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APPUNTI DI LATINO

FONDAZIONE LETTERATURA LATINA


Dalla fondazione di Roma, che si è propensi a collocare intorno al 753 a.C., fino al III secolo
a.C., quindi in un arco di tempo di ben cinque secoli, i Romani non hanno prodotto opere
letterarie vere e proprie.
Una vera letteratura nazionale nasce solo nella metà del III secolo, ad opera di due scrittori
della Magna Grecia: Livio Andronico, uno scrittore greco di Taranto deportato come schiavo
a Roma e poi affrancato, e Gneo Nevio.

FONDAZIONE DI ROMA
La maggior parte delle fonti antiche è concorde nell’affermare che Roma fu fondata verso la
metà dell’VIII secolo a.C. da Romolo, discendente della dinastia dei re di Alba Longa.
Secondo la tradizione, Rea Silvia si sarebbe unita con il dio Marte e avrebbe dato alla luce
due gemelli, Romolo e Remo.
Amulio, temendo che un giorno la discendenza di Numitore lo avrebbe spodestato dal trono,
avrebbe ordinato alle sue guardie di abbandonare i due gemelli appena nati sullesponde del
Tevere. I gemelli, tuttavia, sarebbero sopravvissuti grazie all’intervento di una lupa, e dopo
essere stati allevati da un pastore di nome Faustolo avrebbero infine aiutato il nonno
Numitore a tornare sul trono uccidendo Amulio. Fatto ciò, essi avrebbero quindi fondato una
nuova città - Roma, appunto - nei luoghi in cui avevano trascorso la loro infanzia.

LA FAMIGLIA ROMANA
Nella società più antica di Roma, la famiglia era considerata un’istruzione sociale pubblica,
perche era un obbligo sposarsi e continuare la propria stirpe. La famiglia comprendeva il
padre (pater familias) la madre (mater familias) i figli e gli schiavi ( se era una famiglia ricca).
Pater familias
Essa seguiva un ordine gerarchico dove come capo si aveva il pater familias e a seguire tutti
gli altri. Infatti il pater familias aveva sotto il suo potere tutti i beni e le persone che facevano
parte di una famiglia. Era lui il primo che si occupava dell’insegnamento dei figli, delle
cerimonie sacre che avvenivano nella famiglia. Se la moglie lo avesse tradito, lui avrebbe
avuto il compito di ucciderla senza che ci fosse un processo; se invece l’uomo avesse tradito
la moglie con una donna sposata, l’uomo sarebbe stato processato non per il tradimento ma
per insidiato la donna di un altro uomo libero.
I figli
I figli, sia maschi che femmine, dovevano stare sotto il suo potere (chiamato potestas), ma le
donne, quando si sposavano passavano sotto il potere del marito.
Servi e ancelle
Potevano essere consanguinei, ma più spesso si trattava di servitori legati alla famiglia
anche da generazioni, oppure di liberti (schiavi liberati). Erano totalmente dipendenti dal
pater familias.
Mater familias
Un’altra figura molto importante nella famiglia romana era quella della mater familias, ovvero
la madre, era considerata fondamentale per la costruzione di una nuova famiglia poiché
poteva dare alla luce i discendenti del marito. Essa, quando diventava madre, veniva
chiamata domina.
La mater familias si occupava della casa e dirigeva la ancelle che possedeva (se era nobile,
perche possedere la ancelle era segno di grande ricchezza), ma il su compito fondamentale
era quello di tessere la lana e di realizzare degli abiti per lei e per i membri della sua
famiglia.

I CARMINA
I carmina religiosi sono i soli di cui abbiamo conoscenza diretta, grazie ad alcuni testi giunti
fino a noi. Essi erano preghiere pronunciate in ricorrenza di feste e cerimonie religiose per
richiedere l'intervento del dio, invocato attraverso formule e riti prestabiliti, affinchè risolvesse
problemi pratici.
Il Carmen Saliare era recitato dal collegio dei Salii durante una danza in onore di Marte che
si teneva ogni anno nel mese di marzo;
Il Carmen Arvale era, invece, recitato dalla confraternita degli Arvali per favorire il raccolto; Il
Carmen Lustrale, infine, veniva recitato dal pater familias in occasione della "lustratio"
(purificazione sacerdotale), processione in cui si chiedeva un raccolto abbondante.
Carmina Convivalia, recitati durante i banchetti, in cui venivano ricordate le imprese eroiche
delle nobili famiglie romane.
Carmina Triumphalia, infine, erano canti dei soldati durante i trionfi, a carattere scherzoso.

