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Raffaello Sanzio, (Urbino1483, Roma 1520)

Se per Raffaello dovessimo identificare una “data del destino”, questa sarebbe di
certo quella del 6 aprile poiché nasce ad Urbino in quel giorno, nel 1483 e in quella
stessa data muore a Roma nel 1520. Dettagli della sua giovinezza e poi della sua
piena attività artistica vengono raccontati da Giorgio Vasari nelle sue “Vite”:
Raffaello è figlio di un pittore urbinate attivo presso la corte dei Montefeltro,
Giovanni Santi. Nella bottega del padre “si rende utile” sin dalla più tenera età
prima di iniziare il suo periodo di formazione vero e proprio a Perugia con Pietro
Vannucci, meglio conosciuto come Perugino. Col maestro Raffaello collabora fino al
1504, ma è un giovane ambizioso e desideroso di confrontarsi coi grandi maestri
del suo tempo; si trasferisce a Firenze perchè vuole conoscere Leonardo e
Michelangelo, che proprio in quel periodo lavorano nel capoluogo toscano. Nascono
i suoi primi capolavori come le numerose Madonne con Bambino e i ritratti, eseguiti
per le più importanti famiglie fiorentine. Alla fine del 1508 Raffaello parte per Roma,
chiamato dal papa Giulio II ad affrescare le Stanze Vaticane e il suo stile si evolve
verso forme più monumentali. Al lavoro degli affreschi vaticani si affiancano altre
importanti commissioni, soprattutto architettoniche, ville e palazzi, perché la grande
passione di Raffaello sarà l’arte del costruire e questo è ben manifestato anche
nelle sue opere pittoriche: la perfezione dei suoi inserimenti architettonici va ben
oltre la conoscenza di un pittore..
Infatti al tempo di Leone X, dopo la morte di Donato Bramante, architetto urbinate
della Fabbrica di San Pietro e amico di Raffaello, la sua attività si intensifica e
viene nominato Architetto della Fabbrica di San Pietro che lo impegna fino alla sua
morte prematura (37 anni)i. Sarà anche Sovrintendente alle Antichità, e come tale
si dedicherà allo studio di Vitruvio e all'esecuzione del rilievo di tutti i monumenti
della Roma antica.
Uomo brillante e dotato di eccezionale apertura mentale, Raffaello apprende in
continuazione, anche dagli altri artisti, non soltanto durante la sua formazione, ma
fino all'età più matura. Si interessa alla classicità ma anche alla sua cultura
contemporanea, entra in contatto con i protagonisti del pensiero neoplatonico e
stringe amicizia con letterati e intellettuali. Osserva e studia tutto ciò che ritiene
interessante per arricchire la sua personalità, per rielaborare e reinventare
seguendo una spinta creativa personalissima.
L’opera di Raffaello ha avuto un’eco notevole su tutta la produzione artistica
Ritratto di Raffaello, Incisione ottocentesca , Archivio Storico occidentale, per esempio il suo stile influenza la nascita e lo sviluppo del
del Comune di Mantova Manierismo, anche grazie agli allievi della sua bottega, che dopo la sua morte
verranno chiamati nelle diverse corti europee. Molti artisti dei secoli successivi si
ispirano alle sue opere. Tra questi: i bolognesi Carracci e Guido Reni, il lombardo
Caravaggio, inoltre Rubens, Velasquez, Ingres e Delacroix fino a Manet.
Raffaello, Sposalizio della Vergine, olio su tavola,1504,
Milano, Pinacoteca di Brera
Lo Sposalizio della Vergine è il capolavoro che sancisce l’ingresso
del giovane Raffaello nell’Olimpo della grande arte. L’artista ha solo
21 anni ed è questo, secondo il parere unanime dei critici, il dipinto
con il quale supera il maestro Perugino; il primo a notarlo sarà
Giorgio Vasari che nelle sue “Vite” li metterà a confronto. La
composizione deriva in realtà da un’idea di Perugino: un gruppo di
personaggi divisi in due schiere sono, in primo piano, davanti ad una
piazza, prospetticamente perfetta con sullo sfondo un tempio a
pianta centrale. Questo impianto lo troviamo nell’affresco Consegna
delle chiavi (1482) per la Cappella Sistina e lo Sposalizio della
Vergine (1503-1504) realizzato per il Duomo di Perugia, ora
conservato in Francia. Le somiglianze, soprattutto con quest’ultima
opera, sono indubbie, ma lo Sposalizio di Raffaello non è solo una
magistrale scena religiosa con la quale il pittore ha assimilato
l’insegnamento del maestro, è soprattutto la celebrazione di
un’epoca e dei suoi ideali, sembra dire: benvenuti nel pieno
Rinascimento.
Per decodificarne il messaggio è necessario analizzare la pala nei
suoi molteplici aspetti, che Raffaello affronta con cura e inventiva in
ogni dettaglio. La scena principale mostra vari personaggi: al centro
il sacerdote, simbolo di Cristo e anello di congiunzione formale e
simbolica tra i due gruppi di persone ai suoi lati, disposti in due
semicerchi. Il sacerdote sostiene le mani degli sposi mentre
Giuseppe infila l’anello nell’anulare di Maria; a lato di Giuseppe, vi è
un corteo di uomini, sono i pretendenti alla mano di Maria, tutti con
un ramoscello in mano. Ma l’unico fiorito è quello di Giuseppe che
in posizione più avanzata rispetto è, in segno di umiltà, a piedi
scalzi. Uno dei pretendenti, irato, spezza il suo ramoscello non
fiorito. (nota slide 4)
A sinistra vi sono giovani donne. con abiti drappeggiati, volti
dolcemente malinconici e movenze da danzatrici. Sullo sfondo nella
piazza alcune figure di passanti, che diventano man mano più
piccole per aumentare la profondità dello spazio.
Già ai suoi tempi lo Sposalizio della Vergine apparve come un’opera
di grande modernità; per rendercene conto è necessario
confrontare il dipinto di Raffaello con la pala di identico soggetto
dipinta dal Perugino.
Pietro Perugino, Lo Sposalizio
della Vergine 1501-1504 , Musée
des Beaux-Arts di Caen

