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La nascita delle lingue romanze

La nostra letteratura vanta la storia più antica e la maggiore continuità rispetto a


qualsiasi altra letteratura esistente al mondo. Nel mondo occidentale, la letteratura
italiana non è la prima ad esser nata. Dal punto di vista linguistico e culturale, la
nostra letteratura prende le mosse dalla lingua e dalla letteratura latina, così come la
maggior parte delle letterature occidentali: letteratura francese, spagnola …
Il latino ha dato origine alle lingue romanze, che sono il frutto del percorso storico
del latino: italiano, francese, spagnolo, portoghese, ladino, rumeno.
In Francia, si ha una distinzione tra il francese, che era la lingua parlata nelle regioni
centro – settentrionali, e il provenzale, la lingua parlata nella parte meridionale.
Ciascuna lingua romanza, secondo il grado di evoluzione culturale della società
specifica, ha cominciato a dare vita a forme di letteratura nuova. Si abbandona il
latino come mezzo di comunicazione culturale e si incominciavano ad impiegare le
lingue romanze soprattutto nel campo della letteratura.

L’importanza delle esperienze letterarie francesi

Le prime letterature che si affermarono in Europa furono quella spagnola, quella


francese e quella provenzale. Le ultime due ricoprono un ruolo di estrema importanza
per l’evoluzione e per le influenze che esercitarono sulla letteratura italiana delle
origini. La letteratura italiana delle origini si affermò con notevole ritardo rispetto a
queste forme di letteratura in lingua romanza. La letteratura francese e quella
provenzale cominciarono ad affermarsi intorno al 1000. La letteratura francese è
costituita dalle Chansons de geste, che si distinguono in 2 filoni:

 il Ciclo carolingio, incentrato intorno alle imprese di Carlo Magno e dei suoi
paladini, che combattevano ai suoi ordini per difendere la fede cristiana e la
Patria.;
 il Ciclo bretone racconta le imprese dei cavalieri della Tavola Rotonda di Re Artù,
che combattono per dimostrare il loro valore, spinti dall’amore per una donna e
dallo spirito di avventura.

Questa distinzione è importante perché la ritroveremo, ma superata, nei principali


poemi cavallereschi della nostra letteratura quattro – cinquecentesca. Tra il
Quattrocento e il Cinquecento, nelle corti dell’Italia centrale, a Ferrara in modo
particolare, si riaccende il gusto per la letteratura cavalleresca. Matteo Maria
Boiardo, uno dei letterati di spicco che operò presso la corte degli Estensi, scrisse un
poema cavalleresco intitolato Orlando Innamorato o Innamoramento dell’Orlando. Il
titolo suggerisce al lettore che Boiardo ha proceduto ad un’opera rivoluzionaria
nell’ambito del genere cavalleresco. Nell’Orlando Innamorato, assistiamo ad una
fusione dei due cicli cavallereschi originali. Orlando era il paladino più celebrato
della corte di Carlo Magno, era il prototipo di cavaliere che combatte per i valori
della Patria e del Cristianesimo. Boiardo ci propone il modello di un Orlando che si
innamora, che cede e accede ad uno dei valori fondamentali propri dei cavalieri del
Ciclo Bretone. Orlando abbandona i suoi compagni d’arme, lascia Parigi assediata dai
Saraceni per inseguire Angelica, la donna della quale si è invaghito Questa fusione
riscosse grande consenso da parte del pubblico. Ariosto continuò il progetto culturale
del Boiardo, scrivendo l’Orlando Furioso. L’amore è talmente un’esperienza
totalizzante che in Ariosto fa impazzire Orlando, lo fa diventare furioso. Astolfo, in
sella all’Ipogrifo, raggiunge la Luna e recupera il senno di Orlando.
La letteratura provenzale, che si sviluppa tra il 1000 e il 1100, si sviluppa presso le
corti della Provenza. Si tratta di una letteratura di corte, che tende ad appagare i gusti
di una società aristocratica e raffinata dal punto di vista sociale e culturale, a
celebrarne i riti, i comportamenti, l’etica. Si sviluppa una letteratura lirica, una poesia
che si incentra sul tema dell’amore e sulle vicende politiche nelle quali le corti di quel
tempo erano impegnate. L’amore nasce e si vive nella corte, segue regole e una
normativa comportamentale molto precisa. Nelle poesie provenzali è cantato l’amore
cortese. In questo contesto, la poesia è uno momento di intrattenimento della corte.
La corte si riuniva per ascoltare la declamazione delle liriche più famose che
venivano composte in quegli anni. Questi testi poetici venivano recitati accompagnati
dalla musica. La poesia che tratta temi amorosi è definita lirica 1 perché, in origine,
veniva cantata con l’accompagnamento musicale. La poesia lirica provenzale è di
straordinaria importanza per la nascita e lo sviluppo della nostra letteratura.

Le origini della letteratura italiana: dai primi documenti in volgare alla nascita di
una letteratura d’imitazione provenzale

In questo periodo, mentre in Francia si affermano due grosse esperienze letterarie, in


Italia si procede più lentamente, perché nel Belpaese l’essenza del latino è più forte,
l’evoluzione del latino verso il volgare italiano è più lenta. Intorno alla fine del XII
secolo, in Italia inizia ad affermarsi una nuova lingua. Vi sono dei documenti
linguistici che testimoniano i vari gradi di consapevolezza con i quali il nuovo
strumento espressivo veniva utilizzato in vari ambiti. Il primo documento della lingua
italiana è l’Indovinello Veronese, che risale attorno all’XIII – IX secolo. Si trova in
un manoscritto di preghiere mozarabiche conservato presso la Biblioteca capitolare di
Verona.

Se pareba boves

1
Termine che deriva da lira, strumento di origine romana che serviva per accompagnare il canto poetico.
alba pratalia araba

et albo versorio teneba

et negro semen seminaba

L’Indovinello è una piccola metafora dell’arte della scrittura. Se pareba boves sono le
dita che portano avanti l’albo versorio, l’aratro bianco (la piuma), che seminava il
nero seme (l’inchiostro). L’Indovinello Veronese è stato scoperto nel 1922 – 23. I
Placidi Cassinesi 2, conservati nell’abbazia di Montecassino, risalgono al XVII – IX
secolo. Il giudice scrive la sua sentenza in latino, la lingua ufficiale nella quale si
redigevano i documenti notarili. I testimoni erano persone semplici e rilasciavano la
propria deposizione in lingua volgare. Giunto a quel punto il giudice, redigendo la
sua sentenza, riporta fedelmente in volgare il testo con la testimonianza riferita dai
testimoni.

Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti
Benedicti.

Il testimone, indicando la mappa, dice: “So per esperienza che questo territorio,
rappresentato in questa mappa, l’ha posseduto per 30 anni il monastero di San
Benedetto”. Questa testimonianza è importante perché scatta una norma del diritto
romano, l’usucapione, secondo la quale chiunque goda di un bene per 30 anni senza
che nessuno gliene contesti la proprietà, diventa automaticamente proprietario. Il
monastero di San Benedetto divenne così proprietario del terreno. Esistono 4
sentenze nelle quali il giudice riporta fedelmente in volgare le testimonianze dei
testimoni. Siamo nell’ambito di una scrittura servile, serve ad esprimere concetti. Ben
presto, l’uso del volgare comincia a trasferirsi in ambito letterario. In Italia, le prime
esperienze letterarie si hanno in Italia Settentrionale. Tra il 1000 e i primi decenni del
1100, la Provenza fu colpita da una grave crisi politica, sociale ed economica, che
distrusse il sistema delle corti che aveva garantito ai letterati le condizioni migliori
per poter produrre una letteratura di alto profilo stilistico e culturale. La letteratura
provenzale era prodotta dai trovatori 3, inventori di poesia. I testi prodotti dai
trovatori erano diffusi dai giullari, che andavano nelle piazze delle città provenzali e
recitavano le liriche. In seguito alla crisi che colpisce la Provenza, i trovatori
emigrarono e trovarono una grande ospitalità nelle corti dell’Italia nord – orientale
(Friuli, Veneto). Trovarono un ambiente fertile in cui poter scrivere e raccogliere i
testi della poesia provenzale. La lirica provenzale si esponeva oralmente all’interno
2
Documenti notarili con i quali il giudice sanciva la proprietà di alcuni territori, assegnandoli in maniera definitiva ad
alcuni monasteri dell’area campana.
3
Dal provenzale trovar, inventare.
delle corti e fuori dalle corti. Alcuni trovatori, tra cui Uc de Saint Circ, iniziarono a
fissare su carta i testi che ricordavano. Nell’Italia settentrionale, sotto l'influenza dei
trovatori, si sviluppò una letteratura di grande imitazione provenzale. Si ammirava
questa letteratura prestigiosa dal punto di vista contenutistico, stilistico e culturale. I
poeti nati e cresciuti in Italia si sforzavano di scrivere in lingua provenzale, che non
era la loro lingua d’origine.

La Scuola Poetica Siciliana

Un giorno, l’imperatore Federico II fece visita ad Ezzelino da Romano, signore di


Rovigo. Ezzelino da Romano sembra, leggenda vuole, che abbia fatto dono a
Federico II di un manoscritto nel quale erano raccolte le poesie provenzali. Federico
II lo porta con sé nella corte siciliana, una delle più importanti del mondo allora
conosciuto per diversi ragioni: dal punto di vista politico, si ricordi la centralità del
Regno dello Stupor Mundi nell’ambito del Mediterraneo; dal punto di vista culturale,
giova ricordare che Federico II mostrò un interesse straordinario nei confronti dei
problemi della cultura. La cultura, secondo lo Stupor Mundi, è un potente strumento
politico. La politica ha bisogno dell’apporto della cultura per essere autorevole. La
corte di Federico II diventò uno dei centri culturali più influenti in Europa, crocevia
nel quale si incontravano e si confrontavano le esperienze più importanti del mondo
contemporaneo europeo e nord – africano. Federico II era una personalità di rilievo
dal punto di vista politico e culturale. Nella corte siciliana, trovarono ospitalità i
migliori intellettuali del mondo contemporaneo. Lo Stupor Mundi si circondò di
collaboratori politici di cultura elevata, tra i quali cominciò ad affermarsi il gusto e il
piacere di coltivare la letteratura. Tra i suoi collaboratori figurano Giacomo da
Lentini, Pier delle Vigne, Stefano Protonotaro, Guido e Odo Delle Colonne. Costoro
divennero un piccolo gruppo di letterati che cominciarono ad appassionarsi alla
letteratura provenzale. Nasce in questo contesto sociale e culturale la prima
esperienza letteraria italiana : la Scuola 4 Poetica 5 Siciliana 6. Questi intellettuali

4
Il gruppo di poeti che può essere racchiuso all’interno di questa esperienza si è mosso lungo un pensiero, un’idea di
poesia che è comune a tutti. Tutti condividevano l’idea che la letteratura e la poesia dovessero essere un prodotto
raffinato dal punto di vista stilistico e culturale, dovessero appagare la sensibilità educatissima della corte. Alla base
dell'esperienza poetica siciliana vi era una concezione di poesia elitaria dal punto di vista sociale e culturale, una poesia
che doveva rispettare le regole dell'eleganza formale più alta.
5
L’unica forma espressiva di questa esperienza letteraria fu la poesia.
6
Oltre al connotato geografico, si tratta di un’esperienza letteraria che è espressa nel volgare siciliano illustre
(vedi: Approfondimento). Si noti la prima straordinaria differenza tra la Scuola Poetica siciliana e le esperienze
letterarie che si sviluppano nell’Italia Settentrionale. L’evoluzione del latino non avviene in maniera uniforme sul
territorio italiano. Ogni regione, ogni città è caratterizzata da vicende storiche, culturali, linguistiche diverse che
condizionano l'evoluzione del latino. Il latino si evolve e dà luogo ai diversi volgari che si affermarono nelle varie realtà
italiane. Parliamo di volgare siciliano per distinguerlo dai principali volgari che si erano affermati in Italia, in seguito
all'evoluzione del latino.
cominciarono a praticare la poesia come un momento di evasione dalla vita
quotidiana, dagli impegni politici. La Scuola Poetica Siciliana può esser considerata il
punto di partenza della nostra storia letteraria, perché è la prima esperienza letteraria
artisticamente consapevole, espressa in un volgare italiano.

Differenze tra Scuola Poetica Siciliana e lirica provenzale

Vi sono delle profonde differenze tra Scuola Poetica Siciliana e lirica provenzale:

 la poesia siciliana si affida alla scrittura. La poesia provenzale era recitata, cantata.
I testi dell'esperienza siciliana erano destinati non solo alla recitazione, ma anche
alla lettura in diversi momenti della giornata;
 la poesia siciliana divorzia dalla musica. I testi non sono più accompagnati dalla
musica. Nei momenti di intrattenimento collettivo, il testo era letto senza un
accompagnamento musicale;
 il tema della poesia siciliana è esclusivamente amoroso. Viene trascurato il tema
politico, fiore all’occhiello dell'esperienza provenzale. Il tema amoroso rafforza il
concetto di poesia come momento di evasione dalla realtà quotidiana. Essendo i
protagonisti di questa esperienza letteraria degli uomini politici, nel momento in
cui si fa qualcosa d’altro, ci si dedica a ciò che diletta, a ciò che allieta l’animo:
l’amore cortese (si noti la coincidenza ideologica profonda tra la poesia
provenzale e la poesia siciliana);
 nella poesia siciliana si riflette il dibattito filosofico sul tema dell’amore. L’amore
è oggetto di riflessione filosofica, vi è un dibattito sulle origini dell’amore, sugli
effetti che l’amore produce nell’animo umano … ;
 la poesia provenzale aveva come unica forma metrica la canzone. La Scuola
Poetica Siciliana, pur riprendendo dalla poesia provenzale la forma della canzone,
inventa un altro tipo della forma metrica: il sonetto.
Approfondimento

La poesia siciliana si è espressa nel volgare siciliano illustre 7. Nel De Vulgari


Eloquentia 8, Dante afferma che in Italia esistono 14 volgari, 7 dislocati sul versante
tirrenico e 7 sul versante adriatico. Li prende in esame uno per uno, ne analizza le
caratteristiche e le peculiarità per vedere se uno di questi volgari possa essere degno
di assurgere a lingua della letteratura, lingua della comunicazione culturale. In questo
momento storico, vi sono nette differenze tra il volgare siciliano e gli altri volgari,
però il sonetto di Giacomo da Lentini 9, da un punto di vista linguistico, può essere
scambiato tranquillamente con un testo toscano. I testi della Scuola Poetica Siciliana
riportati nei vari manuali non si presentano nella loro veste linguistica originale,
perché hanno subito una storia particolare di travestimento linguistico nel periodo
successivo alla fine di questa esperienza letteraria. Intorno alla metà del Duecento,
nonostante la stagione letteraria siciliana fosse giunta al termine, lasciò una traccia.
L’eco della sua importanza aveva superato i confini della Sicilia e dell’Italia
meridionale. Nell’Italia duecentesca si parlava dappertutto dell’esperienza poetica
siciliana. Firenze era teatro di questi dibattiti accesi. La stampa ancora non era stata
inventata. I testi letterari e di altro genere venivano divulgati attraverso la trascrizione
manoscritta. Esistevano i copisti, gli amanuensi, che svolgevano questo lavoro di
ricopiatura su commissione. Se si desiderava leggere un testo della Scuola Poetica
Siciliana, si andava presso un centro di copisti e si ordinava una copia. Il copista
l’aveva o se la procurava e ricopiava manualmente i testi. Succedeva che i testi erano
scritti in volgare siciliano illustre, in una lingua diversa dal toscano e il copista, spinto
da varie esigenze 10, sostituiva le forme del volgare siciliano con quelle toscane 11.
Attualmente, i manuali riportano i testi siciliani in lingua realmente toscana. Non
possediamo una documentazione che ci possa fornire l’idea di com’era il volgare
siciliano tra la fine del 1100 e primi anni del 1200. Nonostante non vi siano
documenti oggettivi, si può in qualche modo ricostruire la storia dei componimenti
siciliani travestiti linguisticamente. All’interno dei testi della Scuola Poetica
Siciliana, vi sono dei segnali che ci mostrano come questi testi furono oggetto di
manipolazione da parte di coloro che li ha tramandati in forma manoscritta. Questi
segnali sono rappresentati dalle rime imperfette. I poeti antichi non rinunciavano mai
alla rima perfetta 12. Nei testi della Scuola Poetica Siciliana si ha una rima imperfetta:
7
Lingua parlata da persone colte, socialmente e culturalmente elevate, nella corte di Federico II. In questo volgare
furono acquisiti elementi linguistici tratti dal provenzale e il francese.
8
Trattato sulla questione della lingua.
9
(Vedi: Amore è uno desio che ven da core).
10
Il copista doveva comprendere ciò che trascriveva, mentre il committente doveva godere di un testo scritto in una
lingua facilmente comprensibile.
11
Questo fenomeno si definisce toscanizzazione.
12
Perfetta coincidenza tra le sillabe di 2 parole, da quella accentata in poi.
Friddura – dimura

Freddura – dimora

Nel momento in cui il copista è arrivato a dover trascrivere in toscano la parola


friddura, parola da lui poco conosciuta, l’ha tradotta in freddura. Quando ha trovato
dimura nel verso successivo, ha dovuto trasformarlo in dimora. Il copista ha perso la
rima.

