o sul futuro dell'umanità. Spinto dalla curiosità, Dante non cessa
di interrogarli per ricavare significati universali che riguardano il bene, il male, la storia.
La creazione di una lingua poetica
La Commedia amplia gli Orizzonti sintattici e lessicali: la varietà stilistica Crea una variazione di registri,
attingendo sia alla lingua bassa che a quella nobile. Si può parlare di plurilinguismo: l'uso del fiorentino
come idioma di base non esclude l'impiego degli altri dialetti, del latino e del provenzale. Dante elimina la
schematicità e sul metro della terzina innesta un originale ritmo di racconto. Il volgare italiano raggiunge
cosi una statura letteraria superiore a quella delle lingue romanze; nell'area italiana diventa un riferimento
per la diffusione di una forma media di comunicazione linguistica nazionale su base toscana; Dante è
davvero il padre della lingua italiana.
INFERNO
Il poema inizia con lo smarrimento di Dante in una selva oscura; mentre tenta di risalire un colle,
ostacolato da tre fiere che rappresentano dei vizi (lonza: lussuria, leone: superbia, lupa: avarizia), viene
soccorso da Vlrgilio.
L'Inferno si apre in una voragine nei pressi di Gerusalemme e scende fino al centro della Terra, dove
Lucifero è conficcato; è diviso in nove cerchi concentrici che accolgono i dannati secondo la gravità dei loro
peccati. Essi sono preceduti dall'Antinferno che ospita gli ignavi, rifiutati da Dio e Lucifero perché in vita
non hanno saputo scegliere tra bene e male. Passato l'Acheronte, il primo dei quattro fiumi infernali, si
arriva nell'Inferno vero e proprio.

I cerchio: distinto dall'inferno vero e proprio: contiene il limbo, anime non battezzate.
Dopo il limbo ha inizio la distinzione tra i cerchi infernali e la ripartizione dei peccati
11-V cerchio: nella parte superiore sono puntiti gli incontinenti (lussuriosi, golosi, avari, iracondi).
Poi si attraversa il fiume Flagetonte e le mura della città di Dite. alla cui guardia sono posti dei demoni e la
Furie.
Sesto cerchio: eretici.
Settimo cerchio: violenti, suddiviso in tre gironi (violenti contro gli altri, contro sé stessi e contro Dio).
Ottavo cerchio: frode contro chi non si fida. Essi sono suddivisi in dieci bolge (Malebolge): seduttori,
adulatori, simoniaci, indovini, barattieri, ipocriti, ladri, cattivi consiglieri, seminatori di discordie, falsari.
Nono cerchio: traditori di chi si fida. qui scorre il fiume Cocito. È diviso in quattro zone: Caina, per i traditori dei
parenti; Antenora, per i traditori della patria; Tolomea, per i traditori degli ospiti; Giudecca, per i traditori dei
benefattori. Lucifero strazia con le sue tre bocche i tre traditori di Chiesa ed Impero: Giuda, Bruto e Cassio.
Le pene si basano sulla legge del contrappasso: infliggere a chi offende la stessa lesione provocata. Le
pene dei peccatori riproducono i caratteri della colpa per analogia (pena peccato) o contrasto (pena
peccato).
La cantica è dominata dalla negatività e da una sofferenza senza riscatto: gli incontri coi dannati
assumono gran rilievo poiché avvengono con un uomo vivo e destinato alla salvezza: spesso Dante si
commuove per le pene dei peccatori, altre volte le contempla in modo distaccato e feroce. Il regno del
demonio è anche quello della dissoluzione civile e morale del mondo contemporaneo: la polemica
politica colpisce soprattutto la corruzione della vita comunale.
PURGATORIO
Dal centro della Terra Dante e Virgilio risalgono verso la superficie: il Purgatorio è collocato nell'emisfero australe.
È un'alta montagna interamente circondata dal mare a cui si accede da una spiaggia, collegata all'Infemo
tramite un pertugio. Il purgatorio è diviso in 7 cornici precedute dall'Antipurgatorio; qui si trovano le anime
negligenti:

I schiera: scomunicati che in punto di morte si rivolgono a Dio.


Il schiera: coloro che per pigrizia trascurarono di praticare la virtù e si pentono in fin di vita.
III schiera: negligenti pentiti morti di morte violenta (non hanno ricevuto i sacramenti). IV schiera:
principi negligenti pentiti, collocati nella Valletta dei principi.
Solo dopo una lunga attesa questi sono ammessi ad espiare le colpe nel purgatorio, a cui si accede
tramite una porta. ln ogni cornice si purifica uno dei peccati capitali, dal più grave al meno grave. I
peccatori attraversano le varie cornici sostando più o meno a lungo in ciascuna di essa a seconda delle
colpe di cui si sono macchiati in vita. Un angelo controlla il passaggio da un girone all'altro e rappresenta
la virtù opposta al peccato punito. Quando un'anima ha finito di scontare la pena, un terremoto annuncia
il suo ingresso alla cima del monte dove si trova il Paradiso terrestre. Anche nel Purgatorio vige la legge
del contrappasso, ma le pene sono sopportate con serenità. Nella scansione degli elementi rituali il
tempo ha un peso determinante: i gesti delle anime sono guidati dall'attesa della visione di Dio.
PARADISO
Guidato da Beatrice. Dante giunge nell'Empireo. sede di Dio e dei beati. dove sarà affidato a San Bernardo. Le
anime dei beati sono collocate nell'Empireo, e più precisamente nella candida rosa dove contemplano
etemamente la visione di Dio: per l'occasione. però. le anime si collocano provvisoriamente nei cieli che
Circondano la Terra. ln questa cantica non è possibile una rappresentazione corporea delle anime. che sono pure
essenze intellettuali; per questo la rappresentazione del Paradiso si affida a luci, colori, suoni e figure
geometriche. Dante si interroga continuamente sulla difficoltà di tradurre in parola la beatitudine celeste: al
momento della visione di Dio, la scrittura afferma l'insostenibilità dell'oggetto. La struttura della cantica si regge
sullo scarto tra la perfezione di Dio ed il movimento di un soggetto ancora immischiato nelle imperfezioni del
tempo, Dante. I beati scagliano un'invettiva contro l'ingiustizia umana e la corruzione della vita politica e
religiosa, senza risparmiare le massime autorità della Chiesa. Essi guardano però anche agli aspetti più
dignitosi e sereni della vita terrena. Nell'incontro con l'antenato Cacciaguida, Dante, ascoltando la profezia
sul suo esilio, afferma la sua scelta giustizia e la funzione politica e pedagogica della Commedia.
FRANCESCO PETRARCA
La vita
Nacque ad Arezzo nel 1304 e nel 1312 si trasferì ad Avignone, dal 1305 sede del Papa. Dal 1316 al 1320
studiò diritto a Montpellier, per poi trasferirsi a Bologna. Alla morte della madre scrisse il primo
componimento poetico, una breve elegia in latino. Dopo la morte del padre tornò ad Avignone. Qui, il 6
aprile del 1327, avvenne l'incontro con Laura. Consumato il patrimonio paterno e abbandonata
l'intenzione di darsi all'attività giuridica, Francesco intraprese la carriera ecclesiastica. Compi dei viaggi in
Europa, durante i quali coltivò l'interesse per i testi classici. Tornato in Provenza si ritirò a Valchiusa, ma i
conflitti politici, le catastrofi naturali e la morte dei cari turbano Francesco, che vuole sottrarsi all'ambiente
corrotto di Avignone. Nel 1341 riceva la laurea poetica, il titolo più prestigioso a cui un letterato possa
ambire. Nel 1343 va a Napoli con incarichi diplomatici e poi torna a Parma, dove dal 1348 infuria la peste
nera; di peste morirà Laura il 6 aprile del 1348. Nel 1350 si reca a Roma per il Giubileo e durante il viaggio
sostò a Firenze, dove strinse amicizia con Boccaccio. Nel 1351 tornò ad Avignone, ma mal tollerava la
corruzione della corte pontificia. Gli anni a Milano, tra 53 e 61, furono meno irrequieti e i Visconti
utilizzarono la sua presenza come legittimazione culturale della loro politica espansionistica. Nel 1361
lasciò Milano per sfuggire alla peste e si rifugiò a Padova e poi a Venezia, dove ottenne una casa in cambio
della promessa di donare la sua biblioteca alla Repubblica veneziana. Nel 1363 a Venezia riceve la visita di
Boccaccio. Nel 1368 si stabili definitivamente a Padova, preferendo l'ospitalità di Francesco da Carrara. La
quiete degli ultimi anni è turbata dalla cattiva salute, notizie funeste e una 'guerra tra Venezia e Padova.
Muore ad Arquà dopo un attacco di febbre nel 1374. La separazione tra il latino e il volgare
L'opera di Petrarca è caratterizzata dalla scissione tra latino e volgare: egli affida la propria immagine di
scrittore alle opere latine in versi e prosa, ma si impegna anche nella poesia lirica volgare, perfezionando
le sue Rime. È un vero bilinguismo: latino e volgare sono per lui due codici letterari distinti e con funzioni
diverse: il latino sembra avere un ruolo più nobile, mentre parla delle sue rime volgari come di un
esercizio privato. Petrarca vuole ricondurre il latino alla forma classica. Il volgare della sua poesia si
inserisce nella tradizione della lirica amorosa: esso diventa una lingua pura. separata dalla caoticità
dell'esperienza quotidiana. La scrittura è per lui manifestazione del valore dell'autore e questo IO porta a
una costante ricerca di miglioramento. Il suo procedimento è la riscrittura: parte da alcuni progetti e
ritorna su di essi infinite volte con aggiunte e richiami. L'amore di Petrarca per gli scrittori antichi ed il
latino si lega all'Umanesimo; degli scrittori classici occorre imitare le forme, i modi linguistici e stilistici: lo
scrittore latino moderno non deve seguire lo stile di un singolo autore. ma trarre frutto dall'insegnamento
di tutti gli antichi che rivelano qualità, misura, equilibrio.
La filosofia di Petrarca: l'umanesimo cristiano
L'umanesimo di Petrarca coinvolge tutta la sua esistenza e comporta il rifiuto della cultura scolastica e
aristotelica: egli guarda con diffidenza ai sistemi di conoscenza globale, preferendo concentrarsi sulla
filosofia morale, che indaga i comportamenti e i conflitti interiori. Egli avverte un conflitto tra il suo culto
della classicità e il messaggio cristiano, che supera attraverso la meditazione morale: attraverso Seneca e
Cicerone, che gli offre una sintesi del pensiero morale classico. egli conosce la tradizione stoica, basata
sull'esaltazione della virtù e sulla lotta dell'uomo contro i rovesci della fortuna. Nello sviluppo della
filosofia morale di Petrarca si possono distinguere varie fasi, ma resta in primo piano il rapporto tra il culto
delle humanae litterae e l'ideale morale di una virtus opposta alla confusione del mondo. Rifiutando la
dimensione collettiva del Cristianesimo tipica della religiosità medievale e di Dante, per Petrarca
l'esperienza cristiana si pone come esperienza privilegiata per pochi degni.
Le raccolte epistolari
Nelle lettere in latino, scambiate con amici ed esponenti della politica contemporanea, Petrarca presenta
la propria figura di grande intellettuale: non sono scritture spontanee, ma sono costruite con grande cura:
i testi originari. sottoposti a una lunga revisione, furono sisternati in raccolte:
• Familiares: composta di 24 libri; si ha una ricca varietà di argomenti (viaggi, descrizioni di luoghi e
persone).
• Sine nomine: 19 lettere politiche, spesso polemiche.
• Variae: altre epistole raccolte solo dopo la morte dell'autore.
Nel 1361 Petrarca cominciò a preparare la raccolta Seniles che pensava di chiudere con un'epistola rivolta
ai posteri in cui voleva presentare sé stesso attraverso una narrazione ufficiale della propria vita.
Prevalgono il ripiegamento su di sé e la riflessione sul trascorrere degli anni, le questioni filologiche e
letterarie, il desiderio di resuscitare il mondo antico, amicizia tra spiriti nobili, polemica politica, riflessione
filosofica e religiosa.
Gli scritti latini in versi
• Africa: poema epico in esametri dedicato a Roberto d'Angiò e diffuso solo dopo la morte. Si tratta di
nove libri (dovevano essere dodici) dove si narrano, sul modello dell Eneide, le vicende della seconda
guerra punica. con l'intenzione di esaltare la grandezza della Roma repubblicana e le gesta dell'eroe
Scipione l'Africano.
• Bucolicum Carmen: calco delle Bucoliche di Virgilio, raccolta di dodici egloghe. Interessanti sono le 66
Epistole metricae: poesie di corrispondenza raccolte in 3 libri senza un assetto definitivo.
Gli scritti latini in prosa
Le altre opere latine di Petrarca possono essere distinte in 3 gruppi:
• Trattati storico-eruditi: legate all'esaltazione degli eroi e dei comportamenti degli antichi.
• De viris illustribus: costruisce le biografie di 36 personaggi antichi su modelli eroici, dando rilievo allo
scontro tra individui eccezionali e ostilità della fortuna.
• Libri delle cose memorabili: raccolgono degli exempla ricavati sia dall'antichità che da epoche più
vicine.
• Itinerario siriaco: guida archeologico-geografica della Terra Santa.
• Trattati morali: Petrarca si interroga sul rapporto tra la propria prospettiva umanistica e la realtà
sociale.
• De vita solitaria: due libri; esalta la solitudine di Valchiusa e una vita intellettuale dedicata allo studio e
all'analisi dell'uomo, opposta al caos di Avignone.
• Sui rimedi ai due tipi di fortuna: trattato composto da molti dialoghi diviso in due libri: il primo
presenta i rimedi contro i pericoli della fortuna favorevole. il secondo quelli contro i mali della
sfortuna.
• Scritti polemici: si legano a occasioni particolari e fomiscono un esempio di scrittura aggressiva. o
Invective contra medicum: polemizzano contro la falsa scienza dei medici avignonesi.
Invettiva contro un uomo potente ma senza nessuna sapienza e virtù: contro un cardinale che aveva
criticato la sua carriera.
Invettiva contro uno che parlò male dell'Italia: rivolta al frate francese Jean de Hesdin che aveva
offeso l'Italia e sostenuto il mantenimento della sede papale ad Avignone.
Caratter.i—generali: passione per la storia antica, repertorio di situazioni esemplari; concezione della vita
dell'uomo di cultura come un valore supremo: affermazione della necessità di conoscere sé stessi:
religiosità concentrata sui problemi della salvezza individuale e sul rapporto con la divinità;
l'identificazione del valore in ciò che è saldo e della negatività in ciò che è mutevole; il privilegio della
poesia tra tutte le discipl ine.
Il Secretum
Composto tra 1347-53, l'azione è ambientata tra 1342-43. L'opera non era destinata alla pubblicazione,
perciò non c'è la preoccupazione di costruire un'immagine ufficiale di sé; si presenta come un confronto
dell'autore con sé stesso, di cui egli avverte il bisogno in un momento della sua esistenza. È un dialogo
filosofico tra il poeta e Sant'Agostino, che sottopone Petrarca ad un esame di coscienza per guidarlo sulla
strada della verità. Allo scrittore appare una figura femminile, la Verità, per aiutarlo a uscire dall'errore; a
lei si aggiunge sant'Agostino, che inizia con lui un dialogo articolato in 3 libri corrispondenti ai tre giorni in
cui si svolge tale dialogo. Agostino incarna le certezze ideologiche e gli ideali morali positivi; Francesco
rappresenta il comportamento reale, la difficoltà di realizzare quei valori nell'esistenza quotidiana e il Suo
attaccamento alle cose terrene.
Il dialogo si chiude senza una soluzione definitiva poiché è un conflitto tra due istanze dello stesso io. È la
prima opera in cui un'esperienza autobiografica si rivela contraddittoria.
• Primo libro: si evidenzia la contraddizione che caratterizza l'attaccamento alle cose terrene, che sono
pure apparenze e che costituiscono la confusa varietà del mondo, opposta alla certezza della verità
divina.
• Secondo libro: si prendono in esame i vizi che assediano Francesco e soprattutto l'accidia, che fa
vedere ovunque ostacoli e fastidi e impossibilita la conciliazione tra l'io dello scrittore e il mondo
circostante.
• Terzo libro: si analizzano l'amore e la gloria. Francesco rivendica la purezza del suo amore per Laura,
immagine dello splendore divino, ma per Agostino quell'amore ha deviato il suo desiderio da Dio verso
una creatura.
Il dialogo lascia aperte tali contraddizioni: la vita di Petrarca è fatta dalla coesistenza di tensioni opposte;
alla fine del dialogo egli non può promettere una conversione risolutiva, ma solo impegnarsi ad
approfondire la conoscenza di sé.
CANZONIERE
Il Canzoniere è il primo libro lirico di carattere organico e unitario: i testi sono organizzati secondo un
percorso. Sono 366 componimenti scritti in tutto l'arco della Sua esistenza. Il numero dei componimenti
richiama il numero dei giorni dell'anno, come a voler richiamare il percorso di una vita intera, che non si
completa: il poeta non raggiunge quell'ascesi a cui aspirava ed il libro si chiude con una preghiera alla
madonna. La struttura è circolare. Oltre al lavoro di organizzazione, Petrarca svolse anche un lavoro di
correzione, testimoniato da due manoscritti: il Vaticano Latino 3196 e 3195; questi testi hanno permesso
di ricostruire nove fasi di elaborazione dell'opera.
Il titolo originale è Rerum vulgarium fragrnenta: la scelta del latino per il titolo, nonostante l'opera sia in
volgare, ribadisce il bilinguismo di Petrarca. Nel titolo l'autore suggerisce come l'opera nasca dalla raccolta
sistematica di frammenti poetici elaborati nel corso degli ultimi anni. Il libro è diviso in rime in vita (1-
263). che trattano della passione amorosa per Laura con alcune rime di argomento politico o
corrispondenza con amici e rime in morte, caratterizzate dal turbamento per la morte di Laura. Il
Canzoniere ripercorre i momenti salienti dell'amore di Francesco per Laura e gli effetti che questa
esperienza ha su di lui: l'amore per Laura è accompagnato dalla consapevolezza della natura peccaminosa
del sentimento. Petrarca lavorò al Canzoniere fino alla morte. Egli fissa al 6 Aprile 1327 1'inizio del suo
percorso poetico, in coincidenza con il suo incontro con Laura. Negli anni Trenta iniziò a comporre rime
sparse e nel 1348, anno della morte di Laura, cominciò a concepire il disegno di un percorso cronologico
tematico per le sue poesie. Netta è la prevalenza del sonetto, al quale si accostano canzoni, sestine, ballate
e madrigali.
La figura poetica di Laura
All'amore per Laura è dedicato quasi tutto il Canzoniere, ma atti, gesti e situazioni si collocano su un piano
simbolico e diventano segni di un'esperienza interiore. Lo stesso nome della donna si identifica e confonde
con il lauro, pianta di Apollo e della poesia; per questo alcuni studiosi pensarono che l'amore per Laura e il
suo nome fossero fittizi. Egli costruì, a partire da un amore reale, un proprio sistema poetico e simbolico. A
differenza di Beatrice, Laura non provoca nell'amante mutamenti radicali; è l'immagine di un desiderio che
non è possibile colmare, ma che nello stesso tempo diventa una ragione di vita. Nel Canzoniere Petrarca
trasforma il repertorio della lirica amorosa volgare; la donna è splendente e preziosa: in primo piano sono i
suoi capelli d'oro, le nobili vesti. la bianca carnagione, gli occhi luminosi; i suoi movimenti sono soavi, i fiori
si raccolgono intorno a lei. Una serie di metafore ricorrenti accompagna la sua evocazione (lauro, fenice) e
ritornano insistentemente alcuni giochi di parole (Laura — lauro — l'auro). Le scelte linguistiche e stilistiche
ln Petrarca è essenziale la perfezione formale: il Canzoniere ha imposto un ideale di perfetta misura
stilisticolinguistica e discorso raffinato. A differenza dello sperimentalismo dantesco, la lingua poetica di
Petrarca tende a una forma pura e assoluta, incontaminata da ogni elemento realistico o di livello basso.
Mentre il volgare di Dante si costruisce per arricchimento, quello di Petrarca opera per riduzione, puntando
a una lingua toscana ideale. La parola poetica si afferma come un privilegio riservato a una limitata
comunità intellettuale. Un procedimento stilistico essenziale è quello della pluralità: ogni oggetto o parte
del discorso si presenta a coppie o a gruppi di tre, in cui i singoli termini possono essere legati da rapporti di
somiglianza o essere contraddittori; questo permette di creare ampie combinazioni e genera un ritmo
cadenzato e misurato.
Le liriche più celebri
Nel Canzoniere si possono individuare delle sezioni in base a criteri stilistici, tematici e cronologici.
• Prima sezione (1 — 60): sono espliciti i legami con la tradizione poetica provenzale e stilnovistica; la
natura e il paesaggio si confrontano spesso con lo stato d'animo del poeta.
• Seconda sezione (61 — 129): Petrarca esalta il primo incontro con Laura per farlo sopravvivere al di là
dei limiti del tempo e dello spazio; interviene poi il ricordo di alcune apparizioni di Laura.
• Terza sezione (130 — 247): la condizione dell'innamorato e la figura luminosa della donna si fissano
come simboli perfetti al di fuori del tempo.
• Quarta sezione (248 — 266): fa da raccordo tra prima e seconda parte: i sonetti finali della prima parte
introducono il presentimento della perdita di Laura e la canzone che apre la seconda parte è una
meditazione sulla vanità dei beni terreni; prende avvio la tematica del pentimento e della vergogna.
• Quinta sezione (267 — 349) iniziano gli scritti in morte di Laura, in cui il pentimento e l'aspirazione alla
salvezza si intrecciano con la visione della donna: la sofferenza dell'innamorato si trasforma in
cammino Verso Dio, in riconciliazione tra amore divino e terreno.
• Sesta sezione (350 — 366): rime rivolte all'analisi interiore e alla ricerca di una pace assoluta: Laura si è
trasformata in un'immagine che conforta e guida il poeta alla salvezza; la canzone finale cancella i
dissidi del Canzoniere nell'invocazione alla Vergine Maria perché aiuti il poeta a raggiungere la pace del
cielo.
TRIUMPHI
Sono un poemetto allegorico-didascalico in volgare in terza rima che rimase incompiuto. Il modello è la
Commedia di Dante, facendo del suo amore un punto di riferimento per uno sguardo generale sulla
cultura, sulla storia, sul destino dell'uomo. Il poema intende delineare un processo di ascensione verso una
verità sicura e l'annullamento dell'umano nell'eternità di Dio. I Trionfi sono strutturati in sei quadri
(numero simbolico), ognuno dedicato a un trionfo, cioè a una sorta di processione in cui un vincitore
trascina dietro di sé le proprie prede e i nemici vinti. Nel primo trionfo, quello dell'Amore, il poeta segue il
carro infuocato di Amore verso Cipro, isola di Venere, dove l'autore, che riconosce la propria condizione di
schiavo di Amore, viene rinchiuso in una prigione. Ma, grazie alla resistenza di Laura. sull'Amore trionfa la
Castità: su questa si impone però la Morte, che distrugge ogni cosa terrena. La morte viene superata dalla
Fama e i tre canti a essa dedicati presentano tre schiere di personaggi illustri, due di grandi uomini d'azione
e una di intellettuali; viene poi il Tempo a svelare la vanità della stessa Fama ma, al di là del Tempo, si
afferma l'immobilità e la certezza dell'Etemo, in cui viene sconfitta la varietà che fa vaneggiare gli uomini.
GIOVANNI BOCCACCIO
La vita
Nacque nel 1313 da una relazione illegittima tra un mercante e una donna, forse a Firenze o Certaldo.
Presto fu sottratto alla madre e venne accolto dal padre, che lo legittimò. Nel 1327 il padre si trasferi a
Napoli come rappresentante dell'impresa bancaria dei Bardi, principale sostegno finanziario della corte
angioina e lui lo seguì. Presto Boccaccio fu attratto dalla corte angioina: partecipò alla vita di corte e prestò
grande interesse alle esperienze culturali intorno alla corte di Roberto d'Angiò. La sua passione per la
cultura latina ricevette uno stimolo dalla frequentazione della biblioteca reale. Boccaccio iniziò un'intensa
attività letteraria, sia in latino che in volgare: si concentrandosi su scritti in volgare destinati all'ambiente
cortese in cui elaborò alcuni miti biografici come l'amore per una certa Fiammetta. Nel 1340 rientrò a
Firenze, dove c'erano gravi conflitti e una crisi finanziaria. Boccaccio si dedicò a una nuova produzione
letteraria, rinnovando il contatto con la tradizione fiorentina ma mantenendo una nostalgia per i modelli
cortesi napoletani. Dopo la peste, che gli portò via il padre, scrisse il Decamemn.
Nel decennio seguente ricopri vari incarichi e promosse varie iniziative culturali. Determinante fu il
rapporto con Petrarca, iniziato a Firenze nel 1350: l'anno dopo Boccaccio raggiunse Petrarca a Padova per
invitarlo a ricoprire una cattedra nello studio appena fondato e, nonostante il rifiuto, continuò a
intrattenere con lui stretti rapporti. Il fallimento di una congiura nel '60 in cui erano implicati personaggi a
lui vicini, lo fece cadere in disgrazia: tenuto lontano dagli incarichi pubblici, visse un periodo di crisi. Dal
'61 si ritirò a Certaldo, dove condusse una vita di studio e meditazione e scrisse nuove opere. Nel '65
ottenne nuovi incarichi come l'ambasceria ad Avignone per offrire a Urbano V l'appoggio di Firenze per il
ritorno della sede papale a Roma. Nel '73 fu chiamato dal Comune fiorentino a una lettura pubblica con
commento della Commedia. Morì a Certaldo il 21 dicembre 1375.
Caratteri della cultura del Boccaccio
La sua produzione è caratterizzata da una varietà di interessi che IO ha portato a sperimentare molti
generi e la condizione di fiorentino trapiantato a Napoli rende vari i suoi interessi: egli è interessato alla
letteratura narrativa e divulgativa e alle esperienze poetiche toscane, ma è anche attento alla cultura
cortese e romanzesca e alla letteratura classica. Boccaccio elabora opere che mostrano la volontà di
provare forme diverse: romanzo d'avventura (Filocolo) e cavalleresco (Filostrato), genere arcadico-
pastorale (Commedia delle ninfe fiorentine), poemetto idillico (Ninfale fiesolano), romanzo confessionale-
sentimentale (Elegia di Madonna Fiammetta), novella (Decameron). Solo le Rime percorrono tutta la sua
esistenza e mostrano la sua disponibilità a linguaggi e modelli differenti: Boccaccio riprende motivi della
cultura europea del XII e XIII secolo e li traduce in un orizzonte più laico e mondano, scegliendo il volgare.
Nella sua produzione si mescolano un atteggiamento cortese e comunale. Egli manifesta la sua apertura
anche nell'attività di organizzatore e suscitatore di cultura: a Firenze opera come mediatore di modelli
letterari, dando impulso a un lavoro di trascrizione e diffusione di manoscritti. Il suo atteggiamento è
molto diverso da quello di Petrarca: non pone mai in antitesi lo studio dell'antichità e il mondo
contemporaneo, configurandosi come punto di riferimento per l'Umanesimo fiorentino.
Le opere del periodo napoletano
Gli scritti della giovinezza napoletana si rivolgono al pubblico cortese ed hanno grande rilievo le donne:
CACCIA Dl DIANA: poemetto in terza rima di 18 canti che riprende due schemi allora molto diffusi:
quello dell'elogio-rassegna delle belle della città e quello della descrizione della caccia.
FILOCOLO: romanzo in prosa in 5 libri; esso racconta la tormentata e avventurosa vicenda dell'amore
tra Florio e Biancofiore. Scritto a Napoli intorno al 1336, il romanzo rappresenta il primo tentativo di
narrazione in prosa da parte di Boccaccio. Il titolo si fonda su un'etimologia grecizzante, secondo la
quale "Filocolo" significherebbe "fatica d'amore": la narrazione sarebbe stata infatti intrapresa su
richiesta e per amore di una donna indicata con il norne di Fiammetta (figura in cui sembra riflettersi
Francesca di Dante, non vittima ma ispiratrice del romanzo).
Le numerose digressioni consentono a Boccaccio di stabilire un legame tra la vicenda dei due amanti, che
si svolge all'origine dell'età cristiana e l'ambiente della Napoli angioina. La comparsa di Fiammetta,
insieme alla scelta della prosa, introduce elementi che arriveranno a maturazione nel Decameron.
FILOSTRATO: poemetto in ottave scritto a Napoli nel 1335. Dopo un proemio in prosa, nelle nove parti
in versi è raccontato dell'amore di Troiolo, figlio di Priamo, per la vedova greca Criseida, figlia di Apollo
Crise e prigioniera a Troia. Durante uno scambio di prigionieri la donna va al campo greco
accompagnata da Diomede: Troiolo, temendo che Criseide l'abbia tradito, vuole vendicarsi di Diomede,
ma viene ucciso da Achille. Al centro della vicenda non stanno le vicende belliche quanto l'esperienza
amorosa del protagonista. in cui si rispecchia la vicenda dello stesso autore, la cui identità celata sotto
lo pseudonimo "Filostrato": vinto d'amore.
TESEIDA: poema epico in ottave composto da 12 libri a cui Boccaccio lavora a Napoli dal 1339, per poi
concluderlo nel 1341 dopo il ritorno a Firenze. L'elemento centrale è costituito da una vicenda
amorosa ambientata nell'antica Grecia, ma al mondo mitologico e classico si aggiungono elementi di
tradizione medioevale francese e della poesia italiana. Boccaccio dichiara di aver scritto quest'opera
per "resuscitare" la poesia epica ed offrire un primo esperimento di poesia epica in volgare. Fiammetta
è la destinataria della lettera di dedica che accompagna il poema. La narrazione si concentra sulla
contesa tra Arcita e Palemone, amici e prigionieri tebani, entrambi innamorati di Emilia; il motivo delle
armi e dell'amore si intrecciano.
Una letteratura per Firenze
Commedia delle ninfe fiorentine: scritta tra è un omaggio a Firenze e alle donne fiorentine. Il ritorno a
Firenze induce Boccaccio a tentare una letteratura che leghi l'orizzonte cortese alla sua città. Il testo
alterna narrazione in prosa e componimenti in terza rima. Il pastore Ameto si intrattiene con 7 ninfe e
si innamora di Lia. All'ambientazione pastorale Boccaccio sovrappone gli schemi medievali, ma
entrambi sono trasposti in un orizzonte cortese. La descrizione delle donne insiste sullo splendore
fisico, con un canone di bellezza sensuale.
Amorosa visione: poema in terza rima in 50 canti, composto sul modello dantesco tra 42-43: tramite IO
schema del sogno Boccaccio presenta un catalogo dei comportamenti umani e delle figure storiche e
leggendarie.
L opera propone un'interpretazione laica del modello dantesco: il viaggio allegorico e morale è destinato
alla ricerca di una figura femminile terrena, Fiammetta.
