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Profilo di letteratura italiana

EPOCA 1-2-3-4
Letteratura Italiana
Alma Mater Studiorum – Università di Bologna
33 pag.

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EPOCA 1

INTRODUZIONE

La letteratura italiana conosce i primi testi di ampia rilevanza culturale solo nel XIII secolo → lento avvio che
la porterà ad assumere il ruolo di guida nell’intera cultura europea già alla fine del Duecento. La letteratura
latina rappresenta il patrimonio di riferimento, sia per il modello die classici antichi, sia per la produzione
medievale, offrendo un dossier di generi, sul versante religioso e su quello profano, su cui si innestano le
prime prove del volgare. Si tratta di un quadro in cui va inserito il recupero della tradizione della letteratura
francese in lingua d’oil, che incide in profondità sulla cultura delle Origini. Più immediata l’influenza della
letteratura provenzale in lingua d’oc sul versante della lirica con i trovatori.

La posizione inaugurale è assegnata alla poesia che matura intorno alla corte di Federico II: recuperando
l’ideologia dell’amor cortese, la lirica della corte federiciana è il prodotto dell’elaborazione raffinata di una
schiera di funzionari di corte che si dedica alla tematica amorosa. Decisiva la codifica della forma sonetto,
attribuita a Giacomo da Lentini, con la definizione di una struttura in versi chiusa e insieme duttile da
consentire articolazioni interne del discorso lirico. Trasferita nel contesto comunale, in un quadro dominato
dallo scontro tra Papato e Impero, la lirica si allarga a tematiche non esclusivamente amorose grazie alla forte
personalità di Guittone d’Arezzo: da un lato apre la strada a tematiche civili e politiche, dall’altro interpreta
la poesia amorosa fuori dall’ideologia cortese, per abbracciare una intonazione morale e religiosa. →
Guittone rappresenta un nodo nella poesia duecentesca. Il pieno Duecento della poesia profana è anche la
stagione della poesia religiosa (san Francesco, Iacopone da Todi). Dal modello di Guittone si distaccano per
toni e temi i primi esponenti dello Stilnovo: una nuova ondata di poesia che ha in Guinizzelli il primo modello,
una schiera eletta di fedeli d’Amore.

Le prime prove della prosa del Duecento muovono dai precedenti offerti dalla tradizione latina. Brunetto
Latini → investimento sul volgare a partire dal De inventione di Cicerone, deciderà di scrivere in lingua d’oil
il Tresor, poi volgarizzato il Tesoretto. I volgarizzamenti sono la chiave per recuperare e acquisire le tradizioni
narrative francesi. Accanto a queste riprese però la tradizione narrativa conosce una prima e notevole prova
nella raccolta del Novellino, dove dominante rimane il rilievo morale dell’opera, il valore di exemplum
assegnato al singolo tassello narrativo. Un precedente dal quale muoverà il genio di Boccaccio.

PRIME TESTIMONIANZE POETICHE

Le prime testimonianze poetiche italiane hanno caratteristiche peculiari: si trovano sempre incorporate in
contesti latini, all’interno di altre opere o copiate (tracce) e riprendono modelli galloromanzi (lingua d’oc,
d’oil), senza molta originalità.

Le prime tracce certe del volgare compaiono solo tre secoli dopo. Tra la fine del XII secolo e gli inizi del XIII
sono attestati alcuni ritmi, ovvero testi di argomento religioso con finalità principalmente didattiche. Ma al
di là di alcuni casi nell’Italia del Duecento la poesia di argomento storico-politico ricopre un ruolo marginale,
poiché il centro della scena viene presto occupato dalla poesia d’amore.

Prima lirica profana in volgare → Quando eu stava, con notazioni musicali databili tra il 1180 e il 1210. La
lingua non è precisamente localizzabile, molto plausibile che sia una copia. In ogni caso a questa canzone
spetta il primato cronologico della lirica profana in volgare italiano, è la traccia più eloquente dell’esistenza
di una tradizione poetica precedente la costituzione della Scuola siciliana. Riprende integralmente i modelli
della poesia trobadorica sul piano lessicale e retorico-stilistico: rappresentazione della donna come un essere
superiore, secondo l’ideologia dell’amor cortese per cui la donna è una domina, padrona del poeta (servitore-
vassallo); riferimento alla curtisia, ovvero il complesso delle virtù cortesi. = Fase in cui la poesia non è ancora
disgiunta dalla musica.

TRADIZIONE LIRICA NEL VATICANO LATINO 3793

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Rispetto alla fase delle tracce (“preistorica”), la seguente (fine Duecento), in parallelo con l’affermazione del
volgare come lingua come lingua di cultura, si caratterizza per un processo di selezione e conservazione della
produzione poetica italiana delle Origini: raccolte manoscritte definite “canzonieri”, allestiti tra la fine del XIII
secol e i primi decenni del XIV.

1. Il manoscritto Vaticano Latino 37793 della Biblioteca Apostolica Vaticana: rappresenta l’evoluzione
della poesia duecentesca dalle Origini agli autori della generazione immediatamente precedente
quella di Dante;
2. Il Laurenzianoo Redi 9 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze: canzoniere quasi
monografico, dedicato per la maggior parte a Guittone d’Arezzo;
3. Il canzoniere Chigiano L VIII 305 della Biblioteca Apostolica Vaticana: riflette un mutamento di gusto
e celebra gli stilnovisti.

La produzione poetica dei siciliani ci è nota attraverso questi canzonieri, legati fra loro: discendono da un
unico archetipo, un manoscritto perduto la cui esistenza è ipotizzabile a partire dai testimoni effettivamente
disponibili. Tale discendenza risulta evidente sia dal confronto tra i contenuti dei manoscritti, sia dalla lingua
in cui i testi sono trascritti. Sappiamo che i poeti siciliani si esprimevano in siciliano illustre, mentre le poesie
presenti nei tre canzonieri sono copiate in lingua toscana; ciò vuol dire che il manoscritto perduto all’origine
dei tre era stato trascritto da un copista di origine toscana che ha “tradotto” i testi dei siciliani nel suo volgare.
→ era comune che i copisti, anche quando trascrivevano fedelmente la sostanza di un testo, ne mutassero
radicalmente la forma. Per questo è più corretto parlare di adattamento e non di vera traduzione. Il
fenomeno più rilevante generato dall’adattamento è la rima siciliana. Un esempio è S’eo trovasse Pietanza,
di Re Enzo.

Scuola Siciliana

La scuola siciliana si sviluppa attorno alla corte, o Magna Curia, di Federico II di Svevia (1194-1250), re di
Sicilia dal 1194 e imperatore del Sacro Romano Impero dal 1220. Molti dei poeti riconducibili alla scuola
hanno fatto parte in vario modo della corte ricoprendo anche cariche pubbliche. La scuola sembra aver avuto
caratteristiche unitarie: un gruppo di poeti che condividono la stessa estrazione sociale, legati a un contesto
politico preciso, utilizzano una stessa lingua (siciliano illustre), compongono testi tra loro affini per temi e
stile ispirandosi alla tradizione trobadorica e raccolti nei manoscritti. !! Lingua dell’alta cultura rimaneva il
latino. L’argomento principale della poesia siciliana è l’amore, essendo storia politica e propaganda
tematiche riservate alla poesia latina nella corte di Federico II. Radicale selezione dei temi da parte dei poeti,
tralasciando i più impegnativi (morale, satirico, storico, politico). Dai trovatori i siciliani ereditano la
concezione globale dell’amore e il modo in cui l’amore viene rappresentato in poesia: il rapporto tra amante
e amata è concepito come un rapporto feudale si sudditanza. La poesia dei trovatori aveva anche una
componente dialogica, ripresa dai Siciliani: lo strumento metrico del dialogo tra i poeti occitani è la cobla
(strofa), scambio di coblas che si organizzano in tenzoni. Le tenzoni siciliani sono di base dei dibattiti
sull’amore → le tenzoni italiane devono però molto alla tradizione della quaestio scolastica, tipo di
discussione che nelle università medievali si svolgeva secondo regole precise. Nei siciliani vi è inoltre un
interesse per la descrizione della fenomenologia amorosa, dei sentimenti e del processo di creazione
dell’immagine mentale dell’amata. Rispetto ai trovatori, la poesia dei siciliani è del tutto spersonalizzata; i
poeti sembrano più interessati alla rappresentazione deli aspetti universali dell’amore, con riflessioni di
carattere filosofico. Le forme metriche della poesia siciliana sono la canzone e il sonetto. Il sonetto è
un’invenzione locale, forse legata a Giacomo da Lentini. → La cobla è qui usata isolatamente come un breve
testo lirico (canzone: più coblas). Esperienza della scuola decisiva: si stabilizza l’endecasillabo.

Giacomo da Lentini

Notaio attivo alla corte di Federico II tra gli anni Trenta del XIII secolo. Uno dei primissimi poeti della Scuola,
certamente il più influente: per la scelta esclusiva del tema amoroso, per l’adozione del sonetto (invenzione?)

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e per la fitta rete di rapporti che lo lega agli altri rimatori. Poeti e manoscritti si muovevano attraverso le Alpi,
ed è così che la letteratura galloromanza si diffonde in Italia → il canzoniere Vaticano Latino 3793 si apre con
la canzone di Giacomo Madonna, dir vo voglio, traduzione di A vos, midontc, testo trobadorico di Folchetto
di Marsiglia. Al centro del testo c’è la descrizione della bellezza femminile, dell’oggetto amoroso, ma anche
un’analisi degli effetti che il sentimento provoca nel soggetto e una riflessione sui limiti del linguaggio
poetico, incapace di esprimere compiutamente le emozioni, ma tuttavia unico strumento per alleviare la
sofferenza.

L’esperienza poetica della Scuola siciliana ebbe una rapida influenza in tutta la penisola. Nel corso del
Duecento, si assiste in tutta la penisola a un intenso sviluppo della tradizione poetica volgare: per ragioni
sociali, economiche e culturali i centri più attivi sono Bologna e Toscana. → i poeti più importanti di questa
fase sono Guido Guinizzelli, Guittone d’Arezzo e Bonagiunta Orbicciani da Lucca.

GUITTONE D’AREZZO (1230 – 1294)

È il più importante poeta italiano della seconda metà del Duecento. Il manoscritto Redi 9 è la più importante
testimonianza della centralità di Guittone nel panorama della poesia italiana della seconda metà del
Duecento. Il Laurenziano è una raccolta di poeti siciliani e toscani costruiti attorno alla figura centrale di
Guittone. Nei primi fascicoli ci sono le sue raccolte in prosa, le successive sezioni di canzoni e sonetti si aprono
con i tesi dell’aretino e si dividono in due parti: le poesie di “frate Guittone”, poi quelle del “Guittone”: da un
lato testi di carattere morale e religioso e dall’altra quelli di argomento amoroso. La produzione poetica di
Guittone (circa 50 canzoni e 250 sonetti) è caratterizzata da un’estrema perizia tecnica → la ricercatezza
formale, la complessità metrica, sintattica e lessicale e il frequente uso di figure retoriche. La scelta di
comporre testi poetici di argomento storico, politico e religioso è una novità nel panorama della lirica italiana.
Nel 1259 Guittone si trovò in netta opposizione con le decisioni politiche e militari del Comune e scelse di
andare in esilio; in occasione della battaglia di Montaperti 1260 (sconfitta dei guelfi) compone un’importante
canzone di argomento politico: Ahi lasso, or è stagione de doler tanto. → Gli eventi terreni vengono messi in
parallelo con la decadenza di valori universali, la sconfitta di Firenze che ha rinunciato alla sua libertà, in
questo caso, è un riflesso del declino della giustizia e della vittoria dell’ingiustizia. In questa situazione di crisi
politica e morale matura la decisione di entrare a far parte dei frati Gaudenti, la canzone Ora Parrà mette in
scena la dialettica tra canto d’amore e canto morale e proclama la scelta di una poesia ispirata a un ideale di
giustizia e saggezza in nome di Dio. Frate Guittone dimostra che non è vero che solo chi ama può essere un
poeta, anzi chi vuole poetare e dimostrare il proprio valore deve trattare di argomenti morali, lasciandosi
guidare dalla giustizia, dalla conoscenza e da Dio e riponendo ogni speranza nella lode divina. L’altra metà
del corpus di Guittone è di argomento amoroso. Dal punto di vista cronologico dovrebbe precedere la parte
morale e religiosa: tuttavia nel Laurenziano la cronologia viene rovesciata. I soli protagonisti sono il poeta e
la donna amata cui si rivolge, e alla quale viene data la parola in un sottogruppo di sonetti in tenzone. Nel
primo sonetto della serie il poeta descrive la propria sottomissione ad Amore e sembra poi rivolgersi
direttamente al testo poetico chiedendogli di descrivere la propria condizione. Sembra già implicito il rifiuto
dell’amore cortese cui Guittone giungerà nella seconda parte della sua carriera poetica. L’amore ha sconfitto
l’intelletto e le forze del poeta: proprio per questo per recuperarli si deve abbandonare il canto d’amore e
rivolgersi alla poesia di argomento morale e religioso.

IL DOLCE STIL NOVO

Il manoscritto Chigi L VIII 305 sancisce un passaggio epocale e indica che il canone poetico è mutato rispetto
ai canzonieri toscani delle Origini. Si apre con un gruppo di poeti che nei manoscritti più antichi erano assenti
o comunque marginali: Cavalcanti, Cino da Pistoia e Dante → Sono i poeti definiti stilnovisti, in quanto
appartenenti al dolce stil novo. Per Dante esiste un punto di snodo tra un modo antico di fare poesia,
rappresentato da Lentini, Orbicciani e Guittone, e uno moderno che ha come progenitore Guinizzelli e che
trova il suo principale esponente in Dante stesso. → per Dante questa poesia è ispirata da Amore e rivendica

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una corrispondenza tra ciò che il poeta prova e il modo in cui si esprime. ! Lo stil novo è caratterizzato da un
gruppo eterogeneo, non è un movimento letterario organizzato.

Guido Guinizzelli

Guinizzelli, di cui si conservano solo cinque canzoni e quindi sonetti è contemporaneo dell’aretino (1230). In
uno scambio odi sonetti fra i due il bolognese si rivolge a Guittone con l’epiteto di “padre”: potrebbe trattarsi
di un riconoscimento del ruolo di primo piano oppure Guido metterebbe in dubbio l’autorità ironizzando sui
vizi individuali dell’aretino e su quelli dell’ordine dei Gaudenti. → Primo segno del conflitto tra antichi e
moderni. Ma la traccia più importante del passaggio di consegne è una tenzone tra Guido e Orbicciani: il
sonetto sembra essere una rivendicazione della legittimità della stranezza osservata da Bonagiunta e quindi
della novità della propria poesia. La tenzone testimonia il cambiamento in atto e il distacco di Guinizzelli da
Bonagiunta e dagli altri poeti della vecchia maniera, come Guittone. Nella produzione di Guinizzelli, accanto
a molte tematiche tipiche della tradizione poetica romanza, è possibile individuare alcuni temi che, pur non
essendo esclusivi della sua poesia, avranno fortuna tra gli stilnovisti e costituiscono la ragione per cui Dante
ha individuato nel bolognese il proprio padre letterario. Il miglior esempio è un sonetto interamente dedicato
all’elogio della donna amata, i motivi principali sono: la lode dell’amata, il passaggio per via, la capacità di
rendere umile grazie alla propria nobiltà interiore, l’atteggiamento orgoglioso di coloro che incontra sulla sua
strada e ai quali concede il suo saluto, la conversione dei fedeli. Tutti elementi caratteristici dello Stilnovo, in
cui la donna è immaginata come un essere dai tratti sovrannaturali in grado di attirare a sé una devozione
paragonabile a quella di un fedele per la divinità e di compiere atti miracolosi che rendono gli uomini virtuosi.
→ L’amore è un fenomeno che riconduce a un rinnovamento interiore rendendo degni di accedere a una
nobiltà tutta spirituale. Nel corso del Duecento la civiltà italiana muta profondamente. La nuova borghesia,
legata al commercio e alle professioni pubbliche, aspira ormai a posizioni di potere e egemonia culturale e
cerca una legittimazione sociale e ideologica che non dipenda solo dai legami familiari e di sangue. I poeti
stilnovisti si fanno interpreti di questa istanza e teorizzano la superiorità della nobiltà interiore sulla nobiltà
di sangue, concependo un nuovo tipo di aristocrazia fondata sulla virtù e sui meriti individuali. L’esperienza
attraverso cui si raffina e si manifesta questa nuova nobiltà è l’amore. L’amore e l’animo nobile sono una sola
cosa: è il concetto che viene espresso da Guinizzelli nella canzone Al cor gentil, considerata il manifesto dello
Stilnovo → La canzone, caratterizzata da un ricco sistema di comparazioni che procede dagli elementi naturali
fino alle sfere celesti e alla divinità stessa, da un linguaggio limpido e preciso e da una tecnica argomentativa
logica e consequenziale, espone i due concetti fondamentali che ritroveremo anche negli altri stilnovisti e in
Dante: amare nobilmente significa possedere delle qualità morali individuali che ci distinguono dagli altri
uomini. e questo tipo di amore scatta solo se interviene la mediazione di una donna diversa da tutte le altre
che ha l’aspetto e la virtù di un angelo.

Guido Cavalcanti 1259 Firenze

Schierato con i guelfi, condannato all’esilio. Le fonti più antichi non lo descrivono come un poeta ma come
un filosofo, in ragione della complessità teorica della sua canzone più celebre, Donna me prega. Dante gli
dedica la Vita nova, definendolo il suo primo amico → molto vicini sul piano stilistico nella fase giovanile,
probabile rottura in seguito per ragioni politiche, filosofiche o ideologiche.

