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Henri Henri de Lubac

Sulle vie di Dio


HENRI DE LUBAC

SULLE VIE DI DIO


La prima edizione italiana (1959) di Sulle vie
di Dio ha meritato il consenso universale della
critica. Riportiamo una delle numerosissime recen­
sioni: « Dobbiamo essere grati a chi ha preparato
l'edizione italiana di questo libro ed è da augu­
rarsi che esso si diffonda largamente, perché non
conosciamo altri libri che meglio di questo possano
portare luce sul problema di Dio. Non è un trattato
nel senso comune del termine, né intende sostituire
le trattazioni sistematiche: sono suggestioni, illu­
minazioni, che mettono in movimento la riflessione,
a volte vere folgorazioni che aprono abissi di luce.
E questo ci sembra il metodo migliore, perché su
questo tema quello che importa è stimolare il
pensiero, mentre una trattazione che volesse es­
sere matematicamente chiara e troppo sistematica
può essere più di impedimento che di aiuto. A Dio
si giunge anche con il pensiero, che rimane indispen­
sabile, ma esso senza lo slancio di tutta l'anima può
essere insufficiente. Quello che più avvince in questo
libro oltre alla finezza ed alla novità con cui sono
presentate alcune verità è il grande afflato che lo
pervade: il tono stesso dell'esposizione e il calore
che tutta la ravviva ci fanno davvero sentire la
presenza e la grandezza di Dio. Un'altra caratte­
ristica del libro è quella di farci rivivere e sentire
con sensibilità nuova le ricchezze della tradizione.
La prima edizione francese dell'opera è stata
oggetto di critiche e di malintesi, quasi sempre
ingiustificati. L'A., nell'ultima edizione sulla quale
è stata ese�ta la traduzione italiana, ha voluto
chiarire ogm equivoco, sia controbattendo le accuse
e chiarendo i malintesi, sia confermando le sue
affermazioni con numerosissime citazioni tratte dai
Padri e dai Dottori della Chiesa. Impossibile riassu­
mere un libro come questo.
Talvolta noi crediamo di cercare Dio. Invece
è sempre Dio che ci cerca, e spesso Egli si fa
trovare da chi non Lo cercava.
Dio è presente al pensiero e alla volontà: di
qui la grandezza dell'uomo, ma anche la sua dipen­
denza. Il De Lubac chiarisce magnificamente l'affer­
mazione secondo cui pensare è sempre pensare
Dio. Perciò chi nega D10, pur non avvertendolo si
trova sempre in contraddizione, perché esplicita­
mente afferma che Egli non esiste, ma implicita­
mente con lo stesso atto di :pensare afferma che
Egli è: senza la sua luce non s1 potrebbe nemmeno
pensare e quindi neppure negarlo. SemQre minac­
ciata e quasi vicina a morire, l'idea di Dio in noi
è pure sempre rinascente. Sembra che tutto la
rovini, poiché tutto è scandalo per noi; ed ecco
che ciò stesso che sembrava rovinarla l'alimenta
di nuovo. Ogni giorno ci offre qualche nuova testi­
monianza. L'uomo non avrà mai finito di dibat­
tersi contro Dio. La lotta misteriosa di Giacobbe
con l'Angelo, lotta audace ma necessaria, necessaria
ma ineguale, è durata tutta la notte, tutta la notte
della nostra oscura storia» (Filosofia e Vita, 1961,
2, p. 81-82).
Una concezione atta a permettere l'armonia delle
facoltà umane e la sintesi delle conquiste scien­
tifiche, estetiche, morali e religiose, orientata
verso il destino ultimo dell'uomo, ha una sola
denominazione: cristiana - per quanto non
possa intendersi nel senso nettamente confes­
sionale - e un ambito pressochè sconfinato.
lA collana universale e Dimensioni dello spirito »,
che a tale concezione si ispira, ha tuttavia un tri­
plice limite. Essa intende fare la sua scelta tra i
Maestri del pensiero e della vita; di questi, inol­
tre, accoglie soltanto quelle opere che rechino
un messaggio universale e non strettamente tec­
nico, letterario, contingente; e, infine, non esor­
bita cronologicamente dall'età moderna e con­
temporanea. Da Pascal a Hello, a Leprince-Rin­
guet; da Newman a Rahner, De Lubac, Daniélou,
Journet, Balthasar; da Iribarren a Lortz; da
Fornari a Borsi; da Bloy a Péguy, Chesterton,
Belloc, Claudel; da Van der Meer a Guitton,
Thibon, De Luca, Castelli, Matteucci, Balduc­
ci, Barra; da Couturier a Dawson, Haecker,
Lotz, Bome, si ha una esplorazione sufficien­
temente ampia, nel tempo e nella latitudine,
dell'anima della nostra epoca, con le sue mo­
venze più profonde e i tratti salienti del suo
profilo storico. Attraverso il volto di quest'ani­
ma - che dalle ombre dell'errore e dell'odio
passa alle luminosità abbaglianti delle più alte
intuizioni e deduzioni, per le infinite sfumature
del suo tormento di verità e di assoluto - è pos­
sibile oggi più che mai intravvedere e la larghez.
za, la lunghezza, la sublimità, la profondità,.
dello spirito di Cristo che l'ha improntata di sè
e la scuote dall'abisso della sua carità « che su­
pera ogni scienza », affinchè sia ricolma e di
tutta la pienezza di Dio,. (Efesini, III, 18sg).
COLLANA DI CLASSICI DEL PENSIERO CRISTIANO MODERNO
DIRETTA DA
VALENTINO GAMBI

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HENRI DE LUBAC
SULLE VIE DI DIO
henri de Iubac

sulle vie di dio


seconda edizione

edizioni paoline
Titolo originale dell'opera
SUR LES CHEMINS DE DIEU
AuBIER - Editions Montaigne - Paris, 1956

Traduzione di M. Morganti

Se ne permette la stampa
Alba, 12 gennaio 1959
Mons. Pasquale Gianolio, Vie. Gen.

Visto 4873

© Copyright by EDIZIONI PAOLINE - ALBA


PREMESSA ALL'EDIZIONE ITALIANA

Crediamo opportuno premettere alle pagine indub­


biamente acute ma non sempre facili di Henri de Lubac
quanto scriveva I. Defever, S. I., in Nouvelle revue théo­
logique (1956, pp. 979-980):
« L'Autore di questo libro... è mosso dalla fervida
convinzione della Presenza, nel cuore stesso dell'abisso
che è l'uomo, di Colui la cui abissale ricchezza riempie
senza mai saziare le aspirazioni di quanti Lo cercano.
Egli vuole mettere i lettori - credenti e non credenti
con preferenza per gl'intellettuali - sulle vie che con­
ducono a Lui, per aiutarli a scoprire Dio nell'affermazio­
ne spontanea che costituisce il fondo e la forza viva del­
lo spirito umano. Per questo moltiplica e varia i punti
di vista e gli aspetti (l'origine dell'idea di Dio, c. 1; l'esi­
stenza di Dio, c. 2; la prova di Dio, c. 3; la conoscenza
di Dio, c. 4; l'ineffabilità di Dio, c. 5; la ricerca di Dio,
c. 6; l'attualità di Dio, c. 7).
» Tuttavia egli mira costantemente a presentarci la
stessa verità dell'Assoluto inconcepibile e ineffabile e a
provocare sempre la medesima risposta all'iniziativa di­
vina. Più che alle istanze dello specialista, de Lubac
cede a quelle dell'apostolo, preferendo il suggerimento

9
alla dimostrazione, anteponendo alla dissertazione l'in­
vito pressante alla riflessione e al dono di sé.
» Tali erano appunto lo scopo e il programma del­
l'opuscolo che il dotto gesuita francese pubblicava nel
1945 e nuovamente nel 1948 nelle "Editions du Témoi­
gnage Chrétien" sotto il titolo De la connaissance de
Dieu, nel quale l'uso troppo abbondante dell'aforismo,
dello scorcio e della suggestione poteva lasciare nello spi­
rito di alcuni lettori imprecisioni e ambiguità.
» Per evitare un'interpretazione che rischiasse di fal­
sare il suo pensiero l'A. ha rifuso l'opera aggiungendovi
numerose precisazioni e inserendovi nuovi capitoli ( qua­
li, soprattutto, il preliminare Abyssus abyssum invocat
e i due sulla ineffabilità e sull'attualità di Dio), provvisti
di quasi cento pagine di dense note.
» In tal modo, l'edizione - che ora presentiamo per
la prima volta al pubblico italiano - rivela la solidi­
tà della dottrina di cui è tutta intessuta, nonché la
vastità della documentazione. Siamo in piena esperienza
cristiana e in perfetta philosophia perennis, patristica,
scolastica e moderna. In queste pagine appare chiaramen­
te che l'Autore, ben lungi dal ritenere l'uomo incapace
di una dimostrazione razionale di Dio, giudica necessaria
una tale dimostrazione, sottolineando, nel contempo, che
il suddetto potere razionale sgorga da una energia spon­
tanea di affermazione, che, pur non avendo nulla del­
l'idea ontologica o innata, corrisponde nondimeno a quel­
lo che S. Tommaso chiama habitus primi principii o "abi­
tudine di Dio". Come tale energia passa all'atto si og­
gettivizza in concetti e in prove senza mai esaurirsi.
» Affrettiamoci a dire che, a nostro avviso, l'accre-

10
sciuto numero di precisazioni e di pagine non ha sot­
tratto nulla alla vivacità del dettato e alla forza di sug­
gestione dello scritto.
» Aggiungiamo che la massa serrata delle note ma­
nifesta l'alta competenza professionale e la straordinaria
erudizione dello scrittore...
» Indubbiamente, nelle "questioni libere" de Lubac
mantiene le sue personali opinioni, ma, rispondendo al­
l'attesa degli spiriti più disparati, non intende affatto la­
sciar cadere nessuna di quelle sfumature complementari
che il tesoro vivente del pensiero cristiano e anche sem­
plicemente umano getta sul mistero divino. Così, l'abile
artista, sicut bonus pater familias, tesse un magnifico flo­
rilegio di testi antichi e moderni con l'aggiunta delle più
significative preghiere innalzate a Dio.
» Bellissimo libro ricco di erudizione e di pietà, be­
nefico nella meditazione al pari della Presenza di Dio
che tutto lo pervade. Seguendo queste pagine si cam­
mina in Gesù Cristo sulle vie di Dio».
LA DIREZIONE

1 Quest'opera è la terza edizione, rifatta e assai accresciuta,


d'un opuscolo intitolato DB LA a>NNAISSANCB DE DIBU apparso
nelle Editions du témoignage chrétien (1945 e 1948). Sullo spi­
rito con cui questa nuova edizione è stata preparata e sul
significato del titolo, il lettore potrà trovare alcuni schiarimenti
nell'avvertenza in fine del volume.
Per non infittire le già dense note non abbiamo indicato
le corrispettive versioni italiane dei Padri contenute nelle se­
guenti collane:
Corona Patrum Salesiana, Sei, Torino;
Verba Seniorum e Collana Patristica, Edizioni Paoline, Alba­
Roma;
l Classici Cristiani, E. Cantagalli, Siena;
I pochi volumi del Corpus Paravianum, Torino.

11
« Quanto a me, sono convinto che il
dovere verso Dio, di gran lunga il più
importante della mia vita, è di parlare
di Lui in tutto ciò che penso e ciò che
dico"·
SANT'ILARIO, De Trinitate, I. I, c. 37.
citato da San Tommaso d'Aquino,
Contra Gentiles, 1. I, c. 2.

« lo non ho scritto mai nulla su quello


che è l'oggetto del mio sforzo».
PI.ATONE, lettera VII.

« Ciò che p1u manca agli uomini è la


conoscenza di Dio"·
F�NELON, Sentiments et avis chrétiens, I.

« Forte substomacharis, si adhuc pergi­


mus quaerere: quid est Deus? tum quia -
toties jam quaesitum est, tum quia diffi­
dis inventum iri. Dico tibi, Pater Eugeni,
solus est Deus, qui frustra numquam
quaeri potest, nec cum inveniri non po­
test"·
SAN Bf!RNAROO, De consideratione, I. V,
C. Xl, n. 24.

13
CONOSCENZA DI DIO

Nel cortile della ricreazione, all'uscita della cappella, un fan­


ciullo si faceva beffe della predica che aveva appena subita. Una
povera predica, come tante altre. V o/endo dire qualche cosa di
Dio, il predicatore aveva abbeverato il suo giovane uditorio con
un fiotto melato di formule astratte, devote, producendo su quel­
li, il cui spirito non era affatto sopito, un effetto quanto mai
ridicolo. La persona addetta alla sorveglianza, che era uomo di
Dio, chiamò il motteggiatore, e invece di rimproverarlo, gli
chiese con dolcezza: « Hai mai pensato che nulla v'è di più dif­
ficile che parlare di un tal soggetto? ». Il fanciullo non era uno
sciocco. Riflettè, e quest'incidente fu per lui come la prima presa
di contatto con il doppio mistero dell'uomo e di Dio.
Pur essendo assai differenti da tante prediche, può essere
che i pensieri che seguono non sembrino meno ridicoli. Voluta­
mente frammentari, non hanno la pretesa di sostituire le espo­
sizioni classiche, e neppure quella di aggiungervisi. Essi si pon­
gono piuttosta al loro margine, senza cercare di dissimulare
quella specie di imbarazzo salutare, in cui ogni intelligenza deve
sentirsi naturalmente sprofondata in simile caso. Non meno de­
liberatamente, essi s'interdicono di oltrepassare la soglia del
Mistero, in cui si alimenta la vita spirituale, nascosta agli occhi
del mondo, storia intima della Chiesa, che non si saprebbe
toccare con mano profana. Possano tuttavia essi, con la loro
stessa insufficienza, come con la loro pochezza, spingere qualche
lettore a riflettere! E possa questa riflessione condurlo oltre
ogni limite della parola e del pensiero umano, a trovare Dio!

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ABYSSUS ABYSSUM INVOCAT

Ha ragione Mosè o Senofane? Dio ha fatto l'uomo


a sua immagine, o non è piuttosto l'uomo che fa Dio
a immagine propria? Tutte le apparenze stanno per
Senofane, e tuttavia è Mosè che dice il vero. E, in fon­
do, Senofane ne conviene. Poiché egli non parla del
medesimo Dio, nè della medesima immagine, ed è per
questo che la disputa pare sempre aperta. L'intenzione di
Senofane, tuttavia, non è di negare la divinità ma, al con­
trario, di richiamarvi l'uomo, che si smarrisce tra gli dei
che si è creati 1• Un cristiano in questo non può che
approvarlo 2• Egli deve annoverare questo « intellet­
tuale rivoluzionario» nel numero di coloro che hanno
« schiuso la via» alla verità 3• Il suo disprezzo per gli
dèi antropomorfi riveste un significato eminentemen-
1 Rl!NouvIER ha ben visto l'importanza della critica di Seno­
fane; ma, conformemente alla sua tesi costante, egli se ne
duole, come di negatrice del solo Dio reale, il Dio completo e
antropomorfo. Hstoi.re et solution des problèmes metaphisU}ues
p. 15; Philosophie analytique de l'histoire, t. I (1896), p. 447.
2 Così fa CI.BMENTB ALEssANDRINO, VII Stromata, c. 1v.
8 « La teologia di Senofane, dice Werner Jaeger, sgorga
piuttosto da un sentimento immediato di rispettoso timore
dinanzi alla sublimità del Divino. :t;: questo rispetto che lo porta
a ricusare tutte le immagini meschine che le religioni tradizio­
nali tracciano degli dèi. Sebbene egli segua le vedute dei filosofi
naturalisti, ciò fa di lui una figura teologica unica. Il vigore

17
2. - Sulle vie di Dio
te positivo, e in realtà la sua voce risveglia nell'uomo
una complicità segreta. Essa vi suscita una forza, pri­
ma mal definita, che lo condurrà molto oltre la negazio­
ne dei suoi dèi. Prendiamo in questo senso uno dei suoi
echi più vicini a noi:

O mondo, tutto il male viene dalla forma degli dèi...


Perché porre dei Fantasmi al di sopra dell'Essere? 4

Via dunque tutte le proiezioni, le sublimazioni e


le creazioni delle nostre passioni o dei nostri sogni,
delle nostre paure o delle nostre collere, dei nostri desi­
deri o dei nostri incubi! Via questi dèi che « sembra­
no inventati appositamente dal nemico del genere uma­
no, per autorizzare tutti i delitti e per deridere la divi­
nità! » 5• Via questi dèi vani, che ci abbandonano a noi
stessi, e ci riconducono in schiavitù! Via tutti questi
falsi dèi!
Mosè non ha meno ragione per il Dio di cui egli
parla, per il Dio senza volto, per il Dio negatore di
tutti gli dèi umani. E questo Dio, che nega tutti gli
dèi dei nostri desideri, non è meno per questo il Dio,
il solo Dio del desiderio umano! Questo Dio, davanti
al quale tutto è come se non fosse, non è men per que­
sto il Dio, il solo Dio della nobiltà umana!
Ogni rappresentazione divina è tessuta d'elementi

religioso del suo pensiero, cioè la volontà d'una più grande


elevazione nell'immagine della divinità ecc.». The Theology of
the early Greek Philosophers, 3.a ed.; 1952; p. 49; cfr. p. 41.
" V. Huoo, La Légende des siècles, le Satyre. (Esistono varie
versioni italiane).
5 F�NELON.

18
presi dal nostro mondo, naturale o sociale; ma v'è nel­
l'uomo una forza che lo spinge sempre al di là: la for­
za stessa della sua ragione. Nel suo essere intimo, fatto
a immagine di Dio, già qualche cosa di cui egli non è
senza esperienza, sfugge a ogni rappresentazione. « Egli
porta in sé di che stupirsi, di che sorpassarsi infinita­
mente » 6• È là in ultima analisi ciò che gli permetterà
di conoscere Dio in verità. Abyssus abyssum invoca!.
Dio, dice Mosè, creò l'uomo a sua immagine. L'uo­
mo, commenterà la tradizione cristiana, è fatto a imma­
gine di Dio incomprensibile a causa del fondo incom­
prensibile dell'uomo stesso. « Chi può entrare in sé e
comprendersi? » 7• « Il nostro spirito porta l'impronta
della natura inafferrabile per il mistero che è in esso » 8•

L'abisso del mio spirito non cessa d'invocare con grida


L'abisso di Dio: di' qual è il più profondo? 9

e F�NELON, Traité de l'existence de Dieu, prima parte, cap.