Vui – fui

Voi – fui

Nel testo siciliano, era presente la parola vui, che rimava con la parola fui del verso
successivo. Il copista toscano ha trasformato la parola vui in voi. Quando
l’amanuense si è ritrovato di fronte al verso successivo, che terminava con la parola
fui, non ha saputo più cosa fare, perché fui era comune anche nel volgare toscano.
Talvolta, si può avere una rima imperfetta nella parte finale dei testi. I manoscritti
originali delle poesie siciliane sono andati perduti. Nel Cinquecento, questi testi
originali della scuola siciliana dovevano ancora in qualche misura circolare, se è vero
che un filologo di quel periodo, Giovanni Maria Barbieri, ebbe tra le mani uno di
questi manoscritti e lo ricopiò in maniera più fedele di quanto lo avevano fatto i
copisti medievali.

Nozioni di metrica

La metrica è uno strumento fondamentale che ci mette a diretto contatto con il


significato profondo di un testo poetico.
Cuo’ | re
Amo’ | re
Per poter stabilire se esiste una rima, occorre osservare con attenzione la sillaba con l’accento tonico e la sillaba
successiva. Successivamente, si analizzerà se tutto coincide nella parola del verso successivo.
Il sonetto è un componimento formato da 14 versi endecasillabi, suddivisi in 2
quartine e 2 terzine. I versi rimano in maniera diversa tra loro. Il sonetto sembra esser
stato inventato da Giacomo da Lentini come isolamento di una strofa di canzone.

Una canzone è un componimento strutturato in un numero variabile di strofe.


Ciascuna strofa è composta da un numero variabile di versi (si parte da un minimo di
14), racchiusi in uno schema ritmico variabile. Le strofe possono essere formate
esclusivamente da endecasillabi o da un'alternanza tra endecasillabi e settenari. La
canzone si adatta più facilmente alle esigenze espressive dell’autore.

Un endecasillabo è un verso composto da 11 sillabe.

Un settenario è un verso formato da 7 sillabe.

Nel | bel | mez | zo | del | cam | min | di | no | stra | vi | ta (11 sillabe)

Da un punto di vista tonico 13, le parole si dividono in 4 categorie:

 tronche;
 piane,
 sdrucciole;
 bisdrucciole, molto rare in ambito poetico.

Po – ver – ta’ è una parola tronca 14.

Vi’ – ta è una parola piana 15.

Ta’ – vo – lo è una parola sdrucciola 16.

Infine, vi sono parole atone 17.

Vi sono alcune regole utili per scoprire la vera natura di un verso.


Il primo elemento che occorre analizzare quando si esegue il conteggio metrico di un
verso è l’ultima parola. È necessario analizzarne la natura.

Quando si incontra una parola piana alla fine di un verso, non vi sono cambiamenti
nel conteggio di un verso.

Nel mezzo del cammin di nostra vita (endecasillabo)

Vi’ – ta è una parola piana, formata da 2 sillabe.


13
L’accento tonico indica la sillaba su cui la voce si appoggia con maggior intensità.
14
L’accento tonico cade sull’ultima sillaba.
15
L’accento tonico cade sulla penultima sillaba.
16
L’accento tonico cade sulla terzultima sillaba.
17
Parole prive di accento tonico.
Quando ci si trova di fronte ad un verso che termina con una parola tronca 18, occorre
contare una sillaba in più rispetto a quelle che si troverebbero dividendo in sillabe
delle singole parole contenute nel verso.

La scelta di attuare il computo metrico prendendo in considerazione l’ultima parola


ha una giustificazione storico – linguistica.

Cit – tà

La parola città deriva dalla parola latina civitas (caso nominativo). Il caso accusativo
è civitatem. Il caso accusativo è la forma in cui le parole sono passate gradualmente
dal latino all’italiano. Il caso accusativo subisce le modificazioni che portano ogni
singola parola dal latino all’italiano. Civitatem perde la consonante finale che, nella
lingua parlata, viene sempre meno pronunciata. Si indebolisce a tal punto che, con il
passar del tempo, se ne perde memoria. Nella lingua parlata, in una seconda fase, la
sillaba te è stata sempre pronunciata meno nel corso delle conversazioni quotidiane.
Si è passati a civita e, infine, a cività. Nel momento in cui si tendeva a portare
l’accento verso la fine della parola, si è verificato un indebolimento della sillaba
centrale vi, che è stata pronunciata sempre più rapidamente fino a scomparire.
Gradualmente, ha lasciato il posto ad una t che rafforza la consonante successiva.

Si conta una sillaba in più, perché si tiene conto della sillaba troncata dell’accusativo
latino.

Quando ci si trova di fronte ad un verso che termina con una parola sdrucciola 19,
occorre contare una sillaba in meno rispetto a quelle che si troverebbero dividendo in
sillabe delle parole contenute nel verso.

Im – mo’ – bi – le

Quando si pronuncia la parola immobile, la massima forza di pronuncia risiede nella


sillaba mo. Si assiste ad un progressivo spegnimento del tono della voce e diviene
quasi impercettibile quando si pronuncia l’ultima sillaba le. Alla fine del verso, se
trovo la parola immobile, delle sue sillabe occorre contarne una in meno.
18
Parola che ha subito un troncamento della sillaba finale per varie ragioni storiche, culturali e linguistiche. Il
vocabolario delle lingue romanze è fondamentalmente di origine latina.
19
Parola che impone a chi la pronuncia uno scivolamento progressivo che fa perdere forza alla pronuncia di quella
parola.
Regola generale: qualunque sia la natura della parola, devo contare una sola sillaba
dopo la sillaba tonica dell’ultima parola.

Un chiaro esempio di ode in cui si verifica un’alternarsi di parole tronche, piane


sdrucciole a fine verso è il 5 maggio.

5 maggio (Alessandro Manzoni)

Ei fu. Siccome immobile,

Dato il mortal sospiro,

Stette la spoglia immemore

Orba di tanto spiro,

Così percossa, attonita

La terra al nunzio sta

L’ode manzoniana 5 maggio è dedicata alla morte di Napoleone. L’ode 20 presenta


una struttura metrica varia. Manzoni vive nell’Ottocento, in cui il Romanticismo si
afferma come tendenza letteraria generale. Uno dei canoni della letteratura romantica
è la letteratura popolare, che deve interpretare i sentimenti del popolo e deve
esprimerli in maniera tale da esser fruita da tutti. L’ode subisce un adattamento a
queste esigenze culturali generali. Manzoni dona un ritmo cadenzato alle sue opere in
modo da esser comprese da tutti. La letteratura è uno strumento di lotta politica.

Computo metrico

Vi sono alcune operazioni da fare:

 occorre considerare la natura dell’ultima parola;


 si dividono in sillabe le singole parole che compongono il verso.

Ei | fu | sic | co | me im | mo’ | bi | le (settenario sdrucciolo)

sinalefe
20
Componimento di origine classica.
La suddivisione del verso in sillabe dà come risultato 9 sillabe. Se ne sottrae una,
perché immobile è una parola sdrucciola. Vi è una sinalefe, quindi si sottrae una
sillaba.

So | lo et | pen | so | so i | più | de | ser | ti | cam’ | pi 21 (endecasillabo piano)

sinalefe 22 sinalefe

Campi è una parola piana, quindi non occorre attuare alcun cambiamento alla
suddivisione in sillabe del verso. La suddivisione del verso in sillabe dà come
risultato 13 sillabe. Vi sono 2 sinalefi, quindi si sottraggono 2 sillabe.

Da | to il | mor | tal | so | spi’ | ro (settenario piano)

sinalefe

Sospiro è una parola piana. La suddivisione del verso in sillabe dà come risultato 8
sillabe. Vi è una sinalefe, quindi si sottrae una sillaba.

Stet | te | la | spo | glia im | me’ | mo | re (settenario sdrucciolo)

sinalefe

La suddivisione del verso in sillabe dà come risultato 9 sillabe. Se ne sottrae 1, perché


immemore è una parola sdrucciola. Vi è una sinalefe, quindi si sottrae una sillaba.

Or | ba | di | tan | to | spi’ | ro, (settenario piano)

Spiro è una parola piana. La suddivisione del verso in sillabe dà come risultato 7
sillabe.

Co | sì | per | cos | sa, at | to’ | ni | ta (settenario sdrucciolo)

sinalefe

La suddivisione del verso in sillabe ci dà come risultato 9 sillabe. Se ne sottrae una,


perché attonita è una parola sdrucciola. Vi è una sinalefe, quindi si sottrae una
sillaba. Quando vi è virgola, è presente una dialefe. In questo caso, la lettura procede
in maniera tanto scorrevole da consentire la presenza di una sinalefe.

La | ter | ra al | nun | zio | sta (settenario tronco)

21
È il verso iniziale di un noto sonetto petrarchesco. Giova ricordare che il sonetto è formato da versi endecasillabi.
22
Fenomeno naturale che si verifica quando si pronunciano le parole. Quando ci si trova davanti ad una parola che
termina per vocale ed è seguita da una parola che inizia per vocale, le due sillabe (quella finale della parola che precede
e quella iniziale della parola che segue) si assimilano e formano un’unica sillaba (dal punto di vista ritmico e metrico).
sinalefe

Sta è una parola tronca. La suddivisione del verso in sillabe dà come risultato 7
sillabe. Vi è una sinalefe, quindi si sottrae una sillaba. Se ne conta una in più, perché
sta è una parola tronca.

Manzoni ha scritto quest’ode alternando versi settenari sdruccioli (vv. 1, 3, 5) a versi


settenari piani (vv. 2, 4,), chiusi da un settenario tronco. Nei versi sdruccioli abbiamo
una sinalefe sempre tra la V e la VI sillaba. Nel secondo verso, si ha una sinalefe tra
la II e la IV sillaba, mentre nel quarto verso non si ha nulla.

e | tu | che | se' | co | stì (parola tronca), | a | ni | ma | vi’ | va 23 (endecasillabo piano)

dialefe 24

Viva è una parola piana. La suddivisione del verso in sillabe ci dà come risultato 11
sillabe. Tra la VI e la VII posizione, troviamo una sillaba che termina per vocale e
una che inizia per vocale. In questi caso, si dovrebbe verificare la sinalefe. Il conto
complessivo delle sillabe del verso passerebbe da 11 a 10, rendendolo ipometro, più
breve rispetto all’endecasillabo che si dovrebbe incontrare in ogni verso delle Divina
Commedia. Durante la lettura, occorre fare una pausa consistente a costì, perché nella
trasmissione orale del testo costì è una parola tronca. L’accento che cade sulla
l’ultima sillaba obbliga a riprendere fiato per pronunciare il resto della frase. Inoltre,
vi è una virgola tra costì e anima.

O | Al | ber | to | te | de | sco | ch' ab | ban | do’ | ni (endecasillabo piano)

dialefe sinalefe

Abbandoni è una parola piana. La suddivisione del verso in sillabe dà come risultato
12 sillabe. Vi è una sinalefe, si sottrae una sillaba. Quando si legge il verso, la e della
parola che si indebolisce e scompare. Il ch si fonde e diventa un’unica sola sillaba.
Quando all’interno di un verso si nota un apostrofo prima di una parola che segue e
che inizia per vocale, vi è obbligatoriamente una sinalefe. Quando si pronuncia il
vocativo O Alberto, occorre distaccare bene le 2 vocali. Si fa una breve pausa, che dà
spazio alla pronuncia distinta e staccata della vocale successiva. Quando è presente
una pausa più o meno forte tra due parole o vi è un vocativo nel verso, è molto

23
Verso del III Canto dell’Inferno.
24
Quando ci si trova davanti ad una parola che termina per vocale ed è seguita da una parola che inizia per vocale, le
due sillabe (quella finale della parola che precede e quella iniziale della parola che segue) si separano e non formano
un’unica sillaba (dal punto di vista ritmico e metrico, si contano 2 sillabe).
probabile che sia presente una dialefe. La presenza di una sinalefe o di una dialefe
dipende dalla scansione ritmica di un testo poetico.

dieresi 25

dol | ce | co | lor | d'o | rï | en | tal | zaf | fi’ | ro (endecasillabo piano)

sinalefe

Zaffiro è una parola piana. La suddivisione del verso in sillabe dà come risultato 11
sillabe. Vi è una sinalefe, si sottrae una sillaba. Le parole italiane contengono dei
gruppi fonetici particolari: i dittonghi 26. Ci sono dei casi in cui l’autore ha intenzione
di richiamare l’attenzione del lettore in particolare su una parola. Ricorre a qualche
espediente tecnico, come la dieresi. Si aggiunge una sillaba, perché sulla i vi è una
dieresi. Il dittongo è incline alle dolcezze espressive, descrittive di situazioni che
donano un effetto rasserenante sotto il profilo morale.

Che | fai | tu, | lu | na, in | ciel; | dim | mi, | che | fa’ | i, (endecasillabo piano)

sinalefe enjambement 27

si | len | zï | o | sa | lu’ | na 28 (settenario piano)

dieresi

Fai è una parola monosillabica e piana. La suddivisione del verso in sillabe dà come
risultato 11 sillabe. I monosillabi sono formati in genere da 1 consonante e 2 vocali.
Le 2 vocali possono essere pronunciate in maniera distinta. Quando si trova alla fine
del verso, fai può essere considerata una parola bisillaba e, quindi, una parola piana.
Vi è una sinalefe, si sottrae una sillaba. Quando si ha un monosillabo all’interno del
verso, lo si conta come una sola sillaba. Se si trova alla fine del verso, va contato
come bisillabo.

Luna è una parola piana. La suddivisione del verso in sillabe dà come risultato 6
sillabe. Vi è una dieresi, quindi si aggiunge una sillaba. Leopardi allunga di una
sillaba l’aggettivo silenziosa per mettere in evidenza l’indifferenza della luna e della
natura tutta nei confronti del destino e del dolore degli esseri umani.

25
Espediente tecnico che obbliga il lettore a distinguere nettamente una vocale dall’altra nella pronuncia. Dal punto di
vista metrico, le vocali si contano come 2 sillabe separate.
26
Due vocali all’interno della stessa parola che servono una all’altra e vengono pronunciate con una sola emissione di
fiato. Le semivocali (i,u) sono seguite (dittongo ascendente) o precedute (dittongo discendente) da una vocale (a,o,u).
27
Separazione di 2 elementi che dovrebbero stare insieme (verbo - complemento oggetto; sostantivo - attributo).
28
Primi 2 versi del Canto di un pastore errante dell’Asia (canzone).
Giacomo da Lentini

Giacomo da Lentini è uno dei poeti più importanti della Scuola Poetica Siciliana, al
quale viene attribuita l’invenzione del sonetto.

Amore è uno desio che ven da core 29

29
I testi antichi prendevano il titolo dal primo verso del componimento.
In questa sonetto, Giacomo da Lentini riflette sulle origini dell’amore e su quale
Amore debba esser considerato il vero sentimento che prende il cuore e l’animo
dell’uomo e che produce effetti importanti su di lui.

I strofa

Amore è un[o] desio che ven da’ core

per abondanza di gran piacimento;

e li occhi in prima genera[n] l’amore

e lo core li dà nutricamento.

Parafrasi commentata

Che cos’è l’amore e da dove proviene? 30

L’amore è un desiderio che proviene dal cuore per un eccesso di piacere (che nel
cuore viene concepito).

Origine e insediamento dell’amore

Sono gli occhi a generare come primo momento l’amore (l’amore nasce dalla vista)
ed è il cuore che alimenta questo sentimento.