In Chi è questa che vèn dopo aver dispiegato le più alte lodi possibili della donna, pone l’accento
sull’incapacità del poeta di descrivere compiutamente il fenomeno a cui assiste. Il sonetto si apre con una
citazione biblica, dal Cantico dei Cantici, e tutta la raffigurazione in fondo è di matrice biblica: accanto alla
donna compare la personificazione di Amore, che è diffusa in tutta la poesia romanza ma che solo in
Cavalcanti, in Danti e negli stilnovisti assume i tratti di un vero personaggio. In Cavalcanti si accentua la
tendenza romanza a trasferire il discorso dall’esterno (lode alla donna, descrizione della natura) all’interno
(animo del poeta). Il fulcro di questa poesia è quindi l’interiorità del poeta. Negli stilnovisti si nota rispetto
ai poeti precedenti un più intenso uso della terminologia scientifica e filosofica (fenomeno ottico della

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scintillazione v.2). Donna me prega costituisce un esempio unico per il rigore formale, per l’uso della
terminologia aristotelico-scolastica e per la dichiarata volontà di ragionare sull’amore in termini di filosofia
naturale, come di un’esperienza descrivibile con precisione scientifica. → La prima stanza funziona da
proemio, il poeta compone perché una donna glielo chiede: parla d’amore, definito come un accidente, si
rivolge a persona d’animo nobile e afferma di voler dimostrare con la filosofia naturale le principali
caratteristiche dell’amore. Nelle successive stanze affronta le origini, le motivazioni e le caratteristiche
dell’amore, compare l’idea di aristocrazia dello spirito tipica dello Stilnovo: solo chi non ha basso core può
comprendere il discorso sull’amore. Infine, affronta questioni complesse e sancisce la separazione tra ragione
e amore, descritto come sentimento smisurato e irrefrenabile che priva l’uomo del dominio su sé stesso,
distogliendolo dall’esercizio della filosofia. = Punto su cui Dante e Cavalcanti sono più distanti, per Dante
l’amore deve essere accompagnato dal consiglio della ragione.

Chi scrive d’amore e di virtù, a partire dal Trecento, lo fa mettendosi nel solco di una nuova tradizione che
inizia con i poeti che chiamiamo stilnovisti ed è sancita dal canone del Chigiano.

POESIA COMICO-REALISTICA

La tradizione manoscritta della poesia due-trecentesca, accanto alla lirica di matrice cortese, predilige
tematiche e soluzioni linguistico-stilistiche eterodosse. I due poli del genere tragico e comico coesistono nella
tradizione poetica in volgare a partire dal Duecento. La poesia comica è trasmessa negli stessi grandi
canzonieri della lirica cortese predantesca e di quella stilnovistica. Il rapporto della poesia comico-realistica
con quella aulica va visto nei termini di due possibili alternative, ciascuna riservata alla porzione di mondo
che si intende rappresentare, e che implica il ricorso a un repertorio comune di immagini e a una
strumentazione stilistico-retorica codificati dalla tradizione. La preferenza per motivi connotati in senso
triviale, la selezione linguistica orientata vero il basso, l’uso oltranzistico di procedure retoriche finalizzate a
produrre effetti di paradosso non vanno interpretati come un innocuo divertimento ma come un codice
peculiare che riflette un diverso atteggiamento nei confronti della realtà e della tradizione culturale.

Rustico Filippi (1230 Firenze) è il primo a dedicarsi al comico in modo sistematico. Specializzato nel genere
dell’invettiva, con tono prevalentemente burlesco: innocue canzonature rivolte verso macchiette, personaggi
dell’aneddotica cittadina bersagliati per le loro debolezze psicologiche e i loro comportamenti. I ritratti di
Rustico svolgono presto una funzione modellizzante per molti rimatori coevi. Scrive invettive anche Cecco
Angiolieri (Siena 1260), la cui novità risiede nel fatto che la sua poesia ruota intorno a pochi temi costanti
che si richiamano vicendevolmente, formando delle serie dotate di una certa compattezza e coerenza
interna. Domina una tendenza autobiografica, il lamento per la povertà e le avversità della fortuna, come il
conflitto col padre e l’amore non ricambiato per Becchina → caratteri fondamentali di un unico ritratto auto
derisorio e caricaturale. L’effetto comico risiede nella coerenza interna del sistema, nel fatto che questa
parata di sé stesso si presenti come se gli eccessi descritti fossero la rappresentazione scrupolosa della
propria condizione spirituale e materiale. Rappresentazione grottesca del sentimento amoroso, il dialogo è
il mezzo cui Cecco dà voce alla protervia della donna contro le maldestre profferte del corteggiatore. All’io
nobile della poesia cortese l’Angiolieri fa subentrare un io degradato e anti esemplare con una chiara
tensione alla contestazione dei valori.

POESIA ALLEGORICO-DIDATTICA E POESIA RELIGIOSA DELLE ORIGINI

La produzione letteraria nei volgari italiani è stata notevolmente più ampia: in area settentrionale si sviluppa
fin dalla metà del XII secolo una poesia di carattere didattico il cui documento più significativo è il codice
Saibante, il quale contiene anche un poemetto misogino anonimo 1160 e il Libro di Uguccione da Lodi, un
poemetto strutturato come un elenco di insegnamenti religiosi, morali e di preghiere. Accanto ai testi qui
contenuti la produzione didattica si allarga anche alla descrizione dei mondi ultraterreni. Personalità
significativa: Bonvesin de la Riva 1250.

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Nella poesia medievale si individuano altri due filoni: il poema che mette in scena il contrasto tra le
personificazioni dei vizi e delle virtù e il romanzo in versi il cui argomento principale è l’amore, come storia
dello sviluppo individuale del protagonista. Questi due modelli si intrecciano nella tradizione del poema
allegorico che trova il suo capolavoro nel Roman de la Rose, opera di Guillaume de Lorris e Jean de Meung.
→ Storia del tentativo da parte del protagonista di conquistare una rosa che rappresenta la donna amata in
un mondo popolato dalle personificazioni dei sentimenti, vizi e virtù. In Itali questo tipo di racconto allegorico
ha come principale rappresentante il Tesoretto di Brunetto Latini, scritto in lingua d’oil, una vasta opera
enciclopedica in prosa. È una trasposizione del contenuto didattico del Tresor in una struttura narrativa in
prima persona, incompiuto. Il protagonista coincide con l’autore e il racconto contiene dunque numerosi
riferimenti autobiografici. Dopo la battaglia di Montaperti, addolorato si perde in una selva diversa dove
incontra la personificazione della Natura che gli narra la storia della creazione, poi Brunetto visita il regno
della Virtù dove alcune personificazioni gli trasmettono una serie di insegnamenti pratici e morali; passa
infine nel regno di Amore. Il poemetto si conclude subito dopo l’incontro con l’astronomo Tolomeo.

Nel Medioevo accanto alla poesia che parla di amore profano, esiste una tradizione di componimenti scritti
e cantati che celebrano l’amore divino. La lode in versi per Dio era un’esperienza comune: fiorente tradizione
di poesia religiosa i cui autori più importanti sono san Francesco e Iacopone da Todi. Il Cantico delle Creature
di san Francesco era probabilmente destinato al canto orale, si tratta di una lode a Dio e al creato concepita
sul modello dei Salmi biblici, dai quali riprende lessico e immagini. Il Cantico si apre con un’affermazione
pessimistica: all’uomo non è consentito nominare Dio, ma proprio perché non può nominarlo, può lodarlo
attraverso gli elementi, che, come l’uomo, sono creature divine, in nome di un’idea di fratellanza universale
tra l’individuo e il mondo che pervade tutta la prima parte del testo. Nella seconda lo sguardo di Francesco
si sposta dagli elementi naturali agli uomini, e da questi il pensiero corre alla morte: quella corporale che
tocca tutti e quella spirituale che attende chi muore nel peccato e alla quale sfuggiranno coloro che
moriranno nella volontà di Dio. Il testo (33 versetti: significato numerologico) contiene numerosi tratti
dialettali umbri, ma anche grafie latineggianti e formule bibliche. In rapporto col movimento francescano si
sviluppa anche la tradizione della laude. Verso la fine del secolo si diffondono i laudari, raccolte manoscritte
riservate a queste composizioni. L’autore più rappresentativo è Iacopone da Todi, al quale si attribuiscono
circa cento laudi. Dopo Iacopone la lauda tende a coincidere con la forma della ballata. La sua esperienza
poetica è permeata dalla spiritualità cristiana: accanto alla celebrazione di Dio e dei santi e all’evocazione
poetica del sacrificio del Cristo ritroviamo ad esempio i temi del disprezzo del corpo e del distacco dal mondo
terreno. Ciò non si traduce a un disinteresse per gli eventi mondani. → Poesie che si interessano delle vicende
politiche e religiose del suo tempo, nelle quali il frate fu direttamente implicato. Il principale bersaglio delle
invettive è Bonifacio VIII, prototipo del peccatore, traditore della missione pontificia che si è macchiato di
ogni vizio. Altra caratteristica: rifiuto della “misura”, principio di origine aristotelica secondo cui la virtù è
punto medio tra due vizi, tra l’eccesso e il difetto. Per Iacopone invece l’esperienza mistica e religiosa non ha
bisogno di saggezza e di misura: il suo amore per Dio vuole essere folle e smisurato. → Poeta raffinato,
elaborazione formale, tra mondo religioso e mondo quotidiano.

LE FORME DELLA PROSA

La nascita e l’evoluzione della prosa volgare sono legate ai modelli latini e oitanici. Nel corso del Duecento,
scrivere in prosa significa volgarizzare, cioè trasporre un testo in volgare italiano. Le due principali aree di
diffusione sono Bologna e Firenze. A Firenze, protagonista dell’attività di volgarizzamento è Brunetto Latini,
autore di trasposizione in volgare della Rettorica, una traduzione rielaborata dei primi diciassette capitoli del
De inventione di Cicerone. Ciascun capitolo è strutturato in due parti: prima il volgarizzamento (Cicerone) e
poi lo sponitore (Brunetto), colui che letteralmente espone il testo ai lettori. Il fine è insegnare a dire e dittare,
a comporre orazioni e componimenti letterari, prosa o versi, trapiantando in volgare la pratica delle artes
dictandi. La diffusione del romanzo francese in Italia produsse molti volgarizzamenti. Dalla letteratura
d’oltralpe la cultura italiana eredita anche il romanzo di materia bretone, in particolare Tristano e Isotta. La

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più antica versione in volgare italiano è nota come Tristano Ricciardiano. La versione italiana mette l’accento
anche sulla sensualità, accentuando la componente erotica. Altro esempio di influenza della tradizione
oitanica, oltre al Tresor, è il Milione, un’opera singolare, scritta tramite collaborazione fra Marco Polo che
racconta e Rustichello da Pisa che mette per iscritto. → incrocio di generi letterari, si intrecciano
autobiografia, romanzo di avventure, novellistica, cronaca, trattato didattico-scientifico.

Nel Duecento, eccezione fatta per i volgarizzamenti dal francese, non esiste ancora il romanzo in volgare. Si
sviluppa una ricca tradizione di narrativa breve in prosa che trova i suoi modelli nella letteratura mediolatina
e romanza. Il capolavoro è il Novellino, una raccolta di novantanove novelle più un prologo. Nel Novellino
compaiono molte figure bibliche e vari protagonisti dei romanzi francesi, ma agiscono personaggi storici
antichi e moderni e, in generale, uomini nobili sia per stirpe sia per doti individuali. Il mondo reale descritto
dall’autore è composito: ma l’immagine ideale che si vuole offrire è molto netta: è il mondo della cortesia
con i suoi valori. Il fine dell’opera è esplicitamente duplice: utilità e piacere di coloro che non sanno e
desiderano sapere. Il Novellino si attiene al gusto dell’exemplum tipico della letteratura medievale, secondo
cui una storia deve avere sempre un significato esemplare, dall’altro vuole esplicitamente dilettare, divertire.
(→ direzione che anticipa il Decameron). Il tema della nobiltà, ad esempio, è al centro della novella: D’una
questione che fu posta ad uno uomo di corte, giocata sulla distanza tra un uomo nobile e un giullare. Il
capolavoro della prosa duecentesca è però la Vita nuova di Dante Alighieri, la prima opera originale che, pur
fondata sulla conoscenza diretta dei testi classici e mediolatini, raggiunge una totale autonomia rispetto ai
modelli.

EPOCA 2

INTRODUZIONE

Il Trecento rappresenta una stagione eccezionale nella tradizione letteraria, un momento in cui la nascita in
contemporanea di alcune opere straordinarie pone le basi per una nuova cultura. Negli scritti delle Tre
Corone (Dante, Petrarca, Boccaccio) si realizza una sintesi della tradizione letteraria del Duecento, e insieme
un suo superamento: centralità di Firenze e della toscana.

-Con la Vita nuova Dante realizza un’opera che determina uno scarto profondo nella tradizionale concezione
dell’amore e nel ruolo della lirica. Attraverso la vicenda di vita e di morte di Beatrice, Dante intraprende un
cammino della passione amorosa su un orizzonte trascendente. La Commedia offre la sintesi di un’intera
cultura, con protagonisti della vita politica contemporanea, il recupero della filosofia di Aristotele e Tommaso
d’Aquino; offre una sintesi di lingua e stile inarrivabile, entro quel plurilinguismo dantesco, in cui trova spazio
una sequenza di stili e toni culmine di una profonda sperimentazione. Innalza la dignità del volgare.

-Le prime prove di Petrarca lo vedono schierarsi in modo deciso sul versante latino; figura di intellettuale
capace di dialogare con gli antichi, di recuperarne i frammenti perduti. Importante l’accento sulla dimensione
etica, su una ricerca di ordine morale che alimenta le centinaia di epistole latine, e che trova una piena
espressione nella composizione del Secretum; a partire da qua muovono le linee del Canzoniere, passo
decisivo nella storia della lirica europea. Sperimentazione. “Fiorentinità trascendentale” (Gianfranco
Contini): legame ostinato e letterario con le proprie radici fiorentine, che non sono le radici di una biografia,
ma di un’appartenenza culturale che Petrarca mantiene negli anni, al di là delle diverse tappe della sua
esistenza.

-Nella formazione di Boccaccio concorrono la matrice napoletana di stampo cortese e la matrice fiorentina.
Riconosce a Petrarca un ruolo di guida e di riferimento. Con la composizione del Decameron, impiega la sua
prosa complessa, di struttura latineggiante, sulla realtà dell’Italia del suo tempo, percorsa nelle diverse città
e nei diversi strati sociali, in un affresco di eccezionale vivacità. Dietro l’apparente leggerezza della materia e
dei racconti, Boccaccio assembla un’opera che reagisce alla dissoluzione devastatrice della peste del 1348,

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che propone una rosa di ideali e di valori tutti terreni e concreti, ma che contemporaneamente assegna un
valore alto alla parola letteraria.

DANTE ALIGHIERI (Firenze 1265 – Ravenna 1321)

Ciò che sorprende è il carattere di assoluta originalità, per ogni opera non si può individuare un modello
univoco, ma nemmeno un genere letterario di appartenenza. Con la conseguenza che le stesse opere
dantesche non divengono a loro volta modellizzanti per la successiva letteratura europea. Condizione di
unicità leggibile come il risultato di due fattori: lo sperimentalismo e l’autobiografismo. ! Riconoscimento del
volgare come lingua nazionale di cultura, titolo di “padre della lingua”.

Al principio della Commedia Dante racconta di aver intrapreso il viaggio oltremondano, ambientato durante
la Pasqua del 1300 “nel mezzo del cammin di nostra vita”, all’età di 35 anni. La nascita del poeta è da collocare
nel 1265 a Firenze. All’età di nove anni (Vita nuova) c’è il primo incontro con Beatrice. Nel 1277 Dante si
sposa con Gemma di Manetto Donati, con cui avrà quattro figli. Dante si afferma come poeta d’amore in
volgare con una produzione di rime che trova una prima raccolta nella Vita nuova (1293). Nel Convivio
ricostruisce invece gli inizi dei suoi studi filosofici: per trovare conforto dalla morte di Bea, il poeta inizia a
leggere il De consolatione Philisiphiae di Boezio e il Laelius de amicitia di Cicerone, grazie a cui si appassiona
alla filosofia. Il punto di riferimento rappresentato da Cavalcanti è fondamentale per la formazione
intellettuale, offrendogli un innovativo modello di poesia e permettendo di superare la dimensione cortese.
Nella vita nuova gli dedica l’opera, rivendicando in nome di Guido la scelta del volgare. Tuttavia, il loro
rapporto è stato oggetto di discussione: la Vita nuova approda a una poetica e a una concezione dell’amore
diverse rispetto a quelle cavalcantiane. In ogni caso Dante si presenta al dedicatario come il suo legittimo
successore, colui che, attribuendo nuovi significati e valori alla poesia d’amore, è stato capace di riprendere
e proseguire il cammino aperto dall0amico, il quale a un certo punto della sia vicenda intellettuale potrebbe
aver abbandonato la lirica amorosa per dedicarsi allo studio della filosofia. Dante non ha mai raccolto le sue
rime in un canzoniere, l’ordinamento delle Rime è quello fissato a suo tempo da Barbi per l’edizione nazionale
del 1921 sulla base di criteri biografici, stilistici e tematici. L’armonia tematica e formale delle poesie della
lode (che Dante consegna ai posteri con il nome di “dolce stil novo”) costituisce il punto di arrivo di un
percorso che, fin dai primi prodotti ancora compromessi con la precedente tradizione cortese e guittoniana,
è stato contraddistinto da una forte vocazione sperimentale. I primi esperimenti lirici sono ancora connotati
in senso cortese, sia sul piano linguistico (provenzalismi e sicilianismi) sia sul piano dei temi e metafore
(matrice feudale). Ma già a un clima e a ideali differenti appartiene una serie di componimenti ispirati da
un’inedita grazia e leggerezza (Guido, i’ orrei che tu e Lapo ed io), che celebra l’amicizia come intima
condivisione di valori in nome d’Amore, poi assunto dalla critica come manifesto dello stilnovismo.
Rimandano invece a una più drammatica esperienza d’amore, e a un modello cavalcantiano ormai assimilato
in profondità, alcuni componimenti che riguardano Beatrice, ma come oggetto di una passione cupa e
patologicamente sofferta, cui il poeta si sa destinato sin dalla nascita. Appartengono infine al genere comico-
realistico i sonetti scambiati da Dante con il poeta amico Forese Donati, caratterizzati dal registro basso e
quotidiano, ulteriore prova di versatilità stilistica e perizia tecnica che daranno il frutto maturo
nell’espressionismo e nel plurilinguismo della Commedia.

