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Doppio ritratto
(Autoritratto
con un amico)
(1514-1515);
Parigi, Musée
du Louvre.
LA VITA | 17 |
esegue imponenti pale d’altare. Nel 1508 lascia incompiuta l’unica Studio per Psiche
pala d’altare commissionata per una chiesa fiorentina, la Madonna presenta a Venere
l’acqua dello Stige
del baldacchino per l’altare Dei in Santo Spirito, e parte per Roma, (1518 circa);
chiamato da papa Giulio II per decorare le stanze dei suoi nuovi Parigi, Musée
du Louvre.
appartamenti. Negli stessi anni in cui Michelangelo dipinge la volta
nella Cappella Sistina, Raffaello lavora agli affreschi della stanza Scuola di Raffaello,
Psiche presenta
della Segnatura fino al 1511, affrescando la Disputa del Sacramento,
a Venere l’acqua
la Scuola d’Atene, il Parnaso, le Virtù. Prosegue con le decorazioni dello Stige
della stanza di Eliodoro, fra cui gli affreschi raffiguranti la Cacciata (1518 circa);
Roma, villa Farnesina,
di Eliodoro e la Messa di Bolsena (1511-1514). Loggia di Psiche.
Intanto il banchiere senese Agostino Chigi gli commissiona alcuni
affreschi per la propria villa romana, la Farnesina (Trionfo di Galatea)
e per la cappella in Santa Maria della Pace. Nel 1512-1513 il Sanzio
compie opere che rinnovano profondamente la concezione della pala
d’altare: la Madonna di Foligno e soprattutto la Madonna Sistina.
Dopo la morte di Giulio II (1513), il nuovo papa Leone X Medici
affida a Raffaello molti incarichi, assolti dall’artista anche grazie
alla collaborazione di una valente equipe di collaboratori. Il Sanzio
comincia a interessarsi all’architettura. Lavora alla progettazione
della cappella Chigi in Santa Maria del Popolo a Roma, che
terminerà nel 1516. Alla morte di Donato Bramante (1514) ,
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Raffaello viene nominato architetto della basilica vaticana. Seguirà,
fra gli altri, il progetto, parzialmente realizzato, per villa Madama.
Nel frattempo assolve a numerose commissioni private. Tra il 1514
e il 1515 dipinge il Ritratto di Baldassarre Castiglione, la Madonna
della seggiola e l’Estasi di santa Cecilia. In questo periodo riceve
anche la nomina a sovrintendente agli scavi e alle antichità.
Per i palazzi vaticani, mentre procedono i lavori nelle Stanze ormai
delegati sempre più ai collaboratori, Raffaello realizza i cartoni per gli
arazzi destinati alla Cappella Sistina, affresca la Loggetta e la Stufetta
del cardinal Bibbiena, lavora alla decorazione delle Logge vaticane
avvalendosi di aiuti. Nel concepire queste ultime opere e gli affreschi nella
Loggia di Psiche alla Farnesina, Raffaello si confronta con grande libertà e
inventiva con le antichità romane, di cui era diventato “conservatore”.
Il 6 aprile 1520, a soli trentasette anni, Raffaello muore, all’apice della
sua fervida attività. Stava lavorando alla sua ultima grande opera:
la Trasfigurazione, commissionata dal cardinale Giulio de’ Medici.
Jean-Auguste-
Dominique Ingres,
Raffaello e la Fornarina
(1814); Cambridge,
Fogg Art Museum.
LA VITA | 19 |
I CAPOLAVORI
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I CAPOLAVORI | 23 |
Madonna e il Bambino in trono con i
santi Giovannino, Pietro, Caterina, Paolo,
Margherita; Padre eterno benedicente
fra due angeli (Pala Colonna)
1503-1505 (1504 circa attr.)
