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Silesio Angelo

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I. Vita e opere. Angelus Silesius (l'angelo della Slesia) è il nome con cui Johannes Scheffler firma il
suo capolavoro, il Cherubinischer Wandersmann (Pellegrino cherubico) del 1657. Nato a Breslavia
nel dicembre 1624 da famiglia luterana, Johannes riceve un'ottima formazione umanistica in quella
città, per passare poi a Strasburgo, Leida, Padova, nella cui Università si addottora in medicina nel
1648. Poco sappiamo delle sue esperienze in questi anni nei quali matura la sua conversione al
cattolicesimo, avvenuta ufficialmente nel giugno 1653, a Breslavia. Da quel momento Johannes
abbandona la professione medica e si dedica sempre più alla meditazione e alla pietà: prete nel
1661, opera alacremente per riportare al cattolicesimo la Slesia (ci restano numerose sue opere
polemiche antiprotestanti), ma soprattutto offre l'esempio di quella abnegazione che costituisce il
fulcro anche della sua esperienza spirituale. Muore a Breslavia nel luglio 1677: nel discorso
funebre, il gesuita Daniel Schwartz testimonia che Johannes Angelus è stato uomo di virtù
veramente angelica.

Le opere poetiche silesiane rilevanti nella storia della mistica sono tre: il " Pellegrino cherubico ", la
" Santa gioia dell'anima " (1657), i " Quattro novissimi " (1675). Senza alcun dubbio, però, la prima
supera di gran lunga le altre due, che spesso non vanno oltre la mera edificazione. " Vaso di raccolta
della mistica occidentale ", come lo definisce Urs von Balthasar, Il Pellegrino cherubico consta di
cinque libri (un sesto è aggiunto nella ristampa del 1675) di distici rimati, a volte uniti in
composizioni più ampie in cui il poeta esprime, con mirabile brevità ed efficacia, le sue penetranti
intuizioni spirituali. Ultimo erede della grande tradizione mistico-speculativa medievale germanica,
che gli è stata comunicata dal fraterno amico Franckenberg, S. vi unisce infatti le forme tipiche
della mentalità e della spiritualità barocca del suo tempo: culto dei santi, devozione mariana,
meditazione sul S. Cuore e sulla croce, ecc. Il tutto sta però entro una cornice teologico-filosofica
che potremmo definire classica, ovvero costituita da quel platonismo dei Padri della Chiesa greci e
latini (soprattutto Agostino) in cui trova grande spazio la riflessione sulla virtù e sulla giustizia in
particolare.

II. Dottrina mistica. Nucleo essenziale della spiritualità silesiana è come in Eckhart il rapporto
amore-distacco. L'amore che lega alle cose, al prossimo e a Dio è, infatti, proprio quando si spinge
al limite estremo, distacco da se stesso e da tutti i legami che ruotano intorno all'io. Questo è il
distacco essenziale, chiave di volta di tutta la vita spirituale: la fine dell'io psicologico, centro di
radicale egoismo (che può prendere la forma anche di egoismo religioso, come volontà di
appropriazione del divino) apre alla scoperta dell'io più vero, non psicologico ma spirituale, che è in
noi, che ci costituisce davvero e, insieme, ci pone in unità con Dio. Perciò S. scrive distici come II,
30: " Uomo, fatti essenziale! Ché quando il mondo passaPassa anche l'accidente, ma l'essenza
rimane ".