La Vita nuova

La vita nuova è una narrazione in prosa volgare della storia dell’amore di Dante per Bea, prima e dopo la
morte di lei, che include le liriche composte negli anni precedenti. Il titolo intende riferirsi al rinnovamento
interiore che Dante matura sotto il segno di Amore. Il libello include nel suo insieme 31 poesie, tra sonetti,
canzoni e una ballata, che si alternano nel corso della narrazione. La prosa assume il compito di collegare le
liriche, narrando le occasioni in cui sono state composte e commentandole. Disegno tripartito:

1. Una prima parte introdotta dal proemio e conclusa dalla crisi del “gabbo” (I-XVI)
2. Una seconda parte incentrata sulla materia nuova della poesia della lode (XVII-XXVII)

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3. Una terza parte che si apre con la morte di Bea e termina con la visione finale (XXVIII-XLII).

Novità del libello. La Vita nuova è un’opera senza precedenti e presenta tratti costitutivi rivoluzionari rispetto
alla coeva tradizione letteraria: la scelta di scrivere un libro esclusivamente in volgare, l’idea di alternare
prosa e versi, selezionando e riorganizzando all’interno di una coerente narrazione autobiografica le liriche
amorose giovanili, l’invenzione di una concezione dell’amore che, spezzando definitivamente i vincoli
ideologici, culturali e linguistici imposti dal paradigma cortese, riprende e oltrepassa l’azione di rinnovamento
poetico già promossa da Cavalcanti.

Non sappiamo con precisione quando compose il libello. Dante racconta che compose la prima lirica inclusa
nel prosimetro (opera che alterna prosa e versi), quando aveva diciotto anni 1283. I componimenti relativi
all’episodio della donna pietosa e il sonetto finale dovrebbero essere stati scritti a un anno dalla morte di Bea
1291. → Si potrebbe collocare la composizione della Vita nuova fra il 1292 e il 1293.

Dante introduce la storia del suo rinnovamento spirituale come una trascrizione del libro della memoria, di
cui si ripromette di riportare, se non tutte le parole, almeno il loro significato esemplare. Il racconto del primo
incontro con Bea intende comunicare al lettore la certezza di assistere a una vicenda straordinaria: da allora
Amore domina nella mente di Dante, sempre assistito da Ragione. L’idea di un amore governato dalla ragione
rappresenta una novità della storia che Dante vuole raccontare, segnando una rottura rispetto alla
concezione canonica che vuole amore e ragione come forze opposte e inconciliabili. La necessità di un amore
intimamente razionale si carica per la prima volta di un nuovo valore nelle oscure parole di Amore apparso
in sogno al poeta dopo che Bea gli ha negato il saluto, lasciandolo nello sconforto. Amore inizia a presentare
a Date l’esigenza di maturare un sentimento diverso non vincolato a un segno esterno di benevolenza.
Desiderando il saluto di Bea, Dante ha riposto il dine del proprio amore al di fuori di sé: si è perduto dietro le
fragili dinamiche della sua storia cortese. Il dio spiega invece come l’amore debba avere in sé il proprio centro,
cioè la propria perfezione, e non ricercarla al di fuori di sé, nei singoli episodi biografici che invece come punti
della circonferenza devono rimanere equidistanti dal centro, origine e misura. Solo dopo essere divenuto
oggetto di riso di Bea e delle sue amiche e dopo la conseguente rinuncia alla stessa parola lirica, Dante poeta
riesce a superare la impasse psicologica e poetica, grazie al colloquio con una delle donne gentili. Una di
queste porta dante a comprendere come sia necessario riporre ogni felicitò nelle sue stesse parole che
lodano Beatrice, espressione di un amore disinteressato e autosufficiente, presupposto di una poesia
inesauribile. Nel seguito questo equilibrio interiore viene messo in crisi dalla morte di Bea, che espone il
poeta a nuove tentazioni amorose, all’attrazione per una donna mostratasi compassionevole verso di lui.
Date avverte come l’attrazione per questa sia inconciliabile con l’amore sorretto dalla ragione per Bea. Il
conflitto interiore tra ragione e desiderio è risolto da un’apparizione mentale di Bea che restituisce a Dante
la costanza della ragione, scacciando il desiderio come avversario in quanto opposto a quell’ideale di amore
perfetto, faticosamente conquistato. Prima di dedicare il finale del libello alla visione della gloriosa Bea,
Dante celebra il trionfo della ragione, che guida il suo amore salvandone l’inviolabilità.

La storia del rinnovamento interiore ispirato dall’amore è la storia della poesia di Dante, dagli esordi cortesi
alla maturazione di una poetica portatrice di valori inediti e più elevati. La poesia della lode rappresenta
senz’altro la conquista di un nuovo ideale linguistico e retorico, improntato al supremo valore della dulcedo,
come Dante stesso vorrà ribadire nell’incontro purgatoriale con Bonagiunta, dove la formula dolce stil novo
identifica proprio la canzone manifesto della nuova poetica, Donne ch’avete intelletto d’amore. Ma la svolta
delle nuove rime è ideologica e giace nella superiore assolutezza di una poesia frutto di un’ispirazione
interiore. Quando Dante nella prima parte del libello compone le sue poesie d’amore al fine di ottenere il
saluto di Bea, in cui ripone la sua felicità, non fa altro che proseguire il modello culturale di origine trobadorica
(poesia cortese come richiesta di ricompensa per il servizio amoroso, guiderdone), nel momento in cui il
saluto gli viene negato, il suo amore perde il suo fine e la poesia la sua giustificazione. Vistasi preclusa ogni
corrispondenza il poeta entra in una fase che si può definire cavalcantiana, nella misura in cui non può fare
altro che denunciare il proprio stato di angoscia, scomponendo ossessivamente il proprio dolore. Ma Dante

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si rende presto conto che la poesia si chiude in una circolarità viziosa e si rassegna al silenzio. In questo
momento di impasse esistenziale si presenta al poeta l’intuizione della lode. Il dialogo con una donna conduce
Dante alla coscienza dell’insufficienza di una poesia autoreferenziale, scritta per notificare la propria
condizione, e alla scoperta di una lode dell’amata disinteressata, frutto di un amore autosufficiente, che abbia
in sé la propria beatitudine, sul modello della caritas, l’amore incondizionato verso Dio.

= SOTTRAZIONE ALL’AMOR CORTESE, LODE INFINITA E INCONDIZIONATA A BEATRICE.

Esempio: Tanto gentil e tanto onesta pare. Descrive la meraviglia suscitata dall’apparizione di Bea, avvolta in
un’aura miracolosa. Allusioni a passi biblici.

La Vita nuova si costituisce come irriducibile presupposto del poema sacro: per l’eccezionalità riconosciuta
alla propria vicenda autobiografica, per l’intuizione di un amore che trascende la dimensione terrena, il
potere salvifico di Bea assunta in cielo e la scoperta della poesia come supremo strumento conoscitivo.

! Per quanto nella Vita nuova Dante si fosse dichiarato contro coloro che rimano sopra altra materia che
amorosa, prima gli studi di filosofia poi le vicende biografiche (esilio causa scontro Neri e Bianchi), lo
conducono verso la trattazione di tematiche morali. Nei primi anni dell’esilio assume con maggiore decisione
le vesti del cantore della rettitudine, con canzoni sostenute da uno stile più elevato e da un forte impegno
morale.

Il Convivio

Prosimetro che consiste in un autocommento alle canzoni allegoriche e morali composte negli anni
precedenti. Presentato come opera della piena maturità, è profondamento diverso dalla Vita nuova: per i
contenuti filosofici e per le finalità didascaliche. Il titolo richiama la metafora di fondo del banchetto della
conoscenza: Dante si propone di raccogliere le briciole di scienza cadute dalla mensa dei sapienti e di offrirle
a coloro che sono esclusi dal sapere. La stesura dell’opera si colloca nei primi anni di esilio, si deduce che il
primo libro risalga al 1304 e il quarto, ultimo, tra il 1306 e il 1308. La scelta di comporre un trattato filosofico
in volgare con intento didascalico si spiega con la situazione in cui Dante si viene a trovare nei primi anni di
esilio quando, escluso dalla politica attiva, si affida alla possibilità di riaccreditarsi presso le stesse corti che
lo ospitavano come intellettuale impegnato nella formazione delle élites. = Esigenza di proporsi come guida
culturale di una nuova aristocrazia morale. La reinterpretazione delle rime dedicate alla donna pietosa, che
rappresenterebbe un’allegoria della Filosofia è indicativa del tentativo di rimuovere da sé l’immagine
giovanile di poeta amoroso. Il De consolatione Philosophae di Boezio, cui Dante si richiama, costituisce un
modello di riferimento per la struttura di fondo, che prevede parti in prosa alternate a carmi filosofici e per
la personificazione della Filosofia. Altra opera influente è il Tresor di Latini, con cui condivide l’intento
divulgativo, nonostante la polemica al volgare straniero e non italiano. Contenuti filosofici: mostra una
conoscenza ampia dell’opera aristotelica, attingendo anche alle grandi opere enciclopediche medievali.

Non porta a termine il Convivio per dedicarsi alla Commedia. → Quattro trattati (invece di quindici):

1. Si costituisce come un’introduzione all’intera opera


2. Commenta con ampie digressioni la canzone Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete
3. Commenta la canzone Amor che ne la mente mi ragiona
4. Commenta la canzone Le dolci rime d’amor ch’i’ solia dedicato a dimostrare l’ideale di una nobiltà
morale e intellettuale (Guinizzelli), estraneo alla ricchezza materiale, in cui poteva identificarsi il
pubblico delle corti signorili cui si rivolge

Nel capitolo introduttivo del primo libro espone il senso e le finalità didattiche dell’opera, che muove da una
citazione aristoteliche della Metafisica. Tutti gli uomini naturalmente desiderano di sapere, ma molti sono
esclusi dalla felicità della conoscenza, per ragioni dovute a circostanze di vita o indole. → Dante si propone
di offrire ciò che egli, non filosofo, ha raccolto dai sapienti, rendendole comprensibili. Si propone come

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mediatore nei confronti id un pubblico nazionale più ampio possibile, si intende la scelta del volgare come
lingua di trasmissione della conoscenza filosofica, il quale porta beneficienza a molti, a differenza del latino
rimasto per pochi. → Giudica il latino superiore, ma riconosce nel volgare il nuovo strumento da usare per la
divulgazione di sapere, per la formazione etico-culturale.

De vulgari eloquentia

Trattato in latino dedicato all’eloquenza in lingua volgare. Iniziò a dedicarsi ad esso intorno alla metà del
1304, quando già lavorava al Convivio. Anche il trattato linguistico non fu portato a termine. L’oggetto e la
ragione sono esposti nel capitolo d’apertura, in cui riconosce che prima nessuno ha svolto una trattazione
sulla teoria dell’eloquenza volgare e che l’eloquenza è necessaria a tutti gli esseri umani, anche donne e
bambini. L’originalità dell’opera è rivendicata da Dante a buon diritto. Il trattato a differenza dei precedenti
modelli classici ì, presenta uno straordinario eclettismo, passando dall’approccio filosofico all’indagine a
carattere sociolinguistico e storiografico, fino a giungere alla definizione delle norme retorico-stilistiche della
poesia aulica in volgare. → Speranza di guadagnarsi un prestigio che gli garantisca accoglienza e onori press
ole corti settentrionali e il rientro a Firenze. Il trattato giunto si interrompe nel mezzo del Capitolo XIV del
secondo libro. Avrebbe dovuto comprendere quattro libri:

1. Introduttivo, ripercorre le origini del linguaggio, descrive la situazione linguistica dell’Italia


esaminandone i volgari e offre la definizione di “volgare illustre”
2. Tratta del volgare illustre in rapporto alla teoria medievale degli stili, attribuendo lo stile tragico al
genere della canzone, che viene esaminata.
3. Avrebbe trattato la prosa illustre
4. Avrebbe trattato lo stile comico, proprio del volgare mediocre e umile, adatto a ballata e sonetto

Il trattato si apre con un’asserzione che giustifica la sua composizione e una scelta culturale che Dante
persegue convinto: la maggiore nobiltà del volgare rispetto al latino. Per Dante il volgare è una lingua
naturale, adoperata sin dalle origini da tutti gli uomini; mentre il latino è artificiale, elaborato da dotti per
creazioni letterarie. Si occupa poi di una ricognizione dei volgari della penisola italiana finalizzata alla ricerca
del volgare illustre, la sua rassegna riflette una coscienza delle varietà regionali e sociali, individuando almeno
14 volgari. Constatato che il volgare illustre non trova corrispondenza in nessuna parlata regionale, decide di
formularne una definizione teorica. Il volgare è illustre in quanto illumina tutto, cardinale poiché intorno a
esso ruotano gli altri volgari, aulico perché deve avere la propria sede in un’aula regale, curiale poiché
specchio della misura e dei valori cortesi. Benché l’Italia non abbia un’unica corte, una curia, tale volgare si
realizza nella poesia dei doctores illustres che operano nei diversi luoghi della penisola. Riconosce poi l’uso
del volgare illustre ai soli poeti dotati di ingegno e dottrina, a cui il trattato intende offrire una norma
linguistica e retorica; quindi, individua argomenti propri della poesia aulica, salvezza amore e virtù, cui
corrispondono i temi lirici della prodezza delle armi, della passione amorosa e della volontà diretta al bene.
(Eccellenza del volgare → Cavalcanti, Cino da Pistoia, miglior poeta d’amore; Rimarca i limiti della poesia
guittoniana).

La Commedia

Si colloca l’inizio della composizione intorno al 1307-1308, forse con il risorgere del sogno imperiale con
l’elezione di Enrico VII (non riesce ad entrare a Firenze). Le tre cantiche furono scritte e pubblicate in temi
diversi, con le prime due forse oggetto di revisione comune. In mancanza di esplicite indicazioni d’autore,
bisogna basarsi su testimonianze estere che ne attestino la divulgazione e su riferimenti interni fatti a
personaggi storici o fatti noti. La circolazione dell’Inferno appare attestata nella seconda metà del 1314, il
Purgatorio doveva essere già noto nel 1316, mentre il Paradiso è ancora in corso nel 1320 quindi proseguì
fino alla morte. Probabilmente la prima edizione fu curata dal figlio Iacopo. Il titolo Divina Commedia risale
al letterato Ludovico Dolce, che lo pubblicò così nel 1555, riprendendo la formula da Boccaccio (Dante usava
solo il nome di comedìa). Nel caso del poema dantesco il titolo non solo autorizza la scelta di fonde della

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materia (il protagonista è un umile peccatore, non un eroe classico) e quella della lingua volgare (non del
latino), ma risponde alle molteplici esigenze espressive, che possono manifestarsi tanto nel degradato abisso
infernale, quanto nelle rarefatte atmosfere paradisiache.

La Commedia si compone di tre cantiche che corrispondono ai tre regni ultraterreni visitati dal protagonista:
inferno, Purgatorio e Paradiso. Ogni cantica prevede 33 canti, cui si aggiunge un proemio che coincide con il
I canto dell’Inferno, per un totale di 100 canti. = Architettura numerica, richiama la simbologia cristiana della
Trinità. Il numero tre:

• Struttura del poema


• Toponomastica dei regni oltremondani
• L’ordinamento morale dei regni (dannati in tre grandi categorie)
• In molte immagini e soluzioni narrative (tre fiere: lonza, leone e lupa)
• Contraddistingue l’innovativa soluzione metrica della terzina. L’idea di legare l’endecasillabo in una
struttura ternaria con schema ritmico ABA, BCB, CDC è un’invenzione dantesca

INFERNO: Collocato sotto la città di Gerusalemme, immaginato come una voragine a forma di cono rovesciato
che degrada attraverso gironi circolari sempre più stretti fino al centro della Terra dove si trova Lucifero.
Passata la porta dell’inferno si incontrano gli ignavi, il fiume Acheronte e il Limbo, destinato agli innocenti
non battezzati, tra cui Virgilio. Seguono otto cerchi in cui si puniscono mediante pena del contrappasso, che
richiama la colpa commessa in vita, i peccati di incontinenza, violenza e frode, secondi un ordine di gravità
crescente.

PURGATORIO: Agli antipodi di Gerusalemme, dal ritirarsi della terra dalla caduta di Lucifero, sorge la
montagna del Purgatorio. Accoglie gli spiriti dei peccatori che si pentirono prima di morire, guadagnandosi la
possibilità di accedere al Paradiso dopo un periodo di espiazione. Preceduto dall’Antipurgatorio e diviso in
sette cornici. I sette peccati capitali derivati dalla morale cristiana sono intesi come deviazioni dall’amore
naturale e vanno dal più grave al meno grave, idea di un’ascesa vero il bene. Sulla cima c’è il Paradiso terrestre
dove scorrono il fiume Lete, che oblitera la memoria dei peccati, e l’Eunoè, che riattiva la memoria del bene.
Qui Virgilio svanisce.

PARADISO: Il Paradiso, descritto come una dimensione senza tempo e luogo, riflette le concezioni del sistema
tolemaico, immaginato come costituito dalle sfere concentriche dei cieli, che prendono il nome dei sette
pianeti. Dagli Angeli ai Serafini. Le sfere celesti sono avvolte dall’Empireo, dove, San Bernardo subentra a
Beatrice. Dante qua ha la mistica visione della rosa dei beati e di Dio.