LIVIO ANDRONICO
Primo intellettuale e letterato romano. I limiti cronologici esatti della vita di L. ci sono
sconosciuti: sappiamo soltanto che era un ex schiavo, probabilmente di Taranto (Svetonio lo
chiamerà "semigraecus"), e che partecipò alla guerra tra Taranto e Roma al seguito del suo
protettore, il senatore Livio Salinatore, il quale lo affrancò e gli concesse il "prenomen", dopo
avergli affidato l'educazione dei figli (a Roma L. è "grammaticus", "professore di scuola").
Due sono, comunque, le tappe importanti a noi note della sua carriera: 240, quando una sua
opera fu il primo testo drammatico rappresentato a Roma (è da questo momento che
tradizionalmente si fa cominciare la storia della letteratura latina); 207, quando compose un
"partenio" in onore di Giunone, ovvero un "carmen" propiziatorio cantato in una solenne
processione per le vie di Roma, durante la II guerra punica. Riconosciuta, infine, fu la sua
"associazione professionale", il "collegium scribarum histrionumque", la corporazione di
scrittori ed attori, con sede nel tempio di Minerva, sull'Aventino.
Opere e considerazioni
L., dunque, si può giudicare l'iniziatore della letteratura latina: di lui, abbiamo 9 titoli di
tragedie dedicate alla guerra di Troia.
Ma il suo capolavoro è certamente la traduzione o forse è più esatto dire l’ "adattamento
artistico", "letterario" in lingua latina e in versi saturni, dell'Odissea di Omero ("Odyssa" o
"Odusia") che ebbe una importanza storica enorme.
L'operazione aveva infatti finalità sia letterarie che culturali: l'Odissea rappresentava un testo
fondamentale della cultura greca ed è per questo che la traduzione di L. non rimase
solamente in ambito scolastico. Essa, inoltre, appariva più "moderna" dell'Iliade, più vicina
alla sensibilità del mondo ellenistico (cosmopolitismo, viaggi ed avventure, passioni e
sofferenze umane), dal quale lo stesso L. proveniva, e più legata all'Occidente ed al gusto
dei Romani, tra l'altro oramai già abituati a solcare i mari.

GNEO NEVIO
Gneo Nevio è considerato il più antico poeta latino, assieme a Livio Andronico. Oltre a
essere l’autore di tragedie e commedie fu l’inventore della praetexta, tragedia con
ambientazione romana, e fu inoltre l’iniziatore dell’epica storica latina, con il Bellum
Poenicum.
L’anno di nascita non è certo ma secondo gli studiosi doveva essere nato prima del 270 a.C.
poiché partecipò come combattente alla prima guerra punica (264-241 a.C.). Probabilmente
partecipò anche alla seconda guerra punica, svoltasi negli anni 219-202 a.C., anche se era
troppo anziano per parteciparvi direttamente, poiché morì o nel 204 o nel 201 a.C.
Secondo alcune fonti molto antiche iniziò a mettere in scena le sue opere attorno al 235
a.C., più o meno nello stesso periodo di Andronico. La caratteristica principale di Nevio era il
suo coraggio nel manifestare le sue idee rischiando di scontrarsi con uomini politici di un
certo livello, senza avere protettori potenti come ebbe Livio. Infatti Nevio, attorno all’anno
206 a.C., probabilmente in una commedia, attaccò la famiglia dei Metelli con un verso
apparentemente innocuo:
“Fato Metelli Romae fiunt consulent.”
che tradotto in italiano vorrebbe dire “Per volere del destino, i Metelli sono fatti consoli a
Roma.”
Però a causa del termine “fatum” (che può significare “fato” ma anche “disgrazia”) e della
forma “Romae” (che può essere dativo o genitivo), la frase ha anche questo significato:
“Per la rovina di Roma i Metelli sono fatti consoli.”
Ciò ha comportato uno scontro tra Nevio e i Metelli, così che questi ultimi risposero al poeta
con un verso:
“Malum dabunt Metelli Naevio poetae.”
che in italiano si potrebbe tradurre come “I Metelli la faranno pagare al poeta Nevio.”
Infatti in quel periodo Nevio finì in prigione, dato che un Metello fù console, ma
successivamente Nevio venne liberato dai tribuni della plebe. Di tutto il lavoro di Nevio si
conservano 6 titoli, di cui due uguali a quelli di Livio.
La sua tragedia più famosa è il Lycurgus, del quale sono rimasti 24 frammenti. Narra della
punizione orribile inflitta dal dio Dionisio al re di Tracia Licurgo, che aveva scacciato il dio
dalla sua terra. Dionisio si vendica incendiando la reggia di Licurgo e facendolo morire.
Invece per quanto riguarda l’invenzione di Nevio, ovvero la praetexta, abbiamo un’opera
intitolata Romulus, che narra delle origini di Roma, e si potrebbe aggiungere anche un altro
titolo, Lupus, che inteso al femminile si ricollegherebbe alla lupa che ha allevato i due fratelli
Romolo e Remo. Un’altra praetexta di Nevio è intitolata Clastidium, dove si esalta la vittoria
dei Romani contro i Galli presso la città di Casteggio, avvenuta nel 222 a.C.