Ninfale Fiesolano: poemetto in ottave scritto tra 44-46. Vuole essere un omaggio a Firenze, di cui si
raccontano le origini. L'ottava riprende il ritmo del cantare popolare toscano, cui si sovrappongono
motivi
classici attinti alla poesia pastorale e bucolica. La rappresentazione, oggettiva e diretta, è lontana da
Dopo il proemio introduttivo inizia il racconto che si svolge a Fiesole. Boccaccio vuole spiegare
miticamente i nomi di due corsi d'acqua a Firenze, l'Africo e la Mensola: le ninfe dedite al culto di Diana
abitano le colline di Fiesole e per ordine della dea non possono né amare né ricambiare amore. Il pastore
Africo e la ninfa Mensola però si amano e muoiono nei fiumi che da loro prendono nome. La legge di
Diana è quindi infranta e una nuova civiltà si instaura sui colli toscani. Nel narrare la fine dei due giovani,
Boccaccio comunica lo sgomento per il
L'Elegia di Madonna Fiammetta: sintesi dei motivi amorosi, cortesi e classicistici della produzione
giovanile. Scritta tra 43 e 44 sotto forma di lunga lettera in prosa rivolta da Fiammetta alle donne
innamorate, riprende i moduli dell'elegia eroica latina. La novità è che Boccaccio attribuisce la parola a
una voce femminile, un'amante abbandonata e disperata che si manifesta ad altre donne per
suscitarne la compassione. Fiammetta, parlando in prima persona, ci dice del Suo amore per un
giovane fiorentino, Panfilo (ritratto dell'autore) che lascia Napoli per tornare a Firenze. Poi svela
ragionamenti, gelosia e fantasie di suicidio maturate dopo essere stata abbandonata dal giovane
amante. Con questa struttura si costruisce il primo romanzo psicologico della nostra letteratura.
Elementi interessanti in vista del Decameron si trovano nella dedica alle donne contenuta nel Prologo: al
pubblico femminile sarà indirizzata anche la dedica contenuta nel Proemio del Decameron.
DECAMERON
Composizione, pubblicazione, diffusione
Nasce come opera unitaria e organica solo dopo il 1348, dopo la diffusione della peste che colpi anche
Firenze. Forse Boccaccio aveva già composto dei gruppi di novelle per poi raccoglierli in un'opera organica
tra il 1349-1351. La composizione della cornice è invece successiva, così come la struttura portante del
libro. Boccaccio non abbandonò mai il Decameron, anzi lo ricopiò e corresse più volte, come documenta
un manoscritto autografo del 1370. Il Decameron ebbe una grande diffusione e penetrò in ambienti
diversi e si ebbero da subito traduzioni. All'origine della composizione vi è l'epidemia di peste che devastò
l'Europa dal 1348. Per la diffusione della peste dieci giovani fiorentini (sette ragazze e tre ragazzi) si ritirano
in campagna, costituendo una piccola comunità con le sue regole e le sue abitudini, il cui tempo è scandito
dalla narrazione di novelle che ogni giomo ciascun giovane racconta. Questo struttura, nella quale sono
incastonate le novelle, è chiamata cornice narrativa. I giovani incarnano un modello positivo di vita in
comune, una comunità che costituisce una risposta alla disgregazione provocata dalla peste e che diventa
per i ragazzi un'occasione educativa. I dieci giovani rientreranno però a Firenze, nella realtà: il Decameron
si chiude con la constatazione che nulla è cambiato.
Come il titolo dichiara, il libro è suddiviso in dieci parti, corrispondenti alle dieci giornate che il gruppo
dedica alle narrazioni. Ogni giornata prevede l'elezione di un re o regina e l'indicazione di un tema al quale
tutti i novellatori (tranne Dioneo) dovranno attenersi. Fanno eccezione la prima e la nona giornata, a tema
libero. Le novelle si aprono con un'Introduzione e prevedono una Conclusione in cui si elegge il nuovo re o
regina, si definisce il tema della giornata successiva e ognuno dei ragazzi canta una ballata o una canzone
da lui composta. Sono 14 però i giorni di permanenza della lieta brigata in campagna in quanto la
narrazione, iniziata di mercoledì. viene sospesa venerdì e sabato. Tutte le giornate e le novelle sono
precedute da una "rubrica": un breve testo in cui l'autore indica il tema della giornata e l'argomento della
novella, fornendone anche una chiave d'interpretazione.
Gli interventi dell'autore
L'autore parla in prima persona solo in tre punti:
Proemio: si rivolge alle donne, destinatarie dell'opera, costrette dalla società a tenere nascoste le
fiamme amorose e private delle distrazioni tipiche degli uomini e si propone di confortare.
Introduzione alla quarta giornata: si difende dalle critiche di quelli che lo accusano di voler mettere le
donne al centro del suo discorso e mostra come l'arnore per le donne sia dettato da leggi naturali.
Conclusione: previene altre possibili critiche moralistiche ed esalta la materia narrata.
A parte questi spazi, Boccaccio si affida a una scrittura oggettiva, rinunciando alle allusioni
autobiografiche. La brigata dei narratori
Mentre la città è in preda al caos, 7 ragazze (Pampinea, Fiammetta, Filomena, Emilia, Lauretta, Neifile ed
Ellissa) e 3 giovani (Panfilo, Filostrato, Dioneo) si incontrano nella chiesa di Santa Maria Novella e decidono
di abbandonare la città per rifugiarsi in campagna. Qui il gruppo organizza una vita di svaghi, decidendo di
eleggere, a turno tra i IO, una regina o un re che regoli la vita di ogni giornata: la prima regina, Pampinea,
decide che si passi il pomeriggio raccontando novelle. Così per 10 giorni ognuno racconta una novella
attenendosi al tema del giorno.
Nelle introduzioni e nelle conclusioni di ogni giornata Boccaccio descrive la vita della brigata; tra una
novella e l'altra i giovani si scambiano battute di apprezzamento delle novelle. I personaggi appaiono privi
di individualità e psicologia precisa: essi devono guardare l'infinita varietà di forme del mondo reale. I
narratori con le loro reazioni permettono una varietà di punti di vista e, in definitiva. traducono il punto di
vista dell'autore.

Alcune novelle sottolineano l'esemplarità di certi personaggi, traducendola in gesti, parole e condotta
sociale significativi: nella sesta giornata il valore del personaggio si esprime attraverso il sapiente uso del
motto di spirito; nella decima giornata attraverso prove di cortesia; le novelle della sesta e decima
giornata si richiamano esemplari Boccaccio intreccia atti e discorsi ambigui, che si presentano come
negativi ma allo stesso tempo chiedono simpatia al lettore: d'altra parte la comunicazione prevede spesso
cose non dette, dette in parte,

Il rapporto più universale è quello amoroso, che Boccaccio rappresenta in tutte le sue possibili variazioni;
all'amore si lega la giovinezza, di cui si esalta l'autenticità, opposta agli ingiusti desideri dei vecchi.
Numerose sono le presenze femminili, vivaci e concrete e allo stesso tempo piene di misteriosa seduzione
e non mancano dolci e appassionate figure materne. Il gusto del romanzesco ispira novelle complesse e
ricche di peripezie: l'avventura confronta i personaggi con le forze della fortuna: la ricerca di una
dimensione occulta e funebre costituisce uno degli aspetti più affascinanti della narrativa boccaccesca.
Questa interpretazione ha privilegiato le novelle comiche e quelle che mettono in scena delle beffe: sono
novelle che mettono in atto un eccezionale meccanismo del riso; i beffati sono indotti a scambiare
l'illusione per realtà e ciò genera effetti narrativi sorprendenti.
I modi della rappresentazione
La maggior parte delle novelle sono ambientate nella Toscana contemporanea, ma numerose si collocano
in altre regioni d'Italia o d'Europa. nel presente o nel passato, e fanno riferimento a personaggi e situazioni
notissimi al tempo: scarse sono quelle collocate in un passato più remoto o nell'antichità classica. Lo
schema del viaggio costituisce spesso l'ossatura della narrazione. Il mondo di Boccaccio è un mondo finto.
che si pone però come realtà. I personaggi affermano sé stessi grazie alla loro capacità di apparire, di farsi
riconoscere e valutare dagli altri; ma per rappresentarli Boccaccio non scende nei particolari, bensì fa
balenare rapidi scorci.

LA LETTERATURA UMANISTICA
Il trionfo dell'Umanesimo
L'umanesimo si basa sulla volontà di riscoprire la cultura antica nei suoi valori originari e porta a una
maggiore Conoscenza della lingua dei Classici e a un modo di scrivere in latino più vicino agli antichi
scrittori.
Il termine umanista designa ogni uomo di cultura che si dedichi a un'attività letteraria in latino.
La visione umanistica pone in primo piano l'educazione letteraria, interpretata come una conoscenza
storica, che pone l'uomo in rapporto con passato e futuro. La poesia è un'espressione privilegiata, che
sintetizza il dell'uomo; è considerata più nobile delle discipline pratiche, ma i suoi obiettivi
Sono totalmente
L'intellettuale umanista si pone al centro del mondo e separa la propria ideologia dell'orizzonte sociale che
l'ha prodotta: gli umanisti hanno origini sociali molto diverse e le loro ideologie non si oppongono alle
classi dominanti: l'umanista cerca di raggiungere il prestigio sociale quindi ha bisogno dell'appoggio di
principi e signori. Il termine umanista entra in uso nel XVI secolo per indicare gli insegnanti di discipline
letterarie; la parola umanesimo è stata coniata nel 1808 dal pedagogista tedesco Niethammer per
difendere l'importanza degli studi classici. Oggi i termini umanesimo, umanistico, discipline umanistiche
circolano con varie accezioni riferite a studi letterari e storici.
Tendenze e fasi dell'umanesimo nell'età signorile
Umanesimo repubblicano: diffuso a Venezia e Firenze, connette letteratura e impegno civile.
Umanesimo cortigiano: diffuso nel resto della penisola, considera la letteratura un sostegno del
potere signorile.
Umanesimo laico e mondano: esalta la vita terrena, la fisicità dell'uomo e la sua aspirazione al
potere. Umanesimo cristiano: afferma la solidarietà tra i valori della cultura classica e quelli cristiani.
Umanesimo filologico: mira a ricostruire i testi antichi basandosi sugli aspetti storici, letterari e
retorici. Umanesimo filosofico: elabora la nuova visione del mondo partendo da un nuovo rapporto con
la filosofia antica.
Possiamo distinguere una prima fase, fino a metà 400, dominata dall'Umanesimo repubblicano e civile e
una seconda dominata dall'umanesimo filosofico, anche se le varie tendenze si intrecciano a Seconda
delle aree.
Gli umanisti e le istituzioni culturali
L'educazione assume una posizione centrale, con l'elaborazione di una nuova pedagogia basata sul valore
formativo della lettura dei classici. Resta fondamentale IO studio della grammatica e della retorica, ma non
più legato all'uso di manuali, bensì basato sul diretto rapporto con gli scrittori latini. L'educazione letteraria
doveva fornire agli individui una dignità e conoscenza di sé. La realizzazione di questi programmi era
possibile solo all'interno delle classi dominanti, in possesso delle condizioni materiali di base. Sono
soprattutto le corti principesche a sostenere la cultura, poiché principi e signori impiegano in vario modo
gli umanisti, con funzioni di propaganda, compiti pedagogici, mansioni di segretari, cancellieri, diplomatici.
Le accademie poi erano luoghi d'incontro e di libera discussione. A Firenze, in particolare, queste riunioni
esprimono il senso della libera circolazione della cultura nella vita cittadina. Si formano molte biblioteche
laiche come conseguenza di un lavoro di ricerca di testi antichi perduti o dimenticati, accompagnato da un
impegno a riportare a una forma corretta anche i testi già noti. Nell'attività degli umanisti è in primo piano
la filologia, che per essi un modo di ricreare lo spirito degli antichi. Tra 300-400 si diffonde l'insegnamento
del greco antico e la riscoperta dei classici greci; i nuovi rapporti con la Chiesa greca e con l'impero
bizantino portano in Italia vari dotti che insegnano il greco. Alcuni umanisti italiani soggiornano nell'Impero
bizantino, raggiungendo una perfetta padronanza del greco. Molti libri sono importati dall'Oriente. si
hanno fedeli traduzioni dal greco al latino. Quando Costantinopoli cade in mano ai Turchi, l'Italia accoglie
molti maestri greci, come Bessarione di Trebisonda, che dona i suoi volumi alla biblioteca di San Marco a
Venezia.
La produzione dei libri e la stampa
La produzione e diffusione dei libri rimasero a lungo legate all'organizzazione tradizionale. La produzione
umanistica era una produzione d'élite, destinata ad un pubblico limitato, mentre i pochi libri di largo
consumo usavano i metodi di composizione consueti. Verso il 1450 Ci fu una trasformazione dovuta
all'invenzione della stampa a caratteri mobili, avvenuta in Germania con Johann Gutenberg. La stampa
rese meno costosa la produzione libraria. trasformando i caratteri del libro e la stessa nozione della
cultura. Prevalgono testi religiosi, opere volgari, scritti umanistici.
Caratteri generali della letteratura umanistica
Nella letteratura umanistica, gli autori si rifanno ai modelli classici e all'imitazione dei grandi scrittori
antichi. Per la prosa, l'esempio maggiore è Cicerone; per la poesia, la scelta degli autori varia secondo i
generi (Virgilio, Orazio, Catullo, Marziale). Nel genere drammatico, la ripresa di tematiche della commedia
classica si intreccia con qualche allusione al mondo contemporaneo. I generi più autentici della letteratura
umanistica sono:
Epistole, che gli umanisti si scambiano tra loro o rivolgono a personaggi influenti. Esse esprimono
parte della nuova problematica filologica, retorica, morale e politica.
Dialogo, che mette in scena una conversazione tra personaggi contemporanei per approfondire un
problema su cui ciascuno esprime il proprio punto di vista. Il dialogo non porta quasi mai a
conclusioni defnitive.
Invettive, cioè scritti polemici ispirati da situazioni precise.
Dall'inizio del XV secolo si sviluppa la storiografia, stimolata dalla volontà di ritrovare antiche radici ed
individuare i motivi della decadenza medievale. Questo genere ha come modello Tito Livio e si concentra
sui comportamenti degli individui e dei popoli e vuole mostrare esempi di virtù di antichi uomini illustri. La
letteratura umanistica suggerisce l'immagine di un mondo equilibrato, accurato nelle forme linguistiche e
stilistiche. ma in certi autori si esprime in modi paradossali, sul modello della tradizione comica. La poesia
umanistica si impegna in tutti i generi dominanti in età classica; si imitano i grandi poeti latini e la
produzione più vasta riguarda la lirica, sulle orme di Catullo e Orazio. La lirica serve all'elogio di principi e
signori, allo scambio di considerazioni morali, alla comunicazione amorosa, all'espressione del dolore, alla
tematica religiosa. Infelici sono i tentativi di poesia epica per esaltare i principi e vari gli esperimenti di
poesia religiosa. Il primo libro di poesia umanistica latina è l'Herrnaphmditus del Panormita, una raccolta
di epigrammi del 1425.
Epitaffio: la poesia umanistica descrive in brevi tratti figure umane.
UMANESIMO FIORENTINO
Firenze dà un grande impulso alla cultura umanistica con l'opera di un gruppo di studiosi già attivi a fine
300 sulle orme di Petrarca e Boccaccio. I caratteri dell'umanesimo fiorentino sono riassunti con la formula
di Umanesimo civile, che evidenzia il suo legame con la comunità cittadina ed i suoi valori. Esso elabora
una sorta di mito di Firenze, come erede dello splendore dell' della Repubblica romana Nello scontro tra
Firenze ed il Ducato di Milano, gli umanisti fiorentini compiono un grande sforzo per definire i caratteri
della libertà fiorentina in antitesi all'assolutismo dei Visconti. Essi però non concepiscono la libertà come
valore universale, ma come espressione dell'oligarchia che detiene il potere a Firenze: quando nel 1434 il
governo della città passa ai Medici, trasformandosi in un regime signorile, molti umanisti repubblicani si
adeguano al nuovo indirizzo politico.
Prima guida dell'umanesimo fiorentino è Coluccio Salutati, cancelliere della Repubblica. ln lui si vede la
continuità con gli atteggiamenti religiosi e morali di Petrarca. Protagonista dell'elaborazione del mito della
libertà fiorentina è Leonardo Bruni, il cui impegno culmina nelle Storie del popolo fiorentino.
Poggio Bracciolini: legato a Firenze e alla cultura Fiorentina. Egli si presenta come un umanista laico,
assetato di conoscenza e diffidente verso ogni atteggiamento ascetico ed ogni regola di
comportamento troppo rigida.
UMANESIMO DELL'ITALIA SETTENTRIONALE E MERIDIONALE
Nell'Italia settentrionale l'Umanesimo si sviluppa nei centri in cui nel 300 si era avuta una forte tradizione
di studi classici. ln Veneto ricordiamo Guarino Veronese, Sicco Polenton e Francesco Barbaro. A Milano i
Visconti favoriscono un Umanesimo cortigiano. L'UMANESIMO NELLA CURIA ROMANA
La Curia romana è al centro di una fitta rete di rapporti italiani e internazionali: Stretti sono i contatti con
Firenze e le altre città dell'Italia centro-meridionale, ma molto intensi sono anche gli scambi con tutta
l'Europa. Il caso più esemplare di convergenza tra cultura umanistica e potere ecclesiastico fu Enea Silvio
Piccolomini, il cui umanesimo non fu di tipo erudito o filologico. ma mirò a misurarsi con le molteplici
facce della realtà contemporanea. Dopo una giovinezza spregiudicata, egli accettò i valori della vita
ecclesiastica, attribuendo alla
Chiesa il compito di difendere dalle minacce che provenivano dall'Oriente una cultura sia umanistica che
cristiana. Roma sollecita ricerche storiche ed erudite, che trovano il loro rappresentante in Flavio biondo.
Egli cerca le tracce del passato attraverso testimonianze e documenti concreti. Il fascino della Roma antica
diffonde la moda di imitare costumi e atteggiamenti degli antichi nella vita quotidiana, formando un
classicismo di tipo pagano che trova il suo centro di aggregazione nell'accademia pomponiana (da Giulio
Pomponio Leto).

Tutta la sua attività è dominata dal rapporto tra l'uomo, con la sua virtù, e il mondo esterno, dominato
dalla fortuna. Egli afferma la dignità del volgare e compone scritti sia in latino che in volgare, inaugurando
l'Umanesim0 volgare. Nacque a Genova nel 1404 da una ricca famiglia indirizzò mercantile ad amici
fiorentina e scrittori esiliata; brevi studiòprose
ln ecclesiastica. ln vari periodi egli
in latino, chiamate Intercoenales: esse non hanno strutture fisse, ma oscillano tra il dialogo morale. la
favola, IO scherzo. la figurazione simbolica; attraverso il paradosso e l'ironia, osserva tra amarezza e
indifferenza la vita quotidiana degli uomini.
Quattro libri della famiglia: dialoghi in volgare tra i membri della famiglia Alberti, che prendono spunto
dalle loro sventure politiche per affrontare il tema della conduzione della vita familiare, vista come l'unico
valore saldo in mezzo all'insicurezza della vita mondana. Questo valore è affidato all'esercizio della virtù,
che permette di resistere all'azione imprevedibile della fortuna. L'interesse dell'opera consiste
nell'idealizzazione della morale mercantile e dei suoi valori tradizionali, che paiono limitati. Nel libro IV
l'autore paria dell'amicizia, vista corne strumento di coesione sociale. Dal punto di vista linguistico, i
dialoghi sono il primo tentativo di creare una lingua volgare collegata al latino umanistico e alla prosa
mercantile: ne risulta una scrittura razionale e sbrigativa. che ingloba latinismi e forme dialettali.
LA LETTERATURA DELLA FIRENZE MEDICEA
La Firenze di Lorenzo il Magnifico
Alla morte di Cosimo de Medici e del figlio Piero, il controllo di Firenze passò a Lorenzo, cui fu dato
l'appellativo di Magnifico: egli guidò con prudenza la vita politica della città ed affrontò momenti difficili,
come la congiura della famiglia dei pazzi, in cui trovò la morte il fratello minore e a cui reagi con una
repressione. per mantenere il potere, egli condusse un'accorta politica diplomatica, rendendosi un
garante dell'equilibrio tra gli Stati italiani e imponendo il prestigio culturale e artistico della città. Il palazzo
fiorentino e le ville medicee diventarono luoghi d'incontro di letterati e artisti. Lorenzo presta anche
attenzione alle forme letterarie volgari legate alla vita quotidiana fiorentina. Verso il 1470 si ha cosi la
ripresa della letteratura volgare fiorentina: ci si riallaccia alle forme della tradizione, mettendole a
confronto con la nuova cultura umanistica e il culto degli antichi. Il controllo politico e culturale di Lorenzo
non fu facile: egli dovette tenere insieme una realtà carica di tensioni.
MARSILIO FICINO
Negli anni di Cosimo de Medici si diffonde a Firenze l'interesse per il platonismo, come si vede in Marsilio
Ficino: studioso di medicina, magia e astrologia, egli tradusse in latino molti testi di Platone, tra cui i testi
ermetici, e fece della sua filosofia un modello di vita per gli intellettuali che si riunivano intomo a Lorenzo.
La sua opera più importante è la Teologia platonica sull'immortalità dell'anima: per lui l'uomo può sfuggire
alla desolazione dell'esistenza scoprendo, tramite la contemplazione, il significato autentico della vita
dell'universo; fondamentale è l'amore, che permette di identificarsi nell'amore supremo di Dio.
Errnetismo: tradizione filosofico-religiosa che concepisce la realtà come un tutto divino e ha come
massimo ideale umano una sapienza segreta, capace di comunicare con la verità tramite l'esperienza
mistica, la magia, 10 studio degli astri: le origini di questa filosofia si trovano in testi greci del 11-111
secolo d.c. attribuiti a Ermete Trimegisto. L'ermetismo si lega alla pratica della magia e delle scienze
occulte, come l'alchimia; ha stretti rapporti con il neoplatonismo, filosofia secondo cui la forza dell'amore
di Dio circola in tutta la realtà e il culmine dell'esperienza umana consiste nella contemplazione
dell'assoluto bene divino.
LUIGI PULCI
Luigi pulci si presenta come un personaggio burlesco, sempre pronto a mettere in luce i lati grotteschi
della realtà: egli si mantiene ai confini dell'ambiguità ideologica e conduce un'esistenza disordinata. Nato
a Firenze nel 1432 da una nobile famiglia impoverita, ricevette una normale educazione letteraria;
cominciò poi a frequentare il palazzo dei Medici, facendo valere il suo gusto per l'espressione vivace e
aggressiva, un linguaggio comico, le forme dialettali. Egli crea operette d'occasione, scritte a più mani, le
cui diverse stesure rendono difficile riconoscerne l'autore. Pulci manifestò anche la sua insofferenza verso
quei personaggi che svolgevano un ruolo sempre più importante a corte, come Ficino. Mori a Padova nel
1484 e venne seppellito come eretico.
Il Morgante
Poema eroico in ottave il cui titolo deriva dal nome di un gigante. Sono 28 cantari risultanti dall'insieme di
due parti separate, scritte in fasi diverse. Il mondo degli eventi narrati si presenta come uno spettacolo,
dove ogni gesto appare sproporzionato. È impossibile individuare un percorso unico, poiché gli episodi
scaturiscono l'uno dall'altro in modo casuale. I personaggi agiscono secondo stereotipi: Gano è il
traditore, Carlo Magno è un vecchio rimbambito che perdona i tradimenti, i Paladini sono immagini di
forza sovrumana, i pagani sono ottusi. Pulci insiste nella descrizione di scene di battaglia con una
sovrabbondanza di immagini legate al cibo. Il poema è dominato dalla sproporzione: Morgante, pagano
sconfitto da Orlando, convertito al Cristianesimo e divenuto fedele scudiero del paladino, è protagonista
di una serie di avventure segnate da una furia distruttiva. Sulla dismisura è basato anche I 'episodio
dell'incontro di Morgante con il gigante-nano Margutte e l'episodio della sua morte: dopo aver salvato da
un naufragio i Paladini e aver ucciso una balena, egli muore per la puntura di un granchio. La lingua è
legata alla tradizione popolare toscana ed è ricca di termini strani: molte le elencazioni legate alla
gastronomia o le lunghe catalogazioni. Pulci crea una poesia in cui tutto può essere visto a rovescio.
LORENZO IL MAGNIFICO
La sua formazione risenti di influenze diverse e dall'ambiente familiare gli venne la consapevolezza
dell'importanza della cultura in ambito politico. Quando nel 1469 si trova a capo dello Stato fiorentino,
ha già maturato la propria passione letteraria, cui è connesso l'obiettivo della sua politica: vuole fare del
prestigio culturale di Firenze il punto di riferimento per un equilibrio tra gli Stati italiani. Con Lorenzo
l'Umanesimo entra da protagonista nella vita sociale e la cultura della Firenze laurenziana appare come
l'espansione del sogno umanistico, garantita da una grande personalità che fa coincidere in sé signore ed
intellettuale. La sua produzione è varia, fatta di esperienze maturate a contatto con i maggiori intellettuali
di Firenze: egli mira a rivitalizzare la tradizione fiorentina cercando vie nuove, rese possibili dal culto
umanistico dei classici. Notevole è la Sua abilità di passare da uno stile all'altro. da un genere all'altro.
Le opere di Lorenzo: tra generi e stili diversi
Incerta è la cronologia delle sue opere, alcune delle quali furono corrette più volte senza giungere ad una
redazione definitiva. La prima fase si svolge prima del suo avvento alla Signoria ed in essa ci sono due
direzioni fondamentali:
Una lirica di ascendenza petrarchesca, in cui si vede una rigorosa educazione letteraria.
Una poesia comico-burlesca, che predilige le forme dialettali e rusticali. Questi scritti comprendono la
Nencia da Barberino, poemetto in 20 ottave sul modello della satira del villano, cioè la rappresentazione
negativa del contadino, descritto come un essere rozzo, ostile a ogni valore spirituale e civile. Le origini
di questo stereotipo si ritrovano nella cultura feudale e cortese, ed i contrasti creati dalla crisi del XIV
secolo inasprirono questo cliché. Il linguaggio del contadino, che deforma la comunicazione colta,
diventa parodia di quello alto.
Con i poemetti Simposio e Uccellagione di starne Lorenzo si accosta ai poeti del dolce stil novo. Dal 1473
egli lavora a un Comento sopra alcuni dei suoi sonetti in cui, ricollegandosi al Convivio, vuole spiegare i
significati morali di alcune Rime. I risultati migliori delle Rime si hanno in alcune descrizioni delicate e
idilliche. ln altri scritti vediamo i contatti col classicismo volgare di Poliziano: Lorenzo contempla una natura
dai toni misurati, fino a trasformare il paesaggio toscano in qualcosa di mitico; è un mondo ideale insidiato
dall'angoscia per lo scorrere del tempo. Lorenzo si impegna anche nella letteratura di devozione popolare,
con varie laudi. La vita quotidiana della città accoglieva anche celebrazioni collettive festose, che
culminavano nel carnevale; Lorenzo per garantirsi la simpatia del popolo, organizzava spettacoli e
divertimenti di massa. un genere letterario legato a questi festeggiamenti è quello dei canti camascialeschi
— componimenti recitati da cortei mascherati in occasione del carnevale a Firenze; la struttura metrica era
quella della ballata. Ogni canto era dedicato ad un oggetto, una consuetudine, un lavoro, ma qualsiasi Cosa
era un pretesto per un gioco di doppi sensi erotici.
Canzona di Bacco: scritta forse per la sfilata di personaggi rappresentanti il corteo di Bacco nel carnevale
del 1490, nella forma della ballata. La ripresa «quant'è bella giovinezza che si fugge tuttavia» presenta il
tema del canto, cioè il timore per il minaccioso trascorrere del tempo.
ANGELO POLIZIANO
Angelo Ambrogini, detto il Poliziano dal nome latino della città di origine, nacque nel 1454; alla morte del
padre andò a Firenze dove entrò nella cancelleria privata dei Medici. Egli fu l'istitutore dei figli di Lorenzo
ed intraprese la carriera ecclesiastica, preoccupandosi però solo delle rendite. Egli si dedica agli studi sul
culto della parola, che si apre a possibilità diverse. Nella sua attività distinguiamo due momenti: negli anni
'70 si concentrò sulla poesia, sia in latino che in volgare; poi fu professore nello Studio fiorentino,
dedicandosi a scritti filologici ed eruditi. Il Suo primo esercizio poetico fu una traduzione in latino
dell'Iliade e produsse poi opere in greco e latino.
Le Stanze per la giostra
Capolavoro in volgare di Poliziano che celebra la vittoria del fratello minore di Lorenzo in una giostra
militare del 1475. L'autore attribuisce a quest'occasione un valore politico, umano e simbolico, legandola
all'amore di Giuliano per Simonetta Cattaneo. Per via dell'uccisione di Giuliano nella congiura dei Pazzi le
Stanze rimasero incompiute. Le prime ottave esaltano Firenze ed i Medici, quindi appare Giuliano. la cui
vicenda è celata sotto quella del giovane Iulo. Il dio Amore, durante una spedizione di caccia, conduce Iulo
lontano dai compagni e lo fa incontrare con Simonetta, che provoca in lui un turbamento amoroso. Amore
poi si reca dalla madre Venere ed esalta Lorenzo come innamorato e poeta; Venere dispone che Iulo. per
conquistare Simonetta, dia prova del suo valore nelle armi. Le vicende si collocano in una dimensione
mitica, dove trionfa una natura splendente, ma consumata da un fremito sensuale: una bellezza perfetta e
insieme fragile caratterizza Simonetta. Il poeta passa dal toscano corrente a riprese da Dante, Petrarca e
Boccaccio; numerose le citazioni umanistiche da autori greci e latini.
La Favola d'Orfeo
Forse composta a Mantova nel 1480, è il primo esempio di una letteratura drammatica. Si tratta della
messa in scena della vicenda di Orfeo: Poliziano rappresenta la morte di Euridice, il dolore di Odeo e la sua
discesa agli Inferii dove ottiene la liberazione dell'amata, a condizione che non si volti a guardarla prima di
aver raggiunto il mondo dei vivi; il mancato rispetto di questa condizione fa sì che Euridice torni alla morte.
Orfeo, disperato, rinuncia all'amore, ma è punito dalle Baccanti che lacerano il suo corpo. ln lui possiamo
scorgere il poeta. nella perdita di Euridice quella della giovinezza, nelle Baccanti l'esplosione di una forza
irrazionale che mette in dubbio l'equilibrio umanistico di bellezza, poesia, storia e gloria. Ritomo a Firenze:
il Poliziano filologo e umanista
Nel 1480 Poliziano, per volere di Lorenzo, torna a Firenze come professore di dialettica greca e latina. Egli
ha rinunciato al sogno di un mondo poetico ideale e si interessa a studi più concreti, applicando il metodo
filologico umanistico all'interpretazione di testi greci e latini, convinto che in ogni parola dell'uomo sia
depositato un profondo valore storico. Sotto l'influenza di Pico della Mirandola si impegna nello studio
della filosofia e della logica aristotelica. Egli divenne un modello per la poesia teatrale e per la favola
pastorale e il melodramma.
LA LETTERATURA DELL'ITALIA PADANA
La letteratura delle corti padane
Nelle corti principesche e signorili si sviluppa nel secondo '400 una letteratura in volgare. Questa
letteratura si sviluppa con notevole libertà nelle scelte linguistiche, con una persistenza di forme dialettali
e locali, e adotta nuovi stili e temi: utilizza una lingua aperta a influssi di vario genere. Il genere dominante
è la lirica amorosa. modellata su un petrarchismo che, pur senza perseguire una fedeltà assoluta al
modello, ne deriva vari temi. Altro genere predominante è quello teatrale: oltre a commedie latine si
mettono in scena vari spettacoli di argomento mitologico o pastorale. Particolare è la posizione di
Bologna, legata alle tradizioni comunali, nella quale l'università conserva un peso fondamentale e si
sviluppa una cultura umanistica molto vivace.