Nel secondo canto dell’Inferno, al momento di intraprendere il suo viaggio, Dante manifesta a Virgilio i suoi
timori, non ritenendosi all’altezza. Fino a quel momento solo Enea e Paolo avevano avuto il privilegio di
visitare gli Inferi in vita → Consapevolezza di umile peccatore, Dante si sta di fatto mettendo alla pari dei suoi
predecessori. L’Eneide per Dante è il poema sacro del mondo classico cui la Commedia aspira a ereditare
ruolo e primato nell’era volgare. Inoltre fornisce innumerevoli spunti e immagini poetiche, oltre elementi
della geografia dell’oltretomba. ! La Commedia si spinge oltre la tradizione latina delle visiones (Roman de la
Rose) e quella dei poemetti allegorici in volgare (Tesor), e ben oltre l’emulazione dell’epica classica. Dante
rielabora le soluzioni del pensiero antico medievale riguardo alla gerarchia dei peccati e dei meriti, ma
affronta quasi tutte le questioni filosofiche dibattute al suo tempo, a partire da quelle per la salvezza. Il
risultato è un sincretismo che vuole conciliare la fede cristiana con la filosofia aristotelica → Arriva così a
concepire un poema sacro senza precedenti, in grado di riprodurre il messaggio salvifico delle Sacre scritture
riprendendone la molteplicità di livelli e significati. Capolavoro non riconducibile a nessun genere letterario,
senza modelli e senza plausibile imitazione.

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Livello allegorico-simbolico

La narrazione dantesca è densa di allusioni e riferimenti intertestuali, sia alle Sacre scritture sia alla
letteratura classica, che caricano il testo di ulteriori significati. Primo canto → Selva: condizione di
smarrimento nel peccato; dritta via: quella cristiana del bene; colle illuminato: salvezza; tre fiere: tentazioni
diaboliche, lussuria superbia e avidità. Dante: intera umanità, Virgilio: ragione, Beatrice: grazia.

! Ricercare a ogni passo significati allegorici può portare a sovrainterpretazioni che forzano la lettera del
testo. Il senso allegorico può arrivare a completare, ma non a obliterare, quello letterale

DIMENSIONE AUTOBIOGRAFICA

Il protagonista della Commedia non è un eroe classico ma un Io cristiano, che narra in prima persona una
esperienza esistenziale. È importante distinguere un Dante autore, auctor che racconta in qualità di narratore
onnisciente, e un Dante personaggio, viator protagonista del viaggio la cui prospettiva è interna al racconto
e muta con il progredire della narrazione. Dante si sforza di rinsaldare la propria identità con il protagonista
del viaggio, per ribadire la veridicità del racconto: emblematico il motivo dell’emozione rivissuta, in cui
rievocando un evento afferma di risperimentare la stessa emozione. La dimensione autobiografica si impone
fin da subito “mi ritrovai”; a fondamento del viaggio ci sono figure della vita e formazione intellettuale di
Dante. Tra le anime che incontra, numerosi sono gli amici e i concittadini. L’esperienza dell’esilio determina
la tensione che alimenta la tematica politica, tra l’indignazione per la degenerazione presente e la fiducia per
un intervento provvidenziale che restaurerà l’ordine sociopolitico. La corruzione e la decadenza di Firenze
riflettono una rovina morale e politica che oltrepassa i confini municipali e pervade l’intera penisola italiana.
Il viaggio dantesco intende farsi portatore di un messaggio universale: la sua esemplare vicenda di salvezza
riguarda l’intera umanità.

Il viaggio oltremondano è anche un viaggio letterario, in cui Dante ripercorre la sua formazione e a sua storia
di poeta. Questo avviene sul piano dell’intertestualità e sul piano della costruzione narrativa: la Commedia
pullula anime di poeti, antichi e moderni, con cui Dante preme pronunciare una parola definitiva circa il
proprio ruolo e primato all’interno della più altra tradizione letteraria in volgare.

Realismo → dimensione profondamente umana e terrena della rappresentazione dantesca. Nonostante la


funzione di exempla i personaggi sono umanamente vivi. Gli incontri con le anime, le loro parole e i gesti
sono messi in scena con una tecnica teatrale capace di focalizzarsi sulla sostanza morale e emozionale del
dialogo. Quali sono stati da vivi, così gli spiriti sono per sempre fissati nella morte; la loro vita terrena diviene
figura, una prefigurazione della loro condizione oltremondana. L’aldilà diventa così teatro dell’uomo e delle
sue passioni. (Dante stesso trasmette forti emozioni quando è costretto a confrontarsi con peccati che
riconosce come propri).

Plurilinguismo dantesco → linguaggio mutevole e plastico, lessico che sperimenta tutte le possibilità
espressive esplorando le varietà interne alla medesima lingua e ricorrendo anche a lingue diverse. La base è
il volgare fiorentino, ma inserisce anche dialettismi e latinismi.

FRANCESCO PETRARCA (Arezzo 1304 – Arquà 1374)

La passione per i libri riguarda due aspetti:

1. La ricerca di opere da raccogliere come testimonianze della cultura del passato, che il moderno
intellettuale deve studiare per comprendere e conservare la civiltà che le ha prodotti;
2. L’intento di intrattenere un autentico colloquio con i testi e con gli autori antichi, i classici come
modelli da cui trarre esempi virtuosi e valori da riproporre, in un dialogo amichevole con uomini
sapienti che possono aiutarlo a conoscere meglio sé stesso e la storia dell’umanità.

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= Umanesimo di Petrarca, approccio scientifico, filologico, ai testi; comprensione profonda della loro
problematicità storica, è la condizione necessaria per instaurare con il passato un dialogo che sia fecondo nel
presente.

Inoltre, nessun autore in precedenza è stato disposto ad accordare alla propria biografia l’importanza che
Petrarca le accorda e a considerare il proprio io come degno di rappresentazione letteraria.

➔ Elementi connessi: lo studio delle opere del passato non è finalizzato per Petrarca alla pura
erudizione; al contrario ha l’unico scopo di portare alla conoscenza di sé stesso e così di indirizzare la
propria condotta etica nel mondo presente. A nulla vale il sapere se non è convertito in scelte e
comportamenti concreti.

Alla morte del re di Napoli Roberto d’Angiò e all’entrata del fratello Gherardo nell’ordine dei certosini 1343,
iniziano a emergere le inquietudini che scandiscono tutte le grandi raccolte. I miti del suo primo impegno
intellettuale (studio antichi e desiderio di glori) vanno incontro a un riesame, alla luce di una pressante
preoccupazione morale. L’idea della morte che incombe su ogni uomo, quella della fugacità del tempo che
consuma ogni esistenza, diventano temi portanti e anzi ossessivi, della sua produzione. L’interrogazione di
sé, la meditazione sul senso della propria esistenza si impongono nella scrittura.

1348, con la peste che dilaga in tutta Italia, muoiono molti suoi amici, tra cui Giovanni Colonna e Laura (che
rappresentavano i legami con la Provenza). È un momento di svolta esistenziale profonda, che la scrittura
petrarchesca, costantemente impastata di biografia, restituisce in una nota sul suo Virgilio Ambrosiano in
modo diretto. Le opere di questi anni riflettono la crisi di Petrarca, alla quale risponde con la ricerca di una
scrittura che lo svincoli dalle pastoie della storia quanto dal didascalismo dei trattati morali. In questa
stagione si stringe il legame con Boccaccio, il quale già conosce Petrarca per fama sin dai tempi
dell’incoronazione in Campidoglio (1340). Boccaccio nei primi anni Quaranta compila la più antica biografica
di Petrarca. Si tratta di una delle prime testimonianze di sodalizio intellettuale tra scrittori del primo
Umanesimo, fondato sul continuo scambio di libri e consigli di lettura, sul comune amore per il mondo
classico, sull’interesse reciproco per le rispettive opere. Petrarca indirizza a Boccaccio più di trenta lettere e
traduce l’ultima novella del Decameron in latino, contribuendo determinante alla conoscenza dell’opera
anche fuori dall’Italia.

Il Secretum

L’urgenza del bilancio esistenziale tramite dialogo con sé stesso spinge Petrarca a concepire un’opera in cui
riportare i movimenti fluttuanti del proprio animo. L’azione del Secretum è ambientata tra il 1342 e il 1343,
ma l’avvio della composizione va fatto risalire al 1347 a Valchiusa fino agli inizi degli anni Cinquanta. Il titolo
allude alla sua natura privata, di confessione personale. In cosa consiste il segreto è spiegato da Petrarca in
una postilla marginale apposta nel 1358 e che sembrerebbe funger da sottotitolo dell’opera “libro sul segreto
conflitto dei miei affanni”. L’idea alla base è quella di un libro senza pubblico, ma rivolto ai posteri o destinato
a rimanere presso l’autore come sincero quanto drammatico riesame delle intime tensioni che hanno
segnato la sua vita. Mette in scena un dialogo tra Francesco e Agostino, personoae in cui si proiettano la
realtà biografica di Petrarca stesso e gli insegnamenti morali del Padre della Chiesa. A Francesco, che sta
meditando sulla morta, compaiono come in una visione la personificazione della Verità, testimone silenzioso
e imparziale del dialogo, e Agostino. Si assiste a uno sdoppiamento dello scrittore in due personaggi: Agostino
incarna un’istanza a un tempo morale e razionale, ispezionando la coscienza di Francesco mediante domande
che fanno emergere la verità; e Francesc, disposto ad apprendere dal maestro, ma allo stesso tempo incapace
di risolvere il conflitto tra attaccamento ai beni mondani e aspirazione innalzare l’anima a una vita più
virtuosa. Il dialogo dura tre giorni a cui corrispondono tre libri unitari sotto l’aspetto tematico.

Al centro del primo è il tema del dissidio, rimproverato per la mancanza di una autentica volontà. Solo la
coscienza della sua natura mortale e del carattere perituro di tutte le cose, può portarlo in salvo. Nel secondo

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si entra nel vivo dell’interrogazione di Agostino, che sottopone l’allievo a un esame sui peccati propri,
costringendolo ad ammettere di essere vittima di ciascuno di essi; è nell’accidia (aspirazione al bene senza
fatti concreti) che risiede la sua inquietudine perché non gli consente di riconoscere nulla come valore. Il
terzo libro è dedicato ai due principali valori a cui il poeta ha consacrato la sua esistenza che però qui
riconosce come rovinosi peccati: l’amore per Laura e la brama di gloria; Agostino chiarisce che il suo
sentimento per la donna è la prima causa del suo traviamento morale, in quanto desiderio verso una creatura
mortale che allontana l’uomo dal desiderio di Dio, unico desiderio salvifico. All’amore che aliena si associa la
colpa del desiderio di gloria fra gli uomini, per cui viene rimproverato che, se ha voluto presentarsi come
scrittore erudito e modello di moralità, questo è stato solo per eccesso di superbia, dal momento che non è
stato in grado di assumere autenticamente nella sua vita la virtù che andava predicando sulla base dello
studio degli autori del passato. Agostino invita Francesco a porre sé stesso al centro delle sue scelte,
commisurando il comportamento al costante trascorrere del tempo.

= Petrarca mette in scena un dissidio che non si risolve, chiama il lettore ad assistere all’articolarsi di un
problema piuttosto che alla sua risoluzione. Il santo mostra a francesco che proprio la frammentarietà della
sua anima è la causa del suo male: raccogliere questi frammenti per ricondurli a un’essenziale integrità e
all’unità del pensiero della morte e di Dio, è il proposito finale del Secretum, rilanciato verso il futuro nel liber
di liriche, ma anche nei grandi progetti di raccolta di lettere.

Opere dell’introspezione. Raccolte epistolari costruite per frammenti, formate da scritti occasionali che
hanno una loro autonoma diffusione prima di entrare a far parte dell’opera. → Familiares / Epystole.

Opere della maturità. Epistolario dell’ultima parte della sua vita raccolta in un’opera di 17 libri contenenti
127 lettere → Seniles; l’ultima grande opera di carattere morale è dedicato al tema della libertà dell’individuo
di esercitare la virtus, realizzando così la sua essenza, in modo autonomo rispetto alla fortuna, intesa come
forza che cade al di fuori della sua volontà. Al centro ricerca dell’uomo che deve scoprire in sé l’antidoto da
opporre alle agitazioni che lo aggrediscono dall’esterno. → De remediis.

=Sintesi tra etica pagana, che richiede all’uomo di individuare in sé il proprio centro e la propria verità, e fede
cristiana, che riconosce che il soggetto non può liberarsi delle passioni che lo animano.

! Avversione vero l’aristotelismo. Polemica: primato dell’etica in quanto scienza dello spirito e cura dell’animo
umano rispetto alla conoscenza scientifica. Rivendicazione del valore filosofico e morale dell’ignoranza e della
bontà in quanto espressioni del cristiano consapevole dei limiti della sua conoscenza (De sui ipsius et
multorum ignorantia).

TRA LATINO E VOLGARE

Lo scrittoio di Petrarca si divide tra la produzione in latino e in quella in volgare, non si trovano però esplicite
dichiarazioni che giustifichino l’adozione dell’idioma moderno (come in Dante o Boccaccio). Il bilinguismo
petrarechesco è radicale. Mentre il latino è lingua di poesia e prosa, estesa a generi diversi, il volgare è lingua
riservata solo alla poesia, quindi eminentemente letteraria. In molte occasioni Petrarca ostenta una bassa
considerazione del volgare rispetto al latino, considerato strumento per eccellenza della documentazione
scritta. Latino e volgare sono per Petrarca due codici ugualmente distanti dalla lingua d’uso comune, da
sottoporre nella scrittura letteraria alla più raffinata elaborazione formale. La differenza sta nel pubblico a
cui l’uno o l’altro idioma si indirizzano.

Rerum vulgarium fragmenta – Il Canzoniere

Grande capolavoro, una delle opere più importanti per la tradizione letteraria europea. La preistoria del libro
è rappresentata da numerosi tesi che compone sin dai primi anni Trenta (Africa e De viris). Il vero e proprio
progetto dei Fragmenta comincia a formarsi solo tra il 1347 e il 1350, da qui il libro che raccoglie 150
componimenti perde il criterio tematico e assume un’organizzazione narrativa. Per due motivi: suddivisione

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dei componimenti in due arti, l’una precedente e l’altra successiva alla morte di Laura, e collocazione del
sonetto proemiale. Per questo passaggio risulta fondamentale la morte di Laura, evento decisivo sul piano
personale e letterario. Infatti, la morte della donna suggerisce la grande novità del libro strutturato in due
tempi, ed è l’episodio che innesca la parabola fondante lungo cui si dispongono i frammenti lirici: la
rappresentazione di una dinamica di revisione memoriale del passato e tormento penitenziale nel presente,
ovvero il rapporto tra un prima da recuperare alla memoria e di cui pentirsi, e un dopo in cui raccogliere i
frammenti della propria anima per restituirle un’unità che sia coerente ed esemplare. Il lavoro produce un
nuovo codice, il Vaticano Latino 3195, il manoscritto definitivo dei Fragmenta. → codice idiografico perché
vergato in parte da un copista e in parte dallo stesso Petrarca che sovrintende a tutto il lavoro di
compilazione. Petrarca interviene spesso sul suo codice con correzioni, aggiunte, postille, con una cura e
attenzione che denotano l’estrema rilevanza dell’opera ai suoi occhi. Il lavoro di assemblaggio si protrae per
circa un ventennio lungo il quale Petrarca interviene di continuo ad aggiungere, eliminare, riscrivere testi
composti in occasioni e tempi diversi. Nonostante i continui ripensamenti il progetto resta coerente: la
preparazione di un testo unitario, un libro in cui dipanare il diario intimo di un’anima. Proprio per la centralità
della struttura libro, il Canzoniere è rivoluzionario. Per la prima volta i singoli componimenti sfuggono a una
lettura isolata, hanno un significato in sé compiuto ma riceve un valore ulteriore dalla posizione di ogni testo
all’interno della raccolta, alla rete di relazioni che intrattiene con i testi immediatamente precedenti e
successivi, o con altri con connettivi tematici lessicali. La Vita nuova (modello) fornisce a Petrarca un impulso
per la formazione di un libro che avesse al centro un movimento di transizione dell’io lirico condizionata dalla
presenza e poi dalla morte e poi dal ricordo della donna amata. L’operazione di Petrarca però segna un
passaggio ulteriore rispetto a Dante, perché l’eliminazione delle prose fa sì che lo sviluppo narrativo dipenda
solo dalla scelta e dall’organizzazione dei componimenti, che senza alcun appiglio extra lirico si fanno carico
di far procedere la storia.

Nella sua forma definitiva…

È formato da 366 liriche includendo il sonetto proemiale (durata simbolica di un anno: 365 + 1). Esclusi una
trentina (testi per membri della famiglia Colonna, polemica politica, contro la curia papale di Avignone), i
testi sono incentrati sul tema dell’amore per Laura:

➔ Innamoramento per Laura che inizia con il primo fatale incontro il 6 aprile 1327 (Mito di Apollo e
Dafne, delusione del rifiuto),
➔ Presentimento della morte anticipata dalla crisi morale avvertita dall’io lirico,
➔ Morte di Laura (6 aprile 1348),
➔ Nuova consapevolezza della fragilità dell’uomo difronte al tempo fugace e alla morte incalzante,
➔ Rivalutazione della natura stessa dell’esperienza amorosa, per cui l’amore diventa sentimento
negativo che allontana l’io da sé stesso portandolo a smarrire la strada verso Dio,
➔ Conversione verso una nuova vita improntata a una retta condotta morale e a un totalizzante
sentimento religioso, espresso dalla preghiera alla Vergine, canzone con cui si chiude il libro.

Tre grandi canzoni politiche puntellano il percorso del libro:

1. 28: Incitamento alla crociata indetta da Giovanni XXII


2. 53: Auspica a un intervento di pacificazione tre le famiglie aristocratiche romane per la rinascita della
città simbolo della civiltà antica
3. 128: Messaggio di pace contro l’uso di truppe mercenarie da parte dei signori italiani, invitati a
desistere dalle guerre e tornare alla civiltà di cui ereditano la grandezza.

= L’ideale che muove la poesia politica posa sul motivo del riscatto della decadenza del tempo presente in
virtù del recupero dei valori di pace e giustizia che avevano sancito la grandezza dell’antica Roma.

