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MATELDA

Matelda è protagonista degli ultimi cinque canti del Purgatorio: il suo nome verrà fatto soltanto in quello
conclusivo. È la donna che il poeta incontra nel Paradiso Terrestre prima di Beatrice. Caratterizzata da una
bellezza assoluta, sia nell'aspetto sia nei gesti, simboleggia la condizione umana prima del peccato originale.
Gli studiosi della Divina Commedia sono concordi nel dichiarare Matelda una donna storicamente vissuta.
Alcuni ritengono si tratti di Matilde di Canossa, altri propendono per Mechthild von Hackeborn o la
nobildonna Matelda Nazarei di Matelica, che si fece suora di clausura ed è meglio conosciuta come la
beata Mattia Nazarei che Dante avrebbe potuto conoscere nei suoi viaggi attraverso l'attuale regione Marche,
la cui esatta conoscenza geografica da parte del Poeta è indizio che fu da questi approfonditamente visitata.
Sarà Matelda a immergere Dante nelle acque dei due fiumi Lete ed Eunoè, rito indispensabile prima
dell'ascesa al Paradiso Celeste. Scrive il critico Umberto Bosco che Matelda, dunque, è "un'idea figurata alla
quale il poeta ha dato un nome al quale non sappiamo che valore attribuire.[...] Se il Paradiso Terrestre è la
felicità umana, logico che Matelda impersoni la stessa felicità: più precisamente è la figura dell'essere felice
qual era l'uomo prima del peccato [...]". Ella battezza Dante con l'acqua della verità, completa la sapienza
della Ragione umana (Virgilio) e anticipa la Rivelazione e la Teologia (Beatrice).

Pg. XXVIII, 40;


Pg. XXIX, 1;
 Pg. XXXI, 92;
  Pg. XXXII, 82;
  Pg. XXXIII, 119

Paradiso terrestre
L'ufficio di Matelda, unica abitante permanente del Paradiso Terrestre, è immergere nelle acque del Leté, il
fiume che cancellerà anche il ricordo del peccato, le anime che hanno completato la purificazione attraverso
le cornici del Purgatorio e poi condurle a bere le acque dell'Eunoé, il fiume che ravviva la virtù.
Due questioni hanno impegnato la critica dantesca intorno a questo personaggio: la sua identità storica ed il
suo valore simbolico.

Per quanto riguarda l'identificazione di Matelda, tutti gli antichi commentatori non ebbero dubbi nel
riconoscervi Matilde di Canossa, anche se Dante non potè certo apprezzare la sua opposizione all'imperatore
Enrico IV, ampliando e rafforzando il potere temporale del papato con l'eredità dei suoi domini lasciata alla
Chiesa.
Gli altri guardiani e custodi della Commedia, si è sottolineato, sono personaggi effettivamente esistiti nel
mito o nella storia, ma a differenza dei tre regni oltremondani, il Paradiso terrestre non è stato creato perchè
le anime vi trovino sede stabile: è un luogo di transito, un luogo rituale che segna il passaggio dal Purgatorio
al Paradiso. Matelda è, dunque, soprattutto un concetto al quale il poeta ha dato un nome il cui valore e
significato oggi ci sfugge.
Taluni critici hanno tentato di interpretare il nome di Matelda, invertendo l'ordine di lettura ed ottenendo in
questo modo l'espressione "Ad laetam" o, seguendo la pronuncia, "Ad letam". Matelda diviene, così, "colei
che conduce alla beatitudine", ovvero "colei che conduce alla acque del Leté".
D'altra parte la caratteristica predominante di questo personaggio è la levità, che contrasta con qualsiasi
precisa determinazione. Se il Paradiso Terrestre rappresenta l'età dell'oro dell'umanità, Matelda è la
raffigurazione della felicità, dell'umanità in armonia con il Creatore. Matelda conserva la sua levità anche
quando spiega: il suo ufficio è un rito che compie nei confronti di ogni anima che abbia compiuto la sua
purificazione.
Matelda, quindi, fa già parte del grande quadro liturgico che conclude la seconda cantica.
La felicità, terrena ed ultraterrena, è, tuttavia, amore e l'unico amore che possa essere piena felicità senza
tormenti è l'amore stilnovistico nella nuova reinterpretazione dantesca resa esplicita nell'incontro
con Bonagiunta Orbicciani.
Pg. XXIV, 52-54

... "I' mi son un che, quando


Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch'e' ditta dentro vo significando"
La rappresentazione poetica dell'amore cessa di essere una vicenda sentimentale, se pur stilizzata al massimo
grado e diventa introspezione. Matelda si inserisce, quindi, appieno nel recupero degli anni giovanili e
dell'esperienza dello Stilnovo avviato e concluso nel Purgatorio.

