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PRIMO CINQUECENTO :QUESTIONE DELLA LINGUA - PETRARCHISMO Cfr.

Tre edizioni dellOrlando Furioso di Ariosto:ampliamento dello sguardo di Ariosto sulle vicende politiche e culturale dellItalia del Cinquecento (nella terza edizione compaiono ottave dedicate ai grandi pittori Mantegna, Leonardo, Michelangelo, Tiziano) e ai grandi scrittori -Pontano, Bembo, Castiglione-; ampliamento degli orizzonti linguistici e stilistici, con il passaggio da un linguaggio popolaresco, caratterizzato da incertezze linguistiche e da patina dialettale padana (segno del legame con Boiardo), a un linguaggio che si adatta al modello letterario toscano. Nel periodo che intercorre tra Boiardo ed Ariosto si assiste allaffermarsi del toscano letterario come lingua nazionale. Il dibattito sulla questione della lingua La ricerca di un modello di letteratura in volgare di impronta classica fa s che il problema linguistico, inteso come ricerca di una lingua letteraria comune a tutti gli scrittori italiani, diventi centrale nei dibattiti cinquecenteschi. bene ripetere, in ogni caso, che non affatto in discussione la lingua d'uso: che cio non ci si interroga su quale sia la lingua che tutti gli italiani possano parlare (bisogner aspettare Alessandro Manzoni perch la questione venga presentata in questi termini), ma soltanto su quale lingua, fra le tante parlate in Italia, possa e debba venire utilizzata nell'ambito della scrittura letteraria. La questione si poneva per due motivi: in Italia, diversamente che in altre nazioni, non c'era un'unica lingua che fosse parlata dalla maggioranza della popolazione, ma una miriade di volgari diversi, in sostanziale corrispondenza con la pluralit delle entit politiche distribuite sulla penisola. Ad una frammentazione politica, cio, corrispondeva un'analoga frammentazione linguistica. Questo primo motivo ne implicava un secondo: la tradizione letteraria volgare si presentava con caratteri di policentrismo e polilinguismo; e se anche emergeva, fra le altre, la tradizione fiorentina, vero che negli ultimi due secoli il fiorentino era venuto mutandosi grandemente, al punto che la lingua parlata nel capoluogo toscano all'inizio del XVI secolo appariva ormai assai diversa da quella di un Dante o di un Petrarca. La teoria pi significativa e pi semplice da mettere in pratica viene formulata da Pietro Bembo (cfr. pag. 366 e segg.) nelle Prose della volgar lingua (1525)*: egli sostiene che la lingua letteraria deve distinguersi da quella della comune conversazione, adeguandosi, piuttosto che all'uso vivo, ad un preciso modello letterario, in particolare ai testi di Francesco Petrarca, per quanto riguarda la poesia, e a quelli di Giovanni Boccaccio, per quanto riguarda la prosa. La teoria di Bembo incontra tuttavia diverse opposizioni: Vincenzo Colli, detto il Calmeta, e Baldassarre Castiglione ritengono che sia assurdo scrivere in una lingua soltanto libresca, proponendo piuttosto di adottare, nella scrittura letteraria, una lingua effettivamente usata dalle persone pi colte. II Calmeta in particolare, in una sua opera andata perduta, teorizza l'uso della parlata della corte di Roma, cui contribuivano i pi diversi volgari italiani, sia pure su una base sostanzialmente toscana; mentre Castiglione propone di arricchire il fiorentino con l'apporto delle parlate colte delle altre regioni, secondo il modello di quella lingua "cortigiana" in uso fra i maggiori intellettuali italiani che si muovevano fra le varie corti. Gian Giorgio Trissino invece, che aveva appena riscoperto il De vulgari eloquentia di Dante, interpretandolo in modo molto personale, auspica una lingua italiana che accolga in s gli elementi comuni delle diverse parlate regionali. Al dibattito partecipa anche Niccol Machiavelli che, pur concordando con Bembo sull'eccellenza del fiorentino, giudicato naturalmente superiore per aver saputo produrre le opere dei grandi trecentisti, sostiene la necessit di uno stretto rapporto fra lingua degli scrittori e lingua della viva comunicazione e propone quindi, coerentemente, l'uso del