II strofa

Ben è alcuna fiata om amatore

senza vedere so ‘namoramento,

ma quell’amor che stringe con furore

da la vista de li occhi ha nas[ci]mento:

Questa lirica riflette i valori, i comportamenti, la vita della società aristocratica della
corte di Federico II. Viene cantata la donna castellana, che vive all’interno della corte
ed è una figura idealizzata. Si ha la vista della donna, ma rimane una figura lontana,
un’aspirazione della mente e del cuore. Tuttavia, può accadere a volte che l’uomo si
innamori senza vedere direttamente la donna che ama, soltanto per la fama che gli
giunge della sua bellezza e della sua virtù. Ciò che sente dire di lei è sufficiente
alcune volte a suscitare in lui amore. Questa infatuazione dovuta all’idealizzazione
immaginifica di questa figura femminile si può verificare, ma quell’amore che prende

30
Domanda guida.
interamente l’animo dell’uomo e lo possiede con furore può nascere soltanto dalla
vista.

III strofa

ché li occhi rapresenta[n] a lo core

d’onni cosa che veden bono e rio

com’è formata natural[e]mente;

Ciò avviene perché gli occhi trasmettono al cuore l’immagine di ciò che si vede,
buona o cattiva che sia, com’è fatta realmente. La fama può essere ingannevole, le
voci che ci circolano su una persona possono essere corrette o errate, esagerate
rispetto alla realtà.

IV strofa

e lo cor, che di zo è concepitore,

imagina, e [li] piace quel desio:

e questo amore regna fra la gente.

Il cuore, che riceve questa rappresentazione oggettiva della realtà esterna attraverso le
immagini che gli giungono dagli occhi, elabora le immagini e giunge a concepire
quel piacere che genera il desiderio (di cui ha parlato al primo verso). È questo che ha
una durata imperitura, eterna.

La poesia siciliana è amorosa, ma anche speculativa. Tende a spiegare che cosa sia
Amore, quale siano le sue origini, il suo insediamento all’interno dell’essere umano.

Stefano Protonotaro

Pir meu cori alligrari 31

I strofa

31
Canzone ricopiata dal filologo cinquecentesco Giovanni Maria Barbieri.
Pir meu cori alligrari

chi multu longiamenti

senza alligranza e joi d’amuri è statu,

mi ritornu in cantari,

ca forsi levimenti

da dimuranza turniria in usatu

di lu troppu taciri;

e quandu l’omu ha rasuni di diri,

ben di’cantari e mustrari alligranza,

ca senza dimustranza

joi siria sempri di pocu valuri;

dunca ben di’ cantar onni amaduri.

Parafrasi commentata

Questa canzone si avvicina molto alla lingua originale siciliana. Per rallegrare il mio
cuore, che è stato a lungo privo di allegria e di gioia d’amore, io torno a poetare,
perché forse facilmente potrei trasformare in abitudine la lunga sospensione del
canto; quando si ha ragione di parlare, è giusto esprimersi in poesia e manifestare
allegria, perché, se non la si manifestasse, la gioia d’amore avrebbe senz’altro scarso
valore; dunque è doveroso che ogni uomo innamorato debba esprimersi in poesia. La
poesia è lo strumento attraverso il quale ogni uomo innamorato deve e può esprimere
compiutamente i suoi sentimenti. Nei primi versi, si noti la ripresa di termini che
derivano dal francese e dal provenzale. La parole joi e le parole che terminano in –
enti sono dei francesismi (longiamenti, levimenti …), mentre le parole terminanti in –
anza sono dei provenzalismi (allegranza, dimuranza,dimustranza …). Il francese e il
provenzale contribuiscono a dare un tono elevato alla poesia siciliana. Giovanni
Maria Barbieri ci consente di valutare la distanza che esiste tra i testi originali
siciliani e il loro successivo adattamento alla lingua toscana.
La poesia comica del Duecento

La Scuola Poetica Siciliana rappresenta la parte aulica della produzione letteraria


delle nostre origini. Nell’arco dei secoli, la nostra letteratura si è sviluppata con un
doppio piano espressivo:

 la poesia aulica, sublime;


 la poesia comica, che prende in esame aspetti, questioni, personaggi, situazioni
completamente diversi rispetto a quelle celebrati dalla poesia aulica.

Il tema dell’amor cortese domina nell’ambito della poesia aulica. La poesia aulica
della Scuola Poetica Siciliana nasceva e si consumava all’interno di quella ristretta
cerchia di persone che vivevano all’interno della corte di Federico II. Il tema amoroso
è trattato in maniera diversa nella poesia comica, poiché la dimensione umana alla
quale si guarda è diversa. I poeti comici colgono aspetti e problemi che animano una
parte diversa della società, della quale cercano di riprodurne valori, comportamenti,
ideali … I poeti comici sono raffinati, hanno un’estrema padronanza dei propri
elementi espressivi che sanno piegare alle propria finalità. Alla Scuola Poetica
Siciliana si contrappone una corrente letteraria più popolare, che fa capo a Cielo
d’Alcamo.

Cielo 32 d’Alcamo 33

Contrasto 34

In questo poesia, è rappresentata la vicenda di un giovane del popolo, un contadino,


corteggia una ragazza del suo stesso ceto. La donzella rifiuta a lungo questo
corteggiamento. Il contrasto si sviluppa secondo il seguente asse: in una strofa,
l’uomo espone le ragioni che lo spingono ad insistere nel corteggiamento; nella strofa
successiva, la donna elenca le ragioni per cui non può accettare l’amore che le viene
offerto.

I strofa

“Rosa fresca aulentis[s]ima 35 ch’apari inver’ la state,

le donne ti disiano, pulzell’ 36 e maritate:

tràgemi d’este focora 37, se t’este a bolontate 38;

32
Poeta di cui non si conosce la vera identità. I manuali sogliono riportare il suo nome in maniera diversa: Ciullo, Cielo.
33
Borgo in provincia di Trapani.
34
Componimento diviso in 32 strofe che formano una sorta di dialogo tra 2 protagonisti (un uomo e una donna) che
contrastano, si trovano su due posizioni diverse.
35
Prezioso latinismo.
36
Francesismo.
37
Caduta vertiginosa dal punto di vista linguistico su un piano strettamente popolare.
38
Fenomeno del betacismo, il passaggio dalla v alla bilabiale b come consonante iniziale di una parola.
Volontà
Bolontate
per te non ajo abento notte e dia,

penzando pur di voi, madonna mia”.

Parafrasi commentata

In questa prima strofa, l’uomo si rivolge alla donna amata con le proprie capacità
espressive piuttosto limitate. Al tempo stesso, si sforza di dar fondo a tutte le proprie
conoscenze retoriche per far colpo sulla bella fanciulla. Il verso iniziale è di alto
livello. L’uomo si riferisce alla donna, chiamandola rosa fresca profumatissima. Rosa
fresca aulentissima (similitudine tra la rosa e la donna), che fiorisci all’inizio
dell’estate, a maggio, le donne ti desiderano, giovani e maritate; salvami dalle
fiamme di questa passione, se questa è la tua volontà. Per te non ho pace notte e
giorno, pensando continuamente a voi, mia Signora. La conclusione di questa strofa
vuole essere un tentativo di ritornare ad un livello espressivo più elevato.

Computo metrico

I parte (settenario sdrucciolo) II parte (settenario piano)

cesura 39

Ro | sa | fre | sca au | len | ti’s | si | ma || ch’a | pa | ri in | ver’ | la | sta’ | te

sinalefe sinalefe sinalefe

La suddivisione del verso in sillabe dà come risultato 18 sillabe. Vi è una cesura,


quindi il verso si può dividere in 2 parti.

I parte

La suddivisione del verso in sillabe dà come risultato 9 sillabe. Se ne sottrae una,


perché aulentissima è una parola sdrucciola. Vi è una sinalefe, quindi si sottrae una
sillaba.

II parte

State è una parola piana. La suddivisione del verso in sillabe dà come risultato 9
sillabe. Vi sono 2 sinalefi, quindi si sottraggono due sillabe.

Il verso si presenta come giustapposizione di 2 versi settenari.


39
Stacco netto tra la prima e la seconda parte del verso. Vi è una pausa ritmica, un’interruzione concettuale.
I parte (settenario sdrucciolo) II parte (settenario piano)

cesura

le | don | ne | ti | di | sï | a | no, || pul | zel | l’e | ma | ri | ta’ | te |

dieresi 40 sinalefe

La suddivisione del verso in sillabe dà come risultato 15 sillabe. Vi è una cesura,


quindi il verso si può dividere in 2 parti.

I parte

La suddivisione del verso in sillabe dà come risultato 7 sillabe. Se ne sottrae una,


perché disiano è una parola sdrucciola. Vi è una dieresi, quindi si aggiunge una
sillaba.

II parte

Maritate è una parola piana. La suddivisione del verso in sillabe dà come risultato 8
sillabe. Vi è una sinalefe, quindi si sottrae una sillaba.

I parte (settenario sdrucciolo) II parte (settenario piano)

cesura

trà | ge | mi | d’e | ste | fo’ | co | ra , || se | t’e | ste a | bo | lon | ta’ | te

sinalefe 2 sinalefi

La suddivisione del verso in sillabe dà come risultato 18 sillabe. Vi è una cesura,


quindi il verso si può dividere in 2 parti.

I parte

La suddivisione del verso in sillabe dà come risultato 9 sillabe. Se ne sottrae una,


perché focora è una parola sdrucciola. Vi è una sinalefe, quindi si sottrae una sillaba.

II parte

Bolontate è una parola piana. La suddivisione del verso in sillabe dà come risultato 9
sillabe. Vi sono 2 sinalefi, quindi si sottraggono due sillabe.

Nei testi popolari, si coglie la continuità dell’eredità della letteratura aulica classica e
la si coglie nei primi 3 versi di questo contrasto.
40
Fenomeno naturale, insito nella pronuncia della parola. L’accento che si pone sulla prima delle 2 vocali obbliga il
lettore a pronunciarle in maniera separata. Si aggiunge una sillaba nel computo delle sillabe di un verso.
per | te | non | ajo | a | ben | to | not | te e | di’ | a 41 (endecasillabo piano)

dialefe sinalefe

La suddivisione del verso in sillabe dà come risultato 11 sillabe. Vi è una sinalefe,


quindi si sottrae una sillaba. Ne aggiungo una, perché dia è una parola monosillabica
piana.

pen | zan | do | pur | di | voi, | ma | don | na | mi’ | a (endecasillabo piano)

La suddivisione del verso in sillabe dà come risultato 10 sillabe. Ne aggiungo una,


perché mia è una parola monosillabica piana.

La I strofa è formata, nella prima parte, da 3 versi doppi (il primo è un settenario
sdrucciolo, mentre il secondo è piano). La II parte dei primi tre versi è legata da una
rima baciata. La seconda parte della strofa è costituita da 2 endecasillabi piani.

I parte (senario piano) II parte (senario piano)

cesura

Da | gli a | tri | mu | sco’ | si, || dai | fò | ri | ca | den’ | ti

sinalefe

La suddivisione del verso in sillabe dà come risultato 13 sillabe. Vi è una cesura,


quindi il verso si può dividere in 2 parti.

I parte

Muscosi è una parola sdrucciola. La suddivisione del verso in sillabe dà come


risultato 7 sillabe. Vi è una sinalefe, quindi si sottrae una sillaba.

II parte

Cadenti è una parola piana. La suddivisione del verso in sillabe dà come risultato 6
sillabe.

I senari hanno un ritmo fortemente cadenzato. Gli accenti ritmici cadono sulla II e
sulla V sillaba del primo senario e del secondo senario. I versi sono parisillabi 42.

II strofa

“Se di meve trabàgliti 43, follia lo ti fa fare.


41
Pausa logico – grammaticale forte.
42
Hanno un numero di sillabe pari.
43
Parola che unisce elementi aulici e popolari. Si ricordi l’origine francese e si noti il fenomeno del betacismo.
Lo mar potresti arompere, a venti asemenare,

l’abere d’esto secolo tut[t]o quanto asembrare:

avere me non pòteri a esto monno;

avanti li cavelli m’aritonno”.

La donna respinge in maniera brusca le avances del giovane innamorato. Se ti affanni


per colpa mia, sei mosso dalla follia. Potresti fare cose assurde e impossibili, come ad
esempio arare il mare, e seminarvi, potresti possedere tutte le ricchezze di questo
mondo: non mi potresti avere me in questo modo. Piuttosto mi faccio monaca.

III strofa

“Se li cavelli artón[n]iti 44, avanti foss’io morto,

ca’n is[s]i [sí] mi pèrdera lo solacc[i]o e ’l diporto.

Quando ci passo e véjoti, rosa fresca de l’orto,

bono conforto dónimi tut[t]ore:

poniamo che s’ajúnga il nostro amore”.

Se ti tagli i capelli, prima io vorrei esser morto, perché nella bellezza dei tuoi capelli
perderei la mia consolazione e il mio diletto. Quando passo sotto le finestre di casa
tua e ti vedo, rosa fresca dell’orto, mi dai continuamente un buon conforto: facciamo
in modo che il nostro amore si congiunga.

IV strofa

“Ke ’l nostro amore ajúngasi, non boglio m’atalenti:

se ci ti trova pàremo cogli altri miei parenti,

guarda non t’ar[i]golgano questi forti cor[r]enti.

Como ti seppe bona la venuta,

consiglio che ti guardi a la partuta”.

Che il nostro amore si congiunga non voglio rientri nei miei desideri. Se ti sorprende
mio padre con i miei altri parenti nei dintorni di casa mia, bada che non ti prendano

44
Procedimento espressivo tipicamente provenzale (Coblas capfinidas). All’inizio della strofa, si riprendono le parole
con cui si chiude la strofa precedente.
questi corridori. Come ti è sembrato facile il percorso per arrivare fin qui, ti consiglio
di far altrettanto quando te ne andrai.

V strofa

“Se i tuoi parenti trova[n]mi, e che mi pozzon fare?

Una difensa mèt[t]onci di dumili’ agostari 45:

non mi toc[c]ara pàdreto per quanto avere ha ’n Bari.

Viva lo ‘mperadore, graz[i’] a Deo!

Intendi, bella, quel che ti dico eo?”.

L’uomo introduce il concetto di denaro. L'amore non è un valore ideale, il rapporto


d'amore non è idealizzato come nell’ambito della poesia siciliana. Tutto si basa sul
denaro, che determina una possibile combinazione nel rapporto tra l'uomo e la donna,
il reale prevale sull'idesle in questo mondo. Se i tuoi parenti mi trovano, cosa mi
possono fare? Offrirò una dote di duemila agostani. Non mi toccherà tuo padre, così
come sicuro delle enormi ricchezze che vi sono in Bari. Viva l’Imperatore, grazie a
Dio! Comprendi quel che dico, o mia bella fanciulla?

VI strofa

“Tu me no lasci vivere né sera né maitino.

Donna mi so’ di pèrperi, d’auro massamotino.

Se tanto aver donàssemi quanto ha lo Saladino,

e per ajunta quant’ha lo soldano,

toc[c]are me non pòteri a la mano”.

Le espressioni della donna appaiono dure e decise. Non mi lasci vivere né sera né
mattina. Io non sono la donna che si può tenere con duemila agostani, sono donna di
grande ricchezza. Se mi donassi le ricchezze di questi sovrani orientali, non potresti
sfiorarmi la mano.

XVII strofa

“Dunque vor[r]esti, vítama, ca per te fosse strutto?

Se morto essere déb[b]oci od intagliato tut[t]o,


45
Monete di poco valore.
di quaci non mi mòs[s]era se non ai’ de lo frutto

lo quale stäo ne lo tuo jardino:

disïolo la sera e lo matino”.

Si coglie una concezione sensuale e materialistica dell’amore. Dunque tu vorresti,


vita mia, che io muoia? Anche se dovessi morire o esser torturato, di qua non mi
muoverei se non ottengo il frutto che sta nel tuo giardino: lo desidero dalla sera alla
mattina.

XVIII strofa

“Di quel frutto non àb[b]ero conti né cabalieri;

molto lo disïa[ro]no marchesi e justizieri,

avere no’nde pòttero: gíro’nde molto feri.

Intendi bene ciò che bol[io] dire?

Men’este di mill’onze lo tuo abere”.

Quel frutto che tu desideri tanto non l’hanno avuto né i conti né i cavalieri; molto
l’hanno desiderato i marchesi e i giudici, ma non hanno potuto averlo: se ne sono
andati molto contrariati. Comprendi ciò che voglio dire? Le tue ricchezze ammontano
a neanche mille once. Il denaro è un motivo centrale nell’ambito della concezione del
rapporto d’amore in un contesto popolare, tipico della poesia comica.