Nonostante gli elementi della composizione siano gli stessi, l’effetto è decisamente differente. Una generazione di distanza e il genio di
Raffaello, trasformano una rappresentazione piena di grazia ma statica, come quella del Perugino, in una scena più naturale. Il
cambiamento che ha portato ad un’evoluzione sono il dinamismo delle figure, la caratterizzazione dei personaggi, i colori ricchi di calde
sfumature. L’atteggiamento dei corpi, nell'opera di Raffaello, è privo di tensioni, aggraziati nei movimenti e tra spazio esterno e figure vi è
un perfetto equilibrio; nessuno dei personaggi prevale sugli altri, perchè la scena è imperniata sul principio dell'armonia che resterà una
cifra distintiva del pittore per tutto il corso della sua carriera. I colori utilizzati da Raffaello che creano un’atmosfera calda, sono
perfettamente calibrati, dal tono ambrato della pavimentazione che mette in risalto, ma non in contrasto, colori più accesi come il blu, il
rosso, il giallo degli abiti; la luce che avvolge il dipinto, enfatizza l'atmosfera calda del pomeriggio, come testimoniano le ombre al suolo.
Anche lo sfondo con la struttura architettonica, si unisce armoniosamente con la scena delle nozze, fondendo i due piani in un insieme
privo di tagli netti.
Seppure molto bello, il lavoro di Perugino, appare quindi più statico nelle pose dei personaggi principali, dove i colori troppo netti e freddi,
tra il primo piano e lo sfondo, non sembrano armonizzare. Inoltre il tempio dà più l’idea di una quinta teatrale che di una composizione
architettonica, schiacciando la parte bassa, così che lo spazio risulta appiattito, dovuto anche dalla disposizione dei protagonisti su fasce
orizzontali.
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L’episodio del ramoscello fiorito
Secondo le storie di Maria dei vangeli apocrifi (proto vangelo di
Giacomo), quando la Vergine, appena uscita dal tempio di
Gerusalemme, dove era cresciuta, venne destinata alle nozze, il
criterio per scegliere lo sposo avvenne attraverso la distribuzione di
un ramo secco ad ognuno dei pretendenti. Il ramo di Giuseppe fu
l’unico che fiorì, indicando con un segno divino su chi doveva cadere
la scelta. L’iconografia dell’episodio mostra sempre almeno uno dei
pretendenti scartati che spezza il proprio ramoscello con una gamba
o il ginocchio.
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All''edificio di sedici lati (raddoppiati rispetto a quello del Perugino)