Olio su tavola, 172,4x172,4 cm la pala centrale, 74,9x180 cm la lunetta
-
New York, Metropolitan Museum of Art
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I CAPOLAVORI | 25 |
San Michele uccide il demonio
San Giorgio e il drago
1503-1505 circa
Olio su tavola, 30,9x26,5 cm (San Michele), 31x27 cm (San Giorgio)
-
Parigi, Musée du Louvre
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I CAPOLAVORI | 27 |
Il sogno del cavaliere
Le tre Grazie
Il sogno del cavaliere Le tre Grazie
1504-1505 1504-1505
Olio su tavola, 17x17 cm Olio su tavola, 17x17 cm
- -
Londra, National Gallery Chantilly, Musée Condé
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I CAPOLAVORI | 29 |
Sposalizio della Vergine
1504
Olio su tavola, 173,5x120,7 cm
-
Milano, Pinacoteca di Brera
Il dipinto fu commissionato dagli Albizzini per una cappella nella chiesa di San
Francesco a Città di Castello: la firma «RAPHAEL VRBINAS» e la data 1504 («MDIIII»)
sono visibili sopra l’arco centrale del tempio. L’opera rappresenta il momento di
massimo avvicinamento da parte di Raffaello ai modi del Perugino. Nello stesso
tempo il confronto con la pala peruginesca di analogo soggetto conservata in Francia,
al Musée des Beaux-Arts di Caen (1503), come pure l’affresco eseguito dal Perugino
nella Cappella Sistina con la Consegna delle chiavi – di vent’anni prima – permette di
evidenziare le differenze tra i due artisti. Il Sanzio ha un diverso modo d’intendere
la composizione e lo spazio. Più armoniosa è l’immagine dell’edificio, che diviene
punto d’incontro delle linee prospettiche della figurazione. Se nel Perugino figure
e architetture sono disposte per piani paralleli, in Raffaello i personaggi seguono
una disposizione semicircolare, che si armonizza con la centina della tavola, la
cupola e la serrata circolarità del tempio. L’edificio sacro raffigurato da Raffaello
si caratterizza per la sua modernità e ripropone tra l’altro la formula progettata
dal marchigiano Donato Bramante, attivo a Roma dal 1500, per i tempietti a pianta
centrale come quello romano di San Pietro in Montorio, realizzato intorno al 1502,
due anni prima di questo dipinto. Il restauro della pala di Brera, terminato nel
2009, ha rilevato una tecnica raffinata, con lievi velature negli incarnati, corpose
pennellate su panneggi e architetture, ricami d’oro e argento sugli abiti.
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I CAPOLAVORI | 31 |
Madonna del cardellino
1505-1506
Olio su tavola, 107x77 cm
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Firenze, Gallerie degli Uffizi
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I CAPOLAVORI | 33 |
Madonna col Bambino
(Madonna del granduca)
1506
Olio su tavola, 84x55 cm
-
Firenze, palazzo Pitti, Galleria Palatina
Il dipinto è così denominato perché fu acquistato alla fine del XVIII secolo da
Ferdinando III di Lorena, granduca di Toscana, su suggerimento dell’allora direttore
delle Gallerie degli Uffizi, Tommaso Puccini. Il granduca, da cui la tavola prende
il nome, amò talmente quest’opera da volerla sempre con sé, e sappiamo che nel
1799 se la fece addirittura spedire a Vienna, dov’era stato costretto a riparare a
seguito dell’invasione napoleonica (a Firenze sarebbe tornato solo nel 1814).
Tra le numerose tavole di Raffaello dedicate al tema, questa è senza dubbio
la più essenziale: rappresenta la Madonna in piedi, posta di tre quarti, con il
corpo leggermente ruotato a destra, mentre tiene il Bambino in braccio, che
a sua volta ha un movimento opposto, così da bilanciare la composizione.
Nella sobrietà dell’insieme, l’opera emana una religiosità semplice e tenera,
evidente nello sguardo dolce e sereno della giovane mamma e nel delicato
abbraccio del Bambino Gesù, che le poggia le manine sul petto e sulla spalla,
non solo a chiedere affetto, ma quasi a presagire un senso di protezione.
L’immagine si staglia su un fondo scuro. Viene talora ipotizzato che questo
fondo sia un’aggiunta di un intervento secentesco, ma l’indagine radiografica
ha dimostrato che dietro le due figure c’era in origine una finestra aperta su
un paesaggio, ed è possibile che si tratti di un pentimento di Raffaello, che poi
avrebbe lui stesso coperto col fondo scuro. Questa scoperta, insieme alle evidenti
reminiscenze leonardesche, consente di datare il dipinto intorno al 1506.