Strofa XXV

“Se tu nel mare gít[t]iti, donna cortese e fina,

dereto mi ti mísera per tut[t]a la marina,

[e da] poi c’anegàs[s]eti, trobàrati a la rena

solo per questa cosa adimpretare:

conteco m’ajo a[g]giungere a pec[c]are”.

La donna minaccia di gettarsi in mare piuttosto che cedere alle avances dell’uomo.
Se tu ti getti in mare per sfuggirmi, donna cortese e fine, mi getterò dietro a te
attraverso tutto il mare, e dopo che sei annegata, ti troverò sulla spiaggia solo per
compiere questa cosa: con te voglio congiungermi per peccare.

Strofa XXVI
“Segnomi in Patre e ’n Filïo ed i[n] santo Mat[t]eo:

so ca non se’ tu retico [o] figlio di giudeo,

e cotale parabole non udi’ dire anch’eo.

Morta si [è] la femina a lo ’ntutto,

pèrdeci lo saboro e lo disdotto”.

Mi faccio il segno della croce: so che non sei eretico o giudeo, e queste parole finora
non le hai sentite dire da te. Se la donna è morta completamente, non vi è più né
piacere né desiderio.

Strofa XXVII

“Bene lo saccio, càrama: altro non pozzo fare.

Se quisso non arcòmplimi, làssone lo cantare.

Fallo, mia donna, plàzzati, ché bene lo puoi fare.

Ancora tu no m’ami, molto t’amo,

sí m’hai preso come lo pesce a l’amo”.

Questo lo so bene, cara mia: altro non posso fare. Se non esaudisci il mio desiderio,
almeno concedimi di esprimermi in poesia. Concedimi questo, mia donna, che è nelle
tue possibilità. Ancora non mi apprezzi tanto da amarmi, ma io ti amo molto, poiché
mi hai preso come un pesce all'amo.

Strofa XXVIII

“Sazzo che m’ami, [e] àmoti di core paladino.

Lèvati suso e vatene, tornaci a lo matino.

Se ciò che dico fàcemi, di bon cor t’amo e fino.

Quisso t’[ad]imprometto sanza faglia:

te’ la mia fede che m’hai in tua baglia”.

Si intravede qualche segno di cedimento da parte della donna. So bene che tu mi ami,
e anche io ti amo con cuore nobile. Ti consiglio di andare via, torna domani mattina.
Se fai ciò che ti dico, ti prometto di amarti con cuore buono e prezioso. Ti prometto
questo senza possibilità d’errore: hai la mia parola in tuo potere.
Strofa XXIX

“Per zo che dici, càrama, neiente non mi movo.

Intanti pren[n]i e scànnami: tolli esto cortel novo.

Esto fatto far pòtesi intanti scalfi un uovo.

Arcompli mi’ talento, [a]mica bella,

ché l’arma co lo core mi si ’nfella”.

Per ciò che dici, oh mia cara, non mi muovo affatto. Prima prendi e uccidimi : prendi
questo coltello nuovo. Si può far questo prima che si cuocia un uovo. Esaudisci il mio
desiderio, amica bella, perché l’arma mi si rattrista con il cuore.

Strofa XXX

“Ben sazzo, l’arma dòleti, com’omo ch’ave arsura.

Esto fatto non pòtesi per null’altra misura:

se non ha’ le Vangel[ï]e, che mo ti dico ’Jura’,

avere me non puoi in tua podesta;

intanti pren[n]i e tagliami la testa”.

So bene che la tua anima soffre, come l’uomo che arde. Questo non può essere fatto a
nessun’altra condizione: se non hai il Vangelo, con cui tu possa giurarmi eterna
fedeltà, non potrai avermi in tuo potere; piuttosto prendi e tagliami la testa.

Strofa XXXI

“Le Vangel[ï]e, càrama? ch’io le porto in seno:

a lo mostero présile (non ci era lo patrino).

Sovr’esto libro júroti mai non ti vegno meno.

Arcompli mi’ talento in caritate,

ché l’arma me ne sta in sut[t]ilitate”.

Il Vangelo, cara mia? Lo porto con me: l’ho preso in monastero, approfittando del
fatto che non c’era il prete. Sopra questo libro ti giuro di non venire mai meno alla
fedeltà nei tuoi confronti. Esaudisci il mio desiderio per carità, poiché la mia anima si
sta consumando per la passione amorosa.

Strofa XXXII

“Meo sire, poi juràstimi, eo tut[t]a quanta incenno.

Sono a la tua presenz[ï]a, da voi non mi difenno.

S’eo minespreso àjoti, merzé, a voi m’arenno.

A lo letto ne gimo a la bon’ora,

ché chissa cosa n’è data in ventura”.

Oh mio signore, poiché hai giurato sul Vangelo di essermi fedele, sono tutto un fuoco
di passione. Sono alla vostra presenza, da voi non mi difendo. Se in qualche modo vi
ho offeso, perdonatemi. Andiamo subito a letto, perché questa opportunità ci è data in
buona sorte. La storia si conclude in gloria.

Già dall'inizio della nostra storia letteraria, i 2 tipi di poesia (aulica e comica) si
muovono su piani opposti dal punto di vista ideologico, stilistico e linguistico. I
valori della poesia aulica si contrappongono a quelli del genere comico. La poesia
comica rivaluta i valori celebrati nella poesia aulica. Entrambe i generi, pur nella loro
contrapposizione, ci offrono la possibilità di avere il quadro completo della società e
della vita di questo momento storico in questo periodo, perché ciascuna a suo modo
riflette i valori, le idee e la vita di una parte della società.

La civiltà comunale

Dopo la morte dello Stupor Mundi, la Scuola Poetica Siciliana tramonta rapidamente.
Intorno alla metà del ‘200, il centro culturale e letterario si sposta progressivamente,
ma in maniera definitiva, dalla corte siciliana di Palermo alla Toscana, in modo
particolare a Firenze. La Toscana e Firenze assumono un ruolo culturalmente
preminente nell'Italia medievale. Si hanno numerose stagioni letterarie:
 l’esperienza siculo – toscana di Guittone d’Arezzo e di Bonagiunta Orbicciani;
 il Dolce Stil Novo fiorisce a Firenze verso la fine del 1200. Questo movimento
letterario è il riflesso di un momento storico completamente diverso rispetto a
quello in cui è maturata la poesia cortese 46 della Scuola Poetica Siciliana.

Nella seconda metà del '200, nonostante le classi aristocratiche recitino un ruolo di
assolute protagoniste, le cose iniziano a cambiare. L’Italia centro – settentrionale
vive la stagione dei Comuni. Ogni città inizia a governarsi da sé, ha proprie
istituzioni, leggi e forme di rappresentazione politica della società. Sono delle realtà
politiche più democratiche rispetto alla forma monarchica del Regno delle Due
Sicilie. Le istituzioni politiche sono il riflesso di dinamiche sociali ed economiche
profonde che muovono la società in una specifica direzione. Si incomincia
lentamente a procedere in una direzione che va verso il superamento definitivo del
Medioevo, nella prospettiva di una società diversa 47. I primi passi verso la società
quattro – cinquecentesca si compiono nell’Italia centro – settentrionale. La Toscana
vive processi più rapidi di evoluzione storica rispetto al resto d’Italia. Iniziano a
manifestarsi le prime attività artigianali, imprenditoriali. Si esce pian piano da
un'economia basata esclusivamente sull'agricoltura, tesa a soddisfare i bisogni primari
ed essenziali dell’uomo. Si incominciano ad investire ricchezze non più e non
soltanto nelle attività agricole, ma anche nelle piccole attività artigianali e industriali,
soprattutto nella lavorazione dei tessuti. L'industria tessile porta alla formazione della
borghesia, che acquista gradualmente grande potere economico all'interno della
società. I borghesi sfruttano la propria potenza economica in ambito politico,
imparano a imporsi nelle proprie scelte e soppiantano, nella direzione politica e
culturale della società, l'antica classe aristocratica. La borghesia avrà un’influenza
decisiva sulle forme della cultura italiana. Nel XVI Canto dell’Inferno, Dante
incontra alcuni personaggi fiorentini e vi è uno scambio di battute. Il Pellegrino si
rivolge a Iacopo Rusticucci in questa maniera:

“La gente nuova e i sùbiti guadagni

orgoglio e dismisura han generata,

Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni”.

Le anime dei dannati chiedono a Dante notizie sulle condizioni attuali della città
fiorentina. Dante risponde a questa richiesta con un’invettiva: le nuove categorie
sociali che si stanno affermando a Firenze e le improvvise ricchezze che si
concentrano nelle loro mani hanno generato esagerazioni di ogni tipo, sicché Firenze
46
Poesia aristocratica, riflesso della società aristocratica del mondo feudale.
47
Riferimento all’Età Moderna.
già ne paga le conseguenze in termini di conflittualità politica interna 48. Dante ci
fornisce una testimonianza significativa di quali siano le dinamiche socio –
economiche in atto a Firenze e nell’Italia centro – settentrionale in quel periodo.

Il Dolce Stil Novo

Questo arrière – plan sociale, politico ed economico si riflette nelle forme della nuova
letteratura, soprattutto nella produzione letteraria stilnovistica, che recepisce in gran
parte le istanze della nuova società. Lo Stilnovismo è la letteratura dell’età comunale.
La letteratura stilnovistica affonda certamente nella tradizione letteraria sviluppatasi
fin a quel momento 49, ma intende segnare una discontinuità molto forte con il
passato. Dolce Stil Novo è una definizione dantesca. Nel XXIV Canto del Purgatorio,
il Pellegrino incontra Bonagiunta Orbicciani 50.

“Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore

trasse le nove rime, cominciando

‘Donne ch’avete intelletto d’amore’”.

E io a lui: “I’mi son un che, quando

Amor mi spira, noto, e a quel modo

ch’e’ ditta dentro vo significando”.

“O frate, issa 51 vegg’io”, diss’elli,“il nodo

che ‘l Notaro e Guittone e me ritenne

di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!

48
Aspri conflitti tra ghibellini (sostenitori dell’Impero) e i guelfi (sostenitori del Papato). Si ricordi la distinzione tra
guelfi neri (i papalini integralisti) e guelfi bianchi (i moderati).
49
La poesia cortese di stampo provenzale e siciliano.
50
Poeta lucchese.
51
Parola tipicamente lucchese. Dante vuole dare una rappresentazione realistica del personaggio che ha di fronte. In
questo tratto di realismo linguistico, vi è un giudizio sull’esperienza letteraria e culturale di Bonagiunta Orbicciani e di
tutti i poeti che, come lui, avevano cercato di trasportare in Toscana i temi della poesia cortese, componendo una poesia
resa attraverso una lingua assai municipale che superava difficilmente i tratti tipici delle città d’origine dei vari poeti.
Tratteggiando il profilo di Bonagiunta Orbicciani con realismo linguistico, Dante afferma tra le righe che Bonagiunta è
un poeta municipalista.
Io veggio ben come le vostre penne

di retro al dittator sen vanno strette,

che de le nostre certo non avvenne”.

Bonagiunta si rivolge a Dante, dicendo: “ Dimmi se vedo qui di fronte a me colui che
scrisse per primo le nuove rime, che cominciano con quel componimento famoso che
si intitola Donne che avete intelletto d’amore 52 ”. Il componimento è indicato da
Dante stesso, attraverso le parole che egli attribuisce a Bonagiunta, come il testo
iniziale dal quale inizia una nuova storia della poesia italiana. La risposta di Dante è
una spiegazione del significato della novità, colta da Bonagiunta Orbicciani nella sua
poesia: “ Sono un poeta che, quando Amore prende possesso della mia vita, registro,
e scrivo ciò che Amore detta ”. Vi è una stretta correlazione tra la dettatura di Amore
e l’espressione poetica. Bonagiunta continua: “ O frate, adesso mi accorgo di qual è
l’aspetto 53 che ha impedito a me, a Giacomo da Lentini e a Guittone d’Arezzo di fare
letteratura con la dolcezza dello stile e la novità dei temi che voi siete in grado di
esprimere, dal momento che trascrivete in maniera esatta ciò che Amore spira. Dopo
aver letto il componimento Donne che avete intelletto d’amore e tutto ciò che è
seguito in campo poetico a questa canzone, mi accorgo di come la vostra scrittura sia
fedele al dettato d’Amore. Questo aspetto, purtroppo, non rientra nel nostro modo di
poetare ”. L’iniziatore della letteratura stilnovista è Guido Guinizelli 54, che scrive la
canzone Al cor gentile rempaira sempre amore, nella quale troviamo racchiusi tutti i
motivi fondamentali di questa nuova poetica. Nel XXVI Canto del Purgatorio, Dante
incontra Guido Guinizelli 55. Tra i due si instaura un dialogo nel quale il Pellegrino
riconosce a Guinizelli la paternità di questa nuova esperienza. Il corso innovativo di
questa nuova poetica avverrà con la canzone Donne che avete intelletto d’amore.

“Farotti ben di me volere scemo:

son Guido Guinizzelli; e già mi purgo

per ben dolermi prima ch’a lo stremo”.

52
Famosa canzone dantesca inclusa nella Vita Nuova, operetta giovanile. Dante colloca il componimento in un
momento di svolta decisivo nella sua vita personale e intellettuale: il Pellegrino si rende consapevole di una crisi
profonda dei valori della poesia cortese e sente la necessità di avviarsi in maniera decisa verso forme nuove di poesia.
53
Bonagiunta Orbicciani e Guitttone d’Arezzo si rifanno alla cultura dell’amor cortese della Scuola Poetica Siciliana.
54
Poeta bolognese, che espia una pena per il peccato di lussuria nel Purgatorio. I lussuriosi sono sottoposti ad una
pioggia di fuoco, che ne sfigura l’aspetto e le rende irriconoscibili.
55
Quali ne la tristizia di Ligurgo 56

si fer due figli a riveder la madre,

tal mi fec’io, ma non a tanto insurgo,

quand’io odo nomar sé stesso il padre

mio e de li altri miei miglior che mai

rime d’amore usar dolci e leggiadre;

[…]

“Ma se le tue parole or ver giuraro,

dimmi che è cagion per che dimostri

nel dire e nel guardar d’avermi car”.

E io a lui: “Li dolci detti vostri,

che, quanto durerà l’uso moderno,

faranno cari ancora i loro incostri”.

Guinizelli si rivolge a Dante, dicendo: “ Renderò vana la tua curiosità di venire a


sapere della mia persona: sono Guido Guinizelli; e sono qui in Purgatorio ad espiare
le mie pene perché mi sono pentito prima di morire ”. Dante descrive qual è la sua
reazione di fronte a questa scoperta: quando mi accorsi di trovarmi di fronte a Guido
Guinizelli, mi trovai nella stessa condizione dei due figli della nutrice. Ebbi l’impulso
di gettarmi nel fuoco, ma mi trattenni quando sentii presentarsi il mio padre poetico e
di tutti coloro migliori di me che hanno scritto rime d’amore dolci e leggiadre.
Guinizelli nota quest’atteggiamento di reverenza che Dante ha nei suoi confronti e gli
chiede: “ Ma sei le tue parole e i tuoi comportamenti dicono la verità, spiegami qual è
il motivo per cui sia con le parole sia con gli sguardi dimostri di avermi caro ”. Dante
56
Riferimento alla tradizione mitica. Licurgo ha affidato il proprio figlio alla nutrice. Costei si distrae un momento ed il
piccolo, morso da un serpente, conosce il sogno eterno. Licurgo condanna la nutrice ad esser arsa viva. I due figli della
donna, mentre vedono la madre andare al rogo, si scagliano nel fuoco per salvarla.
risponde a Guinizelli, dicendo: “ Le vostri dolci rime, per quanto andrà avanti il
mondo moderno, renderanno cari a tutti l’inchiostro con cui sono scritte ”. Le
caratteristiche principali del Dolce Stil Novo sono la dolcezza e la leggiadria della
lingua e dello stile. I temi sono legati alla concezione di Amore che spira dentro e
impone al poeta di significare in maniera fedele ciò che è dettato.

Guido Guinizelli

Al cor gentil rempaira sempre amore

I strofa

Al cor gentil rempaira sempre amore

come l’ausello in selva a la verdura;

né fe’ amor anti che gentil core,

né gentil core anti ch’amor, natura:

ch’adesso con’ fu ’l sole,

sì tosto lo splendore fu lucente,

né fu davanti ’l sole;

e prende amore in gentilezza loco

così propïamente

come calore in clarità di foco.

