La letteratura italiana conosce i primi testi di ampia rilevanza culturale solo nel XIII secolo ma, a discapito di
questo lento avvio, subì ben presto dei rapidi sviluppi: anzi tutto l’importanza di modi, generi e temi della
letteratura latina che rappresentava ancora il patrimonio di riferimento, sia per il modello dei classici antichi, sia
per la produzione medioevale, e che offre un dossier di generi su cui si innestano le prime prove del volgare. E
sarà tale dinamica tra il modello consolidato del latino e i primi tentativi di scrittura in volgare a rappresentare il
nodo centrale della letteratura duecentesca.
In tale quadro va inoltre inserito il recupero della più recente tradizione della letteratura francese in lingua d’oil e
di quella provenzale in lingua d’oc, cruciale soprattutto sul versante della lirica con la poetica dei trovatori.
La poesia inaugurale della lirica del Duecento è assegnata alla poesia che matura intorno alla corte di Federico II
che recupera l’ideologia di amor cortese e la struttura gerarchica che lo caratterizza. È il prodotto di una
elaborazione raffinata di una schiera di funzionari di corte che si dedica in modo esclusivo alla tematica amorosa,
e che produce un patrimonio di testi fondativo sotto l’aspetto metrico e stilistico. Decisiva fu l’introduzione della
forma sonetto, attribuita a Giacomo da Lentini; importante fu la scelta di uno stile alto, con la pratica di un
siciliano illustre e di una nobilitazione della lingua poetica. La tradizione siciliana ci è infatti nota solo attraverso
preziosi manoscritti antichi, entro i quali le liriche sono presenti già in una veste toscanizzata, adattata alla varietà
del volgare di arrivo. La lirica si allarga poi a tematiche non esclusivamente amorose ma anche civili e politiche
per abbracciare un’intonazione morale e religiosa con Guittone d’Arezzo. Da tale modello si distaccano per toni e
temi i primi esponenti dello Stilnovo: Guinizzelli, Cavalcanti e Cino. L’esperienza di Amore è ancora centrale ma
viene nobilitata e ci si focalizza sulla dimensione intellettuale di quella passione. Al contempo approda nello
stesso periodo la poesia comico-realistica in un contesto più comunale con Rustico Filippi e Cecco Angiolieri.
Su questo versante si muoverà Brunetto Latini, autore di una Rettorica: si tratta di un segnale di investimento sul
volgare a partire dalla base latina. Scriverà il Tresor in lingua d’oil dove è comunque la retorica a rimanere lo
strumento attraverso il quale la conoscenza si fa dinamica interpretazione e intervento sulla realtà per poi divenire
la versione volgarizzata: il Tesoretto.
I volgarizzamenti sono la chiave per recuperare e acquisire le tradizioni narrative francesi; accanto la tradizione
narrativa conosce una prima e notevole prova nella raccolta del Novellino, dove è centrale il valore di exemplum
assegnato al singolo testo narrativo. Arriverà poi il Milione (Marco Polo e Rustichello da Pisa) a fine Duecento a
portare una realtà carica di esotismo e meraviglia.
Le prime testimonianze poetiche italiane si ritrovavano sempre incorporate in contesti latini, all’interno di altre
opere o copiate assieme a documenti pratici; il primo documento della lingua italiana è l’Indovinello veronese
(VIII/IX) che viene considerato un testo poetico ed un primo tentativo di scrivere in volgare italiano. Le prime
tracce certe di volgare compaiono solo tra la fine del XII secolo e gli inizi del XIII secolo con i ritmi ovvero testi
di argomento religioso con finalità principalmente didattiche, caratterizzati da anisosillabismo (irregolarità del
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verso): Ritmo cassinese, Ritmo laurenziano e di argomento storico-politico il Ritmo bellunese e quello lucchese.
La canzone Quando eu stava (1180-1210) è la prima lirica profana in volgare che precede la poi prossima
tradizione della Scuola siciliana è che ha come modello quello della poesia trobadorica: donna come superiore
nella scala gerarchica; amor cortese dove la donna è una domina ovvero la padrona del poeta l’amata sta in
rapporto all’amante come il padrone sta al servitore-vassallo; riferimento alla curtisia che sta ad indicare il
complesso delle virtù cortesi.
La produzione poetica dei siciliani ci è nota essenzialmente attraverso tali canzonieri: i poeti siciliani si erano
espressi utilizzando un siciliano illustre, cioè una forma elaborata ed aulica della lingua volgare parlata a quel
tempo in Sicilia. Le poesie presenti nei tre canzonieri sono invece copiate in lingua toscana: ciò significa che un
copista di origine toscana ha adattato i testi dei siciliani nel suo volgare costituendo il fenomeno più noto della
rima siciliana.
La Scuola siciliana si sviluppa alla Magna curia di Federico II di Svevia, re di Sicilia dal 1198 e imperatore del
Sacro Romano Impero dal 1220. Molti poeti riconducibili alla Scuola come Giacomo da Lentini, Rinaldo
d’Aquino, Pier della Vigna ricoprivano cariche pubbliche ed erano giuristi, notai e magistrati. Erano perciò un
gruppo di poeti che condividevano la stessa estrazione sociale, legati ad un contesto politico preciso, utilizzavano
la stessa lingua ovvero il siciliano illustre e componevano testi tra loro affini per temi e stile ispirandosi alla
tradizione trobadorica e sono stati raccolti, come abbiamo visto, negli stessi manoscritti.
Il progetto politico-culturale di Federico II era quello di creare uno Stato solido ed unitario all’interno del quale la
cultura doveva svolgere un ruolo cruciale.
L’argomento principale della poesia siciliana è l’amore, essendo la storia, la politica e la propaganda tematiche
riservate alla poesia latina. Rispetto al modello dei trovatori operano una radicale selezione dei temi tralasciando i
più impegnativi contenuti di carattere morale, satirico, storico e politico; i siciliani ereditano anche la concezione
globale dell’amore ed il modo in cui esso viene rappresentato in poesia ovvero come un rapporto feudale di
sudditanza con anche una forte componente dialogica che costituiscono delle cobla l’equivalente di una stanza di
canzone che si organizzano in tenzoni. Le tenzoni siciliane sono quindi dei dibattiti sull’amore con uno spiccato
interesse per la descrizione della fenomenologia amorosa, dei sentimenti e del processo di creazione
dell’immagine mentale dell’amata. I poeti sono più interessati alla rappresentazione degli aspetti universali
dell’amore, e non di un singolo amore; introducono anche una più acuta riflessione di carattere filosofico. Questi
elementi consentono tuttavia ai siciliani di svolgere attraverso la poesia lirica una più profonda analisi delle
emozioni individuali.
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Le forme metriche principali sono la canzone ed il sonetto (la cobla utilizzata isolatamente come un breve testo
lirico). I siciliani inoltre avevano una forte tendenza verso l’autonomia del testo poetico rispetto alla musica.
Fu notaio attivo alla corte di Federico II tra gli anni Trenta e Quaranta del XIII secolo. Considerato l’iniziatore ed
il promotore della Scuola siciliana ed inventore del sonetto il canzoniere Vaticano Latino 3793 si apre con la
canzone di Giacomo da Lentini Madonna, dir vo voglio che è a sua volta una traduzione di un testo trobadorico di
Folquet de Marselha dove vi è una descrizione profonda della bellezza femminile che è l’oggetto amoroso, gli
effetti che il sentimento provoca nel soggetto ed una riflessione sui limiti del linguaggio poetico, incapace di
esprimere compiutamente le emozioni , e tuttavia unico strumento per alleviare la sofferenza.