che dovrebbe rappresentare il tempio di Gerusalemme, Raffaello
dedica una cura speciale, mostrando familiarità con le novità
introdotte nell’architettura da Leon Battista Alberti e dal Bramante;
ricorda infatti il tempietto di San Pietro in Montorio che Bramante
proprio in quegli anni stava realizzando a Roma. E’ improbabile che
Raffaello vide dal vivo l’edificio bramantesco, non essendosi,
all’epoca, ancora recato a Roma, è però possibile che abbia visto i
progetti della costruzione, data l’amicizia che lo legava al più
anziano Bramante. Il portale è doppio e sul lato opposto si apre
su un paesaggio naturale. È sul portale che si incontrano tutte le
linee prospettiche, facendone il centro ottico del dipinto. Ma niente
risulta scollegato: i personaggi, la piazza, il tempio sullo sfondo, il
paesaggio serale, tutto contribuisce a dare un senso di continuità.
Come l’ideale rinascimentale propone: i tre criteri di un'opera
d'arte sono armonia, intensità e continuità.
Lo Sposalizio della Vergine di Brera è un’icona del Rinascimento
perchè attraverso la collaudata iconografia, spesso troppo rigida,
delle Nozze di Maria, Raffaello racconta un mondo nuovo.
Particolare del tempio dello Sposalizio della Vergine di Raffaello.
Sopra l'arco centrale la firma di Raffaello e la data
Deposizione Baglioni ( Trasporto di Cristo al
sepolcro),1507, Roma, Galleria Borghese La Pala Baglioni è una delle opere più rappresentative del primo
periodo di Raffaello e il soggetto uno dei più drammatici tra quelli
affrontati dal pittore, abituato a tematiche più serene. E' il primo
esempio, nell'arte italiana, di pala d'altare dedicata a questo tema,
facente parte di un polittico oggi smembrato. Come è documentato
da una lettera autografa di Raffaello e dalla testimonianza del Vasari,
l’opera fu commissionata dalla nobildonna perugina Atalanta Baglioni
ed era destinata alla cappella funeraria di famiglia nella chiesa di
San Francesco al Prato di Perugia. E' quasi certo che il soggetto
venne realizzato per ricordare il figlio della donna, Grifonetto,
assassinato il 15 luglio 1500 nel corso di alcuni fatti di sangue per il
dominio di Perugia e che alcuni storici identificano nel giovane
trasportatore visto di spalle, l’unico ad avere ben visibili sugli abiti
delle decorazioni gentilizie. Certo in quella scena di sepoltura, una
madre che aveva perso il figlio in modo così tragico, non poteva che
identificarsi.
La Deposizione è un racconto che si svolge vicinissimo ai nostri
occhi comunicando tutta l’intensità dell'evento. Tra i personaggi
maschili vi è Nicodemo, il più anziano, che sembra guardare verso
l’osservatore, dietro San Giovanni con le mani giunte, Giuseppe
d’Arimatea invece regge Cristo con estremo sforzo fisico,
trasportandolo al sepolcro il cui ingresso si scorge al margine sinistro
della tavola. Attorno al corpo di Gesù si stringono altre persone:
Maria Maddalena affranta con i capelli scompigliati, prende la sua
mano e nel delicato volto si legge il dolore, con la bocca
leggermente aperta come a sussurrare un lamento; a destra della
scena, Maria col velo blu sul capo, sviene, sorretta da tre giovani
donne, una le regge il capo reclinato sulla spalla e l’altra,
inginocchiata, allunga le braccia per sostenerla. Sullo sfondo, a
destra in alto, si scorge il monte Calvario con le tre croci. Al centro si
distende un paesaggio collinare con un castello, uno specchio
d’acqua e lontane montagne azzurrine velate di foschia, dipinte con
la tecnica dello sfumato e della prospettiva aerea.
Ma è l’influenza di Michelangelo ad essere particolarmente evidente,
sia nello studio dell'articolata composizione sia nei singoli
personaggi: come il giovane al centro, la torsione della donna
accovacciata a destra, inoltre lo stesso Cristo che appare come un
vero e proprio omaggio alla Pietà Vaticana.
La vicenda quindi si delinea tra Il Calvario dove Cristo è stato crocifisso e il Sepolcro dal quale risorgerà, cornici nella quale Raffaello mette in
scena il dramma e in cui ogni figura ha un ruolo preciso, una propria identità storica ed emotiva. L’intensità drammatica delle espressioni, non
prive di una certa teatralità, rivela come Raffaello puntasse alla manifestazione dei moti dell’anima, secondo la definizione di Leonardo.
Questa ricerca di forte caratterizzazione è documentata dai numerosi disegni preparatori (sopra solo alcuni) dove si vede lo studio e il lungo
e laborioso evolversi del progetto compositivo, reso progressivamente più drammatico e dinamico. Mentre altri pittori (precedenti e
contemporanei), quando si sono trovati a rappresentare questo preciso istante della storia di Cristo hanno scelto la Deposizione o il
Seppellimento, Raffaello decide di rappresentare un momento “intermedio”, con presenti entrambi i luoghi del tragico racconto, creando una
nuova iconografia.
Tanti studi compositivi per un dipinto, sono una testimonianza del particolare impegno che Raffaello rivolse a questa commissione, non tanto
per il prestigio sociale che ne derivava, quanto per il tema commemorativo-drammatico che gli si proponeva. Comprese l’importanza che
doveva avere l’effetto corale ed è per questo che ogni figura è indagata nel suo specifico ruolo sentimentale. Per Raffaello ogni gesto
raffigurato, ogni personaggio può assumere la dignità di un’opera d’arte.
La Deposizione Baglioni non è soltanto il suo primo capolavoro assoluto ma anche un’impresa che mette in luce quanto complesso e
avvincente sia il metodo di lavoro dell’artista.
Papa Giulio II, dopo la morte dello zio Sisto IV, volle onorare la sua memoria
Madonna Sistina, 1513, olio su tela, 265×196 cm,
attraverso la realizzazione di una pala che sarebbe stata posta nella chiesa del
Dresda, Gemäldegalerie
monastero di San Sisto a Piacenza, città di provenienza della sua famiglia i della
Rovere. Giulio II indicò a Raffaello anche chi doveva essere ritratto nella scena: la
Vergine ed il Bambino, San Sisto (Papa Sisto II morto nelle persecuzioni sotto
Diocleziano). La perfetta epifania si completa con due angioletti che paiono
presenziare sulla scena senza parteciparvi, appoggiati alla cornice del quadro,
come sospesi nei loro pensieri, forse aggiunti non a caso, ma per rappresentare
sei personaggi, probabile riferimento al nome del papa.
Quando Raffaello terminò il quadro, venne trasportato nella basilica piacentina, ma
nel 1754 i monaci lo vendettero ad Augusto di Sassonia: "Fate posto al grande
Raffaello", queste furono le parole con cui Augusto accolse nel 1757 a Dresda La
Madonna Sistina .