La cultura ferrarese
A Ferrara lo sviluppo della cultura è favorito dal marchese Leonello e dai duchi Borso ed Ercole l, al cui
servizio ci fu il pesarese Pandolfo Collenuccio. autore di dialoghi paradossali sia in latino sia in volgare.
Ricca è la letteratura cortigiana in volgare: tra i componimenti drammatici ricordiamo la Fabula di Cefalo di
Niccolò da Correggio. Ma la corte di Ferrara riveste un ruolo fondamentale soprattutto per la fortuna del
romanzo: romanzi francesi e franco-veneti circolano liberamente. Le avventure degli antichi cavalieri,
dominate dalla passione per le armi e dal desiderio amoroso, affascinano la nobiltà estense, che vede in
esse un'immagine elevata del proprio mondo: nasce cosi un gusto cavalleresco cortigiano, con caratteri
abbastanza diversi dalla tendenza popolare dei cantari toscani.
MATTEO MARIA BOIARDO
Boiardo nacque nel 1441 da famiglia feudale vicina agli Estensi. La sua produzione poetica giovanile in
latino rivela una buona educazione umanistica: egli tradusse in volgare autori latini e greci. Dopo aver
soggiornato a Modena e Reggio Emilia fu chiamato a Ferrara come "compagno" del duca. Nel '76 iniziò la
stesura dell'Orlando innamorato. Tra 80 e 83 fu governatore di Modena e con gli Estensi fronteggiò la
guerra con Venezia: agli anni della guerra risalgono le Pastorali. IO egloghe di ispirazione virgiliana in
volgare. Boiaro sistemò la sua raccolta di liriche volgari, Amorum libri III, entro il 76: rivolta a celebrare
l'amore per Antonia Caprara, consta di 3 libri di 60 componimenti che corrispondono a un percorso
psicologico; Boiaro guarda a Petrarca, adottando però una lingua media cortigiana. Ne risulta una poesia
equilibrata e misurata, tesa a esaltare la felicità dell'amore.
L'Orlando innamorato
È un poema narrativo in ottave composto dal 1476 col sostegno del duca Ercole, che contribuì alla stampa
nell'83 in due libri. Il terzo libro fu interrotto, poco prima della sua morte, al canto IX, con un'ottava riferita
alla discesa dei francesi in Italia. La fortuna del poema sollecitò Ariosto a continuare la narrazione con
l'Orlando furioso. Il trionfo dei modelli linguistici toscani e bembeschi nel XVI secolo portò a una
svalutazione del poema. L'opera fonde epica carolingia e romanzo bretone ed oggetto della narrazione
sono le gesta dei paladini di Francia, cui si interseca la tematica amorosa tipica dei romanzi arturiani: la
novità è che Orlando, eroe epico per eccellenza, è presentato in preda alla passione amorosa. Amore è lo
spirito che muove l'universo e fa dei cavalieri e delle dame dei modelli di comportamento perfetto, in cui
si rispecchiano gli ideali della nobiltà contemporanea. La narrazione di quelle gesta vuole dilettare la corte
e stabilire un rapporto con gli ascoltatori, che si richiama alla tradizione dei cantari.
Vicende, personaggi, movimenti dell'Innamorato
Nell'opera si intrecciano storie di personaggi diversi e gli episodi si alternano, si interrompono, vengono
ripresi per poi interrompersi di nuovo, creando un effetto di suspense; il flusso narrativo pare non avere
un fine. Molti personaggi sono ripresi dai cantari, ma ci sono anche figure nuove, come Rodomonte.
Rugiero e Angelica, in cui si concentra tutto il fascino femminile: ella non si lascia mai afferrare, spingendo
i personaggi sempre più lontano. Il continuo movimento dei personaggi porta il lettore in luoghi magici e
incantati. La narrazione è spontanea e lontana dagli atteggiamenti umanistici che attribuivano a ogni dato
letterario complessi significati storici e ideologici. Molti sono i momenti di malinconia in cui sembra che gli
ideali di cortesia e gentilezza possano dissolversi e molti sono gli accenni comici: esemplari in tal senso
sono Astolfo e Brunello.
posizione storica dell'innamorato
Questo poema è un modello di letteratura cortigiana e passione per la virtù cavalleresca. Esso si affida alla
vitalità della narrazione e non a complessi sistemi e intenzioni ideologiche e forse per questa sua
spontaneità non ebbe fortuna. La lingua del poema segue le forme ibride della lingua comune dell'Italia
padana. Prevalgono elementi di tipo lombardo (specialmente a livello fonetico e morfologico) e spicca una
ricca varietà lessicale (forme dialettali e latinismi).
NICCOLO' MACHIAVELLI
La vita
Nacque a Firenze nel 1469 ed il padre gli impartì una buona educazione umanistica. Egli si schierò con gli
oppositori del Savonarola e alla sua caduta Machiavelli ottenne la carica di responsabile della seconda
cancelleria: doveva occuparsi di documenti riguardanti l'attività militare e diplomatica. Per svolgere le
missioni militari e diplomatiche, Machiavelli fece molti viaggi in Italia ed Europa. ricavando la conoscenza
delle strutture statali e militari del tempo. Le difficoltà della guerra contro Pisa e il cattivo comportamento
dei mercenari lo avevano convinto della necessità di creare un esercito permanente di fiorentini; contribui
a creare la magistratura dei Nove ufficiali dell'ordinanza e milizia fiorentina. Caduta la Repubblica,
Machiavelli fu licenziato e senza il lavoro egli si sentiva privato della sua ragione di vita. La situazione
peggiorò quando fu sospettato di complicità in una congiura antimedicea: dopo essere stato torturato e
imprigionato. si ritirò nel suo podere presso San Casciano. ln questo periodo scrisse // principe e iniziò i
Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio. Quando i Medici tornarono al governo di Firenze egli sperava di
poter riavere qualche incarico: per questo egli dedicò Il principe a Lorenzo de Medici, ma essi rimasero
diffidenti verso di lui e Machiavelli ottenne incarichi di scarso rilievo. Nel 1518 compose per uno
spettacolo dei Medici la Mandragola e l'anno successivo ottenne, per iniziativa di Giulio de Medici.
l'incarico di comporre una storia di Firenze. Nel 1525 offre Istorie fiorentine a papa Clemente VII e viene
rappresentata la sua commedia Clizia. La guerra della lega di Cognac, che contrappone Papa ed Impero, lo
vede impegnato in missioni militari e diplomatiche. Il sacco di Roma causa la caduta dei Medici e il ritorno
del regime repubblicano, che lo esclude dagli incarichi pubblici. Muore nel 1527. L'epistolario di
Machiavelli
Dalla biografia e dagli scritti di Machiavelli emerge che egli era molto legato a Firenze e alle sue istituzioni.
Le lettere familiari. scritte ad amici e conoscenti, non furono concepite per una pubblicazione e non
avevano solo una finalità pratica, ma miravano a creare un colloquio con i destinatari. Abbandonando i
rigidi canoni dell'epistolografia umanistica, esse comunicano il senso di una realtà varia, che richiede
all'uomo atteggiamenti diversi o contrastanti. Esse passano dalla riflessione più severa al gioco e allo
scherzo; in mezzo ad argomenti seri si può insinuare un sorriso beffardo e dissacrante, che affonda le sue
radici nella tradizione comica e realistica fiorentina. Il gruppo di lettere più significativo è quello rivolto a
Francesco Vettori. ambasciatore fiorentino a Roma tra 1513 e 1515: sono riflessioni sulla politica
contemporanea che si alternano a dati autobiografici, narrativi, comici. Macchiavelli ritiene che sia giusto
vivere sia gli aspetti quotidiani più comici e volgari. sia quelli più sublimi dell'impegno intellettuale.
Nell'ottica di Machiavelli la saviezza, obiettivo di ogni concezione umanistica, deve saper confrontarsi con
la vanità, scendere al livello più basso Gli scritti del periodo della cancelleria
Durante l'attività di cancelliere, Machiavelli ci ha lasciato molti che possiamo dividere in 3
categorie:
1. Legazioni: dispacci che inviava a Firenze durante le sue ambascerie.
2. Commissarie: scritti relativi a particolari incarichi interni, come le ispezioni nel territorio della
Repubblica.
3. Scritti di governo: quasi sempre a nome delle magistrature da cui dipendeva, per le varie occasioni
politiche.
Egli redasse anche scritti politici minori. dove notevole è lo spazio lasciato alle opinioni personali:
1502: Le vicende di Pistoia, sui modi per intervenire nelle lotte di fazione.
1503: Parole da dirle sopra la previsione del danaio (a sostegno di una legge fiscale), Sul carattere dei
Francesi (racconto della strage di Senigallia a opera del Valentino), Del modo di trattare i popoli della
Valdichiana ribellati (l'invito a prendere decisioni fulminee si unisce al suggerimento di imitare gli
antichi Romani).
1508: Rapporto delle cose della Magna, Discorso sopra le cose della Magna e sopra l'imperatore.
1512: Ritratto di cose di Francia, Ritratto di cose della Magna.
Ghiribizi: scritti nel 1506 e inviati a Giovan Battista Soderini: è una riflessione sulla varietà dei «modi di
procedere» degli uomini e sul successo che possono ottenere. Il successo sembra toccare solo chi
riesce ad adattare il proprio «modo di procedere» e il proprio carattere con i tempi e l'ordine delle
cose; ma tempi e cose mutano continuamente, mentre gli uomini non sono in grado e passano dal
successo alla rovina.
IL PRINCIPE
Questo trattato, in origine De principatibus, fu scritto in pochi mesi nel 1513 durante l'esilio ad
Albergaccio. Machiavelli intendeva dedicare l'opera a Giuliano de Medici, ma alla sua morte la dedicò al
nipote Lorenzo. Con quest'opera Macchiavelli voleva mostrare ai nuovi signori la sua competenza tecnica
e la disponibilità a collaborare per la realizzazione di un principato mediceo. L'opera circolò prima come
manoscritto e fu stampata nel 1532, con il titolo di Il principe. È composto di 26 capitoli di lunghezza
variabile, con titoletti in latino.
Capitoli I - XI: illustrano i vari tipi di principato e i mezzi per conquistarli e mantenerli. Ci sono due
categorie principali. ovvero principati ereditari e nuovi. Ci sono poi altre distinzioni: principati misti —
formati sopra preesistenti principati — principati civili — il principe riceve il potere dai cittadini —
principati ecclesiastici — il potere si identifica con l'autorità religiosa — principati nuovi —conquistati
avvalendosi delle armi proprie e della virtù. parla anche di coloro che ottengono il potere con la
crudeltà: essa può essere usata bene e può portare a vantaggi per i sudditi o essere usata male e
portare vantaggi solo per il sovrano.
Questa classificazione si intreccia con l'intento di risolvere il problema della sicurezza del
principato: o Il principe prudente deve sapere controllare una realtà complicata e mutevole;
Le soluzioni devono essere attinte per imitazione dalla storia antica e delle vicende politiche recenti.
È fondamentale la capacità di suscitare consenso nel popolo, anche se si è stati favoriti dalla fortuna.
Capitoli XII — XIV: dedicati al problema militare: l'esercito deve essere legato al principe e allo stato.
Machiavelli giudica negativamente le truppe mercenarie, che indica come la causa dei rovesci subiti
dai principi italiani poiché, non essendo legati al paese che difendono, non hanno grandi ideali oltre i
beni economici.
Capitoli XV — XXIII: definisce i comportamenti che il principe deve assumere. Egli ha lo scopo di
potenziare il suo principato, perciò deve prendere atto di tutti i mezzi che gli permettano di resistere
alle molte insidie. Il principe savio deve mostrarsi dotato di qualità morali positive, ma deve saper
assumere, se i tempi lo richiedono, anche comportamenti moralmente negativi. Deve offrire di sé una
immagine di pietà, ma, se necessario, deve saper essere crudele. Deve avvalersi dei metodi della volpe
— simbolo di astuzia — e del leone — simbolo di forza.
Capitolo XXIV: riflette sulle cause del crollo dei principi italiani di fronte alle invasioni straniere, che
Macchiavelli fa risalire alla loro incapacità di prevedere i tempi.
Capitolo XXV: problema del rapporto tra virtù e fortuna (destino), cioè tra la capacità di controllo dell'uomo e
gli imprevedibili mutamenti della realtà. Il successo sarebbe garantito se di fronte al mutare dei tempi, l'uomo
sarebbe capace di mutare a sua volta; ma gli uomini, per condizione naturale, sono incapaci di mutare.
Capitolo XXVI: invita i Medici a prendere le armi e a mettersi alla guida dei principi italiani per liberare
l'Italia dagli stranieri. Gli storici hanno sottolineato l'illusorietà di questo programma.
ln quest'opera Macchiavelli ribalta la concezione umanistica dell'uomo, basata sull'idea di una trasparenza
del comportamento: il bene e il male si pongono come necessità parallele per la lotta al dominio.
DISCORSI SOPRA LA PRIMA DECA Dl TITO LIVIO
I tre libri dell'opera prendono spunto dai primi dieci libri della storia di Roma di Tito Livio.
Sembra che già nel 1513 Macchiavelli avesse iniziato a scrivere quest'opera, interrotta però dalla stesura
del Principe. I Discorsi furono dedicati a due esponenti del circolo degli Orti Oricellari, Zanobi
Buondelmonti e Cosimo Rucellai. L'argomento è diverso da quello del Principe: non si pone la questione
dell'urgenza della fondazione e del mantenimento di un principato nuovo, ma il problema della vita delle
repubbliche e dello sviluppo delle loro strutture civili, in cui la partecipazione del popolo è fondamentale.
Machiavelli abbandona le posizioni del Principe, esaltando i regimi repubblicani ed individuando
nell'antica Roma il modello supremo.
• Primo libro: riguarda l'organizzazione intema dello Stato romano.
• Secondo libro: riguarda l'organizzazione militare dell'impero.
• Terzo libro: riguarda le azioni di singoli cittadini che portano alla grandezza di Roma.
Nei Discorsi la felicità e durata dello Stato repubblicano sono garantiti dai suoi valori originari, dai principi
e dagli ordini su cui esso si fonda. Tra i principi che hanno fatto grande la Repubblica romana c'è la
religione, che nella Roma antica stimolò all'azione e all'amor di patria; la religione cristiana invece ha
allontanato gli uomini dall'impegno nella realtà mondana e quindi la Chiesa ha grandi responsabilità
nell'attuale situazione dell'Italia. Come corpi organici, gli Stati nascono, crescono e muoiono: la storia è
regolata da un movimento ciclico di nascita, crescita, distruzione e rovina a cui seguono la rinascita, una
nuova crescita e poi ancora distruzione. La riflessione dei Discorsi è di tipo pessimistico: gli stessi
ordinamenti che rappresentano la forza dello Stato si trasformano anche in cause di debolezza. Lo stato
può sottrarsi alla rovina solo ricostituendo i fondamenti originari.
Machiavelli poeta
Per Machiavelli la poesia è una forma naturale di comunicazione all'interno delle classi dirigenti fiorentine:
la sua produzione in questo campo è quasi tutta d'occasione e legata ai generi tradizionali della cultura
fiorentina — canti carnascialeschi. un capitolo pastorale, una Serenata in ottave, due strambotti, alcuni
sonetti.
Il Decennale (1504), legato all'attualità storica e politica e costruito sul modello linguistico della
Commedia, è un poemetto in terza rima in cui si riassume la storia di Firenze e d'Italia tra 1494-1504. Dieci
anni dopo, Machiavelli diede inizio a un Decennale secondo, ma si fermò agli avvenimenti del 1509
lasciandolo incompiuto.
Negli anni della lontananza dalla vita politica (1516-17), egli progettò un poema in cui riunire gli aspetti
della sua concezione dell'uomo, l'Asino, poema in terza rima rimasto incompiuto prima della
trasformazione dell'autore in asino, mezzo paradossale per guardare alla rovescia il mondo umano.
Machiavelli comico
L'interesse per il comico si manifesta soprattutto nelle lettere familiari, ma lo porta anche ad affrontare i
generi della novella e della commedia. Negli anni della cancelleria egli scrisse un certo numero di novelle,
secondo la tradizione della «spicciolata» fiorentina, ma l'unica sua novella giunta a noi è Belfagor
Arcidiavolo. in cui egli si riallaccia ad alcuni temi tradizionali della novellistica: la malignità delle donne e
delle mogli, la rappresentazione comica del mondo diabolico e dell'astuzia dei contadini, il meccanismo
della beffa.
Il gusto della maschera e della finzione indirizza Machiavelli verso il teatro:
Mandragola
Capolavoro del teatro volgare del 500. Fu scritta e stampata nel 1518 e fu rappresentata per le nozze di
Lorenzo de Medici. I modelli sono Plauto e Terenzio, ma anche Ariosto e Boccaccio per il racconto della
beffa. Il prologo è in forma di canzone (il resto è in prosa) e si rivolge agli spettatori con aggressività. Esso
vuole mostrare come la scrittura della commedia sia per l'autore un modo di confrontarsi con la sua
condizione presente, essendogli impedite attività di altro genere. La vicenda si svolge a Firenze: Callimaco
vuole conquistare Lucrezia, moglie del vecchio Nicia che vuole a tutti i costi dei figli. Con l'aiuto dell'amico
Ligurio, Callimaco, in veste di famoso medico, convince Nicia che l'unico modo per avere figli sia quello di
somministrare alla moglie una pozione di mandragola, ma il primo che avrà rapporti con lei morirà.
Callimaco dice a Nicia che a morire sarà un garzone, ma in realtà sarà lui stesso a travestirsi. Quando
Lucrezia scopre la Vera identità di Callimaco, acconsente a diventare sua amante e Callimaco ottiene
dall'inconsapevole Nicia, contento della futura patemità, il permesso di abitare in casa sua e di godere
delle grazie di Lucrezia. La commedia è di carattere beffardo e mostra come il confronto tra gli uomini sia
possibile solo in forme distorte. Lucrezia appare all'inizio una donna virtuosa ma, di fronte all'inganno di
Callimaco, sa mutare natura.
La Clizia
Fu recitata nell 525 ed è fedele ai modelli della commedia latina. È basata sull'amore del vecchio
Nicomaco per la schiava Clizia e sulla beffa a cui la moglie sottopone l'innamorato, costringendolo ad
abbandonare il suo desiderio. Il conflitto tra giovinezza e vecchiaia si traduce in amara consapevolezza dei
limiti di quest'ultima: a Nicomaco non è possibile cambiare natura. Alla comicità sarcastica della
Mandragola se ne sostituisce una più amara.
L'arte della guerra e gli ultimi scritti politici
Dell'arte della guerra: dialogo in 7 libri stampato nel 1521. L'opera presenta un dialogo irnmaginario
avvenuto nel 1516 negli Orti Oricellari tra il vecchio condottiero Fabrizio Colonna. di passaggio a Firenze e
Cosimo Rucellai, Zanobi Buondelmonti, Battista della Palla e Luigi Alamanni. Tramite le parole di Colonna,
Machiavelli presenta le sue riflessioni sul problema militare. ln primo piano sono la polemica contro le
armi mercenarie e l'esigenza di collegare l'attività militare alla vita civile dello Stato per il rafforzamento
della pace. Viene rivendicata la funzione essenziale della fanteria, secondo il modello militare dell'antica
Roma e si sottovalutano i nuovi metodi bellici (artiglieria). Legato all'ideologia degli Orti Oricellari,
Machiavelli vede nella «virtù» romana un modello assoluto, ma doloroso è il confronto con la perfezione
di quel modello e la difficoltà di concretizzarlo. Machiavelli storico
Vita di Castruccio Castracani: stampata nel 1520 in appendice all'Arte della guerra. È dedicata a Zanobi
Buondelmonti e Luigi Castracani e narra la vita del condottiero lucchese del 300. È una prova di scrittura
storica, secondo il modello delle biografie classiche e umanistiche di uomini illustri.
Istorie fiorentine: commissionate nel 1519 dallo Studio fiorentino, furono consegnata a papa Clemente VII
nel 1525.
Primo libro: sintesi della storia d'Italia dalla caduta dell'Impero Romano al 1434.
Libri "-IV: riassumono la storia di Firenze dalle origini al 1434.
Libri V-VIII: narrano la storia di Firenze e d'Italia dal 1434 alla morte di Lorenzo il
Magnifico.
Nonostante siano state composte per incarico dei Medici, le Istorie si presentano come un'opera
spregiudicata e indipendente, libera da ogni servilismo cortigiano. Machiavelli non vuole esaltare le
imprese eroiche, ma denunciare la condotta dei principi e dei governi del 400. Il richiamo all'antica Roma
porta a una condanna del passato di Firenze, ma anche all'attesa di un grande legislatore che salvi
quest'ultima dalla rovina.
Il mito di Machiavelli
Dopo la morte di Machiavelli il suo nome e la sua opera conobbero un'ambigua fortuna: i suoi insegnamenti
politici ebbero una grande risonanza, ma furono anche condannati come contrari ad ogni senso etico o religioso.
Nel 1559 le opere di Machiavelli furono inserite nell'indice dei libri proibiti, ma continuano a circolare, talvolta
confutate, talvolta utilizzate dai teorici della ragion di Stato. Si diffonde la formula "il fine giustifica i mezzi". Nei
secoli successivi sono stati elaborati nuovi miti, di tipo non più negativo ma positivo: al politico diabolico si è
sostituito il teorico dell'assolutismo moderno, il precursore del Risorgimento e dell'indipendenza italiana.

LUDOVICO ARIOSTO
Vita
Nacque a Reggio Emilia nel 1474: il padre era al servizio degli Este. Abbandonò gli studi di diritto che aveva
cominciato, per scegliere quelli letterari. Costretto a provvedere alla famiglia dopo la morte del padre. si
mise al servizio del cardinale Ippolito d'Este, della famiglia dei signori di Ferrara. Quest'ultima e la corte
estense rappresentavano per lui un segno di stabilità e sicurezza in mezzo a quell'Italia sconvolta. Ariosto
si trovò in una condizione molto subordinata di fronte ai suoi signori, ma grazie alla sua condizione di
nobile e ai benefici ecclesiastici ottenuti riusci a conquistarsi degli spazi di autonomia. Nel 1505 iniziò
l'Orlando furioso e si impegnò nel teatro di corte, scrivendo e mettendo in scena due commedie. Cassaria
e I Suppositi, primi esperimenti del nuovo teatro volgare. Nel 1516 usci la prima edizione dell'Orlando
furioso, dedicata ad Ippolito, che però non dimostrò alcuna gratitudine.
Ariosto si dimostrò un abile uomo di govemo anche in situazione difficili: seppe affrontare i problemi della
Garfagnana. una regione povera e invasa dai banditi, di cui gli era stato affidato il governo.
L'ultimo periodo della sua vita, dal 1525 fino alla morte nel 1533, fu tranquillo: acquistò una casa dove
visse con la compagna Alessandra Benucci dedicandosi alle ultime opere e alla sistemazione dell'Orlando
furioso.
La lirica di Ariosto
La lirica latina
Sul modello della letteratura classica e della produzione poetica umanistica, Ariosto, tra 1494-1503. scrisse
67 componimenti, tra cui: I diversi amori, il carme del 1495 per l'inaugurazione dell'anno accademico
dell'università (Le lodi della Sapienza a Ercole I duca di Ferrara), il carme nuziale per le nozze di Alfonso
d'Este con Lucrezia Borgia, gli epigrammi e gli epitaffi, che con sottile ironia tratteggiano in poche battute
gustose
figure umane.
La poesia volgare
Ariosto si dedicò poi alla poesia in volgare, seguendo le suggestioni dell'ambiente ferrarese: gli Amores di
Boiardo, la lirica cortigiana, il petrarchismo di Bembo. Ariosto lavorò alle Rime nel primo decennio del 500:
egli non sistemò queste liriche in un canzoniere completo e la loro raccolta fu pubblicata postuma nel
1546. Ariosto sceglie una soluzione intermedia tra il petrarchismo cortigiano e quello di Bembo. Egli non
esalta l'esperienza amorosa come qualcosa di assoluto ed inaccessibile, ma cerca un legame sereno con la
donna. La parte più originale delle Rime è costituita dai capitoli in terza rima: componimenti di 100-150
versi in terza rima. un capitolo in terza rima poteva essere inviato come lettera poetica e includere varie
riflessioni morali e politiche. Stretto fu il rapporto di questo genere con la satira che nel XVI secolo adottò
spesso la terza rima.
Le commedie
Le prime commedie volgari sono di alto livello letterario e faranno da modello per tutto il nuovo teatro
volgare. Mentre le commedie latine erano in versi, Ariosto si serve qui della prosa, più aderente alla realtà.
Le commedie s'incentrano sul conflitto tra giovani e vecchi: con vari stratagemmi i primi cercano di
realizzare i loro amori contro la volontà dei secondi e alla fine tutto si sistema per il meglio. Gli eventi si
svolgono in ambienti cortesi, in città, che non è solo luogo di eventi comici per rallegrare la corte, ma
anche di lievi critiche alla corte stessa. Le prime commedie volgari di alto livello furono rappresentate nel
palazzo ducale di Ferrara nei carnevali 1508-1509: La Cassaria, dove troviamo un linguaggio comico
teatrale senza precedenti, elaborato tramite il susseguirsi di finzioni e diverbi ed I Suppositi, dove Ariosto
fa nascere il comico da una serie di scambi di persona e artifici strutturali.
La guerra del 1509 interruppe la sua attività teatrale, che riprese solo dopo la prima stesura dell'Orlando
Furioso: allora egli passò al verso e scelse l'endecasillabo sdrucciolo. Ne derivano Il Negromante, che
sviluppa i temi della magia e della follia e La Lena (1528), costruita su un complicato intreccio di amori e
conflitti familiari: il marito di Lena, ruffiana di mezza età, tollera di buon grado le sue tresche. Lena vede i
rapporti umani come crudamente materiali.
Le Satire
Dopo l'Orlando Furioso, Ariosto si dedica alla satira. ricollegandosi a quelle di Orazio e fissando i caratteri
di questo genere nell'ambito del volgare con la struttura del capitolo in terza rima.
Tra 1517-1525 egli scrisse 7 satire a parenti o amici e le ordinò in un sistema coerente.
Satira I (1517): rivolta al fratello Alessandro e all'amico Ludovico da Bagno, anch'essi al servizio di
Ippolito d'Este. Qui il poeta giustifica il suo rifiuto di seguire il cardinale in Ungheria e rivendica la sua
libertà.
Satira Il (1517): rivolta al fratello Galasso; il poeta esprime il Suo rifiuto di intraprendere la carriera
ecclesiastica e critica duramente la Curia romana.
Satira III (1518): il cugino Annibale è il destinatario di una riflessione dell'autore che sviluppa il tema
della libertà e l'amore per la vita domestica. Ariosto ci dice che il nuovo lavoro gli consente un margine
di autonomia individuale, rifiuta la carriera e denuncia ancora la superficialità e la sciocchezza delle
ambizioni umane.
Satira IV (1523): scrivendo al cugino Sigismondo, Ariosto racconta la sua esperienza in Garfagnana, che
si presenta difficile sia per la natura ostile del luogo sia per il fenomeno del brigantaggio.
Satira V (1519-1523): rivolta ad Annibale, questa satira tratta del tema del matrimonio, cui il parente si sta
accingendo. Il tono è prevalentemente scherzoso.
Satira VI (1524-1525): il destinatario è Pietro Bembo, cui il poeta si rivolge in cerca di un maestro di lingua greca
per il figlio Vlrginio. Il tono è ironico.
Satira VII (1524): rivolta a Bonaventura Pistofilo, segretario del duca Alfonso. Ariosto rifiuta la proposta
di diventare ambasciatore per Clemente VII, ribadendo il Suo ideale di vita sereno e lontano dai
problemi della vita politica e di corte.
Agli argomenti principali si intrecciano temi secondari, che derivano dal procedere del discorso, fatto di
considerazioni morali, notazioni realistiche, ricordi personali e spunti comici. Il poeta rivendica il proprio legame
con la dimensione quotidiana, rifiuta le ipocrisie del mondo cortigiano e clericale e coltiva un ideale di vita
tranquilla, dedicata allo studio alla poesia. Il linguaggio è medio, lontano da quello della tradizione lirica, fatto di
termini realistici e quotidiani.
ORLANDO FURIOSO
Tempi e fasi di redazione
L'Orlando furioso è un poema cavalleresco in ottave concepito come continuazione dell'Orlando
innamorato. L'opera ha una struttura aperta poiché è concepito come un'immensa rete di storie che
potrebbero moltiplicarsi all'infinito. Questo poema mirava a imporsi all'intera società letteraria, a
confrontarsi con i classici, con le prospettive della cultura umanistica. È la prima opera della letteratura
moderna ad essere pensata e curata in vista di una diffusione a stampa. La prima edizione, in 40 canti,
usci a Ferrara nel 1516 e la seconda apparve nel 1521, con varie correzioni. La lingua dell'opera fu poi
rivista e furono composti nuovi episodi: ne risultò una terza edizione, in 46 canti, apparsa nel 1532. Il
successo fu eccezionale e presto si ebbero traduzioni in lingue straniere.
I critici parlano delle edizioni del 16 e del 32 come di testi diversi, connessi a differenti occasioni storiche:
la prima viene interpretata come un romanzo padano, la seconda come realizzazione di un nuovo
classicismo volgare, che inserisce tutte le componenti del primo Furioso in un orizzonte letterario
nazionale.
Trama
Di molti materiali narrativi si possono identificare le fonti, ma cib non sminuisce l'originalità della
narrazione. I molteplici episodi si intrecciano tra loro secondo una serie di sottili rispondenze, sospensioni
e riprese, creando un clima di suspense. I vari livelli del racconto risultano fusi da richiami tematici e
figurativi: un ruolo importante hanno gli esordi dei canti, in cui l'autore si concede uno spazio di
riflessione morale e di dialogo con i lettori, spesso con l'allusione a eventi del suo tempo. Le vicende si
possono ricondurre a tre nuclei:
La guerra: mossa da Agramante contro Carlo Magno, che oppone cavalieri cristiani e saraceni
La passione di Orlando per Angelica: da questa passione emerge un elemento nuovo, la follia del
paladino (dopo la fuga di Angelica con Medoro) e il suo successivo rinsavimento (Astolfo recupera il
suo senno sulla luna).
Amore tra Ruggiero e Bradamante: si conclude con la conversione di Ruggiero al Cristianesimo e le
Il primo nucleo fa da impalcatura per l'intero poema. il cui centro geografico è Parigi: nei canti contrastano
due forze opposte, una che porta lontano da Parigi in luoghi esotici o fantastici ed una che riporta a quella
città. Per i primi undici canti la guerra lascia spazio alle avventure dei singoli eroi. Ariosto riprende dalle
canzoni di gesta temi come la guerra e l'eroismo e dai romanzi cavallereschi i temi dell'amore,
dell'avventura e della magia. I personaggi rompono gli schemi della letteratura cavalleresca poiché
rivelano personalità sfaccettate e complesse. Grazie all'ironia rmette alla prova la logicità del mondo: egli
non propone mai verità assolute e interpretazioni univoche e questo dipende anche dalla molteplicità dei
punti di vista nel poema. Spazio e tempo sono vaghi e la dimensione in cui si ambienta il poema è sempre
tutta esterna.