II, no 52.
7 Tra tanti altri, SANT'AGOSTINO, De symbolo, c. I, n ° 2:

« Fecit et hominem ad imaginem et similitudinem suam in


mente: ibi est enim imago Dei; ideo mens ipsa non potest com­
prehendi nec a seipsa, ubi est imago Dei» (P. L., XL, 628); De
anima et ejus origine, I. IV, c. 6, n. 8 (,P. L., 44, 529). Cfr.
FRANCISCO TOLEDO, In primam partem sancti Thomae, q. I, a. I,
q. II (Roma. 1869, t. I, p. 20); Bossmrr, Elévations sur les My­
stères, 2a settimana, 6a elevazione a proposito della Trinità:
« Dio ha infuso nelle nostre anime... qualche cosa d'incompren­
sibile... Io sono a me stesso un mistero impenetrabile...»
(Oeuvres complètes, ed. F. Lachat, t. VII, 1862, pp. 36 e 38).
(Esistono varie versioni italiane).
8 SANT'EFREM. Cfr. EDMUND BECK, Die Theologie des hl.
Ephraem in Studia anselmiana, 21, p. 98 e p. 52. SAN GRBiORIO DI
NISSA, La creazione dell'uomo, c. XI (P. G., XLIV, 156 B).
9 ANGELO SII.ESIO, Il pellegrino cherubino, I, 68 (esistono due
versioni italiane, Firenze 1927, e Milano, 1942): Der Abgrund
meines Geister ruft immer mit Geschrei Den Abgrund Gottes:

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Non si può dunque dire che, nella sua radice, una
tale conoscenza sia un acquisto umano. È un'immagine,
una « impronta », un « sigillo ». È il segno di Dio su
noi. Noi non lo fabbrichiamo, non lo prendiamo a pre­
stito dal di fuori; esso è in noi, in noi così miserabili;
esso è noi stessi, o, meglio, più che noi stessi. Anteriore
ad ogni operazione intellettuale o volontaria, supposta
da ogni coscienza, la nostra iniziativa non c'entra per
nulla. Di essa è dunque vero e indispensabile affermare:
« Auctor nobis de Deo, Deus est; non nisi se auctore
cognoscitur » 10• « Deum scire nemo potest, nisi Deo
docente » 11• Ciò non è sopprimere la nostra attività
naturale: è indicare la sua condizione fondamentale e
la garanzia della sua rettitudine. Non è sostituire un
altro principio alla ragione: è scavare sino alle sue fon­
damenta, rimontare alla sorgente. È dire, ad un tempo,
con S. Tommaso d'Aquino e seguendo l'insegnamento
di S. Paolo 12, che Dio, il Dio creatore, ci si manifesta

Sag welcher tiefer sei? Cfr. TAULERO, Sermone 44. (vers. ital. Fi·
renze, 1929).
10 SANT'ILARIO, De Trinitate, I. V, c. 21 (P. L., X, 143).
11 SANT'IRENEO, Adversus haereses, I. IV, c. vr, n. 4 (P. G.,
VII, 988).
12 S. LYONNET, S. J., Quaestiones in Epistolam ad Romanos,
prima serie, (Romae, 1955), c. II, De naturali Dei cognitione,
Rom., 1, 18-23, p. 68-108. P. 78, sul versetto 19: « Deus enim
manifestavit: non mera tautologia; emphasis enim ponitur in
actione Dei: ita factum est quia ipse Deus manifestavit illud "•
e sul versetto 20: « Explicatur quomodo Deus manifestaverit....:
ex mundo creato et lumine intrinseco... "· SAN TOMMASO D'AQUINO,
In Epist. Pauli ad Romanos, cap. 1, lectio 6: « ••• Deus autem
dupliciter aliquid homini manifestavit. Uno modo infundendo
lumen interius, per quod homo cognoscit: Psalm. 42, 3: « Emitte
lucem tuam et veritatem tuam ». Alio modo proponendo suae
sapientiae signa exteriora, scilicet sensibiles creaturas, Eccl., 1, 10:

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per mezzo delle sue opere come un libro, e che egli è
ancora al principio della conoscenza, che dobbiamo
acquistare con l'esercizio della nostra ragione naturale.

« Effudit illam, scilicet sapientiam, super omnia opera sua ».


Sic ergo Deus illis manifestavit, vel interius infundendo lumen,
vel exterius proponendo visibiles creaturas, in quibus, sicut in
quodam libro, Dei cognitio legeretur». lbid.: « Deinde cum dicit
"Deus illis manifestavit", ostendit a quo auctore hujusmodi
cognitio eis fuerit manifestata...» (In questo commentario, ha
scritto MARTIN!, Prefazione alla Epistola di San Paolo ai Romani,
San Tommaso ha raccolto « il fiore della dottrina dei Padri»).
Cfr. De Magistro, a I . S. IRENEO, op. cit. 1. IV, c. V, n. 1: « Quo­
niam impossibile erat sine Deo discere Deum, per Verbum suum
docet homines scire Deum »; c. VI, n. 6: « Per ipsam conditionem
revelat Verbum conditorem Deum ». (P. G., VII, 984 A e 988-989).
Prendiamo questi testi nel loro significato più generale: qualun­
que sia la via, per la quale il nostro spirito si elevi fino a
Dio, e qualunque sia in questo movimento la parte della sua
attività propria e naturale, è salutare ricordarci che, radical­
mente, l'iniziativa viene sempre da Dio, è sempre Dio che si
« manifesta ». Cfr. A. FARRER, Naturel et surnaturel: « La specu­
lazione più avidamente teorica, il caso tipico della teologia razio­
nale, deve essere attribuito all'iniziativa divina, a Dio che agisce
nell'ordine naturale, a Dio che vuole manifestarsi nelle stelle
ed elevare lo spirito di un filosofo attraverso i sentieri della
contemplazione degli astri » (vers. frane. di J. DANIÉLOU, in Dieu
Vivant, 21, pp. 124-125). Vedere nota 15, e sotto, c. IV.
Cfr. A. FEUILUIT, P. S. S., La connaissance naturelle de Dieu
par les hommes d'après Rom. I, in Lumière et vie, 14 (1954), p. 74:
« Invece di mostrare alla maniera di un filosofo gli uomini, che
prendono l'iniziativa di elevarsi dal mondo creato fino a Dio, è a
Dio stesso che. l'Apostolo assegna l'iniziativa della manifestazione
dei suoi attributi: "Dio, egli dice, ha svelato ciò che di lui si
può conoscere". Si tratta tuttavia di una scienza acquisita con
i soli lumi della ragione umana, riflettendo sulle opere della
creazione, e in nessun modo, come talvolta si è creduto, d'una
rivelazione propriamente detta, rivelazione fatta ai Giudei o
rivelazione primitiva, con la quale Dio avrebbe voluto accre­
scere soprannaturalmente il bagaglio delle conoscenze religiose
dell'umanità. In breve, Paolo parla in termini di rivelazione,
d'un sapere puramente naturale». Solamente, vedendo in questo
linguaggio dell'Apostolo un'« anomalia», l'autore ne cerca una
spiegazione, che ci sembra un po' mortificante.

21
Egli ha messo il suo occhio nei loro cuori
Per mostrar loro la grandezza delle sue opere 1 3 .

Doppia iniziativa, a cui la nostra operazione pm


naturale e più spontanea non può mai essere che una
risposta. Se, dall'inizio, la ragione che ci rischiara pote­
va essere rischiarata su se stessa, essa dovrebbe far suo
il grido del mistico : « Eccomi, mio Fine e mia Ragione
di vita. Io Ti chiamo... No, sei Tu che mi chiami a
Te! » 1 4 • In tutto, in ogni ordine, Dio è il primo. È
sempre Lui che ci prende. Sempre, su tutti i piani, è
Lui che si fa conoscere. È sempre Lui che si rivela 1 5 •

1 3 Eccl., 17, 7.
14 HAu.AJ, Qasida I (Diwdn, vers. frane. di L. Massignon,
1955, p. 4).
1 5 Alcuni amici ci han chiesto perché impieghiamo questi
termini di « rivelare, rivelazione », quando si tratta ancora della
conoscenza naturale di Dio, e non di quella che ci viene dalla
rivelazione positiva e soprannaturale. :e. per le tre ragioni se­
guenti:
1° - Perché questo termine esprime un'idea tradizionale im­
portante, ed è esso stesso tradizionale. Cfr. SANT'IRENEO, Adversus
haereses, 1. Il, c. IV, n. 5: « Quando ratio ( = verbum) mentibus
infusa moveat eas et revelet eis quoniam est unus Deus
omnium Dominus » (ed. Harvey, t. I, pp. 263-264). SAN MASSIMO IL
CoNFESSORI!, Ambigua, il mondo visibile, « questo capolavoro uni­
co, in cui Dio si fa conoscere per mezzo di una rivelazione
silenziosa " (P. G., XCI, 1328 A), ecc. Il termine è passato in alcuni
nostri manuali. Esso era più che autorizzato da San Paolo,
Rom., 1, 19 di cui l' ÈqiavÉ Q COOEV a cui corrisponde nella nostra
Volgata manifestavit, è spesso tradotto nelle antiche versioni
con relavit. Così ancora nel medio evo, in GUGLIELMO DI SAINT·
THIERRY, Lettre aux Frères du Mont-Dieu, 1 14: e Cum quod notum
est Dei, Deo naturaliter revelante manifestum fit homini » ; in
PIETRO LoMBARDO, Sentenze, 1. I, dist. 3: « Apostolus, Rom., 1, 19
dicit, quia Deus revelavit illis »; in Au!ssANDRO DI! HAÙ'.S, In I
Sent., d. 2, n. 6: e Tripliciter fit revelatio Trinitatis: ve] per
doctrinam, aut per creaturas... aut inspiratione fidei. .. " ; in SAN
TOMMASO, In Epist. ad Romanos, c. I, lectio 6: è Primo ostendit
quid de Deo cognoverunt ; secundo ostendit a quo hujusmodi

22
Lo sforzo della ragione che ci porta fino a Lui - non
fino a Lui, fino alla soglia del Suo Mistero - non è
mai che il secondo tempo di un ritmo, che Lui stesso ha
cominciato a scandire. Qualunque sia la spiegazione che
si dà della conoscenza - e si sa, ad esempio, che la spie­
gazione di San Tommaso d'Aquino non è esattamente
quella di sant'Agostino o di San Bonaventura - la filo-

cognitionem acceperunt, ibi, Deus enim illis relavit; tertio osten­


dit per quem modum, ibi, lnvisibilia enim ipsius » ; nel Com­
pendium Theologiae I. III, c. VIII: « Quod notum est Dei, id est
quod cognoscibile est de Deo, per naturalem rationem, manife­
stum est illis, se. Gentibus hominibus ; Deus enim relavit, se. per
lumen rationis et per creaturas quas condidit ... » (Distinguiamo
nettamente la sfumatura dell'intenzione restrittiva in rapporto
a un'interpretazione di tipo agostiniano. Ma essa lascia sussistere
integralmente, con la parola di San Paolo - e del suo tradut­
tore - l'idea fondamentale che questa parola esprime. SAN
TOMMASO ne è un testimonio, come tutti i grandi dottori della
tradizione cattolica). Cfr. I A. MoEHLER, La Simbolica (esiste una
vecchia versione italiana): « Noi attingiamo la conoscenza di
Dio a due sorgenti: nella rivelazione naturale, e nella rivelazione
soprannaturale "·
2° Poiché questa parola sembra esser qui la migliore, o
piuttosto il solo correlativo del termine « immagine » esso pure
ugualmente biblico e tradizionale. Cfr., tra mille altre attesta­
zioni, SAN BONAVENTURA, In 2 Sent. dist. 16, q. 1, a. 2: « Esse
imaginem Dei non est hominis accidens, sed potius substan­
tiale », o SAN TOMMASO, Prima secundae, prologus, ecc.
3° - Infine, perché ci sembra adatto a far meglio intendere
che la conoscenza di Dio, anche naturale, nella realtà concreta,
soprattutto se essa è già a qualche titolo e in qualche grado
conoscenza di un Dio personale, sorpassa, dovunque la si in­
contri, l'ordine profano, e ci fa penetrare nel dominio del sacro.
(Dominio che, del resto, sorpassa esso stesso, ma non senza
temibili ambivalenze, l'affermazione religiosa del Dio persona­
le). Cfr. S. LYONNEI', op. cit. p. 105, Conclusio generalis, 3: « Agi­
tur quasi certo de cognitione non mere abstracta sed vitali, qùa
homo finem suum sese ordinet ut decet ... », pp. 97-102. Aggiun­
giamo che qui non vi potrebbe essere equivoco, dato che il
testo è di per se stesso assai chiaro e che, al più, un « cioè »
viene subito a dare la spiegazione.

23
sofia tradizionale in c10 e unanime. Dio è sempre, nel
più intimo dello spirito, la « luce illuminante » della
nostra « luce illuminata » 1 6 • « Egli è la luce increata,
senza la quale io non sarei sguardo» 1 7 , e se Egli non
pronunziasse il Fiat lux sul mio abisso, le tenebre non
cesserebbero di regnarvi. Egli è il Focolare unico dove,
come altrettante lampade, si accendono tutte le anime 1 8 •
Nel cuore della ragione, Egli è sempre, incessantemente,
Ipse qui illumina! 19 :
16 SAN TOMMASO, Tertia, q. V, a. 4, ad 2m: « Intellectus au­
tem seu mens bominis est quasi lux illuminata luce divina
Verbi», De Veritate, q. XVI, a. 3. SAN BoNAVENTURA, In Hexaemeron,
Collatio XIII, n. 8: Deus « est Lux illustrans » (Quaraccbi, t.
V., p. 385).
11 G. MARCEL, Le Mistère de l'Etre, II, Foi et réalité, 1951,
p. 178.
1 s SANT'AGOSTINO, De civitate Dei, 1. XI, c. XXVI, a. 2: « Lu­
cem illam incorpoream contingere nequeunt (bruta) qua mens
nostra quadammodo irradiatur, ut de bis omnibus judicare pos­
simus » (P. L., XLI, 341 ). De peccatorum meritis et remissione,
1. I, cap. xxv, n. 37: « ••• Illud quod in Evangelio positum est:
"Erat lumen verum, quod illuminat omnem hominem venientem
in bune mundum", ideo dictum est, quia nullus bominum illumi­
natur, nisi illo lumine veritatis, quod Deus est... » (P. L., XLIV,
130). De fide et symbolo, c. IV, n. 6: « Nos aulem non lumen
naturaliter sumus, sed ad illo Lumine illuminamur... » (P. L., XL,
185) De Genesi ad litteram: « Unde animae tanquam lucernae
accenduntur », etc. (P. L., XXXIV, 251-254 e 292).
19 SANT'AGOSTINO, Soliloqui, c. VI, n. 12 (P. L., XXXII, 875).
In Joannem, tract. 23, n. 5 (P. L. xxxv, 1584). De vera religione,
c. XXXIX, n. 72: « Unde ipsum lumen rationis accenditur ». Come
si vedrà meglio in seguito, noi non riteniamo tutta la spiegazione
agostiniana, che, d'altra parte, non è il caso di riassumere qui.
Ma chi la ritenesse, sarebbe in diritto di ricordare, all'occor­
renza, l'osservazione fatta da B. RoMBYER, La philosophie chré­
tienne jusqu'à Descartes, t. III (1937), p. 61: « Conviene evitarsi la
ridicolaggine di tacciare Agostino d'ontologismo ». Infatti « tutti
i pensatori cristiani son d'accordo nell'ammettere che l'evidenza »
dei princìpi della ragione teorica e di quelli della r'agione pratica
« è sospesa all'illuminazione divina » (E. Gn.soN, L'esprit de la

24
Lux lucis et fons luminis,
Diem dies illuminans! 20

È dire, in altri termini, che vi è, in quest'umile


ragione, qualche cosa di sacro 21 •
Con ciò sono scartati tutti gli scrupoli agnost1c1,
ma nello stesso tempo tutte le sufficienze profane. Abbia
dunque l'uomo l'audacia della sua ragione! Non disprez­
zi il potere che è in lui, ma non se ne inorgoglisca! Nel
più alto uso della sua facoltà di conoscere non si mostri
né esitante né sacrilego! Qualunque siano i meandri

philosophie médiévale, 2e. ed., 1944, pp. 309-310, nota; vers. ital.
Morcelliana, Brescia, 1947). La divergenza non viene che dopo.
Alcuni, troppo prontamente attenti a questa divergenza, non
accordano al principio fondamentale e comune tutta l'attenzione
che esso merita. SAN TOMMASO, In Epist. Pauli ad Romanos, c.
r, lectio 6: « Veritatem Dei detinuerunt. Fuit enim in eis quan­
tum ad aliquid vera Dei cognitio: quia quod notum est Dei, id
est quod cognoscibile est de Deo ab homine per ratione, mani­
festum est eis ex eo quod in illis est, ex lumine intrinseco ».
Cfr. In Joannem, c. r, lectio 2, n. 2: « Lux, id est, vita illa quae
est lux hominum, in tenebris lucet, scilicet, in animabus et men­
tibus creatis, irradiando semper omnes» (si è riconosciuta la
parola agostiniana). Prima secundae, q. CIX, a. r, ad 2m: « Sol
corporalis illustrat exterius, sed sol intelligibilis, qui est Deus,
illustrat interius. Unde ipsum lumen naturale animae inditum
est illustratio Dei, qua illustramur ab ipso ad cognoscendum
ea, quae pertinent ad naturalem cognitionem ». Contra Gentiles,
1. I, c. II ad Sm: « Sicut enim lux solis principium est omnis visi­
bilis perceptionis, ita divina lux omnis intelligibilis cognitionis
principium est, cum sit in quo primum maxime lumen intelli­
gibile invenitur ». Ugualmente per la ragione pratica, principio
della legge naturale: Prima secundae, q. XCI, a. 2: « Lex natu­
ralis nihil aliud est quam participatio legis aeternae in rationali
creatura ».
20 Inno, feria secunda, ad Laudes (SANT'AMBROGIO).
21 Si vede che qui non si tratta, come qualcuno ce l'ha fatto
dire per un errore palese di lettura, d'una rivelazione e che s'in­
dirizza alla nostra umile ragione » ( come per supplire alla sua
deficienza), ma in primissimo luogo di questa umile ragione
stessa, che si trova così, tutto al contrario, magnificata.