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Ritratto di Agnolo Doni
Ritratto di Maddalena Doni
1506 circa
Olio su tavola, 65x45,7 cm (Agnolo Doni), 65x45,8 cm (Maddalena Doni)
-
Firenze, Gallerie degli Uffizi
Nel 1504 Agnolo Doni sposò Maddalena, figlia di Giovanni Strozzi, e con la consorte
risiedeva nel palazzo di famiglia in corso dei Tintori a Firenze. Controversa è la
datazione dei due ritratti Doni, che stilisticamente paiono collocarsi nel 1506 in
prossimità della Madonna del cardellino e della Madonna del prato. Il ritratto di
Maddalena Doni rivela sensibili analogie con la Gioconda di Leonardo, in particolare
per la posa. L’indagine radiografica suggerisce che in un primo tempo Raffaello
aveva pensato di ambientare la composizione in un interno, aperto sul paesaggio
mediante una finestra. A differenza dei ritratti leonardeschi, più intimi, il dipinto
del Sanzio ha un’impronta più distaccata, tesa a ribadire lo status sociale della
gentildonna, che indossa abiti all’ultima moda realizzati con stoffe pregiate
e preziosi gioielli. Ispirandosi ai Ritratti di Federico da Montefeltro e Battista
Sforza compiuti da Piero della Francesca alla corte di Urbino, i due ritratti Doni
dovevano costituire un dittico e l’unità della loro concezione è sottolineata anche
dalla medesima fonte di luce. Nei pannelli del Sanzio è superata la rigidezza
e l’arcaicità del ritratto di profilo pierfrancescano, a favore di una più libera e
naturale impostazione spaziale, che deriva dai modelli fiamminghi e fiorentini, in
particolare leonardeschi, conosciuti da Raffaello in questi anni. Mercante facoltoso,
Agnolo era anche un aggiornato cultore d’arte e un raffinato collezionista e
commissionò a Michelangelo, verso il 1507, il dipinto raffigurante la Sacra famiglia
con san Giovannino meglio noto come Tondo Doni, oggi conservato agli Uffizi.
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I CAPOLAVORI | 37 |
Ritratto di donna con liocorno
(Dama con il liocorno)
1506 circa
Olio su tavola trasportata su tela, 65x51 cm
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Roma, Galleria Borghese
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Sacra famiglia con i santi Giovannino
e Elisabetta (Sacra famiglia Canigiani)
1507-1508
Olio su tavola, 131x107 cm
-
Monaco, Alte Pinakothek
Firmata «RAPHAEL VRBINAS» sulla fettuccia dorata che orna lo scollo del
vestito della Madonna, la tavola ha un’inconfondibile composizione a
piramide: al centro, in piedi, san Giuseppe appoggiato al suo bastone; alla
sua destra, inginocchiata, l’anziana Elisabetta che a lui rivolge lo sguardo.
La santa è raffigurata nella posa naturale e verosimile della madre che tiene
fra le ginocchia il figlio, ovvero san Giovannino, per farlo giocare. Dall’altro
lato sta Maria, seduta anch’essa sul prato con Gesù, che s’intrattiene con
Giovannino, in un realistico scambio di sguardi e giocosi ammiccamenti.
La tavola è ricordata nella casa della famiglia fiorentina dei Canigiani da Giorgio
Vasari (1568). Con ogni probabilità era stata commissionata a Raffaello da Domenico
Canigiani, in occasione delle proprie nozze, avvenute nel 1507 a ventuno anni appena
compiuti, con Lucrezia Frescobaldi. Canigiani, vicino alla famiglia Medici, ebbe poi
un ruolo diplomatico e politico di spicco nella storia fiorentina, con alterne vicende, e
morì nel 1548. Dunque la tavola si data tra il 1507 e il 1508, in un momento prossimo
alla Pala Baglioni. La struttura compositiva piramidale è ripresa dai dipinti di
Leonardo, ma si complica nell’intreccio delle figure, degli sguardi e dei moti affettivi.
Nelle figure del san Giuseppe e di sant’Anna sono evidenti motivi michelangioleschi.
Entrato a far parte delle collezioni medicee, il quadro fu portato in Germania da
Anna Maria Luisa de’ Medici andata in sposa dell’Elettore del Palatinato. Gli angeli
in alto fra le nubi sono stati rinvenuti in occasione di un recente restauro.
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Trasporto di Cristo al sepolcro
(Pala Baglioni)
1507-1509
Olio su tavola, 184x176 cm
-
Roma, Galleria Borghese
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I CAPOLAVORI | 43 |
Madonna col Bambino in trono,
i santi Pietro, Bernardo, Jacopo
e Agostino, e angeli
(Madonna del baldacchino o Pala Dei)
entro il 1508
Olio su tavola, 276x224 cm
-
Firenze, palazzo Pitti, Galleria Palatina
La pala fu commissionata a Raffaello dalla famiglia Dei per la propria cappella nella
basilica di Santo Spirito a Firenze, nell’ultimo periodo del suo soggiorno fiorentino.