Parafrasi commentata

In questa strofa, Guinizelli procede a dimostrare come amore e cuore gentile si


identifichino e uno non possa esserci senza l’altro. Vi sono numerose metafore e
similitudini tratte dall’esperienza naturale. Si noti l’associazione strettissima che
viene postulata tra amore e cuore gentile. Amore trova la sua dimora naturale nel
cuore gentile, come accade all’uccello che trova la sua dimora naturale nel cuore
della foresta; né la natura ha creato amore prima del cuore gentile, né il cuore gentile
prima di amore: nello stesso momento in cui fu creato il Sole, si generò anche la luce,
né fu creato prima il Sole e poi la luce; l’amore trova dimora nel cuore gentile in
maniera così naturale come accadde che siano strettamente connaturati il calore e la
luce del fuoco.

III strofa

Amor per tal ragion sta ’n cor gentile

per qual lo foco in cima del doplero:

splendeli al su’ diletto, clar, sottile;

no li stari’ altra guisa, tant’è fero.

Così prava natura

recontra amor come fa l’aigua il foco

caldo, per la freddura.

Amore in gentil cor prende rivera

per suo consimel loco

com’adamàs del ferro in la minera.

Il discorso tende a spiegare in maniera razionale le ragioni per cui al cor rempaira
sempre amore. La parte esplicativa che ritroviamo nella poesia è frutto della ripresa
di suggestioni di natura filosofica. Amore si trova nel cuore gentile per la stessa
ragione per la quale il fuoco si trova sulla sommità della fiaccola: vi risplende chiaro
e sottile per sua tendenza naturale, non gli converrebbe assumere altre posizioni,
tanto è superbo. Nello stesso modo accade che amore respinge la natura cattiva come
avviene in natura quando si incontrano il fuoco caldo e l’acqua fredda. Amore dimora
nel cuore gentile perché è un luogo a sé congeniale come il diamante trova il suo
posto naturale nella miniera. Vi è uno sforzo dimostrativo che è dispiegato nel corso
della canzone per offrire al lettore ragioni convincenti sull’identità di amore e cuore
gentile.

IV strofa

Fere lo sol lo fango tutto ’l giorno:

vile reman, né ’l sol perde calore;

dis’ omo alter: “Gentil per sclatta torno”;

lui semblo al fango, al sol gentil valore:


ché non dé dar om fé

che gentilezza sia fòr di coraggio

in degnità d’ere’

sed a vertute non ha gentil core,

com’aigua porta raggio

e ’l ciel riten le stelle e lo splendore.

La strofa è portata avanti sulla linea di due similitudini:

 cuore gentile – Sole;


 fango – uomo che gentile non è.

Accade in natura che il Sole colpisca con i suoi raggi il fango per tutto il giorno: esso
rimane impuro, né il sole perde il suo calore 57; l’uomo superbo afferma:
“ Sono nobile per stirpe ” ; paragono quest’uomo superbo al fango che, nonostante sia
toccato da un elemento nobile come il Sole, non può innalzarsi ad un grado superiore
rispetto a ciò che è, mentre accosto la figura del Sole alla gentilezza: perché non si
deve credere che la gentilezza sia fuori dal cuore come oggetto tramandato in eredità
di generazione in generazione se il cuore gentile non è aperto a ricevere la virtù,
come l’acqua riceve un raggio e nel cielo sono ritenute le stelle e lo splendore del
Sole. Vi è una netta separazione tra la discendenza familiare di ciascun uomo e il
valore della gentilezza del cuore, che può essere una proprietà insita in qualunque
persona. La nobiltà e la gentilezza si convertono in valori borghesi. La borghesia sta
incominciando ad affermarsi attraverso le piccole attività artigianali e il commercio.
Si afferma la figura del mercante, celebrata nel Decameron di Boccaccio. In questo
periodo sorgono i primi banchi, dove si poteva depositare il denaro. Non si poteva
andare in giro con tanto denaro appresso, perché le strade erano infestate di banditi.
Si circolava con le lettere di cambio 58. L’attività finanziaria moderna affonda le
radici nelle attività finanziarie di questo periodo. La letteratura è lo specchio della
società in cui è prodotta. Si pensi alla novella Federico degli Alberighi del Boccaccio.
Federico è un nobile fiorentino in piena decadenza, ha dissipato i suoi averi nel gioco
d’azzardo. Vive solo in povertà in un castello vuoto, perché è stato costretto a
vendere tutto e conserva, come memoria dell’antica gloria, un falcone da caccia.
Monna Giovanna è la ricca vedova di un mercante ed ha un figlio che si ammala

57
Nonostante il Sole e il fango si tocchino, ciascuno di essi rimane con le proprie virtù e le proprie caratteristiche
positive o negative che siano.
58
Documenti cartacei che sostituivano il denaro.
gravemente. Federico è segretamente innamorato di Monna Giovanna. Si tratta di un
amore impossibile, poiché vi è una differenza sociale che grava sui due. In punto di
morte, il figlio chiede alla madre di prendere il falcone di Federico degli Alberighi.
La donna è colta dall’imbarazzo, poiché vuole accontentare il figlio morente ma, allo
stesso tempo, è consapevole che Federico sia segretamente innamorato di lei. Prevale
l’amore materno e la donna si adatta a intraprendere un viaggio verso il castello di
Federico. Il nobile decaduto la invita a restare a pranzo prima di conoscere la ragione
della sua visita. Il falcone viene sacrificato, poiché la dispensa è vuota. Alla fine del
pranzo, Monna Giovanna spiega a Federico le ragioni per le quali si è recata da lui.
Federico le racconta la verità. Il figlio della donna conosce il sogno eterno e i due si
sposano. Federico, scrive Boccaccio, divenne un massaio 59. La novella è uno
specchio della situazione sociale del tempo. La nobiltà è inesorabilmente in declino,
non possiedono nulla. Conservano un’antica dignità con la quale non si mangia.
L’aristocrazia è una classe sociale parassitaria 60 e dissipatrice 61. Le attività
artigianali della borghesia innescano il meccanismo sociale, economico, finanziario
che produce ricchezza. Degno di nota è il settore tessile toscano.

VI strofa 62

Donna, Deo mi dirà: “Che presomisti?”,

sïando l’alma mia a lui davanti.

“Lo ciel passasti e ’nfin a Me venisti

e desti in vano amor Me per semblanti:

ch’a Me conven le laude

e a la reina del regname degno,

per cui cessa onne fraude”.

Dir Li porò: “Tenne d’angel sembianza

che fosse del Tuo regno;

non me fu fallo, s’in lei posi amanza”.

59
Buon amministratore delle ricchezze della nobile.
60
Si reggeva sul lavoro dei contadini.
61
Non sapeva amministrare le proprie ricchezze, le disperdeva in beni effimeri. Il denaro non era investito in attività
produttive.
62
Commiato, strofa con cui poeta saluta i lettori.
Guinizelli immagina il dialogo che avverrà tra Dio e lui, quando morirà. Dio lo
rimprovererà per aver amato più una donna che lui. O donna, quando la mia anima
sarà davanti a Dio, costui mi dirà: “ Qual è stato il tuo atto di superbia? ”. “ Hai osato
attraversare il cielo ed arrivare fino a me, dopo che in vita hai dato il tuo amore ad
una figura effimera e l’hai preferita a me: perché è doveroso rivolgere le lodi a me,
Essere supremo ed eterno, e alla Madonna, grazie alla quale cessa ogni peccato tra gli
uomini ”. Potrò rispondere a Dio: “ Ho amato una creatura terrena che aveva l’aspetto
di un Angelo del tuo Regno; non mi fu peccato se ho riposto il mio amore in lei ”. In
quest’ultima strofa, si affaccia l’immagine della donna – angelo. Vi sono nuovi
aspetti che caratterizzano il Dolce Stil Novo:

 l’identificazione di amore e cuor gentile;


 l’allargamento del concetto di nobiltà. Non si tratta più di un valore riferito
esclusivamente alle origini familiari di ogni persona, ma è legato alla gentilezza
del cuore: nobile è colui che ha cuor gentile 63;
 il carattere elitario di questa nuova esperienza letteraria. Nonostante il concetto di
nobiltà si democratizzi rispetto al passato, l’esperienza letteraria dello Stilnovo
rimane una produzione complessiva, accessibile ad un élite ristretta, ad
un'aristocrazia intellettuale. Sul piano sociale non vi è più il riconoscimento
dell’aristocrazia, mentre l’esperienza intellettuale è riservata ad una cerchia
ristretta di intenditori di letteratura, i fedeli d'amore;
 il legame tra dolcezza 64 e significazione razionale. Il componimento procede
lungo due direttrici: la ricerca dell'eleganza, dolcezza espressiva e l'aspetto
argomentativo, razionale dei concetti che riguardano l'esperienza d'amore;
 nel commiato, si profila la presentazione della donna – angelo, la figura di una
donna angelica. Guinizelli si rivolge a Dio, dicendo: “ Non mi fu peccato se il mio
amore l’ho rivolto ad una creatura mortale da me amata, ma che è tanto bella da
somigliare ad un angelo ”. Si tratta di un’idealizzazione della figura femminile,
basata esclusivamente sulla bellezza della donna: la donna è tanto bella da
sembrare un angelo. Seconda la concezione dantesca, la donna – angelo è simile
per bellezza alle creature più vicine a Dio e si converte in una mediatrice tra
l'uomo e Dio, lo strumento attraverso il quale l'uomo raggiunge e ottiene la
salvezza;
 una nuova concezione della donna rispetto alla tradizione cortese. La donna della
poesia siciliana era una figura quasi mitica, rinchiusa all’interno delle mura del
castello, irraggiungibile, invocata ed evocata per la sua bellezza. La donna della
poesia stilnovistica la si incontra per strada, nelle Chiese. Passeggia insieme ad
63
Nucleo tematico che si coglie nella strofa centrale della canzone di Guinizelli.
64
Armonia, eleganza, elevatezza stilistica e linguistica.
altre donne e dona il proprio saluto all’uomo che è innamorato di lei 65. Il saluto si
converte in salute, salvezza, un modo per avviare gli uomini sulla retta via che
porterà alla salvezza.

Dante Alighieri

Vita Nuova

La Vita Nuova è la prima opera di Dante, scritta tra il 1292 e il 1293. La Vita Nuova è
un prosimetrum 66. In quest’opera, Dante rappresenta la propria esperienza
65

66
Si pensi, ad esempio, a Dante e Beatrice.

t
c
P
T
a
s
r
n
e
p
i
o
L’opera è formata da 42 capitoli. Ogni capitolo è formato da una parte in prosa, nella quale Dante espone le situazioni
che hanno determinato la composizione di un testo poetico che viene riportato successivamente. Si osservi la
composizione:
intellettuale e morale determinata dal suo amore per Beatrice. Racconta come questa
esperienza intellettuale e morale viene indirizzata dall'amore per Beatrice. Il Sommo
Poeta racconta come e dove ha incontrato Beatrice, come si è generato questo amore
che spira dentro e che determina la sua evoluzione intellettuale e morale. Dante
incontra per la prima volta Beatrice alla tenera età di 9 anni. La rincontra per una
seconda volta dopo altri 9 anni, all'età di 18 anni. Questi aspetti sono fortemente
simbolici: il 9 è multiplo di 3. Nell’età medievale, ogni aspetto ha una forte valenza
simbolica.

III capitolo

Poi che furono passati tanti die, che appunto erano compiuti li nove anni appresso
l'apparimento 67 soprascritto di questa gentilissima, ne l'ultimo di questi die avvenne
che questa mirabile donna apparve a me vestita di colore bianchissimo, in mezzo a
due gentili donne, le quali erano di più lunga etade; e passando per una via, volse li
occhi verso quella parte ovio era molto pauroso, e per la sua ineffabile cortesia la
quale è oggi meritata nel grande secolo, mi saluto e molto virtuosamente tanto che
me parve allora vedere tutti li termini de la beatitudine.

Interpretazione

Poiché erano trascorsi alcuni giorni, che erano seguiti al compimento dei nove anni
dalla prima manifestazione di Beatrice 68, nell'ultimo di questi giorni accadde che
questa straordinaria donna mi si manifestò vestita di colore bianchissimo in mezzo a
due gentili donne, che erano più anziane 69; e passando per una via 70 guardò nella
direzione in cui io mi trovavo ed ero molto pauroso 71, e per la inesprimibile cortesia
di Beatrice, mi salutò e molto virtuosamente 72, tanto che pensai di aver raggiunto il
massimo grado della beatitudine.

Capitolo XIV

67
Sinonimo del verbo manifestarsi. Beatrice è una sorta di epifania agli occhi di Dante.
68
Ogni volta che Dante si riferisce a Beatrice o alle cose che la riguardano direttamente impiega sempre attributi di
grado superlativo assoluto Beatrice è gentilissima, mentre le donne che l’accompagnano sono gentili.
69
La maggiore anzianità delle donne è una garanzia di tutela e di preservazione della virtù di Beatrice.
70
Beatrice è una donna borghese che appartiene alla società comunale. La figura femminile è considerata nella sua
dimensione reale. La poesia cortese rifletteva l’immagine della donna all’interno della società medievale. All’interno
della società cortese, la donna era una figura lontana, distaccata. Nella società comunale, la donna è libera di circolare
per le vie del comune in compagnia di altre donne.
71
La paura di Dante è il complesso di effetti sconvolgenti che amore determina sul suo animo. Guido Cavalcanti è uno
dei cantori dell'amore come fonte di morte, di dolore. Amore aliena l'uomo, lo priva delle sue facoltà vitali. Dante
afferma che amore è la somma virtù che move il sole e l'altre stelle. Ogni movimento dell’Universo è determinato da
Amore.
72
La figura di Beatrice è descritta con il massimo grado dell'espressività.
Appresso la battaglia de li diversi pensieri avvenne che questa gentilissima venne in
parte ove molte donne gentili erano adunate; a la qual parte io fui condotto per
amica persona, credendosi fare a me grande piacere, in quanto mi menava là ove
tante donne mostravano le loro bellezze. […] Sì che io credendomi fare piacere di
questo amico, propuosi di stare al servigio de le donne ne la sua compagnia. E nel
fine del mio proponimento, mi parve sentire uno mirabile tremore incominciare nel
mio petto da la sinistra parte e distendersi di subito per tutte le parti del mio corpo.
Allora dico che io poggiai la mia persona simulatamente ad una pintura, la quale
circundava questa magione; e temendo non altri si fosse accorto del mio tremare,
levai gli occhi, e mirando le donne, vidi tra loro la gentilissima Beatrice. Allora
fuoro sì distrutti li miei spiriti per la forza che Amore prese veggendosi in tanta
propinquitade a la gentilissima donna, che non ne rimasero in vita più che li spiriti
del viso […]

Interpretazione

Avvenne che, seguendo la battaglia dei miei pensieri su Beatrice, questa gentilissima
si recò in un posto dove si trovavano tante altre donne gentili; in questo posto fui
condotto da un amico, il quale pensava di farmi piacere, poiché mi portava in un
posto dove molte donne mostravano la loro bellezza. […] E io, pensando di
ricambiare il piacere al mio amico, mi misi anche io al servizio di queste donne
insieme a lui. E mentre mi stavo proponendo di mettermi al servizio di queste donne,
avvertii uno straordinario tremore che iniziò a manifestarsi nella parte sinistra del mio
petto e da lì si distese in tutto il corpo. Allora, preso da questo malore che cominciava
a diffondersi in tutto il mio corpo e temendo di cadere, mi appoggiai con le spalle ad
un affresco che circondava i muri del palazzo, facendo finta di niente; e temendo che
qualcuno si fosse accorto che stessi tremando, alzai gli occhi, e guardando le donne
che avevo intorno a me, vidi tra loro Beatrice 73. Allora i miei spiriti vitali 74 furono
completamente distrutti, poiché Amore agì con forza quando vide con tanta vicinanza
la gentilissima Beatrice. Gli spiriti della vista furono gli unici a rimanere attivi.

Gli effetti di amore producono un annullamento delle capacità vitali di Dante.