25
percorsi dal suo pensiero, sappia egli infine risalire alla
Sorgente, sappia raggiungere il Focolare !
Prima di tutto - sebbene ciò non debba apparire
che a una riflessione posteriore, spesso tardiva, e anche
troppo spesso impacciata - Dio si rivela incessantemen­
te all'uomo, imprimendo di continuo in lui la propria
immagine 22 • È questa operazione divina che costituisce
l'uomo nel suo centro. È essa che lo fa spirito, essa che
lo fa ragionevole 23 • Ne deriva che, a rigore, non vi
sarebbe necessità per l'uomo d'un'altra rivelazione per
conoscere il suo Dio: fuori di ogni intervento sopran­
naturale, questa « rivelazione naturale » sarebbe suflì-

22 Vedere, per esempio, SAN TOMMASO, Prima, q. XLV a. 7:


« Imago repraesentat causam quantum ad similitudinem for­
mae ejus, sicut ignis generatus ignem generatum». S. AGOSTINO,
De Trinitate, 1. XV, c. VIII, n. 14: « Hoc ergo facere conati sumus,
ut per imaginem hanc, quod nos sumus, videremus utcumque a
quo facti sumus, tanquam per speculum » (P. L., XLII, 1067).
SANT'ISIOORO DI SIVIGLIA, De ordine creaturarum, c. xv, n. 9:
« ... De qua imaginis Dei similitudine impressa Propheta com­
memorat, dicens: Signatum est super nos lumen vultus tui,
Psalm., IV, 7 » (P. L., LXXXIII, 952 B). SAN BONAVENTURA, ltinera­
rium mentis in Deum, 1. Il, c. xrr. SAN BERNARDO, Sermo 45 de
diversis, n. 1 (P. L., CLXXXIII, 667) ecc. Ciò che faceva dire all'au­
tore delle Sententiae divinae paginae, c. III: « Cognitio etiam to­
tius Trinitatis naturaliter videtur insita humanae rationi »
(Miinster, 1919, p. 7) ecc. Ma la discussione di quest'ultima
sentenza condurrebbe a problemi che non rientrano più nel
nostro tema. (Sui rapporti della creazione e della Trinità presso
San Tommaso si consulterà l'opera di F. P. SLADEK, analizzata
nel Bulletin de théologie ancienne et médiévale, t. IV, p. 295).
23 SANT'AGOSTINO, De genesi ad litteram, 1. XII, n. 18: « Dicitur
sp�ritus et ipsa mens rationalis, ubi est quidam tanquam oculus
ammae, ad quem pertinet imago et agnitio Dei» (P. L., XXXIV,
460). GARNil!R DE ROCHEFORT, Sermo, 3 (P. L., ccv, 584 A) ecc.
Cfr. SAN GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione della fede ortodossa,
I. Il, cap. XII (P. G., XCIV, 920) e SAN TOMMASO Prima secundae'
Prologus. '

26
ciente. Diremo, per non esagerare, che vi basta per
principio. Il peccato non l'ha soffocata completamente,
poiché, se l'anima umana non si conosce oggi d'una co­
noscenza attuale e afferrabile che attraverso gli atti posti
da essa 24 , ha tuttavia di se medesima una certa « cono­
scenza abituale », reale sebbene oscura e involuta, co­
stante sebbene sempre fuggitiva, che le viene dal fatto
ch'ella è sempre presente a se stessa 25 • Presenza dell'ani­
ma a se stessa, grazie a cui potrà manifestarsi, come
in uno specchio, la presenza di Dio all'anima 26 • Come
la realtà dell'immagine divina è nell'anima al principio

24 SAN TOMMASO, In Boetium de Trinitate, q. I, a. 3; De


anima, a. 3 ad 4m ; Prima, q. LXXXVII, a. 1 : « ••• Ex seipso habet
(intellectus humanus) virtutem ut intelligat, non autem ut intel­
Iigatur, nisi secundum id quod fit actu ». De Veritate, q. VIII,
a. 6, ecc.
25 SAN TOMMASO, De Veritate, q. X, a. 8 : « Ad hoc sufficit
sola essentia animae, quae menti est praesens ». B. RoMEYER ha
attirato l'attenzione su questo testo: Saint Thomas et notre
connaissance de l'esprit humain, p. 57 (Archives de philosophie,
t. II, 1928). lbid., ad lm: « Mens antequam a phantasmatibus
abstrahat, sui notitiam habitualem habet, qua possit percipere se
esse » ; ad 6m: « Anima seipsam quodammodo cognoscit per es­
sentiam suam », e ad 9m. Sull'esperienza della « presenza dello
spirito a se stesso », cfr. A. FoRFST, La vocation de l'esprit (1953),
c. v, La présence spirituelle. Per Sant'Agostino cfr. P. AGAESSE,
Oeuvres de Saint Augustin, La Trinité, II (1955), pp. 591-593
e 603-607.
26 Semp:,:e secondo San Tommaso, id�ntico genere di pre­
senza di Dio all'anima: così De Veritate, q. x, a. 2, ad 5m.:
« Mens... est sibi praesens, et similiter Deus, antequam aliquae
species a sensibus accipiantur »; a. 7, ad 2m.: « Ipse enim Deus ...
ita tantun_i a mente uniuscujusque intelligitur et amatur, quan­
tum menti praesens est » ; a. 11, ad 42m. Cfr. Pri11ta, q. CXXIII, a.
4, sull'immagine di Dio nell'uomo, ecc. Quest'aspetto della dot­
trina tomista è stato analizzato da C. J. O'NEIL, St. Thomas and
the nature af man in Proceedings of the American Catholic Philo­
sophical Association, (1951 ), e, prima ancora, da A. GARDEIL,
La structure de l'time et l'espérience mystique, 2• ed., 1927, so­
prattutto t. Il, pp. 94-121.

27
dell'attività razionale, che, dalla conoscenza del mondo,
deve condurla fino all'affermazione di Dio, cosi la « co­
noscenza abituale », che l'anima ha di se stessa, può
divenire il principio d'una riflessione intima che le farà
riconoscere la sua realtà di « immagine » 2 1 •
Uomo, comprendi la tua grandezza, confessando la
tua dipendenza! Rifletti allo splendore che porti in te 28 •
Non disconoscere la luce che ti è stata data, ma non
attribuirtene la sorgente ! 29 Impara a scoprire la tua
realtà di specchio e di immagine! Impara a conoscerti
riconoscendo il tuo Dio! Comincia, per quanto è possi­
bile a un mortale, a contemplare il suo Volto raccoglien­
doti in te stesso! 30
27 Cfr. GARDBIL, op. cit., t. II, pp. 95 e 111, sui tre momenti

della conoscenza che l'anima ha di se stessa, e sul loro « conca­


tenamento dinamico ». SANT'ANSELMO, Monologio, c. LXVII: « Ap­
tissime igitur ipsa (mens) sibimet esse velut speculum dici po­
test, in quo speculetur, ut ita dicam, imaginem eius (essentiae
summae) quam facie ad faciem videre nequit» (P. L., CLVIII, 213
B). SANT'AGOSTINO, Soliloqui, I. I, c. I, n. 4: « Deus, qui fecisti
hominem ad imaginem et simi!itudinem tuam, quod qui se ipse
novit agnoscit » (P. L., XXXII, 871).
2s EcKHART, Il regno di Dio: « Coraggio, anima nobile! Ri­
fletti a te stessa! rifletti allo splendore, che porti in te. Non sei
tu, per la tua somiglianza con Dio, onorata al di sopra di tutte
le creature? Sdegna ciò che è piccolo, perché tu sei creata per
ciò che è grande! » (Vers. frane. P. Petit, Oeuvres, 1942, p. 304).
29 Cfr. SAN GIOVANNI CRISOSTOMO (P. G., LX, 411-414); SAN­
T'AGOSTINO, De Spiritu et littera, c. XII, n. 19 (P. L. xxxv, 2064) ;
SAN PROSPERO D'AQUITANIA, De Vocatione omnium gentium, I. IV
(P. L., LI, 651 ) ; e i commenti del R. P. LYONNET, loc. cit., pp. 97-98
e 101-102.
30 SANT'AGqSTINO, De Trinitate, I. xv. c. XXIV, n. 44: « Qui
ergo vident suam mentem, quomodo videri potest, ... nec tamen
eam credunt ve! intelligunt esse imaginem Dei, speculum quidem
vident, sed usque adeo non vident per speculum qui est per spe­
culum nunc videndus, ut nec ipsum speculum quod vident sciant
esse speculum, id est, imaginem» (P. L. XLII, 1091). Cfr. c. VIII,
n. 14 (col. 1067).

28
CAPITOLO I

ORIGINE DELL'IDEA DI DIO

Le teorie sull'origine dell'Idea di Dio sono nume­


rose. Da un secolo si sono moltiplicate. La maggior par­
te di esse non spiega nulla, o fanno svanire, senza nep­
pur avvedersene, quello stesso che vogliono spiegare.
Vi sono confuse le discipline più diverse, e l'apriorismo
che le comanda presuppone che si tratti di un'illusione.
L'ateismo è al punto di partenza, e domina tutta la trat­
tazione: come stupirsi quindi che si trovi al punto di
arrivo? La conclusione abituale, formulata più o meno
esplicitamente, è, in realtà, che ogni idea di Dio va
respinta, perché ormai si sa « per mezzo di quale mec­
canismo l'umanità abbia fabbricato questa idea, e come
questo meccanismo sia un inganno ». Ma c'è qui una
pura petizione di principio.
L'uomo, si dice ad esempio, ha divinizzato il cielo.
E sia. !\fa dove ha preso l'idea del divino, per applicar­
Ja proprio al cielo? Perché è osservabile dappertutto
1

1 Dopo tanti altri, ma con più abbondanza e precisione,


M. ELIADE ha dimostrato, nel suo Traité d'histoire des religions
(1948), come, in realtà, è in un solo e medesimo atto, iniziai-

29
questo movimento spontaneo della nostra specie? Per­
ché quest'impresa di divinizzazione, sia che si tratti del
cielo o di qualsiasi altra cosa? La parola stessa « dio »,
si dice pure, appellandosi alla filologia, non significa al­
tro che « il cielo luminoso di giorno ». E va bene. Ma
perché proprio questo « cielo luminoso di giorno » è di­
venuto un dio per gli uomini? Molti neppure s'accor­
gono che in ciò vi è un problema 2 • Tutti quelli che vo­
gliono dare all'idea di Dio una genesi propriamente det­
ta - sia questa da loro concepita come ideologica o sen­
timentale, individuale o sociale, dichiarata del tutto il­
lusoria o relativamente fondata - negano in anticipo,
almeno implicitamente, l'idea di Dio. La negano ridu­
cendola tutta ad altra cosa 3 • « Non si vede troppo be-

mente indivisibile, e non in seguito a una falsa induzione, che


l'intelligenza primitiva distingue il sacro o il divino, o, comun­
que lo si chiami, l'oggetto che le serve di simbolo spontaneo
(quantunque sia d'altronde il processo mentale che sfocia in que­
sta specie d'intuizione). 1' il fenomeno ch'egli analizza sotto il
nome di « ierofania » e che, ben afferrato, basta ad abbattere le
pseudo-spiegazioni « naturalistiche ».
2 :E, ancora in virtù di un sofisma anologo che l'evoluzio­
nismo pensa di spiegare il passaggio graduale del carattere natu­
ralistico al carattere morale della credenza nella divinità. So­
fisma chiaramente denunciato da C. RENOUVIER, Philosophie ana­
litique de l'histoire, t. I, (1896), p. 61.
3 Così, tra molti altri, E. DURKHEIM, di cui M. MERLEAU­
PONTY dice assai giustamente (Sens et Non-sens, 1948, p. 177) che
egli « definisce nominalmente il religioso con il sacro, e mostra
poi che l'esperienza del sacro coincide con i momenti di maggior
coesione della società totemica, e. conclude che almeno in queste
forme elementari e senza dubbio anche nelle forme superiori, la
vita religiosa non è che la maniera in cui la società prende
conoscenza di se stessa ». Così pure SIGMUND FRFUD spiegando
« la genesi dell'idea monoteista» e le condizioni storiche e psi­
cologiche della sua formazione in Moses, sein Volk und die mo­
notheistische Riligion, Vienna-Zurigo, 1938 (vers. frane. Moise et
le monothéisme di A. Berman (1948), pp. 92, 102, 111, 155). Cfr.

30
ne », scrive M. Mircea Eliade, « in che cosa il fatto, che
la scoperta delle prime leggi geometriche sia stata dovu­
ta alle necessità empiriche dell'irrigazione del delta del
Nilo, possa avere un'importanza qualsiasi per convali­
dare o infirmare queste leggi » 4 • Noi potremmo ragio­
nar allo stesso modo. Non si vede, cioè, in realtà, in
che cosa il fatto, che il sorgere dell'idea di Dio nella co­
scienza sia stato magari provocato dall'uno o dall'altro
spettacolo, si sia trovato legato all'una o all'altra espe­
rienza sensibile, possa bastare a mettere in dubbio la
validità di quest'idea. In un caso come nell'altro il pro­
blema della genesi empirica e il problema dell'essenza
o del valore sono distinti. Essi sono di un ordine diver­
so. Non più di quanto l'agrimensore abbia effettivamen­
te generato la geometria, l'esperienza dell'uragano o del
cielo luminoso ha realmente generato l'idea di Dio. È
in se stessa che ha valore la considerazione di questa
idea: non nelle occasioni della sua nascita, ma nelle
sue ragioni interne.
Se l'idea di Dio è reale nell'uomo, nessun fatto
accessibile alla storia, alla psicologia, alla sociologia o
a qualche altra disciplina scientifica, è realmente la sua
causa generatrice 5 • Nessun « processo » osservabile ba-
0

anche A. H. KRAPPE, La genèse des mythes (vers. frane. 1952),


p. 39: « L'animismo è la base unica, necessaria del teismo ».
4 Le Chamanisme, 1951, p. 239, nota.
' Nella sua Analyse de l'entendement humain, D. J. GARAT
scrive: « Quando si vedrà un grandissimo numero di divinità -
davanti alle quali il genere umano è vissuto, per secoli, tremante
e prosternato - nascere dalla scrittura geroglifica, si sarà atter­
riti dalla potenza dei segni ». Sotto lo stile e con la scienza di
un'epoca ben determinata, si riconosce qui un sofisma che non
cessa di riprodursi: Garat si dimostra qui il « sofista brillante »,
che ha dipinto uno degli uomini che lo hanno meglio conosciuto

31
sta a darne una spiegazione. In questo senso, essa non
ha genesi; non più, per riprendere il medesimo parago­
ne, di quanto abbia una genesi la geometria. Ciò non si­
gnifica, al contrario, ch'essa non possa essere « argomen­
tata per induzione». Ciò significa ch'essa non si riduce
affatto al risultato ingannevole di qualche trasformazione
empirica. Il suo sbocciare nella coscienza può ben di­
pendere dall'una o dall'altra condizione; essa può ben
trovarsi determinata dall'una o dall'altra occasione, pro-

(SAINTE BHuVE, Chateaubriand et son groupe littéraire, za ed., t. I,


1872, p. 62, nota ; e SAINT MARTIN in Causeries du Lundi, 19 giu­
gno 1854). Se egli non avesse voluto parlare che delle divinità,
la sua spiegazione poteva essere discussa sul piano dell'osserva­
zione scientifica, senza che vi fosse bisogno di respingerla a-prio­
ri. Ma se, come veramente sembra, egli intendeva spiegare così
la genesi dell'idea stessa della divinità, c'era da parte sua una
ignoratio elenchi. Quanti altri esempi se ne riscontrano in
seguito! Anche Wellhausen tentò una spiegazione del monotei­
smo in base all'effetto del linguaggio sul pensiero. Troviamo
ancora lo stesso sofisma, derivante dall'identica ignoratio elen­
chi, recentemente in J. HuXEY (La réligion considérée comme
problème objectif, nella raccolta l'Homme, cet etre unique, vers.
frane., Neuchàtel, 1947), che permette all'autore di concludere:
« Il progresso delle scienze naturali, della logica e della psicolo­
gia ci hanno condotto a uno studio, in cui Dio non è più un'ipo­
tesi utile » (P. 347). Egli tiene soprattutto in gran conto le
scoperte della psicologia: « Bisogna che l'esplorazione analitica
del proprio spirito, da parte dell'uomo, non sia abbastanza pro­
gredita, perché egli non possa più proiettare e personificare le
forze inconscie del suo "super-io" e del suo "es" sotto la forma
di esseri esteriori a lui » ; ma infine viene il giorno in cui « l'ana­
lisi dello spirito umano, con la scoperta delle sue facoltà di
proiezione e di esaudimento dei desideri, il suo subosciente na­
scosto e le sue depressioni, di cui non ha coscienza, rende
inutile ogni idea di un Dio distinto dall'uomo. Questo giorno
è giunto: « Una debole traccia di Dio, per metà metafisica e per
metà magica, plana ancora sul nostro mondo, simile a una
smorfia; ma il progresso della conoscenza psicologica cancellerà
dall'universo persino queste vestigia ,. (pp. 345-349). Si prova
sempre pena a trovare simili miserie sotto la penna di uno
e

studioso di vaglia.

32
vocata dall'uno o dall'altro segno. Un dato fenomeno
particolare può essere specialmente atto a dare allo spi­
rito la scossa ammonitrice, a svegliarlo. Può accadere,
ad esempio, che « la prima concezione della Parola di
Dio come potenza cosmica » sia venuta ai nostri antenati
attraverso l'interpretazione « del fenomeno naturale del­
l'uragano: il brontolio del tuono non rappresenta forse
la voce del Dio potente e temibile? » 8 • Molte altre ipo­
tesi possono essere formulate, più o meno verosimili, più
o meno fondate, che d'altronde non s'oppongono neces­
sariamente tra loro, ma spesso si completano. È dunque
possibile, e non senza interesse, analizzare certe condi­
zioni o processi circa la scoperta di Dio, ed è qui che
i lavori degli storici, degli etnologi e degli psicologi ab­
bondano in osservazioni utili, sebbene per lo più troppo
parziali. Le loro ricerche sono feconde. Ma essi non pos­
sono in ogni caso informarci sull'essenziale. Non cadia­
mo una volta di più nel sofisma che consiste nel « cer­
care principi nelle origini » 1 •
Vi sono innumerevoli vie che, di fatto, conducono
a Dio. Vi sono anche vie diverse, vie sicure, di valore
universale per fondare razionalmente l'idea di Dio e per
confermare cosl l'intelligenza nella sua affermazione. Si
può infatti « raggiungere Colui che è, muovendo da uno

e M. E. BmsMARD, O. P., Le prologue de Saint-Jean, (1953),


p. 111: « Si avrebbe un re�to di queste concezioni primitive, più
o meno poetizzate, nel salmo 29, che è un inno al Signore
dell'uragano ».
7 Cfr. J. LAcHELIER, Vocabulaire philosophique, v. Origine:

« Origine non può dirsi che di un cominciare nel tempo, d'un


primo fatto ... Una ragione metafisica... non deve essere chiamata
con questo nome ... Bisogna dire principio ».

33
3. - Sulle vie di Dio
qualunque degli oggetti di cui si può dire che sono 8 e
di cui si deve dire nello stesso tempo che non sono. Le
prove di Dio sono su tutt'altro piano che quello dei pro­
cessi empirici. Ed è anche per questo che non c'è, a ri­
gore, né può esservi genesi dell'idea di Dio.

* * *
« Considerando le cose nella loro genesi, se ne ottie­
ne una conoscenza perfetta » 9 • Queste parole di San
Tommaso trovano qui la loro applicazione. Effettivamen­
te - e San Tommaso lo dimostra bene - non si sapreb­
be avere di Dio una tale conoscenza. L'idea di Dio non
si spiega né come quella d'un'illusione perfettamente pe­
netrata nelle sue cause, nè come quella di una costruzio­
ne dello spirito.

* * *
Una grande discussione si è aperta per conoscere
se l'affermazione oggettiva di Dio dipendeva dal « pen­
siero logico » o dal « pensiero mitico », cioè - si pen­
sava - dalla ragione o dalla immaginazione; in altre
parole, dalla verità o dall'illusione. Ma forse non si è
sempre badato abbastanza al fatto che anche la logica
ha le sue illusioni, che è tentata di sconfinare nei domi­
ni dell'immaginazione, o che al contrario le potrebbe ca­
pitare d'essere troppo « ragionevole » per trovare in ve­
rità Colui che è al di sopra della ragione ... Il Dio del ra-

s E. Gn.soN, Le Thomisme, 4& ed. (1942) p. 119. ·


e SAN TOMMASO, In Polit., 1, 2 (1252).