Tutto viene rappresentato come una quinta teatrale: una tenda verde scostata (di
cui si vedono in alto gli anelli passanti su un'asta leggermente inclinata) rivela
un'epifania. Maria incede scalza, circondata dalla luce e il movimento,
l’avanzamento verso l’esterno, è suggerito dalla pieghe della veste e del velo che
sembrano mossi da un leggero vento. E’ a figura intera e appare col Bambino in
braccio mentre guarda direttamente verso gli spettatori, coloro che idealmente
assistono alla scena. Il rapporto così diretto tra la divinità e il fedele diviene a
pieno diritto un elemento fondamentale della rappresentazione. Si ribaltano i ruoli:
non si tratta di una visione del divino da parte dei devoti, ma del divino che appare
e va verso i devoti. E la Vergine sembra ancora più vera perché Raffaello la
dipinge con dimensioni quasi reali, con il Bambino che, offerto alla devozione,
prefigura il suo sacrificio per la salvezza dell'umanità.
Anche San Sisto (con i tratti di Giulio II) accentua con il suo gesto il momento
teatrale, indicando verso l'esterno, verso un'invisibile folla di fedeli, evidenziando
la volontà di Raffaello di creare una relazione tra chi è dentro e chi si trova fuori dal
dipinto. Santa Barbara, a destra, con lo sguardo rivolto verso il basso, sembra
osservare i due putti ed ha alle sue spalle una piccola torre in lontananza; questo
perché, secondo la tradizione, Barbara sarebbe stata rinchiusa in una torre da
suo padre per essere istruita al paganesimo. Liberata tempo dopo, si convertì al
cristianesimo. Il bordo inferiore è trattato come un vero parapetto, dove San Sisto
ha appoggiato la tiara, come segno di umiltà nei confronti della Vergine.
I due puttini appoggiati e con lo sguardo diretto verso l’alto, riescono a creare
un’illusione spaziale straordinaria, facendo da tramite tra l'esterno, dove sono gli
spettatori e lo spazio da cui emergono la Madonna col Bambino e i Santi che
poggiano su morbide nuvole. Osservando il fondale si nota che dal bianco
emergono, in particolare vicino alle tende verdi, tanti volti di angeli, che
accompagnano l'eccezionale apparizione.
La Velata, 1516 ca, Palazzo Pitti a Firenze

Quello che colpisce è la grazia dei volti delle protagoniste. Difficile sapere chi furono le modelle ad ispirare Raffaello. Secondo le
testimonianze più accreditate la figura della giovanissima Madonna sarebbe la stessa modella che posò per Raffaello in due quadri molto
celebri del pittore, La Velata e La Fornarina ovvero Margherita Luti, figlia di un fornaio di Trastevere, che sarebbe stata la donna amata da
Raffaello durante il suo soggiorno romano. Nonostante la grazia dei lineamenti, Raffaello crea una Madonna quasi terrena, che ci viene
incontro senza corone, una donna vestita in modo semplice che porta in braccio il suo bambino, mostrando quell’intimità e dolcezza che
solo una madre e un figlio vicini riescono a ricreare. L'empatia di questa “donna” risiede proprio nella sua quotidiana semplicità.