Purgatorio XXVIII – vv. 22-148

Già m'avean trasportato i lenti passi I miei lenti passi mi avevano portato già nel folto
dentro a la selva antica tanto, ch'io dell'antica selva tanto, che ormai non potevo più
non potea rivedere ond' io mi 'ntrassi; vedere il punto dove io ero entrato; ed ecco mi
impedì di procedere oltre un fiumicello, che
ed ecco più andar mi tolse un rio, (scorrendo) verso sinistra con le sue piccole onde
che 'nver' sinistra con sue picciole onde piegava l'erba nata sulle sue rive. Tutte le acque più
piegava l'erba che 'n sua ripa uscìo. limpide che sono sulla terra, a paragone dell'acqua
Tutte l'acque che son di qua più monde, di quel fiumicello, perfettamente trasparente,
parrieno avere in sé mistura alcuna sembrerebbero contenere qualche impurità,
verso di quella, che nulla nasconde, quantunque essa scorra scura scura sotto l'ombra
perenne (degli alberi), che mai lascia penetrare un
avvegna che si mova bruna bruna
raggio di sole o di luna, Fermai il passo e spinsi gli
sotto l'ombra perpetüa, che mai
occhi al di là del fiumicello, per osservare la grande
raggiar non lascia sole ivi né luna.
varietà di rami fioriti; e là, così come appare
Coi piè ristetti e con li occhi passai improvvisamente qualcosa che a causa della
di là dal fiumicello, per mirare meraviglia che suscita distoglie da ogni altro
la gran varïazion d'i freschi mai; pensiero, mi apparve una donna tutta sola, che se ne
e là m'apparve, sì com' elli appare andava cantando e scegliendo tra i fiori di cui era
subitamente cosa che disvia dipinta tutta la via che ella percorreva. « Deh, bella
per maraviglia tutto altro pensare, donna, che ti riscaldi ai raggi dell'amore divino, a
quanto appare dal volto che suole essere testimone
una donna soletta che si gia
del cuore, ti sia gradito procedere innanzi » le dissi
e cantando e scegliendo fior da fiore
« verso questo fiume, tanto che io possa capire che
ond' era pinta tutta la sua via.
cosa canti. Tu mi fai ricordare il luogo dove si
«Deh, bella donna, che a' raggi d'amore trovava Proserpina e quanto era bella nel momento
ti scaldi, s'i' vo' credere a' sembianti in cui sua madre perse lei, ed ella perse il mondo
che soglion esser testimon del core, della primavera. » Come si volge una donna che
vegnati in voglia di trarreti avanti», danza, con i piedi che quasi non si staccano dal
diss' io a lei, «verso questa rivera, suolo e uniti tra di loro, e impercettibilmente mette
tanto ch'io possa intender che tu canti. un piede avanti all'altro, ella si volse verso di me
sopra i fiorellini vermigli e gialli non diversamente
Tu mi fai rimembrar dove e qual era da una fanciulla che (per pudore) abbassi i casti
Proserpina nel tempo che perdette occhi; e fece in modo che fossero appagate le mie
la madre lei, ed ella primavera». preghiere, avvicinandosi tanto, che il dolce suono
Come si volge, con le piante strette del suo canto mi arrivava con il significato delle
a terra e intra sé, donna che balli, parole che ella cantava. Appena giunse là dove le
e piede innanzi piede a pena mette, erbe venivano già bagnate dalle onde del bel fiume,
volsesi in su i vermigli e in su i gialli mi fece la grazia di alzare il suo sguardo verso di
fioretti verso me, non altrimenti me: non credo che splendesse tanta luce negli occhi
che vergine che li occhi onesti avvalli; di Venere, trafitta dal figlio Cupido contro le
abitudini di quest'ultimo. Ritta sull'altra sponda la
e fece i prieghi miei esser contenti, donna sorrideva, mentre con le sue mani intrecciava
sì appressando sé, che 'l dolce suono i fiori di vario colore, che la sommità del monte
veniva a me co' suoi intendimenti. produce senza bisogno di semi. Il fiume ci separava
Tosto che fu là dove l'erbe sono solo di tre passi; ma lo stretto dei Dardanelli là dove
bagnate già da l'onde del bel fiume, passò Serse, la cui sconfitta è ancora un
di levar li occhi suoi mi fece dono. ammonimento per ogni orgoglio umano, non fu