34
zionalismo è realmente « il vero Dio »? L'idea di questo
Dio è un'idea solida e veramente razionale?
In realtà l'affermazione autentica di Dio - che è
molto più d'un'affermazione - deriva anzitutto dalla
operazione profonda del pensiero, che ·non è « mitico »
né puramente « logico », benché esso debba normalmen­
te valersi delle vie della logica per formularsi, e utilizzi
pure le forze dell'immaginazione per darsi un corpo, in
modo che le sue costruzioni spontanee mostrano una
struttura analoga a quella dei miti. Forse, per tener con­
to di tutti questi elementi, si potrebbe chiamarla me­
glio - con una parola, di cui le moderne deformazioni
non dovrebbero impedircene l'uso - un'affermazione
« simbolica » 1 0 , o anche, con un altro vecchio vocabolo
amato dai Padri, « anagogica » 1 1 •

1 0 In un'epoca relativamente recente, le parole « simbolo »


e « simbolismo » hanno costituito l'oggetto di taili abusi, in un
senso anti-intellettuale o anti-reale, che in realtà qualche volta
si esita a introdurle di nuovo nel linguaggio del pensiero tradi­
zionale, dove esse hanno tuttavia il loro posto. SERTIU.AGES scri­
veva in Les grandes thèses de la philosophie thomiste (1928),
p. 80: Nella nostra spiegazione della conoscenza di Dio « noi non
retrocediamo fino al simbolismo, poiché ciò che diciamo di Dio
per noi non è solamente figurativo, arbitrario, soggettivo; esso
è veramente fondato nella verità, poiché corrisponde a un rap­
porto vero, perfettamente definito da parte nostra, sebbene non
sia definito dall'altra; rapporto essenziale, per quanto riferisca
il suo termine umano a ciò che non ha essenza... Dal momento
che le nostre attribuzioni sono ben fondate, pur riguardando
l'Innominabile, non v'è simbolismo; c'è verità formale, sebbene
miserabilmente difettosa... » Cfr. ibid. « Il simbolismo non è una
dottrina, è un agnosticismo colorito» e p. 11: « agnosticismo
travestito». In un'accezione simile non c'è bisogno di dire che
noi respingeremo il vocabolo! Vedere pure A. GARDEIL in Revue
thomiste, 1904, pp. 70-73. Al contrario, C. DE Mmrn-PoNTGIBAUD, Sur
l'analogie des noms divins: « Quando si tratta di cose divine ...
il simbolo si presenta come un mezzo di conoscenza, certamente

35
* * *

Istinto mitico? Istinto logico? Il primo non dareb­


be che una divinità illusoria; il secondo, a supporlo so­
lo, non dà, se cosl si può dire, che un Dio profano.
L'uno e l'altro, tuttavia, sono all'opera. L'uno e l'altro
collaborano, in una sinergia misteriosa, sotto la direzio­
ne d'un istinto divino.

non esclusivo, ma normale. e così si può dire che il terreno pro­


prio e naturale del simbolismo è la rivelazione ». (Recherches
de science religieuse, 1954, p. 344, nota 17).
1 1 t!. ciò che J. MARITAIN chiama l'« intellezione ana-noetica »
Les degrés du savoir, (1932), p. 445. Qualcuno ha detto che questa
allusione ai Padri della Chiesa era abusiva, perché, « malgrado,
o piuttosto a causa della loro preoccupazione pastorale e apo­
stolica d'orientare verso Dio il cuore degli uomini », essi « si
sono ben guardati dal gettare il minimo discredito sul valore
trascendente dei nostri concetti umani ». Noi ce ne vogliamo
guardare come loro, e anche, se bisogna dirlo, meglio di alcuni
di loro. Poiché è conoscerli male credere che non si trovereb­
bero mai presso qualcuno di loro modi di parlare eccessivi nella
loro imprecisione. Così abbiamo evitato di citare l'uno o l'altro
testo che avrebbe potuto portare a fraintendere il loro vero
pensiero. Vedere, per es., SAN GIROLAMO, In Ecclesiasten, V. 1:
« ... Sciamus imbecillitatem nostram, quod, quantum distat cae-
lum a terra, tantum nostra opinatio a natura illius separetur...
Qui plura voluerit de divinitate disserere, incidit in stultitiam...
Verba nostra pauca ideo esse debere, quod etiam ea quae
nosse nos arbitramur, per speculum videmus et in aenigmate, et
velut somnium comprehendimus, quod tenere nos aestimamus... »
(P. L., XXIII, 1052). E SANT'ILARI0, De Trinitate, I. I, c. XIX: « Com­
paratio terrenorum ad Deum nulla est: sed infirmitas nostrae
intelligentiae cogit species quasdam ex inferioribus tanquam
superiorum indices quaerere, ut rerum familiarium consuetu­
dine admovente, ex sensus nostri conscientia ad insoliti sensus
opinionem educeremur. Omnis igitur comparatio homini potius
utilis habeatur, quam Deo apta... ». D'altronde il contesto mo­
stra sufficientemente che si avrebbe torto a prend�r simili dichia­
razioni in senso agnostico.

36
* * *

Tutti i saggi di « genesi » come tutti i « saggi » di


riduzione - tutti i saggi di genesi riduttrice - tentati
sull'idea di Dio, peccano da qualche lato. È un'idea a
sé unica, che non rientra in alcun sistema; un'idea che
splca di lampi la storia della nostra umanità, scompi­
gliando a suo piacimento le sintesi laboriose degli etno­
logi e degli storici, tutti gli schemi evolutivi e le sapien­
ti « Fisiologie delle religioni ». Appena l'intelligenza è
matura, spontaneamente, l'idea di Dio vi germina. ·
Ma, per quanto quest'idea vi sia ormai indistruttibi­
le, difficilmente essa vi brillerà subito in tutto il suo
splendore. Molto più necessario è che vi si stabilisca e
che vi regni. Diversamente, come il seme del Vangelo
che cade in mezzo alle spine, si potrebbe credere che
questo germe venga presto soffocato sotto la folle proli­
ferazione dei miti. Oppure, se esso produce il suo frut­
to, sembra che questo si confonda così bene con la ve­
getazione lussureggiante delle erbe selvatiche, che presto
in pratica non vi è più mezzo di sopprimere questa sen­
za strappare contemporaneamente quello. Così nella mi­
sura in cui la religione coesiste in questo modo col mi­
to, essa gli comunica una nuova forza di seduzione, che
si volge contro essa stessa. Gli dèi, questi parassiti, si
nutrono segretamente dell'idea di Dio per impedire al
vero Dio di apparire... Di qui il « diluvio di idolatria » 1 2
12 BossUET, Elevations sur les mystères, 7.ème semaine, Oeu­
vres, ed. F. Lachat, c. VII, p. 135 (1862). Esistono varie traduzioni
italiane).

37
che ricopre la superficie della terra al punto che, per
giungere alla religione pura, piuttosto che epurare gli
dèi o scrutarli onde ritenere tra loro quello i cui titoli
saranno riconosciuti autentici, è necessario, sembra, ro­
vesciarli tutti. L'uomo si libererà dalla superstizione con
l'ateismo 1 3 , in attesa di ricadere poi nella superstizione.
Oppure... Ma quali ipotesi egli non farà!
Ma come sfuggirà al cerchio? In qualunque via egli
si cacci, la sua ragione stenta assai a trionfare. Quante
difficoltà da vincere e illusioni da dissipare! In realtà,
presso i più, quante incertezze, quanti passi falsi! Quale
incessante mistura di errori! Perfino nel grido del mono­
teismo - benché così razionalmente affermato - v'è
spesso mancanza di sicurezza:
« O sostegno della terra, e tu che imperi su di essa,
Chiunque tu sia, è con pena che la conoscenza ti avvicina,
Sia che tu sia Zeus, la suprema Necessità o lo spirito
[ umano » 1 4 •
...A meno che Dio stesso, rompendo il cerchio fatale,
non si scelga un confidente, che Egli incarica di annun­
ziarLo ai fratelli 1 5• Ciò può accadere, dice l'autore del­
l'Epistola agli Ebrei, « più volte e in più maniere » 1 6 •
1a Non è qui, in pratica, il caso del buddhismo? Il suo fon­
datore, senza dubbio, non nega gli dèi, ma li dichiara tutti inca­
paci di assicurare la salvezza degli uomini: essi stessi hanno
bisogno d'esser salvati ; e i Buddha sono al di sopra dei più
grandi dèi.
H EURIPI!lfl, Le Troiane, 884-886, vers. ital. di F. Bellotti.
1 5 Cfr. Concilio Vaticano I, Costituzione Dei Filius, c. II,
De revelatione: « Huic divinae revelationi tribuendum est ut ea,
quae in rebus divinis humanae rationi per se impervia non sunt,
in praesenti quoque generis humani conditione ab omnibus expe­
dite, firma certitudine et nullo admixto errore cognosci possint ».
Acta Concilii Vaticani I, col. 250.
16 Hebr., 1, I. Cfr. SAN TOMMASO, Prima, q. I a. 1 ; Secunda

38
* * *

In una umanità, fatta a immagine di Dio, ma pecca­


trice, costretta a una salita lunga e incerta e tuttavia
tormentata fin dal suo nascere da una chiamata dall'alto,
è normale che l'idea di Dio sia al tempo stesso sempre
pronta a sorgere e sempre minacciata di soffocamento.
Due tendenze sono all'opera· dall'inizio per arrestare o
sviare lo slancio naturale verso il Creatore. L'una pro­
viene dalle condizioni stesse in cui deve lavorare l'intel­
ligenza per conquistarsi a poco a poco trionfando della
notte 1 1 ; l'altra è, secondo l'insegnamento della fede cat­
tolica, il frutto immediato della deviazione morale del­
le origini. Ambedue le tendenze, la naturale e la per­
versa, si rafforzano per ostruire la via reale dello spirito,
e per fuorviarlo attraverso i mille dedali del mito e della

secundae, q. II, a4; Contra Gentiles, I. I, c. IV ; In 3 sent., d. 24 ;


In Boet. de Trinitate, III, 1, De Veritate, q. XIV, a. 10.
1 7 Cfr. C. JOURNET, in Nova et vetera, 1950, p. 192: « Era
normale che l'uomo passasse dalla mentalità mitica o magica ...
alla mentalità razionale e scientifica, dove sul proscenio c'è la
ragione ; in altri termini, il regime notturno della ragione doveva
precedere il regime solare della ragione stessa ». Vedere pure
J. MARITAIN, Signe et Symbole, in Quatre essais sur l'esprit dans
sa condition charnelle (1939). G. VAN DllR LEEuw, testo citato, nota
seguente. M. PRAl>INES, Esprit de la Religicm, (1941), p. 119: « Per
quanto ciò sembri strano, ci si può chiedere se la magia non
abbia portato per qualche tempo dinanzi alla specie la fiaccola
della ragione». Sotto quest'aspetto la magia si riallaccia a ciò
che uno storico recente chiamava la « paleopsicologia ». Qui non
c'è, tuttavia, che uno dei due aspetti della realtà. Cfr. C. JUNG,
Introduction à l'essence de la mythologie, vers. frane., p. 95 ;
(vers. ital., Introduzione all'essenza della mitologia, Torino, 1948) ;
sullo stato « cronicamente crepuscolare » della coscienza del pri­
mitivo.

39
magia 1 8 : tendenza a confondere l'autore della natura
con la natura stessa attraverso cui Egli si rivela oscura­
mente, e da cui bisogna prendere in prestito lineamenti
per pensarlo; tendenza ad abbandonare il Dio troppo
esigente e troppo incorruttibile per dèi subalterni e fin­
ti. Sotto questa duplice azione congiunta, le analogie ben
presto s'induriscono 1 9 • Il mondo si fa denso. Ciò che
doveva essere un segno, diviene uno schermo. La visio­
ne prima, appena scorta, si dissipa ... L'astro divino
sparisce dinanzi alla sua « ombra grossolana » .

...Il fuoco, il vento, l'aria sottile,


La volta stellata, l'onda impetuosa o le fiaccole del cielo
Sono guardati come i padroni del mondo.

Nel più profondo della coscienza, prima ancora di


aver brillato in tutto il suo splendore, « la gloria del Dio

1s (Cfr. G. VAN DER LEEuw, L'homme et la civilisation in


Eranos-Jahrbuch, t. XVI (1948), p. 149: « La prima forma che la
coscienza riveste è la magia. L'uomo magico si mette in posi­
zione, tutto solo, contro il resto del mondo, che lui scongiura...
(La nascita dell'atteggiamento magico) è molto più importante
che l'apogeo del pensiero greco, perché nella magia, per la prima
volta l'uomo si ritira in una interiorità tanto più potente, in
quanto essa è invisibile ». Si può tuttavia riconoscere all'arrivo
del pensiero magico il suo giusto valore, senza sottoestimare né
l'arrivo del pensiero razionale, né il suo « apogeo » nel pensiero
greco.
1 9 Sull'ambiguità del cielo nelle filosofie antiche A. J. FESTU­

GIÈIE, o.P., Le dieu cosmique, pp. 120.250. Non è che per l'effetto
di una ignoratio elenchi che si è potuto scrivere a questo ri­
guardo: « Si sarebbe voluto forse vedere più decisamente rico­
nosciuto il valore noetico delle analogie stabili e pienamente
efficaci nel loro ordine proprio, vale a dire quello intellettuale ».
Simile osservazione non ha in realtà alcun rapporto con l'og­
getto del nostro testo.

40
incorruttibile » vien barattata con gli dèi del nulla e
della menzogna 20 •
... Se non altro il Dio vicino si è fatto lontano 21 , e,
per lungo tempo, sarà il Dio ignoto; per quegli stessi
che ne avranno serbato il ricordo sarà il Dio abbando­
nato. Occorre riscoprirlo a tappe, brancolando nell'equi­
voco, e talvolta credendo di perderlo. Persino nel tempo
in cui la sua conoscenza sembrava aver fatto progressi
decisivi, Dio è ancora concepito con facilità come un
individuo dalle passioni umane, o come una Forza diffu­
sa. Quando si crede di averne esaurito l'idea, di Lui non
rimane che una specie di materia prima, un essere tanto
indeterminato e vicino al nulla quanto lo spazio; oppure
diventa un principio senza interiorità, un'astrazione sen­
za irraggiamento efficace. Ogni formula è scoraggiante e
provoca per reazione una formula contraria. L'acquisto
spirituale non è mai definito, esso che solo potrebbe
rendere stabile e nutrire l'acquisto intellettuale. Il mi­
gliore si cambia in peggiore, e la grande forza di perfe­
zionamento dell'uomo è asservita a fini profani: l'uomo

20 Sap. 13, 2 ; Rom. 1, 23 (con allusione alla storia del vitello


d'oro ; cfr. Ps. 105, 19-20) ; Jerem., 2, 1 1 : « E il mio popolo ha
barattato la sua gloria con l'inesistente » Cfr. RACINE, Hymnes
traduites du bréviaire romain, Lunedì, alle Lodi:
Astro di cui il sole non è che l'ombra grossolana,
Giorno sacro, da cui il giorno prende a prestito la sua luce.
2 1 Cfr. M. ELIADE in Témoignages, xxvm, ( 1951 ), pp. 22-26:
« Se nella storia religiosa dell'umanità antica esiste una co­
stante, essa è... questo allontanamento dal Dio supremo ». « Dap­
pertutto in queste religioni "primitive" l'Essere supremo celeste
sembra aver perduto l'attualità religiosa ; è assente dal culto, e,
nel mito, si ritira sempre più lontano dagli uomini, fino a dive­
nire un deus otiosus... L'allontanamento divino si risolve nella
realtà, in una caduta progressiva dell'uomo in un "concreto
religioso" che gli interdice ogni trascendenza ... ».

41
divinizza di nuovo i suoi bisogni, i suoi interessi, le sue
passioni, le sue ignoranze, le sue follie ... Allora il pro­
gresso diviene negatore. Agli dèi della favola si sosti­
tuisce più spesso il Divino che il Dio Vivente. Religione
e morale si combattono a morte. L'uomo conquista sugli
dèi la sua interiorità ... A grandi intervalli, tuttavia, fil­
tra un puro raggio di luce. I Pagani stessi hanno i loro
« santi nascosti », e il vero Dio dappertutto si sceglie
« profeti » 22 •

* * *
Molti fatti dànno alla teoria marxista e ad altre si­
mili un'apparenza di ragione. Tenendo presente che l'uo­
mo è cacciatore, agricoltore o pastore, il sistema religio­
so tutto intero presenta caratteri differenti. I marxisti e
gli altri increduli non sono soli a sottolineare questa
specie di legge. Tutte le ricerche la confermano, e la
Scuola storico-culturale ne ha fatto, con un rigore parti­
colare, il principio di tutta l'evoluzione religiosa fuori
della rivelazione soprannaturale. Si è distinta la religio­
ne dei popoli « raccoglitori », quella dei « pastori »,
quella dei « cacciatori », quella dei « piantatori » ... Si è
ugualmente rilevato, ad esempio, che in tutta l'éra della
civiltà del cavallo, vengono adorati dei cavalieri 2 3 , ecc.

22 Si troveranno alcuni testi tradizionali su questo soggetto


nel nostro Catholicisme, 4a ed., (1948), p. 181. CLEMENTE ALEssAN­
DRINO, V Stromata, c. VI, 35, n. 2: Il candeliere del tempio, sim­
bolo di Cristo « illuminante in diversi modi e con fuochi mul­
tipli » gli uomini che credono e sperano in Lui. Vedere pure
J. DANIBLOU, Les saints « paiens » de l'Ancien Testament, (1956).
23 « Il dominio del dio cavaliere si stende dalla Tracia e
dalla Russia meridionale sarmata, all'ovest, fino all'impero in-

42
È anche un fatto che gli dèi delle grandi città cosmopo­
lite non somigliano molto a quelli dei piccoli stati, chiu­
si in se stessi. A misura che il gruppo umano, prima
modesta tribù, diviene città, poi nazione e impero; a mi­
sura anche che, per ciò stesso, si ordina e si organizza
la coscienza cosmica, una serie di trasformazioni paral­
lele si compie nei riti e nei miti 2 • . È dunque ben vero
che si trova in essi un riflesso dello stato sociale - il
quale non è senza strette dipendenze dallo stato econo­
mico - e che, di conseguenza, essi concorrono a rin­
forzare questo stato con le loro costrizioni. Bisognereb­
be soltanto, per essere giusti, vedere pure come, con gli
abusi sociali, la religione cosl considerata, consacri il
principio stesso della società; come essa contribuisca,
più di ogni altro elemento, grazie alla coesione sociale e
alla coerenza mentale che essa assicura, a permettere al­
l'uomo di durare, di vivere, ciò che è la prima condizio­
ne per progredire.
Ma vi è altro ancora.
Vi è l'essenziale. Al pari del razionalismo, il marxi­
smo ha, se cosl si può dire, quantitativamente ragione,

diano dei Saka, all'est, da dove il dio cavaliere è penetrato nella


Cina ». F. ALTHEIM, Alexandre et l'Asie, vers. fr., (1954), p. 287.
24 Cfr. B. CONSTANT, De la religion, t. II (1825), p. 2: « Ap­
pena nella razza umana si verifica una rivoluzione, la religione
subisce un cambiamento analogo »; pp. 6-7: « L'isolamento in
cui vivevano i feticci cessa ugualmente d'essere concepibile agli
dèi delle popolazioni radunate in società... Essi mettono i loro
dèi in comune, e questa riunione degli dèi si attua necessaria­
mente appena ha luogo quella degli uomini ». J. DucHESNE-GUIL­
LEMIN in L'Ame de L'Iran (1951), p .25: « Le ricerche di Georges
Dumézil hanno stabilito che l'organizzazione sociale degli Indo­
Europei - con la sua gerarchia di funzioni - si rifletteva,
nel loro pantheon, nella gerarchia dei loro dèi».