fiorentino parlato nel primo Cinquecento. Alla fine del dibattito prevarr sostanzialmente la soluzione proposta da Bembo, che aveva il merito di far riconoscere agli scrittori italiani una tradizione letteraria comune a cui rifarsi e di codificare l'uso di un'unica lingua, facilmente apprendibile anche dai non toscani perch non basata sull'uso parlato ma su testi letterari, quelli di Petrarca e di Boccaccio, ormai, grazie alla stampa, largamente accessibili a tutti.
Prose della volgar lingua (1525): Trattato in forma di dialogo, diviso in tre libre.
Primo libro: origini del volgare nei suoi rapporti con il latino e il provenzale; natura e caratteristiche del volgare italiano; eccellenza del fiorentino letterario e necessit dellimitazione dei migliori scrittori. secondo libro: Proposta di Petrarca e Boccaccio come modelli, rispettivamente per la poesia lirica e per la prosa (Confronto tra Dante e Petrarca e critica a Dante); concetto di gravit, piacevolezza e variatio (pag. 3709. Terzo libro: grammatica della lingua italiana (toscana e letteraria in specie) con abbondanza di esempi.

Tale scelta, paradossalmente, realizza l'unificazione linguistica dell'Italia letteraria proprio mentre l'Italia politica, frazionata e indebolita gravemente, sta per perdere del tutto la propria indipendenza. Si tratta di un'unificazione parziale, a livello soltanto di una ristrettissima lite di intellettuali e scrittori, che non coinvolge la maggior parte della popolazione italiana, la quale continua invece ad esprimersi nei diversi dialetti. Questa lingua tutta letteraria contribuir a distogliere la maggioranza degli scrittori (fatta eccezione per gli anticlassicisti) da un impegno verso la rappresentazione realistica dell'esistenza. Sempre pi, insomma, viene delineandosi, nel corso del Cinquecento, quel distacco della letteratura dalla vita concreta, che considerato da alcuni studiosi una tipica "malattia" della letteratura italiana.
IL SISTEMA LETTERARIO PRIMA DI BEMBO