maggiormente odiato da Leandro a causa delle sue
Non credo che splendesse tanto lume
burrasche (che gli rendevano ìmpossibile il
sotto le ciglia a Venere, trafitta passaggio a nuoto) tra Sesto e Abido, di quanto non
dal figlio fuor di tutto suo costume. fosse odiato da me quel fiumicello perché non si
aprì in quel momento per lasciarmi passare. La
Ella ridea da l'altra riva dritta, donna cominciò: « Voi siete nuovi del luogo, e
trattando più color con le sue mani, forse perché io mi mostro sorridente in questo posto
che l'alta terra sanza seme gitta. scelto da Dio come sede, della specie umana (se
Tre passi ci facea il fiume lontani; fosse rimasta innocente), vi meravigliate e rimanete
ma Elesponto, là 've passò Serse, in dubbio; ma gioverà ad illuminarvi il salmo "Mi
ancora freno a tutti orgogli umani, hai rallegrato" (è il quinto versetto del Salmo XCII,
che esalta la gioia della contemplazione delle
più odio da Leandro non sofferse
bellezze create da Dio), il quale può sgombrare ogni
per mareggiare intra Sesto e Abido,
nebbia dalla vostra mente. E tu che sei davanti agli
che quel da me perch' allor non s'aperse.
altri due e mi hai pregata, dimmi se desideri sapere
«Voi siete nuovi, e forse perch' io rido», altro da me; perché sono venuta (verso di te) pronta
cominciò ella, «in questo luogo eletto a rispondere ad ogni tua domanda finché basti a
a l'umana natura per suo nido, soddisfarti ». Io dissi: « L'acqua di questo fiume e il
maravigliando tienvi alcun sospetto; vento che fa stormire la foresta contrastano dentro
ma luce rende il salmo Delectasti, di me con la convinzione che mi ero da poco
che puote disnebbiar vostro intelletto. formato riguardo a una cosa che avevo udito e che è
contraria a questa che ora vedo ». Perciò ella: « Io ti
E tu che se' dinanzi e mi pregasti,
spiegherò come ciò che desta la tua meraviglia
dì s'altro vuoli udir; ch'i' venni presta
derivi da una sua particolare causa, e dissiperò la
ad ogne tua question tanto che basti».
nebbia (dell'ignoranza) che offende la tua mente.
«L'acqua», diss' io, «e 'l suon de la foresta Dio, il sommo Bene, che solo di se stesso prova
impugnan dentro a me novella fede compiuto piacere, creò l'uomo buono e atto a
di cosa ch'io udi' contraria a questa». operare il bene, e gli diede questo luogo (il paradiso
Ond' ella: «Io dicerò come procede terrestre) come anticipazione della beatitudine
per sua cagion ciò ch'ammirar ti face, eterna. A causa della sua colpa l'uomo dimorò poco
e purgherò la nebbia che ti fiede. (solo sette ore: cfr. Paradiso XXVI, 139-142) nel
paradiso terrestre; a causa della sua colpa tramutò
Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace, l'innocente diletto e la dolce gioia in pianto e in
fé l'uom buono e a bene, e questo loco affanno. Perché le perturbazioni che al di sotto di
diede per arr' a lui d'etterna pace. questo monte sono prodotte dai vapori dell'acqua e
Per sua difalta qui dimorò poco; della terra, che tendono a salire quanto più possono
per sua difalta in pianto e in affanno seguendo il calore del sole, non potessero recare
cambiò onesto riso e dolce gioco. all'uomo alcuna molestia, questo monte s'innalzò
Perché 'l turbar che sotto da sé fanno verso il cielo così tanto (come vedi), ed è libero da
l'essalazion de l'acqua e de la terra, tali perturbazioni dal punto dove si trova la porta
che quanto posson dietro al calor vanno, d'accesso. Ora; poiché tutta quanta l'atmosfera gira
circolarmente assieme alla prima sfera celeste, se il
a l'uomo non facesse alcuna guerra, moto circolare non è interrotto da un ostacolo in
questo monte salìo verso 'l ciel tanto, qualche parte, sulla sommità di questo monte che
e libero n'è d'indi ove si serra. spazia liberissima nell'aria pura, questo movimento
Or perché in circuito tutto quanto (dell'aria) percuote, e fa stormire la selva perché è
l'aere si volge con la prima volta, fitta (e oppone resistenza); e le piante così mosse