43
un po' come ha ragione il determinismo per la parte
maggiore o più apparente dell'azione umana. Il mate­
rialismo storico è una di quelle verità fondamentali che
una prima evidenza non può -mancare di imporre, ma
che non è di alcun aiuto a chi vuol penetrare al cuore
della realtà. In tutto ciò che è oggetto di esperienza, il
falso e l'insignificante non tengono infinitamente più po­
sto del sostanziale e dell'autentico? Le contraffazioni e
le ricadute dello spirito, le sue forme bastarde o addo­
mesticate, le sue eruzioni aberranti o i suoi prodotti
standardizzati, si mostrano in piena luce e s'impongono
all'osservatore, coprendo larghi spazi e ingombrando
tutta la scena. Al contrario, ciò che veramente conta, ciò
che comincia e si prepara a cambiar tutto, è quasi sem­
pre raro e nascosto, sebbene la sua azione diffusa possa
essere già sparsa quasi dappertutto. Ma se capita di ac­
corgersene, bisognerebbe ancora, per apprezzarlo al suo
giusto valore, esaminarlo dal di dentro, con un metodo
che non ha nulla da vedere con i metodi statistici e che
sorpassa decisamente ogni osservazione empirica. Si può
pensare, ad esempio, che l'analisi marxista, applicata
nella maniera più coscienziosa e intelligente del mondo,
or sono venti secoli, in Palestina, avrebbe negletto l'umi­
le fatto, sintetizzato in un nome: Gesù di Nazareth, co­
sl come lo neglessero gli storici giudei e romani. Questo
punto quasi impercettibile sarebbe passato attraverso le
sue maglie, oppure, trattenuto nella rete delle sue spiega­
zioni sapienti, vi si sarebbe trovato svuotato della sua
forza esplosiva.
Malgrado tutto, alcune grandi linee son troppo sa­
lienti per rimanere del tutto nascoste a chi vuole sem-

44
plicemente aprir gli occhi. Il culto d'un Dio senza figu­
ra, - ci si chiede, per esempio - è forse il riflesso di
una lontana età di commercio e di operazioni bancarie ?
Il monoteismo non è il risultato d'una lenta unificazio­
ne di potenze terrestri? Ma come si spiegherebbe allora
la storia dell'India, ove profondi sistemi di filosofia re­
ligiosa e di elevate forme d'adorazione si sono dischiu­
se nel seno di un'economia primitiva e di una società
politica amorfa? Soprattutto, si sono letti i primi pre­
cetti del Decalogo giudaico? (Poco importa qui la que­
stione della loro data precisa). « Ascolta, Israele! Io so­
no Yahwéh tuo Dio. Tu non avrai altri dèi dinanzi al
mio Volto. Tu non fabbricherai figure scolpite ... Poi­
ché, io, Yahwéh, sono un Dio geloso » 25 •
* * *
Non occorre un'osservazione molto minuziosa per
distinguere nella nostra storia occidentale, a dispetto
delle loro multiple implicazioni, due specie di religioni
« monoteiste », le cui origini sono diverse. La prima è
realmente, almeno per una parte, il frutto dello sviluppo
sociale e politico al tempo stesso che del progresso della
riflessione. A poco a poco, come succede sulla terra, si
costituiscono dei pantheon. Gli dèi si organizzano, si
gerarchizzano, poiché la loro stessa moltitudine e mesco­
lanza suggerisce l'unità del divino 26 • Infine il capo della

25 Deut. 5, 1-8.
26 Già nell'antico Egitto (Einsegnement pour Mérikarè), at­
traverso espressioni oscure, si coglie " la teoria che gli idoli
sono ... l'espressione del Dio unico e nascosto, come i flutti suc­
cessivi che vengono a frangersi contro la riva sono quelli d'un

45
società divina cresce fino a divenire il dio supremo, di
cui gli altri dèi non saranno che le manifestazioni o i
servitori 21 • Quando un popolo viene a conoscere le di­
vinità dei popoli sottomessi, le amalgama alle sue con
un sistema di equivalenze, che al tempo stesso serve
ad arricchire e a unificare 28 • Se per caso vi è concor­
renza, gli dèi del popolo vinto, vinti essi stessi, sono
eliminati, a meno che non siano adottati dai vincitori o
non divengano dei demoni... Così - con numerose va­
rianti nel processo - a Babilonia, in Egitto, presso gli
antichi Indo-Europei, nell'impero achemenide, nel mon­
do ellenistico, a Roma sotto l'impero ... Guadagno per
la politica, per la civiltà, per il pensiero? Sì, il più delle
volte, e qualche volta molto considerevole. Ma progres­
so propriamente religioso? Non sempre, e spesso niente
affatto. Nel caso in cui l'antropomorfismo è sorpassato,
si sbocca allora in un divino astratto o in una natura di­
vinizzata: « Aequum, est quidquid omnes colunt, unum
putari: eadem spectamus astra, commune coelum est,
idem nos mundus involvit...» 29 • Gli dèi si sono concen­
trati : ma non hanno generato Dio!

solo e medesimo fiume ». E. DRIOTON, La religion égyptienne in


Histoire des religions (BRILLANT-AIGRAIN, t. III (1955), pp. 38-39.
(Vers. ital., Ed. Paoline, Alba (1960): 3 volumi).
27 Cfr. MASSIMO DI TIRO: « Si trova ora in tutto il mondo
un insegnamento secondo il quale esiste un Dio, che è re e padre
di tutte le cose, e molti dèi che sono figli di questo Dio e con
lui reggono il mondo. Così dicono e i Greci e i Barbari ».
2s Cfr. DIONE CRISOSTOMO: « Alcuni affermano che Apollo,
Elio, Dionisio siano un unico dio che riarsume tutte le altre
divinità in una sola forza e potenza ».
29 SIMMACO, Relatio n. 10. Seguendo A. H. KRAPPH, op. cit.,
p. 343, sarebbe la scoperta delle leggi immutabili del cosmo, per
opera dei matematici greci, che avrebbe condotto al monotei-

46
Al contrario, nella seconda specie di monoteismo, il
Dio unico si afferma con un esclusivismo reciso: « Non
vi è altro Dio che Dio ». Questo non è il risultato di
nessuna riunione né d'alcun sincretismo, intellettuale o
politico che sia. Egli impone e consacra un nuovo ordine
di valori. È un Dio che non si raggiunge attraverso gli
dèi, ma al quale bisogna convertirsi spezzando gli idoli,
che le mani han fabbricati e il cuore si è creato. È un
Dio che lancia la sua sfida agli dèi della natura, come il
giovane David ancora sconosciuto al celebre gigante Go­
lia. È un Dio che bisogna seguire abbandonando il paese
dei propri padri... Un Dio che conduce all'ignoto. Un
Dio che scandalizza quelli ch'egli non ha sedotti. Di
fronte a lui « gli dèi delle nazioni » non sono che « le­
gno e pietra », « vanità », « nulla », « abbominio »,
« peccato »; essi sono « gl'immondi », « i cadaveri », « i
non-dèi ». « Non allontanatevi dal Signore, e non adora­
te dèi vani! » 30 • « Ecco che il Signore verrà su una nube
leggera, e tutte le opere degli Egiziani saranno spazzate
dalla presenza del suo Volto! » 31 • « Dio geloso, Dio
esclusivo, che divide tutto, che non lascia durar nulla
dinanzi a Lui ». Si aveva un Principio compiacente che

smo, concludendo un'evoluzione naturale cominciata dall'illusio­


ne animista. Ma egli non illustra la sua tesi che con « il dio
degli Stoici ».
30 Livre des Secrets d'Hénoch, c. n ( trad. A. Vaillant 1952),
p. 7.
31 Is., 19, I. Cfr. R. GUEI.LUY, Dieu est Amour in Revue dio­
césaine de Tournai, 1950, p. 27: « L'antico Testamento parla di
Dio non in termini di metafisica, ma in termini d'azione. Non
ragiona come i filosofi sull'essenza della divinità, ma descrive
ciò che ha di unico nella sua potenza e nelle sue esigenze il
Creatore del cielo e della terra, il Dio d'Abramo, di Isacco e
di Giacobbe.

47
giustificava le pratiche del politeismo pur consolidando
i dominii carnali, e che rimaneva in se stesso il possesso
di una piccola èlite di saggi. Ora si ha un Essere, per
nulla astratto sebbene tutto spirituale; un Essere vivo
ed agente sebbene invisibile; un Essere intransigente,
che reclama per sé tutto il culto e che vuol essere rico­
nosciuto da tutti; un Essere trascendente, sebbene forte­
mente personale, che va al di là di tutte le città terre­
stri, fosse anche la città del mondo. Non un Dio cosmo­
polita, ma un Dio che sarà, se non lo è ancora, il Dio
universale.
Solo questo secondo monoteismo è carico di forza
esplosiva. Solo esso porta il progresso religioso, essendo
all'origine di una trasformazione radicale nelle concezio­
ni e nella vita religiosa. Soltanto esso, inoltre, è atto
ad assumere, quando non lo promuove da se stesso, il
progresso morale e il progresso sociale. Solo il Dio di
questo monoteismo può essere, nel senso primo della
parola, l'oggetto d'una fede 32 • Quando egli incontra il
primo monoteismo non si aggrega ad esso: deve anzi­
tutto trionfare anche di esso. Hebraeorum Deus a Ro­
manis non receptus, quia se solum coli voluerit In un 33

32 Cfr. le analisi di SANT'AGOSTINO, di FAUSTO DI RIEZ, di s.


ANSELMO (Monologion, c. LXXVI-LXXVIII ; Opera omnia, t. I, 1838,
pp. 83-85), di SANT'ALIIERTO il Grande e di SAN TOMMASO sulla for­
mula: « Credere in Deum ». Vedere la nostra Méditatio11 sur
l'Eglise (3a ed., 1954) ; c. I (vers. ital. Meditazione sulla Chiesa,
Edizioni Paoline, Milano, 1%3).
33 SANT'AGOSTINO, De consensu evangelistarum, I. I, c. XVIII,

n. 26: « Quis est Deus iste vel ita ignotus, ut in tam multis diis
solus adhuc non inveniatur, aut ita notus, ut a tam muìtis
hominibus jam solus colatur? Nihil ergo restat , ut dicant cur
hujus Dei sacra recipere noluerint, nisi quia solum se coli vo-

48
secondo momento, egli lo utilizzerà per esprimere, com­
pletare ed espandere se stesso ponendo così fine a ogni
altro monoteismo. Ora, noi costatiamo che esso non ap•
pare nei grandi Stati unifìcati, dopo potenti conquiste,
nè in seguito a profonde speculazioni o a grandi trasfor­
mazioni economiche. Per quanto si può ricostruire la
storia dalla situazione disperata delle fonti, la religione
di Zoroastro, « la meno pagana delle religione pagane »,
le cui potenze divine sono, più che dèi, « attributi del­
l'unica divinità » 3 4 , nacque in un remoto angolo del­
l'Iran, lontano da quel focolare di cultura ch'era allora
Babilonia, e prima dell'era del sincretismo, aperta in
Babilonia stessa dalle conquiste di Ciro 35 • Il Giudai­
smo e l'Islam smentiscono ancor di più ogni teoria del­
lo sviluppo religioso, che ricorre ai soli fattori estra­
nei alla religione. Israele era un piccolo popolo, dal pen­
siero frusto, dall'economia rudimentale, dalla civiltà as­
sai meno brillante di quella dei suoi grandi vicini, che

luerit, illos autem deos Gentium, quos isti jam colebant, coli
prohibuerit... Socratis enim sententia est, unumquemque deum
sic coli oportere, quomodo se ipse colendum esse praeceperit.
Proinde istis summa necessitas facta est non colendi Deum
Hebraeorum: quia si alio modo eum colere vellent, quam se
colendum ipse dixisset, non utique illum colerent, sed quod ipsi
finxissent ; si autem illo modo vellent quo ipse diceret, alios
sibi colendos non esse cernebant, quos ille coli prohibebat »
(P. L., XXXIV, 1053-1054).
34 J. P. DE MENAsCE, O. P., Le monde moral iranien in Les
morales non chrétiennes (Journées « Ethnologie et Chrétienté »,
Paris, 1954) p. 42.
35 Cfr. J. DUCHESNE-GUILl.l!MIN, Zoroastre, étude critique
avec une traduction commentée des Gatha (1948). Si ricorderà la
riflessione di S. PE'l'RBMENT, precisamente a proposito dell'anda­
mento filosofico della religione di Zoroastro: « Tutto è più antico
di quanto si creda » (ibid., p. 66).

49
4. - Sulle vie di Dio
a turno lo schiacciavano. Se esso, specialmente duran­
te l'esilio, ha approfittato molto delle loro concezioni,
fu per i suoi propri fini, e come per vestire d'un man­
tello più magnifico il Dio che già riconosceva come uni­
co. Ed è nella rovina e nella cattività ch'esso ne cele­
bra il trionfo. Gli Arabi, prima dell'Egira, non avevano
quasi unità. L'idea di Dio, nelle sue più alte manifesta­
zioni come nelle forme più umili, spezza e va oltre tut­
ti i quadri sociali come tutti quelli mentali. In verità, si
può dire: « Lo Spirito soffia dove vuole ».

* * *

Ogn i religione durevole deve avere radici, e la sua


nascita dipende da una serie di condizioni, che non
sono tutte di ordine religioso. Ciò non meraviglierà
un cristiano, che sa il posto tenuto persino nella reli­
gione rivelata dall'idea della « pienezza dei tempi ».
Soprannaturale non significa superficiale. Il divino non
esclude l'umano. Guardiamoci tuttavia, anche in que­
sto campo, dal prendere le condizioni per cause.

* * *

Nel paganesimo, il progresso della riflessione ten­


deva all'eliminazione degli dèi. Nel Cristianesimo, la
fede in Dio ha provocato il progresso della coscienza.
L'uomo, chiamato da Dio, ha conosciuto il suo essere
conoscendo la sua vocazione. Egli è divenuto per se stes­
so persona, per sempre.

so
* * *
Se Dio porta lo stesso nome degli d èi, ciò non è in
virtù di non so quale parentela, come se uno, per esem­
pio, fosse la perfezione, la sublimazione o l'unificazione
degli altri, è per sottolineare che gli altri non ebbero
mai che un'esistenza e un nome presi a prestito o, piut­
tosto, rubati. Dio rientra nei suoi diritti, usurpati da
vani fantasmi o da forze malvagie dal giorno che l'uo­
mo si era allontanato da lui.
* * *
Alcuni pensano che Dio unico sia un prodotto del-
1'evoluzione religiosa. Dapprima sparpagliato nella pol­
vere di essere sacri, a poco a poco il divino si organizza,
si gerarchizza, infine si concentra e s'innalza di una di­
vinità suprema, di cui le altre potenze, create dall'im­
maginazione mitica, ormai più non sono che le ancelle.
Allora esso può a piacere purificarsi, spiritualizzarsi,
raffinarsi, magari fino a svanire 36 •
Altri pensano, al contrario, che il Dio unico s'im­
ponga all'improvviso con una rivoluzione religiosa. Egli
s'afferma di colpo, opponendosi. È un dio particolare,
che respinge gli altri dèi. È una certa concezione del
36 Sul monoteismo ellenistico, ottenuto sia per la tendenza
ad accordare la supremazia a un dio particolare, che diviene
il sovrano degli dèi e degli uomini ( « Juppiter summus exsupe­
rantissimus » ), sia per una fusione di tutti gli dèi in un sol prin­
cipio divino, di cui essi non sarebbero che manifestazioni diffe­
renti, vedere J. DUPONT, O. S. B., Gnosis, la connaissance religieuse
dans les Ep'ìtres de Saint Paul (1949), pp. 330-333 ; F. CUMONT,
Les religions orientales dans le paganisme romain (4& ed., 1929),
passim.

51
divino che sorge nel suo esclusivismo, contro concezioni
antecedentemente vissute di cui l'uomo s'è disgustato,
di cui ha riconosciuto il vuoto, e di cui non ha più scor.
to il valore.
L'una e l'altra tesi poggia su una serie di osserva­
zioni esatte, ed è necessario renderne atto a entrambe,
sebbene nella seconda vi sia più verità storica che nella
prima, se si guarda più al Dio vivente della religione
che al principio supremo della filosofia 3 7 • Il Dio della

37 E. OUINET l'aveva spiegato in una bella pagina del suo


Génie des Religions (Ouvres complètes, t. I, 1857, pp. 273-274):
« Come nella natura s'incontra spesso, nella scala degli esseri
organici, un intervallo, uno iato che non si può colmare, così
tra Osiride e Jehovah, non v'è solamente un progresso di forme,
una nota ascendente, una successione regolare: tra l'uno e l'altro
c'è una rivoluzione. Dirò che Adonai, Eloha, non è che lo svilup­
po successivo del Baal di Babilonia, dell'Adonis di Fenicia,
dell'Ercole di Tiro? No davvero. Che si innalzi pure, quanto si
vuole, grazie a un progresso continuo, il genio di questi dèi,
ma essi non giungeranno mai, dopo qualunque evoluzione, fino
all'idea di Jehovah. Correggete, abbellite, completate, fin che
vorrete, Baal o Astarte, mai degli dèi di Canaan voi farete il
Dio di Mosè. Perché questo? Perché incarnati nell'universo essi
sono una sola cosa con lui ; perché la terra forma i loro piedi,
il cielo la loro testa, le stelle il loro sguardo, mentre la natura
non è nemmeno un vestito per Jehovah: egli può rifarla, infran­
gerla se gli piace. I venti non sono il suo respiro, essi sono i
suoi messaggeri. Le stelle non sono ,i suoi sguardi ma le sue
schiave. Il mondo non è la sua immagine né la sua eco e nep­
pure il suo ornamento ; non è la sua luce, né la sua parola. Che
cos'è dunque? Esso non è nulla davanti a Lui ». - Ma nel
seguito della sua spiegazione Quinet mette una specie di lega­
me naturale tra il monoteismo d'Israele e <il deserto « patria
naturale del Dio geloso "· « Sempre », dice lui, « il deserto si
mostra all'orizzonte, quando voi pronunciate il nome di Jeho­
vah... L'umanità si raccoglie; in mezzo al silenzio dell'universo,
il miracolo di Dio-spirito si consuma nel suo cuore... » pp.
276-278. Nel De l'origine des Dieux (ibid., p. 422), egii riprende
la medesima idea: « Un popolo isolato nel deserto, nemico
di tutti gli altri, poteva solo manifestare Jehovah nella sua

52
Bibbia ha un nome proprio: Yahwéh, che si afferma nel­
la sua unicità, costituendosi un popolo particolare, in
disparte dagli altri popoli, imponendogli una particolare
legislazione, beffandosi per bocca dei suoi Profeti degli
dèi fabbricati da mano d'uomo. Il Dio del Vangelo non
è meno personale: è il Padre Celeste, e per i cristiani
gli dèi del paganesimo, se pur hanno qualche esistenza
reale, non possono essere che demoni. Tuttavia, è vero
che alla fase d'intransigenza, nel corso della quale si
stabilisce la monolatria o il monoteismo, non tarda a
succedere una fase d'involuzione, nel corso della quale
senza più lasciarsi contaminare, il Dio vincitore riuni­
sce a suo profitto tutto ciò che s'era disperso altrove
di pensiero o di adorazione genuina. All'opposizione
succede l'assorbimento, in modo che le due tesi appaio­
no meno contraddittorie che complementari.
Né l'una né l'altra va tuttavia a fondo delle cose.
Né l'una né l'altra risale alla sorgente. In realtà l'idea
del Dio unico e trascendente, nella sua apparizione sto­
rica, non sorge da una critica o da una delusione qual­
siasi. Essa non è frutto di alcuna dialettica immanente,
rivoluzionaria o evolutiva che sia. Essa non è ottenuta
né per sintesi, come se rispondesse al bisogno sentito
all'inizio di unificare il divino sparso; né per antitesi,
come se l'uomo avesse anzitutto preso coscienza della
vanità dei suoi antichi dèi. Nessun processo d'integra­
zione o di contrasto la spiega. Ciò che si prende per

eterna solitudine ,._ L'idea ha avuto fortuna per qualche tempo,


grazie a RENAN, Etudes d'histoire religieuse, 2a ed., 1857, pp. 6o-
67. Si è generalmente dimenticato che essa era già in Qunmr, il
cui Génie des Religions fu celebre per alcuni anni.