L'autore e il suo pubblico
Il Furioso è pieno di richiami a situazioni, fatti. personaggi della realtà in cui Ariosto vive e che segnata
dalle guerre d'Italia. I destinatari Sono innanzi tutto le donne, a cui Spesso egli si rivolge con complimenti
o battute pungenti. I destinatari sono anche gli amici e i letterati in grado di apprezzare il valore della sua
opera.
Temi
L'ironia di Ariosto mostra il carattere finzionale del mondo cavalleresco e riduce i modelli eroici a pura
invenzione narrativa. L'ironia non ha come obiettivo il mondo cavalleresco, ma in generale le incoerenze
dell 'agire umano.
Il tema dell'eroismo percorre tutto il poema. specialmente gli episodi di guerra. Il poeta distingue i
cavalieri dalle masse dei combattenti e distingue tra mondo pagano negativo e quello cristiano positivo.
All'eroismo si affianca la pazzia, diffusa in tutto il poema: in primo piano è la follia di Orlando, paradossale
perché colpisce il cavaliere che dovrebbe essere il savio per eccellenza. Alle radici della pazzia c'è il
desiderio di oggetti irraggiungibili e quello amoroso. Angelica è l'immagine del desiderio, è l'oggetto
amato che si sottrae all'amante. A pazzia e desiderio si collega la magia: nel poema agiscono personaggi
capaci di creare immagini ingannevoli, ma il loro intervento è facilitato dalla disponibilità dei personaggi a
lasciarsi illudere. Il potere della magia nasce dal fatto che i rapporti umani sono dominati da apparenze. La
saggezza sta nella consapevolezza che la follia è inevitabile ed i comportamenti unilaterali, lontani dal
dubbio, possono produrre la follia più pericolosa: la vita sociale non dà spazio alla trasparenza assoluta.
Come nella vita, nel poema non si dà una realtà unica e oggettiva: i punti di vista sono molteplici e
contrastanti; l'ironia permette di vedere il rovescio di Ogni situazione.
TORQUATO TASSO
Vita
Nacque a Sorrento nel 1544. La madre era una nobildonna toscana ed il padre era un uomo di corte e
poeta. Dopo aver studiato a Napoli, Tasso raggiunse il padre a Roma e nel 1557 si trasferi ad Urbino, dove
venne a contatto con l'ambiente cortigiano. Nel 1560 studiò filosofia e letteratura all'università di Padova.
Nel 1562 scrisse un poema cavalleresco, il Rinaldo e compose rime d'amore per delle dame. Nel 1565 fu
assunto al servizio di Luigi dEste e si trasferi a Ferrara. Egli si inseri facilmente nei rituali cortigiani e fu
apprezzato da gentiluomini e dame per le sue doti poetiche. Nel 1577 passò al servizio del duca senza
incombenze precise: poté dedicarsi del tutto alla poesia. Nel 1575 ultimò la stesura del poema sulla
Crociata e per il successo riscosso fu nominato storiografo di corte. Ma il successo si trasformò presto in
insoddisfazione, desiderio di fuga, ricerca di valori perduti. Per sfuggire a questo stato di insoddisfazione
andò a Roma per il giubileo. Iniziò ad accentuarsi la sua pazzia: nel 1577 assali con un coltello un servitore
da cui si credeva spiato e si autoaccusò al Tribunale dell'lnquisizione, ma fu assolto. Tasso viaggiò in Italia e
quando tornò a Ferrara il duca lo fece rinchiudere come pazzo nell'ospedale di Sant'Anna. Mentre si
trovava li, la Gerusalemme Liberata fu pubblicata senza il suo consenso, in un'edizione incompleta e
scorretta, evento che lo turbò molto. Il ricovero terminò nel 1586, quando il duca Vincenzo Gonzaga di
Mantova ottenne che il poeta fosse affidato alla sua custodia. ln questo periodo si concentrò sul
rifacimento del poema, che ripubblicò nel 1593 col titolo di Gerusalemme conquistata. Tasso morì nel
1595.
Conflitti psicologici e figura intellettuale di Tasso
Ciò che è peculiare in Tasso è l'identificazione totale con le sue opere. il confronto continuo con i valori
sociali dominanti, l'aspirazione ossessiva al successo. Il luogo deputato a questo riconoscimento sociale
era per lui la corte, ma nell'amara esperienza quotidiana egli si accorge dell'impossibilità di
un'identificazione completa e felice con l'ambiente a cui si rivolge: ecco allora l'insoddisfazione, il
desiderio di fuga, la ricerca delle proprie origini perdute. Con la sua opera si propone di diventare ciò che il
padre non ha potuto essere fino in fondo; ma da qui gli deriva un Senso di colpa, poiché ripetere
l'esperienza paterna è come porsi in concorrenza con lui. Per questo l'atteggiamento di Tasso verso
l'autorità è ambiguo: in essa scorge qualcosa di paterno, ma non riesce a uniformarvisi interamente. La
coscienza del proprio valore individuale lo induce a sognare una libertà impossibile che, scontrandosi con
le norme sociali, accresce il suo senso di colpa e IO spinge ad autopunirsi. Egli soffre di manie di
persecuzione e solo quando può aggrapparsi a valori rassicuranti, trova la quiete interiore. Vediamo
questa complessa situazione psicologica e intellettuale in Le Lettere, un epistolario comprendente circa
1700 lettere, che si presenta come un'autobiografia intellettuale in cui il poeta crea il proprio mito. Lo stile
è ricercato ed elegante; i temi sono il dolore, la vita di corte, i viaggi, la condizione di recluso durante la
prigionia. La scrittura lirica
Tasso scrisse molte liriche ed un primo gruppo fu pubblicato nel 1567 nella raccolta Rime degli Academici
Eterei, poi diventata Rime e prose. Le Rime sono divise tra rime d'amore e rime encomiastiche. Tasso
previde anche una terza parte di rime religiose ed una quarta di rime destinate alla musica, ma non
realizzò il progetto.
Nelle rime amorose è riconoscibile l'influenza della poesia petrarchegca. Sono caratterizzate dall'uso di
forme metriche poco usate dai poeti precedenti, come il madrlgale, e dalla raffinata musicalità dei versi.
Nelle liriche encomiastiche Tasso cerca di tradurre negli schemi della lirica volgare i modelli della lirica
eroica classica, sul modello del pindarismo: prende spunto da immagini emblematiche in cui sono
riconoscibili il signore o la famiglia da esaltare; spesso il tono encomiastico lascia insinuare accenni
autobiografici, come in Al Metauro.
Le rime religiose furono scritte negli ultimi anni di vita. Il poeta manifesta il desiderio di sconfiggere l'ansia
e il senso del peccato tramite la fede e l'espiazione: appare nelle vesti di un devoto che tramite la
preghiera vuole lenire il dolore.
• Madrigale: componimento lirico breve. La forma originaria era costituita da una serie di endecasillabi
(6-14) ripartiti in brevi strofe con rima baciata finale. Nel 500 la struttura metrica si ridusse ad una
stanza di endecasillabi 0 settenari a rima libera 0 senza rima, con rima baciata finale. I temi erano
amorosi, morali e religiosi.
• Pindarismo: imitazione di Pindaro; pindarica è ogni poesia destinata a celebrare grandi imprese, ricca
di elementi mitologici ed eroici, piena di passaggi da un tema all'altro. Il linguaggio è elevato ed i temi
sono en igmatici.
AMINTA
Scritta nel 1573, l'opera rientra nel genere della favola pastorale. Con quest'opera, Tasso opera una sintesi
tra mondo pastorale e cortigiano: l'immagine poetica tradizionale dei pastori si trasforma in specchio della
Vita di corte. Da una parte troviamo una vita semplice e sentimenti spontanei. che rappresentano
l'evasione dal mondo delle corti, dall'altra gli aspetti più frivoli ed edonistici della Vita cortigiana.
Personaggi
L'universo pastorale permette di mettere in scena personaggi che raffigurano esponenti della corte
ferrarese:
• Tirsi è un'immagine dell'autore, saggio, sazio della vita di corte ed insoddisfatto.
• Dafne, immagine della dama di corte, è delusa per la consapevolezza del consumarsi di ogni bellezza
materiale.
• Elpino. dietro il quale si intravede Pigna.
La favola presenta l'amore del pastore Aminta per la ninfa Silvia: ella fugge l'amore e preferisce la caccia.
ma Dafne cerca di convincerla ad accettare l'amore di Aminta, mentre Tirsi aiuta Aminta a vincere la
timidezza e ad avvicinarsi a lei. Le parole e le azioni di Dafne e Tirsi sembrano voler trasformare in
spettacolo l'innocenza dei giovani. Nell'atto III la pastorella Nerina fa pensare che Silvia sia morta sbranata
dai lupi: ma Silvia torna nell'atto IV e chiarisce l'equivoco, ma apprende che Aminta, disperato, si è ucciso
buttandosi da un burrone. Silvia si pente della sua ritrosia e rimpiange l'amante. Nell'atto V veniamo a
sapere da Elpino che anche quella di Aminta è stata una morte apparente: la sua caduta è stata attutita da
un cespuglio e ora tra i due giovani trionfa l'amore. Le azioni vengono quasi tutte narrate in dialoghi tra i
vari personaggi e i racconti creano simmetrie, duplicazioni, punti di vista incrociati. I cori che concludono
ogni atto offrono un insegnamento: il primo coro dell'atto I invita ad amare e ad afferrare l'ora che fugge,
quello dell'ultimo atto esalta la dolcezza della vita amorosa.
GERUSALEMME LIBERATA
Genesi, composizione e revisione del poema
L'esempio del padre spinse Tasso a interessarsi alla narrazione in versi e ai poemi cavallereschi: presto
nacque in lui l'idea di un poema sulla prima Crociata e sulla liberazione del Santo Sepolcro di
Gerusalemme dagli infedeli. Tra 1559-61 scrisse 1 16 stanze di un poema dedicato al duca di Urbino
Guidobaldo Il della Rovere, ma poi preferi seguire la via del romanzo cavalleresco e nel 1562 pubblicò un
poema in 12 canti in ottave, il Rinaldo. L'arrivo a Ferrara nel 1565 e il contatto con un pubblico
appassionato di poemi cavallereschi spinsero Tasso a riprendere il progetto. La prima stesura del poema,
in ottave e in 20 canti, terminò nel 1575 e venne letta ad Alfonso Il e alla sorella Lucrezia. Durante il
periodo al Sant'Anna, da uno dei manoscritti fu tratta un'edizione dei primi 14 canti chiamata Goffredo.
Tasso affidò allora a Febo Bonnà la prima edizione del poema, dal titolo Gerusalemme liberata; dedicata al
duca Alfonso Il, apparve a Ferrara nel 1581. L'edizione curata da Scipione Gonzaga, apparsa a Mantova nel
1584, presenta alcuni interventi di censura. Nell'U scoppiò una polemica poiché la Gerusalemme liberata
veniva considerata superiore all'Orlando Furioso: colpito dalle critiche, Tasso pubblicò un'Apologia della
Gerusalemme liberata. Volendo uniformarsi alle regole aristoteliche e all'ideologia della Controriforma.
Tasso intraprese una riscrittura del poema richiamandosi all'Iliade di Omero. Ne derivò la Gerusalemme
conquistata, in 24 canti. Nel nuovo testo vennero eliminati interi episodi e gli accenti più sensuali, mentre
si intensificarono le immagini eroiche e religiose.
La struttura narrativa della Gerusalemme liberata
Il tema della Crociata si presentò a Tasso come un evento unitario, che fondeva motivi bellici e religiosi e
che data la distanza storica gli avrebbe permesso di inserire elementi di finzione; il tema dava spazio al
meraviglioso cristiano, chiamando in causa interventi di Dio a favore dei Crociati e delle forze infernali a
favore degli infedeli.
Della prima Crociata si narra solo la fase finale, dall'ingresso dei Crociati in Palestina alla presa della città
santa e del Santo Sepolcro. L'azione ha in Gerusalemme il suo centro. Gli atti eroici dell'esercito crociato si
alternano agli inganni delle forze islamiche; sul campo cristiano vigila il capitano Goffredo di Buglione. A
Gerusalemme si sono insediate le forze del male, che spingono i cavalieri a errare e ad allontanarsi dal loro
obiettivo: Rinaldo. è destinato a contribuire alla conquista della città santa per volere divino. ma è
prigioniero della maga Armida. nel paradiso erotico delle Isole Fortunate. Rinaldo viene liberato da due
cavalieri e, purificatosi, può partecipare con successo all'assalto finale.
I personaggi
Protagonista del poema l'esercito crociato, che raffigura i valori con cui autore e pubblico si identificano;
tra i pagani si distinguono tra coloro che vengono presi d'assedio a Gerusalemme e coloro che agiscono
altrove. Essi incamano tutto ciò che è barbaro e lontano dai valori morali. Gli eroi dell'epica antica sono
tormentati da incertezze: non si distinguono solo per il loro valore, ma anche per la problematicità. Eroi
cristiani: Goffredo, Rinaldo e Tancredi:
Goffredo, ispirato da Enea, è un esemplare eroe controriformistico; ma il suo vigore è spesso insidiato
dal dubbio, dalla difficoltà di prendere rapide decisioni e di tenere unito l'esercito.
Rinaldo la sua partecipazione è essenziale per l'impresa: rappresenta l'eroismo puro e la volontà di
affermazione.
Tancredi è una figura malinconica. afflitto da un dramma interiore generato dall'amore per la guerriera
pagana Clorinda: è questo amore a separarlo dall'esercito cristiano. Egli compie un errore quando,
dopo un duello, uccide l'amata, scoprendone l'identità solo quando la donna, in punto di morte, gli
chiede di battezzarla. ln lui vediamo l'immagine dell'eroe vittima di una malattia d'amore, egli è un
primo esempio di
eroe romantico.
Quanto agli eroi pagani, Tasso li fissa in immagini di forza rovinosa, priva di prospettive morali. Essi
rimandano all'eroismo più elementare della tradizione cavalleresca. condannato alla sconfitta per il suo
carattere barbarico. Un posto particolare spetta alle eroine pagane, che hanno la funzione di distogliere gli
eroi cristiani dai loro
obiettivi:
Clorinda è una donna-guerriera, ma presenta un lato segreto con le Origini cristiane e la richiesta di
battesimo.
Armida, la maga, è un'esplicita un'immagine erotica. Innamoratasi di Rinaldo e da lui abbandonata,
essa cerca vendetta, fino a trasformarsi alla fine, dopo un tentato suicidio, in una remissiva fanciulla,
che Rinaldo sposa.
Erminia è una bellezza tutta raccolta in sé stessa ed il suo amore inconfessato per Tancredi si nutre di
ricordi, attese, esitazioni. Il suo desiderio più profondo è quello di assistere, proteggere e consolare
l'eroe ferito.
Temi e simboli del poema
I temi del racconto si caricano di valore simbolico, si riallacciano a strati profondi dell'anima collettiva ed
affondano nella sensibilità dell'autore, nelle contraddizioni del suo io. È forse la prima opera di tale densità
psichica, cosi carica di segni sotterranei e inquietanti. Pieno di risonanze è il paesaggio, che, per la sua
ricchezza di sfumature, è stato spesso definito lirico. Il mondo naturale diventa sfondo dell'universo
eroico: tutte le prove di coraggio vengono a scontrarsi, d'altra parte, con le condizioni materiali. Le gesta
eroiche sono segnate dallo sforzo, dall'orrore della morte e del sangue, ridimensionate da uno sguardo
amaro, cosciente della devastazione portata dalla guerra. L'orizzonte religioso è contraddistinto da una
pietà cerimoniosa; ma alcune figure, come il mago d'Ascalona, mostrano la ricerca di una più profonda
comunione con Dio e con lo spirito segreto della natura. Ala magia positiva si oppone quella diabolica, che
ostacola l'ordine morale e civile. La magia più presente è quella erotica, che si esprime attraverso
molteplici figure seducenti. L'amore appare sempre come qualcosa di affascinante, che intreccia artificio e
naturalezza, che mostra e nasconde gli oggetti del desiderio. Il rapimento estatico dell'eros culmina nel
giardino-labirinto di Armida, abitato da figure esotiche, immagini del peccato ma anche di evasione dalle
costrizioni sociali.
Stile e linguaggio
Egli pose grande attenzione all'e/ocuzione: per Tasso, per suscitare nel lettore meraviglia, era necessario
uno stile magnifico e sublime. Per ottenerlo fa uso di figure retoriche, calchi letterari classici e volgari, di
una continua frattura del ritmo metrico e sintattico. La lirica di Della Casa è per Tasso il modello per il
parlar disgiunto, fatto di spostamenti di parole, inversioni dell'ordine sintattico, rotture tra svolgimento
sintattico e metrico — enjambement. Il parlar disgiunto porta il linguaggio fuori da ogni dimensione
comune suscitando meraviglia. Eccezionali risultano le descrizioni "in movimento" che, seguendo il ritmo
della narrazione, svelano progressivamente i propri oggetti: le forme più affascinanti si svelano tra
l'apparire e il nascondersi. Tasso si esprime in una lingua labirintica, che si contorce su sé stessa, che si
appropria degli schemi classicistici piegandoli ai propri fini.
Una tensione senza soluzione
Alla Gerusalemme liberata è stato attribuito un carattere tragico o lirico: le interpretazioni in chiave tragica
insistono sulla cupa visione che nel poema si offre della vita umana, della fortuna, sul senso di caducità
che insidia bellezza e piacere. Altri interpreti hanno scorto il richiamo a valori ostacolati dalla cultura
ufficiale del tempo: la rappresentazione del mondo pagano e le promesse di felicità contenute in certi
episodi, susciterebbero consenso a livello inconscio, mentre gli aspetti eroici e religiosi costituirebbero un
omaggio di facciata alla Controriforma. Non c'è ironia 0 la gioiosa alternanza dei contrari, ma la loro
compresenza minacciosa.
1 DIALOGHI
Tasso scrisse dialoghi in prosa soprattutto a Sant'Anna, con la volontà di mantenere una conversazione
degna COI mondo colto e aristocratico anche nella situazione di prigionia. Egli Se ne servi per costruire
una soda di autobiografia, mettendo in scena la figura di uomo sofferente e presentandosi come
interlocutore col nome Forestiero Napoletano. Tra 1578-94 scrisse 26 dialoghi. Questi dialoghi partono da
alcuni materiali filosofici per rielaborarli. La filosofia e le scienze vengono riattraversate con una logica
ostinata, che combina punti di vista platonici e aristotelici. Poiché è usata come maschera sociale, la
filosofia viene messa a confronto con le inquietudini dell'autore, le tensioni psicologiche, il suo bisogno di
dare una nobile immagine di sé. Il più celebre, Il Messaggiero, è incentrato sul motivo degli spiriti che
entrano in contatto con l'io. Il padre di famiglia, che prende spunto dall'ospitalità ricevuta durante un
viaggio a Torino in una dimora di campagna, esalta la famiglia come luogo di equilibrio. Nel loro insieme i
dialoghi cercano la strada di un equilibrio tra i molteplici punti di vista della cultura letteraria e filosofica.
RE TORRISMONDO
La familiarità con la Poetica di Aristotele spingeva Tasso a rivolgere attenzione particolare alla tragedia. Tra
1573-1574 Tasso cominciò una tragedia, Galealto re di Norvegia, che però interruppe e riprese dopo la
liberazione dal Sant'Anna, cambiando il titolo: Re Torrismondo. È ambientato in una regione nordica,
compresa tra il Regno dei Goti e quelli di Norvegia e di Svezia. Tasso mostra la sua curiosità per le storie e
leggende del Nord dell'Europa. ln questo paesaggio cupo e desolato i personaggi si muovono smarriti: le
lunghe narrazioni e descrizioni non Creano un rapido movimento teatrale.
Trama: Torrismondo, principe dei Goti, chiede in moglie la figlia del re di Norvegia, Avida, per poi cederla
all'amico Germondo che ne è innamorato: una volta ottenutala, però, se ne innamora ed è ricambiato.
Nell'atto IV emerge il tema dell'incesto, tramite cui la tragedia pare ricollegarsi all'Edipo re di Sofocle.
Torrismondo scopre infatti che Alvida in realtà è sua sorella e cerca di allontanarla: disperata, Avida si
uccide, e cosi anche Torrismondo. Re Torrismondo anticipa le tragedie barocche. ln Tasso ciò che compare
fortemente è il conflitto che dilania l'animo dei personaggi: l'uomo è intrappolato dal fato, poiché
impossibilitato a modificare il corso degli eventi già predisposti.
LA LETTERATURA BAROCCA
Il barocco è un movimento letterario e culturale del 600 che è stato valutato negativamente. La
produzione letteraria, soprattutto per la poesia, non annovera nessun autentico capolavoro: la letteratura
finisce per essere insidiata dalla noia, da un senso di vuoto ed oppressione. La poesia non corrispondeva
più alle esigenze di legare la comunicazione poetica a modelli ideali, ma tendeva ad imporsi all'esterno. a
fare effetto sui lettori e ad esaltare le forme della vita presente. Sparisce così ogni dissidio tra linguaggio e
mondo sociale e storico. I maggiori scrittori del tempo vivono la loro attività intellettuale in una
dimensione mondana, cercando di affermarsi tra principi e corti con un esteriore adesione al sistema della
Controriforma. per questi intellettuali i materiali della tradizione antica e recente ispirano un'infinità di
temi e forme capaci di interpretare l'esperienza del presente.La veemenza di questa cultura nobiliare laica
sopravvive fino circa al 1630, ma il controllo rigido della Controriforma e la crisi economica portano quel
mondo a chiudersi in sé stesso. Anche nella letteratura in volgare prevalgono gli ecclesiastici e si afferma
un vero e proprio barocco letterario gesuitico. Nella seconda metà del secolo però, in una situazione di
arretramento e perdita di creatività, si affermano nuove tendenze che comportano linguaggi ed
atteggiamenti più equilibrati e razionali.
Giovan Battista Marino
Vita: nato nel 1569, si inserì subito negli ambienti dei nobili letterati, ma implicato in oscuri episodi
fuggì a Roma. Nel 1602 pubblicò a Venezia le Rime. Nel 1608 fu attratto dalla Corte del duca Carlo
Emanuele l, per cui compose il poemetto in sestine II ritratto del serenissimo don Carlo Emanuele duca
di Savoia. L'onore attribuitogli dal Savoia provocò la rivalità di un altro poeta che cercò di ucciderlo. Ma
Marino si vendicò con la poesia, scaricando contro di lui i sonetti della Murtoleide. Nel 1615 passò alla
corte di Francia, dove grazie allo stipendio di cortigiano visse una vita ricca e fastosa. Terminata la
scrittura di Adone si ritirò a Napoli. dove morì nel 1625.
La poesia di Marino è invadente, sempre pronta ad accedere. Egli vuole dar prova di sé ed esaltare il
proprio ingegno. Stretto è il rapporto tra il linguaggio poetico e l'uso sociale delle figure, documentato
dalla letteratura delle immagini. È attraverso le immagini che Marino esprime un'incontenibile sensualità
ed un ossessivo amore per il lusso. Egli attinge dai testi latini e volgari immagini, temi, forme e versi da
inserire nei suoi scritti: questo metodo stravolge l'uso umanistico e classicistico dell'imitazione, poiché per
lui imitare i classici non significava riprodurne valori e modelli, ma trarre da essi svariate situazione e
figure per orientarle in modi nuovi e sorprendenti.
Adone: poema in 20 canti in ottave. Il tema è l'amore di Venere per Adone, che suscita gelosie di vario
genere fino alla morte del giovane, ferito da un cinghiale. Il mito offre all' autore un libero punto di
riferimento per produrre infinite situazioni. Il poema sembra una negazione della forma romanzesca e
la vicenda è sommersa dal continuo avvicendarsi di immagini, luoghi, parole. Tutto il discorso è erotico
e sensuale: Adone è un antieroe.
L'Adone appare Come il poema della curiosità per gli aspetti del mondo, per le forme artistiche e tecniche
che l'uomo sa sovrapporre alla natura. Marino usa la letteratura senza mascherarla con ideali, in un totale
di impegno, con un' aggressiva volontà di successo individuale.
TASSONI: fu al servizio di signori diversi ed era convinto che i principi italiani dovessero recuperare
l'autonomia e la vitalità politica. Egli sperimenta molti temi ed atteggiamenti e si distacca dal
petrarchismo. Molti sono i suoi scritti poetici, ma quello di maggior successo è il poema in 12 canti in
ottave La secchia rapita, che si impose come modello del genere eroicomico. Esso narra le vicende di
una guerra tra ghibellini e guelfi, scoppiata per il furto di un secchio da un pozzo. Si mettono in scena la
vita ed i conflitti del mondo comunale del XIII secolo e Tassoni sbeffeggia gli orizzonti limitati e
municipali dei due partiti. La comicità non nasce da un rovesciamento dei valori della tradizione
cavalleresca, ma dal confronto tra il mondo volgare, chiuso nei suoi piccoli problemi, e le aspirazioni
eroiche di alcuni protagonisti legati ai modelli cortesi.
Poema eroicomico: nasce dalla crisi del poema cavalleresco e dalla fissazione del nuovo modello
"serio" di poema eroico. ln ottave, esso mira ad un gioco di alternanza tra serio e comico.
CHIABRERA: nato nel 1552, egli fu al servizio di varie corti ma stabilì un legame privilegiato con i
Medici. Egli scrisse molte opere nei generi più diversi, ma i risultati di maggior successo si ebbero nelle
strutture della canzone eroica e della canzonetta. Chiabrera seppe ricavare dai modelli classici nuovi
schemi, situazioni e forme.
TESTI: nato nel 1593, si inserì nella corte estense di Modena. Della Sua attività politica, dei suoi viaggi e
della sua curiosità per il mondo ci testimonia il suo epistolario. Dai versi emerge una poesia che cerca
una continua tensione morale e politica, che vuole fissare il senso della situazione presente ed attende
comportamenti esemplari.
Caratteri della lirica marinistica
Le figure femminili sovvertono l'astratta bellezza petrarchesca e mostrano particolari insoliti, attributi
strani: ecco allora donne scapigliate, a cavallo, deformi, zoppe, nane, belle zingare, ricamatrici, cantatrici.
Si espande il mondo animale e vegetale, cornice per le situazioni amorose e le riflessioni moralistiche. Gli
oggetti fabbricati dalla tecnica umana si animano come strumenti di occasione mondana: pettini, orologi,
occhiali. La lirica ha l'intento di sorprendere, di osservare la realtà con occhio inconsueto, distante:
l'effetto è quello di una vita brulicante ma senza gioia e segnata da un senso di disfacimento.
Il romanzo in prosa
Mentre la poesia barocca trasforma le immagini quotidiane in qualcosa di artificiale, la prosa aderisce più
da vicino alle occasioni, agli avvenimenti storici, alla vita degli uomini. La narrazione è strumento di
riflessione politica e morale. Grazie a questo interesse per l'attualità si diffonde il romanzo in prosa,
ambientato in mondi ideali, fantastici, esotici o in ambienti contemporanei riconoscibili. I maggiori esempi
nascono nel XVI secolo dalla parodia della letteratura seria e dal declino del poema cavalleresco ed i suoi
ideali. Dal contrasto tra gli ideali eroici della cavalleria e la contraddittoria realtà contemporanea nasce in
Spagna il Don Quijote di Cervantes, mentre dallo stravolgimento degli schemi della letteratura cavalleresca
nasce il romanzo picaresco — romanzo incentrato su eroi di basso livello sociale, vagabondi che vivono
avventure furfantesche e rappresentano l'immagine rovesciata dei cavalieri dell'epica. Il pubblico nobiliare
amava soprattutto i romanzi che trattavano l'amore tra due nobili giovinetti, di ambientazione pastorale e
con vicende a liete fine. ln Italia il romanzo in prosa fiorisce tra 1620-70: troviamo romanzi d'avventura,
romanzi che si riferiscono ad episodi del presente, romanzi psicologici, romanzi ambientati in mondi
pastorali, romanzi con intenti morali o polemici.
Letteratura barocca gesuitica: Daniello Bartoli
I gesuiti si impegnarono nel controllo di ogni forma di comunicazione culturale e si servirono delle arti
come strumento di persuasione del pubblico. Ma per ciò che riguardava la letteratura in volgare, nella
prima fase dello sviluppo del Barocco fu la cultura aristocratica laica ad offrire i risultati più significativi. I
gesuiti ottennero risultati più produttivi nel campo della riflessione morale e politica. Ma negli anni 40 del
XVII secolo, con l'arretramento della cultura laica, si impose la cultura gesuitica. Sul piano della letteratura
i gesuiti miravano ad occupare gli spazi lasciati liberi dalla cultura laica.
• DANIELLO BARTOLI: personalità di maggior rilievo tra i gesuiti. Egli fu incaricato di scrivere l'Istoria della
Compagnia di Gesù, in cui si metteva in rilievo l'attività dei gesuiti nei paesi più remoti. Egli evoca con
vivacità luoghi, situazioni e circostanze e mostra grande curiosità verso usi e costumi dei popoli più
diversi.
La letteratura dialettale
Questo tipo di letteratura elaborato per lo più dalle classi superiori, che usano il dialetto come strumento
di gioco linguistico, in grado di garantire possibilità espressive più libere rispetto alla lingua letteraria alta. I
dialetti delle varie regioni sono componenti essenziali del linguaggio teatrale e spesso hanno una funzione
dissacrante.
Le letterature dialettali che si sviluppano alla fine del secolo invece riducono il tono polemico.
• La letteratura dialettale napoletana: si sviluppa a Napoli tra 500 e 600, nel momento in cui la città vive
la sua massima espansione economica, demografica ed urbanistica.
Giovan Battista Basile: egli fu autore di una raccolta di fiabe la cui narrazione si inquadra in una struttura
bizzarra, costituita da un racconto più ampi che contiene in sé tutti gli altri. La storia nasce dalla
malinconia della principessa Zoza, che ha perso la capacità di ridere: essa si libera di questo stato quando
una vecchia che scivola su una macchia d'olio la fa ridere. Alla risata della principessa la vecchia risponde
con una maledizione che fa sì che Zoza, con le sue lacrime, liberi un principe tenuto prigioniero. Ma una
schiava con l'inganno sposa il principe al posto di Zoza. Allora, con l'aiuto di tre fate, la principessa suscita
nella schiava un desiderio di ascoltare racconti: l'ultimo sarà raccontato da Zaza, che svela al principe
l'inganno. Zoza ed il principe si sposano. Quest'opera ben riproduce la struttura della fiaba, temi e motivi
di quello che nell'800 sarà chiamato folclore. Basile costruisce un mondo fantastico. dove alle vicende
stupefacenti si accompagna una sottile coloritura comica.
LA CULTURA VENEZIANA
Venezia si Offre come città-spettacolo, patria del carnevale e del divertimento. Le maschere, la musica, le
finzioni del melodramma. le dame provocanti e sfuggenti sembrano rivelare il fascino di una raffinata
decadenza. Venezia è il più attivo centro editoriale italiano, importa libri stranieri e li fa circolare. Continua
a svilupparsi la tradizione della poesia dialettale, che ha come rappresentante Giorgio Baffo. Il gusto del
pubblico si rivolge al romanzo contemporaneo, specialmente inglese. Oltre alle traduzioni compaiono
anche i primi tentativi di romanzo in italiano, È tramite il modello dello spettacolo che circolano i nuovi
modelli di cultura, raggiungendo anche il pubblico popolare.