se non li è rotto il cerchio d'alcun canto, dal vento hanno tanto potere, che impregnano
l'atmosfera della loro virtù fecondatrice, che poi
in questa altezza ch'è tutta disciolta
l'aria, girando (attorno alla terra), diffonde intorno;
ne l'aere vivo, tal moto percuote,
e la terra dell'altro emisfero, secondo che è adatta
e fa sonar la selva perch' è folta;
per la propria natura e per il clima, concepisce e fa
e la percossa pianta tanto puote, nascere da diversi semi le diverse piante. Dopo
che de la sua virtute l'aura impregna questa spiegazione, non dovrebbe poi nascere
e quella poi, girando, intorno scuote; stupore di là nel vostro mondo, quando qualche
e l'altra terra, secondo ch'è degna pianta germoglia sulla terra senza seme visibile. E
per sé e per suo ciel, concepe e figlia devi sapere che questa santa regione dove ti trovi, è
di diverse virtù diverse legna. piena di ogni specie di semi vegetali, e produce
anche qualche frutto che non si coglie di là sulla
Non parrebbe di là poi maraviglia, terra. L'acqua che vedi non scaturisce da una polla
udito questo, quando alcuna pianta che sia alimentata dal vapore acqueo convertito in
sanza seme palese vi s'appiglia. pioggia dal freddo, come (sulla terra) un fiume il
E saper dei che la campagna santa quale accresce e diminuisce la sua portata (a
dove tu se', d'ogne semenza è piena, seconda delle piogge); ma nasce da una fonte
e frutto ha in sé che di là non si schianta. costante e inesauribile, che dal volere di Dio attinge
tant'acqua, quanta ne versa nei due fiumi aperti in
L'acqua che vedi non surge di vena
due direzioni opposte. Nel fiume che è da questa
che ristori vapor che gel converta,
parte l'acqua scorre con un potere che toglie il
come fiume ch'acquista e perde lena;
ricordo del peccato in chi la beve; nel fiume che è
ma esce di fontana salda e certa, dall'altra parte l'acqua restituisce il ricordo del bene
che tanto dal voler di Dio riprende, compiuto. Da questo lato il fiume si chiama Letè;
quant' ella versa da due parti aperta. così dall'altro si chiama Eunoè, e l'acqua non opera
Da questa parte con virtù discende il suo effetto se prima non è bevuta in entrambi i
che toglie altrui memoria del peccato; ruscelli. il sapore di quest'acqua è superiore a
da l'altra d'ogne ben fatto la rende. qualsiasi altro sapore. E sebbene la tua sete di
sapere possa essere sufficientemente appagata senza
Quinci Letè; così da l'altro lato
bisogno che ti riveli di più, (tuttavia)
Eünoè si chiama, e non adopra
spontaneamente ti darò ancora un'ultima
se quinci e quindi pria non è gustato:
informazione; né credo che le mie parole ti siano
a tutti altri sapori esto è di sopra. meno gradite, se a tuo favore si estendono al di là
E avvegna ch'assai possa esser sazia della mia promessa. Coloro che in antico cantarono
la sete tua perch' io più non ti scuopra, in poesia l'età dell'oro e la sua condizione felice,
darotti un corollario ancor per grazia; forse poetando (in Parnaso: è la montagna della
né credo che 'l mio dir ti sia men caro, Focide, sede di Apollo e delle muse) intravidero
se oltre promession teco si spazia. come in sogno questo luogo. Nel paradiso terrestre
furono innocenti i progenitori del genere umano;
Quelli ch'anticamente poetaro qui fu primavera perpetua e vi furono frutti d'ognì
l'età de l'oro e suo stato felice, specie; l'acqua di questi fiumi è il nettare di cui
forse in Parnaso esto loco sognaro. parlò ognuno di quei poeti ». Allora con tutta la
Qui fu innocente l'umana radice; persona io mi volsi indietro verso i miei due poeti, e
qui primavera sempre e ogne frutto; vidi che avevano accolto l'ultima parte del discorso
nettare è questo di che ciascun dice». sorridendo; poi rivolsi nuovamente il mio sguardo
Io mi rivolsi 'n dietro allora tutto alla bella donna.
a' miei poeti, e vidi che con riso
udito avëan l'ultimo costrutto;
poi a la bella donna torna' il viso.