53
causa è, in realtà, effetto. L'idea del Dio unico sorge di
per se stessa nell'intimo della coscienza - che questo
avvenga per un'esigenza razionale o per qualche illumi­
nazione soprannaturale, per ora non c'interessa - s'im­
pone allo spirito da se stessa, in virtù della sua propria
necessità. Infatti, nel caso più chiaro, è Dio stesso che,
rivelandosi, fa svanire gli idoli, o costringe colui che
Egli visita a strapparli dal suo cuore. Reverberasti infir­
mitatem aspectus mei, radians in me vehementer, et
contremui amore et horrore 38 • La prima cosa è questo
splendore, questo « irraggiamento »; è la luce e l'attra­
zione mista di timore che se ne sprigionano. Allora, per
un fenomeno di « riverberazione », si scopre in tutta
la sua luce la fralezza delle concezioni umane, e l'uomo
che Dio ha toccato concepisce orrore per i fantasmi che
aveva generati. La fede che nasce in lui lo libera da ogni
malefizio.
All'origine, vi è dunque un contatto, un incontro;
vi è una certa intuizione, qualunque sia il nome che,
secondo i casi, le si darà: lampo dell'intelligenza, vista,
udito o fede. L'antitesi viene in secondo luogo, e la
sintesi, nella misura in cui se ne può parlare, segue da
ultimo.
In effetti, conta soltanto il primo tempo. È Abramo
ad udire la chiamata che lo strappa al paese e al culto
ancestrale; è Mosè, che riceve la legge sul Sinai; è Isaia,
che contempla la maestà di Yahwéh nel Tempio... È
Gesù che trasale nello Spirito e conversa col Padre. In
ciò, nessun rovesciamento dal « per » al « contro », nes-

38 SANT'AGOSTINO, Confessioni, 1. VIII, c. X, n. 16.

54
suna relatività, nessuna « dialettica ». Ogni dialettica,
storica o no e qualunque ne sia il metodo, suppone
diversità e negazione. In ogni dialettica, checché ne
sia del suo valore, un termine è suscitato dall'altro. Il
rovesciamento dal « per » al « contro » non suppone
l'inserzione di un nuovo principio. La dialettica è un'ar­
ma potente perché risponde a uno dei processi essenzia­
li dello spirito. Ma se essa pretende non di organizzare
ma di generare il pensiero, la sua anima è una necessità
cieca. Essa non rischiara affatto l'interno degli esseri,
che alternativamente pone ad ogni suo passo; meglio,
questi esseri non hanno allora alcun interno, non essen­
do che termini del tutto relativi a quelli con i quali en­
trano in serie. Indubbiamente, una volta caduta nella
coscienza come un germe - sia per effetto della luce
della ragione che per quello d'una rivelazione sopranna­
turale - l'idea del Dio vivo sarà, come ogni altra, sot­
tomessa alla dialettica. Anzi, in un certo senso, più di
ogni altra, perché essa diviene il principio di un'« in­
quietudine » permanente che la tormenterà senza fine.
Ma per questo essa diviene meno sostanziale e positiva,
ed è ciò che le assicura il trionfo. Lungi dal corrispon­
dere a una fase della dialettica umana, è, al contrario,
quest'ultima che esplica il ruolo di intermediaria ponen­
dosi come medium d'una realtà scorta innanzi a un mi­
stero presentito e che non cessa di essere sostenuta nel
suo movimento da una presenza...
La cosa è assai più sorprendente nella dialettica con­
creta della storia. Il monoteismo religioso, quello stesso
che dobbiamo a Israele e a Cristo - e, in scarsa misu­
ra, quelli analoghi che si osservano altrove - s'accen-

55
de al fuoco divino. Prima di essere una credenza, e, a
più forte ragione, prima di divenire una tradizione Ò
un'idea, esso fu una vocazione, e lo rimane sempre, là
dove conserva il suo vigore autentico. Nella sua forma­
zione non c'è traccia di questo movimento dialettico,
che è il « risentimento » in senso nicciano. Abramo non
si avvicinò al vero Dio per il disgusto delle divinità dei
suoi padri, anzi dovette lottare nel suo intimo per
abbandonarle, per cui la sua fede divenne una vittoria.
Gesù non predica, come il Buddha, la vanità di questo
mondo e degli dèi che lo canonizzano, perché essi sono
fatti miticamente della sua sostanza; Egli annunzia il
Regno dei Cieli dove respira già la sua anima, e inse­
gna l'amore del Padre Celeste attraverso la propria per­
sona. In questo senso ugualmente si veri.fica la parola
profonda dell'Apostolo: Non vi è che S1 in Lui 39 •

* * *
Si è intrapresa, con più o meno successo, la psica­
nalisi delle mitologie. Sempre più si dovrà applicare la
psicanalisi all'ateismo. Però si fallirà sempre a « psica­
nalizzare » la Fede 40 •

ao II Cor., 1, 19. Cfr. K. BARTII, Esquisse d'une Dogmatique,


(vers. f. 19.50), p. 36; « là dove il vero Dio è riconosciuto, gli
idoli crollano nella polvere, e Lui solo rimane "· Per un con­
fronto con Buddha cfr. H. DE LUBAC, Aspects du Bouddhisme,
t. I (1951), pp. 51-53.
,o Non vi è confutazione psicologica né « prova psicologi­
ca ,. di Dio. Cfr. a questo riguardo le osservazioni di E. ORTI­
GUF.S nel Supplément de la Vie spirituelle, 1951, p. 461, a propo­
sito dell'opera di W. DAIM, Umwertung der Psychoanalyse,
(1951).

56
CAPITOLO II

L'AFFERMAZIONE DI DIO

Se, con Sant'Agostino, si riserva il nome cli creden­


za agli atti con cui lo spirito aderisce a verità che sor­
passano i sensi e che l'intelligenza non riesce ancora a
penetrare, si potrà dire che l'affermazione cli Dio è sem- ·
pre il risultato cli una credenza. Ma si dovrà allora subi­
to precisare che nessuna affermazione è paragonabile,
in certezza, a quella credenza. Poiché prima ancora che
essa fosse formulata, prima che Dio fosse nominato, era
già essa che fondava tutte le altre. È ad essa, come De­
scartes ha ben visto, anche se l'ha spiegato male, che
si riallaccia ogni affermazione, ed è in essa che ogni
certezza ha le sue basi. « In qualunque modo ce se ne
interessi, diceva Leibniz, non si può fare a meno della
esistenza divina ». Alla loro maniera - e non tocca
qui a noi criticarla - questi due filosofi riprendevano
l'assioma enunciato da San Tommaso d'Aquino: « Ogni
conoscente conosce implicitamente Dio in ogni cono­
sciuto 1 • Ogni atto umano - conoscenza o volere che
1 De Veritate, q. XXII, a. 2, ad lm. J. MARÉCHAL, Le point de
départ de la métaphisique, q. V (1926), p. 337: « Noi potremmo
dunque, a rigore, fissare che la possibilità del nostro fine ul-

57
sia - attribuendo al reale, su cui si esercita, una soli­
dità e un senso, si appoggia segretamente su Dio. Dio
è l'Assoluto; e non si può pensare nulla senza porre l'As­
soluto riallacciandolo a questo Assoluto; non si può
voler nulla senza tendere all'Assoluto, né stimar nulla
senza pesarlo al peso dell'Assoluto 2 •

timo soggettivo presuppone logicamente l'esistenza del nostro


fine ultimo oggettivo, Dio, e che così in ciascun atto intellet­
tuale è implicitamente affermata l'esistenza di un essere asso­
luto ... Ma è troppo poco costatare le implicazioni logiche di
ciascun fatto contingente di conoscenza ; H fatto copre qui una
necessità radicale, indipendente dal fatto che ce la rivela; poi­
ché anche la nostra affermazione implicita dell'essere assoluto
era necessaria a priori ». Cfr. H. URs V0N BALTHASAR, Phénomé­
nologie de la Vérité, (vers. fr. R. Givord, 1952), p. 35.
Si è scritto: « :e manifesto che il pensiero di San Tom­
maso è diametralmente opposto a quello di Descartes e di
Leibniz ai quali si vorrebbe assimilarlo ». Diciamo, con mag­
gior moderazione e verità, che il pensiero di questi due filosofi,
che differiscono essi stessi l'uno dall'altro, differisce manife­
stamente pure da quello di San Tommaso, che non abbiamo
voluto in alcun modo assimilare al loro. Ma queste differenze
non fanno che rendere più notevole una analogia realissima sul
punto da noi indicato.
2 Cfr. M. BLONDEL, risposta a Léon Brunschvicg, in Bulle­
tin de la Société française de philosophie, seduta del 24 marzo
1928, p. 53: « La minima sensazione umanamente percepita, la
minima percezione direttamente conosciuta, la minima cono­
scenza scientificamente o metafisicamente elaborata, implicano
un'affermazione fondamentale, che sorpassa di colpo ogni or­
dine empirico e ogni ordine concettuale delle nostre rappre­
sentazioni. Ogni atto di conoscenza verace, ogni pensiero de­
gno di questo nome, per elementari che si immaginino, pon­
gono invincibilmente una trascendenza dello spirito riguardo
all'ordine immanente delle cose apparentemente poste e su­
bite. Prima dunque di ogni riflessione critica e per permettere
questa riflessione stessa, vi è in noi l'asserzione vissuta d'una
realtà ulteriore o superiore a ogni fatto, a ogni pensiero che
si limiterebbe esso stesso. Conoscere è sempre contenere, com­
prendere, dominare, sorpassare il mondo e il pensiero già re"à­
lizzato, per aggrapparsi a ciò che non è del mondo, a ciò che
non appartiene solo alla nostra conoscenza �- Vi è in questa

58
Non è dunque solo negli atti detti di religione né
secondo un'accezione grossolanamente pragmatista che
God is used, come suona una nota espressione. Servirsi
di Dio per dominare il flusso dell'esistenza immediata,
organizzare il caos, decidere, giudicare, scegliere, fare,
in una parola, un atto dello spirito, e non affondare a
ogni passo nella contraddizione, ma contemporaneamen­
te rifiutare di riconoscerLo; scartare con il pensiero Co­
lui senza il quale il pensiero non sarebbe che psichismo;
appoggiarsi su Lui nell'atto stesso con cui Lo si nega:
questa è la contraddizione suprema. Tale giudizio, in
realtà, si nega da se stesso e si distrugge, non semplice­
mente nel suo contenuto, ma come tale, spezzando la
sua armatura e rifiutando la sua condizione. Contraddi­
zione senza dubbio inavvertita, poiché non interviene
tra due affermazioni oggettive, ma tra l'affermazione
oggettiva e l'affermazione trascendentale; tra l'asserzio­
ne emessa e l'asserzione vissuta con il pensiero. Di con­
seguenza contraddizione non particolare e puramente lo­
gica - ed è per questo che essa è sempre possibile -
ma contraddizione totale, vitale e spirituale. Contraddi­
zione nell'essere che pensa. Peccato dello spirito contro
lo Spirito.
Così facevano quei pagani di Roma che, rifugiati
nelle chiese per sfuggire ai colpi dei Barbari, profitta­
vano della sicurezza che loro concedeva il Dio dei cri­
stiani, per bestemmiare contro di Lui. Per avere il dirit­
to di negare Dio senza contraddirsi, bisognerebbe pote-

" asserzione vissuta ,. il principio sempre attuale e sempre


trionfante d'una critica di ogni empirismo ingenuo e di tutti
gli empirismi sedicenti critici.

59
re e, al tempo stesso, cessare di volere e di pensare 3 •
Bisognerebbe cessare di parlare 4 •

* * *

Non si potrbbe, senza distruggere lo spirito stesso,


troncare il suo perpetuo riferimento all'Assoluto; all'As­
soluto pensato come reale. Non si può sopprimere
« questo primo rapporto con l'essere che le filosofie del
progresso o della totalità trascurano sempre ». Non si
può, senza chiudersi a ogni vera filosofia, disconoscere
,1uesta « esperienza fondamentale » che è la presenza
non concettuale dell'essere alla coscienza, comune al
filosofo e a tutti gli esseri 5 •

a Cfr. A. FoRFST, Du consentement à l'etre (1936), p. 104:


« L'atto col quale io affermo Dio non è un risultato, in qualche
maniera estraneo al principio stesso dell'affermazione oggetti­
va: esso non fa che prolungare questo movimento che l'im­
plica già in modo virtuale. Noi non diremo che è Dio che
conosciamo conoscendo il mondo, ma in un certo senso è veris­
simo dire che nell'atto del giudizio d'esistenza si trova l'affer­
mazione implicita di Dio, per chi cerca le condizioni metafisiche
per le quali esso è possibile. Aliquid est, ergo Deus est ».
' Cfr. A. Bl!EMOND, S. J., Une dialectique thomiste du
retour à Dieu, in Nouvelle Revue Théologique, 1834, p. 569: « Sia
che parli umanamente, sia che giudichi, non posso impedirmi
di dire Dio; ma non ne dubito affatto. lo affermo assoluta­
mente tale verità, e affermo per il fatto stesso tutto ciò che
garantisce l'assoluto della mia affermazione. Ora non vi può
essere che una ragione ontologica della mia affermazione asso­
luta, e questa è la verità che Dio è "· Cosl la prova di Dio
può prendersi e dal senso di ogni affermazione vivente ,._ (Com­
mentario di A. MARc S. J., L'idée de l'etre selon saint Thomas
et dans la scolastique postérieure, in Archives de philosophie,
voi. X, 1933, q. I).
5 F. Al.Qu1é, La nostalgie de l'etre, 1950, pp. 144 e 148.

60
* * *

« Non avendo principio, Dio non potrebbe essere


affermato in virtù di un principio distinto da Lui »
(P. Scheuer).
Questo non vuol dire che non vi sia nulla da ragio­
nare - da ragionare secondo i principi - per provare
l'esistenza di Dio, ma che non è in seguito a un ragio­
namento che il pensiero, che è affermazione di Dio, esi­
ste in noi. Il pensiero che ragiona esiste prima del ragio­
namento. Se il ragionamento deve intervenire, è per
condurci a vedere ciò che il pensiero è, o ciò che esso
implica. La realtà del pensiero non è un fatto d'ordine
psicologico per cui nessun metodo empirico di osser­
vazione saprebbe farcela esplorare. Il che significa anco­
ra che l'esistenza di Dio non è una verità qualunque,
una verità particolare che dipende in se stessa da una
verità più ampia, più comprensiva e più fondamentale,
di cui essa sarebbe in qualche modo una applicazione
tra tante altre. In altri termini, Dio non è un essere
particolare che tiene il suo posto tra gli altri, nell'inter­
no o all'inizio di una serie. Dio non è il primo anello
nella catena degli esseri. Contro ogni razionalismo, co­
me contro ogni disprezzo delle certezze razionali, dob­
biamo riconoscere che Dio è la realtà che domina, avvol­
ge e misura il nostro pensiero, e non il contrario. Egli
è la realtà che rende il nostro pensiero cosi grande, sicu­
ro di sé e assoluto nel suo atto regale di giudicare, e,
nello stesso tempo, cosi necessariamente sottomesso...
In breve, bisogna prendere sul serio la realtà di Dio.

61
Bisogna riconoscere in tutto il suo valore la trascenden­
za di Dio.
* * *

Se non vi fosse una certa idea di Dio - non ogget­


tivata, non ancora vista, non cosciente, sebbene presen­
te alla coscienza, in una parola, non concepita - pre­
cedente tutti i nostri concetti e sempre presente in tutti,
qualsiasi purificazione a cui noi sottomettiamo questi
concetti per farci un'idea corretta di Dio, non servireb­
be a niente, se non a negare tutto per finire nel nulla.
Dopo una fase di negazione, parlare di una fase di « ec­
cellenza » o di « eminenza », sarebbe una burla. Poi­
ché la fase di negazione, coscienziosamente attraver­
sata, avrebbe fatto nello spirito tabula rasa: non vi
avrebbe lasciato sussistere nulla. Tutti i nomi formati
con il prefisso sopra sarebbero dunque psittacismo, logo­
machia pura, o ritorno mascherato all'affermazione pri­
mitiva, quale era prima di ogni critica 6 •
Allo stesso modo, se non vi era alcuna specie di
idea di Dio anteriore a tutti i ragionamenti con i quali
cerchiamo di costituirGli in noi una base logica, la cri-

6 Questo pericolo non è mai eliminato una volta per sem­


pre. San Tommaso d'Aquino ne era cosciente. Così, in lui, « è in
verità in un clima di mistero che si svolgono analisi, ove
trionfa la negazione, meno propizia all'illusione dei super­
lativi ». M. I. CHENU, O. P., lntroduction à l'étude de saint Tho­
mas d'Aquin (1950), p. 140. Deus, qui melius scitur nesciendo,
come dice E. GILSON, (Societé française de philosophie, seduta
del 24 marzo 1928, risposta a L. Brunschvicg), è una « forma
classica del tomismo ». Vedi sotto, cap. v. Cfr. E. SoURIAu, L'om­
bre de Dieu (1955), pp. 297-298: « La parola sopraesistenza è pie­
na di insidie ».