CARLO GOLDONI
Nasce a Venezia nel 1707. Studiò filosofia presso i domenicani ma fuggi e studiò giurisprudenza a Pavia. da
cui fu espu Iso per uno scritto satirico contro le donne. Egli diventò aiutante alle Cancellerie di Feltre dove
scrisse, per una compagnia di commedianti. Il buon padre e La cantatrice. Nel 1734 incontrò il capocomico
Giuseppe Imer e con lui tornò a Venezia dopo aver ottenuto l'incarico di scrivere testi per il teatro San
Samuele. Dopo aver scritto alcune commedie, il capocomico Girolamo Medebac gli fece firmare un
contratto come scrittore stabile. Dopo i 'insuccesso di una commedia Goldoni si lancia una sfida: promette
16 nuove commedie. Lasciò poi Medebac e si impegnò con il teatro San Luca. La necessità di adattare i
testi ad un teatro più grande lo spinge a esperimenti complicati. Ebbe successo la Trilogia persiana. Nel
1756 ottenne una pensione dal duca di Parma, per il cui teatro scrisse libretti melodrammatici e rinnovò il
contratto col teatro San Luca. Dopo un periodo a Roma tornò a Venezia; qui raggiunse i massimi risultati
con Gliinnamorati, commedia in prosa. Nel 1762 andò a Parigi con la moglie e li aderì alla politesse
francese, ma affrontò anche varie difficoltà per lo scarso spazio accordato alla Comédie Italienne e le
richieste del pubblico francese, che identificava il teatro italiano con la commedia da cui Goldoni si era
allontanato. Egli insegnò l'italiano alla famiglia reale a Versailles, ma non ottenne una buona sistemazione
economica anche se gli era stata assegnata la pensione di corte. Tra il 1784-87 scrisse la Sua autobiografia,
i Mémoires, pubblicati in tre tomi dedicati al re Luigi XVI. Nel 1792 l'Assemblea legislativa soppresse le
pensioni di corte e Goldoni mori in miseria l'anno dopo.
Il «continente» Goldoni — Periodizzazione — Punto di vista dell'autore
I testi goldoniani sono legati a precise occasioni teatrali e tengono conto delle esigenze degli attori, delle
compagnie, degli edifici teatrali a cui è destinata la rappresentazione. Il passaggio dai copioni ai volumi
stampati modificava spesso i testi: con le edizioni a stampa l'autore si rivolgeva ad un pubblico più vasto.
Nella ricchezza e varietà di esperienze l'opera di Goldoni può sembrare un «continente» inesplorato pieno
di contraddizioni. Goldoni passa dalla lingua al dialetto e viceversa in base alle situazioni in cui si trovano i
personaggi. Il Suo italiano è ricco di elementi settentrionali. è quello del mondo borghese. Il dialetto
veneziano non è uno strumento di gioco, ma un linguaggio concreto e autonomo, distinto in livelli diversi
che corrispondono agli strati sociali dei personaggi.
Possiamo riconoscere varie fasi dell'opera goldoniana:
• Fino al 1748: momento di sperimentazione e ricerca, di confronto con le tradizioni teatrali.
• 1748-1753: riforma goldoniana—• rivendica la dignità dei comici e quella del testo scritto
sullFimprovvisazione, critica la commedia dell'arte. Egli si è formato sui libri del "mondo", che gli ha
mostrato i caratteri naturali dell'uomo e del "teatro", che gli ha insegnato tecnica della scena e del
comico. 1753-1759: "mondo" e "teatro" sembrano procedere ognuno per proprio conto.
• 1759-1762: analisi della disarmonia e contraddittorietà tra i due termini.
L'ideologia di Goldoni è animata dall'aspirazione al progresso civile e ad un benessere razionale, che critica
ogni forma di ipocrisia e riconosce valore e dignità alle forme di espressione di tutte le classi sociali.
Goldoni è cosciente dei conflitti che possono nascere tra le varie classi e nel suo teatro dà spazio al
conflitto tra nobiltà e borghesia. Per lui l'individuo può affermarsi a prescindere dalla classe a cui
appartiene. Nei Mémoirvs viene offerta l'immagine di una trionfante missione della missione teatrale. A
lungo l'immagine di Goldoni è stata interpretata secondo un'immagine di tranquilla cordialità, ingenua
disposizione alla gioia. Ma dietro la cordiale superficie dei Mémoires affiora un'inquietudine. Il soggetto
non aderisce con fiducia agli oggetti che incontra, ma è sempre costretto a prove e scommesse di cui non
conosce l'esito definitivo. Sotto l'apparente bonomia c'è quindi un continuo interrogarsi su sé stesso e sul
mondo. Tutta l'esistenza di Goldoni è percorsa da una ricerca della legittimazione di se stesso, del proprio
fare teatro. Il libro del Mondo
L'attenzione di Goldoni si rivolge sia ai vizi, che il suo teatro intende colpire e correggere sia alle virtù, di
cui vuole mostrare il valore. Ogni commedia contiene quindi una morale. Goldoni, per la sua invenzione
scenica, attinge dal mondo una serie di riferimenti, spunti aggressivi, allusioni alla vita quotidiana. Il suo
teatro assume le qualità di un moderno realismo. Un ruolo centrale nelle sue opere hanno i borghesi, che
mostrano una fisionomia tutta positiva. I nobili, invece, appaiono privi di solidi valori. Tuttavia in seguito i
borghesi saranno inseriti in un orizzonte privo di prospettive e un nuovo spazio è assunto dal mondo
popolare, che rivela una purezza orrTai inattingibile dai borghesi. Anche l'amore è una componente
essenziale: i giovani innamorati agiscono però con infinite cautele, obbedendo a calcoli d'interesse. Ogni
fremito erotico è subordinato a regole sociali. Il comico goldoniano nasce dal singolare piacere del vuoto
in cui si svolge lo scambio sociale, dell'estraneità reciproca dei personaggi. Il comico nasce da un mondo
che riesce a sostenersi solo accanendosi intomo a nulla.
• La bottega del caffè: perfetta organizzazione dello spazio scenico. Essa ritrae una piazza veneziana,
animata dalla presenza di una bottega di caffè ed altri locali che permettono ai personaggi un gioco di
entrate e uscite. Personaggi principali: caffettiere Ridolfo, uomo onesto ed il nobile don Marzio,
pettegolo e malevolo. Vince il bene.
• La locandiera: risale alla conclusione del periodo di lavoro per il teatro Sant'Angelo. La protagonista
attira col suo fascino nella bcanda una serie di nobili, che però tiene a distanza. Ella fa innamorare di
sé il cavaliere di Ripafratta, nemico delle donne e dell'amore, ma alla fine 10 respinge e sposa un
cameriere.
• Il campiello: commedia corale che narra i momenti di vita quotidiana di un popolo in una piccola
piazza veneziana, in un intreccio di rapporti, litigi, affetti. È animato dalla presenza di personaggi
femminili.
• Gl'innamorati: si rappresentano, in un ambiente di cittadini che modellano i propri comportamenti su quelli
della nobiltà, una serie di scontri originati dalla gelosia.
• Trilogia della villeggiatura: deride la moda della villeggiatura e la gara di apparenza sociale a cui essa
dà luogo.

• I rusteghi: conflitto tra un gruppo di quattro vecchi e un gruppo di donne e di giovani. Alla vittoria dei valori
giovanili si sovrappone un patetico intenerimento per il mondo rappresentato dai vecchi.
• La casa nuova: la crisi economica che travolge Anzoletto ha come corrispettivo la contesa che oppone
la sorella e la moglie. La conclusione positiva della vicenda è possibile solo grazie all'Intervento del
vecchio
• Sior Todero brontolon: incentrato sul conflitto che oppone il tirannico protagonista e la testarda nuora.
• Le baruffe chiozzotte: Goldoni presenta la vita dei pescatori di Chioggia, i loro amori e problemi
quotidiani.
LA CULTURA LOMBARDA
A metà 700 il centro più attivo della cultura lombarda era l'Accademia dei Trasformatori, che proponeva una
letteratura legata ai modelli della del classicismo rinascimentale e all'insegnamento degli autori antichi. L'esigenza
di uscire da una cultura formalistica e l'aspirazione ad un intervento più attivo sulla vita politica e sociale portano
all'affermazione dell'Accademia dei Pugni e alla nascita del movimento illuministico milanese. La maggior parte
degli esponenti dell'Illuminismo lombardo entrano nell'amministrazione statale, iniziando una collaborazione con
il potere asburgico.
Pietro Verri ed il "Caffè"
Nacque a Milano nel 1728. Dopo alcuni conflitti familiari si diede alla carriera militare e partecipò ad
alcune fasi della guerra dei 7 anni come ufficiale dell'esercito austriaco. Fu l'animatore dell'Accademia
dei Pugni, così chiamata perché si diceva che le discussioni si concludevano a botte. Questa accademia
cerca di elaborare una cultura aperta e senza confini, concepita come movimento di critica e ricerca. Si
rifiutava la tradizione formalistica delle accademie italiane, mentre si seguivano con interesse le
tendenze più radicali dell'illuminismo francese. Dall'Accademia dei Pugni nacque "Il Caffè": erano fogli di
4 pagine che uscivano ogni IO giorni, rilegati in volume a fine anno. I testi erano presentati come frutto di
discussioni effettuate presso la bottega di un caffettiere. Nel Caffè c'è una sorta di entusiasmo giovanile
di fronte all'ipotesi di una vita più felice, di un'esistenza più libera. Ma questo entusiasmo è cosciente
delle debolezze e dei limiti dell'azione intellettuale. Nel contesto dell'assolutismo austriaco, gli
intellettuali del Caffè non possono raggiungere posizioni rivoluzionarie: essi mirano ad una modificazione
del rapporto tra le classi, ad una più dinamica circolazione della ricchezza. Essi affermano la necessità di
un linguaggio razionale ed appassionato, che non riproduca passivamente la realtà, ma che sappia
spiegarla. Esso taglia i ponti con il classicismo ed il purismo linguistico.
Cesare Beccaria
Nasce a Milano nel 1738 e studiò giurisprudenza. Dalle animate discussioni che aveva avuto soprattutto con
Pietro nacque il trattato Dei delitti e delle pene, composto da 42 brevi capitoletti. L'opera ebbe un grande
successo. soprattutto tra gli illuministi francesi. Ma a Parigi, Cesare si sentì oppresso da quell'entusiasmo e
riemerse il suo desiderio di una vita appartata e priva di clamori. Tornò quindi a Milano. Il trattato sviluppa una
polemica contro un sistema giudiziario irrazionale, governato da passioni individuali ed ottusi interessi
corporativi. È una battaglia contro la pena di morte e la tortura ed una proposta di pene "dolci".
GIUSEPPE PARINI
Vita
Nacque a Bosisio nel 1729 e muore nel 1799. A dieci anni si trasferi a Milano, dove divenne sacerdote. I
suoi interessi si rivolgevano soprattutto alla cultura classica e alla poesia. Nel 1752 pubblicò una raccolta
di 94 componimenti dal nome Alcune poesie di Ripano Eupilino, in cui prevalevano da una parte i
modelli arcadici e dall 'altra quelli della poesia bernesca. Le Sue condizioni economiche erano difficili, fu
precettore del figlio di Giuseppe Maria Imbonati, per il quale scrisse l'ode L 'educazione. Nel frattempo,
vennero pubblicati Il Mattino e Il Mezzogiomo. Nel 1768 fu nominato poeta del Regio teatro ducale, per
cui esordi adattando alla scena milanese il libretto Alceste. Dopo le incertezze provocate dall'attività
riformatrice di Giuseppe Il, fu nominato sovrintendente delle scuole di Brera. e nello stesso anno
uscirono le Odi e restò incompiuta la stesura finale del
Giorno.
Ideologia classicista
La sua cultura, lontana dal cosmopolitismo degli illuministi, si basa sulla fedeltà alla tradizione classica
greca e latina, portatrice di valori profondi. Facendo convergere tradizione classica e punto di vista
illuminato, Parini si pone come poeta civile impegnato a diffondere una moderata razionalità e a
rimuovere i pregiudizi che deformano i rapporti tra gli uomini. L'aspetto più interessante della sua
ideologia sta nel confronto tra il suo modello sociale positivo e la società nobiliare contemporanea. Egli
non aspira più alla distruzione della nobiltà, ma critica il comportamento dei nobili che dalla propria
superiorità sociale ricavano solo arroganza e presunzione. A loro Parini oppone gli antichi modelli di
severità, laboriosità ed eroismo. Ma più avanti Parini approfondisce l'immagine di una nobiltà "positiva",
che vede realizzata nel comportamento di alcuni aristocratici che frequenta.
Poetica
Parini insiste sulla funzione mediatrice della poesia. Con un atteggiamento diverso da quello degli
illuministi del Caffè, egli lega il suo interesse per la realtà contemporanea alla rivendicazione del valore
della poesia e della tradizione classica, uniche forme culturali in grado di proporre una vita sociale
razionale e vicina alla natura. IL GIORNO
Parini vi lavorò a lungo lasciandolo incompiuto. Durante la sua vita egli pubblicò solo i due poemetti Il
Mattino e Il Mezzogiorno. ln un primo momento pensò di farli seguire da un terzo poemetto, La Sera, ma
poi progettò di comporre un unico poema in endecasillabi sciolti, intitolato Il Giorno e suddiviso in quattro
parti: Il Mattino, Il Meriggio, Il Vespro e La Notte. Gli ultimi due non furono portati a termine. La materia
del Giorno è la vita alla moda di un nobile giovin signore. Egli, ricorrendo all'ironia, finge di essere un
precettore che intende insegnare al giovane il modo migliore per organizzare la propria giornata. Si
narrano quindi le occupazioni quotidiane del giovane, tramite cui Parini mostra il vuoto e l'assurdità della
frivola vita nobiliare. Tuttavia l'autore subisce il fascino di quella vita frivola: egli prova piacere nello
sfiorare quel mondo al quale non appartiene e da cui si sente escluso.
Il Mattino: preceduto da una dedica in prosa Alla Moda; il precettore descrive le occupazioni che
seguono il risveglio del giovane. Egli evidenzia una serie di oggetti vani e preziosi: cannocchiali, orologi,
specchi. Il giovane non ha un nome e non parla, si muove come una marionetta. Il tempo è immobile e
troppo lungo per quell'insieme di azioni vane. Il Mattino si chiude con una figura di distruzione: il
giovane esce, diretto a casa della dama. e la corsa del suo cocchio evoca l'immagine delle membra dei
pedoni spesso schiacciati dalle sue ruote.
Il Mezzogiorno: il poeta passa dalla posizione di precettore a quella di cantore, spostando l'attenzione
ad un ambiente più vasto. Si ha l'ingresso in scena della donna che il giovane conduce al lussuoso
banchetto. La coppia giovin signore-dama è lo specchio da cui è possibile guardare tutta la vita di
relazione della società nobiliare. Lo sguardo del poeta assume una prospettiva più ampia e vengono
aggiunte altre divagazioni.
Il Vespro: la parte finale del Mezzogiorno fu eliminata dal Meriggio in quanto la passeggiata dei cocchi
doveva costruire il nucleo centrale del Vespro. Ma nei 350 versi del Vespro il tema centrale è quello
dell'amicizia: il biglietto inviato ad un amico convalescente o la visita ad un'amica reduce da un attacco
isterico danno avvio ad una descrizione dei rapporti umani basati sul vuoto.
La Notte: l'endecasillabo sciolto sembra snellirsi, la sintassi è meno artificiale. La nobiltà oppone al
buio della notte le sale tripudianti di lumi, oggetti, personaggi. Il poeta ha ormai abbandonato la
funzione di precettore, Al centro non ci sono più il giovane e la dame ma i punti di vista variano
incessantemente. Alcuni personaggi vengono messi in luce per le loro sciocche maniere ed le figure dei
giocatori si identificano con le grottesche immagini di animali ritratte nelle carte di un gioco. Parini
interrompe cosi il poema, come se sullo splendore e sulla frivolezza gravasse la minaccia della
bestialità e della morte.
LE ODI
Parini compone le Odi tra la fine degli anni 50 ed il 1795. Pubblicate prima singolarmente in vari
manoscritti, esse vengono riunite in una raccolta organica nel 1791. Esse costituiranno un punto di
riferimento essenziale per Foscolo, Manzoni e Leopardi. Le strofe sono formate da versi brevi, con un
ritmo classico, latineggiante che disegna cose e persone in modo definito. Il poeta vuole indicare i valori
positivi e negativi della realtà, individuando la strada giusta. L'io poetico si trasforma quindi in voce
educatrice.
Si possono distinguere almeno tre fasi:
Prima fase (fino agli anni 70): si affrontano temi di attualità ed è la stagione di maggiore impegno
sociale e civile del poeta. Egli si confronta con questioni riguardanti la qualità della vita e il benessere
sociale.
Seconda fase (dal 1777): caratterizzata da una dimensione educativa. La caduta rappresenta il vero
emblema della "moralità" di Parini: dopo essere caduto, il poeta è soccorso da un passante che lo
invita a comportarsi più servilmente con i potenti. Questo suscita la sua indignazione e l'affermazione
della propria dignità e libertà.
Terza fase: può essere definita neoclassica. Il culto della nobiltà spirituale dà vita ad immagini di
classica bellezza, che si presentano al poeta come qualcosa di sfuggente. Questo atteggiamento trova i
maggiori risultati in delle odi dedicate a donne vagheggiate ed amate da lontano dal poeta.
VITTORIO ALFIERI
Vita
Nasce ad Asti nel 1749 e muore nel 1803. Alla morte del padre entra all'Accademia come militar. Egli
intraprese una serie di viaggi con la volontà di spostarsi e di fuggire, caratterizzati però da un'irrequietezza
che lo rende indifferente ai paesi che attraversa. Entra in contatto con la cultura illuministica e la lingua
che egli usa è il francese. Si allontana da ogni attività politica: l'unica strada per affermare la propria
persona è la letteratura. Nel 1773 compose, in francese l'Abbozzo del giudizio universale. Il successo
mondano lo spinge definitivamente alla letteratura e alla scrittura di tragedie. Egli rifiuta la vita vana e
oziosa, e gran parte di quella cultura illuministica di cui avverte tutta l'insufficienza e l'inadeguatezza.
Alfieri si immerse nella letteratura di classici e latini e un nuovo soggiorno a Pisa si stabirl in Alsazia. ln
questo periodo cura la stesura e l'edizione di varie opere: Del principe e delle lettere, le Rime, la Vita.
Le tragedie
Nel 700 Io spazio tragico sulle scene era conquistato dal melodramma. ln questo contesto Alfieri si
propone di dare all'Italia il grande poeta tragico che essa non aveva mai avuto, cercando una lingua e uno
stile adeguati alla nuova tragedia. Alfieri ritiene che la tragedia non possa prendere in prestito la lingua
dalla lirica 0 dall'epica, ma che debba trovare una veste nuova. Con lui l'endecasillabo sciolto diviene un
verso nervoso. spezzato dai molti enjambement: il lessico recupera le forme della tradizione poetica alta
ma le rivitalizza con accostamenti inconsueti e con antitesi che complicano notevolmente la linearità del
dettato. Questo linguaggio diventa un marchio identificativo della sua opera, che è più per i posteri che
per i contemporanei (assenza di un pubblico pronto ad apprezzare le sue opere). Gli attori erano espressivi
ma poco colti e, per la riuscita di un teatro come quello alfieriano, basato sulla parola, la mancanza di una
buona compagnia di attori costituiva un ostacolo insormontabile. Alfieri allesti quindi personalmente delle
recite per un ristretto pubblico e con una compagnia di attori dilettanti che dirigeva egli stesso. La sua
poetica teatrale è di stampo classicistico: le sue tragedie sono divise in cinque atti, rispettano le unità
aristoteliche di tempo, luogo e azione, i soggetti sono tratti dai miti greci o dalla storia. Afieri opera una
drastica diminuzione dei personaggi secondari. semplifica la trama e rifiuta espedienti teatrali come i colpi
di scena. Al centro delle prime tragedie vi è la figura del tiranno: in quelle successive egli tratta anche il
tema del potere. ln Agamennone e Oreste, Alfieri presenta personaggi più complessi. Nel 1777 elabora
quelle che vengono definite le tragedie della libertà: Virginia, La congiura de' Pazzi e Timoleone. Alfieri
raggiunge gli esiti più alti con due opere in cui l'attenzione è concentrata sulla psicologia dei personaggi:
Saul e Mirra. Egli crea un metodo articolato in tre momenti:
• Ideare: consiste nel distribuire il soggetto in atti e scene, stabilire e fissare il numero dei personaggi e
scrivere un brevissimo riassunto scena per scena.
• Stendere: la stesura completa della tragedia è eseguita in un secondo momento e prevede dialoghi in
prosa.
Verseggiare: i dialoghi vengono trasformati in endecasillabi.
La sua scena è quella di un teatro vuoto e nudo. Le vicende si basano sullo scontro tra eroi positivi. che
incarnano la virtù politica ed eroi negativi, che schiacciano ogni valore umano sotto la tirannica brama del
potere. Il tiranno e l'eroe sono uniti dal senso della loro grandezza, ma sono posti in antitesi tra loro.
L'ideologia Alfieriana pela_tirennide: nei due libri di questo trattato, scritto nel 1777, Alfieri fissa le sue
idee politiche, fin dall'iniziale definizione della tirannide come «govemo in cui chi è preposto
all'esecuzione delle leggi può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle». Il primo libro
descrive la figura del tiranno e definisce il concetto di tirannia; il secondo tratta della vita sotto la
tirannide. Muovendo dall'assunto che un popolo da molto assoggettato a un govemo oppressivo non è in
grado di rendersi conto della propria schiavitù. Alfieri si rivolge agli uomini 'pensanti' cui consiglia di vivere
con prudenza, cercando di spostarsi verso la libertà. Solo la presa di coscienza del popolo sul proprio stato
di servitù potrebbe rovesciare un tiranno. Tuttavia, le tirannidi moderne impediscono ai sudditi di
prendere coscienza della natura dispotica del dominio; in questo modo "la tirannide è come assicurata in
eterno».
• Del principe e delle lettere: iniziato nel 1778, è dedicato al rapporto tra cultura e potere. L'opera si
divide in tre libri: nel primo Alfieri sostiene che il principe deve proteggere le arti e le lettere per
controllarle: nel secondo dice che il letterato deve essere indipendente, perché il fine della sua ricerca
è la verità: nel terzo dimostra la superiorità delle lettere sulle altre arti e sulle scienze, perché
quest'ultime per fiorire hanno bisogno di denaro e protezione e quindi non sono indipendenti. ln un
contesto dominato dalle tirannidi, agli uomini liberi resta solo la via della letteratura, ma i veri letterati
sono pochi. Non si può fare affidamento sul popolo.
Le tragedie dal 1775 al 1782
• Filippo: tratta dell'amore del giovane Carlo di Spagna per Isabella. Attorno alla crudele figura del
padretiranno si costruisce il dramma dell'amore impossibile. Alla morte di Carlo e Isabella la scena si
chiude nel silenzio.
• Polinice e L'Antigone: trova spazio sulla scena anche il personaggio positivo, che si contrappone al
tiranno.
• Agamennone e Oreste: il ritmo è ripetitivo. Clitennestra uccide Agamennone, re e padre buono.
• Ottavia e la Merope: centrate su figure femminili. La prima è ispirata alla vicenda della morte della
moglie di Nerone. La donna resiste al tiranno e si offre serenamente alla morte. La seconda è una
tragedia a lieto fine.
IL SAUL
Questa tragedia attinge a un tema biblico ed è incentrata sulla figura del re ribelle alla volontà di Dio. Che
dopo aver scacciato il successore David, perseguita i sacerdoti, rifiuta l'aiuto di David e la protezione
divina, va incontro alla battaglia e alla morte per mano dei Filistei. Gli aspetti tirannici di questa figura Si
esprimono attraverso l'esplosione dell'io che rifiuta ogni limite ma che nello stesso tempo è insediato da
una serie di ostacoli esterni e di turbamenti interiori che lo conducono all'esito tragico.
Priva di risvolti politici, la vicenda Si incentra sull'amore incestuoso di Mirra per il padre Ciniro, narrata da
Ovidio nelle Metamorfosi. Mirra non deve scontrarsi con l'ingiustizia e la prepotenza tirannica, ma solo
con il male che sorge dal suo io più interno. I genitori si preoccupano dell'infelicità della figlia con la Cura e
la dolcezza di moderni genitori borghesi, sono disposti a perdonare i suoi atti e le sue colpe. L'amore
incestuoso di Mirra emerge come sfida al padre tenero e buono perché si trasformi in padre minaccioso e
terribile. Mirra arriva a rivelare al padre il proprio segreto.
LE RIME
Stampate nel 1789 ma diffuse solo nel 1801: nel 1804 aggiungerà una seconda parte pubblicata postuma.
La vocazione autobiografica di Alfieri, già manifestatasi nei Giornali giovanili, trova nelle Rime e nella Vita i
due momenti più espliciti, quasi tra loro complementari. La scrittura delle Rime accompagna tutta la
carriera letteraria di Alfieri: le 351 rime, organizzate per genere metrico e costituite prevalentemente da
sonetti. formano un diario in versi in cui ogni poesia è accompagnata dalla data di composizione e da una
nota sull'occasione che l'ha ispirata. Il tema centrale è quello amoroso. Al centro della scena si trova Alfieri
stesso, con i suoi stati d'animo, le sue riflessioni e i suoi giudizi. Il modello linguistico e stilistico è Petrarca.
Si legge anche il disprezzo dell'autore per i suoi contemporanei e per lo spirito del tempo. LA VITA
La diffusione del genere autobiografico nel 700 spinse l'Alfieri a raccontare la propria vita, intitolata Vita di
Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso stesso. La Vita è proiettata a definire la missione dello scrittore,
abbiamo una rievocazione di una vita ancora non cosciente di sé. L'opera si sviluppò attraverso un lungo
lavoro di redazione e di riscrittura che impegnò l'Alfieri fino agli ultimi anni della sua vita. Ci sono due
parti:
Parte prima: dedicata ai fatti dalla nascita al 1790 e divisa in Puerizia, Adolescenza, Giovinezza,
Virilità.
Parte seconda: concepita come una continuazione della Virilità.
La narrazione è incentrata sul passaggio dalla terza alla quarta epoca. La narrazione dei primi anni di vita è
ricca di penetranti intuizioni psicologiche ed aneddoti. L'epoca più movimentata è la giovinezza, in cui
narra dieci anni di viaggi, ma anche le prime sollecitazioni culturali e artistiche. Nel racconto dei suoi viaggi
esprime giudizi sulle forme di govemo dei paesi che attraversa. Solo con l'epoca della virilità ha inizio la
carriera poetica dell'autore. Quest'epoca appare più monotona e lineare; è dedicata al lavoro dello
scrittore. L'ultima parte della vita si presenta come un diario artistico, che ripercorre le tappe della
"rieducazione letteraria" basata sullo studio dei classici, e fissa i progressi dell'autore nel teatro. Alfieri si
ritrae come uomo isolato e solitario, distante dagli avvenimenti politici che lo circondano. La scrittura è
brillante, varia e efficace, con un lessico in bilico fra arcaismi e neologismi.
La Vita non si chiude con l'immagine dell'autore che ha compiuto la sua missione, ma affiora il comico; egli può
rivolgersi al lettore senza attenuare la propria immagine tragica fino a confrontarla col ridicolo.
UGO FOSCOLO
Foscolo rivendica il valore assoluto della propria personalità tramite un giudizio negativo sul mondo e
l'acquisizione della coscienza delle proprie contraddizioni. Potremmo definire l'individualismo foscoliano
con il termine di egotismo, cioè l'affidarsi esclusivo al proprio io. Nell'epistolario foscoliano vengono alla
luce i rapporti umani, gli amori e i contrasti, le riflessioni e le polemiche letterarie o politiche, le necessità
pratiche che lo assillavano, e vengono alla luce come manifesto della sua impetuosa vitalità, desiderosa di
imporsi, di far valere il proprio esistere. L'attenzione alla condizione storica si lega in Foscolo alla volontà di
intervenire sulla scena del presente, di farsi ascoltare. Nel periodo rivoluzionario e giacobino, egli unisce
esperienza intellettuale ed azione politica, assumendo come punto di riferimento la cultura libertaria del
700 e autori come Rousseau e Alfieri. Quando si allontana dalle posizioni giacobine resta fedele all'impegno
di libero scrittore e continua ad osservare e giudicare la scena storica. Le passioni amorose sono vissute con
una forza rovinosa, che spinge il poeta a cercare rapporti difficili e senza futuro, egli sembra voler
distruggere l'immagine della donna. Ella appare come entità superiore e assoluta, la cui presenza gli
permette di riconoscere la propria grandezza, ma nell'incontro con la donna l'io sperimenta anche la propria
incapacità di trovare quiete. ln questa passionalità e nei suoi eccessi c'è qualcosa di artificioso; pare voler
trasformare la propria vita in un romanzo. Foscolo ricorre a vere e proprie maschere, inventa personaggi
che gli fanno da schermo: Jacopo Ortis e Didimo Chierico sono le controfigure principali, ed esibiscono due
caratteri contrastanti del suo io: quello tragico e passionale (Jacopo Ortis) e quello ironico e scettico (Didimo
Chierico). Negli scritti in prosa Foscolo è più vicino all'esperienza autobiografica; per la poesia pare invece
cercare una maggiore sublimazione del proprio egotismo, vagheggiando una bellezza assoluta e superiore,
da conquistarsi attraverso la continuità con la tradizione classica. Il carattere precario della sua esistenza si
riflette nell'instabilità della sua produzione: la sua figura di scrittore non si definisce mai in testi compiuti e
definitivi. La maggior patte dei suoi scritti è costituita da abbozzi, esperimenti e gli scritti più importanti
subiscono modificazioni continue. Il suo correggere ha un duplice significato: se da un lato evidenzia il
desiderio di una perfezione classicistica, dall'altro è un modo per ribadire l'instabilità esistenziale del poeta.
L'opera foscoliana tocca molti temi: compassione, sepolcro, amore, bellezza, armonia. Questi elementi,
nell'incertezza dell'esistenza si presentano come illusioni.
LE ULTIME LETTERE Dl JACOPO ORTIS
Quest'opera è un esempio di opera aperta che accompagna Foscolo per gran parte della vita,
impegnandolo in continue revisioni. Nel protagonista, il poeta trasferisce molti aspetti della sua
personalità: le aspirazioni giovanili, l'anelito alla bellezza e alla libertà, 10 scontro con la natura e la
società, il suicidio. Foscolo si ispirò a due modelli del romanzo epistolare: La nuova Eloisa di Rousseau e I
dolori del giovane Werther di Goethe, ma in modo originale. Il punto di vista si concentra sul protagonista,
come testimonia la stessa struttura del romanzo, costituita dalle lettere che Jacopo invia all'amico Lorenzo
Alderani, senza l'intervento di altre voci ad eccezione di alcuni incisi narrativi di Lorenzo per colmare i
vuoti fra una lettera e l'altra.