Il cammino del distacco è quello che conduce al vero " sé ", ovvero che porta dall'anima allo spirito
- secondo le ben note linee dell'antropologia paolina -, portando a scoprire quel " fondo dell'anima "
(=Grund der Seele) che è la nostra essenza, ed in cui è sempre gioia e pace. Al di fuori di ogni
antropomorfismo, il fondo è Dio stesso, in cui ci muoviamo, viviamo e siamo. L'uomo essenziale di
cui parla S. (II,71) " è come l'eternità che non viene mutata dall'esteriorità ": perciò " deve
accendersi in te l'essenza di Dio " (II, 125). Dotato di ottima formazione filosofica e teologica,
nonché conoscitore profondo della tradizione mistica cristiana, S. evita, anche nelle sue
formulazioni più audaci e paradossali, ogni traccia di panteismo. L'unità che si stabilisce tra uomo e
Dio è in lui unità spirituale - unitas spiritus, secondo la bella formula di Guglielmo di St. Thierry -,
ed essa si compie nel modo eckhartiano della nascita del Logos nell'anima. Infatti, nell'atto di
amoredistacco, nell'esser vuoto di tutto - e soprattutto spoglio di se stesso - e tutto rivolto
all'Assoluto, al di sopra di ogni determinazione e di ogni riferimento a noi stessi, l'Assoluto stesso si
genera in noi in quanto Logos: " Davvero è generato ancor oggi il Verbo eterno! Dove? Qui, dove
in te hai perduto te stesso " (III, 188).

Conseguenza importantissima della speculazione silesiana è, ancora una volta come in Eckhart,
l'assolutezza del presente, sopprimendo ogni alienante differenza tra il tempo e l'eterno. Qui ed ora
l'anima è, in quanto spirito eterno, nell'eternità, al punto che " Se ti sembra più lunga l'eternità del
tempo, stai parlando di pena non di beatitudine " (II, 258).

Tanto grande è l'esperienza di gioia, di luce nel presente, che il mistico poeta paradossalmente può
concludere: " Tu dici che vedrai Dio e la sua luce: stolto, mai lo vedrai se non lo vedi già ora "
(VI,115).

Bibl. Opere: L'opera poetica silesiana è pubblicata da H.L. Held: Angelus Silesius, Saemtliche
poetiche werke, in 3 voll., München 1949-1952. A cura di G. Fozzer e M. Vannini è stato tradotto il
Pellegrino cherubico, Cinisello Balsamo (MI) 19922, con testo tedesco a fronte. Studi: Giovanna
della Croce, s.v., in DES III, 2312-2313; R. Pietsch, s.v., in DSAM XIV, 408-413; F.J. Schweitzer,
s.v., in WMy, 19-20; M. Vannini, Introduzione a Silesius, Firenze 1992.

Autore: M. Vannini
Fonte: Dizionario di Mistica (L. Borriello - E. Caruana M.R. Del Genio - N. Suffi)

La rosa è senza perché. Silesio nuovo fiammante


4 Repliche
  Silesio, o Angelus Silesius (l’Angelo, il Messaggero della Slesia), o Johannes Scheffler, è un
vertiginoso autore di aforismi. Il suo capolavoro si intitola Il pellegrino cherubico, e i cherubini sono
gli angeli fiammeggianti. Dal 1674 Il pellegrino cherubico non era certo invecchiato, ma a riproporlo
nuovo è ora Francesco Roat, con un corposo saggio e un’inedita traduzione di 200 aforismi scelti
dal poema mistico (ovvero filosofico, sapienziale, poetico) che porta al culmine una antecedente
ricca tradizione.
Come ha osservato Luciano Parinetto, «A differenza di quasi tutti gli altri mistici tedeschi a lui
precedenti, Silesius è prima di tutto un poeta e un letterato: la sua irrecusabile originalità consiste
nell’aver dato forma poetica, con insuperabile rigore stilistico/letterario, a concetti mistici che,
prima di lui, erano dislocati in opere, talora faticosamente leggibili, di religione, di pietà e di
teologia».

Di seguito, propongo alcuni brani dalla Prefazione al volume, di Marcello Farina, e una scelta di 16
aforismi. Necessariamente minima ma sufficiente, credo, a suggerire una più ampia
frequentazione dell’autore.