Prima opera a carattere sacro richiesta al pittore a Firenze, rimase incompiuta nel 1508,
a causa della partenza di Raffaello per Roma, chiamatovi da papa Giulio II della Rovere,
zio di Francesco Maria della Rovere, all’epoca prefetto di Roma. Gli Dei dovettero allora
rivolgersi al Rosso Fiorentino per decorare la cappella, mentre la pala di Raffaello fu
poi acquistata da Baldassarre Turini, amico ed esecutore testamentario del Sanzio,
per la sua cappella nel duomo di Pescia. Qui l’opera di Raffaello risulta almeno dal
1550, ma nel 1697 fu fatta rimuovere dal gran principe Ferdinando de’ Medici, raffinato
collezionista, che la volle a Firenze nella propria quadreria granducale in palazzo
Pitti. Il gran principe la fece restaurare e completare da Niccolò e Agostino Cassana.
I due fratelli aggiunsero la striscia superiore in modo da armonizzare le dimensioni
con un dipinto di Fra Bartolomeo al quale doveva essere accostato in quadreria.
Composizione molto complessa, la pala reinterpreta in termini moderni le pale
d’altare del tardo Quattrocento veneto e la Sacra conversazione di Piero della
Francesca, oggi a Milano, Pinacoteca di Brera. La Madonna del baldacchino
presenta un impianto monumentale che influenzò Fra Bartolomeo, domenicano
del convento di San Marco e allora pittore affermato, come testimonia il
suo Matrimonio mistico di santa Caterina (Parigi, Louvre, datato 1511).
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I CAPOLAVORI | 45 |
Scuola di Atene
1509-1511
Affresco
-
Città del Vaticano, Musei Vaticani, stanza della Segnatura
Giunto alla fine del 1508 a Roma, Raffaello, divenuto pittore di corte di Leone X,
è incaricato di decorare le stanze al piano superiore degli appartamenti vaticani.
Gli ambienti designati dal papa dovevano distinguersi da quelli nei quali aveva
abitato lo «sciagurato» papa Alessandro VI Borgia. Mentre Michelangelo lavorava
alla Sistina, gli artisti già attivi in quelle stanze (come Perugino e Lorenzo Lotto)
furono licenziati per dare ampia scelta a Raffaello, che all’inizio del 1509 cominciò
a esser pagato. La prima stanza alla quale mise mano era destinata alla biblioteca
del papa, poi nota come della Segnatura perché divenuta sede del Tribunale dove
papa firmava i documenti. L’affresco omaggia filosofi, astronomi, matematici della
Grecia antica, disposti su vari piani e concatenati fra loro in un ritmo equilibrato.
Fra loro spiccano Pitagora, Eraclito (con il volto di Michelangelo), Platone (con
quello di Leonardo), Aristotele, ciascuno con i loro attributi. All’estrema destra,
di profilo, il giovane Raffaello. L’intero ciclo della stanza alludeva alle categorie
dello spirito umano, il Bene, il Vero, il Bello, e la Scuola di Atene ne rappresenta
la verità razionale, a confermare la natura filosofica dell’arte della pittura. La
grandiosa scenografia anticheggiante, con finti rilievi e statue, verso il fondo mostra
un ambiente a pianta circolare e ancora oltre, un arco che fa intravedere il cielo
con nuvole. Molti dettagli derivano da idee concepite in quegli anni da Bramante,
amico e rivale, che pare avesse disegnato per lui la prospettiva della scena.
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Trionfo di Galatea
1511
Affresco, 295x225 cm
-
Roma, villa Farnesina
La villa suburbana del senese Agostino Chigi, banchiere del pontefice, in prossimità
del Tevere, fu una delle più raffinate dell’epoca. Ideata da Baldassarre Peruzzi
attorno al 1509, è nota col nome di Farnesina, dalla famiglia Farnese che in seguito
l’acquistò. Raffaello vi contribuì con questo affresco al piano terra, in un ambiente
un tempo aperto sul giardino. Il trionfo di Galatea – una delle cinquanta nereidi, le
ninfe del mare figlie di Nereo e di Doride – è un soggetto mitologico desunto da una
favola tramandata da Teocrito e Ovidio, ripresa nel tardo Quattrocento dall’umanista
fiorentino Agnolo Poliziano nei celebri versi della sua Giostra. Il dipinto di Raffaello
si completa, sulla medesima parete, con un affresco di Sebastiano del Piombo, che
vi raffigurò Polifemo, infelicemente innamorato della nereide e geloso del bellissimo
Aci, amato dalla fanciulla. Della tragedia amorosa non trapela niente nella radiosa
e classica raffigurazione raffaellesca della ninfa che, tra le altre creature marine,
cavalca le onde su un cocchio a forma di conchiglia, trainato da due delfini guidati dal
fanciullo Palemone. In alto, tre amorini scagliano frecce sulla giovane. Volta verso
l’alto in una posa attorta a spirale, Galatea diventa la personificazione neoplatonica
dell’amore spirituale in contrapposizione all’amore carnale dei tritoni e delle ninfe
che la circondano, fra i quali, quasi in primo piano, spicca una coppia abbracciata.