Trama: deluso dal trattato di Campoformio e perseguitato dai nuovi padroni di Venezia per le Sue idee
patriottiche, Jacopo si rifugia sui colli Euganei, dove si innamora di Teresa, destinata a sposare Odoardo,
un insulso possidente. Pur ricambiando la passione di Jacopo, Teresa non vuole opporsi al padre e il
giovane decide di partire. Le comprendono anche il racconto di una visita alla casa di Petrarca ad Arquà e
una lettera politica contro Napoleone. Le lettere della seconda parte sono scritte durante il viaggio di
Jacopo in Italia: in una descrive l'incontro a Milano con Parini, in un'altra definisce la sua visione negativa
della realtà sociale e politica, manifestando il proposito di tornare ai colli, ma nutrendo l'idea del suicidio.
Ap presa la notizia del matrimonio di Teresa, Jacopo, una volta tornata e dopo un ultimo saluto alla donna
amata, si toglie la vita con un pugnale. Jacopo è il centro della vicenda, egli è mosso dal desiderio di valori
assoluti in opposizione alla mediocrità della vita sociale, ma nello stesso tempo una tensione distruttiva lo
rende inquieto e lo spinge alla morte. In quest'opera si coglie la presenza del modello alfieriano, ma
Jacopo non può essere un eroe assoluto al pari degli eroi alfieriani; la sua vicenda è calata in una realtà
fatta di eventi prosaici, di necessità volgari e di norme esteriori; Jacopo aspira all'eroico, ma incontra solo
la meschinità sociale e il silenzio della natura, indifferente alle vicende umane. La sua sconfitta è il risultato
non di uno scontro eroico, ma dell'impossibilità di ogni iniziativa eroica. Nonostante la sua partecipazione
ai grandi eventi contemporanei, Foscolo risente sempre più degli effetti distruttivi che essi producono;
scopre che la storia è un processo di sopraffazione, privo di ogni razionalità. La negatività della storia si
fonda anche sulla negatività della natura, Questa visione negativa della società e della natura è a lungo
contrastata dalla volontà di Jacopo di ricercare valori positivi, benché questi Sono illusioni. Teresa
rappresenta la sintesi delle speranze che sembrano rendere degna l'esistenza. Nella sua figura di donna-
angelo, si avverte l'eco della tradizione stilnovistica e petrarchesca. Se Teresa è inafferrabile. allora lo sono
anche tutti i valori che ella rappresenta; anche l'arte è inafferrabile per Jacopo, scrittore mancato, i cui
tentativi di lasciare traccia di sé attraverso la letteratura sono stati vani. Jacopo cerca di rendere partecipe
il lettore, ma nello stesso tempo aspira a chiudersi in sé stesso: il suicidio è l'ultimo gesto esemplare con il
quale egli si sottrae a una comunicazione che pure ostinatamente cerca. L'egotismo autodistruttivo di
Jacopo è mediato dagli interventi di Lorenzo: anche lui e un esule che condivide valori e delusioni
dell'amico, ma il suo dolore è più misurato. La prosa costringe il lettore a fissare l'attenzione su ogni
singola situazione, ostacolando così il ritmo narrativo. Essa si allontana dalla consueta ricerca di misura e
di equilibrio formale e cerca di ricavare forza e intensità anche dal confronto con il linguaggio comune. I
più importanti risultati della sua poesia Si hanno tra 1798-1803: Si tratta di 12 sonetti e 2 Odi.
ODI
Sono legate al gusto neoclassico e al modello pariniano ed affrontano il tema della bellezza femminile resa
etema dalla poesia. Notevoli il virtuosismo verbale e i riferimenti alla mitologia. Queste odi si pongono in
rapporto con la tradizione poetica del 700, soprattutto con le ultime odi di Parini. Esse allontanano gli
elementi autobiografici e l'irruenza dell' io ed esaltano la bellezza femminile come un valore assoluto.
• A Luigia Pallavicini caduta da cavallo: legata a schemi settecenteschi.
• All'amica risanata: più originale, le occasioni mondane si trasformano in qualcosa di mitico.
SONETTI
• Alla sera: tema dell'oscurità, di una quiete segreta con bagliori minacciosi, la fuga del tempo, la morte.
• Alla musa: meditazione sulla promessa di valore racchiusa nella poesia.
• A Zacinto: unifica motivi autobiografici e mitici; il ricordo dell'isola natia, l'attesa della morte, i richiami
al mito e alla poesia greca convergono per esprimere il desiderio di un impossibile ritorno all'origine,
all'infanzia felice.
• Un di, s'io non andrò sempre fuggendo: rivolto al fratello Giovanni, morto suicida; la solidarietà tra il
poeta e il fratello si riconosce sotto il segno della sventura, di un malessere che corrode l'io
dall'interno; la tomba appare l'unico luogo in grado di ricreare l'integrità della famiglia dispersa, di
offrire la dolcezza della protezione matema.
I SEPOLCRI
Carme del 1806 in 295 endecasillabi sciolti. È un'epistola in versi indirizzata a Ippolito Pindemonte, che
nasce quando il poeta ripensa alle conversazioni avute sul tema dei sepolcri con quest'ultimo ed Isabella
Abrizzi. Le conversazioni prendono spunto dall'editto napoleonico di Saint Cloud, che imponeva la
sepoltura fuori dalle mura della città. Esso attinge a diversi modelli classici - Omero, Pindaro, Lucrezio — e
modemi e si muove tra un estremo negativo e una prospettiva positiva, tra una visione pessimistica della
condizione umana e una ricerca di consolazione che si risolve nell'accettazione di quella condizione. Ai
caratteri cupi si oppongono quelli luminosi: mentre l'inizio del carme avvien all'ombra dei cipressi la fine è
dominata dal risplendere del sole. Foscolo distingue nel carme quattro parti:
Prima parte: biasima la nuova legge
Seconda parte: immagini legate al culto dei morti e lontane nel tempo e nello spazio. Terza parte:
celebrazione del valore civile ed educativo delle tombe dei grandi
Quarta parte: canta il valore supremo della poesia che celebra la memoria degli eroi.
Foscolo parte dalla concezione meccanicistica della natura, che vede il mondo come un organismo
distruttivo. Ogni ipotesi di comunicazione oltre la morte è un'illusione, ma questa riesce a far sopravvivere
una memoria di affetti. Mentre la natura equipara ogni cosa nella distruzione. l'uomo può. con il culto
delle tombe, dare rilievo alla virtù dei buoni. per questo è indegno che un grande come Parini venga
sepolto in fosse comuni insieme ai delinquenti. Il culto del sepolcro passa a quello più ampio dei valori
collettivi, dunque I Sepolcri hanno una funzione educativa: sono il segno della continuità storica, raccordo
tra il presente e il passato più glorioso. Se le guerre e le catastrofi distruggono le civiltà, la poesia ripristina
una sorta di giustizia storica. Per questa via le distruzioni e le rovine operate dalla storia possono trovare
consolazione e quasi giustificazione. Dalla protesta di Jacopo Ortis contro gli orrori della storia di passa alla
sua accettazione nel nome di una poesia che riscatta tutto quanto è accaduto, che consola e onora
vincitori e vinti.
LA MASCHERA Dl DIDIMO CHIERICO
Durante il soggiorno francese sulla Manica Foscolo si dedicò alla traduzione di Viaggio sentimentale di
Sterne, pensando di attribuirlo a un personaggio fittizio, Didimo Chierico, un semplice chierico privo degli
ordini sacri. Il lavoro venne pubblicato nel 1813 come opera di Didimo Chierico, con annotazioni attribuite
allo stesso e con in appendice una Notizia intorno a Didimo Chierico. Egli viene presentato come una
figura esemplare e misteriosa, un intellettuale che ha conosciuto la vanità della società letteraria e si è
confrontato con la durezza della vita militare. Egli recita la parte dell'erudito, si esprimere con linguaggi
antichi e desueti. Ha vissuto una giovinezza appassionata, ha rinunciato alla ricerca della verità,
accontentandosi del probabile.
LE GRAZIE
Opera incompiuta che ruota attorno l'immagine delle Grazie. tre divinità femminili che nella mitologi
classica comparivano al seguito di Venere.
Primo inno: dedicato a Venere e muove dal rapporto delle Grazie con lei. Si richiama alla statua della
dea che nel 1812 Canova aveva installato negli Uffizi; l'apparizione, nel mare greco, di Venere e delle
Grazie simboleggia la funzione civilizzatrice della bellezza.
Secondo inno: descrive il loro viaggio attraverso la Grecia. Le Grazie rappresentano tre aspetti della
bellezza: una fiorentina suonatrice d'arpa, una bolognese che reca il miele delle api di Vesta, una
milanese danzatrice.
Terzo inno: dedicato a Pallade; doveva essere ambientato ad Atlantide, dove le Grazie si rifugiano dopo
aver abbandonato la civiltà corrotta, e da dove, per iniziativa di Pallade, vengono inviate di nuovo in
mezzo agli uomini, ma coperte da un velo che, essendo ricamato con immagini che alludono a
sentimenti nobili, le protegge.
Foscolo aspira ad una poesia che condensi passato, presente e futuro. Questa poesia non deve solo
riprodurre temi, modelli e figure del mito antico ma a partire da questi deve costruire un sistema
personale, che dia anche la distanza tra le immagini originarie e lo sguardo che nel presente cerca di
ricrearle. L'opera è frammentaria ma è proprio questa frammentarietà a ridurre il peso delle intenzioni
didattiche che sostengono il disegno generale del poema ed il rischio di un moralismo troppo ostentato. Il
poema è anche un'ambigua esaltazione del fascino femminile, tanto più seducente quanto più appare
velato.
Natura, società, letteratura: la riflessione ideologica di Foscolo
Le idee di Foscolo sulla natura, la società e la funzione della letteratura sono già definite tra 1802-03.
Intorno ai venticinque anni entra definitivamente in crisi il suo originario giacobinismo e si manifesta il suo
ideale neoclassico della poesia del mito. Ciò comporta un allontanamento da Rousseau e dalla sua
aspirazione a modificare l'assetto sociale attraverso un ritorno alla bontà originaria della natura. Il
comportamento di Foscolo sarà mosso sempre da un impulso autodistruttivo, ma nella sua riflessione
ideologica egli finisce per attribuire un valore positivo agli stessi aspetti distruttivi della vita sociale. La
società che Foscolo vagheggia non si identifica con quella del regime napoleonico o con quella della
Restaurazione, ma è una comunità nazionale legata alla tradizione classica. fondata su una discriminazione
tra le classi. dove il potere tocca alla classe dei proprietari terrieri e agli scrittori spetta un ruolo di
mediazione ed educazione. I testi che risalgono alla sua esperienza all'università di Pavia costituiscono la
sintesi più coerente delle sue idee su natura, società, letteratura, benché siano prive di sviluppi teorici
originali. Nel definire la funzione sociale della letteratura, Foscolo parte dalle origini storiche del
linguaggio e guarda a Vico come un punto di riferimento.
La visione più generale che Foscolo ha dei rapporti sociali è espressa in Sull'origine e i limiti della giustizia,
dove è esplicito l'influsso del pensiero di Machiavelli ed Hobbes. Egli mostra come il fondamento della
giustizia risieda nella forza. Essa diventa quindi possibile solo all'intemo di gruppi sociali determinati, di
comunità che sappiano ricondurre ad un ordine superiore l'eterna lotta tra gli individui che le
costituiscono. La giustizia si identifica con la ragion di Stato e si radica in una «patria»: essa diviene il
mezzo che permette a uno Stato di sopravvivere. Non esiste una giustizia assoluta, ma un perpetuo
bilanciarsi tra il bene e il male. Negli scritti successivi la visione di Foscolo si incupisce e il tono della
polemica diventa più aspro di fronte a eventi che sembrano allontanare la possibilità di una positiva azione
politica in Italia. Sono scritti tortuosi e disordinati in cui l'autore si scaglia contro i gruppi politici operanti
in Italia e gli attori che calcano la scena del presente, opponendo ad essi una sdegnosa solitudine e la sua
scelta dell'esilio.
ALESSANDRO MANZONI
Manzoni acquisi una buona cultura classica e si avvicinò a quella illuministica. Gli awenimenti rivoluzionari
che segnarono la sua adolescenza lo avvicinarono a posizioni giacobine, basate sul culto laico della libertà
e della virtù: esse vennero messe in crisi dalla delusione per la difficile vita delle repubbliche giacobine
italiane, per la violenta restaurazione e per l'instaurarsi del regime autoritario napoleonico. Di ispirazione
giacobina il poemetto Il trionfo della libertà scritto per celebrare la ricostituzione della Repubblica
Cisalpina. Manzoni si formò anche attraverso la lettura degli autori francesi come Pascal. La curiosità per la
storia lo portò a rivolgere l'attenzione al problema nazionale italiano e alle radici culturali delle nazioni
europee. La conversione religiosa di Manzoni non fu improvvisa, ma fu il punto d'arrivo di una ricerca che
mirava a un valore unitario e universale. L'approdo al cattolicesimo significò l'abbandono di una idea di
giustizia aristocratica e la riscoperta di una verità radicata nella realtà collettiva del popolo. Il Manzoni
cattolico non rinuncia alle radici illuministiche: la sua adesione alla fede non vuol essere un'immersione
nell'irrazionalità. né una negazione delle forme della civiltà moderna; vuole porsi come raggiungimento di
una razionalità più alta e universale, che sa Interrogarsi sui limiti, gli errori e le colpe dei rappresentanti
della Chiesa. È un cattolicesimo che porta a nuove domande sul rapporto tra essere e dover essere: i
principi del Cristianesimo rappresentano il modello di comportamento giusto, ma devono confrontarsi con
le forme concrete dell'essere.
INNI SACRI
Manzoni matura il progetto degli Inni sacri dopo la conversione: l'idea era quella di comporre dodici inni,
ognuno volto a celebrare una festività dell'anno liturgico cattolico. Solo cinque inni furono terminati: i
primi quattro (La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione) sono pubblicati nel 1815; il quinto
(La Pentecoste) è edito nel 1822 e sarà oggetto di rielaborazioni. Il sesto inno, Ognissanti, è incompiuto.
Gli Inni Sono animati da un movente etico-civile piuttosto che da uno intimo e soggettivo. Manzoni
abbandona i modi tradizionali della lirica per aderire a una nuova prospettiva. Si trattava di dar voce
attraverso il genere lirico a un'epica cristiana: attraverso gli Inni sono spiegati il significato e il valore di
alcune festività cristiane relative a momenti significativi dell'incontro dell'uomo con Dio. Così la poesia
sacra, in quanto rivolta a tutti i cristiani, diventa poesia popolare e la voce del poeta si fa voce del popolo.
Manzoni rinuncia all'io e adotta il noi, utilizza una sintassi semplice.
IL CONTE Dl CARMAGNOLA
L'interesse di Manzoni per la tragedia si legò all'interesse del Romanticismo per i generi drammatici e alla
lettura di Shakespeare. Manzoni elaborò una sua tragedia storica, che rifiutava le unità aristoteliche di
tempo e luogo. Egli sostiene che. rispetto alla tragedia classicistica incentrata sui desideri. quella storica
deve mettere in luce i dolori: gli eroi tragici devono essere degli innocenti, la cui sofferenza mostra la
necessità dell'espiazione. Il Conte di carmagnola: prima tragedia. Sono cinque atti in endecasillabi sciolti
che mettono in scena la vicenda del condottiero Francesco Bussone, conte di Carmagnola, passato dal
servizio dei di Visconti di Milano a quello della Repubblica di Venezia, vincitore della battaglia di Maclodio,
ma poi accusato di tradimento e condannato a morte. Manzoni accetta la tesi dalla sua innocenza e fa di
lui un modello di eroe, condotto alla rovina dagli intriganti uomini politici veneziani. Il linguaggio è ancora
pieno di forrnute e schemi classicistici. Il punto più alto della tragedia è costituito dal coro sulla battaglia di
Maclodio. tra l'atto Il e III: ha una funzione straniante, introduce un punto di vista opposto a quello
dell'eroe e dei personaggi. La battaglia appare come una strage irrazionale tra "Stolti guerrieri» che
dovrebbero essere fratelli e invece muoiono senza ragione, mentre "lo straniero» scende in Italia
approfittando delle divisioni. L'orizzonte nazionale si allarga ad una più ampia condanna della guerra.
ADELCHI
Nel soggiorno parigino del 1819-20 progettò una nuova tragedia, Adelchi. incentrata sulla caduta del
dominio longobardo dopo la discesa dei Franchi di Carlo Magno, chiamati dal papa. Si abbandonano gli
elementi classicisti e Manzoni si serve di un endecasillabo sciolto piano e scorrevole.
Atto l: Ermengarda, figlia del re Desiderio e sorella di Adelchi, torna a Pavia dopo essere stata
ripudiata da Carlo Magno. Nei propositi di vendetta, Desiderio pensa anche ad un'azione contro il
Papa, favorevole ai Franchi. Alcuni duchi longobardi intanto pensano di tradire Desiderio.
Atto Il: si svolge in Val di Susa, nel campo dei Franchi che tentano di superare le chiuse che bloccano il
passaggio delle Alpi. Un diacono di Ravenna, ispirato da Dio, trova la via per aggirare le chiuse e la
indica a Carlo.
Atto III: i Franchi attaccano i longobardi, favoriti dai traditori. Desiderio si ritira a Pavia e Adelchi a
Verona.
Atto IV: Ermengarda si avvicina alla morte in un monastero a Brescia; segue poi, sulle mura di Pavia, il
tradimento del duca Guinigi che apre ai Franchi le porte della città.
Atto V: si svolge a Verona e nel campo franco di fronte alla città. l'opera si conclude con la notizia della
caduta di Verona e l'incontro di Adelchi, prigioniero e morente, con il nemico Carlo ed il padre
Desiderio.
Ermengarda è una vittima che vede affiorare i ricordi di un passato superbo e felice e che si proietta verso
la consolazione e la pace della morte cristiana. VI è l'attesa della pace nella morte. Adelchi è un eroe
tragico più tradizionale, la cui virtù è esaltata da imprese pure; ma le sue vere aspirazioni non hanno
alcuna possibilità di dar prova di sé. Egli non è l'eroe che vorrebbe essere, deve adattarsi alle decisioni del
padre. Per lui la morte è il solo spazio possibile di universalità umana, il ritrovamento dell'essenza più
profonda dell'uomo.
IL CINQUE MAGGIO
Composto di getto alla notizia della morte di Napoleone, avvenuta a Sant'Elena il 5 maggio 1821. Il 26
luglio l'ode fu presentata alla censura, che non ne permise la pubblicazione. Essa circolò subito
manoscritta ed ebbe molte edizioni, non controllate dall'autore. Il fascino di Napoleone, che Manzoni
aveva sempre guadato con diffidenza, emerge sotto il segno della sconfitta e della morte: egli nella vita ha
dato prova di un eroismo indirizzato alla ricerca del potere e della gloria. Ma è la sconfitta a riscattare
l'eroismo di Napoleone, a inserirlo nel più ampio piano della Provvidenza: lo scrittore lo immagina, stanco
e deluso, approdare nella pace della fede religiosa che lo libera dalla disperazione. Sono settenari
sdruccioli, piani e tronchi, l'opera è ricca di fratture e pause.
I PROMESSI SPOSI
Genesi e storia del romanzo
Manzoni, influenzato dai romanzi di Walter Scott. si accostò al romanzo storico. Manzoni però focalizza la
sua attenzione non sui grandi personaggi del passato, ma su protagonisti appartenenti alle classi più umili
e lascia spazio anche alla rappresentazione del popolo. Egli iniziò quindi la scrittura di un romanzo in prosa
ambientato nella Milano del 600, per il quale aveva cominciato a raccogliere un'ampia documentazione.
La prima redazione del romanzo (1821-23), chiamata Fermo e Lucia, consisteva in un manoscritto di
quattro tomi: il primo è dedicato agli ostacoli frapposti alle nozze di Lucia e Fermo, fino alla fuga; il
secondo narra le vicende di Lucia, accolta nel monastero di Monza da Geltrude e poi fatta rapire, su
richiesta di Don Rodrigo, dal conte del Sagrato che preso dal rimorso si reca dal cardinale Federigo
Borromeo; il terzo, dopo la conversione del conte, la liberazione di Lucia e la sua collocazione in casa di
don Ferrante, si concentra su Fermo, sulle sue avventure milanesi, fino alla fuga nel Bergamasco; il quarto
è dominato dalla guerra e dalla peste e si conclude con il ritorno di Fermo, il ritrovamento di Lucia e lo
scioglimento della vicenda. La separazione tra bene e male non ammette mediazioni: da una parte ci sono
gli umili e i religiosi che li sostengono, dall'altra i potenti e coloro che cedono al loro volere. Manzoni era
insoddisfatto per la presenza di troppi elementi romanzeschi, per le troppe digressioni e la lingua che, su
una base di toscano letterario, innestava numerosi francesismi e lombardismi. Egli voleva rivolgersi ad un
ampio pubblico, quindi non poteva usare il dialetto lombardo che avrebbe confinato il romanzo a una
diffusione regionale.
La seconda redazione del romanzo fu pubblicata nel 1827 col titolo I Promessi sposi. Storia milanese
scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni: rispetto alla prima presentava una struttura più equilibrata, con
meno digressioni ed i toni della narrazione diventano più pacati e meno romanzeschi. La lingua, pur
restando il toscano letterario della prima versione, fu depurata degli elementi dialettali.
La terza redazione, quella 1840-42. è quella definitiva. Insoddisfatto della lingua, Manzoni si convinse che
la soluzione fosse quella di adottare il toscano moderno come lingua del romanzo. Per questo si recò a
Firenze per "risciacquare i panni in Arno" immergendosi nel fiorentino parlato dalla borghesia. ln
appendice a questa edizione apparve, in una redazione più ampia, la Storia della colonna infame.
Quadro storico
Il romanzo è ambientato nella campagna lombarda e a Milano tra 1628-30, quando il Milanese fu
sconvolto dalle conseguenze della Guerra dei trent'anni, da una carestia e dalla peste. Al centro c'è la vita
di due umili popolani, ma vengono chiamati in causa anche personaggi ricchi e potenti. La scelta
dell'ambientazione lombarda è legata alla volontà di radicare la rappresentazione in un ambiente noto
all'autore, amato da lui e dal pubblico; la scelta del XVII secolo propone un quadro storico lontano da
quello contemporaneo, ma non immerso nell'aura leggendaria del Medioevo, cosi da rendere possibile
una rappresentazione realistica, che poggi su una documentazione storica. La situazione della Lombardia
nel 600, sottoposta alla dominazione spagnola, permette di chiamare in causa la situazione della
Lombardia contemporanea, sottoposta alla dominazione austriaca. L'espediente è quello del manoscritto
ritrovato: Manzoni finge di aver trovato un manoscritto del XVII secolo che narra quella storia e inizia il
romanzo fingendo di trascrivere le parti iniziali. nel linguaggio del 600; ma dopo poche pagine interrompe
la trascrizione e comincia a raccontare la storia nel proprio linguaggio. Con questo espediente l'autore può
distinguere il proprio punto di vista da quello del fittizio originale. La struttura narrativa dell'opera di
ricollega allo schema romanzesco tradizionale: quello di due giovani innamorati la cui felicità è ostacolata
da forze nemiche. ma che, dopo varie peripezie, riescono a ritrovarsi e sposarsi; questo schema è privato
dei tradizionali risvolti erotici, avventurosi e fantastici ed è integrato in un orizzonte di saldi valori morali.
Nella vicenda di Renzo e Lucia il mondo campestre e montano della Brianza, con i valori di operosità e
moralità. entra a far parte del più vasto organismo della società del tempo: la conclusione positiva non
porta i protagonisti a recuperare il loro mondo originario, ma li vede traferirsi nel Bergamasco, dove Renzo
inizia un'attività di piccolo imprenditore tessile. Manzoni rifiuta di concludere la sua storia con l'illusorio
recupero di paradisi originari, sul modello tradizionale. La scrittura manzoniana nega ogni interpretazione
idillica, vuol essere una verifica continua delle contraddizioni in gioco nell'esistenza individuale e storica
dell'uomo. Il romanzo vuole essere una ricostruzione dello scontro tra le forze che ostacolano l'esistenza
dei due giovani e quelle che vengono in loro aiuto. Queste forze trovano una giustificazione nei piani
inconoscibili della Provvidenza divina: il credere nella presenza di un disegno divino finalizzato al bene, la
fiducia in Dio aiuta a sopportare la sventura. Personaggi
Importanti sono anche i personaggi minori, sia quelli che accompagnano i maggiori che quelli che
compaiono una sola volta. Agnese e Perpetua, i bravi, l'oste milanese e lo sbirro Ambrogio Fusella sono
tutti personaggi attraverso i quali il romanzo rivela la sua densità, l'attenzione alla varietà dei modi di
essere. Il più generale movimento narrativo si sostiene sui rapporti tra 8 personaggi: 4 appartengono al
mondo laico (Renzo, Lucia, Don Rodrigo, Innominato), 4 a quello ecclesiastico (don Abbondio, padre
Cristoforo, monaca Gertrude, cardinale Federigo Borromeo).
• Renzo e Lucia rappresentano la forza positiva dell'operosità e della religiosità e fanno da centro
dell'azione:
• Renzo il personaggio più mobile, ricco di curiosità, spirito di adattamento, buon senso; ha un senso
elementare dei doveri e dei diritti. una sicurezza che deriva da una tradizione di pietà, lavoro. I lettori
riconoscono in lui un'autentica immagine del cristiano onesto, che sa sempre trovare una via giusta
anche nel turbine delle vicende terrene, partecipandovi senza macchiare la sua bontà.
• Lucia appare come immagine troppo stilizzata di femminilità cristiana; è segno di salvezza, ma è
radicata in un mondo contadino pieno di incombenze materiali. Essa è una negazione delle figure
femminili della tradizione letteraria italiana e un'esaltazione, privata degli elementi passionali, del
ruolo ideale della donna nell'800.
• Don Abbondio è una figura comica che suscita disapprovazione e simpatia: egli è preso dall'impegno di
difendersi dalla violenza del mondo, di salvare la propria quiete. Egli sottostà per paura e viltà alle
minacce di Don Rodrigo: in tutte le vicende è chiamato in causa controvoglia, come personaggio che
preferirebbe non partecipare.
• Padre Cristoforo è la figura più autentica di religioso. L'esperienza della povertà conventuale lo awicina
al mondo degli umili, dopo il rifiuto di una precedente vita di peccato e la conversione. Egli rifiuta tutto
ciò che conta per il mondo ed è sempre pronto alla sottomissione e all'obbedienza; a differenza degli
eroi delle tragedie, egli ha rinunciato a una virtù individualistica, non si cura della propria felicità, ma
vive solo per gli altri. Egli ha la funzione di risolvere tutta l'azione, prima di morire di peste, sciogliendo
il voto di Lucia, persuadendo Renzo a perdonare il nemico, e benedicendo l'unione dei due giovani.
• Don Rodrigo presenta i caratteri del tradizionale "libertino" e col suo capriccio per Lucia mette in moto l'azione.
• L'Innominato cambia posizione: la compassione per Lucia e la conversione lo spingono ad agire in
modo giusto
• La Monaca di Monza, Gertrude da un'immagine del mondo religioso opposta a quella di Fra Cristoforo:
da aiutante di Lucia si trasforma in aiutante dei rapitori. Ella appartenente alla nobiltà e vive tutte le
contraddizioni e gli effetti dell'intreccio fra sistema ecclesiastico e prepotenza sociale.
• Il cardinale Federigo Borromeo rappresenta volto positivo dell'alta gerarchia ecclesiastica, l'immagine
di una nobiltà impegnata a coltivare un'autentica religiosità. Egli sostiene l'innominato nella sua
conversione e mette al sicuro Lucia dopo la sua liberazione.
Manzoni coglie i personaggi nella complessità dei loro caratteri, nei loro movimenti, dialoghi: essenziale è
l'attenzione per i caratteri fisici, i gesti, l'abbigliamento, elementi esterni tramite cui ognuno esprime la
propria individualità. Manzoni non rappresenta forme di malvagità pura: i personaggi malvagi sono tutti
insidiati da un nascosto senso di colpa che nel caso dell'innominato porta alla conversione, in quello di
don Rodrigo corrode dall'interno il personaggio, 10 costringe a recriminazioni ed esitazioni continue. La
monaca di Monza è tormentata da un groviglio di paure, desideri soffocati, colpe commesse, pressioni
esercitate da incontrollabili forze esterne. A metà del racconto il romanzo raggiunge il punto più negativo
e fa temere il trionfo del male con l'allontanamento di padre Cristoforo, la fuga di Renzo, il rapimento di
Lucia; ma la conversione dell'innominato e l'ingresso in scena del cardinale danno inizio a una svolta
positiva, che può affermarsi solo dopo l'immersione di tutti i personaggi nel disastro della peste e della
carestia. La peste assume una funzione equilibratrice rispetto alle disawenture dei personaggi mettendo in
subbuglio l'ordine sociale e permettendo anche il ritorno di Renzo. Narratore
Il narratore è onnisciente, quindi si distingue dai personaggi, conosce i loro caratteri ed aspetti particolari.
Gli eventi presentano più facce: il loro senso ultimo non è riconoscibile dall'uomo ma è affidato alla
Provvidenza. Nonostante ciò questo non arresta l'impegno a ricostruire gli aspetti più particolari degli
eventi e ad interrogare le ragioni di atti e comportamenti. ln questo suo impegno la voce del narratore si
esibisce più volte e chiama in causa il pubblico con un'ironia che si rivolge verso la condotta dei
personaggi. Quest'ironia, spesso aggressiva, mette in guardia contro ogni possibile identificazione con la
materia narrativa, svela l'irrazionalità con dei gesti e dei modi in cui gli uomini si relazionano. L'ironia non
oscura mai la partecipazione dell'autore, che, anzi, si afferma spesso nell'atto stesso di cercare la
rappresentazione più realistica. Questa partecipazione si rivela nel modo stesso di accostarsi al mondo
degli umili e nei numerosi casi in cui la narrazione si carica di pietà. La partecipazione soggettiva
dell'autore finisce per dare un'immagine ideale e deformata del mondo degli umili: egli lo vede regolato
da valori positivi di operosità, moralità. religiosità, senza cercame le ragioni più interne e senza
riconoscergli possibilità di esprimersi in modo autonomo, di liberarsi da prepotenze e oppressioni. per
Manzoni la ribellione alle gerarchie sociali è sempre un errore e la ricerca di rapporti più giusti tra gli
uomini va affidata alla Provvidenza, che bisogna accettare con rassegnazione, e alle iniziative dei buoni
che operano nelle classi superiori: il Suo atteggiamento si risolve in un aristocratico paternalismo. Ma
questo provvidenzialismo lascia comunque spazio alla critica dei rapporti sociali, perché la morale di
Manzoni richiede che ogni momento dell'esistenza dell'uomo si comrnisuri con la razionalità del
cristianesimo.