Successivamente, il Sommo Poeta supererà questa visione negativa e affermerà che
amore è fonte di salvezza e produce gioia, porta alla visione di Dio. Cavalcanti
approda ad una conclusione opposta. Lo Stilnovo non si può considerare una scuola
perché, al suo interno, vi sono poeti che hanno concezioni e modi di scrivere diversi

73
La vicinanza di Beatrice produce questo effetto devastante nell’animo di Dante.
74
Secondo le credenze medievali, il corpo umano era sostenuto da spiriti vitali, ognuno dei quali era preposto a guidare
una funzione vitale dell’organismo.
l'uno dall'altro, pur avendo una comune radice ideologica, ben sintetizzata nella
canzone Al cuor gentile rempaira sempre amore di Guinizelli.

Guido Cavalcanti

Guido Cavalcanti è uno dei massimi esponenti del Dolce Stil Novo. È autore della
canzone Donna me Prega, una delle più difficili intellettualmente nell’ambito della
letteratura italiana. Secondo la concezione cavalcantiana, la donna e Amore sono
potenze distruttrici delle capacità umane. Quest’aspetto si può cogliere anche nel
capitolo XIV della Vita Nuova. Dante, tuttavia, comprende che questa concezione di
Amore non lo conduce alla salvezza 75. Vi è un episodio in cui Dante osserva alcune
norme di comportamento di memoria cortese, tra le quali tutelare la propria amata dai
malparlieri, fingendosi innamorato di una donna che funge da schermo. Beatrice gli
75
Questo contrasto ideologico porrà fine all’amicizia tra Dante e Cavalcanti, legati da un sodalizio fraterno, consapevoli
di esser partecipi di una comune adesione ai fedeli d’amore.
nega il saluto, perché comprende che il Sommo Poeta è legato ad una concezione
d’Amore di stampo prettamente cortese. Occorre attribuire alla donna la funzione di
mediatrice tra uomo e Dio. Beatrice scende sulla Terra a miracol mostrare 76. Nel
momento in cui Beatrice gli nega il saluto, Dante comprende che deve dare un nuovo
indirizzo alla propria vita e alla propria poesia. Scrive la canzone Donne che avete
intelletto d’amore, che inaugura le nuove rime 77. Nella Divina Commedia, Dante
racconterà come Beatrice lo guiderà alla visione di Dio.

Tu m’hai sí piena di dolor la mente

I strofa

Tu m’hai sí piena di dolor la mente,

che l’anima si briga di partire,

e li sospir che manda ’l cor dolente

mostrano agli occhi che non può soffrire.

Parafrasi commentata

La mente del poeta è piena di dolore a causa della donna e dell’Amore che costei
suscita in lui, che l’anima vuole allontanarsi dal corpo, e i sospiri generati dal cuore
dolente mostra agli occhi che non può più sopportare l’enormità di quella sofferenza.

II strofa

Amor, che lo tuo grande valor sente,

dice: “È mi duol che ti convien morire

per questa fiera donna, che nïente

par che pietate di te voglia udire”.

Amore, sentendo la potenza distruttiva che promana dalla donna, si rivolge al poeta e
dice: “ Mi dispiace che tu sia costretto a morire a causa di questa donna, che nessuna
forma di pietà voglia sentire nei tuoi riguardi ”.

III e IV strofa

I’vo come colui ch’è fuor di vita,

76
Riferimento al sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare.
77
Beatrice è una figura angelica che guida l’uomo verso la salvezza.
che pare, a chi lo sguarda, ch’omo sia

fatto di rame o di pietra o di legno,

che si conduca sol per maestria,

e porti ne lo core una ferita

che sia, com’egli è morto, aperto segno.

Per effetto di quest’Amore così feroce che nasce in me dalla vista della donna,
girovago nel mondo come un automa che sembra, per chi lo guarda da fuori, avere le
sembianze di un uomo fatto di rame, di pietra o legno, che va in giro solo per effetto
di un marchingegno che ha il suo interno, e mostra nel cuore una ferita che è il segno
di come costui sia un uomo primo di anima.

La poesia comico – realistica

La poesia comico – realistica si contrappone alla esperienza letteraria dello Stilnovo.


Nella poesia comico – giocosa vengono rappresentati i valori della società comunale,
resi in maniera differente rispetto all’esperienza stilnovistica 78.

Cecco Angiolieri

Cecco Angiolieri 79 è uno dei massimi esponenti della poesia comico – realistica
trecentesca. Nella sua produzione poetica, composta esclusivamente da sonetti, vi è

78
(Vedi: Al cor gentil rempaira sempre amore).
79
Personaggio fiorentino che condusse una vita bizzarra e sregolata.
l’esaltazione dei valori materiali 80
della vita, svincolati da ogni prospettiva
ultraterrena.

S’i’ fosse foco, ardere’ il mondo

S’i’ fosse foco, ardere’ il mondo;

s’i’ fosse vento, lo tempestarei;

s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;

s’i’ fosse Dio, mandere il’en profondo;

s’i’ fosse papa, serei allor giocondo,

ché tutti’ cristïani embrigarei;

s’i’ fosse ’mperator, sa’ che farei?

A tutti mozzarei lo capo a tondo.

S’i’ fosse morte, andarei da mio padre;

s’i’ fosse vita, fuggirei da lui:

similemente farìa da mi’ madre.

S’i’ fosse Cecco com’i’ sono e fui,

torrei le donne giovani e leggiadre:

le vecchie e laide lasserei altrui.

Parafrasi commentata

In questo sonetto, vi è una forma paradossale di contrapposizione ai valori


tradizionali dell’epoca. Se fossi fuoco, brucerei il mondo; se fossi vento, lo
tempesterei; se fossi acqua, lo annegherei; se fossi Dio, lo distruggerei; se fossi papa,
sarei felice, perché imbroglierei tutti i cristiani; se fossi imperatore, sai cosa farei?
Taglierei la testa a tutti. Se fossi la morte, andrei da mio padre; se fossi vita, fuggirei
da lui: farei la stessa cosa con mia madre. Se fossi Cecco, come in realtà sono,
prenderei per me le donne giovani e belle: le vecchie e laide le lascerei agli altri.
80
Ad esempio, l’amore terreno e il gioco.
Nella conclusione del sonetto, si può cogliere la concezione di un amore sensuale e
materiale. Nella produzione letteraria stilnovistica, si coglie una concezione spirituale
di Amore.

“Becchin’ amor!”. “Che vuo’, falso tradito?” 81

“Becchin’ amor!”.“Che vuo’, falso tradito?”

“Che·mi perdoni”.“Tu non ne se’ degno”.

“Merzé, per Deo!”.“Tu vien’ molto gecchito”.

“E verrò sempre”.“Che sarammi pegno?”.

“La buona fé”. “Tu·ne se’ mal fornito”.

“No inver’ di te”. “Non calmar, ch’i’ ne vegno”.

“In che fallai?”. “Tu·sa’ ch’i’ l’abbo udito”.

“Dimmel, amor”. “Va’, che·ti veng’ un segno! 82”

“Vuo’ pur ch’i’ muoia?”. “Anzi mi par mill’anni”.

“Tu non di’ bene”. “Tu m’insegnerai”.

“Ed i’ morrò”. “Omè, che·tu m’inganni!”.

“Die tel perdoni”. “E·ché non te ne vai?”.

“Or potess’io!”. “Tegnoti per li panni?”.

“Tu tieni ’l cuore”. “E terrò co’ tuo guai”.

Parafrasi commentata

Cecco Angiolieri compone questo sonetto per farsi perdonare dalla moglie a causa di
un tradimento. Vi è una concezione dell’Amore nel quale prevale l’istinto sulla
ragione. Cecco si rivolge alla moglie, dicendo: “ Becchina 83, amore mio! ”. La
moglie gli risponde: “ Che cosa vieni a chiedere, falso traditore? ”. Cecco
81
Sonetto scritto in forma di contrasto. Ogni verso è diviso in 2 parti:
 nella I parte, Cecco parla ;
 nella II parte, la moglie risponde.
82
Espressione popolare toscana.
controbatte: “ Perdona questa mia scappatella ”. L’amata lo rimprovera, dicendo:
“ Tu non ne sei degno ”. Cecco afferma: “ Abbi pietà di me, per Dio! ”. La donna
contesta: “ Ti atteggi come una persona rammaricata e pentita ”. Cecco dichiara:
“ Sarò sempre sottomesso alla tua volontà ”. La donna gli chiede: “ Qual è la garanzia
di quello che mi stai appena dicendo? ”. Cecco replica: “ Devi credere nella mio
discorso ”. La donna risponde: “ Sei una persona maliziosa e non ci pensi due volte a
ricadere nel tradimento come hai appena fatto ”. Cecco afferma: “ Non sono così mal
fornito di fede quando mi rivolgo a te ”. Becchina lo ammonisce, dicendo: “ Stai
buono, perché ti conosco bene”. Cecco le chiede: “ Qual è stato il mio errore? ”. La
donna contesta: “ Sai bene che sono venuta a conoscenza del tuo tradimento ”. Cecco
risponde: “ Dimmi amore mio ”. Becchina gli augura un cancro, rivelandosi molto
ostile alle sue richieste di perdono. Il poeta si rivela falsamente sorpreso dall’augurio
di morte. L’amata controbatte: “ Non vedo l’ora ”. Cecco dice: “ Tu non parli bene ”
e la donna replica: “ Mi insegnerai ”. Il poeta contesta: “ Allora morirò ”. Becchina
afferma: “ Tu mi stai ingannando ”. Cecco spera che Dio possa perdonare la donna
amata per le cattiverie che pensa di lui. Becchina è ormai scocciata e invita l’amato
ad andar via. Il poeta non riesce ad abbandonarla, perché ne è profondamente
innamorato. La donna, ironicamente, risponde: “Sono io a tenerti stretto per i
panni?”. Cecco afferma: “ Tu trattieni il mio cuore ” e Becchina replica: “ Lo terrò
con i tuoi malanni ”. In questo componimento, vi è la rappresentazione del mondo
popolare.

Si noti con estrema attenzione la contrapposizione che si instaura tra la donna


stilnovistica e la figura femminile oggetto della poesia comico – realistica 84. A causa
di questa opposizione, nella poesia comico – giocosa si sconfina nella misoginia 85,
che si può cogliere nel sonetto Dovunque vai con teco porti il cesso di Rustico
Filippi.

Rustico Filippi

Dovunque vai, con teco porti il cesso

I strofa

Dovunque vai con teco porti il cesso,


83
Nome della moglie di Cecco Angiolieri. L’appellativo allude all’infedeltà della donna. Becchina è colei che tradisce
(nell’antico toscano, rende becco) l’uomo al quale si unisce. Becchina si contrappone a Beatrice in maniera
intenzionale.
84
La donna è legata a valori materiali e radicali, lontana dal modello ideale offerto dalla poesia stilnovistica.
85
Denigrazione della figura femminile.
oi buggeressa vecchia puzzolente,

che quale unqua persona ti sta presso

si tura il naso e fugge immantinente.

Parafrasi commentata

Dovunque tu vada, porti con te l’odore del cesso, o vecchia sudicia puzzolente, in
modo che qualunque persona ti stia vicino si tappa il naso e fugge immediatamente.

II strofa

Li dent’i le gengìe tue ménar gresso,

ché li tàseva l’alito putente;

le selle paion legna d’alcipresso

inver’ lo tuo fragor, tanr’è repente.

I denti nelle tue gengive producono tanto tartaro, che quasi intasano il tuo alito
puzzolente; questi oggetti dell'igiene personale profumano di legna del cipresso
rispetto alla tua fragranza, che è molto respingente.

III strofa

Ch’e’ par che s’apran mille monimenta

quand’apri il ceffo; perché non ti spolpe

o ti rinchiude, sì ch’om non ti senta?

Al punto che sembra che si aprano mille tombe quando apri bocca; perché non crepi o
non ti rinchiudi, in modo che non si senta più il tuo cattivo odore?

IV strofa

Però che tutto ’l mondo ti paventa:

in corpo credo figlinti le volpe

ta’ lezzo n’esce fuor, sozza giumenta.

Poiché tutto il mondo ti scansa, credo che nel tuo corpo ci sia una tana di volpi, tanto
cattivo odore ne viene fuori, o sudicia vacca. In questo componimento, Rustico
Filippi dipinge il ritratto di una donna vecchia, brutta e laida, in netta
contrapposizione con la donna virtuosa di memoria stilnovistica.

La poesia comico – realistica non è un genere subalterno, richiede lo stesso impegno


letterario della poesia aulica. Nonostante numerosi Giganti della nostra letteratura
appartengano al genere aulico, si sono avventurati anche nel mondo comico. Dante
non ha disdegnato di cimentarsi nella poesia comica e nello sperimentalismo. Il
Sommo Poeta intendeva saggiare le potenzialità espressive della lingua volgare.
Nell’ambito della sua vasta produzione letteraria, si ricordino le rime petrose 86 e le
rime aspre e chiocce 87. Degna di nota è la tenzone 88 tra il Padre della letteratura
italiana e Forese Donati.

Dante Alighieri

Tenzone tra Dante e Forese Donati

Rima LXXIII
Dante a Forese

Chi udisse tossir la mal fatata

moglie 89 di Bicci vocato Forese,

potrebbe dir ch’ell’ha forse vernata

ove si fa ’l cristallo,’n quel paese.

Di mezzo agosto la truovi infreddata;

or sappi che de’ far d’ogni altro mese!

E no lle val perché dorma calzata,

merzé del copertoio c’ha cortonese 90.

La tosse, ’l freddo e l’altra mala voglia

86
Componimenti dedicati alla donna pietra, che ha un cuore duro.
87
Si gode della loro lettura nei Canti dell’Inferno.
88
Scambio di sonetti in cui i due amici si abbandonano ad insulti scherzosi senza un intento offensivo.
89
Nella, moglie di Forese Donati.
90
Il termine si carica di un doppio significato: corto e originario di Cortona, città toscana vicina ad Arezzo, nella quale
fiorì un’importante industria laniera.
no ll’addovien per omor ch’abbia vecchi 91,

ma per difetto ch’ella sente al nido 92.

Piange la madre, c’ha più d’una doglia,

dicendo: “Lassa, che per fichi secchi

messa l’avre’ in casa il conte Guido!”

Parafrasi commentata

In questo sonetto, Dante accusa Forese di non prendersi cura della moglie. Chi
sentisse tossire la sventurata moglie di Forese, soprannominato Biccicocco, potrebbe
dire che forse ha passato l’inverno nel Paese 93 in cui si produce il cristallo. A metà
agosto la trovi raffreddata: immagina come deve stare in ogni altro mese! È inutile
che dorma con le calze, dato che la coperta è corta 94. La tosse, il freddo e gli altri
malanni non le capitano per la sua vecchiaia, ma per la mancanza che sente nel nido.
La madre di lei piange e ne ha più d’un motivo, mentre dice: “Ahimè, con una dote
modesta potevo farle sposare uno dei conti Guidi! 95 ”.

Dante Alighieri

Il Fiore

Il Fiore è una raccolta di 100 sonetti attribuita a Dante 96. Nella I parte della raccolta,
un'anziana donna istruisce una giovane fanciulla circa il comportamento giusto da
assumere nei confronti dei suoi corteggiatori. L’immagine della donna consigliera si
può accostare, secondo una prospettiva moralistica, alla figura misogina cantata da
Rustico Filippi. Si coglie la concezione di un amore sensuale e materiale, in linea con
il pensiero di Cecco Angiolieri.

Rima CLX
91
Gli spiriti vitali che si credeva fossero responsabili delle funzioni vitali. Dante insinua che la donna è avanti con gli
anni e risulta poco attraente agli occhi di Forese.
92
Allusione alle infedeltà coniugali dell’uomo o ai furti che costui compiva nelle case altrui. Nel sonetto Bicci novel,
figliuol di non so cui Forese è chiamato piùvico ladron.
93
Secondo la concezione aristotelica, il cristallo nasce dal ghiaccio portato da un vento freddissimo a temperatura
straordinariamente bassa. La regione è situata nell’estremo Nord.
94
Allusione oscena all’assenza del marito nel letto.
95
Allusione a Guido il Vecchio, fondatore della dinastia dei Guidi, citato da Dante nel XVI Canto del Paradiso.
96
Vi sono numerosi dubbi associati alla paternità dell’opera.
“E quando a sol’ a sol con lui sarai,

sí fa che tu gli facci saramenti,

che tu per suo danar non ti consenti,

ma sol per grande amor che tu in lui hai.

Se fosser mille, a ciascun lo dirai,

e sí ‘l ti crederanno, que’dolenti;

e sacche far sí che ciascuno adenti

indin ch’a povertà gli metterai.