Purgatorio XXIX – vv. 1-36

Matelda continuò il suo discorso precedente (col fin di sue


Cantando come donna innamorata, parole) cantando come donna innamorata: «Beati coloro cui
continüò col fin di sue parole: (quorum) sono perdonati (tecta sunt) i peccati (peccata)!» E
'Beati quorum tecta sunt peccata!'. come le ninfe che se ne andavano (si givan) solitarie
nell’ombra delle selve (per le salvatiche ombre),
E come ninfe che si givan sole desiderando (disïando) le une (qual) di vedere, le altre (qual)
per le salvatiche ombre, disïando di evitare (fuggir) i luoghi soleggiati (lo sole), allora
qual di veder, qual di fuggir lo sole, Matelda si mosse in direzione opposta (contra) alla corrente
del fiume, camminando lungo (su per) la riva; e io avanzai
allor si mosse contra 'l fiume, andando alla pari con lei, a piccoli passi (picciol passo con picciol
su per la riva; e io pari di lei, seguitando).
Non avevamo ancora fatto cinquanta passi ciascuno (Non
picciol passo con picciol seguitando. eran cento tra ’ suoi passi e ’ miei), che il fiume (le ripe)
Non eran cento tra ' suoi passi e ' miei, svoltò bruscamente (igualmente dier volta), in modo tale
quando le ripe igualmente dier volta, (per modo) che mi trovai (mi rendei) rivolto a oriente
(levante). Non avevamo ancora percorso molta strada in
per modo ch'a levante mi rendei. quella direzione (così), quando la donna si voltò (si torse)
Né ancor fu così nostra via molta, interamente verso di me, dicendo: «Fratello (Frate mio),
guarda e ascolta ». Ed ecco che una luce (lustro) improvvisa
quando la donna tutta a me si torse,
(sùbito) balenò (trascorse) da ogni parte nella grande foresta,
dicendo: «Frate mio, guarda e ascolta». tale che mi fece dubitare (mi mise in forse) che si trattasse di
Ed ecco un lustro sùbito trascorse un lampo (balenar). Ma poiché il lampo (balenar), come
appare (come vien), sparisce (resta), mentre invece quella,
da tutte parti per la gran foresta,
perdurando (durando), splendeva sempre più (più e più),
tal che di balenar mi mise in forse. dentro di me (nel mio pensier) pensavo (dicea): «Che cosa è
Ma perché 'l balenar, come vien, resta, mai questa?» Intanto per l’aria (aere) luminosa si diffondeva
(correva) una dolce melodia; per cui (onde) un giusto sdegno
e quel, durando, più e più splendeva,
(buon zelo) mi portò (mi fé) a biasimare (riprender)
nel mio pensier dicea: 'Che cosa è questa?'. l’intraprendenza (ardimento) di Eva, la quale proprio nel
E una melodia dolce correva luogo in cui (là dove) la terra e il cielo ubbidivano alla
volontà divina (ubidia), donna sola e appena creata (pur testé
per l'aere luminoso; onde buon zelo formata), non sopportò (non sofferse) di stare sotto un velo
mi fé riprender l'ardimento d'Eva, che limitasse la sua conoscenza; e se fosse stata devotamente
che là dove ubidia la terra e 'l cielo, (divota) sottomessa a quel velo, io avrei gustato (sentite)
quelle ineffabili delizie molto prima (prima) e ben più a
femmina, sola e pur testé formata, lungo (più lunga fïata). Mentre io procedevo completamente
non sofferse di star sotto alcun velo; assorto (sospeso) in tante anticipazioni (primizie) della
sotto 'l qual se divota fosse stata, beatitudine celeste (etterno piacer), e desideroso (disïoso) di
ancora più grandi gioie (ancora a più letizie), davanti a noi
avrei quelle ineffabili delizie l’aria sottostante ai verdi rami divenne del tutto simile (tal
sentite prima e più lunga fïata. quale... si fé) a un fuoco acceso; e la dolce melodia già era
Mentr' io m'andava tra tante primizie riconoscibile (inteso) come voci di canto (per canti). O
sacrosante Muse (Vergini), se talvolta (se mai) per amor
de l'etterno piacer tutto sospeso, vostro ho sofferto fame, freddo o veglia (vigilie), un valido
e disïoso ancora a più letizie, motivo (cagion) mi spinge (mi sprona) a invocare il vostro
dinanzi a noi, tal quale un foco acceso, aiuto (ch’io mercé vi chiami). Ora è necessario (convien)
che il monte Elicona versi per me l’acqua delle sue fonti (per
ci si fé l'aere sotto i verdi rami; me versi), e che la musa Urania (Uranìe) mi aiuti con le sue
e 'l dolce suon per canti era già inteso. compagne (coro) a mettere in versi cose difficili (forti)
anche solo a pensarsi.

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