Per Santa Barbara l'ipotesi prevalente è che abbia le sembianze della nipote del papa, Giulia Orsini, mentre altri hanno ipotizzato Lucrezia
Della Rovere, altra nipote del pontefice. Ma Raffaello scrisse una lettera al suo amico, Baldassare Castiglione, dicendo che 'per dipingere
una bella donna, avrei dovuto vedere diverse belle donne e scegliere ... ma poiché ce ne sono così poche ... faccio uso di una certa idea
che possa raccogliere qualcosa di queste . Se conduca all'eccellenza artistica non lo so, ma io lavoro per realizzarla'. Così questa bella
immagine di Santa Barbara non sarebbe la raffigurazione di una sola modella, ma un distillato di esperienze.
Quest'opera, seconda per fama forse solo alla Gioconda di Leonardo da Vinci, è uno dei dipinti ad aver maggiormente attratto a sé la
venerazione di cristiani, cattolici e ortodossi, ma è anche un quadro che ha travalicato la dimensione religiosa per offrire un termine di
paragone della bellezza umana, che trasformandosi in bellezza spirituale diviene grazia
Alla fine del 1508 Raffaello, venticinquenne, si
trasferisce a Roma, e riceve l’incarico da Giulio II di
decorare le stanze Vaticane. Il Papa ha intuito che il
giovane pittore ha la straordinaria facoltà di
Le Stanze vaticane, 1508-20 visualizzare le sue idee, trasformando in pittura temi
teorici di estrema difficoltà. Raffaello che è grande
artista ma non un teologo né un politico, raccoglie le
indicazioni volute dal Papa e dai letterati della curia e
ne dà corpo con la pittura, diventando a buon diritto
il grande interprete delle idee della chiesa romana nei
primi due decenni del secolo.
Se la Cappella Sistina rappresenta il cuore spirituale
del Vaticano, le Stanze di Raffaello ne sono il cuore
politico; questo perchè il vasto programma
iconografico rimanda sempre alla supremazia della
Chiesa, soprattutto come entità politica. Da un punto
di vista artistico sono un'antologia pittorica del
Rinascimento, pittura al massimo grado ma con la
duttilità di essere sempre al servizio di un’idea, per
questo le Stanze sono in seguito divenute, per secoli,
il luogo più visitato dai pittori non solo italiani ma di
tutta Europa, alla ricerca di un confronto e di un
riferimento.
L’occasione scatenante per la decorazione delle
Stanze, pare sia nata dal desiderio di Giulio II di
abitare altri ambienti, al primo piano, delle residenze
vaticane, non volendo usare l’appartamento già
utilizzato da papa Alessandro VI, papa Borgia, che
detestava.
L’incarico fu contestuale a quello affidato a
Michelangelo per la volta della Sistina, ma mentre
quest’ultimo terminò il lavoro nell’arco di quattro anni,
Raffaello continuò a lavorare alle Stanze per molto più
tempo, portando avanti contemporaneamente altre
grandi opere, anche architettoniche. Non riuscì però a
completare il lavoro a causa della prematura morte.
L’ultima stanza, quella detta di Costantino, fu
tour virtuale nelle Stanze Vaticane completata nella decorazione , dai suoi allievi, in
particolare da Giulio Pippi (Romano).
Le quattro Stanze , collegate una all’altra , hanno
convenzionalmente i seguenti nomi: Stanza
dell'Incendio, Stanza della Segnatura, Stanza di
Eliodoro, Stanza di Costantino.
La Stanza della Segnatura, contiene gli affreschi più famosi
del ciclo. L’ambiente prende il nome dal più alto tribunale della
Santa Sede, la "Signatura Gratiae et Iustitiae" (nel segno di
grazia e giustizia) a partire dalla metà del XVI secolo. In origine
la stanza fu adibita da Giulio II a biblioteca e studio privato e da
ciò deriva il programma iconografico, la rappresentazione
delle tre massime categorie dello spirito umano: il Vero, il
Bene e il Bello.