GIACOMO LEOPARDI
Vita e pensiero
La sua formazione è di tipo arcadico e settecentesco ed essenziale è in lui il definirsi di un atteggiamento
classicistico per cercare un rapporto diretto con i grandi autori greci e latini e con i loro valori originari. La
ricca erudizione filologica, filosofica e scientifica costruita sui volumi della biblioteca patema si muove
verso una sorta di cattolicesimo illuministico, che difende i valori della tradizione cristiana come valori
razionali, opponendoli a tutte le credenze mitiche 0 superstiziose. Presto Giacomo si libera dai
condizionamenti dell'educazione familiare e cerca le forme di un intervento originale, investendo le sue
energie nella letteratura e nella poesia. Siamo alla conversione letteraria, che si fonda su una nozione
classica della figura dello scrittore, su ideali di virtù e di gloria. Leopardi sperimenta varie forme
espressive, che intendono essere all'altezza dei tempi e di ciò che egli sente dentro di sé, ma si accorge
che il mondo contemporaneo si oppone a quelle che per lui sono le autentiche manifestazioni della virtù:
la situazione attuale dell'Italia. sottoposta al dominio straniero, gli appare come il segno più esemplare
della negatività del presente. Il nuovo impegno letterario 10 conduce a un nuovo atteggiamento liberale e
patriottico, che approda alle canzoni civili All'Italia, Sopra il monumento di Dante. Leopardi si rivolge
all'Italia presente per risvegliarne la virtù, rappresentata non solo dall 'antica Roma, ma anche dalla
tradizione di una letteratura volgare che trova in Dante e Petrarca modelli supremi di tensione civile. Alla
disperazione storica e politica si sovrappone l'angoscia individuale, generando scatti e tensioni e qualche
momento più sentimentale, già lontano dall'impianto classicistico di base. Le prime prove di una scrittura
basata sull'analisi di sé sono il frammento in prosa del Diario del primo amore e un'Elegia in terza rima, in
cui la vicenda è vista come da lontano, l'esperienza interiore si esalta in un colloquio col dolore del cuore.
L'adesione di Leopardi al classicismo è molto forte e netto è il suo distacco dal Romanticismo italiano, dal
suo modo di guardare alla storia, dalle sue tendenze religiose, dal suo moderato progressismo. Tra le varie
forme espressive la lirica è quella più spontanea e originaria, più vicina all'espressione della natura: la
lirica può realizzare la tendenza autentica della poesia. dando voce alle sensazioni più indefinite e
inafferrabili. non fissate in limiti precisi; il suo ambito è quello del vago, dell 'indeterminato, dell'infinito,
della memoria, del ricordo. La poesia genera grandi illusioni opponendosi alla vita sociale contemporanea,
dominata dalla filosofia e dall'egoismo, incapace di provare entusiasmo e di credere nelle illusioni. Essa è
qualcosa di inattuale, di non contemporaneo. Con l'affermarsi di un pessimismo sempre più integrale, che
individua nella natura la responsabilità dell'infelicità umana e si impegna nell'accettazione dolorosa del
vero, Leopardi rovescia la sua originaria opposizione tra poesia e filosofia e afferma la necessità di una
poesia filosofica che sia insieme voce del vero, analisi e smascheramento delle illusioni, entusiasmo della
ragione, sentimento e conoscenza, comunicazione affettuosa e critica impietosa. LO ZIBALDONE
Lo Zibaldone è un'ampia compilazione (4526 pagine) di appunti Su argomenti filosofici, letterari,
linguistici, legati all'esperienza personale e a problemi etici o di comportamento sociale annotati da
Leopardi tra 1817-32. Il titolo stesso, Zibaldone, mostra la natura eterogenea di suoi contenuti. Nello
Zibaldone il pensiero di Leopardi si muove liberamente, seguendo le occasioni e le letture più diverse e
l'esigenza di interrogarsi sia sul senso dell'esperienza letteraria che sul rapporto dell'uomo con la natura.
I temi dello Zibaldone sono:
La questione del rapporto tra uomo e natura: Leopardi elabora inizialmente il cosiddetto pessimismo
storico, che vede nella natura una fonte di vitalità, produttrice di illusioni, a cui si oppone l'arido vero.
Ma negli anni successivi si registra un continuo spostamento del giudizio sulla natura e sul rapporto tra
il vero e le illusioni: dal pessimismo storico passa al pessimismo cosmico. La natura appare una forza
matrigna e ostile all'uomo.
La teoria del piacere: secondo questa teoria, ogni comportamento umano è guidato da un'aspirazione
al piacere che non si realizza mai totalmente, ma si risolve in un continuo desiderio. Il raggiungimento
di determinati oggetti di desiderio infatti non soddisfa mai poiché il desiderio è sempre infinito. Questa
teoria spiega la disposizione dell'uomo a trovare un senso alla propria vita attraverso le illusioni e
l'esperienza poetica.
Leopardi si interroga anche sul rapporto tra piacere e dolore, constatando l'inesistenza del piacere
presente vivibile solo come provvisoria sospensione del dolore. Essenziale il concetto di amor proprio, con
cui Leopardi definisce l'attaccamento di ogni individuo a sé stesso, che per lui è fonte di ogni desiderio di
felicità. Nelle società più vicine alla natura, l'amor proprio è radice di grandi affetti, stimolo alla virtù e alle
generose illusioni; nel mondo civilizzato esso si trasforma in egoismo, in culto del proprio interesse
personale. Leopardi avverte l'impossibilità di conciliare natura e civiltà. considerando come soli elementi
veramente naturali della vita umana quelli fisici e biologici. Sulla base del meccanicismo materialistico,
crolla l'immagine positiva della natura, che è indifferente ai patimenti degli uomini. La morte è vista come
suprema liberazione da tutti i mali naturali e sociali.
GLI IDILLI
Sono componimenti in endecasillabi sciolti che seguono lo svolgersi di sensazioni, ricordi, sentimenti
all'intemo dell'io, riducendo al minimo i riferimenti storici. Il termine idillio si rifà alla letteratura antica e a
varie esperienze della letteratura europea tra 700-800. Ma per Leopardi esso indica, più che un genere
preciso, una forma poetica molto sfumata: nell'idillio il poeta può rivolgere lo sguardo alla natura e seguire
al contempo i percorsi mentali dell'io.
L'infinito: 15 versi; il ritrno dell'endecasillabo sciolto è spezzato da una serie di enjambements. Si
segue l'immergersi dell'io nella sensazione dell'infinito, creata dal rapporto con un luogo preciso e
definito e un'attenta misura del tempo e dello spazio. Il paesaggio naturale è una sorta di limite
esterno (segnato dalla siepe che ostacola la visione), da cui nella mente del poeta prende avvio
l'immaginazione di spazi e profondità temporali incommensurabili; La mente pare affondare
nell'immensità, stimolata anche dall'effetto sonoro del vento, il cui suono si confronta con i sovrumani
silenzi degli spazi.
Alla luna: carica di risonanze sentimentali; il colloquio con la luna, segnato dal contrasto tra la
luminosità del paesaggio e lo sguardo del poeta, appannato dalle lacrime, si proietta nel ricordo, che
pare lenire il dolore.
La sera del di festa: si apre su un affascinante notturno lunare ed intreccia elementi diversi sullo sfondo
autobiografico di un impossibile colloquio del poeta con una donna che riposa lontana, ignara di lui. Lo
splendore del paesaggio si confronta con la sofferenza che grava sul cuore del poeta e sull'umanità: la
malinconia per il giorno di festa finito si prolunga nel "solitario canto dell'artigian" e nel richiamo alle
età

Il sogno: la componente autobiografica e sentimentale è esplicita. nel ricordo di un sogno mattutino in


cui al poeta appare il "simulacro" di una donna amata e morta in tenerissima età.
La vita solitaria: si incentra sul tema della solitudine, con tracce del tradizionale idillio campestre.

La raccolta delle Canzoni appare a Bologna nel 1824 e contiene 10 canzoni. L'impegno retorico e la
tensione civile delle prime due canzoni — All'Italia e Sopra il monumento di Dante — si apre ad una più
ricca tematica filosofica. L'elaborazione delle canzoni è sorretta dall'indagine che il poeta svolge sul senso
e sulla giustificazione delle illusioni nella vita naturale. storica ed intellettuale; è 10 svelamento della loro
vanità che porta alla scoperta dell'arido vero e dell'ostilità della natura. Si dà voce soprattutto ai
personaggi dell'antichità, esempi estremi di virtù.
All'Italia, Sopra il monumento di Dante: Leopardi si rivolge all'Italia presente per risvegliame la virtù,
rappresentata dall'antica Roma e dalla tradizione di una letteratura volgare che trova in Dante e
Petrarca modelli supremi. Alla disperazione storica e politica si sovrappone l'angoscia individuale.
generando scatti e tensioni e qualche momento più sentimentale, già lontano dall'impianto
classicistico di base.
Ad Angelo Mai: il pretesto della composizione è il ritrovamento, da parte di Angelo Mai, di gran parte
del De Re publica di Cicerone alla Biblioteca Vaticana. Per sottolineare il contrasto tra l'antichità ed il
torpore del presente, la voce lirica invoca gli eroi del passato e disegna le immagini di alcuni
intellettuali della storia italiana — Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, Alfieri — che hanno intrecciato Vlrtù
e immaginazione ed hanno vissuto il contrasto con una realtà ostile. Leopardi confronta il loro soffrire,
carico di significato, con il tedio che domina il presente.
Nelle nozze della sorella Paolina: scritta in occasione delle nozze della sorella, non celebrate.
A un vincitore nel pallone: dedicata a un giovane sportivo marchigiano.
Bruto minore: dopo aver presentato la battaglia di Filippi e Bruto sconfitto, Leopardi ne riferisce un
monologo che precede e giustifica il suicidio. Il crollo della libertà della Roma repubblicana è per lui il
segno di una corruzione inevitabile che trascina con sé tutta la storia, che allontana dai valori delle
origini, che porta alla rovina di Roma.
Ultimo canto di Saffo: troviamo ancora il tema del suicidio. ma legato all'infelicità personale. Il canto è
tutto affidato a Saffo che, secondo la leggenda, si uccise disperata per la propria bruttezza fisica e
l'amore infelice per Faone. Dal confronto tra lo splendore della natura e l'infelice condizione della
donna che ne è esclusa nascono delle interrogazioni sul senso dell'esistenza, sull'opposizione tra i
desideri umani e i disegni della natura, sulla condanna degli uomini al dolore. Il suicidio di Saffo è una
protesta contro i cattivi doni avuti dalla natura, ultima invocazione di una bellezza e felicità negategli
per sempre; la natura si rivela ormai come matrigna.
Alla primavera: esaltazione delle antiche illusioni e dell'originaria vitalità della natura.
Inno ai patriarchi: ultimo sguardo alla natura vista come positiva;
Alla sua donna: si rifà al modello della canzone d'amore petrarchesca.
OPERETTE MORALI
Testi in prosa di argomento filosofico, in gran parte sotto forma di dialogo, in cui Leopardi si serve di miti
filosofici in negativo per offrire immagini dell'infelicità dell'uomo. I modelli sono i dialoghi di Luciano e
Platone.
Le operette si servono di un repertorio di situazioni e personaggi appartenenti all'immaginario classico, a
tutta la storia della cultura e della letteratura; ma questa materia è filtrata da un occhio insieme partecipe
e distaccato, sofferente ed ironico, che trova nel dolore la propria capacità di conoscenza.
Temi fondamentali: indagine sulla felicità ed infelicità, lo svelamento dell'ostilità della Natura, la derisione
delle dottrine che mettono l'uomo al centro dell'universo, il tema della morte. del suicidio.
Lo scrittore ed i personaggi dialoganti guardano da lontano al vano affaccendarsi degli uomini, impegnati a
raggiungere i loro obiettivi, accecati dalle illusioni. Alle sciocche pretese di un'umanità che crede che la
natura sia sottoposta al suo dominio oppongono la reale infelicità dell'uomo, la sua marginalità
nell'universo. Da qui derivano delle analisi critiche di molti aspetti della civiltà contemporanea, della sua
meccanizzazione.
Storia del genere umano: storia mitica dell'umanità, in cui si configura un'ostinata ricerca della felicità.
Operette satiriche: vicine al modello di Luciano, dai caratteri satirici e paradossali e con personaggi
mitici o grotteschi che mostrano la futilità della vita terrena — Dialogo di Ercole ed Atlante, Dialogo
della morte e della Moda, Dialogo di un folletto e di uno Gnomo.
Dialogo della Terra e della Luna: viene affermata la relatività della condizione umana e la reversibilità
della posizione degli astri, ma con l'avvertimento che il male è una cosa comune a tutto l'universo.
Dialogo della Natura e di un Islandese: l'islandese, convinto della vanità della vita e della stoltezza degli
uomini, ha cercato di vivere appartato ma è stato ugualmente perseguitato dai mali creati dalla natura.
Il suo incontro con essa si risolve nell'indifferenza di questa nei confronti delle sofferenze umane.
Fuori da Recanati
La partenza da Recanati nel 1325 metti Leopardi a contatto con il mondo editoriale milanese. Con
l'adesione al materialismo meccanicistico egli nega la possibilità di un intervento attivo nella vita sociale e
politica, che comporta anche la rinuncia alla poesia e al rapporto con le illusioni a cui essa si lega.
Al Conte Carlo Pepoli: epistola in endecasillabi sciolti in cui gli interessi e le attività degli uomini sono
giudicati come cose vane. Leopardi si limita a guardare alle diverse forme della civiltà senza
parteciparvi.
Il dialogo di Plotino e Porfirio: i neoplatonici Plotino e Porfirio mostrano come nella vita umana la sola
cosa non ingannevole sia la noia, negano le teorie sulla vita dell'anima dopo la morte e discutono sul
suicidio. Porfirio contesta l'opinione che considera il suicidio non naturale, dicendo che è la stessa
natura umana a non essere naturale, in quanto modificata dalla ragione.
Nei canti pisano-recanatesi scritti fra 1828-30, la rivalutazione del senso della vita e dell'amicizia tra gli
uomini porta Leopardi ad una nuova attenzione agli affetti. Vari sono i pensieri che si riferiscono ai morti,
alla loro memoria, al bisogno di richiamarne l'immagine. Il più profondo carattere della poesia sta nel
vago, legato alla cosiddetta doppia vista, che fa vedere il mondo e gli oggetti come doppi. La capacità di
provare emozioni non consente di recuperare il contatto con la natura, ma porta a riscoprire nelle cose il
segno di quanto è andato perduto. Non si cerca una consolazione ma si approfondisce il rimpianto per una
giovinezza ormai consumata e distrutta.
Questi canti sono chiamati grandi idilli, per sottolineare la continuità con i piccoli idilli (1819-21).
Le ricordanze: è una testimonianza dello spegnimento della sensibilità provato negli anni precedenti.
Esse si basano sul fluire ininterrotto della memoria, che si sposta liberamente tra tempi e luoghi,
avvolgendosi sempre intorno ad un nucleo di dolore, a immagini di tenerezza mai afferrate fino in
fondo, a sensazioni felici appena annunciate e poi cancellate. La struttura metrica è quella della
canzonetta arcadica.
A Silvia: la forma è quella della canzone libera. Il componimento si configura come colloquio con una
fanciulla appartenente a una famiglia di dipendenti di casa Leopardi, Teresa Fattorini, morta a 21 anni
di tisi. Il colloquio con la donna si pone come ricordo di una vita giovanile troncata, di cui sopravvive
solo un'eco di suoni e sguardi- Il mondo di Silvia, la sua giovinezza e quella del poeta, la speranza di
quest'ultimo sono cose perdute per sempre e ciò suscita protesta contro la natura e la sua azione
distruttrice.
La quiete dopo la tempesta ed Il sabato del villaggio: la rappresentazione della realtà quotidiana, colta
nel momento di calma che segue la tempesta e in quello di attesa che precede il giorno festivo,
riconduce alla riflessione leopardiana sull'impossibilità del piacere. I due canti si pongono come
apologhi morali, in cui le immagini dell'esistenza quotidiana assumono un valore di exemplum,
mostrando come una vera gioia sia negata all'uomo, che può trovare le sole parvenze del diletto nel
guardare al dolore passato o alla felicità futura.
Canto notturno di un pastore errante dell'Asia: concentrato sulla negatività assoluta della condizione
umana; il canto è un colloquio diretto di un pastore con l'astro lunare, nella solitudine nottuma. Si
susseguono domande sul senso dei processi naturali, animate da un'intensa ricerca di comunicazione
con la luna che è indifferente ma dolce. Non ci sono però risposte e resiste solo il tedio, che assale
l'uomo anche quando privo di sofferenze e desideri. Gli animali appaiono invece sereni nella loro
hcoscienza: l'ipotesi che esistano condizioni più felici di quella dell'uomo è alla fine annullata da quella
dell'infelicità universale.
Il passero solitario: tre stanze di cui la prima è dedicata al passero solitario, animale che per natura vive
solo, la seconda al poeta che vive la sua giovinezza senza partecipare alla vita degli altri e la terza al
confronto tra i due.
Il soggiorno fiorentino e le ultime operette
Abbandonata Recanati e venuto a contatto col mondo fiorentino, Leopardi avverte più acutamente il
contrasto tra la propria posizione e le tendenze dominanti. Il culto per i modelli classici IO portava a
credere in una letteratura che si interrogasse sul senso della vita ed esprimesse l'esigenza di libertà
dell'individuo. L'esigenza di assoluto porta Leopardi a rifiutare le posizioni di quelli intellettuali che
vedevano in termini positivi il nuovo sviluppo borghese.
Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere: si confrontano l'ottimismo di un venditore di
almanacchi ed il pessimismo di un viandante, consapevole che la felicità si dà solo nell'attesa senza
mai realizzarsi.
Dialogo di Tristano e di un amico: risposta a coloro che svalutavano il pessimismo di Leopardi
attribuendone l'origine alle sue condizioni fisiche. Attraverso Tristano, Leopardi rivendica il proprio
impegno nella verità ed il rifiuto della cultura contemporanea. denunciando la tendenza degli uomini
ad ingannarsi e a credere a ciò che è per loro più conveniente. La morte è l'unica risposta all'infelicità e
all'illusione degli uomini.
Durante il soggiorno fiorentino Leopardi sviluppa anche l'esperienza del sentimento amoroso, vissuta
come vicenda interiore assoluta. Non è un rapporto amoroso reale, ma piuttosto una volontà di sentire in
se stesso l'emozione e l'effetto determinati da incontri con donne reali. Leopardi sente il bisogno di
rapporti più diretti con figure femminile ed è alla frequentazione di Fanny Tozzetti che è legata una serie di
cornponimenti poetici indicati come liriche del ciclo di Aspasia — dal nome con cui la donna è chiamata
nell'ultima lirica.
Il pensiero dominante: per gran parte del canto il pensiero d'amore si dice quasi per via di negazione ,
ma poi esso afferma la sua fisicità, il suo radicarsi nel corpo del poeta, la cui voce alla fine si rivolge
direttamente alla donna, vedendo nella sua angelica sembianza una forza che dà un senso alla vita. Il
pensiero amoroso si ripete e si prolunga nel presente, è una potenza che cancella il tempo
trasformandolo in un presente assoluto.
Amore e Morte: le due entità sono presentate come figure mitiche destinate a sollevare l'uomo dalla
sua infelicità. A differenza dei tradizionali atteggiamenti romantici, che nel legame amore-morte
vedevano un fondo misterioso di distruttiva irrazionalità, qui esso si traduce in una spinta a rifiutare gli
inganni, le vane speranze, i conforti illusori dell'esistenza: la passione amorosa induce a ribellarsi
contro i limiti della condizione umana, e la morte le si offre come unico reale superamento di questi
limiti.
A sé stesso: viene negata la passione per una donna concreta. Registra la caduta dell'ultima illusione
del poeta e afferma l'aspirazione a una totale e definitiva aridità di sensazioni.
Aspasia: ritorna il tema dell'amore. Questo è un ultimo amaro congedo dalla donna, designata con il
nome di una celebre cortigiana ateniese del secolo V a.C. Il canto è costruito sul confronto tra
l'immagine della donna che torna ad abitare la mente del poeta e la delusione generata dalla
discordanza tra quell'immagine e la donna reale, che è indifferente, estranea, incapace di capire la
forza di ciò che ha suscitato.
Paralipomeni della Batracomiomachia
Poema in 8 canti in ottave. Il titolo Paralipomeni indica che si tratta di cose tralasciate, che integrano la
Batracomiomachia. Nella guerra tra topi e rane intervengono in appoggio ai secondi i granchi, che
sconfiggono i topi ed uccidono il loro capo. Quest'ultimi allora si riorganizzano, instituendo un regime
liberale ed eleggendo un re costituzionale, Rodipane. Ma i granchi li sconfiggono di nuovo e mentre il re
Rodipane si accorda con loro e revoca la costituzione, Leccafondi, il capo dell'opposizione, è costretto
all'esilio. Nel viaggio è travolto da una tempesta e ripara presso un uomo, Dedalo, che lo porta a visitare
l'oltretomba degli animali. rappresentato con un'evidente intenzione satirica nei confronti delle credenze
sull'immortalità dell'anima. I granchi — che rappresentano gli austriaci — sono rappresentati con cupi
caratteri negativi; le posizioni dei topi — che rappresentano i liberali italiani — sono violentemente irrise.
La Ginestra
La polemica di Leopardi contro le ideologie spiritualistiche e progressiste si specchia nelle immagini
suscitate dal paesaggio del Vesuvio, nell'inesorabile violenza della Natura. La ginestra, fiore Odoroso che
anima il paesaggio vesuviano. è segno della resistenza della vita di fronte alla distruttiva natura, di
un'umanità indifesa e cosciente della propria infelice condizione, e della poesia stessa, che trasmette un
dolce profumo nell'arido deserto dell'esistenza. La visione del paesaggio devastato dal vulcano smentisce
le illusioni spiritualistiche. la presunzione degli uomini che hanno pensato che un Dio sia sceso per loro
sulla terra. Il motivo della luce che si oppone alle tenebre domina tutto il canto. La ginestra assume un
carattere eroico: delicata, ma allo stesso tempo tenace, pronta a piegare il suo capo quando sarà
sommersa dalla lava, ma mai piegatasi a esaltare la natura, essa suggerisce all'uomo la sola razionalità che
gli è possibile. Essa è segno di resistenza della ragione e della bellezza.
IL VERISMO
Per la rappresentazione della realtà la letteratura europea si impegna di più nell'ambito della narrativa.
che si accosta alla vita quotidiana e opera una ricostruzione di ambienti, personaggi, situazioni per offrire
un'immagine del mondo contemporaneo. Questa narrativa si definisce naturalismo e si sviluppa in Francia.
La narrativa realista guarda alla realtà elaborando un metodo rigoroso che si basa sui fatti e rifiuta ogni
intervento del narratore nelle vicende. ln Italia, già negli anni 60, si usa il termine verismo per designare
una letteratura che si accosta al vero nella sua nuda e semplice evidenza. Esso narra la vita del popolo,
ponendo l'accento sugli aspetti più crudi della realtà. Dal confronto con il naturalismo francese e
dall'interesse per le realtà regionali derivano i maggiori risultati del verismo italiano, che trova la sua
massima spinta verso il 1880 con Verga, Capuana, De Roberto. Essi vivono la frattura tra la propria
condizione siciliana, l'appartenenza a un mondo rimasto a lungo separato dalle tendenze della cultura
italiana, e l'ambizione di partecipare alla nuova letteratura. Da una parte sentono la spinta ad allontanarsi
dal loro paese, dall'altra ricevono una sollecitazione opposta a recuperare le proprie radici. Essi
condividono gli ideali del Risorgimento. le aspirazioni di rinnovamento che esso aveva suscitato in Sicilia; e
per questo vivono la delusione per la sconfitta di quegli ideali, per l'incapacità di trasformare una realtà
dura come quella siciliana. La delusione li porta ad accettare le gerarchie presenti, non ritengono possibile
un miglioramento delle condizioni di vita dei più poveri. Essi non propongono modelli di comportamento,
il lettore non si identifica con la materia narrata. Il canone dell'impersonalità, che ha come modello
Flaubett. consiste nel far vivere e parlare direttamente i personaggi, rappresentando la loro realtà mentale
e sociale senza l'intervento dell'autore. Con questi scrittori nasce un nuovo paesaggio letterario, quello
della Sicilia accesa e bruciata, violenta e passionale, funebre e solare.
Luigi Capuana
Egli si pone come mediatore della cultura naturalistica europea e si impegna nella battaglia per una
letteratura aderente al vero, ma lontana dal ribellismo della Scapigliatura. Prima opera di forte impegno è
il romanzo Giacinta. che segue la vicenda di un personaggio femminile. che al vuoto degli affetti familiari e
al peso dei pregiudizi sociali reagisce cercando di affermare i propri sinceri sentimenti. Ma questa
situazione provoca un'alterazione del suo equilibrio psichico, che ha come sbocco il suicidio. Le novelle
della prima fase sono dedicate a personaggi femminili, alla vita privata di donne eleganti di cui l'autore ne
indaga le forze inquietanti. Nelle novelle ambientate in Sicilia, Capuana insiste su casi singolari e curiosi, su
figure e situazioni di colore locale. Egli dà i risultati migliori nelle fiabe per bambini. Il risultato più sicuro
dell'attività di Capuana è l'ultimo
romanzo, Il marchese di Roccaverdina, ambientato nel mondo contadino siciliano, che cerca di portare a
una purezza quasi classica l'oggettività e lo psicologismo.
GIOVANNI VERGA
Nacque a Catania nel 1840. Il contatto con le città ed un pubblico nazionale determina in lui una riscoperta
delle radici provinciali. che si lega a una sfiducia per la società moderna. La sua formazione lo portò a
comporre i tre romanzi storico-patriottici Amore e patria, I Carbonari della montagna, Sulle lagune.
A situazioni sentimentali sono dedicati i 5 romanzi indicati come mondani: in primo piano c'è l'incontro-
scontro di un personaggio maschile con le attrazioni pericolose della femminilità e l'universo mondano che
circonda la donna. Essi sono una sorta di autobiografia: il giovane provinciale è sedotto dalla vita sociale
delle città, ma avverte anche la minaccia di disintegrazione che quella società comporta per la sua
esperienza più autentica. ln Una peccatrice il protagonista è un giovane commediografo catanese, che il
rapporto con una seducente contessa riduce a una distruttiva sterilità, a una condizione di artista fallito;
Storia di una capinera è un romanzo epistolare che usa il punto di vista di una figura femminile: Eva narra
la vicenda di un pittore siciliano a Firenze, distrutto dall'amore per una ballerina; Tigre reale descrive gli
effetti corruttori esercitati sul protagonista da una contessa russa; Eros registra il progressivo consumarsi,
fino al suicidio, di un uomo di lusso.
Motivi che avvicinano Verga al verismo: insoddisfazione per i futili ambienti mondani, interesse per il
naturalismo francese, diffidenza verso il sentimentalismo romanzesco, nostalgia per la terra natale,
interesse per la questione meridionale, bisogno di rappresentare una realtà lontana che non coincida con
la sua esperienza attuale. Con la novella Nedda — 1874 — Verga vuole rappresentare il mondo contadino
siciliano, narrando le disgrazie di una raccoglitrice di olive. L'attenzione alla realtà siciliana è forte nel
bozzetto marinaresco Padron 'Ntoni, abbozzo de I Malavoglia che Verga non pubblicò. Ma in pochi anni
egli progettò un ciclo di romanzi, I vinti (prima La Marea), che conteneva: I Malavoglia, Mastro don
Gesualdo, La duchessa di Leyra, L'onorevole Scipioni, L'uomo di lusso. Verga presenta questo ciclo come
una "lotta per la vita", che egli intende seguire nelle diverse classi sociali, dalle più basse alle più alte. Lo
scrittore osserva come i vinti sono travolti dalla "fiumana del progresso".
VITA DEI CAMPI
Comprende novelle apparse tra 1878-80: Fantasticheria, Jeff il pastore. Rosso Malpelo, Cavalleria
rusticana, La Lupa, L'amante di Gramigna, Guerra di santi, Pentolaccia. La vita della campagna siciliana si
rivela tramite i ritmi sempre uguali, la costrizione della miseria, l'ostilità della natura e la violenza tra gli
uomini, motivata da immutabili gerarchie sociali, dall'egoismo individuale. Verga, nell'adesione dei
personaggi ad un'immobile natura ed arcaiche tradizioni, vede una profonda autenticità e la capacità di
accettare la durezza della lotta per la vita. La narrazione viene da una voce popolare, che racconta i fatti
dall'interno del mondo a cui i personaggi appartengono. Ma il narratore non delinea i personaggi con
particolare simpatia: spesso esso li descrive con sarcasmo ed aggressività.
I MALAVOGLIA
15 capitoli. è il primo romanzo del ciclo dei Vinti. Si parte dal livello più basso: si rappresenta la vita dei
personaggi di Aci Trezza, narrando la vicenda della famiglia Toscano, detta Malavoglia, dopo l'unità d'Italia.
Trama: la famiglia è guidata dal vecchio padron 'Ntoni, i cui essenziali mezzi e valori sono rappresentati
dalla barca da pesca (Provvidenza) e della casa patriarcale detta de/ nespolo. Ma una serie di disastri, che
partono dal tentativo di commerciare un carico di lupini, porta alla rovina economica e alla disgregazione
della famiglia. I Malavoglia perdono la barca e la casa; il nipote 'Ntoni, venuto a contatto con la civiltà
dopo il servizio militare, non vuole tornare al duro lavoro tradizionale, si dà al contrabbando e finisce in
carcere. Luca muore nella battaglia di Lissa (1866); Lia fugge a Catania e si prostituisce. Dopo grandi
sacrifici, il nipote Alessi riacquista la casa del nespolo e ricostruisce i valori familiari; ma il ritorno è
funestato dalla morte del vecchio 'Ntoni in ospedale. lontano da casa. mentre il giov ane 'Ntoni. uscito dal
carcere, capisce di non poter più partecipare a quella vita e abbandona il suo paese. Per rappresentare
questo mondo Verga si basa su una rigorosa documentazione, su usi, tradizioni e modi linguistici della
Sicilia. Il canone dell'impersonalità è realizzato dando la parola a un narratore popolare: il punto di vista è
collettivo, come se a parlare fosse una sorta di coro che riconosce che tutto ciò che accade è giusto e
quindi considera le vittime come colpevoli; è esclusa ogni forma di pietà. Il dialogo è affidato alle
ripetizioni tipiche dell'epica e della letteratura popolare, con l'uso di formule. proverbi, nomignoli.
allusioni a valori considerati assoluti. Verga inventa una nuova lingua, che si allontana dalla tradizione
manzoniana e che proietta entro le strutture medie dell'italiano corrente le forme del dialetto siciliano. Ne
emerge una narrazione dal tono plurilinguistico. L'universo dei Malavoglia è in preda a laceranti contrasti:
la società arcaica è rappresentata quando comincia a recepire le trasformazioni destinate a mutarla e
distruggerla. La sventura dei Malavoglia prende awio dalle prime novità che la formazione dello Stato
unitario ha portato in quel mondo. Il vecchio ed il giovane 'Ntoni incarnano due modi diversi, entrambi
destinati alla sconfitta, di confrontarsi con le trasformazioni a cui il loro mondo va incontro: il vecchio cerca
di difendere i valori e le sicurezze della famiglia, ma tenta la nuova e rischiosa strada del commercio; il
giovane 'Ntoni perde le sue radlci, non si riconosce nei valori della famiglia e del lavoro tradizionale, e
percorre una lunga parabola che lo porta all'esclusione. La ricostruzione della casa del nespolo è possibile
grazie ad Alessi, che non è stato tentato dai richiami del nuovo mondo. NOVELLE RUSTICANE, PER LE VIE ln
Novelle Rusticane (12 novelle) la campagna catanese si presenta nel suo aspetto più crudo, negli aspetti
più ossessivi del paesaggio naturale e sociale. Esse non si basano su singoli eroi, ma su situazioni collettive,
che chiamano in causa molte figure o interi gruppi sociali legati tra loro da vincoli materiali, dalla durezza
delle condizioni naturali.