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LA STORIA CHE SI INAUGURA È QUELLA DI UN PERCORSO DELLA COSCIENZA CHE, ATTRAVERSANDO LO SMARRIMENTO,
RICERCA IL DOMINIO DI SÉ.

! L’iter del protagonista che dalla passione approda alla sua riprovazione non è lineare e coerente; la sua
normale progressione è sempre distorta da ripensamenti, dubbi, ritorni e nuovi cominciamenti (“quand’era
in parte altr’uom da quel ch’i’ sono” 1 v.4) → Lacerante esitazione:

Es. AMORE: Interrogativo senza risposta se l’esperienza dell’amore terreno sia di ostacolo o faccia da tramite
all’amore divino che assicura la salvezza; l’amore è a quest’altezza pulsione irrazionale non vincolo di
armonia, ma terreno di scontro tra amante e amata. Su questa pulsione erotica l’io si divide tra piacere del
desiderio mortale e suo ripudio. Si profila poi la strada alternativa (Dante, Vita nuova), quella di fornire una
giustificazione filosofica dell’amore mondano, attribuendogli un superiore valore etico-religioso, sia in
quanto espressione concreta dell’universale amore divino, sia in quanto grazia, esclusivo viatico per la
salvezza dell’anima.

Es. MORTE/TEMPO: La percezione del tempo che passa e l’incalzare della morte impongono al poeta un
esame di coscienza che dovrebbe condurlo a cambiare vita, rinunciando alle passioni terrene e consacrandosi
a nuovi più alti valori. Ma i due soliti pensieri ossessivi gli impediscono una scelta risolutiva → l’amore e il
desiderio della gloria. Paradosso di un conflitto irrisolvibile, la consapevolezza della vacuità delle sue passioni
e l’impossibilità di affrancarsene del tutto.

= Vige un’esitazione che pare inamovibile e che è fondata sul problema che l’amore non turba solo gli equilibri
razionali di chi lo prova ma è anche turbamento dell’ordine provvidenziale: è illusorio credere che una
creatura mortale possa condurre alla salvezza, perché questo giustificherebbe anteporre l’amore terreno a
quello per Dio. Pace è l’ultima parola del Canzoniere, a cui può giungere solo l’anima dopo la separazione
del corpo, finché si è in questa terra la contraddizione resta insanabile.

USO DEL VOLGARE

Il volgare del Canzoniere ha una base fiorentina, ma viene depurato di qualsiasi tratto municipale o dialettale
che possa rimandare al parlato. È un volgare aulico, trascendentale. Depurazione di tutti gli elementi che
possano connotare la lingua poetica in modo troppo espressivo → UNILINGUISMO petrarchesco. Al contrario
di Dante si ha una rigorosa selezione, conferendo alla scrittura un effetto di uniformità di toni che si risolve
sempre nella scelta di una dizione elevata. Vaglio rigoroso della lingua porta a un vocabolario abbastanza
limitato.

I Triumphi

Ultimi anni della vita, grande lavoro di rifinitura formale. Si tratta di un poema allegorico-narrativo in terza
rima, in cui l’io narrante riceve sei visioni. Il titolo deriva dal nome delle cerimonie celebrate a Roma in
occasione delle vittorie militari, allorché il generale dell’esercito marciava attraverso la città fino al
Campidoglio ì, accompagnato dal lungo corteo dei suoi soldati che trasportavano i prigionieri catturati e il
bottino di guerra, le visioni consistono nell’avvicendarsi di cortei di personaggi celebri guidati dai carri
trionfanti delle figure allegoriche che rappresentano l’Amore, la Pudicizia, la Morte, la Fama, il Tempo,
l’Eternità. Il libro si apre e si chiude con la figura di Laura e la visione a chiusura consiste nella vittoria
dell’Eternità come luogo in cui lo spirito sottratto al tempo si ricongiunge col corpo, potenziandosi e
salvandosi nel giudizio universale.

GIOVANNI BOCCACCIO (Certaldo 1313 – 1375)

Un autore tra due culture: le opere giovanili, scritte in volgare, ispirate al codice cortese e segnate da una
posizione filogina che valorizza la figura e il ruolo delle donne, sembrano infatti contrastare con le opere
senili, per lo più redatte in latino, non prive di accenni misogini e rivolte alla ristretta cerchia dei dotti. Il
passaggio dalle prime alle seconde sarebbe dovuto, secondo numerosi studiosi, all’incontro con Petrarca

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1350 (con riscoperta degli auctores classici) e all’ingresso nello stato clericale 1360. Non si ha in realtà una
“conversione”, sin dalla giovinezza Boccaccio si è mosso tra due modelli culturali, uno filogino e incentrato
sul rapporto tra amore e poesia, l’altro misogino e incentrato sulla ricerca della sapienza. L’incontro con la
raffinata cultura napoletana lo spinse a impegnarsi in un innovativo progetto di “letteratura mezzana”, al
centro tra cultura alta (latino) e bassa (volgare), con l’obiettivo di soddisfare la domanda culturale e artistica
di un pubblico nuovo, in cui si sovrapponevano provenienza mercantile e ambizione aristocratica. → Progetto
centrale anche per il Decameron, dove non solo si ritrovano entrambe le spinte ispiratrici, cortese e
mercantesca, ma dov’è possibile riconoscere ancora una volta il trasferimento dell’impegno etico e
conoscitivo della cultura erudita alla nuova tradizione volgare. Boccaccio si rivela un autore sperimentale,
attingendo al mondo popolare e alle pratiche dell’oralità → capostipite della letteratura moderna.

Due città: la matrice fiorentina della sua formazione si riscontra nella conoscenza del mondo mercantile e del
diritto canonico, mentre da Napoli assorbe i valori del mondo cortese grazie anche alla presenza del mondo
dei dotti. Nella formazione di Boccaccio agiscono congiuntamente due diversi ambienti → il mondo fiorentino
in lingua volgare, basato sulla diretta conoscenza delle attività pratiche; dall’altra, quello napoletano, in cui
sono compresenti il codice cortese di impronta aristocratica e il livello erudito degli studi universitari e
dall’alta cultura latina.

PRIMO BOCCACCIO

Nella scrittura boccacciana si rivela per prima la componente aristocratica di stampo francese: l’attrazione
per quella cultura è evidente nel Filostrato, il primo poema della letteratura italiana scritto in ottave, la cui
storia è dedicata all’infelice amore di Troilo per Criseida, tratta da un episodio della guerra troiana,
argomento amato dall’aristocrazia locale. L’influenza francese si registra anche nel Filocolo, opera che spicca
come primo romanzo originale in prosa della letteratura italiana e che narra l’amore tra i giovani Florio e
Biancifiore, allontanati per volere dei genitori di lui. La storia era assai conosciuta nel mondo medioevale, ma
Boccaccio la declina in modo autonomo, trasformandola in una vicenda allegorico-religiosa. Già si sofferma
sulle dinamiche psicologiche dei personaggi, atteggiamento filogino caratteristico del Decameron.

Teseida delle nozze d’Emilia (1340-41) → Rivendica il primato di aver aperto anche al volgare toscano la via
della narrativa epica, dedicata ad amore e guerra. L’opera è un poema in ottave di dodici libri, in cui però le
gesta militari di Teseo fanno solo da sfondo alla contesa amorosa tra Arcita e Palemone, innamorati della
giovane Emilia. Il poema mostra i segni della cultura napoletana per i riferimenti al codice cortese. Boccaccio
intende così declinare un genere alto come quello epico in senso cortese e dunque amoroso.

Elegia di madonna Fiammetta (1343-44) → La convivenza del cortese trova qui la sua massima
rappresentazione, opera realizzata a Firenze ma debitrice del clima napoletano. Ispirato al modello delle
Heroides ovidiane, è il primo romanzo in prosa di tutta la tradizione occidentale in cui una donna narra la
propria storia in prima persona. Fiammetta esprime il suo dolore per essere stata abbandonata da Panfilo,
tornato a Firenze. Napoli gioca un ruolo preponderante, in virtù dell’organizzazione narrativa dell’opera,
articolata sul racconto di una donna elegante che partecipa alla vita del mondo aristocratico locale senza
riuscire a liberarsi del suo dolore; grazi e alla controfigura di Fiammetta, Boccaccio può così ripercorrere
l’intero repertorio amoroso di matrice ovidiana e provenzale, accentuandone la dimensione malinconica.
Terminata a Firenze come la Teseida.

! Sperimentalismo sempre evidente: il Filostrato è il primo poema italiano in ottava rima, la Fiammetta il
primo romanzo in prima persona di tutta la letteratura occidentale, il Tiseida il primo poema epico in volgare.
La tendenza allo sperimentalismo aveva il suo precedente in Dante, di cui promuoveva la letteratura e
comprensione, facendosi anche copista. Sembra rivolgersi con ammirazione anche a Petrarca, in contatto
con i maggiori intellettuali napoletani.

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SECONDO BOCCACCIO

Costretto a tornare a Firenze 1340 per la crisi economica della compagnia dei Bardi, nuova spinta allo
sperimentalismo. → Comedia delle ninfe fiorentine 1341-43, un prosimetro, noto come Ninfale d’Ameto, in
cui si racconta l’incontro del pastore Ameto con sette ninfe: raffigurazione allegorica delle virtù, queste
divinità femminili educano il protagonista, liberandolo dalla condizione rozza fino a realizzarne la piena
umanità. Ninfale fiesolano 1344-46 → poemetto pastorale dedicato alle mitiche origini di Firenze.
Nell’insieme le opere degli anni ’40 mostrano un avvicinamento alla cultura fiorentina, con un nuovo
interesse per la posizione culturale, ideologica e politica della città.

Gli eventi storici e collettivi che caratterizzano la metà del secolo sono destinati a incidere sulle coordinate
culturali, e psicologiche, del lavoro letterario dell’autore. È vero che la peste e l’incontro con Petrarca lo
spingeranno a impegnarsi in progetti di tipo nuovo, che faranno di lui una figura di riferimento. L’epidemia
di peste nera dall’Oriente arriva a Firenze nella primavera del 1348, avviando processi di disgregazione
dell’ordine che riguardano l’economia, la politica, la struttura sociale e le convinzioni religiose. → autentica
catastrofe culturale, che spinse la popolazione ad adottare comportamenti esasperati. La peste produsse uno
shock cognitivo, non essendo possibile comprenderne le cause e le vie di diffusione. Da qui parte Boccaccio
quando inizia a raccogliere il materiale narrativo per il Decameron, che non solo offre una rappresentazione
dettagliata del morbo e degli effetti, ma ne fa il presupposto dell’opera, il nucleo centrale. Al pari di Dante
personaggio, anche i dieci giovani della brigata devono impegnarsi in un percorso conoscitivo: al posto
dell’allegorica selva, c’è la peste, un evento storico preciso che assume un profondo significato morale.
L’Introduzione della prima giornata è dedicata alla descrizione della peste, evidenziando gli aspetti medico-
sanitari e gli effetti politici che si traducono in un indebolimento degli istituiti civili e religiosi. Il modello è
l’Historia Langobardorum di Paolo Diacono (VIII sec), in cui racconta la peste del Vi secolo in Italia. → la
società di Boccaccio però è urbana e non agraria e pastorale, con epicentro Firenze. In questo quadro si spiega
la scena dell’incontro delle sette donne a Santa Maria Novella, con la loro decisione di andare a rifugiarsi in
una villa di campagna e l’invito a tre giovani amici a partire con loro. La descrizione accurata della peste serve
a fondare la cornice del Decameron, giustificando la formazione della brigata e la loro vita in comune:
l’incontro in chiesa sigla il passaggio dalla peste alla vita lieta, dalla distruzione alla ricostruzione, giacché la
vita della brigata si presenta come un’esperienza di rifondazione basata su leggi condivise, sulla scansione
regolata del tempo e su comportamenti ispirati alla correttezza reciproca. Alla devastazione del contagio
contrappone l’organizzazione civile, lieta e condivisa della vita in comune.

Decameron

-La scrittura inizia dopo il 1349 ed è già conclusa nel 1360

-Lettori: mondo dei mercanti, dei funzinari e amministratori pubblici e presenze aristocratiche

-Narrativa breve (generalmente usata a scopi ludici o didattici)

-Molteplicità di forme e temi

- “novella” indicava il racconto di un evento caratterizzato dal fatto inaudito e funzionalizzato a un progetto
educativo; il contenuto nuovo era assimilato perciò dentro un discorso avente per scopo l’ammaestramento.
→ la novella boccacciana innova, svincolandosi dall’assoggettamento al discorso morale. Si realizza il
passaggio dall’esposizione di un caso particolare, con conseguente aumento della dimensione problematica
del racconto. Le novelle b presentano sempre una situazione complessa, la cui soluzione non risponde a
categorie morali (buono/cattivo) ma è frutto di un conflitto tra diverse prospettive.

-La novella è un’attività sociale che porge diletto a chi narra e a chi ascolta

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Modelli: Cento racconti brevi dentro una cornice, realizzato sull’esempio di modelli indiani e arabi, che gli
fornivano due tipi principali:

1. Il collegamento di schemi narrativi e contenuti didattici nella forma del dialogo;


2. Il collegamento tematico di diversi episodi narrativi all’interno di un racconto-peripezia al fine di
dilazionare un pericolo e intrattenere la compagnia durante un viaggio.

Accanto alla tradizione orientale e alle raccolte degli exempla, va aggiunto il caso del Novellino, l’antologia
narrativa realizzata a Firenze mezzo secolo prima.

Boccaccio si inserisce in questa tradizione, cui conferisce un maggior rigore, ibridando la dimensione
orientale dialogico-didattica con la funzione puramente organizzativa occidentale.

Struttura: La coesione strutturale garantita dalla cornice fa del Decameron un libro, le cui diverse parti sono
strette da saldi legami sintattici e logici. Si possono individuare tre cerchi, livelli, principali:

1. Nel primo, rappresentato dal Proemio, Introduzione alla quarta giornata e Conclusione, troviamo
l’Autore Boccaccio che si rivolge al destinatario dell’opera, le vaghe e delicate donne, quelle dotate
di animo sensibile e di cultura sufficiente per poter leggere il libro.
2. Il secondo livello è costituito dalla novella portante, in cui i narratori raccontano a turno una novella
rivolgendosi ai compagni di brigata.
3. Al terzo livello si collocano infine le cento novelle vere e proprie.

= La struttura dell’opera si presenta in tre cerchi concentrici, quello esterno in cui si ha Autore e Lettrici;
quello mediano in cui si ambienta la vita della lieta brigata; quello interno dove si svolge l’azione delle novelle.
Ogni volta che si legge una novella (cerchio 3) dobbiamo sapere che è una performance realizzata all’interno
del cerchio 2 e un momento di comunicazione tra Autore e Lettrici nel cerchio 1.

! la cornice decameroniana è un principio di organizzazione tematica e la rappresentazione di un progetto


educativo, incentrato sull’apprendimento dei giovani narratori a vivere insieme dedicandosi all’arte della
parola.

PRIMO CERCHIO

Autore: denominato narratore extradiegetico che racconta la vicenda della brigata e che stabilisce un
rapporto diretto con le Lettrici. La forma libro consente a Boccaccio di sottolineare la responsabilità del
lettore.

Sottotitolo “Cognominato prencipe Galeotto” → allusine letteraria al Canto V dell’Inferno in cui Francesca,
dopo aver raccontato a Dante che l’amore fra lei e Paolo è cominciato durante la lettura di un romanzo
cavalleresco, allude a un episodio del Lancelot du Lac, e stabilisce un sintetico parallelo tra Galeotto, il
personaggio che facilita l’incontro notturno tra Lancillotto e Ginevra, e la propria vicenda di donna indotta
all’adulterio da un esempio romanzesco. Il riferimento alla Commedia e al romanzo di Chretien de Troyes
nobilita in senso cortese l’ambientazione fiorentina e, alludendo a una donna finita all’inferno per essersi
identificata con un personaggio letterario, sollecita le destinatarie a non abbandonarsi al solo piacere della
lettura, ma a stabilire con l’opera un rapporto di interpretazione intelligente. Le donne ammesse nel circuito
dell’opera devono mostrarsi capaci di interpretare i racconti, di stabilire con le narrazioni non solo una
relazione empatica, ma anche un rapporto ermeneutico, di comprensione, e di messa a distanza, nonostante
il coinvolgimento emotivo, pure fondamentale per comprendere il significato di una storia.

L’Autore si riserva tre spazi per interloquire col Lettore e orientarne la comprensione:

1. Il primo è il Proemio, in cui il fruitore ideale è identificato al femminile, nelle donne innamorate. Nella
stessa sede è indicata anche la finalità primaria del fornire ad esse un conforto: la narrazione

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novellistica si propone come cura della malinconia che affligge le donne segregate in casa →
definizione del pubblico non va presa alla lettera, serve per caratterizzare un tipo di lettore a cui si
rivolge un’opera che vuole collocarsi in mezzo fra opere colte in latino e produzione popolare
dell’oralità volgare.
2. Il secondo luogo è l’introduzione della IV giornata, in cui si difende da alcune accuse che dichiara di
aver subito dopo la diffusione delle prime tre giornate. Prima di rispondere l’Autore narra una novella
(che definisce “parte”) in cui espone la storia di Filippo Balducci e del figlio, che dopo anni di
isolamento eremitico in montagna, scendono in città dove incontrano un gruppo di giovani donne. Il
fatto che il narratore esterno usi una narrazione per difendersi da un’accusa molta l’alta
considerazione che Boccaccio aveva della novella non solo come forma di intrattenimento
divertente, ma anche come strumento concettuale di primo livello.
3. Il terzo luogo è la Conclusione dell’autore, con la difesa preventiva contro alcune domande sottintese
che le lettrici malevole potrebbero rivolgergli. L’autore rivendica una piena autonomia stilistica,
affermando che la letteratura non risponde a criteri morali, ma alla qualità delle novelle, cioè
all’organizzazione tematica e narrativa che le caratterizza. Inoltre, si torna sul ruolo fondamentale
del destinatario, le lettrici sono responsabili della interpretazione, che dipende dal loro orizzonte
culturale e morale. Difendendosi dall’accusa d’immoralità per l’eccessiva indulgenza nella trattazione
del tema erotico, l’Autore fa riferimento alla presenza di “rubriche” (sintesi) collocate all’inizio delle
novelle; è opportuno considerare che esse rafforzino l’identità del Decameron come libro, cioè
manufatto unitario e strutturato al suo interno in maniera coerente.