Che tu se’ tutta loro de’ giurare;

se ti spergiuri, non vi metter piato

che Dio non se ne fa se non ghignar

ché sie certana ch’e’ non è peccato,

chi si spergiura per voler pelare

colui che fie di te cosí ingannato”.

Parafrasi commentata

Quando ti troverai da sola con lui, fai in modo di giurare e spergiurare il tuo amore
per lui, non ti concedere a lui per il suo denaro, ma solo perché lo ami. Farai lo stesso
giuramento ai tuoi mille corteggiatori, e quei poveri mal capitati ti crederanno
sicuramente; devi fare in modo che ciascuno di loro ci caschi finché non li ridurrai in
povertà. Devi giurare che sei tutta loro; se ti fai scrupolo di giurare il falso, non ti
preoccupare perché Dio non fa altro che divertirsi con queste situazioni. Stai certa
che non è peccato, perché la donna giura il falso con colui che abbocca alle sue bugie.
In questo componimento, si coglie la concezione di una donna brutta e moralmente
corrotta. L’anziana donna dona dei consigli per impossessarsi dei beni materiali.
Il mondo signorile

Tra il XIV e il XV secolo, il quadro storico del Belpaese è caratterizzato da una


rappresentazione fedele delle forme istituzionali di stampo medievale. La borghesia
intende ritagliarsi un ruolo di maggior spicco nella società. Si assiste al passaggio dal
comune alla signoria 97. La concezione di una realtà municipalistica va sbiandendosi.
I signori vogliono allargare i confini dei propri territori, scatenando conflitti con le
signorie vicini. Si verifica un superamento del Medioevo.

L’Umanesimo

97
Il potere è concentrato nelle mani di un unico signore.
Sul piano culturale 98, si assiste alla rivoluzione dell’Umanesimo, espressione del
mutamento della società italiana. Vi sono aspetti nuovi che caratterizzano
l’Umanesimo:

 la visione antropocentrica. Si assiste al passaggio da una visione teocentrica 99


della realtà ad una visione antropocentrica 100;
 la concezione umanistica dell’uomo. L’uomo è una creatura perfetta, che può
essere inscritta nelle forme geometriche più perfette 101. Ciascun uomo può
migliorare la propria condizione sulla Terra attraverso il lavoro e lo sfruttamento
delle proprie capacità costruttive. Il denaro è frutto del lavoro e si converte in uno
strumento efficace per migliorare il proprio status vitae. Si assiste all’elogio del
denaro in un trattato di Leon Battista Alberti, in cui si danno istruzioni su come
amministrare in maniera efficace. L’uomo determina il corso della propria
esistenza.
 il binomio indissolubile tra politica e cultura. Nel corso del Quattrocento, si attuò
il mecenatismo 102. Firenze, Milano, Mantova, Urbino, Ferrara si convertirono in
importanti centri politico – culturali, dove trovarono ospitalità molti rappresentanti
della cultura italiana;
 la rivalutazione del mondo classico. L’Umanesimo rappresenta un recupero della
cultura classica, che esprimeva in maniera diretta i valori e le esigenze della vita
terrena. La perfezione formale del mondo classico riflette l’equilibrio morale della
società di quel tempo. Gli intellettuali umanisti, tra i quali figura il Petrarca,
disseppelliscono numerose opere classiche dalle biblioteche italiane e le rendono
nuovamente fruibili alle persone di cultura. Si iniziano ad imitare i canoni di
perfezione, bellezza, eleganza del mondo classico. Nella letteratura trecentesca, il
volgare aveva dato grande prova di capacità espressive 103. In epoca umanistica, la
lingua latina ritorna ad esser impiegata nell’ambito della comunicazione culturale.
La letteratura del primo Quattrocento è prevalentemente in latino. Il Quattrocento
è veramente l’epoca della riscoperta dei classici? Il Sommo Poeta Dante
conosceva benissimo i classici 104. Gli Umanisti fruiscono delle opere classiche in
98
La cultura è il riflesso dei valori di una società.
99
Secondo la concezione teocentrica, Dio è al centro dell'Universo. L’Altissimo provvede a tutto, l'Uomo non può fare
altro che adeguarsi alla visione di Dio. L’Uomo Perfetto sa rinunciare alle tentazioni terrene e si sacrifica per godere dei
beni ultraterreni nell'aldilà. Si assiste ad una completa svalutazione dell'esistenza umana a favore della dimensione
ultraterrena.
100
Secondo la concezione antropocentrica, l'Uomo è al centro del mondo. Dio non scompare dall'orizzonte culturale, ma
è spinto ai margini di questa nuova prospettiva.
101
Si pensi all'Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci.
102
Tendenza a favorire le arti e le lettere, accordando un generoso sostegno a chi le coltiva.
103
Si pensi alla Divina Commedia di Dante, al Canzoniere di Petrarca, al Decameron del Boccaccio.
104
Nella Divina Commedia, compaiono numerose citazioni del mondo classico (Virgilio, Ovidio, Orazio, Lucano,
Cicerone, Tito Livio, Seneca).
maniera diametralmente opposta rispetto agli autori medievali. La cultura
medievale è priva di prospettiva storica. Il passato doveva essere inglobato nella
cultura e nel modo di vivere contemporaneo. Gli autori del passato potevano
essere concepiti come parte integrante della cultura contemporanea 105. Nel
Medioevo, il mondo classico è rimaneggiato in chiave cristiana. Nel corso del
Quattrocento, le opere classiche sono lette, studiate, ammirate ed imitate nella
perfetta consapevolezza che questa cultura appartiene ad un passato diverso dal
presente. Si diffonde il desiderio di comporre opere che restino nella memoria
collettiva delle generazioni successive. Questa operazione risulta pressoché
irrealizzabile se ci si limita ad attività di pura e semplice imitazione. Gli Umanisti
comprendono che occorre sfruttare la propria lingua naturale per confezionare
opere immortali. La letteratura volgare in lingua volgare riprende vigore nella II
metà del Quattrocento. Nel 1441, Leon Battista Alberti 106 indice il Certame
Coronario 107. Il risultato fu talmente deludente che il premio non fu mai
consegnato. La famiglia Medici incentivò la letteratura in volgare fiorentino.
Aumentò il prestigio culturale e politico di Firenze.

La poesia aulica del Quattrocento

Angelo Poliziano

Angelo Poliziano fu uno dei massimi esponenti del genere aulico del Quattrocento. Si
trasferì da Montepulciano presso la corte di Lorenzo de’ Medici 108, dove svolse la
mansione di precettore, istruendo i figli di Lorenzo. Il loro stretto rapporto di amicizia
durò fino al 1478, anno in cui fu organizzata la Congiura dei Pazzi 109. Lorenzo
105
Dante impiega Virgilio come sua guida. Il poeta latino era considerato come un profeta del Cristianesimo. Catone
l’Uticense era un pagano che si suicidò per amore della libertà . Secondo l’ottica cristiana, Catone si macchia di un
doppio peccato: ha un credo pagano e muore suicida. Nonostante abbia queste gravi colpe, Dante lo colloca come
guardiano del Purgatorio, regno di coloro destinati alla salvezza eterna. Secondo la concezione dantesca, Catone è
l’emblema della libertà.
106
Grande architetto, scrittore, intellettuale del Quattrocento.
107
Gara poetica in lingua volgare sul tema dell’amicizia.
108
Figura di spicco del Quattrocento italiano. Il Magnifico comprese che la cultura fosse uno strumento efficace per
aumentare la propria notorietà ed ottenere consenso verso il popolo. Lorenzo fece il suo ingresso nella scena politica
appena ventenne, ma si dimostrò abile nel continuare la linea inaugurata da Cosimo il Vecchio: la collaborazione tra la
politica e la cultura. Riuscì a donare grande prestigio a Firenze, operando su diversi fronti: garantì un lungo periodo di
pace, in seguito ai conflitti sanguinari tra le varie Signorie.
109
Cospirazione ordita dalla famiglia de’ Pazzi contro il Magnifico. In questo tragico evento, Giuliano de’ Medici perse
la vita. Il fratello Lorenzo decise di perseguitare tutti i partecipi della congiura.
inasprì il suo modo di fare politica, ma Poliziano dissentì. Nello stesso anno,
Poliziano si trasferì presso la corte dei Gonzaga a Mantova. Il Magnifico riuscì a
reintegrare Poliziano nella propria corte e gli venne assegnato un importante incarico
universitario. Uno dei componimenti più celebri del Poliziano è I’mi trovai, fanciulle,
un bel mattino.

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino

I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino

di mezzo maggio in un verde giardino.

Erano intorno vïolette e gigli,

fra l’erba verde, e vaghi fior novelli,

azzurri, gialli, candidi e vermigli:

nd’io porsi la mano a côr di quelli

per adornar e’ mie’ biondi capelli,

cinger di grillanda el vago crino.

Ma poi ch’i’ ebbi pien di fiori un lembo,

vidi le rose, e non pur d’un colore;

io colsi allor per empir tutto el grembo,

perch’era sí soave il loro odore

che tutto mi senti’ destar el core

di dolce voglia e d’un piacer divino.

I’ posi mente: quelle rose allora

ai non vi potrei dir quant’eron belle!

Quale scoppiava della boccia ancora,


qual’eron un po’ passe e qual novelle.

Amor mi disse allor: “Va’, co’ di quelle

che più vedi fiorite in sullo spino”.

Quando la rosa ogni suo foglia spande,

quando è più bella, quando è più gradita,

allora è buona a mettere in ghirlande,

prima che suo bellezza sia fuggita.

Si ché fanciulle, mentre è più fiorita,

cogliàn la bella rosa del giardino.

Parafrasi commentata

In questa ballata 110, Angelo Poliziano immagina di cogliere fiori profumati in un


giardino a metà maggio. Fanciulle, mi trovai un bel mattino di metà maggio in un
verde giardino. Tra l’erba verde vi erano violette e gigli, e bei fiori appena sbocciati,
azzurri, gialli, bianchi e rossi: allora allungai la mano per coglierne alcuni per
decorare i miei capelli biondi e cingere con una ghirlanda la mia bella chioma. Ma
dopo che mi fui riempita di fiori un lembo della veste, vidi le rose e non di un solo
colore: allora ne raccolsi alcune per riempirmi tutto il grembo, perché il loro profumo
era così dolce che mi sentii destare tutto il cuore di un dolce desiderio e di un piacere
divino. Feci attenzione: non potrei mai dirvi quanto erano belle quelle rose! Alcune
ancora stavano appena sbocciando, altre erano un po’ appassite e altre erano ancora
fiorite. Amore allora mi disse: “ Vai, cogli quelle che vedi più fiorite sullo stelo ”.
Quando la rosa distende ogni suo petalo, quando è più bella, quando è più piacevole,
allora si può mettere nelle ghirlande, prima che la sua bellezza sia fuggita. Allora,
fanciulle, mentre è più fiorita, cogliamo la bella rosa nel giardino. Il componimento è
una celebrazione dell’amore e della bellezza femminile. Questi versi richiamano il
carattere passeggero della vita. Occorre cogliere la vita nella giovinezza, perché il
tempo fugge. Si deve vivere con pienezza il momento. L’invito a godere dell’amore
finché si è giovani ricorre nel Trionfo di Bacco e Arianna di Lorenzo de' Medici. In
questa canzone, si coglie un senso di tristezza per il futuro. Il sereno abbandono al
piacere dei sensi rappresenta un nuovo motivo letterario.

110
Componimento popolare, formato da strofe di 6 versi ciascuna.
Angelo Poliziano

Stanze per la giostra

Le Stanze per la giostra 111 è l’opera più rappresentativa della letteratura aulica del
Quattrocento. La vicenda narra di Iulio 112, un giovane dedito esclusivamente alla
caccia. Il giovane fiorentino disdegna Amore. Cupido si vendica, trasformando una
ninfa in una bellissima cerbiatta bianca. Nel corso di una battuta di caccia, la cerva
conduce il giovane Iulio in una radura 113 e si trasforma in una ninfa, suscitandone
l’innamoramento. Cupido ritorna trionfante da Venere, mentre Iulio deve dimostrare

111
Poema mitologico volto a celebrare la corte medicea.
112
Nome latinizzato, che è la trasfigurazione mitica di Giuliano de’ Medici.
113
Si può stabilire una comparazione con il giardino fiorito (vedi: I’ mi trovai, fanciulle, un bel mattino).
di essere degno dell’Amore di questa ninfa 114, combattendo in una giostra 115. Questo
poemetto è volto a trasferire il mondo fiorentino contemporaneo su un piano di mitica
perfezione, secondo i moduli classici della cultura umanistica.

I atto

I strofa

Ah quanto a mirar Iulio è fera cosa

romper la via dove piú ’l bosco è folto

per trar di macchia la bestia crucciosa,

con verde ramo intorno al capo avolto,

colla chioma arruffata e polverosa 116,

e d’onesto 117 sudor bagnato il volto!

Ivi consiglio a sua fera vendetta

prese Amor, che ben loco e tempo aspetta;

Parafrasi commentata

Il giovane Iulio è impegnato nella battuta di caccia. Che cosa spaventosa è vedere
Iulio che si apre il cammino nel punto in cui il bosco si presenta più fitto per far
uscire alla luce del Sole la preda che sta inseguendo. Il giovane è adorno da una
corona di alloro, i suoi capelli sono arruffati e pieni di polveri, il sudore imperla la
sua fronte. Qui decise di attuare la propria feroce vendetta Cupido, che aspettava il
momento ed il luogo opportuno.

II strofa

e con sua man di leve aier compuose

l’imagin d’una cervia altera e bella:

con alta fronte, con corna ramose,

candida tutta, leggiadretta e snella.

114
Trasfigurazione mitica di Simonetta, la donna amata da Giuliano de’ Medici.
115
Sinonimo di torneo.
116
La figura del giovane Iulio è estremamente idealizzata.
117
Frutto della battuta di caccia, seriamente concepita e portata avanti.
E come tra le fere paventose

al gioven cacciator s’offerse quella,

lieto spronò il destrier per lei seguire,

pensando in brieve darli agro martire.

Cupido creò con aria leggera l’immagine di una cerbiatta superba e bella: aveva il
manto bianco, la fronte alta e le corna ramose. Si presentava agile ed elegante. Non
appena Iulio scorse la cerva in mezzo a tutti gli altri animali spaventati dalla battuta
di caccia, spronò lieto il suo cavallo al fine di inseguirla, pensando di ucciderla in
poco tempo.

III strofa

Ma poi che ’nvan dal braccio el dardo scosse,

del foder trasse fuor la fida spada,

e con tanto furor il corsier mosse,

che ’l bosco folto sembrava ampia strada.

La bella fera, come stanca fosse,

piú lenta tuttavia par che sen vada;

ma quando par che già la stringa o tocchi,

picciol campo riprende avanti alli occhi.

Inizialmente, scoccò vanamente delle frecce per colpirla, trasse la spada fuori dal
fodero e incitò con tanta foga il proprio cavallo, affinché si avvicinasse alla cerva. Il
fido destriero riusciva ad evitare qualsiasi ostacolo. Ad un certo punto della corsa, la
cerva appare stanca, sembra rallentare il passo; ma quando sembra che stia sul punto
di afferrarla, la cerva ritorna a distanziarlo con un piccolo passo.

IV strofa

Quanto piú segue invan la vana effigie 118,

tanto piú di seguirla invan s’accende;

tuttavia preme sue stanche vestigie,

118
Creata con l’aria da Cupido.
sempre la giunge, e pur mai non la prende:

qual fino al labro sta nelle onde stigie 119

Tantalo, e ’l bel giardin vicin gli pende,

ma qualor l’acqua o il pome vuol gustare,

subito l’acqua e ’l pome via dispare.

Quanto più inutilmente segue la vana creatura, tanto più si intestardisce invano nel
seguirla; continua a inseguire le orme della cerva, sta per raggiungerla, ma non riesce
mai a catturarla: come Tantalo è immerso sino al mento nel fiume Stige, e il bel
giardino gli fiorisce intorno, nel momento in cui vuol gustare l’acqua o il frutto,
improvvisamente essi spariscono.

V strofa

Era già drieto alla sua desianza

gran tratta da’ compagni allontanato,

né pur d’un passo ancor la preda avanza,

e già tutto el destrier sente affannato;

ma pur seguendo sua vana speranza,

pervenne in un fiorito e verde prato 120:

ivi sotto un vel candido li apparve

lieta una ninfa 121, e via la fera sparve 122.