La Stanza di Eliodoro, nella quale si tenevano le udienze


private tra il pontefice e le massime autorità politiche, religiose,
diplomatiche, ha un programma volto a illustrare degli
episodi storici, che possono rimandare a fatti legati a
vicende loro contemporanee. Il nome della sala deriva da
uno degli affreschi delle pareti: La cacciata di Eliodoro dal
Tempio; inoltre nella stanza troviamo l' Incontro di Papa Leone
Magno con Attila, La liberazione di San Pietro e La Messa di
Bolsena

La scena a lato narra l'incontro, semi leggendario, avvenuto a


Governolo nel 452, tra Attila re degli Unni e Papa Leone I che
avrebbe convinto il capo barbaro a non invadere l'Italia.
L'Incontro di Leone Magno con Attila rappresentava quindi
protezione divina della Chiesa contro i suoi nemici e con questo
richiamo storico, Giulio II voleva alludere alla recente battaglia
di Ravenna del 1512, dove il Papa cercò di recuperare e
proteggere i territori romagnoli, ambiti dai francesi e occupati
dalla Repubblica di Venezia.

Stanza di Eliodoro, Incontro di Papa Leone Magno con Attila


Stanza di Eliodoro,
Liberazione di San
Pietro, 1512-1513 ca.

Nella stessa stanza Raffaello realizza La Liberazione di San Pietro. Come in un film mette in scena la storia narrata dagli Atti degli Apostoli
quando San Pietro, il primo Papa di Roma, incarcerato ingiustamente da Erode viene liberato grazie all'intervento divino, sfuggendo ai suoi
oppressori. L'affresco è diviso in tre scene: al centro l'apparizione di un angelo dietro la grata del carcere dove San Pietro giace
addormentato. A destra l'angelo guida San Pietro, come in un sogno, oltre la porta che lo renderà libero, mentre i soldati messi a guardia
sono addormentati sui gradini . A sinistra il risveglio dei soldati nella notte, che si affannano a cercare il fuggitivo.
Questo lavoro, dalle splendide creazioni prospettiche, si distingue per un dinamismo e una drammaticità che lo rendono straordinariamente
moderno, quasi un'opera cinematografica. La composizione divisa in scene, ma concatenate tra loro, ricordano la sequenza di uno story
board, o addirittura, di un fumetto; è così che riesce a presentarsi in tutta la sua forza allo spettatore moderno. La luminosità poi è
particolare. Raffaello ambienta la storia nel cuore della notte, giocando con la luce come mai era stato tentato da nessun artista. Il solo
confronto possibile è con Piero della Francesca nel suo Sonno di Costantino, a cui va il primato della prima raffigurazione della storia del
Rinascimento e probabilmente dell'intera arte occidentale, di una luce notturna, forte e simbolica, quasi metafisica,
La liberazione di Pietro rappresentava il trionfo del primo pontefice, per intervento divino, al culmine delle sue tribolazioni e,come l'Incontro
di Leone Magno con Attila, affermava il potere della Chiesa su qualsiasi autorità terrena.
La Stanza dell’Incendio di Borgo fu realizzata dopo la morte di Giulio II e il nuovo pontefice Leone X, diede a Raffaello un nuovo piano
iconografico: elaborare un programma legato alle figure dei pontefici con il suo stesso nome, in particolare Leone III (795-816) e Leone IV
(847-855), che naturalmente furono interpretati alla luce delle vicende attuali. Quattro gli affreschi alle pareti: Incendio di Borgo, Battaglia
di Ostia, Incoronazione di Carlo Magno da parte di Leone III, e il Giuramento di Leone III.
L’ Incendio di Borgo (immagine) allude alla funzione del Pontefice che, estinguendo gli incendi della guerra, riesce a stabilire una nuova
pace. La scena infatti si ispira ad un episodio del Liber Pontificalis secondo cui Leone IV, nell’847, avrebbe sedato le fiamme che
minacciavano la Basilica di San Pietro con la sola preghiera. Il papa e la basilica sono rappresentati nello sfondo, ma ad essi si affianca la
citazione letteraria virgiliana, ispirata all'Eneide, della fuga di Enea con il padre Anchise e il figlio Ascanio da Troia in fiamme; a sinistra
infatti si trovano Enea col padre sulle spalle, il figlio a lato e la moglie Creusa dietro.
La Sala di Costantino è la quarta e
ultima Stanza dell'appartamento.
Raffaello fece in tempo a realizzare
il cartone (immagine in alto,
conservato al Louvre) poi venne
decorata dai suoi allievi, in primis
Giulio Romano, completandola
entro il 1524.
Sviluppando i temi della Stanza di
Eliodoro e di quella dell'Incendio di
Borgo, la Sala di Costantino è
dedicata alla vittoria del
cristianesimo sul paganesimo e
all'affermazione e al primato della
Chiesa romana, con evidenti
richiami alla delicata situazione
contemporanea. Quattro sono gli
affreschi principali: Visione della
croce, Battesimo di Costantino,
Donazione di Roma, Battaglia di
Costantino contro Massenzio
(immagine).
L' imperatore Costantino, armato di
lancia su un cavallo bianco e
protetto in alto da tre angeli, avanza
calpestando i nemici; le truppe
avversarie tentano di ostacolarlo ma
si piegano davanti alla sua
inarrestabile avanzata, in basso a
destra è riconoscibile Massenzio per
la corona in testa, che sta
annegando con il suo cavallo. Sullo
sfondo il ponte Milvio, strapieno di
soldati che tentano di impedire il
passaggio all’esercito di Costantino.
Concluso l’impegnativo lavoro,
Giulio Romano verrà a Mantova per
realizzare Palazzo Te.