Il punto di vista della narrazione è quello dei personaggi, traducendosi nell'uso dello stile indiretto libero
(discorso indiretto in cui è stato eliminato il verbo reggente, sembra direttamente proferito dal
personaggio). Le novelle più celebri sono: La roba, che narra di Mazzarò, uomo che dal nulla ha costruito
un'immensa ricchezza vivendo solo in funzione di essa; di fronte alla morte vorrebbe portarla via con sé;
Libertà, narrazione dei fatti awenuti a Bronte nel 1860 con l'insurrezione dei contadini contro i ricchi e la
repressione compiuta dai garibaldini.
ln Per le vie (12 novelle), Verga coglie frammenti di vita del mondo popolare milanese: la vita milanese è
fitta di figure grigie e anonime. estranee alla frenesia della città e suscita suggestioni più vaghe e
malinconiche nel narratore.
MASTRO DON GESUALDO
Secondo romanzo del ciclo dei Vinti. Protagonista dell'opera è un muratore di una cittadina nei pressi di
Catania, divenuto, con la sua abilità e lavoro, padrone di una grande ricchezza. La passione di Gesualdo
per il lavoro è radicata nel mondo contadino, nei suoi valori semplici, ma l'ambizione lo porla lontano da
questo mondo e lo lega alla corrotta nobiltà del paese. Per la brama di ascesa sociale egli accetta infatti il
matrimonio con Bianca Trao, che appartiene a una famiglia di nobili decaduti. Il legame con il mondo
aristocratico mette Gesualdo in contrasto con i membri della sua famiglia. La sua posizione non è mai
dawero accettata dal ceto nobiliare che vede in lui un estraneo ed egli non riesce a comunicare con la
moglie. Anche dal rapporto con la figlia Isabella non gli viene alcuna gioia: ostile. ella è educata in collegio
e, divenuta donna, inizia un rapporto con un lontano cugino, coperto da un matrimonio di convenienza
con il duca di Leyra. Le ricchezze di Gesualdo sono dilaniate dal genero, mentre la figlia si vergogna di lui.
Solo. vecchio e malato, è costretto ad affidarsi all'ospitalità della figlia. nel cui palazzo muore tra la servitù
indifferente. Il metodo dell'impersonalità si traduce in uno stile essenziale, in una sintassi fatta di periodi
brevi e incisivi. I punti di vista dei personaggi sono illuminati dall'interno tramite il discorso indiretto libero
ed i loro rapporti emergono dall'incalzare dei dialoghi. Gesualdo è un eroe della "roba", l'immagine della
forza umana che accumula; ma tale forza è piegata dalla vanità che lo induce a voler cambiare classe, ad
abbandonare le sue origini contadine per salire di ceto. Il suo dramma incama un fenomeno più vasto:
l'ascesa della borghesia imprenditoriale, che nella Sicilia dominata da forme feudali trova molti ostacoli.
Verga mostra come nessun valore autentico sia praticabile in un mondo pieno di maschere perverse e
rivoltanti volgarità, nel quale domina il rancore di ogni uomo verso ogni altro uomo.
GABRIELE D'ANNUNZIO E L'ESTETISMO
L'estetismo
Negli anni 80, quando il positivismo è molto diffuso, iniziano a diffondersi le tendenze estetizzanti che
caratterizzano la cultura decadente eunpea. Gli scrittori esaltano l'arte come esperienza assoluta, come
conquista della bellezza, come idealità superiore che si manifesta anche in forme esteriori, nel lusso,
nell'eleganza, nello splendore degli ornamenti: nell'estetismo non c'è lo spirito anarchico e critico, la
negazione dell'arte e del ruolo dell'artista che animavano l'orientamento degli scapigliati; esso rivendica la
superiorità dell'arte su qualsiasi altra esperienza. L'estetismo nutre un forte disprezzo per la volgarità e la
folla e predilige la mondanità, la vita frivola e capricciosa. La vita stessa deve essere vissuta come un'opera
d'arte. I caratteri dell'estetismo italiano si riassumono nell'opera e nella vita del suo grande propulsore,
Gabriele D'Annunzio, che ne guidò le varie fasi tra 1880-1900. Il movimento si impose come una moda
culturale attraverso la partecipazione di scrittori e artisti diversi: essi diffusero uno stile figurativo e
decorativo che conflui nel liberty.
Roma fu il centro dell'estetismo.
GABRIELE D'ANNUNZIO
Nacque a Pescara nel 1863 e mostrò subito la passione per la letteratura e un'incontenibile smania di
imporsi. La sua poesia è animata dall'impulso a dominare lo spazio della parola. La sua prima raccolta
poetica, Primo vere, ebbe successo. D'Annunzio poi si trasferi a Roma, gettandosi nella vita letteraria e
mondana Presto conquistò il ruolo di protagonista nella vita culturale romana, sfruttando il mercato
librario e giornalistico: utilizzò la propria abilità di poeta come strumento di successo, sovrapponendo vita
e letteratura. D'Annunzio esordi nella narrativa con bozzetti di vita abruzzese, Terra vergine, seguiti da
altre novelle in cui la vita contadina è vista come qualcosa di primigenio, di selvaggio e barbarico. Il Trionfo
della morte segna il punto più alto del suo impegno nel romanzo dopo Il Piacere. Intanto il suo nome e i
suoi testi cominciano a circolare anche fuori d'Italia. A Venezia intraprende una relazione con l'attrice
Eleonora Duse- Le sue ambizioni vanno al di là dell'orizzonte mondano, mirano a un'arte suprema, e si fa
promotore della teoria del superuomo di Nietzsche. Nel 1892 pubblica le Elegie romane, orientate verso
un più equilibrato classicismo, che guarda al modello delle elegie di Goethe, utilizzando gli scherni barbari
carducciani. L'opera che conclude la poesia giovanile di D'Annunzio è il Poema paradisiaco del 1893: il
poeta adotta toni più delicati e si avvicina a un mondo familiare, fatto di affetti intimi. Con l'avvento della
guerra mondiale, egli si arruolò e alla fine della guerra, emersero in Italia istanze nazionalistiche e
reazionarie: D'Annunzio. avvalendosi del prestigio conquistato in guerra e del fascino che esercitava,
divenne protagonista politico nei primi anni del dopoguerra, Egli condusse una battaglia per l'annessione
all'Italia dell'Istria e della Dalmazia e guidò l'impresa di Fiume. La logica nazionalistica dell'impresa
fiumana IO avvicinò al fascismo.
IL PIACERE
Primo romanzo di d'Annunzio, composto nel 1888. Esso tenta di uscire dai limiti del naturalismo, di
scoprire segreti nessi tra le sensazioni, di analizzare le complicazioni della vita intellettuale. Al centro del
romanzo c'è l'intellettuale Andrea Sperelli, che per molti aspetti si identifica con l'autore e del quale si
descrivono ambizioni, contraddizioni, idee e gusti artistici: la vita estetizzante di D'Annunzio si trasfigura in
Andrea in un modello di distinzione che si Offre all'ammirazione del pubblico borghese. Sperelli è un
aristocratico, educato a costruire la propria vita come un'opera d'arte; è dominato dalla passione per la
finzione, che lo porta a instaurare un rapporto distaccato con gli oggetti che colleziona, gli ambienti che
frequenta e le donne a cui è legato. Il romanzo si apre con l'incontro tra Andrea e la vecchia amante Elena
Muti, donna bellissima e provocante che egli non vede da anni e che ora è sposata con il ricco inglese Lord
Heathfield; con un flashback lo scrittore narra la loro relazione, il rinascere della passione e il desiderio di
Andrea di riallacciare i rapporti con la donna. Al suo rifiuto, Andrea si rituffa nella vita mondana di Roma;
ferito in un duello. passa la convalescenza presso una cugina e li conosce Maria Ferres, donna di grande
spiritualità e bellezza, verso la quale prova un'attrazione di natura opposta a quella per Elena. Tuttavia,
ottenebrato dalla gelosia per Elena, egli dirà il suo nome mentre ha tra le braccia Maria. Approfondimento
dell'analisi psicologica, attenta agli stati patologici, ai turbamenti. L'innocente: pubblicato prima nel 1891
sul Corriere di Napoli e poi in volume nel 1892.
Il romanzo si presenta come la confessione di un personaggio che appartiene al bel mondo romano.
Tullio Hermil, un nobile pieno di qualità intellettuali, sempre pronto all'analisi di sé stesso, insidiato dalla
sensualità e dal gusto della finzione, che gli impediscono una comunicazione autentica con gli altri.
La voce del narratore, in prima persona, condensa in sé la forza incontenibile che spinge Tullio al delitto,
mentre egli si nasconde sotto vaghe aspirazioni alla pace e alla mitezza.
Trionfo della morte: in terza persona. Articolato in 6 libri, esso indaga il male che mina dall'interno il
personaggio principale, tipico intellettuale dannunziano. Il suo nome è Giorgio Aurispa, nobile di
origine abruzzese che ha molto in comune con Sperelli ed è vittima di turbamenti psicologici. La
malattia di Giorgio si riassume nel contrasto tra una forte volontà di vita ed il fascino che su di lui
esercita la morte: la sua mente è preda di immagini e pensieri inibenti, che bloccano le sue
aspirazioni al lavoro e alla creazione artistica.
Qui D'Annunzio fa proprio il tema del fallimento dell'intellettuale ed afferma la nuova fede nel superuomo. Il
superuomo e la folla
L'estetismo di D'Annunzio si dibatte tra sollecitazioni opposte: il gusto per il pubblico contro il disprezzo
per la folla, l'ossessione decadente per il negativo contro una voglia di vitalità piena, aspirazioni sublimi
contro la volgarità. Il termine superuorno fu usato da Nietzsche in Cosi parlò Zarathustra per indicare un
nuovo tipo di uomo. Questo concetto agiva come negazione delle forme di vita borghese ed implicava la
ricerca di una vita emancipata da ogni schiavitù a ideologie e valori considerati falsi. Tuttavia esso fu usato
per esaltare la preminenza di individui eccezionali sulle masse e divenne anche strumento di ideologie
nazionalistiche e razzistiche. D'Annunzio, banalizzando il pensiero di Nietzsche ed eliminandone la
negatività, ne fece uno strumento per liberarsi dalla crisi del modello decadente ed affermare positività
del divenire della natura e della storia. Con tale teoria l'esteta si trasforma in eroe e si attribuisce il
compito essenziale di guidare l'umanità alla più piena e vigorosa espressione di sé e alla scoperta delle
proprietà segrete della realtà.
IL FUOCO ln terza persona, il protagonista è ancora un intellettuale, Stelio Effrena. Egli rappresenta
l'incarnazione più ambiziosa dell'estetismo dannunziano: è un superuomo sicuro di sé, della sua capacità
di dominare la realtà e vivere l'arte come conquista ed espressione di vitalità. Il romanzo narra della
relazione tra Stelio e una grande attrice drammatica, Foscarina, ispirata ad Eleonora Duse. Mentre la
donna rinuncia a lui per lasciarlo alla sua arte, Effrena progetta una grande tragedia e un nuovo teatro che
intende raccogliere l'eredità del teatro di Wagner. Quest'ultimo è oggetto della venerazione di Stelio, che
10 incontra su un battello. 10 sostiene in un momento di malessere e partecipa ai suoi funerali. Il meglio
del Fuoco va cercato nei giochi tonali, negli echi coloristici e musicali che si creano tra i due amanti e il
paesaggio veneziano. La prosa è costantemente esaltata, accesa. LE LAUDI
Le Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi dovevano comprendere 7 libri. dedicati ciascuno ad una
stella delle Pleiadi. Nel 1903 vengono pubblicati i primi tre libri, Maia, Elettra e Alcyone, e più tardi altri 2:
Merope e Canti della guerra latina. Non verranno invece mai scritti gli ultimi due libri del ciclo. Il titolo
mostra come D'Annunzio voglia utilizzare, in chiave moderna e anticristiana, la suggestione francescana
delle Laudes creaturarum: egli voleva una sorta di poesia continua, in cui si intrecciavano parti epico-
narrative e liriche.
Il filo conduttore è la trasfigurazione mitica dei dati reali, attraverso cui è resa possibile la fusione dell'umano e del
naturale, in una forma di panismo. Ricorrente è la presenza del tema della metamorfosi, la trasformazione del
corpo da una forma a un'altra, che il poeta tratta ricordando le Metamorfosi di Ovidio.
Maia: costituisce l'introduzione e la premessa ideologica del ciclo. È diviso in 21 parti con strofe di 21
versi, costruite su una libera successione di versi di differente misura. È un'esaltazione della vita e
della varietà dell'universo, che si offre alla conquista, al desiderio e al potere umano.
Elettra: contiene componimenti dedicati all'esaltazione e alla commemorazione di vari eroi. che il
poeta riconosce come altrettanti specchi di sé e come guide nel suo programma di immersione
nell'universo. Alcyone: componimenti organizzati in modo da ripercorrere l'intero ciclo della
stagione, da giugno a settembre. L'opera rappresenta un'immersione di trionfante sensualità nella
gioia e nel calore dell'estate. Il poeta cerca ovunque segni di godimento ed entusiasmo, si concede ad
un piacere che vorrebbe essere orgiastico e dionisiaco, ma che appare ancora narcisistico. L'onnivora
sensualità dannunziana ha gli esiti migliori quando si stempera in una dolce e tenue femminilità:
nascono allora le liriche perfette — La sera fiesolana, La pioggia nel pineto.
D'Annunzio politico e militare
Nell'attività politica e militare l'estetismo e il narcisismo di D'Annunzio trovano un pubblico in quella folla
a cui il suo superuomo guardava con disprezzo e dalla quale era nello stesso tempo affascinato. L'ideologia
dannunziana è orientata verso un orizzonte nazionalistico e imperialistico e trova il suo terreno ideale
nella guerra mondiale. D'Annunzio si fa protagonista dei nuovi metodi spettacolari della politica e della
guerra ed immerge la sua cultura classicistico-decadente e l'aspirazione al mito nella moderna azione di
massa, definendo i primi esempi di quella estetizzazione della guerra e della politica essenziali per il
fascismo. Il punto di partenza della politica dannunziana è la parola, che crea un'oratoria infiammata, tesa
a esaltare il gusto del rischio e del pericolo. La stessa impresa di Fiume, basata sul rifiuto della legalità,
sull'uso di bande armate, su un esasperato nazionalismo, può essere considerata una prova generale delle
azioni fasciste che subito seguirono. Anche se D'Annunzio poi nutrì dubbi sul fascismo, fu comunque uno
dei cardini della cultura del regime e gli va attribuita la responsabilità di aver fatto convergere nel fascismo
una cultura decadente, irrazionalistica,
La prosa notturna
La convalescenza per una ferita all'occhio patita durante la guerra indusse D'Annunzio ad una scrittura
intima e segreta: costretto a letto egli scrisse su dei cartigli riflessioni e ricordi, poi pubblicate col nome di
Notturno. Condizionata dalla dimensione ridotta dei Cartigli la scrittura si basava Su frasi e periodi brevi e
coincisi. I temi sono la malattia, la morte, il ricordo dell'infanzia, l'intimità psicologica ed emotiva
dell'individuo. Tra scatti d'umore improvvisi, allucinazioni ed interrogativi sulla propria condizione,
D'Annunzio non rinuncia a proiettare se stesso ed il mondo della guerra sul piano del mito.
GIOVANNI PASCOLI
A differenza di D'Annunzio, la vita di Pascoli è solitaria e prima di eventi eccezionali, chiusa nella carriera di
professore, segnata dall'ossessiva ricerca di uno spazio nascosto atto a proteggere il poeta dal ricordo di
una tragedia famigliare avvenuta nell'infanzia. Egli vive i rapporti sociali come una costrizione, li adempie
solo per potersi poi rinchiudere in una sorta di nido, in segreta intimità con sé stesso e con le piccole cose
della natura. Nasce a San Mauro di Romagna nel 1855 da una famiglia che godeva di una buona situazione
economica; ma il 10 agosto del 1867 dovette affrontare una sciagura: l'assassinio del padre, dovuto forse a
una vendetta per ragioni di interesse, che restò impunito; dopo poco morirono la sorella maggiore, la
madre ed il fratello Luigi. Gli anni bolognesi furono difficili; fu arrestato durante una manifestazione e ciò
gli provocò una grave depressione e lo portò a rifiutare l'azione politica. Pascoli escluse l'amore e il sesso
dall'orizzonte della sua vita. Il poeta comincia a pubblicare alcuni componimenti, come Myricae, recensito
favorevolmente da D'Annunzio. Nel 1895 Pascoli prese in affitto con la sorella Maria una casa a
Castelvecchio di Barga e nel 1903 usci la prima edizione dei Canti di Castelvecchio. Nel 1905 accettò la
cattedra di Carducci all'università di Bologna. ma la vita li risultò faticosa. La sua poesia assumeva toni più
ambiziosi e ufficiali, come si vede in Odi e Inni. Da tempo malato, mori a Bologna nel 1912. A cavallo tra i
due secoli, Pascoli lavora ad altri generi:
Poesie che continuavano in forme più ampie il genere di Myricae, raccolte nei Canti di Castelvecchio.
Poemi di materia greca, raccolti in Poemi conviviali.
Poesie di tipo civile, morali e celebrativi e composte su temi di attualità, Odi e Inni. Poesie storiche,
durante l'insegnamento bolognese.
MYRICAE
22 componimenti. Qui si rivela una poesia nuova, al suo stato più semplice e puro. Il titolo è spiegato da
un'epigrafe, che adatta un verso di Virgilio, arbusta iuvant humilesque myricae (piacciono gli arboscelli e le
umili tamerici): l'autore propone una poesia dedicata agli aspetti più semplici della vita della natura. Il
linguaggio si adatta alle piccole cose, ai momenti più semplici della vita familiare e del mondo campestre:
è definito fonosimbolico, evoca le cose attraverso puri suoni: domina l'uso dell'onomatopea. improvvisi
salti dei legami logici e sintattici, associazioni di immagini lontane che hanno tra loro un rapporto di
analogia. Questo linguaggio dà vita a paesaggi naturali 0 ritratti umani precisi, ma che non hanno nulla di
realistico: tutto appare abitato dal mistero. Non vediamo più individui reali ma indeterminati, che si
confondono con la vitalità degli animali e delle piante. Nel suo rapporto con le cose, il poeta aspira a
ritrovare un'intimità, uno spazio chiuso e felice: lo rivela la frequenza delle figure del nido e della siepe. La
poesia sembra un modo per ritrovare il mondo dell'infanzia: ma proprio queste immagini richiamano la
morte, che dominano tutto l'orizzonte della raccolta. Pascoli evoca spesso presenze che non ci sono più;
per la sua formazione positivistica non crede all'immortalità dell'anima.
La poetica del fanciullino
Ne Il fanciullino, Pascoli giustifica l'attenzione prestata dalla sua poesia al mondo dell'infanzia, partendo
dalla constatazione che all'intemo di ogni uomo vive un fanciullino capace di vedere "tutto con meraviglia"
e di comunicare con la realtà più autentica. Il poeta è colui che sa dar voce a questo fanciullino, che ne usa
le qualità per il bene degli uomini. Il poeta-fanciullino è ispiratore di buoni e civili costumi. Questa poetica
suggerisce al pubblico una sorta di modello poetico positivo, del tutto opposto all'ambiziosa aggressività
del superuomo dannunziano. Ma dietro al fanciullino si celano malesseri e sofferenze, c'è il tentativo di
dar voce a ciò che non riesce ad avere voce. di far parlare desideri assoluti e inappagati. di scoprire
l'infanzia come autenticità, che resiste alla spietatezza della vita.
I POEMETTI
Componimenti più ampi rispetto a quelli di Myricae: sono brevi strofe di endecasillabi in terza rima in cui
la serena vita della natura è filtrata attraverso il rapporto tra figure umane. Il poeta vuole esaltare i valori
autentici della vita campestre e fornire ai lettori un modello di resistenza al male che minaccia la società.
La figura sociale ideale è quella del contadino piccolo proprietario, che lavora duramente, è a contatto con
la natura, vive in un piccolo mondo. La vita contadina diventa un repertorio di esempi morali, di atti e gesti
carichi di bontà. Il linguaggio nomina con precisione gli oggetti e circostanze più minute, appoggiandosi
anche al dialetto parlato dai contadini di Barga. Pascoli si oppone alla violenta rappresentazione
naturalistica e veristica, offrendo un'immagine positiva, dolce, quasi remissiva, di quella realtà.
I CANTI Dl CASTELVECCHIO
Essi sono considerati come una continuazione di Myricae in forma più ampia. Pascoli sembra voler
confrontare la natura di Castelvecchio, in cui egli ha ricostituito il suo nido, con il continuo tornare di
ricordi che frustrano ogni appagamento. La metrica è varia, si sperimentano diverse combinazioni di versi
e strofe. Due mondi si sovrappongono: nel nuovo paesaggio si insinuano le presenze di un paesaggio più
antico, nelle nuove sensazioni vive l'eco di sensazioni precedenti. La disposizione dei canti è regolata da un
ordine latente: "prima emozioni, sensazioni, affetti d'inverno, poi di primavera, poi d'estate, poi
d'autunno, poi ancora un po' d'inverno, poi un po' di primavera triste e finis". La raccolta si conclude con
canti dedicati alla morte del padre — La cavalla storna. La raccolta si pone come un romanzo lirico sul ciclo
delle stagioni, sulle emozioni suscitate da un mondo campestre in cui il poeta sprofonda quasi a difendersi
dal mondo: l'universo naturale può tenere lontana la visione dell'orrore e del pianto. Il poeta spia e
interroga suoni indefinibili, frulli e voci, immagini che sfumano in altre immagini. Egli si confronta con
tutto ciò che ha perduto e che non ha avuto, fino a vedere ciò che non può vedere, a voler sapere ciò che
non può sapere. ln questo orizzonte del non sapere e del non essere situano anche l'amore e il sesso, che
Pascoli vive come cose lontane. ln alcune poesie si intrecciano desideri, velate fantasie sessuali,
Ossessione del divieto, tenerezza e dolcezza inappagate come ne Il gelsomino notturno. La morte ritorna
in tutti i ricordi, nelle immagini dell'infanzia e della famiglia distrutte.
Poemi conviviali
Pascoli propone una poesia classicistica, dedicata al mondo greco ed orientale. Egli suscita atmosfere di
mistero, esplora desideri ed ambizioni. Sul mito e sulla storia si proiettano la sensibilità, l'inquietudine, il
languore moderni, ma il tutto sotto il segno di un'erudizione ossessiva. Pascoli si propone di ripercorrere il
cammino dell'umanità dall'antica brama di conoscenza alla solidarietà tra gli uomini prospettata dal
vangelo. L'opera di Pascoli sembra condensare in se gli ideali di una piccola borghesia agricola, impegnata
nella difesa del proprio spazio contro le trasformazioni della modernità, ma che non rinuncia del tutto agli
ideali positivistici: Pascoli ricava dall'orizzonte piccolo-borghese una prospettiva di solidarietà nazionale. La
poesia pascoliana è dominata da una tensione straziante e, benché si mantenga nella linea del classicismo,
essa ha mutato l'orizzonte del linguaggio e dell'espressione, ponendosi come punto di riferimento per
tutte le nuove esperienze del 900.
I punti essenziali attraverso cui si può riassumere l'essenziale apporto dato da Pascoli alla poesia sono:
Apertura alle cose e infiniti nuovi oggetti.
Plurilinguismo. con l'inserzione di elementi fono-simbolici e l'uso di lingue speciali e straniere.
Frattura e sospensione del ritmo sintattico, a sostegno degli aspetti simbolici e analogici.
Sperimentazione metrica, con frattura del ritmo del verso e dell'organizzazione strofica.
L'ALBA DEL NUOVO SECOLO
I primi anni del nuovo secolo sono definiti età giolittiana per il ruolo guida assunto da Giovanni Giolitti. La
situazione politica e sociale del paese è 'stabile' tra 1900-15: si accelera il processo di industrializzazione,
si amplia lo strato degli intellettuali piccolo-borghesi, insegnanti e dipendenti statali, si riduce
l'analfabetismo. Il pubblico è sensibile alla letteratura di consumo e alle ideologie politiche: in esso
domina il malcontento per la situazione del paese. La reazione al positivismo e alla scienza si definisce
tramite il rilancio dell'idealismo da parte di Croce e Gentile e la diffusione dell'estetismo dannunziano.
Molti giovani che iniziano la loro attività culturale sono attratti da nunzio e Croce, ma in loro si fa strada
anche il bisogno di intervenire sul presente. Bisogna rifiutare situazioni e ideologie assestate, conquistare
e dominare il mondo. Questi atteggiamenti intellettuali tentano di mettere la cultura al passo con la rapida
trasformazione guidata dall'industria. Si inaugura la dialettica dell'avanguardia. Si respingono i principi
liberali e illuministici: seguendo la suggestione del vitalismo dannunziano, si esaltano IO spirito di
conquista, la ricerca di nuovi e assoluti spazi ideali. Gli intellettuali assumono un ruolo di protagonisti. Il
nuovo programma nazionalistico e imperialistico si ricollegava in Italia alla scontentezza per l'esito del
processo risorgimentale, per il ruolo che l'Italia svolgeva rispetto alle potenze europee. Inoltre c'era la
volontà di reagire al socialismo. Nel nazionalismo confluivano anche elementi della ideologia repubblicana
e mazziniana, il rifiuto di un mondo borghese e industriale basato sulla forza del denaro. I gruppi dirigenti
del partito socialista hanno un orientamento riformista: favorito dal nuovo spazio istituzionale che Giolitti
riconosce al partito e dai miglioramenti ottenuti, il riformismo italiano crede nello sviluppo industriale
come strumento di emancipaziOne; ma è una pratica politica, non elabora nessuna vera teoria. Al
pubblico dei lettori operai, vengono proposti ancora i modelli della cultura popolare del secolo prima, con
intenti educativi e sociali. Alla scontentezza per la moderazione del riformismo è da ricondurre 10 sviluppo
del sindacalismo rivoluzionario, che vedeva nel sindacato e nella diretta e violenta azione sociale lo
strumento essenziale per rovesciare il capitalismo.
Gian Pietro Lucini
Lucini fu estraneo agli orientamenti dominanti nella cultura di inizio secolo, spirito ribelle diviso fra
tradizione e anticipazioni del futuro. Solitario, inquieto e irascibile, sviluppò un atteggiamento anarchico,
antireligioso, antimilitarista e uno spirito antiborghese. Con passione mirò a una letteratura che guardasse
al nuovo, che chiamasse in causa la società e la storia e si impegnò nella ricerca di inediti modi espressivi.
ln lui è essenziale
l'incontro con il simbolismo: in molti scritti tracciò le linee di una teoria generale del simbolo, inteso come
espressione poetica di un futuro che liberasse l'uomo da ogni oppressione. Egli auspicava anche la liberazione
delle forme metriche e condusse una battaglia per il verso libero, anticipando scelte del futurismo. La sua
denuncia dell'ipocrisia sociale raggiunse i toni più pungenti nella raccolta Revolverate. con prefazione di
Marinetti: Lucini muove le più diverse marionette della vita borghese, che mostrano tutta la serie dei luoghi
comuni del loro linguaggio. Il crepuscolarismo ln questi anni la funzione del poeta viene svalutata e si paria di
crepuscolarismo. I nuovi poeti di origine borghese o piccolo borghese riconoscono il carattere illusorio di ogni
uso ufficiale o celebrativo della parola e non credono che l'arte possa attribuirsi la missione di combattere contro
il mondo borghese. I poeti crepuscolari rendono conto di una condizione di crisi della poesia a cui essi non
rispondono con una ribellione ma con una coerente scelta linguistica e porgendo attenzioni a realtà dimesse. Il
crepuscolarismo non è un movimento o un gruppo compatto ma un insieme di autori accomunati dal rifiuto del
clamore della poesia ufficiale. Caratteristiche: • Rifiuto del sublime, del sentimentalismo e della concezione
estetica. Uso del verso libero.
• Abbandono delle forme auliche e classicistiche, lessico semplice.
Il termine crepuscolarismo è stato coniato nel 1910 dal critico Borghese per indicare una situazione di
spegnimento e declino. I primi testi crepuscolari nascono tra 1903-04 da Govoni, Corazzini, Gozzano,
Moretti e Palazzeschi.
Guido Gozzano
Si interessò di letteratura e nel 1907 pubblicò La via del rifugio: già il titolo mostra come egli cercasse
nella poesia un rifugio dalle passioni ed aspirazioni mondane, uno spazio ai margini.
Due dei componimenti più originali di Gozzano sono Le due strade e L'amica di nonna Speranza. ln ogni
momento della sua vita Gozzano collaborò a giornali e riviste con prose di vario genere.
Dopo I colloqui, pubblicò pochi componimenti poetici: la ricerca di nuove esperienze lo conduceva verso
una nuova forma di fede. Egli lavorò a un ampio poema in endecasillabi sciolti, Farfalle. Epistole
entomologiche, che rimase incompiuto. Lo sguardo Che l'autore rivolge alle farfalle è uno sguardo
struggente alla vita della poesia. alla Sua inutilità e alla sua delicatezza, minacciata dall'ingannevole
natura artificiale costruita dall'uomo moderno.

I Colloqui: 24 componimenti in metri diversi, legati da una comune tematica e da un ritmo narrativo e
colloquiale. La voce del poeta disegna un'ideale biografia intellettuale, costellata di figure in movimento,
luoghi e vicende che restano quasi sospese, inafferrabili. Alla radice di questi versi c'è un fondo romantico,
un giovanile desiderio di felicità e amore, di comunicazione appassionata e vitale. di bellezza, dolcezza.
Dopo essersi formato sulla poesia delle sensazioni trionfanti, Gozzano scopre la presenza della malattia
e della delusione. I romantici sogni iniziali si trasformano in passione per ciò che si perde e cancella, per i
quieti interni casalinghi, per le stampe d'altri tempi. Egli sostituisce alla figura eroica del poeta-vate un
esile soggetto umano. Tutta la poesia di Gozzano si costruisce su un confronto tra livelli diversi: egli non
crea un discorso prosastico, ma raggiunge grandi risultati piegando il linguaggio della tradizione più alta
a toni da conversazione quotidiana.
Marino Moretti
Nato a Cesenatico nel 85 da una famiglia della piccola borghesia, ebbe un'infanzia e un'adolescenza
difficili. Le raccolte più importanti sono Fraternità, Poesie scritte col lapis, Poesie di tutti i giorni ed Il
giardino dei frutti.
La sua poesia si costruisce su una sorta di vuoto totale, sull'abbandono di qualunque valore. La sua esperienza
poetica sembrò chiudersi con la Prima Guerra Mondiale, ma negli anni 60 egli tornò ad una produzione in versi
che si riallacciava all'esperienza iniziale. La poesia di Moretti nasce da una condizione di totale disappartenenza
ed estraneità ai modelli culturali vigenti. Egli iniziò guardando a Pascoli, cercando un linguaggio dell'intimità,
delle cose concrete e limitate. Nelle tre raccolte pubblicate tra 1911-15 diede voce a una condizione segnata dal
non avere, dal non sapere, dal non essere. Tornando alla poesia nella vecchiaia. Moretti ripropone
quell'atteggiamento minimo, in cui l'io del poeta sembra emergere fuori del tempo, e afferma una sopravvivenza
che è continua sorpresa: il vecchio sembra scoprire sé stesso grazie alla Sua condizione marginale e appartata in
cui si svela la natura aleatoria del rapporto tra essere e non essere.

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