Correndo dietro l’oggetto del suo desiderio, si era già per un gran tratto allontanato
dai suoi compagni, ma la preda non si avvicina di un solo passo e il cavallo inizia a
stancarsi; pur continuando a seguire la sua speranza vana, giunse in un prato fiorito e
verde: qui sotto un candido velo gli apparve una ninfa in un aspetto lieto. Nella
poesia polizianea, la natura partecipa al compimento di un quadro di perfetta
armonia.

VI strofa

119
Riferimento mitologico.
120
Riferimento alla stagione primaverile.
121
Creatura semidivina. Nell’antologia greca, era impiegata come ancella delle divinità principiali
122
Motivo classico della metamorfosi.
La fera sparve via dalle suo ciglia,

ma ’l gioven della fera ormai non cura;

anzi ristringe al corridor la briglia,

e lo raffrena sovra alla verdura.

Ivi tutto ripien di maraviglia

pur della ninfa mira la figura:

parli che dal bel viso e da’ begli occhi

una nuova dolcezza al cor gli fiocchi.

La cerva scompare dalla sua vista, ma Iulio ormai non prova interesse nei suoi
confronti; anzi tira le briglia al cavallo, che si ferma sul prato. Lì, preso dalla
meraviglia, contempla soltanto la bella figura della ninfa: gli pare che il viso e gli
occhi della creatura gli procurino una nuova dolcezza, che avverte nel cuore.

VII strofa

Qual tigre, a cui dalla pietrosa tana

ha tolto il cacciator li suoi car figli;

rabbiosa il segue per la selva ircana,

che tosto crede insanguinar gli artigli;

poi resta d’uno specchio all’ombra vana,

all’ombra ch’e suoi nati par somigli;

e mentre di tal vista s’innamora

la sciocca, el predator la via divora.

Come la tigre alla quale il cacciatore ha sottratto i figli dalla tana scavata nella roccia,
e lo insegue rabbiosa nella selva dell’Ircania, pensando che possa ucciderlo in poco
tempo; si ferma davanti all’ombra inconsistente, riflessa in uno specchio d’acqua, che
sembra somigliare ai suoi figli, e mentre indugia in questa contemplazione il
cacciatore si allontana del tutto.

VIII strofa
Tosto Cupido entro a’ begli occhi ascoso,

al nervo adatta del suo stral la cocca,

poi tira quel col braccio poderoso,

tal che raggiugne e l’una e l’altra cocca;

la man sinistra con l’oro focoso,

la destra poppa colla corda tocca:

né pria per l’aer ronzando esce ’l quadrello

che Iulio drento al cor sentito ha quello.

Cupido, nascosto negli occhi della bella ninfa, adatta la cocca della sua freccia alla
corda dell’arco, poi lo tira con il braccio muscoloso, a tal punto che le due estremità
dell'arco stanno per toccarsi; tocca la mano sinistra con la punta dorata della freccia,
la parte destra del petto con la corda: e la freccia viene scagliata ronzando nell'aria,
quasi nello stesso istante in cui Iulio la sente conficcarsi nel suo cuore.

IX strofa

Ahi qual divenne! ah come al giovinetto

corse il gran foco in tutte le midolle!

che tremito gli scosse il cor nel petto!

d’un ghiacciato sudor tutto era molle;

e fatto ghiotto del suo dolce aspetto,

giammai li occhi da li occhi levar puolle;

ma tutto preso dal vago splendore,

non s’accorge el meschin che quivi è Amore.

Ahimè, come diventò! Ah, come corse il grande fuoco in tutto il corpo del giovinetto!
Che tremore gli scosse il cuore in petto! Era tutto bagnato di un sudore ghiacciato;
invaghitosi del dolce aspetto della ninfa, non riesce più a staccarle gli occhi di dosso;
tutto preso dal suo bellissimo splendore, Iulio non si accorge che qui dimora il dio
Amore.

X strofa
Non s’accorge ch’Amor lì drento è armato

per sol turbar la suo lunga quiete;

non s’accorge a che nodo è già legato,

non conosce suo piaghe ancor segrete;

di piacer, di disir tutto è invescato 123,

e così il cacciator preso è alla rete.

Le braccia fra sé loda e ’l viso e ’l crino,

e ’n lei discerne un non so che divino.

Non s’accorge che Amore è lì, armato, con l’unico scopo di turbare la sua lunga
tranquillità; non s’accorge a quale potente nodo è già legato, non conosce i dolori
ancora le sue segrete pene amorose; è preso dal piacere, dal desiderio, e così il
cacciatore è preso nella rete. Fra sé e sé ne loda le braccia, il viso e i capelli, e nella
sua figura distingue un’aria divina che la rende particolarmente attraente.

XI strofa

Candida 124 è ella, e candida la vesta,

ma pur di rose e fior dipinta e d’erba;

lo inanellato crin dall’aurea testa

scende in la fronte umilmente superba.

Rideli a torno tutta la foresta,

e quanto può suo cure disacerba;

nell’atto regalmente è mansueta,

e pur col ciglio le tempeste acqueta.

La natura partecipa attivamente alle vicende umane. La sua pelle è bianca e candida è
la sua veste, anche se è dipinta di rose, di fiori e d’erba; i capelli ricci della testa
bionda scendono sulla sua fronte, umile eppure superba. Tutto il bosco contribuisce

123
Termine tecnico della caccia.
124
Allusione alla bellezza interiore.
ad esaltarne la bellezza e, per quanto possibile, allevia le sue pene; è regalmente
mansueta in ogni suo gesto e con il suo sguardo acquieta ogni tempesta.

XII strofa

Folgoron gli occhi d’un dolce sereno,

ove sue face tien Cupido ascose;

l’aier d’intorno si fa tutto ameno

ovunque gira le luce amorose.

Di celeste letizia il volto ha pieno,

dolce dipinto di ligustri e rose;

ogni aura tace al suo parlar divino.

Gli occhi scintillano di una dolce serenità, dove Cupido tiene nascoste le sue fiaccole;
l'aria intorno si fa tutta amena, ovunque la ninfa rivolga il suo sguardo pieno d'amore.
Ha il volto pieno di felicità divina, un dolce dipinto di ligustri e rose; ogni soffio di
vento tace al suo parlare divino.

La poesia comica del Quattrocento

Nel corso del Quattrocento, si moltiplicano le forme espressive del genere comico.
Numerosi Giganti della nostra letteratura si sono cimentati nell’esperienza comica. Il
Magnifico è uno dei massimi cultori della poesia aulica 125 quattrocentesca, ma non ha
disdegnato di cimentarsi nella poesia comica. Luigi Pulci 126 ha influenzato la
produzione letteraria comica di Lorenzo de’ Medici. Costui sviluppa un progetto
letterario legato alla composizione dei canti carnascialeschi 127 e delle canzoni di Arti
e Mestieri 128. In queste ultime, si può cogliere un sapiente gioco linguistico che
permette di interpretarli su un doppio piano di significato: letterale ed erotico. Il
125
Marsilio Ficino e Angelo Poliziano hanno influenzato la formazione classica di Lorenzo de’ Medici.
126
Autore del poema Il Morgante, che sfocia nel grottesco.
127
Canti redatti in occasione delle sfilate di Carnevale.
Magnifico pone mano a questo genere letterario 129, cercando di rendere sistematico il
discorso sul doppio livello semantico. Nel corso del Cinquecento, Francesco Verni
adotterà questo nuovo modo di poetare. Lorenzo pone mano al genere della satira del
villano 130. Il componimento Nencia da Barberino 131 si colloca nell’ambito di questo
genere emergente in epoca quattrocentesca.

Lorenzo il Magnifico

Nencia 132 da Barberino 133

In questo componimento 134, si narra la storia d’amore tra il rozzo pastore Vallèra e
Nencia. Il contadino descrive la bellezza della sua donna.

I strofa

Ardo d’amore et conviemmi cantare

per una dama che mi strugge il core 135,

c’ogn’otta 136 ch’i’ la sento ricordare 137

el cor mi brilla et par che gli esca fore.

Ella non truova di bellezze pare,

cogli occhi gitta fiaccole d’amore;

io sono stato in ciptà et castella

et mai non vidi gnuna 138 tanto bella.

Parafrasi commentata

128
Componimenti poetici che esaltavano le caratteristiche e le virtù dei mestieri maggiormente in voga nella società
fiorentina del tempo.
129
Si ricordi la Canzona de' Confortini. Il componimento è dedicato ai venditori di biscotti.
130
Componimenti che rappresentano il mondo rurale. Si noti la commistione di registri linguistici diametralmente
opposti.
131
Componimento in ottave. L’ottava è un tipo di metro che consente alla letteratura di avere una maggiore diffusione
in ambito popolare.
132
Diminutivo di Lorenza.
133
Ridente borgo nei pressi di Firenze, celebre per il proprio mercato.
134
Si ricordi lo stretto legame che si instaura con il poemetto Beca di Dicomano del Pulci.
135
I primi due versi hanno un’impostazione aulica.
136
Termine desunto dal linguaggio popolare.
137
Verso con un’impostazione popolare.
138
Tratto linguistico tipicamente popolare.
In questa prima ottava, si coglie una commistione di registri linguistici opposti. Sono
completamente posseduto dalla passione amorosa e sono obbligato a poetare a causa
di una donna che mi distrugge il cuore poiché, ogni volta che sento parlare di lei, il
cuore mi palpita e sembra uscire fuori dal petto. Nessuna donna le è pari in quanto a
bellezza, scaglia torce infuocate con gli occhi; sono stato in città e castelli e non ne ho
mai vista nessuna così bella come lei. Il Magnifico rappresenta in maniera realistica il
modo di parlare e i comportamenti dei personaggi popolari.

II strofa

Io sono stato a Empoli al mercato,

a Prato, a Monticelli, a San Casciano,

a Colle, a Poggionzi, a San Donato,

et quindamonte insino a Decomano;

Feghine, Castelfranco ho ricercato,

San Piero, e ’l Borgo, Mangona et Gagliano:

piú bel mercato che nel mondo sia

è Barberino, dov’è la Nencia mia.

In questa strofa, il contadino traccia i confini del contado fiorentino. Mi sono recato
al mercato di Empoli, a Prato, a Monticelli, a San Casciano, a Colle Val d’Elsa, a
Poggibonsi, a San Donato, a Greve e quassù in montagna a Dicomano; ho cercato a
Figline e Castelfranco, San Pietro, Borgo San Lorenzo, Mangona e Galliano: ma il
più bel mercato che ci sia al mondo è Barberino, dove si trova la mia Nencia.

III strofa

Non vidi mai fanciulla tanto honesta,

né tanto saviamente rilevata 139;

non vidi mai la piú pulita testa,

né sí lucente, né sí ben quadrata;

et ha du’ occhi che pare una festa,

139
Termine desunto dal linguaggio popolare fiorentino.
quand’ella gli alza ched ella ti guata 140;

et in mezzo ha el naso tanto bello,

che par proprio bucato col succhiello.

Non ho mai visto una fanciulla altrettanto onesta, né così saggiamente educata; non
ho mai visto una testa più pulita, o più lucente o così ben proporzionata; con quegli
occhi, quando li solleva per guardarmi, sembra una festa; al centro del viso, il naso è
così bello che sembra esser stato costruito con il punteruolo.

IV strofa

Le labra rosse paion di corallo,

et havi drento duo filar’ di denti

che son piú bianchi che que’ del cavallo,

et d’ogni llato ella n’ha piú di venti;

le gote bianche paion di cristallo,

sanz’altri lisci o iscorticamenti,

et in quel mezzo ell’è com’una rosa:

nel mondo non fu mai sí bella cosa.

La descrizione della donna è tipicamente di stampo petrarchesco. Le sue labbra rosse


sembrano di corallo, e dentro vi sono due file di denti che sono più bianchi di quelli
di un cavallo: in ogni lato, ne ha più di venti. Le sue guance bianche sembrano di
cristallo, senza bisogno di altro belletto, rosse nel mezzo quanto lo è una rosa, infatti
non si è mai vista una creatura altrettanto bella.

V strofa

Ben si potrà tenere aventurato,

chi fia marito di sí bella moglie;

ben si potrà tenere im buon dí nato,

chi arà quel fioraliso sanza foglie;

ben si potrà tener sancto et beato,


140
Tratto linguistico tipicamente popolare.
et fien contente tutte le suo voglie,

d’haver la Nencia, et tenersela im braccio,

morbida et bianca che pare un sugnaccio.

Si potrà definire fortunato colui che sposerà una donna così bella; si potrà definire
nato in un giorno fortunato, chi avrà quel fiore privo di impurità; potrà ritenersi santo
e beato e saranno soddisfatti tutti i suoi desideri, colui che avrà quel viso e se lo vedrà
tra le braccia, morbido e bianco che pare un pezzo di burro.

VI strofa

I’ t’ho aguagliata alla fata Morgana,

che mena seco tanta baronia;

i’ t’asomiglio alla stella dïana,

quando apparisce alla capanna mia;

piú chiara se’ che acqua di fontana,

et se’ piú dolce che la malvagía,

quando ti sguardo da sera o mattina,

piú bianca se’ che ’l fior della farina.

Ti ho paragonata alla fata Morgana, che si atteggia con tanta alterigia; ti paragono
alla stella diana, quando la vedo spuntare sulla soglia della mia capanna; sei più
limpida dell’acqua fonte, sei più dolce dell’uva di malvasia; quando ti osservo sia di
mattina che di sera, sei più bianca della farina raffinata.

La poesia comica quattrocentesca intraprende anche la via del genere nonsense 141. La
poesia del nonsense è priva di un significato logico – razionale. I componimenti sono
costruiti attraverso l’accostamento casuale di elementi diversi e lontani tra di loro. 

Domenico di Giovanni, detto il Burchiello 142

141
Esasperazione della linea del paradosso, rappresentata nel poema Il Morgante del Pulci.
142
Termine che deriva da burchia, strumento di incisione.
Domenico di Giovanni 143 è uno dei massimi rappresentati del genere nonsense. La
sua bottega divenne un centro di aggregazione politico 144 – culturale 145. Il giovane
Domenico fu imprigionato ed esiliato a Roma. Burchiello vuole proporre un’idea
diversa della realtà, della vita, del mondo e anche della letteratura. 

Nominativi fritti, e Mappamondi 146

Nominativi fritti,e Mappamondi,

E l’Arca di Noè fra due colonne

Cantavan tutti Chirieleisonne

Per l’influenza de’ taglier mal tondi.

La Luna mi dicea: che non rispondi?

E io risposi; io temo di Giansonne,

Però ch’i’ odo, che ’l Diaquilonne

È buona cosa a fare i capei biondi.

Per questo le Testuggini, e i Tartufi

M’hanno posto l’assedio alle calcagne,

Dicendo, noi vogliam, che tu ti stufi.

E questo fanno tutte le castagne,

Pe i caldi d’oggi son sí grassi i gufi,

Ch’ognun non vuol mostrar le sue magagne.

E vidi le lasagne 147

Andare a Prato a vedere il Sudario,

E ciascuna portava l’inventario.

143
Barbiere fiorentino vissuto sotto la signoria di Cosimo I. Nel Quattrocento, i barbieri svolgevano piccoli interventi
chirurgici: estraevano denti ed utilizzavano le sanguisughe per scopi terapeutici.
144
Covo di oppositori della famiglia Medici.
145
Si sviluppò un interesse nei confronti di una letteratura che contestava i modelli dell’Umanesimo classicista.
146
Sonetto caudato (vi è l’aggiunta di una terzina).
147
Schema metrico della terzina:
 settenario;
 coppia di versi endecasillabi.
Parafrasi commentata

Questo sonetto si inserisce in un contesto umanistico – classicista 148. Secondo la


concezione del Burchiello, la realtà è una commistione di disordine ed irrazionalità.
La poesia deve rappresentare la dimensione caotica e irrazionale della realtà. In
questo componimento, gli elementi linguistici si mescolano tra di loro senza alcun
criterio logico. Si criticano aspramente i principi fondamentali dell’Umanesimo
classicista la cultura dominante, dimostrando l’esistenza di una dimensione da cui la
poesia aulica prende le distanze. Nel tentativo di riprodurre la realtà su carta si coglie
il principio di imitazione 149, che rappresenta un topos della cultura umanistico –
rinascimentale. Secondo la concezione aretina 150, la letteratura è una perfetta
imitatrice della realtà, custode della Verità.

148
Si esaltava l’ideale del mondo ideale e perfetto.
149
Rappresentazione figurativa della realtà.
150
Il cinquecentista Pietro Aretino teorizza il principio di imitazione della realtà.

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