SECONDO CERCHIO

Il novellare si caratterizza come attività regolata (attenersi a un tema) e non conflittuale (si prende piacere
dall’ascolto e dalla narrazione). Eccezione di Dioneo è una scelta condivisa che garantisce la varietà, non
rottura dell’ordine. Le tensioni che agitano la vita della brigata (conclusione VI) mostrano che la cornice non
risponde solo a una ragione architettonica (unire i cento), ma anche a una funzione dinamica: essa
rappresenta la tensione tra il principio dell’onesto e la ricerca del piacevole. → la compresenza delle due
dimensioni (“piacere onesto”) è l’obiettivo del nuovo ordine, la risposta alla dissoluzione minacciata dalla
peste. La vita della brigata si rivela un processo di conoscenze basato su delle regole che aderiscono al
principio dinamico della circolazione narrativa, fondata sulla collaborazione e il dialogo. Così il rispetto delle
regole permette di trasformare le loro incomprensioni e i loro scontri in scambi linguistici e narrativi in cui
ciascuno può mostrare la sua elegante intelligenza.

TERZO CERCHIO

Considerando che la I e la IX giornata sono a tema libero, nel corso del novellare si affrontano otto argomenti.

Amore: Tragico (IV) e lietoo fine (V)

Comicità: VI, VII, VIII

Fortuna: II = Ibrida questi macro-temi.

Industria: III (valore individuale)

Liberalità e magnificenza: X

Varietà di personaggi, rappresentanti di una ricca stratigrafia sociale, resa complessa della sensibilità
boccacciana nel confronto dei diversi ceti. Decameron: si presenta come un’organica raffigurazione della
realtà contemporanea. Tra i tipi sociali prevalenti si ha la classe mercantile; la categoria descritta più
negativamente è quella dei religiosi (ipocrisia, lussuria); gli strati più umili sono provenienti dal mondo dei
lavoratori; privilegio gode la classe degli artisti (ingegnosità e abilità intellettuale).

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Deciso orientamento sul presente: luoghi e tempi solitamente vicini. REALISMO BOCCACCIANO.

La cortesia rappresenta il perno etico e ideologico del Decameron: codice della cortesia adattato al contesto
fiorentino, caratterizzato da una stratificazione sociale più articolata del mondo feudale e da un ceto
dirigente che arriva a comprendere anche esponenti del ceto mercantile. Cortesia come valore che regola i
rapporti tra gli individui, specie quelli amorosi, è confermata anche nel registro comico. Il trattamento più
complesso del tema riguarda la X giornata, in cui le novelle illustrano come la cortesia sia un virtù che presiede
alle forme dell’interrelazione umana: essa ha dunque una natura politica, in quanto stabilisce chi è simile e
chi va tenuto a distanza. !! La notazione comica che conclude l’ultima novella di Griselda lascia intravedere
un giudizio incerto e ambiguo sul codice cortese (avrebbe fatto meglio ad andare da altro uomo che rimanere
fedele).

OPERE IN LATINO

Genealogia deorum gentilum: trattato di mitologia, a cui lavorò per oltre vent’anni (oltre al dizionario
geografico). In 15 libri raccoglie l’intero patrimonio mitologico classico considerato come portatore di valori
morali universali.

De casibus virorum illustrium (esempi morali tratti da biografie di uomini illustri) e De mulieribus claris (106
biografie di donne celebri per scelleratezza o virtù)

Il Corbaccio

Operetta allegorica risalente al 1366 e narrata in prima persona, il cui protagonista disperato per amore non
corrisposto di una vedova, invoca la morte. Addormentatosi riceve in sogno l’apparizione del defunto marito
della donna, che gli rivela di essere stato inviato da Dio per intercessione della Madonna, al fine di salvarlo
dal labirinto dell’amore in cui è caduto. L’invettiva contro amore risponde a modelli medievale che Boccaccio
conosceva: negli ambienti colti quasi solo maschili erano diffusi testi misogini che ribadivano la separatezza
dell’intellettuale dagli impegni sociali e famigliari.

Codice autografo del Decameron: Hamilton 90

LA POESIA DEL TRECENTO

Trecento → secolo della canonizzazione dello Stilnovo

La diffusione e fortuna della Commedia, anche fuori dalla Toscana, costituì uno spartiacque decisivo nella
tradizione letteraria tra XIII e XIV secolo. È soprattutto il prestigio raggiunto dal fiorentino di Dante che
consente di avviare per la prima volta una toscanizzazione della lingua poetica, con il soo sperimentalismo
sul piano dello stile e dei contenuti → vettore di promozione dell’eclettismo tematico e stilistico. Con il
sorgere dei primi Stati signorili, cambia anche lo statuto sociale dei rimatori: funzionari di corte, professionisti
al soldo delle istituzioni. L’attività letteraria conosce una professionalizzazione. Fino ai primi del Trecento la
poesia si scrive e legge in pochi centri culturali e all’interno di gruppi ideologicamente connotati;
successivamente la dispersione geografica di un gran numero di letterati determina l’assenza di scuole
riconoscibili e il proliferare di esperienze individuali, profondamente radicate nelle realtà municipali di
provenienza che procedano in totale autonomia le une dalle altre = Frammentazione di indirizzi e tendenze.
! Il tema amoroso non è più esclusivo, nuovi contenuti: politica, ammaestramento morale, autobiografia,
visione allegorico-didattica, narrativa; si afferma la poesia per musica, la poesia narrativa dei cantari. Le più
vistose novità sono legate al pubblico nuovo, di estrazione borghese e cittadina, che favorisce la
sperimentazione di inedite forme d’espressione. Comunque, il tema amoroso resta dominante, anche se il
repertorio tematico è lontano dall’intensità tragica e dalla speculazione filosofica dantesche o cavalcantiane.
→ Sopravvivono i tratti meno impegnativi della topica stilnovista della donna portatrice di salute o del potere

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nobilitante di Amore, elaborati secondo un ideale di limpidezza espressiva e dolcezza stilistica, più
ornamentale che ideologico.

La diffusione della Commedia porta a un corposo filone imitativo del poema, che prende piede
contemporaneamente in zone diverse a partire dalla metà del secolo. La fortuna del genere allegorico-
didascalico è anzi uno dei fenomeni più appariscenti della storia letteraria trecentesca.

Es. Fabio degli Uberti, Dittamondo → è tra i tributi più espliciti alla Commedia, in cui un personaggio-poeta
intraprende un viaggio verso la salvezza (si muove però in una dimensione tutta terrestre).

! Cecco d’Ascoli, Acerba → Dante è il bersaglio polemico di tutta l’opera, è l’accusa ideologica di un uomo di
scienza che rivendica la superiorità della sua verità sulle vane fantasie dell’autore della Commedia. La
separazione tra sfera scientifico-naturale, di pertinenza umana, e sfera religiosa, affidata alla fede, non
poteva essere più netta. Il sistema universalistico di Dante vacilla sotto la spinta di nuove tendenze
filosofiche, di cui l’Acerba è solo il più esplicito riflesso letterario, che esprimono una visione conflittuale del
rapporto tra scienze della natura, esperienza individuale e verità di fede.

Fine di una troppo rigida separazione tra registro aulico e cortese e registro comico-realistico. Quella che nel
Duecento era una polarizzazione che non ammette contaminazioni, dopo il successo della Commedia
conosce una sorta di neutralizzazione in virtù della quale la poesia cortese si abbassa a una tonalità media e
il linguaggio comico viene adottato per trattare di argomenti più elevati, come l’amore o la morale,
tradizionalmente appannaggio della lirica. Si assiste a una fusione di stili che pervade generi metrici e tematici
diversi, trovando espressione in una sorta di registro intermedio che trovava maggiore circolazione presso
un nuovo pubblico cittadino e borghese (allargamento pubblico della poesia). Tra le nuove mode letterarie,
la poesia profana per musica e per danza è quella destinata a fortuna più duratura: i primi esperimenti di
poesia per musica sono legati ai più recenti sviluppi nella tradizione musicale medievale, che conosce
l’avvento della polifonia, comportando così la necessità di fermare su supporto scritto le notazioni musicali.
Le cacce sono un genere nuovo che può presentarsi nella forma della ballata o del madrigale, con più spesso
una struttura metrica libera, strofe composte di versi di varia misura e schema rimico discontinuo, a
rappresentare scene animate e collettive. È dai cantari in ottava rima che prende le mosse il genere del
poema cavalleresco portato al vertice da Pulci, Boiardo e Ariosto: sono poemetti narrativi di lunghezza
variabile, spesso destinati alla recitazione orale accompagnata dalla musica da parte di giullari di professione.
La tradizione canterina nasce con ogni probabilità nella seconda metà del secolo in Toscana e viene assunta
a livello colto. Si trattano i temi più vari: storie del Vangelo, vite dei santi, avventure cavalleresche ispirate
alle chansons de geste ai romanzi arturiani, tratti dal mito classico.

LA PROSA DEL TRECENTO

Nel corso del XIV secolo raggiunge maturazione il processo di emancipazione dei volgari dal latino, che
rimanendo la lingua ufficiale della cultura accademica ed ecclesiastica, lascia spazio al volgare, il quale
acquista il primato in ambiti diversi della comunicazione pratica e letteraria. → Nuova cultura della classe
borghese e mercantesca, una classe dinamica e laica che avverte l’esigenza di una legittimazione culturale,
di appropriarsi della produzione fino ad allora esclusiva. Al centro vi è la fervida attività di volgarizzamenti
dei testi latini che comporta una crescente alfabetizzazione e che vede Firenze centro propulsore di questa
produzione con la conseguente espansione del toscano sugli altri volgari italo-romanzi. Si consolida la prosa,
arricchendosi sul piano lessicale e sintattico.

! Letteratura religiosa: esigenza di divulgare attraverso un linguaggio semplice ed efficace, il messaggio


evangelico presso strati della società laici e illetterati.

Fortuna del Decameron, duplice effetto:

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1. Spinta per la raccolta di materiale novellistico eterogeneo all’interno di un unico libro d’autore. Il
genere novella acquista una dignità letteraria e formale autonoma.
2. L’imitazione del modello comporta l’attenuazione dei suoi caratteri più innovativi, strade più
convenzionali in quanto a scelte stilistiche e organizzazione del materiale narrativo.

Franco Sacchetti, Trecento Novelle: sopprime la cornice, assenza di nuclei tematici costanti e oggettivi,
costante presenza dell’autore (p. 152).

La storiografia in volgare raggiunge la maturità di genere letterario autonomo, espressione dei forti
sconvolgimenti sociali e politici che interessano l’Italia a cavallo tra i due secoli. La crisi delle istituzioni
comunali e l’instaurazione delle Signorie, i conflitti, lo sviluppo economico e l’ascesa dei ceti borghesi sono
fenomeni che comportano un inedito accrescimento della partecipazione politica di strati sempre più larghi
della società, sollecitando una doppia esigenza: la ricerca di una legittimazione storico-culturale delle diverse
identità municipali e l’urgenza di interpretare i nuovi processi all’interno di una visione storica generale che
ne rintracci le cause e ne prospetti gli sviluppi possibili. → scelta del volgare risponde al bisogno di rivolgersi
a un pubblico coincidente con quello cittadino. Progetto di un’identità municipale, autocoscienza politica.

TERZA EPOCA

INTRODUZIONE

Due elementi caratteristici della nuova stagione culturale: il primo riguarda le forme che gli intellettuali
individuano per la loro azione culturale, un’azione sentita come fortemente collettiva. Il secondo riguarda
l’attrazione nei confronti dei detentori del potere realizzata dagli umanisti, che, pur restando sempre
subordinati rispetto ai potenti, acquistano però una autonomia di azione che si trasforma a volte in capacità
di indirizzo politico. Un’ambiguità tra separatezza della vita culturale e coinvolgimento nella gestione del
potere, che segna in profondità questa importante stagione della cultura italiana. L’Umanesimo è la grande
stagione del ritrovamento dei manoscritti che conservano opere dell’antichità classica, rimaste a lungo
sepolte nelle biblioteche → Antichi tesori tornano a circolare, dall’ambito tecnico a quello teorico, dal sapere
scientifico a quello pratico (oltre capolavori poetici). Gli umanisti intendono restaurare quelle “forme
originarie” dell’età classica come riferimento per i diversi campo dell’azione umana, in contrapposizione con
l’età medievale. I contemporanei hanno bisogno di risalire a questa epoca ideale in quanto tra il loro mondo
e quello degli antichi si frappone un periodo intermedio sentito come negativo (nasce concetto Medioevo,
età di mezzo). = Umanisti costruiscono così il mito della Rinascita: presente è positivo perché ispirato al
passato greco-latino. ! I modelli antichi non sono ideali staccati dalla prassi ma modelli concreti che vanno
incarnati nei comportamenti quotidiani. Al tempo stesso la passione per gli antichi si presenta come un ideale
culturale, un modo per differenziarsi dalle generazioni precedenti. Gli umanisti sono dunque degli esperti
conoscitori delle lingue e letterature classiche (umanista=professore di lettere). Gli studia humanitas sono
basati sul lavoro di riscoperta, lettura e comprensione di un insieme preciso di testi, con un programma
letterario (ampia trattatistica pedagogica). Non è un movimento circoscritto alla sola Firenze, ma esteso
all’intera penisola, per poi divenire all’inizio del secolo successivo, un patrimonio comune a tutta Europa con
il trattato di Erasmo da Rotterdam, De puer liberaliter instituendis. Nasce il concetto di imitazione, intesa
come volontà di imitare la lingua antica, abbandonando il proprio mondo linguistico per entrare in quello
dell’antichità. (Il problema del corretto rapporto con le fonti della lingua, ovvero gli stili degli autori, era stato
posto da Petrarca, che raccomanda di scrivere senza imitare alla lettera, ma trovando un modo personale di
esprimersi, così da assomigliare agli antichi; a tale scopo è fondamentale “servirsi dell’ingegno e dei colori
altrui, ma non delle parole”). Due riferimenti stilistici individuati: Cicerone per la prosa e Virgilio per i versi.
! Contraddizione delle radici cristiane in un mondo pagano → si crea la necessità di distinguere tra bellezza
dello stile e verità delle affermazioni.

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Rapporto umanesimo e potere politico→ Rispetto all’età comunale in cui gli intellettuali ebbero spesso un
ruolo egemone nella conduzione del potere, la nuova età signorile vede una varietà di posizione degli
umanisti rispetto all’azione di governo, mentre la loro attività di studio viene sempre più avvertita come
rigidamente distinta dalla direzione della cosa pubblica (problema lingua: latino lontano dalla società). →
Nuova forma di aggregazione intellettuale: le accademie, luoghi di incontro culturale gestiti dagli umanisti.
Nonostante la ricerca di un sistema organizzativo autonomo e separato dal resto della società, nelle
discussioni accademiche gli umanisti si conservano sempre un interesse pragmatico e concreto verso il
mondo (apertura disciplinare). Col tempo verranno sottoposte a controllo più serrato. I generi prevalenti del
mondo accademico sono l’epistola e il dialogo.

ALLA SCOPERTA DEGLI ANTICHI

Si può relativamente dire che la scoperta delle epistole ciceroniane Ad Atticum da parte di Petrarca 1345
nella Biblioteca Capitolare di Verona costituisca una data significativa per stabilire una soglia nella cultura
italiana. Ritrovamento riconosciuto come decisivo in un nuovo modo di pensare al passato. Elemento
cardinale della cultura umanista è infatti il rapporto diretto col mondo antico, prima romano poi, dopo la
caduta di Costantinopoli 1453, anche greco. Scoprire gli antichi = leggerne le opere. Gli umanisti devono
mettersi alla ricerca di un patrimonio letterario che dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente 476 è
andato disperso. Campione di questa attività è Petrarca. Attraverso il ritrovamento dei codici si fanno tornare
in vita delle pere esemplari, che vanno imitate per attingere allo stile perfetto (pristina forma) → renovatio,
rinascita dell’armonioso equilibrio stilistico degli antichi, cui i moderni vogliono assimilarsi (Poggio Bracciolini,
copista).

Renovatio: rinnovamento integrale, animato dal contatto con i grandi scrittori latini; rinascita.

Restauratio: restauro delle opere ispirato alle regole precise della filologia, dopo aver recuperato i codici che
le trasmettono, le diverse varianti andranno confrontate al fine di ricostruire il testo corretto. Lamento per i
danni prodotti durante i secoli medievali (Petrarca), in cui il rapporto con la cultura classica è venuto meno e
il latino imbarbarito.

= Nuova sensibilità storica, che salda insieme retorica e filologia.

Sulla base del colloquio con gli antichi si organizza anche una comunicazione dei moderni tra loro. Gli umanisti
quattrocenteschi si ritrovano costantemente con la penna in mano per ragioni professionali, ma si ritagliano
lo spazio privato delle lettere familiari, caratterizzate da un sapiente uso del latino, dalle citazioni letterarie,
dalle imitazioni stilistiche degli antichi, sul modello delle lettere di Cicerone ad Attico. Ne sortisce un dialogo
fra pari, che si misurano sul loro rapporto con il mondo classico → Coesione di ceto intellettuale. Le lettere
permettono agli umanisti di riconoscersi in un sistema condiviso: la libertà da obblighi ufficiali costituisce il
fulcro della sodalitas umanistica, autonoma rispetto alla gerarchia dei rapporti lavorativi. Indipendenza dalle
pressioni del mondo esterno.

POESIA E PROSA LATINA DEL QUATTROCENTO

Dopo le Tre Corone (fine: morte di Boccaccio 1375) è ancora Firenze a giocare un ruolo centrale nella
promozione dell’Umanesimo. Coluccio Salutati 1331 assume una funzione centrale nella vita politica di
Firenze, funzione che si riflette nel ricco epistolario, in cui emerge anche l’impegno per l’affermazione degli
ideali del nascente Umanesimo.