Frammentazione politica

Frammentazione linguistica

Assenza di un canone letterario

Mancanza di una capitale politica e culturale

Si scrive in numerosi dialetti

Ci si ispira ad una pluralit di modelli

IL SISTEMA LETTERARIO DOPO DI BEMBO

Firenze capitale ideale

Fiorentino modello di lingua unitaria

Diffusione del Petrarchismo

Superamento del regionalismo

Generale abbandono dei dialetti

Temi e contenuti adatti alla societ cortigiana

Classicismo e definizione dei generi letterari Non solo nell'ambito linguistico, ma anche su un piano generale, la letteratura del Cinquecento, almeno fino alla met del secolo, profondamente permeata dall'ideale classicistico che, rifacendosi ai valori quattrocenteschi, li sviluppa ulteriormente. Il classicismo si manifesta come ricerca di un equilibrio fra spirito e natura, fra uomo e mondo; concepisce la bellezza come superiore armonia, e si ispira, tentando di integrarli, agli ideali dei maestri greci e latini e a quelli cristiani. Il classicismo cinquecentesco insieme una concezione dell'uomo e una visione dell'arte, che si fonda sui valori acquisiti dall'Umanesimo (riconoscimento della grandezza e dignit umana, fiducia nella ragione e, in campo artistico, ricerca di un equilibrio e di un ordine razionale, sulla base dell'imitazione dei modelli classici). Proprio mentre, nel caos della storia italiana del primo Cinquecento, si manifestano eventi di inaudita violenza e crudelt (quale il Sacco di Roma del 1527), l'adesione pi convinta al classicismo, espressa in modo esemplare da autori come Bembo, concretizza l'aspirazione a collocare fuori dal tempo un'ideale rappresentazione di perfezione e bellezza, che le tempeste presenti e incombenti non possano scalfire. Tale ricerca di un equilibrio razionale, armonioso e inattaccabile si traduce anche nell'impegno di codificare modelli perfetti: da quello del principe ideale a quello dell'ottimo cortigiano, da quello dell'amore platonico a quello delle diverse forme letterarie. Questa aspirazione a stabilire norme in ogni campo si manifesta pi in particolare, nell'ambito letterario, in un ambizioso tentativo di definire i principali generi letterari, sulla base dei grandi modelli classici: la commedia, ad esempio, a imitazione di Plauto e Terenzio, la tragedia, a imitazione dei tragici greci o di Seneca, il poema epico, a imitazione di Omero e di Virgilio, il dialogo, a imitazione di Platone e di Cicerone, e cos via. Vengono invece per lo pi rifiutati sul piano teorico i generi che non abbiano alcun riferimento classico, come ad esempio il poema cavalleresco o la visione allegorica. Alla fine del secolo, e poi sempre pi esplicitamente all'inizio del Seicento, nasceranno e si svilupperanno invece nuovi generi letterari (dalla tragicommedia al melodramma al poema eroicomico) che, sia pure dopo qualche iniziale diffidenza, verranno accettati, in un clima culturale peraltro lontanissimo da quello del primo Rinascimento, poich al culto del passato classico si sar ormai sostituita la convinzione della superiorit dei moderni rispetto agli antichi. La poesia petrarchista (pag 549 e s.) La maggior parte della produzione lirica del Rinascimento di stampo classicistico ed ispirata, secondo le norme codificate da Bembo nelle Prose della volgar lingua, al modello del Canzoniere di Petrarca, gi assunto come punto di riferimento da molti rimatori in volgare del secolo precedente, che per - come gi si detto - erano assai meno rigidi ed ammettevano anche altri modelli accanto a quello, pur centrale, di Pe trarca Le caratteristiche della lirica d'imitazione del Cinquecento rinviano cos da vicino all'esempio di Bembo che i suoi cultori sogliono essere definiti anche come bembisti. Un elemento fondamentale in primo luogo, sul piano dei contenuti, la concezione spiritualistica e platonica dell'amore, derivata in particolare dagli Asolani. Sul piano formale, c' la tendenza a disporre ordinatamente le liriche nella struttura di un organico canzoniere, entro la quale viene spesso definito, in conformit al modello petrarche sco, un itinerario spirituale che si conclude generalmente col pentimento del poeta. In questi canzonieri vengono usate di solito poche forme metriche, quasi sempre nell'ambito di quelle rese canoniche da Petrarca e poi da Bembo, in primis il sonetto. Ma sul piano formale che l'imitazione di Petrarca diventa addirittura pedissequa: vengono

ripresi puntualmente, infatti, moduli stilistici e retorici (ad esempio il gusto per le antitesi o per il ritmo binario o ternario), schemi sintattici, nessi metaforici e scelte lessicali dei Rerum vulgarium fragmenta. L'aspetto deteriore del petrarchismo legato proprio a questa fondamentale mancanza di originalit. Non pochi, peraltro, sono i suoi meriti storici: innanzi tutto l'ampliamento della cerchia degli scrittori (che per la prima volta si apre fino a comprendere anche delle donne) e del pubblico; poi la diffusione di un modello linguistico unico in tutta Italia, sia pure a livello soltanto letterario; e infine la provvisoria creazione, in Italia e in Europa, di una comune identit culturale, basata sul classicismo umanistico-rinascimentale e su una concezione dell'amore di ascendenza neoplatonica Il petrarchismo si afferma praticamente in tutta la penisola: dall'area veneta e padana fino al Meridione, nelle varie corti e nei principali centri culturali. Quasi ogni intellettuale del tempo si dedica, anche solo marginalmente, a comporre delle rime petrarchesche. Gi nella seconda met del secolo, tuttavia, tale "moda" tender lentamente a declinare: l'equilibrio fra la gravit e la piacevolezza, teorizzato nelle Prose della volgar lingua da Bembo, inizier ad incrinarsi, lasciando il posto, da un lato, a una lirica di ispirazione sacra e, comunque, moralmente severa, oppure, in certi casi, intensamente drammatica, e dall'altro a rime edonistiche, che si proporranno di dare diletto o mediante l'artificiosa morbidezza e musicalit dei versi o con la trattazione di frivoli temi mondani, in qualche misura gi anticipando il gusto barocco.

Fonti H Grosser, Il canone letterario, Principato G. Barberi Squarotti, Contesti letterari 2, Atlas C. Segre,Esperienze ariostesche, Nistri-Lischi, Pisa Roncoroni, Cappellini, Il rosso e il blu, Signorelli

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