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Liberazione di san Pietro dal carcere
1514 circa
Affresco, base 660 cm
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Città del Vaticano, Musei Vaticani, stanza di Eliodoro
L’affresco è datato sull’architrave della finestra «LEO X PONT MAX ANN CHRIST
MDXIIII PONTIFICAT SUI II» e fu dunque terminato, giusta l’iscrizione, quando papa
Giulio II era già morto e gli era succeduto papa Leone X. La stupefacente lunetta,
che Raffaello eseguì su un preesistente affresco di Piero della Francesca, raffigura
san Pietro, principe degli apostoli, primo papa e titolare della basilica vaticana,
imprigionato a Gerusalemme e poi liberato dal carcere grazie a un angelo che gli
appare in sogno. L’opera, ispirata agli Atti degli apostoli, si trova nella stanza che
trae il nome dall’affresco con la Cacciata di Eliodoro, ed è la seconda, dopo quella
della Segnatura, nella quale lavorò Raffaello a partire dal 1511. Era questa la sala
delle Udienze, e in questo caso fu scelta una decorazione apertamente politica, certo
in accordo col papa, per sottolineare l’autorità divina della Chiesa. Anche i toni della
composizione risultano più narrativi rispetto agli affreschi della sala precedente.
Nella scena di san Pietro in carcere, la cui figura attestava, secondo gli esperti di
diritto canonico, la legittimità politica del papa, Raffaello sfrutta magistralmente
l’apertura della finestra: in una cella che pare quasi sospesa sopra la finestra
reale, il santo appare illuminato dalla luce divina dell’angelo situato a destra,
mentre a sinistra i soldati rishiarati dalle fiaccole dormono sotto una pallida luna.
Contribuisce a un intenso senso atmosferico l’illuminazione naturale della finestra.
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Madonna col Bambino e san Giovannino
(Madonna della seggiola)
1513-1514 circa
Olio su tavola, diametro 71 cm
-
Firenze, palazzo Pitti, Galleria Palatina
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I CAPOLAVORI | 53 |
Estasi di santa Cecilia, fra i santi Paolo,
Giovanni evangelista, Agostino
e Maria Maddalena
1515-1517 circa
Olio su tavola trasportato su tela, 236x149 cm
-
Bologna, Pinacoteca nazionale
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Ritratto di Leone X con i cardinali
Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi
1518
Olio su tavola, 155,2x118,9 cm
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Firenze, palazzo PItti, Galleria palatina
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Trasfigurazione
1515-1520 circa
Tempera grassa su tavola trasportata su tela, 405x278 cm
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Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca
La grande pala raffigura in alto l’episodio di Cristo sul monte Tabor, così come
narrato nei Vangeli sinottici di Matteo, Marco e Luca. Gesù, affiancato in cielo dai
profeti Elia e Mosè, si trasfigura sotto gli occhi dei discepoli, sorpresi e abbagliati
dalla luce divina. In basso gli apostoli sono alle prese con un giovane indemoniato
che viene sorretto dai parenti che implorano aiuto. Le figure monumentali in primo
piano fanno da contrappunto drammatico alla scena altrettanto spettacolare della
trasfigurazione. Movimentate le vicende del grande dipinto, lasciato incompiuto
da Raffaello alla morte (6 aprile 1520). La pala gli era stata richiesta nel 1515 dal
cardinale Giulio de’ Medici, poi papa Clemente VII, per inviarla alla cattedrale di
Narbona in Francia, chiesa episcopale della quale era titolare. Il cardinale pensò
a una gara, e commissionò a Sebastiano del Piombo un dipinto per un diverso
altare della stessa chiesa. Sappiamo da varie testimonianze, come una lettera
di Michelangelo, che Raffaello non prese bene questa competizione. Inoltre, la
corte papale era all’epoca indispettita per il largo contributo di collaboratori alle
imprese del maestro. Tuttavia, in questo caso Raffaello si accollò interamente
l’impegno. La morte improvvisa lo colse quando aveva quasi terminato la parte
superiore e solo accennato l’inferiore. L’opera fu collocata accanto al suo feretro
e poi terminata da Giulio Romano e altri artisti. Dopo vari passaggi, fu trafugata
dai francesi nel 1797, ripulita malamente e restituita al Vaticano nel 1815.
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Sogni
appassionati