CATULLO
carme 87
Nulla potest mulier tantum se dicere amatam
vere, quantum a me Lesbia amata mea est.
nulla fides ullo fuit umquam foedere tanta,
quanta in amore tuo ex parte reperta mea est.

TRADUZIONI
Nessuna donna potrà dire ‘sono stata amata’
piú di quanto io ti ho amato, Lesbia mia.
Nessun legame avrà mai quella fedeltà
che nel mio amore io ti ho portato.

Nessuna donna può vantarsi di essere stata amata così


sinceramente, quanto la mia Lesbia fu amata da me.
Nessun patto fu mai rispettato così fedelmente,
come, per tutto il tempo che ti amai, io per conto mio l'ho rispettato

COMMENTO
Il carme 87 sviluppa i temi dell’amore e del rispetto del patto tra gli amanti. Catullo rivendica
la sua purezza e la sua fedeltà assoluta al «patto d’amore», il suo abbandono e la sua
completa dedizione a Lesbia (al punto che lei è stata amata da lui come nessun’altra donna
può dire di essere mai stata amata da un uomo vv.1-2). Quasi per distanziarsi dal
sentimento, il poeta non ricorre mai alla prima persona e sceglie piuttosto di focalizzare il
proprio discorso su due soggetti in terza persona: la mulier (v. 1) del primo distico e la fides
(v. 3).

carme 7
Quaeris, quot mihi basiationes
tuae, Lesbia, sint satis s
uperque.
quam magnus numerus Libyssae harenae
laserpiciferis iacet Cyrenis
oraclum Iovis inter aestuosi
et Batti veteris sacrum sepulcrum;
aut quam sidera multa, cum tacet nox,
furtivos hominum vident amores.

TRADUZIONI
Chiedi quanti tuoi baci, Lesbia, mi sian sufficienti e di più. Quanto grande il numero
di sabbia libica giace nella Cirene produttrice di laserpizio tra l'oracolo dell'infuocato
Giove ed il sacro sepolcro dell'antico Batto; o quante stelle, quando la notte tace,
vedono i furtivi amori degli uomini: se tu mi baci con cosí tanti baci che i curiosi non
possano contarli o le malelingue gettarvi il malocchio, allora si placherà il delirio di
Catullo.

Mi chiedi, Lesbia, quanti tuoi baci siano per me più che abbastanza. quanto grande
(è) il numero delle sabbie libiche a Cirene fertile di silfio, tra l'oracolo di Giove
fiammeggian e il sacro sepolcro dell'antico Batto, o quanto numerose (sono) le stelle,
quando la notte tace, (e) vedono i furtivi amori degli uomini, che tu dia altrettanti
numerosi baci è più che abbastanza per il folle Catullo, (tanti) che né i curiosi
possano contare né le lingue (possano) gettare il malocchio.
COMMENTO
Nel carme 7 Lesbia chiede a Catullo quanti siano i baci che possano bastare a
soddisfarlo; Catullo rispone che gli basteranno solo in numero tale da essere pari ai
granelli di sabbia della Libia ed alle stelle; questi baci saranno tanti da essere
impossibili da contare, neppure per i più pettegoli, e troppi per essere maledetti dagli
invidiosi.