Dalla Scuola Salutati

→Bruni: elogio di Firenze come modello di virtù e di ordinamento democratico, poderosa operazione di
traduzione dai classici greci in latino, impegnandosi nel dare un nuovo testo latino per opere capitali della
filosofia classica.

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→ Bracciolini: protagonista di alcune delle più importanti scoperte di codici antichi dell’età dell’Umanesimo.

1397 data importante nella dinamica di affermazione dell’umanesimo, anno in cui Manuele Crisolora
comincia a tenere a Firenze corsi di lingua e cultura greca, che consentono una conoscenza più diffusa della
lingua (soprattutto opere di Platone e Aristotele). = La formazione di matrice umanistica, ovvero lo studio
condotto sui classici, viene ritenuta un passaggio necessario per la formazione delle nuove classi dirigenti; su
questo assunto si fonda l’impianto del pensiero pedagogico dell’Umanesimo. Le conoscenze di lingua e di
retorica si congiungono con lo studio dell’etica per determinare una formazione organica dell’individuo. Su
questi principi si basano alcune delle grandi scuole del Quattrocento.

MILANO. La corte di Milano rappresenta un punto di riferimento importante sul piano culturale → Filelfo qui
avvia un ricco commento al Canzoniere petrarchesco (segnale di come la tradizione volgare stesse
guadagnando posizioni nella cultura di metà secolo).

ROMA. La curia romana rappresenta un punto di riferimento essenziale per l’elaborazione di una nuova
cultura → Biondo Flavio avvia una poderosa operazione storica su Roma antica.

Lorenzo Valla, le Elegantie: Profonda conoscenza della civiltà latina, opera articolata in cinque libri dedicati
a un’analisi della grammatica e del lessico della lingua latina, più un sesto dedicato a passare in rassegna una
serie di errori degli antichi. A guidare l’opera è l’elogio alto del latino classico, una lingua la cui regolarità e le
cui norme Valla intende recuperare, con una sistematica demolizione degli errori depositatisi nel corso dei
secoli → Si esplicita uno dei cardini dell’Umanesimo, ovvero la piena conoscenza della parola come
condizione prima per un intervento sulla realtà, e dunque come codice universale di governo nel mondo.
Nell’esperienza di Valla può essere colto il valore decisivo della pratica filologica, di uno studio dei testi antichi
condotto con piglio scientifico, contro ogni principio di autorità: capacità di ricostruzione storica e di analisi
filologica dei testi. Fu inoltre sottoposto a processi e polemiche per la sua intenzione di sottoporre a verifica
filologica testi chiave del diritto canonico, su cui si fondava il potere secolare della Chiesa (Testi Sacri).

LEON BATTISTA ALBERTI (Genova 1404 – Roma 1472)

Uno dei massimi interpreti della cultura umanistica, che si basa sull’incontro di due orizzonti di ricerca:

➔ La filologia col ripristino della voce dei classici greci e latini


➔ L’intervento pragmatico sulla realtà, che può spaziare dall’iniziativa poetica in lingua volgare alla
costruzione di edifici pubblici, e dalla riflessione sulle dinamiche famigliari all’intervento di carattere
politico.

=Continua ricerca, muovendosi tra tradizione fiorentina e recupero dei modelli classici, i quali, anche quando
vengono polemicamente rovesciati, restano sempre gli interlocutori fondamentali per agire nel presente.

Pluralità di centri culturali: Firenze, città padane, Roma. Firenze costituisce il centro della sua riflessione.

Periodo fiorentino

Libri della famiglia → Dialogo di quattro libri in volgare, la cui vicenda è ambientata all’epoca in cui gli Alberti
sono esiliati a Padova; l’opera è la conversazione tra alcuni parenti dell’autore, che affrontano i vari aspetti
del rapporto tra famiglia (in senso allargato) e società: educazione dei figli, matrimonio, economia, relazioni
sociali. Alberti punta a una forma espressiva moderna ed elegantemente controllata, tramite un rigoroso
trattamento stilistico. Il dialogo albertiano interpreta la famiglia innanzitutto come continuità generazionale.

[Il vivo interesse per il volgare spinge l’autore a misurarsi con la scrittura poetica, componendo due egloghe
pastorali e due elogia, in cui l’imitazione petrarchesca va di pari passo con il trasferimento alla cultura
moderna di forme preziose dell’antichità, significativa la ricerca formale].

Grammatichetta → Descrive la struttura del volgare e ne difende la dignità stilistica

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Certame coronario → Nel 1441 si tiene a Firenze il Certame coronario, una gara di poesia in volgare sul tema
dell’amicizia (pluralità e alleanza) ideata per rilanciare il volgare come lingua ella cultura e dimostrarne la pari
dignità rispetto al latino. L’evento competitivo non vede vincitori. Un cambio di rotta per l’uso del volgare
avverrà con il progetto di Lorenzo il Magnifico, che promuoverà il volgare come strumento di affermazione
politica.

Intercenales

Una raccolta di testi latini di varia lunghezza in cui si alternano dialoghi e narrazioni, ispirati al modello dello
scrittore greco Luciano di Samosata. Alberti condivide l’ideale della sodalitas, ossia della convivenza colta tra
uomini di lettere, capaci di intervenire nelle cose della politica, ma appartati in un’esistenza autonoma e
solidale. Nel Proemio si mostrano due aspetti fondamentali dell’opera:

a) Volontà di fare della letteratura un “farmaco” capace di curare le malattie dell’animo con la
leggerezza della hilaritas.
b) Riferimento alla grande cultura dell’antichità greca e latina, qui presente nell’allusione a un celebre
passo del poema di Lucrezio, dove la poesia è paragonata al miele con cui il medico asperge il bordo
del bicchiere per far assumere al malato la medicina amara.

I vari turbamenti che affliggono l’animo umano sono distribuiti negli 11 libri, confermando il carattere morale
della riflessione albertiana, incentrata sul rapporto tra la realtà economico-politica e la virtù individuale, volta
al supremo fine di non lasciarsi turbare dagli eventi della vita.

De ichiarchia

Torna a riflettere sul rapporto tra famiglia e società, ragionando sulla figura del capofamiglia. Genere
dialogico, lingua volgare. Affronta in tre libri il problema del governo domestico da una prospettiva
conservatrice, preoccupata di rispettare i rapporti sociali vigenti ma contemplandoli con la rettitudine
morale. Parlando del pater familia riflette sul capo dello Stato. Avanza una proposta di autoregolamentazione
del “capofamiglia”, capace di evitare la caduta nella tirannide attraverso il riconoscimento della legge come
norma superiore cui attenersi. L’ipotesi è insomma quella di un governante virtuoso, il cui primato politico è
conseguente all’educazione umanistica e al costante esercizio della ragione.

PROSA E POESIA VOLGARE DEL QUATTROCENTO

Il latino, lingua degli umanisti, è lo strumento della cultura dotta per buona parte del secolo, e delle prove
più impegnative. Il volgare, nella maggior parte della penisola, si presta a un impiego di carattere pratico,
lontano dalle scritture dei colti e in una sfera letteraria marginale, anche se nel corso del secolo guadagna
terreno. Eccezione per la Toscana e Firenze: Le Tre Corone diventano una roccaforte per la prosa e la poesia
in volgare, imponendosi come centri propulsivi, soprattutto per la novellistica, le narrazioni cavalleresche, le
scritture di tipo privato, la letteratura omiletica, e la poesia lirica e comica. La novellistica prosegue la strada
aperta da Boccaccio, nonostante si diffonda anche il genere delle novelle spicciolate (sparse).

Masuccio → compone una serie di novelle prima in forma autonoma poi raccolte all’interno del Novellino,
una raccolta di cinquanta novelle, articolata in cinque gruppi di dieci, ciascuno raccordato su un tema.
Struttura particolare, per ognuna stesso schema: argomento (annuncia il contenuto), esordio (indirizza la
novella a un destinatario, omaggio), narrazione, Masuccio (bilancio, in chiave morale, che l’autore assume
sotto la propria voce). Si caratterizza per gli elementi caricaturali e grotteschi, e l’adozione di una lingua
vivace e popolare.

*Le spicciolate sono novelle singole che trattano di beffe e motti.

La narrativa in versi è rappresentata dai cantari recitati sulle piazze cittadine, espressione di una cultura
medio-bassa che dispone dei mezzi retorici per catturare e divertire il pubblico. Di vari argomenti, ma il tema

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cavalleresco sembra riscuotere maggiore fortuna, al punto che guadagnerà nobilitazione grazie ad autori
come Luigi Pulci e Matteo Maria Boiardo. ! La letteratura cavalleresca nel Quattrocento ha in Toscana il
principale centro di attrazione a propagazione.

Nel Quattrocento all’interno della realtà fiorentina, la poesia in volgare conosce un tentativo di celebrazione:
poesia burchiellesca. I sonetti “alla burchia” (poesia nonsensica in forma di sonetto) mettono in scena
situazioni caotiche, paradossali, parodiche e apparentemente irreali, facendo leva sulle potenzialità della
lingua e su un uso di termini rari, oscuri, gergali, di ascendenza popolare, nonché su metafore talvolta di non
facile interpretazione. Nel complesso questo genere di componimenti, lungi dall’assumere posizioni
ideologiche articolate, si prefigge di ridicolizzare una versificazione allora in voga, quella dei pedanti ricca di
forma e vuota di contenuti.

QUARTA EPOCA

INTRODUZIONE

Nel corso della seconda metà del Quattrocento il quadro politico della penisola è caratterizzato da una
stagione di stabilità, il cui avvio si individua nella pace di Lodi 1454 in cui si sancisce un nuovo assetto politico,
dominato da cinque grandi Stati di dimensioni regionali: Milano, Venezia, Firenze, Napoli e lo Statuto
Pontificio. → Consente lo sviluppo di una cultura di eccezionale livello nelle singole corti, che divengono così
luoghi di elaborazione di modelli culturali destinati a costituire per almeno due secoli i fondamenti della
società dell’Antico Regime. La corte diventa il centro di irradiamento di una nuova cultura: da una parte è
soggetto della letteratura e delle diverse manifestazioni artistiche, dall’altra è il suo destinatario ideale. Un
primo cambiamento che si registra è il rapporto gerarchico tra lingua latina e volgare. Dopo il trionfo
dell’Umanesimo lattino dei primi decenni del Quattrocento, nella seconda parte del secolo si assiste alla
crescita marcata del prestigio del volgare. Diventa centrale la consapevolezza che il volgare possa essere
usato come lingua della cultura, capace di accogliere al suo interno non solo la tradizione italiana, ma anche
il più ampio patrimonio di quella classica. Un secondo mutamento riguarda la diversa definizione del ruolo
che l’intellettuale è chiamato a interpretare rispetto al potere politico → progressivo passaggio vero una
maggiore subordinazione dello scrittore, ora impegnato in una attività culturale dipendente da forme di
mecenatismo e che ha come principale obiettivo la celebrazione della corte presso la quale è ospitato e della
Signoria in cui opera. La cultura delle corti ha come conseguenza che le stesse istanze culturali siano declinate
in modo diverso nelle varie realtà locali: vivace quadro di espressioni culturali affini ma non identiche, spesso
in un rapporto di sottile competizione. Firenze = cultura filosofica, poesia volgare e grande patrimonio della
classicità. Accanto al mondo della corte vi sono altri spazi in cui il letterato opera: le accademie, cenacoli
letterari non sempre regolati e spesso in rapporto col potere politico. L’Accademia platonica di Firenze
(Ficino) o napoletana (Pontano) rappresentano delle esperienze culturali d’avanguardia, occasioni per la
formazione degli intellettuali e per l’elaborazione di un patrimonio di idee che spesso costituisce il retroterra
ideologico su cui si fonda la corte stessa. Inoltre, il secondo Quattrocento è attraversato da una rivoluzione
data dall’invenzione della stampa a caratteri mobili, in virtù della quale si produce un mutamento profondo
dell’idea stessa di opera letteraria, del suo pubblico ideale e infine dell’autore he la compone. La tipografia,
infatti, richiede competenze tecniche e abilità filologiche. La lirica comunque è senza dubbio il genere che
conosce più fioritura, sotto le forme di una imitazione diretta di Petrarca.

DAL MANOSCRITTO ALLA STAMPA

L’invenzione della stampa a caratteri mobili si attribuisce a Jhann Gutenber (fine 1300-1468), responsabile di
due accorgimenti: la creazione dei caratteri tipografici e alcune modifiche alla formula chimica dell’inchiostro.
Il più immediato vantaggio consiste nella possibilità di ricavare migliaia di esemplari uguali da una singola
matrice. → Si accelera così il sistema degli scambi culturali, che rende più fitti i rapporti tra centri e periferie
del mondo letterario italiano. Grande cambiamento sta nell’impatto visivo del nuovo libro: preciso
nell’allineamento delle righe, rigidamente incolonnato, coi caratteri ben disinti tra loro. Un procedimento

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industriale, come quello della tipografia, abbisogna di procedure standardizzate, che devono essere applicate
con costanza, indipendentemente dal tipo di opera su cui si sta lavorando. → Ciò spinge alla normalizzazione
dei criteri grafici e delle forme testuali, con effetti anche sul tessuto linguistico, che tende ad assumere una
fisionomia uniforme nei vari centri di produzione a prescindere dagli usi locali. Ne scaturisce un cambiamento
destinato a mutare nel profondo la civiltà occidentale.

AMBIENTE LAURENZIANO

Lorenzo De’ Medici (1449 - 1492) è il regista della vita intellettuale fiorentina quattrocentesca, capace di fare
del rinnovamento culturale un elemento fondamentale dell’arte di governare. Letterato raffinato, in grado
di coniugare impegno politico e poetico. Educazione umanistica, ma alle lettere classiche preferisce la
letteratura volgare (compose liriche di ispirazione petrarchesca). Nei testi da lui redatti (es Nencia da
Barberino, parodia dell’egloga rusticale), sperimentali sul piano dello stile (costruzione sintattica elevata e
lessico popolareggiante), si può leggere una testimonianza della convinzione che la lingua toscana sia capace
di un’espressività tale da eguagliare il latino. Idea che costituisce la base del progetto della Raccolta
aragonese approntata da Lorenzo con l’aiuto di Poliziano.

-Simposio → Vengono presenti in rassegna i maggiori bevitori fiorentini, nell’ambito di un convito tutto
prosaico, dissacrante riscrittura del Simposio di Platone. Antiplatonico nei continui rimandi alla sfera carnale
e corporale dell’esistenza umana, è anche una parodia dei Trionfi in terzine. Vena parodica attraverso
elementi dotti, atti a irridere sino a giungere alla blasfemia temi evangelici e ficiniani. Es. La sete come
continua tensione all’ubriachezza e non inesausto desiderio umano di pervenire a Dio.

-De summo bono → Opera filosofica di ambientazione pastorale, che si presenta come ritrattazione del
Simposio. Un passo indietro che fornisce la prova dell’interesse di Lorenzo per quella stessa filosofia di Ficino
che prima ridicolizzava. Tenta di mostrare quale sia l’iter che conduce all’unità divina, in un tessuto verbale
di allegorie. Torna la sete, intesa come Ficino, spinta dell’uomo a elevarsi rispetto alle sorti terrene.

= Stessi temi declinati in direzioni opposte, capacità laurenziana di impostare la sua scrittura al servizio di
posizioni e ideologie anche lontane.

Congiura dei Pazzi 1478 → Lorenzo si reca a Napoli per un’intesa con Re Ferdinando → Primo atto di una
sapiente politica di alleanze e accordi, che gli garantisce di dedicarsi all’attività di mecenate, facendo di
Firenze la capitale culturale d’Italia.

Al di là della produzione lirica (Canzoniere), è anche autore di canzoni a ballo e carnascialesche, in cui
ricorrente è il tema del carpe diem: invito a godere della vita presente. Nella Canzone di Bacco, sotto
l’apparenza di toni giocosi, sono presenti riferimenti alla Bibbia e alla filosofia ficiniana, in particolare la
necessità dell’uomo di cogliere l’attimo non rappresenta solo un invito epicureo al godimento dei beni
terreni, ma una riflessione sul tempus fugit. Le nozze tra Bacco e Arianna diviene exemplum del percorso che
ogni uomo dovrebbe fare per ascendere a Dio, allontanando da sé le preoccupazioni inutili quotidiane.

Luigi Pulci (1432-1484) entra a Firenze nel circolo della famiglia Medici, sotto la protezione di Lucrezia
Tornabuoni (madre di Lorenzo) che lo incarica di comporre un poema sulle gesta di Carlo Magno (il
Morgante). Cruciale il rapporto con Lorenzo, che diventerà la figura di riferimento di Pulci e che assiste alle
sue prime prove caratterizzate da uno sperimentalismo linguistico. ! A partire dagli anni Settanta misura una
progressiva distanza dalle linee culturali promosse da Lorenzo; l’ascesa del ruolo di Ficino e della filosofia
neoplatonica mette in ombra la musa più umile della poesia pulciana, che prova a reagire in chiave polemica
attraverso la stesura di sonetti, caricaturando le astrazioni del neoplatonismo fino a spingersi a scrivere
sonetti eterodossi: Provoca la reazione di Ficino che chiede l’intervento di Lorenzo, costretto a prendere le
distanze da Pulci stesso. Sotto il nuovo protettore, Sanseverino, si impegna nella conclusione del Morgante.

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Il Morgnante → Poema di 23 cantari he descrive una sequenza di avventure mescolando la materia
carolingia, con le imprese di Rinaldo, Orlando e degli altri eroi, a una sezione imperniata sulla figura di
Morgante, gigante convertito da Orlando. La figura di Morgante consente a Pulci di inserire punte di comicità
aggressiva (es incontro tra Morgante e Margutte). In un ulteriore edizione Pulci aggiunge cinque cantari, che
registrano un innalzamento di tono e assumono una misura più conveniente all’epica.