Battaglia di Costantino contro Massenzio


In alto il cartone realizzato da Raffaello.
Scuola di Atene nella Stanza della Segnatura Nella Stanza della Segnatura il tema
trattato è un autentico speculum
doctrinale, una summa delle teorie e
conoscenze dell’uomo che, attraverso la
ragione e lo studio, si pone al centro
dell’universo dominandolo, permettendo
di comprendere anche il divino senza
subirlo.
Per fare questo occorre affidarsi alle tre
principali facoltà dell’uomo:
la conoscenza della Verità, del Bene, e
del Bello.
La Verità è illustrata nella Scuola di Atene,
Il Bello nella rappresentazione del Parnaso
con Apollo e le Muse, circondati dai poeti
antichi e moderni. Infine il Bene è
rappresentato dalle Virtù Cardinali e
Teologali.
Tra questi affreschi il più iconico è la
Scuola di Atene.
Il tema della Verità è rappresentato dalla
scienza filosofica e matematica nel suo
complesso sapere, con un accurato studio
prima della realizzazione effettiva, infatti
sono rimasti diversi cartoni che
testimoniano l’evoluzione di questo lavoro,
come quello conservato alla Pinacoteca
Ambrosiana di Milano (immagine sotto).
L’affresco, esplorandolo dalla giusta
distanza, consente di scrutare con più
calma quei contorni e tutti i particolari che
completano la lettura.
Incorniciati in una grandiosa architettura
rinascimentale, rappresentata in perfetta
prospettiva e ispirata al progetto di
Bramante per il rinnovamento della Basilica
di San Pietro, si muovono 58 figure, i filosofi
e i matematici più celebri dell'antichità
intenti a dialogare tra loro e accompagnati
dagli strumenti o elementi che meglio li
identificano.
Molti personaggi sono identificati con le sembianze di artisti coevi del pittore. Al centro della scena c’è Platone, con le sembianze di Leonardo,
che punta il dito verso il cielo alludendo al mondo delle idee, mentre con una mano regge il Timèo. Accanto a lui Raffaello pone Aristotele,
con in mano l’Etica, il cui volto sembra ricordare quello del Maestro di prospettive Bastiano da Sangallo, che volgendo il palmo della mano
verso terra indica il principio razionalista della sua filosofia ( la filosofia aristotelica ha un carattere più realista ed empirista rispetto alla
filosofia platonica), Il punto di fuga della composizione sta tra questi due personaggi, come a volere indicare che la verità contiene
caratteristiche già intuite da questi pensatori e le cui teorie ebbero profonda importanza per lo sviluppo del pensiero occidentale. E'
attribuibile a questo la scelta del pittore di paragonarli agli intellettuali suoi contemporanei, proprio per esaltare un legame tra classicità e
cultura rinascimentale. A sinistra di Platone, girato verso un gruppo di giovani e con una tunica verde notiamo Socrate, Queste tre figure sono
legate poichè Socrate era il maestro di Platone e Platone di Aristotele.

1: Zenone 2: Epicuro (Fedra Inghirami) 3: Federico II Gonzaga 4: Empedocle 5: Averroè 6: Pitagora 7:Alcibiade 8: Antisthenes
9: Hypatia (il Sodoma)10: Senofonte 11: Anassagora 12: Socrate 13: Eraclito (Michelangelo) 14: Platone 15: Aristotele 16: Diogene
17: Plotino 18: Euclide (Donato Bramante) 19: Zarathustra (Baldassare Castiglione o Pietro Bembo) 20: Tolomeo R: Apelle
(Raffaello) 21: Protogene (Pietro Perugino)
Zenone con la barba bianca, si trova all’estrema sinistra
dell’affresco, mentre sta reggendo, insieme ad un bambino
(dovrebbe trattarsi di Federico Gonzaga, figlio del
marchese di Mantova Francesco II e di Isabella d'Este) un
libro ad Epicuro, che lo poggia sulla base di una
colonna. Epicuro pone il problema della felicità dell'uomo,
e nella sua soluzione di questo problema viene indicato il
compito essenziale della filosofia. Epicuro scrive a
riguardo sulla Lettera sulla Felicità.
...Vana è la parola del filosofo se non allevia qualche
sofferenza umana... Non si è mai troppo giovani o troppo
vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è
bello occuparsi del benessere dell'anima.