Francesco Roat
Beatitudine. Angelus Silesius e «Il pellegrino cherubico»
Prefazione di Marcello Farina, Collana “Il pozzo”
Ancora, Milano, 2019
160 pp., 18 euro

«Poco prima di morire, il grande teologo Karl Rahner (1904-1984) dichiarava in un’intervista che “il
cristianesimo del nuovo millennio o sarà mistico o non sarà”.
Quasi una profezia, si potrebbe dire, che si sta avverando, se si riconosce la grande e multiforme
richiesta di spiritualità che fiorisce in tutto il mondo, presso tutte le culture e le religioni del
pianeta terra. Da esse oggi fioriscono contributi di grande bellezza che non possono lasciare
indifferenti le donne e gli uomini del nostro tempo, consapevoli sempre di più che molti sono i
modi per giungere alla verità di se stessi e delle cose.
Ci si rende conto, sempre di più, che la vita spirituale è soprattutto “esperienza”, non
“dottrina”, ricerca di “pienezza”, non selezione di “parte”, “interiorità” abbracciante,
piuttosto che “esteriorità” che separa. […]
Non è, perciò, una forzatura chiamare “mistica” questa “nuova stagione” dello spirito umano, ricca
di testimonianze di un fecondo passato, ma a suo modo anche originale, più ecumenica, più
universale, capace di valorizzare personaggi ed esperienze ormai cosmopolite.
Anche lo “scomodare” la storia della mistica diventa, allora, un’operazione feconda, che
rimette in circolo testimoni privilegiati di un percorso che le donne e gli uomini hanno compiuto
nel tempo, vero “oceano infinito”, il cui fondo si allontana a misura che si avanza, la cui ampiezza si
estende senza fine.
Francesco Roat vi partecipa con questo suo testo dedicato a […] Angelo Silesio  (1624-1677) […],
indagandone con perizia e intelligenza l’itinerario spirituale e mettendone in evidenza la
straordinaria “modernità” […]. La sua è una vera e propria sfida: che cosa comporta, oggi, parlare
di Dio, una “sillaba sbiadita”, un nome, il più sovraccarico del linguaggio umano? Silesio, dal canto
suo, scrive una sorta di poema in versi, come per affidare alla poesia il compito di dire l’indicibile
[…].»

I.3
Via, via, serafini, voi non potete allietarmi:
Via, via, angeli tutti; e ciò che presso di voi risplende:
Io ora non vi voglio; io mi sprofondo solo
Nell’increato mare della nuda divinità.

I.8
Io so che senza di me Dio non può vivere un istante
Se io divengo nulla Egli deve di necessità morire.

I.10
Io son grande come Dio, Egli è piccolo come me;
Egli non può esser sopra di me, né io sotto di Lui.

I.21
Dio non dona nulla a nessuno: con tutti è generoso.
Cosicché, se vuoi Lui solo, Egli è solo tuo.

I.65
Dio è la cosa più povera, Egli se ne sta del tutto solo e libero:
Perciò io dico con buona ragione che povertà è divinità.

I.68
L’abisso del mio spirito chiama sempre a gran voce
L’abisso di Dio: dimmi, qual è più profondo?

I.289
La rosa è senza perché. Fiorisce poiché fiorisce,
Lei a se stessa non bada, non chiede che la si guardi.
II.162
Oh, se la mia anima rivolge attorno ed entro sé le sue fiamme,
Sarà presto folgore con la folgore e Uno.

II.188
Non c’è nessun inizio né alcuna fine
Nessun cerchio né centro, per quanto io mi giri.

II.209
La vera vacuità è come un nobile vaso,
Che nettare  ha dentro: ha e non sa cosa.

III.90
Fiorisci, gelido cristiano, maggio è alla porta:
Rimarrai sempre morto, se non fiorisci ora e qui.

III.112
Un cuore che si diletti con spazio e tempo
Non riconosce davvero la propria immensità.

III.117
Pensate, ovunque è Dio, il grande Geova.
Eppure non è né qui, né lì, né altrove.

IV.1
Il Dio indivenuto, immerso nel tempo, diviene
Quel che in tutta l’eternità mai è stato.

IV.10
L’uomo non ottiene piena beatitudine
Prima che l’unità abbia ingoiato l’alterità.

VI.263
Amico, è ormai abbastanza. Nel caso tu voglia leggere ancora,
Va’ e diventa tu stesso la scrittura e l’essenza.

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