62
tica, che necessariamente dobbiamo in seguito istituire
della forma generale in cui questi ragionamenti sono
sgorgati, finirebbe col rinnegare ogni affermazione di
Dio.
Ma l'ipotesi esaminata è vana. La duplice attività
dello Spirito non è la tela di Penelope. Essa riesce real­
mente, e il suo successo è definitivo. Precedente tutti
i nostri concetti, sebbene oggettivamente inafferrabile
al di fuori di essi, e anteriore a tutti i nostri ragiona­
menti, sebbene logicamente ingiustificabile senza di essi,
ispiratrice, motrice e giustificatrice degli uni e degli
altri, l'idea di Dio è in noi, misteriosamente, fin dall'ori­
gine. Omnia cognoscentia cognoscunt implicite Deum
in quolibet cognito 1

7 Questo principio di San Tommaso è pure quello di


DuNs Sroro (In 4 Sent., 1. I, d. 3, q. III, n. 26). Cfr. il principio
correlativo, Prima, q. VI, a. 1, ad 2m: « Omnia, appetendo pro­
prias perfectiones, appetunt ipsum Deum »: ciò che, ben inteso,
non si scopre ugualmente che alla riflessione del filosofo, e non
suppone alcuna coscienza diretta nell'esercizio spontaneo del­
l'appetito in questione. L'analisi riflessiva è cosa ben diversa
dall'introspezione psìcologica.
Secondo questo principio e secondo tutto ciò che gli cor­
risponde nel tomismo, si è potuto dire che, « preso in un senso
nuovo » - quello stesso che noi ci sforziamo di definire qui -
« l'esemplarismo è uno degli elementi essenziali del sistema
da san Tommaso » (E. GrLSON, op. cit., p. 197). Diversi com­
mentatori hanno tentato, a torto, di eliminare « la più piccola
traccia di ciò che si crede essere proprio dell'ontologismo "
(ibid., p. 104). Per evitare una parvenza di errore, rischiavano
così di abbandonare la sostanza della verità. Poiché, come dice
il cardinal ZIGLIARA (Oeuvres philosophiques, vers. fr., t. rn,
Lione, 1881, De la lumière intellectuelle et de l'ontologisme, p.
429), « l'ontologismo ha qualche cosa di vero » (Cfr. ibid., t. II,
p. 10), ed è pericoloso ridurre in qualche modo tutto lo studio
della nostra conoscenza di Dio a una confutazione dell'onto­
logismo (come pure dell'agnosticismo).
Vi è effettivamente ontologismo là dove, per una confu-

63
Tale asserzione non vale che per Dio solo. Per mo­
destamente che la cosa venga intesa, il suo valore è ine­
stimabile. L'idea di Dio presiede a tutte le nostre nega­
zioni come a tutte le nostre critiche, un po' come il voca­
bolo che si cerca, che si conosce senza poterlo dire, eli­
mina tutti gli altri vocaboli che si presentano allo spi­
rito. Nella negazione stessa, l'affermazione trionfa, e la
critica è un consolidamento.
Nel suo stato primo e permanente, quest'idea di
Dio non è dunque un prodotto dell'intelligenza. Essa
non è un concetto. È una realtà: l'anima stessa dell'ani­
ma; immagine spirituale della divinità, « eikon » 8 •

sione tra la nostra idea di essere e l'idea dell'Essere, tra


l'essere astratto e l'Essere puro, si trova più o meno affermata
qualche « vista immediata» di Dio, qualche « visione ontologi­
ca» al principio della conoscenza umana; una specie di « per­
cezione intuitiva dell'Infinito » o del concetto oggettivo di Dio,
di cui tutti gli altri concetti non sarebbero che modificazioni
o determinazioni. Ciò si verifica nelle quattro specie di ontolo­
gismo che, per confutarle, ZIGLIARA distingue seguendo SANS·
FIEL (De l'orthodoxie de l'ontologisme modéré, lett. I, p. 6):
« Nella prima teoria (la percezione intuitiva dell'Infinito) risul­
ta l'identità dell'uomo con Dio; nella seconda, essa penetra l'es­
senza intima di Dio come la visione beatifica; nella terza, essa
è la sola percezione dello spirito umano; mentre nella quarta
è accompagnata dalla percezione delle realtà contingenti».
Cfr. una delle proposizioni condannate il 18 settembre 1861:
« L'essere che concepiamo in tutte le cose e senza il quale non
concepiamo nulla è l'essere divino» (DENZINGER-BANNWART, En­
chiridion symbolorum..., 2a edizione 1911, n. 1660, p 447); o la
sa e la 37a delle proposizioni condannate il 14 settembre 1887
(ibid., 1895 e 1927, pp. 50') e 513). Cfr. cap. III, nota 35.
Aggiungiamo che l'inneismo non è l'ontologismo, come
l'ammissione di un elemento a priori nella conoscenza non è
inneismo.
s L'importanza straordinaria di questa nozione dell'imma­
gine di Dio impressa nell'uomo non era sfuggita ai Padri del
Concilio Vaticano I. Due passi degli Atti del Concilio, dovuti
alla penna di mons. GASSER, ne fanno fede. Acta et decreta SS.

64
* * *
Se lo spmto non affermasse Dio - se esso non
fosse affermazione di Dio - non potrebbe affermare
nulla. Come una terra privata del suo sole, esso non
avrebbe più alcuna legge. Rientrando completamente
nei meandri di un oscuro psichismo, non potrebbe più
esercitare alcuna attività razionale. Non potrebbe più
giudicare. Avrebbe perduto la sola cosa che può servire
di appoggio, di luce, di norma, di giustifìcazione, di
riferimento a tutto il resto.
Ciò non signifìca che, fin dall'inizio, l'esistenza di Dio
ci sia evidente. È partendo dal relativo che la ragione
si eleva all'assoluto. Ciò che sostiene e orienta ciascuno
dei suoi passi, è, al tempo stesso, sotto un altro rappor­
to, il termine di questi passi. Ciò che spiega e giusti­
fica la conoscenza deve essere stabilito da essa. Ciò che

Concilii Vaticani I (collectio Lacensis, t. VII, Freiburg, Br., .


1890) ; Relatio de emendationibus capitis secundi constitutionis
dogmaticae de fide catholica ; relatio R. I. Vincentii Gasser:
Emendatio VII: « ••• Si dicimus Deum cognosci naturali
rationis lumine per creaturas, id est, per vestigia quae crea­
turis omnibus impressa sunt: multo minus excludimus ima­
ginem quae animae immortali hominis impressa est: proinde
argumentum metaphisicum non excluditur ... » (Col. 132).
Emendatio L: « Rev. emendator vult additionem (in ca­
none): "Ab homine ad imaginem et similitudinem ejus facto";
et quidem exinde, ut etiam addita hac ratione appareat, cur
vel maxime Deus per speculum creaturarum certo cognosci
possit; scilicet, non solummodo per vestigia Dei rebus creatis
impressa, sed multo magis per imaginem impressam animae
immortali hominis. - Sed, quamvis ea ratio sit optima, tamen
Deputatio censet istam emendationem non esse admittendam,
ideo quia solemne est Ecclesiae in canonibus ratfones non
adducere, sed simpliciter errorem verbis definitis condemna­
re • (Col. 149).

65
5. - Sulle vie di Dio
è alla sua radice deve, per essere riconosciuto, apparire
alla sua sommità.
* * *

Per credere in Dio, io non mi accontento d'un argo­


mento dubbio, di una mezza prova: il senso morale
quanto l'intelligenza vi ripugnano. L'importanza della
posta non mi è ragione sufficiente per mostrarmi facile:
essa mi obbliga a un maggior rigore. Ma, in cambio,
se fossi più chiaroveggente, una semplice suggestione,
un semplice indizio dovrebbe bastarmi, poiché la pro­
va la porto in me. Prima di dirmela, con maggior o mi­
nor scienza e critica, io provo la sua azione come quella
di una leva. Io mi innalzo a Dio cosl come respiro.
Nell'uno e nell'altro caso vi è la medesima necessità,
ma con questa duplice differenza: nella vita del corpo
tale necessità s'impone senz'altro, mentre nella vita dello
spirito porta con sé la sua luce. Per un incredibile para­
dosso, mentre la notte che l'avvolge sempre non impe­
disce alla respirazione del corpo di continuare con rego­
larità perfetta, la luce con cui si accompagna la respi­
razione dello spirito non basta affatto a farla riconosce­
re, sebbene senza sopprimerla - la qual cosa per lui
sarebbe morire - lo spirito possa almeno turbarla.
* * *
Se, per fortificarmi nella mia credenza in Dio, può
essermi necessario ricorrere a mezzi esterni, ciò non
significa che la mia certezza intellettuale sia vacillante.
Se quest'obiezione che mi si presenta vale realmente,

66
essa non vale, lo so, che contro la mia dappocaggine.
Nel labirinto in cui mi si chiude, io non sono mai en­
trato tutto intero.
Ma so pure che l'intelligenza non è tutto l'uomo. E
l'uomo intelligente non si tratta come intelligenza pura.
L'appello multiforme al costume, alla tradizione, all'au­
torità, agl'insegnamenti della religione positiva, ai gesti
ripetuti dalla prima infanzia, - ogni ricorso alla « mac­
china », - non ha per oggetto di forzare la ragione né
di supplirla, ma di proteggerla, scartando le vertigini
dell'immaginazione. Si tratta di acquietare il bambino
che, al dire di Platone, resta sempre in ciascuno di noi. Se
ne possono scandalizzare, diremo con Sant'Agostino,
soltanto quelli qui nesciunt quam rarum et arduum sit
carnalia phantasmata prae mentis serenitate superare 9 •

* * *

Tutte le verità metafisiche, per quanto rigorosa ne


sia stata la deduzione, lasciano la porta aperta a una
istanza di dubbio. Perfino quelli che ne sono maggior­
mente colpiti, « un'ora dopo temono di essersi ingan­
nati », o, in ogni modo, non ne sono soddisfatti. Non
che queste verità siano mal fondate, o che la pura intel-

9 SANT'AGOSTINO, Contra Epistolam Manichaei, c. II, n. 2 (P.

L., XLII, 174); De Trinitate, 1. IV, c. 1. « Satiavit autem illos


phantasma eorwn, non veritas tua, quam repellendo resiliunt,
et in suam vanitatem cadunt. Ego certe sentio quam multa
figmenta pariat cor humanum: et quid est cor meum, nisi cor
humanum? Sed hoc oro, Deum cordis mei, ut nihil ex eis fig­
mentis pro solido vero eructem in has Iitteras ... • (P. L.,
XLII, 887).

67
ligenza non si dichiari convinta della loro prova. Ma
quando l'ora della dimostrazione è passata, il ricordo
di tale dimostrazione basta sempre a respingere l'assai.
to di tante impressioni contrarie ? In un cielo astratto
la loro luce può continuare a brillare; ma tali verità
sono fatte per essere sentite - est enim sensus et men­
tis 1 0 - e non soltanto per essere dimostrate; per esse­
re possedute, strette, non per essere scorte da lontano,
ricoperte da un pallido e superficiale chiarore. La prova
ce le impone, ma non ce le dona 11 • La certezza che essa
in tal modo ci conferisce non è un possesso. È bello, ad
esempio, che l'uomo possa provare a se stesso la sua
immortalità, ma tutto il rigore di cui la si può supporre
capace è impotente a ridurre il sentimento d'irrealtà
che, persino in piena luce, la accompagna. Anzi, quanto
più la prova è sentita come prova, tanto più ci fa pren­
dere coscienza della miseria che ci obbliga a porla e che,
dopo averla posta, permane.
A quanta maggior ragione la coscienza di questa mi­
seria diverrà acuta, e il sentimento d'irrealtà peserà sul
nostro spirito, quando si tratta di Dio, l'Essere infinita­
mente puro, « che abita una luce inaccessibile », che è
al di sopra di ogni essenza, « di ogni nome e di ogni
forma », Colui che tutto significa, ma che nulla infine

io SANT'AGOSTINO, Retractationes, 1. I, c. I, n. 2 (ed. G. Bardy, ·


in Bibliothèque augustinienne, Oeuvres de saint Augustin, voi.,
XII, Les Révisions, 1951, p. 276).
11 Non si legga, com'è accaduto: « La loro prova non ci è
data •, il che ci farebbe contraddire. Che la prova astratta di
un oggetto reale non ci dia il possesso di quest'oggetto, è, ci
sembra, evidente. Se l'oggetto stesso ci fosse dato, se veramente
lo possedessimo, che bisogno d,i prova ci sarebbe ahcora?

68
sa rappresentare! 12 • Come saremmo soddisfatti d'una
prova, quando si tratta di Colui che, in ragione stessa
della sua attualità perfetta e della sua pienezza, non si
lascia direttamente concepire dalla ragione oggettiva che
come un'esistenza spoglia, e la cui realtà ci è troppo in­
tima e, ad un tempo, inafferrabile perché qualsiasi « in­
traversione » ce l'offra in un possesso durevole?
Ubi est lux inaccessibilis, aut quomodo accedam ad
lucem inaccessibilem? ... Numquam te vidi, Domine
Deus meus, non novi faciem tuam!
Haec lux est inaccessibilis, et tamen proxima ani-

12 S. TOMMASO, Prima, q. XIII, a. 2; De Veritate, q. Il, a. I,


ad 9m. Cfr. Ps. XVII, 12: « Egli ha preso la Tenebra per ritiro ».
C. DI! MoRÉ-PONTGIBAUD, S. J., Sur l'analogie des noms divins in
Recherches de sèience religieuse, t. XIX (1929), p. 491: « Noi
cogliamo qui uno dei caratteri dell'astrazione dei trascendentali,
che è lo sforzo supremo dell'intelligenza: liberare un'idea il cui
contenuto sia determinato, non dalle forme di rappresentazione
che la rinserrano, ma dall'ampiezza della tendenza a cui questa
idea, nell'ordine intelligibile, corrisponde ». E a p. 500: « ••• Un
al di là, un al di sopra della rappresentazione che la condiziona,
e che egli stesso è già confusamente oggetto di pensiero e di
affermazione a cominciare dalla rappresentazione stessa». Ve­
dere il testo di J. MARÉCHAL citato sotto al cap. III, nota finale:
« ••• Dio, trascendente, non può essere rappresentato dai nostri
concetti, né presentito come il limite verso cui tenderebbe la
generalizzazione di questi concetti... ». Cfr. ancora c. v, nota 34. -
Ciò non vuol dire, del resto, come il Padre Maréchal ha dimo­
strato, che la nostra rappresentazione stessa non abbia valore
significativo (Le pamt de départ... , q. V, p. 323ss). Essa è « rap­
presentazione significativa»: J. DllFEvER, op. cit., p. 52 ; cfr. pp.
53, 124-125, 138-139 ; e a p. 80: « ••• La trascendenza stessa dell'affer­
mazione si appoggia ancora alla rappresentazione finita. Noi
non specifichiamo dunque la natura di Dio che attraverso e al
di là di un rappresentazione che non gli conviene, per species
alienas, di cui egli realizza eminentemente la significazione di
�ssere, ma di cui bisogna con cura negare la rappresentazione
1-tessa e, con essa, i limiti, le determinazioni, la quiddità ... "·

69
mae etiam plus quam ipsa sibi. Est etiam inalligabilis, et
tamen summe intima 1 3 •

* * *
Noi sognamo sempre l'impossibile: vorremmo una
verità che non fosse affatto astratta e una realtà che non
fosse affatto empirica; un fatto che avesse tutti i carat­
teri del diritto; una costatazione che fosse al tempo stes­
so la risposta a un'esigenza; una soddisfazione ideale
che fosse pure possesso reale. A questo prezzo sola­
mente si otterrebbe l'acquietamento dello spirito. Ma
noi oscilliamo sempre tra i due estremi. Per l'essere dop­
pio che noi siamo, la dualità resta insormontabile. A
questo misto di senso e di ragione l'unità sempre si sot­
trae. Quando noi crediamo di afferrarla, essa subito si
sdoppia, e l'unità universale non è l'unità concreta. Ciò
che raggiunge il nostro cammino non è solo, con la sua
insufficienza, il principio d'una nuova ricerca: è sempre
una nuova delusione. Cur non te sentit, Domine Deus
animae meae, si invenit te? Aut non invenit, quem in­
venit esse lucem et veritatem... ? 1 4 •
1a SANT'ANSELMO, Proslogio, c . I (P. L., CLVIII, 225 c.). SAN
BONAVENTURA, riprendendo uno sviluppo di SANr'ANSELMO, Proslo­
gio, c. XVI: « Vere, Domine, haec est lux inaccessibilis, in qua
habitas; vere enim non est aliud quod hanc Iucem penetret, ut
ibi te pervideat. Vere ideo hanc non video, quia nimia mihi est;
et tamen quidquid video, per illam video; sicut infirmus oculus ;
quod videt, per Iucem solis videt, quam in ipso sole nequit aspi­
cere ». (P. L., CLVIII, 235 CD).
1 4 SANT'ANsELMo ha reso bene questa specie di delusione
sempre rinascente, sebbene non scoraggiante, nel Proslogio, c.
XIV. Egli si rivolge prima all'anima per rassicurarla: « An inve­
nisti, anima mea, quod quaerebas? Quaerebas 'Deum, et inve­
nisti... Nam si non invenisti Deum tuum, quomodo est ille hoc,

70
Ma allora saremmo mossi da una chimera? No. È
un impossibile che nondimeno non è chimerico. Dio so­
lo, al di là del senso e al di là della ragione, può fare
la sintesi - sempre quaggiù parziale e fuggitiva. -
Nella notte del senso e della ragione, nella notte che
rimane notte, brilla allora la Presenza unica 1 ' .
* * *
Perché lo spirito, quando ha trovato Dio, conserva
ancora o scopre sempre il sentimento di non averlo tro­
vato? Perché questo peso d'assenza, anche nella presen­
za più intima? Perché questa invincibile oscurità di Co­
lui che è tutta luce? Perché questo muro o questo vuoto
spalancato? Perché questo tradimento di tutte le cose,
che subito dopo averci mostrato Dio, di nuovo ce Lo
nascondono?
C'è la tentazione di soccombere a questo scandalo,
tanto più disperando in quanto si era creduto in un

quod invenisti, et quod illum tam certa veritate et vera certitu­


dine intellexisti? Si vero invenisti, quid est quod non sentis
quod invenisti? " Poi, rivolgendosi a Dio stesso: « Cur non te
sentit, Domine Deus, ecc...? Cur hoc, Domine, cur hoc?... » (P. L.
CLVIII, 234 D). Si tratta qui di tutt'altra cosa che di « quel males­
sere psicologico che si prova facilmente dinanzi alle dimostra­
zioni metafisiche più rigorose », malessere al proposito del quale
si è scritto che « la vera saggezza consiste nel reagire contro
queste impressioni ingiustificate e queste esigenze dell'uomo
carnale » (F. VAN STEEN-BERGHEN, Le problème philosophique de
l'existence de Dieu in Revue philosophique de Louvain, t. XLV
(1947), p. 313.
1 5 t;. sufficientemente chiaro che qui non si tratta d'una
intuizione naturale di Dio, che sarebbe, per cosl dire, all'inizio,
l'appannaggio dello spirito umano. Al contrario, anche il dono
mistico e soprannaturale non realizza mai che un'anticipazione
parziale e fugace...

71
primo momento di aver trovato; tentazione di negare la
luce, poiché il velo ridiventa opaco o gli occhi accecati;
tentazione di stanchezza, dopo lo sforzo di un cammino
che riconduce sempre al punto di partenza...
Per altri c'è la tentazione inversa che raggiunge quel­
la di tutti i « mezzi sbrigativi » : l'illusione cioè di chi
si persuade che non vi sia più che da lacerare un velo
leggero perché, alla fine, la Presenza appaia; che non
abbia che da rivolgere il suo sguardo all'interno, a fissa­
re il punto luminoso che rischiara tutti i suoi pensieri,
per godere della vista del suo Dio; che gli basti essere
per possedere l'Essere ...
È una sottovalutazione dell'ostacolo, una serenità
troppo presto acquisita, una confusione della pallida
chiarezza dell'essere con la luce divina ...
Perché, Signore, tali ambiguità? Perché sorgono nel­
l'anima tali oscillazioni e tali dispute? Perché tanti slan­
ci contraddittori e vani? « Perché questo »?
... Cur hoc, Domine, cur hoc? Tenebratur oculus
eius infirmitate sua, aut reverberatur fulgore tuo? Sed
certe et tenebratur in se, et reverberatur a te. Utique et
obscuratur sua brevitate, et obruitur tua immensitate.
Vere et contrahitur augustia sua, et vincitur amplitudi­
ne tua ... 18 •
* * *
Che l'esistenza di Dio sia « probabile » 1 7 , come si
ode dire talvolta, è una proposizione senza senso. Su

1 8 SANT'ANSBLMO, loc. cit.