Cùi donò lepidùm 1 novùm 2libèllum

àridà modo pùmice èxpolìtum 3?

Còrnelì, tibi: nàmque tù solèbas

mèas èsse 4 aliquìd putàre nùgas,

iàm tum, cum àusus es 5 ùnus Ìtalòrum

òmne aevùm tribus èxplicàre 6 càrtis 7,

dòctis, Iùppiter, èt labòriòsis 8.

Quàre habè tibi 9 quìdquid hòc libèlli 10

quàlecùmque; quod, ò patròna vìrgo 11,

plùs unò maneàt perènne 12 sàeclo 13.

1 L’aggettivo viene da lepos, leporis, che indica il fascino e la grazia che derivano da
un’attenta elaborazione formale, come raccomandato dai canoni poetici alessandrini
(dal greco leptòtes).
2 novum: l’aggettivo sottolinea certamente che il libro è stata appena pubblicato, ma
fa riferimento anche alla novità contenutistica e formale della poesia di Catullo e dei
neoteroi.

3 Il participio indica dal punto di vista fisico la rifinitura dei bordi del rotolo di papiro
(solitamente, con una pietra pomice, la “pumice” del v. 2), ma metaforicamente
rimanda alla cura formale con cui Catullo si è dedicato alla composizione dei suoi
carmi.

4 Esse qui significa “valere”.

5 ausus es: il verbo audeo, audes, ausus, es, ausum, audere sottolinea la difficoltà
dell’opera di Cornelio, che vuole riassumere la storia universale in soli tre rotoli di
papiro.

6 explicare: Il verbo indica dal punto di vista materiale l’azione di chi srotola il
volumen di papiro, ma in senso astratto significa “trattare un argomento”, “spiegare”.

7 Il grecismo carta, al posto del comune volumen, è indice della raffinatezza delle
scelte lessicali di Catullo.

8 L’impresa di Cornelio Nepote è costata fatica: non da meno è l’opera compiuta da


Catullo, che ha cesellato i propri carmi con la propria doctrina. L’aggettivo laboriosus,
-a, -um ha in latino un valore passivo.
9 habe tibi: è al tempo stesso formula giuridica ed espressione di uso colloquiale.

10 libelli: si tratta di un genitivo partitivo retto dal pronome neutro “hoc” (v. 8.

11 La Musa è chiamata “patrona” (v. 9) perché tra lei e il poeta si instaura un


rapporto paragonabile a quello della “clientela” nel mondo romano. L’invocazione alle
Muse è una caratteristica tipica del proemio dei poemi epici (come quello
dell’Eneide).

12 perenne: l’aggettivo deriva da per + annus e indica qualcosa “che dura tutto
l’anno” o “che dura continuamente”.

13 saeclo: forma sincopata di saeculum, designa propriamente il tempo di una o più


generazioni.

Druides a bello abesse consuerunt neque tributa una cum reliquis pendunt; militiae
vacationem omniumque rerum habent immunitatem. Tantis excitati praemiis et sua
sponte multi in disciplinam conveniunt et a parentibus propinquisque mittuntur.
Magnum ibi numerum versuum ediscere dicuntur. Itaque annos nonnulli vicenos in
disciplina permanent. Neque fas (lecito) esse existimant ea litteris mandare, cum in
reliquis fere rebus, publicis privatisque rationibus Graecis litteris utantur. Id mihi
duabus de causis instituisse videntur, quod neque in vulgum disciplinam efferri velint
neque eos, qui discunt, litteris confisos minus memoriae studere: quod fere plerisque
accidit, ut praesidio litterarum diligentiam in perdiscendo ac memoriam remittant. In
primis hoc volunt persuadere, non interire animas, sed ab aliis post mortem transire
ad alios, atque hoc maxime ad virtutem excitari putant metu mortis neglecto. Multa
praeterea de sideribus atque eorum motu, de mundi ac terrarum magnitudine, de
rerum natura, de deorum immortalium vi ac potestate disputant et iuventuti tradunt.

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