Marsilio Ficino (1433-1499) al centro dell’Accademia platonica fiorentina, attorno alla quale si riunisce una
cerchia di umanisti, tra cui Poliziano, Pico della Mirandola, Lorenzo e Giuliano De Medici. Cuore
dell’esperienza di Ficino è l’ascesi che l’uomo deve compiere per pervenire all’unità divina, un percorso che
il filosofo può esprimere in forma meditata grazie all’uso sapiente del medium della parola. Tra le opere di
traduzione platonica cruciale è la Theologia platonica de immortalitate animarum, dedicata a Lorenzo, con
cui si propone di mostrare la via attraverso la quale pervenire alla certezza dell’immortalità dell’anima.
L’autentica speculazione filosofica deve nutrirsi di una comunione profonda con la religione, in aperta
condanna delle irrisioni blasfeme dei letterati come Pulci. L’anima umana secondo Ficino ha una funzione
mediatrice nella scala dell’essere, costituisce un medium tra luce e ombra e dunque può ricongiungersi con
Dio ripercorrendo il cammino che ha condotto dall’unità originaria alla generazione degli enti particolari.
Ficino considera le opere di Platone e dei neoplatonici (codice Corpus Hermeticum) come fonti di sapienza
che se ben interpretate possono costituire una via di accesso alla divinità. Esse sono veicolo di una antica
tradizione sapienziale, teologico-religiosa e filosofica, (la prisca theologia) in piena concordia con il
cristianesimo. La traduzione e l’interpretazione critica dei testi è fondamentale per portare alla luce verità
perdute. → La poesia oltre a svolgere la funzione di velare il vero, in modo tale che si mostri solo agli occhi
di quanti sono in grado di cercarlo, può costituire il punto di partenza per risalire alla conoscenza
dell’intelligenza ordinatrice della natura; un percorso che deve essere compiuto emulando l’armonia celeste
creata dai movimenti circolari degli astri, con una poesia che divenga imitazione della natura nel senso più
profondo, e sfruttando le potenzialità della parola per operare magicamente. La parola è dunque il mezzo
per ricomporre l’unità divina, ma anche espressione di quanto appreso durante l’ascensione.

Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494) convinto di una possibile convergenza delle diverse tradizioni
filosofiche, di una sapienza comune articolata in diversi filosofi. Ideale di una possibile sintesi filosofica,
domina le 900 Conclusiones 1486 anticipate da una orazione che rappresenta un elogio delle capacità e
possibilità assegnate all’uomo di elevarsi a una dimensione intellettuale grazie alla propria libera volontà,
superando la sfera terrena. →Libera condizione dell’uomo nella definizione del proprio percorso.

Angelo Poliziano (1454-) si mette subito in luce nell’ambiente laurenziano grazie a un talento precoce: ad
appena quindici anni avvia la traduzione dell’Iliade in esametri latini che indirizza subito alla casata dei medici;
l’opera gli vale l’ammirazione di Lorenzo. Stile caratteristico: capacità di costruire opere attraverso la
combinazione e l’intarsio di un gran numero di memorie classiche con esiti di eccezionale eleganza che
trovano un apice nelle Stanze per la giostra.

Le stanze per la giostra → Celebrazione dell’evento della giostra che promuove l’ingresso nella vita politica
di Giuliano de’ Medici, un’opera in ottave di impianto allegorico in cui Poliziano narra del giovane Iuli
(=Giuliano) che, inizialmente restio alla passione amorosa, viene colpito da Cupido e fatto innamorare di
Simonetta (allusione alla donna amata da Giuliano); inizia così un percorso di elevazione che lo porta ad
abbandonare la caccia e lo spinge a invocare la Virtù, l’Amore e la Gloria. L’opera si interrompe qui, offrendo
solo la prima parte del percorso ascensionale: dopo l’abbandono della vita sensuale e il passaggio a quella
attiva, è verosimile che l’ascesa si completasse con l’arrivo alla vita contemplativa. Eventi storici intervengono
sul disegno: scomparsa di Simonetta e la congiura dei pazzi che porta alla morte di Giuliano. Rimane un
capolavoro della lirica volgare: mettendo in pratica le indicazioni di Lorenzo sulla nobilitazione della lingua le
Stanze offrono una poesia che raccoglie le memorie della tradizione classica e le filtra attraverso la piena
padronanza degli autori trecenteschi. Emerge la tecnica di costruzione per tasselli.

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Orfeo → Primo dramma profano in lingua volgare: slittamento per cui Orfeo, disperato per la perdita
dell’amata, si volge in modo repentino all’amore omoerotico, decidendo di mai più piegarsi a una passione
che produce sofferenza; condanna del femminile amor, Orfeo rovescia la sua parabola, confinandosi in un
amore tutto sensuale. Di qui giunge la condanna, col suo corpo straziato dalle Baccanti, in una conclusione
del dramma che ha un andamento quasi orgiastico.

All’inizio degli anni Ottanta il percorso di Poliziano prende una piega più filologica ed erudita, il volgare perde
rilievo e acquista importanza l’attività di commento ai classici → Le Sylvae si offrono anche come manifesto
del valore nobile della parola poetica. Metodo filologico volto al recupero della parola originaria degli antichi.

MATTEO MARIA BOIARDO [AMBIENTE FERRARESE] Scandiano 1441 -

Ferrara → casa d’Este, successione complicata nel Quattrocento. Nel corso degli sviluppi politici (prima con
Borso e poi Ercole duchi di Ferrara), la cultura ferrarese, tradizionalmente legata al gusto e alla letteratura
francesi, si trasforma: svolta nel 1429 con l’arrivo di Guarino Guarini detto il Veronese, chiamato prima da
Niccolò III, una delle più grandi figure dell’Umanesimo. Guarino fonda una scuola che diverrà celebre per il
modello educativo basato sulle humanae litterae, che punta a una formazione graduale dell’uomo e armonica
→ dall’incontro fra classicismo guariniano, improntato all’ideale dell’eleganza, e tradizione cortese nasce il
peculiare gusto del Rinascimento ferrarese. ! Borso preferisce alla cultura classica i romanzi cavallereschi, ed
è assecondando il gusto e le necessità dinastiche degli Este che Boiardo, figlio dell’Umanesimo, già sotto
Borso e poi per Ercole, scrive L’innamoramento di Orlando. Tutta l’esperienza letteraria e umana di Boiardo
s’inquadra nel rapporto con la corte estense, le sue vicende dinastiche e i suoi gusti culturali. Perciò il nesso
fra politica e letteratura, fra servizio cortigiano e poesia sta alla base dell’attività di Boiardo ed è all’origine di
quasi tutte le sue opere. La produzione di Boiardo incarna in pieno il gusto del Rinascimento ferrarese, sintesi
di tradizione cavalleresca e Umanesimo. → Forte propensione allo sperimentalismo formale e contenutistico,
che si concretizza in opere “chiuse” dall’architettura perfetta e caratterizzate dalle studiate simmetrie
(proporzioni numeriche), e al tempo stesso “aperte”, mosse da una prodigiosa capacità narrativa, animate
da una vitalità che si radica nel grande valore attribuito all’amore, fonte e culmine degli ideali cavallereschi e
letterari. L’esordio poetico di Boioardo coincide con la coppia Carmina e Patoralia. La raccolta dei Carmina in
Herculem, formata da un carme di dedica e 10 testi, è composta per celebrare le imprese napoletane di Ercole
e il suo ritorno a Ferrara grazie a Borso. Il futuro duca è rappresentato come guerriero e pacifico governatore.
I Pastoralia sono strutturalmente perfetti: 10 ecloghe di 100 versi ciascuna.

Amorum libri tre (“I tre libri degli amori”)

Raccontano una storia di amore ricambiato, disillusione, malinconia e pentimento che si svolge fra il 1469 e
il 1471. L’inizio della narrazione è legato a un evento storico, quello dell’incoronazione ducale di Borso. Il
punto di riferimento di Boiardo è Petrarca, tuttavia ne estremizza e regolarizza le forme. Struttura regolata
da rapporti matematici, qui costruito sul 3, sul 10 e i loro multipli: 60 testi per ciascuno dei 3 libri per un totale
di 180: brevi serie di sonetti sono intervallate da altri metri che fungono da interna paragrafatura del romanzo
amoroso. Il racconto con la prima fase euforica dell’amore, incentrata sulla lode della donna e sulla gioia
dell’amante, pur con alcune incrinature, culmina sul finire del I libro con il trionfo di Eros. All’acme amorosa,
l’aver tenuto fra le braccia l’amata, fa subito seguito la rottura con Antonia che respinge l’amante stupefatto.
Di qui in poi i dolori dell’amante proseguono per tutto il II libro durante il quale comprende che Antonia lo
tradisce. Nel libro III l’amante persevera nell’Amore e Antonia gli si mostra talvolta pietosa: si inaugura una
nuova sequenza euforica, breve. Le fa seguito la dolorosa separazione da Antonia per seguire Borso a Roma.
Qui si ha una riflessione sul cattivo impiego del tempo trascorso che culmina nella conclusiva preghiera a Dio.
La visita a Roma, città santa, motiva il pentimento religioso che sigilla gli Amorum libri in modo ritenuto
forzoso. Si tratta di un’opera provvisoria, fissata sul presente, in cui l’estrema disciplina formale e la raffinata
letterarietà danno forma a una poesia estroversa e comunicativa. Il pentimento chiude una fase
dell’esistenza, non la decide: chiude il libro, ma il libro non chiude la vita che prosegue verso altre età e

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esperienze. Il libro si apre con un bilancio di una vicenda conclusa, in cui Amore non è “errore”, è connaturato
alla gioventù: il rimpianto è perciò legato alla propria ingenuità, non all’aver amato nell’età adatta. → L’uomo
passa dalla gioia illusoria alla saggezza, cioè la coscienza del tempo e della misura con cui usare i beni terreni.
Boiardo propone così un itinerario-modello a un pubblico di cortigiani, letterati e uomini d’armi, di cui
costruisce e celebra l’ethos: la società cortigiana è lo sfondo delle gioie e pene narrate poiché l’amore,
perfezione e cuore della vita cortese, lì è nato.

Le Pastorali

Le vicende storiche e personali si riflettono nelle Pastorali con cui Boiardo torna alla bucolica ma in volgare.
La scelta linguistica dipende sia dalle preferenze della corte sia dal prendere piede di un Umanesimo che
vuole ricreare i generi classici in volgare. 10 ecloghe: 5 di tema politico e 5 di tema per lo più amoroso, tutte
accomunate dalla veste allegorica e spesso unite da significative connessioni intertestuali. L’allegoria
pastorale permette a Boiardo di trattare anche temi personali, cantando nelle egloghe di amori infelici. Poesia
d’amore e poesia politica hanno perciò la stessa funzione, consentendo di reagire alla sorte avversa.

L’innamoramento de Orlando

Pubblicato postumo in tre libri nel 1495, è lasciato incompiuto per la morte di Boiardo (1494), quando il
ducato è attraversato dalle truppe francesi di Carlo VIII: l’evento che pone fine al mondo delle corti
quattrocentesche. La trentennale stesura del poema era iniziata con giovanile baldanza. Il proemio presenta
molti dei temi essenziali dell’opera. L’Innamoramento de Orlando è caratterizzato innanzi tutto da una
intonazione orale, solo in parte fittizia. Riprendendo una modalità romanza di produzione e fruizione
dell’opera, quella delle recite in piazza di cantari cavallereschi, Boiardo pronuncia i suoi versi alla presenza di
un pubblico preciso, la corte estense, la cui attenzione deve essere costantemente tenuta desta. Complessità
narrativa: il continuo succedersi di storie diverse, portate avanti contemporaneamente, il cui racconto si
interrompe sempre sul più bello per passare al racconto di un’altra vicenda narrativa. In questo modo ogni
canto non coincide mai con una precisa unità narrativa e con la conclusione di una vicenda. Questa tecnica
narrativa, detta entralacement, viene ereditata da Boiardo dai romanzi francesi; tuttavia, il poeta ferrarese
ne fa un uso nuovo e originale, quasi uno dei tratti che più caratterizzano il suo poema. Il passaggio da una
storia all’altra non dipende dalle necessità interne del racconto, ma dal capriccio del poeta/cantore e dal suo
rapporto con il pubblico. Una figura, quella del poeta, che assume un ruolo e una presenza costanti nel testo,
comparendo spesso negli esordi e nelle chiusure dei canti per riattivare il contatto con l’uditorio o per
commentare la storia che sta narrando. “Orlando innamorato” → Ossimoro, Orlando nella tradizione
narrativa precedente è il paladino per eccellenza, devoto, casto, votato esclusivamente alla guerra contro i
saraceni, cioè al suo destino epico, nelle vesti di eroe cristiano nella memoria collettiva. L’amore lo introduce
invece in un ambiente narrativo che gli è estraneo. Si fonda così sulla contraddizione di personaggi carolingi,
parte di un universo narrativo epico, che si trovano a vivere nell’universo letterario del ciclo bretone, più
legato alla dimensione dell’avventura e del racconto amoroso.

Amore è presentato da Boiardo come un’inarrestabile forza naturale cosmica, civilizzatrice, fonte di ogni arte,
che conduce l’uomo al bene per sé e per gli altri, a una vita lontana dal vile attaccamento ai beni materiali.
Tuttavia, come già insegnavano gli Amorum libri, lo stesso amore, come tutti i piaceri e beni terreni, se
perseguito ossessivamente può essere fonte di smarrimento dell’uomo. Alla vanità delle cose, alla loro
capacità di ridurre schiavi gli uomini, si deve opporre la misura e la coscienza di sé. Le fonti di questa
complessa costruzione filosofico-morale non stanno più nella poesia dei canterini, ma in Virgilio, in Lucrezio,
nel platonismo e nell’epicureismo quattrocenteschi, nel medievale Roman de la Rose.

L’Innamoramento è anche concepito in funzione delle esigenze politico-dinastiche estensi: A partire dal libro
II Boiardo introduce un nuovo personaggio, Ruggiero (Borsias dello Strozzi) che non deriva né dal ciclo
carolingio né da quello Bretone, e che di conseguenza può esse abbinato senza problemi al mondo arturiano
e adempiere a una missione epico-dinastica. → Rugiero discende infatti dal mitico eroe troiano Ettore: è

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destinato a sposare la cristiana Bradamante, a morire giovane ma ad essere il progenitore degli Este. La
promozione ducale di Borso consente anche agli Este di porsi al livello degli imperatori romani, discendenti
dal troiano Enea. È nella corte di Ferrara che si rinnova l’età dell’oro che terminerà, come l’Orlando, nel 1494.
Il romanzo si interrompe sull’innamoramento della giovane Fiordispina per Bradamante, con un’ottava (26)
che registra la rovina dell’Italia → ottava emblematica perché gravata dal doppio lutto per la morte del poeta
e per la fine di un’epoca, e perché mostra che in Boiardo l’incanto del racconto è cosa distinta ma non distante
dalle lotte dinastiche e dalla crisi politico-militare. Come per gli altri grandi fra Quattrocento e Cinquecento,
la letteratura è risposta alle esigenze, anche politiche, del presente, tentativo di contrastare la crisi.

LIRICA VOLGARE TRA QUATTRO E CINQUECENTO

1476-1477 → Per indicazione del Magnifico, si organizza una raccolta di poesia toscana da indirizzare come
omaggio a Federico d’Aragona re di Napoli. Nasce così dal desiderio di accorpare i maggiori risultati poetici
conseguiti nella lingua toscana, la Raccolta aragonese: centinaia di poesie, da Dante fino allo stesso
Magnifico, vengono assemblate in un volume, con l’obiettivo evidente di politica culturale di dimostrare ai
vertici della dinastia aragonese il rilievo della tradizione toscana, una centralità culturale che valeva anche
come legittimazione politica del ruolo di Firenze, e al suo interno del dominio mediceo. Il manoscritto non ci
è pervenuto direttamente, ma attraverso una serie di copie e grazie ai lavori di Barbi, con cui riusciamo a
ricostruire la fisionomia e leggere le linee del progetto. Un progetto che sottolinea l’importanza assegnata a
Dante e alla stagione dello Stilnovo → distribuzione apparentemente eterogenea, si conclude con 16 testi di
Lorenzo, che si colloca come ultimo e più recente testimone dell’altra tradizione poetica iniziata con Dante.
483 testi, a cui fa da cornice un’epistola proemiale di Poliziano: testo decisivo per i giudizi che formula sugli
autori maggiori in una rilettura critica della tradizione poetica e per l’accento posto sulla toscana lingua,
l’idioma che rappresenta il codice condiviso dai tanti autori antologizzati, e il patrimonio da celebrare per
ricchezza ed eleganza. → Apre alla legittimazione del volgare ai più alti livelli della produzione letteraria, e
annuncia gli sviluppi di primo Cinquecento.

In un’analoga dinamica di diffusione del volgare si colloca un’altra iniziativa, pensata in funzione della stampa,
per sfruttarne le potenzialità di diffusione. Nel 1482 a Firenze viene pubblicata la raccolta di Bucoliche
elegantissime composte che prevede una traduzione delle Bucoliche di Virgilio di Pulci e delle egloghe volgari
di Arzocchi, Benivieni e Boninsegni. Operazione di matrice politica, diretta a dare legittimazione al regime
mediceo dopo la congiura dei Pazzi. Genere bucolico spesso impiegato per trattare la materia politica
attraverso il travestimento personale. Al di là dello sfondo politico, la stampa Miscomini rappresenta un
passaggio significativo per quella legittimazione della poesia in volgare che si registra negli ultimi decenni del
Quattrocento.

=Fase di allargamento e di affermazione. Si creano delle condizioni sociopolitiche che promuovono la pratica
di una poesia volgare come uno strumento di legittimazione di una classe di intellettuali collocati intorno al
principe e alla sua famiglia. La lirica volgare diventa così un codice condiviso di riconoscimento e di
trasmissione dei valori, e si offre in modo duttile a rispecchiare gli episodi della vita di corte.

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