Proprio sotto la base della colonna, c’è un uomo, vestito di


rosa e bianco, intento a scrivere: è Pitagora che
sicuramente scrive le proprie riflessioni riguardo alla strana
immagine che compare sulla lavagna retta da un giovane
discepolo. Si tratta di un diagramma che mostra la
cosiddetta tetrattide, su cui doveva basarsi l’armonia
dell’universo (la successione aritmetica dei primi quattro
numeri interi positivi, un «quartetto» che geometricamente
«si poteva disporre nella forma di un triangolo equilatero in
modo da formare una piramide che sintetizza il rapporto
fondamentale fra le prime quattro cifre e la decade:
1+2+3+4=10). La raffigurazione completa della Tetrattide
rappresenta la sintesi del Tutto. Per i pitagorici infatti il 10
simboleggia l'Universo.
Avvolta da un manto chiaro è rappresentata Ipazia, la più
rilevante filosofa che ci viene tramandata dall’antichità
greca, originaria di Alessandria. Ragazza colta e filosofa
neoplatonica pagana, morta presumibilmente nel 415 d.C.
da una folla di cristiani in tumulto, era figlia del matematico
Teone; si occupò ella stessa di matematica e astronomia e
scrisse il “Commento all’Aritmetica di Diofanto; “Sulle
coniche di Apollonio” e un “Corpus astronomico”. (Viene
rappresentata con l’effige del pittore rinascimentale
Sodoma).
Passando al gruppo di destra, in alto Plotino vestito in
elegante drappo rosso; sotto, chinato, viene rappresentato
con le fattezze di Bramante, Euclide, impegnato nello
studio della geometria; è al centro di un gruppo di giovani
che seguono la sua spiegazione mentre disegna sulla
lavagna: due triangoli sovrapposti che formano una stella a
sei punte. In omaggio al grande Bramante , artefice forse
della sua fortuna, Raffaello appone la propria sigla,
R.V.S.M. ossia “Raphael Urbinas sua manu”, proprio sullo
scollo della tunica del grande filosofo greco. Dietro la
colonna viene rappresentato il pittore greco Apelle in un
autoritratto dell’artista, che guarda verso lo spettatore,
affiancato da Protogene con le sembianze del Perugino.
Davanti a loro Zaratustra che tiene in mano un globo
astronomico (all'epoca era ritenuto il fondatore
dell'astronomia) e di spalle Tolomeo con il globo terrestre,
scienziato alessandrino del II secolo d. C.
Raffigurato semi sdraiato sui gradini, seminudo, c’è Diogene, chiaramente identificabile sia per la postura scomposta che per la ciotola
leggendaria posata al suo fianco: Diogene era un uomo che oggi definiremmo eccentrico, abituato a vivere in una botte disprezzando
qualsiasi bene terreno e materiale. Si racconta che una volta, vedendo un ragazzo bere dall'incavo delle mani abbia distrutto l'unico oggetto
che possedeva, la ciotola appunto, rendendosi conto di non averne bisogno per dissetarsi. Platone, suo contemporaneo lo definì un
"Socrate impazzito". Un anarchico, un seguace della legge di natura piuttosto che del percorso teorico indicato dai più grandi filosofi, ma che
viene comunque inserito nella polis filosofica dipinta da Raffaello.
Un po’ isolato anche Eraclito che ha le fattezze di Michelangelo che non appare sul cartone preparatorio dell'affresco perchè aggiunto in
un secondo momento, o su invito di papa Giulio II o come tributo di Raffaello a Michelangelo,dopo la sua visita ai lavori della Cappella
Sistina nel 1511. L'identificazione con Eraclito, filosofo greco del V se. a.C. è basata soprattutto sull'atteggiamento "asociale" che ben
corrisponderebbe al personaggio che la tradizione ci racconta, come pure la postura tipica del "melanconico". Pensatore criptico ed oscuro,
nel Medioevo Eraclito veniva detto il "filosofo del pianto".

L’opera vuole quindi rappresentare un "manifesto" della concezione antropocentrica dell'uomo rinascimentale. L'uomo domina la
realtà grazie alle sue facoltà intellettive, al suo pensiero, collocandosi al centro dell'universo. Anche la precisa geometria che
accoglie la disposizione dei personaggi allude probabilmente alla fiducia dell'artista nell'ordine del mondo.

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