1 7 Prendiamo le parole e probabile • e e probabilità,. nel

72
che cosa si potrebbe fondare una simile probabilità, se
non, come ogni probabilità, su una certezza più generale
del medesimo ordine? Ora Dio è solo nel suo ordine, e
il posto che Lui occupa nella conoscenza è unico. La pro­
babilità dell'esistenza di Dio dovrebbe fondarsi sulla cer­
tezza preliminare della sua esistenza. Tanto varrebbe
dire che la nostra esistenza stessa è probabile...
La probabilità non si comprende che nel campo em­
pirico. Essa non ha senso che in rapporto a un oggetto
particolare, cioè a un oggetto che fa parte di un insieme;
un fatto tra altri fatti. Ora Dio non fa parte dell'espe­
rienza comune. Dio non è un fatto, Dio non è un « og­
getto». La realtà di Dio non è quella di un avvenimen­
to. Dio non è neppure il caso particolare, l'applicazione
particolare, la realizzazione particolare d'una verità ge­
nerale o di un principio universale che gli sarebbe pre­
liminare. Come dicevano gli antichi, « l'Essere è fuori
di ogni genere» 18 , « Dio non è nel genere», Dio è
unico.

senso corrente che hanno in francese (come anche in italiano),


e non, ben inteso, nel senso latino di ciò « che può essere pro­
vato », « capacità di essere provato •.
18 SAN TOMMASO, De Potentia, q. VII, a. 3: « Deus non po-

test esse in aliquo genere... » ; Prima, q. Ili, a. 5; q. VI, ad 3m:


« Ipse est extra genus... »; Contra Gentiles, I. I, c. xxv e
XXXII. SAN BoNAVENTURA, ltinerarium mentis in Deum, c. v.:
« ... lpsum Esse extra omne genus ». ZIGLIARA, Oeuvres philoso­
phiques, vers. fr., t. III, p. Tl. J. DI! FINANCE, Etre et agir dans
la philosophie de saint Thomas, pp. 95 e 148-149. A. I. SERm.­
LANGES, Les grandes thèses de la philosophie thomiste (1928),
p. 67: « Non v'è genere che possa pretendere di comprendere
Dio, di contenere Dio, neanche quel falso genere dell'essere, la
cui nozione non è univoca, e che tuttavia, in certa maniera,
comprende tutto ». RENOUVIER s'ingannava quando rimproverava
alla Scolastica (e si sa il posto di primo piano che ha presso di

73
Si dica dunque, se si vuole, per rispettare il miste­
ro di cui, fin nelle sue più intime certezze, la nostra co­
noscenza è immersa interamente, che la vita dello spiri­
to riposa su una credenza. Si metta alla sua base una
certa specie di confidenza o, meglio, un'« anticipazio­
ne » 1 9 • Si confessi pure il sentimento d'irrealtà che, nel­
le condizioni della nostra esistenza terrestre, il più ri­
goroso uso della ragione non fa spesso che accrescere ...
Ma queste diverse nozioni, che non sono affatto oppo­
ste alla nozione di certezza, non hanno niente da vede­
re con la nozione di probabilità 20 •
* * *
Il probabile può essere anche il verosimile. Ma chi
dirà che l'Essere di Dio sia verosimile? Se ci si attiene
alle analogie e alle apparenze, e se si ascoltano la ragione
comune e il giudizio comune, che cosa v'è, al contrario,
di più inverosimile, di più sconcertante sotto qualunque
aspetto lo si prenda? Non è a ragione della sua verosi-
lui questo rimprovero) di fare di Dio il genus generalissimum
dell'essere: Histaire et salutian des problèmes métaphisiques
(1901), c. xxv, p. 177. Vedere più avanti, c. III, nota 37.
1 0 :e un termine caro a CLEMENlll Ai..EssANDRINO: nQoì,:rpj11.ç
Stramata, I. IV, c. IV, n. 16 ecc. Cfr. THOMASSIN. Dagmata thealo­
gica, De Dea ; J. MOINGT, La gnase de Clément d'Alexandrie dans
ses rapparts avec la fai et la philosaphie in Recherches de scien­
ce religieuse t. XXXVII, 1950, p. 548.
20 L'autore della traduzione tedesca di questo libro (Sulle

vie di Dio) - traduzione nell'insieme eccellente - è qui stato


vittima della ambiguità delle parole « probabile » e « probabi­
lità » per chi non è al corrente dell'uso francese ; il che mi fa
emettere un'asserzione insostenibile, evidentemente contraria al
mio pensiero, come a tutto il contesto. Nella relazione che ha
fatto di questa traduzione (Schalastik, 1950, 1, p: 129), DE VRIES
ha felicemente segnalato questo equivoco.

74
miglianza che io affermo l'Essere di Dio, l'Essere che è
Dio: è malgrado la sua inverosimiglianza, malgrado tut­
te le antinomie contro le quali urto ponendolo, malgrado
tutte le ripugnanze che non cessano di trattenermi. Tut­
tavia lo faccio nella sicurezza completa dello spirito,
spinto come vi sono non da una forza estranea, ma da
una necessità razionale, che mi dimostra l'impossibilità
che egli non sia. La sua luce è indiretta, e quel che essa
mostra non è che negativo: la sua forza non è per que­
sto meno atta a spazzar via tutte le « verosimiglianze ».
L'inverosimile è nello stesso tempo l'incontestabile; e
questo supera infinitamente quello.
« La certezza è una regione profonda in cui il pen­
siero non si mantiene che con l'azione » 21•
* * *
« La verità », dice magnificamente Malebranche, « è
lontana, non è sensibile, non è un bene che ci si senta
incalzati ad amare. L'applicazione dello spirito è dunque
necessaria ». « Ma - aggiunge egli seguendo Sant'Ago­
stino, - un uomo che viene tirato da tutti i lati, che
vien ferito da tutte le parti, che viene respinto quando
avanza, che vien trascinato quando indietreggia, che
viene molestato o maltrattato incessantemente, può ap­
plicarsi? ». Ora, tale è la condizione dello spirito nella
carne. Esso non è mai - non è ancora - del tutto se
stesso. Non può mai abbandonarsi a lungo senza intral­
ci alla ricerca o alla contemplazione del vero.

21 J. LAGNBAU, Fragments (Revue de méthaphysique et de


morale, 1918, p. 169).

75
Tutta la « macchina » di cui si circonda e con cui
si protegge e si rafforza la credenza in Dio trae di qui
la propria necessità e, al tempo stesso, la propria giu­
stificazione. Essa non è per rimediare a qualche difetto
di prova o di certezza ragionevole, ma solo per mettere
o per supplire in qualche misura questa necessaria e im­
possibile « applicazione ». Compito pur sempre neces­
sario, poiché « i pregiudizi toman sempre alla carica, e
ci scacciano dalle nostre conquiste, se con la nostra vi­
gilanza e solide trincee non vi ci sappiamo mantenere ».
Con queste « solide trincee », la verità non è corrotta
ma salvata. Il pensiero si protegge contro la « vertigine
mentale »; non è asservito ma liberato.

* * *
Fin nelle nostre certezze più sicure, ogni volta che
si tratta di un oggetto che ci supera, la prerogativa emi­
nente dello spirito, cioè la sua libertà, è rispettata. E
questo si verifica anche nella più alta di queste cer­
tezze, la più solida e la meglio fondata di tutte, la più
eminentemente razionale, vale a dire quella dell'esisten­
za di Dio. Anzi, è solamente qui che la libertà dello
spirito si esercita nella sua pienezza. Poiché lo spirito
umano, nonostante la sua distensione provvisoria, nel
proprio intimo non è diviso contro se stesso. La distin­
zione delle sue « facoltà » non è una distinzione di cose
che si escluderebbero vicendevolmente. Le sue due po­
tenze di conoscere con certezza e di volere liberamente,
lungi dal dover comprare ciascuna la perfezione del
proprio atto a prezzo d'una diminuzione e di una specie

76
di soggezione dall'altra, come se la certezza libera non
potesse mai essere che una semi-certezza. o una semi-li­
bertà, si esaltano invece a mano a mano che il loro og­
getto si eleva, tendendo cosi a ricongiungersi nell'unità.
Esse non sono mai tanto vicine come nell'affermazione di
Dio.
* * *
L'affermazione di Dio, considerata nel soggetto che
la pone, non è solamente libera di quella libertà essen­
ziale e fondamentale, di cui parla, per esempio, uno Spi­
noza, libertà propria di ogni atto spirituale, qui sola di­
citur ratione. Non è neppure solo libera di quella liber­
tà superiore e di quella iniziativa autonoma e totale che
essa reclama per perfezionarsi concretamente 22 • Esso
lo è ancora di quella libertà più umile, tutta empirica e
comune, che deve lottare giorno per giorno, adattarsi
alle circostanze, difendersi contro le sorprese, radicarsi
nella pratica, servirsi al bisogno senza falsa vergogna dei
mille piccoli artifici che la prudenza le raccomanda e il
buon senso le suggerisce.
La prima di queste libertà è la condizione stessa
di ogni vera conoscenza; è la libertà del soggetto, il cui
giudizio non può essere « forzato da alcuna causa este­
riore » 23 • La seconda è indispensabile per affermare Dio,
22 Ogni ragionamento che effettui un progresso dalle pre­

messe alla conclusione, implica un'iniziativa, un'azione della li­


bertà nel ragionamento stesso, non per supplirlo o per deviarlo,
ma per operare lo slancio senza cui il progresso del pensiero
non avrebbe luogo.
23 Cfr. CARTESIO, Meditazione quarta, (vers. ital. di T. Faran­

da, Meditazioni metafisiche, Signorelli, Milano, 1936, pp. 83-84 ):

77
chiave di volta di tutto il sapere. L'uso della terza può
essere utile o necessario ad ogni istante per mantener­
ne, senza venir meno, l'affermazione riflessa, mantenen­
do noi stessi nella verità della nostra natura.

* * *
Nell'affermazione come nell'oggetto stesso, nel pen­
siero come nell'essere, tutto è legato da una catena in­
divisibile, di cui un anello trascina tutti gli altri. Da un

« Esaminando nei giorni scorsi se qualche cosa esistesse vera­


mente nel mondo, e conoscendo che dal fatto che esaminavo
questo problema risultava evidente che io esistevo, fo non po­
tevo impedirmi di giudicare vera una cosa che concepivo così
chiaramente. Non che io vi fossi costretto da qualche causa
esterna, ma solo perché dalla grande chiarezza che era nel mio
intelletto era seguita una grande inclinazione della mia volontà ».
Benché comprendano la libertà assai differentemente l'uno dall'al­
tro, Cartesio e Spinoza s'intendono così nel riconoscerne il
ruolo nel giudizio.
In La liberté cartésienne JEA.N PAUL SARTRE commenta bene
questo testo pur accentuando il carattere volontaristico del
pensiero di Cartesio: « Entra sempre, nell'ebbrezza di compren­
dere, la gioia di sentirci responsabili delle verità che scopriamo.
Chiunque sia il maestro, viene un momento in cui l'allievo è
affatto solo di fronte al problema matematico: se egli non deter­
mina il suo spirito a cogliere le relazioni ; se non produce egli
stesso le congetture e gli schemi che si applicano del tutto come
una grata alla figura in questione, e che ne sveleranno le strut­
ture principali ; se egli, infine, non provoca un'illuminazione deci­
siva, le parole restano segni morti, un imparaticcio. Così io
posso capire, se mi esamino, che l'intellezione non è il risultato
meccanico d'un processo di pedagogie, ma che ha per origine la
mia sola volontà di attenzione, la mia sola applicazione, il mlo
solo rifiuto della distrazione o della precipitazione, in una p·a­
rola, tutto il mio spirito, con la più radicale esclusione di qual­
siasi atto esterno. Ed è proprio questa l'intuizione prima di Car­
tesio; egli ha compreso, meglio di ogni altro, che il minimo
progresso del pensiero impegna il pensiero tutto, un pensiero
autonomo che si pone, in ciascuno dei suoi atti, nella sua indi­
pendenza piena ed assoluta •. Situazione, 1 (1947).

78
punto di vista statico e astratto, si possono indubbia­
mente e si debbono distinguere dei sostegni, e ciò che
accade su uno di questi sostegni non sempre ha una ri­
sonanza sulle operazioni che si compiono sopra o sotto.
Ogni prova particolare ha il proprio grado di valore, co­
me ciascun oggetto il proprio grado di evidenza. Non v'è
buon metodo di lavoro né' di igiene del pensiero, senza
una preoccupazione di classificare le questioni e di non
rimettere sempre tutto in questione. In ogni ipotesi, l'uso
naturale della ragione basta per conoscere con certezza
molte verità, anche quando altre sono ancora sconosciu­
te. Esso permette di elevarsi fino alla più alta di tutte,
la verità dell'esistenza di Dio, e perfino sulle cose più
essenziali un peccatore può ragionare meglio di un santo.
Altra cosa è, tuttavia, il problema che concerne la
conoscenza delle diverse verità o il loro rispettivo gra­
do di certezza, dal problema che riguarda l'indice onto­
logico da cui, in ultima istanza, si trova configurato l'in­
sieme delle cose affermate dallo spirito. Quest'ultimo
problema è d'altra natura. Esso non viene imposto come
il precedente dalla logica formale dell'intelligenza ( che
egli lascia intatta), ma dalla logica reale dell'essere con­
creto. Esso verte necessariamente sul tutto come tale, e
ciò che vi si trova esaminato, è l'operazione di uno spi­
rito vivente, impegnato in un'avventura che, pure essa,
forma un tutto. Ora, dal senso che questo spirito vi­
vente imprime alle sue avventure, dipendono alla fine
la coerenza e la solidità d'insieme del suo universo
mentale.
Di un tale spirito noi non diremo dunque che non
può aver da se stesso delle certezze. Non diremo nep-

79
pure - ciò che sarebbe già tutt'altra cosa - ch'esso
non può conseguire una certezza propri�mente metafi­
sica. Ma preciseremo che tale certezza metafisica offre
un carattere ancora provvisorio, e soprattutto che l'es­
sere su cui verte non ha ancora, se così si può dire, tut­
ta la sua densità. Bisogna qui distinguere - per sem­
plificare un processo che, in concreto, assume varie sfu­
mature e si diversifica all'infinito - il tempo che pre­
cede, nel soggetto l'accoglimento della grazia o il suo
rifiuto, e il tempo che segue. Nel tempo che prece­
de, la certezza ontologica è quel che essa è, senza che
perciò si debba dichiararla illegittima o, per dir meglio,
illusoria. Dopo il rifiuto, questi epiteti prendono un sen­
so, che va rigorosamente specificato. Perché se si può
allora dire illegittima o illusoria la certezza ontologica,
non è per dichiararla tale in se stessa - la natura del­
l'intelligenza non è cambiata - bensì perché essa si
trova ormai contraddetta vitalmente 24 •
L'uomo è spirito, creato a immagine di Dio. Preroga­
tiva indelebile, caratteristica essenziale che nessuna per-

24 Nello spirito che rifiuta Dio, verità e valore « non sono


solamente campati in aria, ma positivamente privati di ciò che
potrebbe fondarli. Cartesio non aveva torto pensando che l'ateo
lucido non avrebbe il diritto d'essere geometra; poiché, se la
geometria non è immediatamente e in se stessa una conoscenza
di Dio, il rifiuto di Dio la compromette alla sua radice, soppri­
mendo la sorgente stessa e la garanzia ultima di ogni verità »
(J. M. LB BLOND, Le chrétien devant l'athéisme actuel in �tudes,
1954, p. 299). Tuttavia è inteso che « la verità, per chi la respinge
o rifiuta di viverla, non è indubbiamente come per chi se ne
nutre; tuttavia c'è ancora: sebbene del tutto differente nell'uno
e nell'altro, il suo regno non è raggiunto più nell'uno che nell'al­
tro » (M. BLONDEL, L'action, 1893, p. 438. Esistono due vers. ital.:
di E. Codignola, Firenze, 1921, e di A. Vedaldi, Torino, 1950).

80
versione sradica. L'uomo non può far sl che l'immagine
non resti in lui 2' . Soltanto se egli tende, per quanto è in
suo potere a rovinarla, se va deliberatamente a rovescio
della sua vocazione di spirito, egli introduce una con­
traddizione non solo nella sua intelligenza - la quale
può continuare ad agire come per il passato - ma nel
suo essere stesso, tra la sua intelligenza e la sua vita. Fin­
ché tale contraddizione non venga eliminata, gli toglie
il diritto o meglio ancora la possibilità stessa di pronun­
ziare, in tutta la sua forza, la sillaba che approfondisce
tutte le cose: è 26•

2, SANT'AGOSTINO, De Trinitate, 1. X, c. XII ; 1. XII, c. VII ;


1. XIV, c. VI e VIII.
2a Si rileggerà volentieri una bella pagina di GRATRY, in cui
una considerazione analoga è trattata da un punto di vista diffe­
rente, a proposito dell'accoglimento o del rifiuto della rivela­
zione soprannaturale. Essa avrebbe potuto passare all'incarta­
mento storico dell'idea di filosofia cristiana. In una forma un
po' facile c'invita a una meditazione sempre valida. De la connais­
sance de Dieu, 9a ed., 1918, t. I, pp. 35-37:
« La sottomissione dello spirito umano allo spirito di Dio
non è la distruzione della ragione, è la perfezione ultima della
ragione. t,. lo spirito umano innestato allo spirito di Dio, se
così ci si può esprimere. La ragione produce allora dei frutti che
non poteva produrre, e, come dice la poesia, ripetendo ciò che
dice la natura:
Essa ammira questi frutti che non sono i suoi.
Tali frutti sono quelli dello spirito di Dio, divenuto prin­
cipio direttamente fecondatore della ragione umana, che non
conserva meno per questo i propri princìpi... Quando la ragione
umana si unisce a Dio con la fede - la storia lo dimostra -
oltre alle nuove e sublimi realtà che sopraggiungono, le sue
forze naturali crescono, i suoi princìpi danno i loro frutti natu­
rali più rari, misti ai frutti divini. Quando, al contrario, la ra­
gione rompe l'alleanza sempre offerta a ogni spirito, in ogni
tempo, questo rifiuto, questo ritorno su se stessa, quest'isola­
mento e questa negazione sacrilega mortificano persino le sue
forze naturali e la conducono, di negazione in negazione, a
negare se stessa, suicidio intellettuale che si chiama sofistica... ».

81
6. - Sulle vie d i Dio
* * *
« Il giudizio d'esistenza lungi dall'arrestare il pensie­
ro nella pura rappresentazione della cosa, tosto seguita
forse dall'affermazione dell'irrazionale, gli dona invece il
suo slancio, permettendoci cosl di andare di tappa in tap­
pa al riconoscimento dell'assoluto metafisico. Ma lungi
dal farci dimenticare il reale, tale movimento di pensiero
vi si riconduce, per cui, in certo modo, noi non affer­
miamo metafisicamente Dio che per essere più rassicurati
dell'esistenza delle creature. Effettivamente la spiegazio­
ne metafisica si presenta sempre come la vittoria otte­
nuta su una rappresentazione del reale puramente astrat­
ta e priva di profondità » 2 1 •

* * *
« La negatività della coscienza, che non bisogna af­
fatto sottovalutare, è un verso che reclama il suo retto.
Se il per sé è separazione da sé, potere negatore, è per­
ché il suo vero essere non gli è donato, ma che egli vi
aspira. Il potere di dire no e il superamento di ogni
determinazione sarebbero forse intelligibili, se non espri­
messero un orientamento verso una forma più elevata
di essere e un appello verso una pienezza la cui man­
canza è precisamente il costitutivo della coscienza?
» Indubbiamente la coscienza non è pienezza di es­
sere. Ma non è in un essere plenario che essa sorgerebbe

Si possono confrontare queste ultime parole col famoso « Rien


n'est » di un personaggio di Cu.UDEL in La Ville.
2 1 A. FoRESr, Du consentement à l'étre, pp. 107-108.

82
come un nulla... È in un essere incompleto e inferiore
che essa esprime un'aspirazione verso un aumento d'es­
sere. L'esperienza in cui s'inaugura la vita dello spirito
è quella della mia inadeguatezza a me stesso. L'io non
può né raggiungersi né uguagliarsi: esso deve perpe­
tuamente optare per ciò che vuole essere, e la sua esi­
stenza è darsi questo essere in significazioni.
» La trascendenza costitutiva della nostra coscienza
personale impone a ogni uomo... di avere una filosofia...
La necessità di una filosofia e la presenza di un assoluto
in ogni giudizio sono due modi di affermare il medesimo
aspetto necessario della coscienza umana. Del resto, que­
sta realtà non viene ordinariamente contrastata. Le diffi­
coltà nascono... quando si tratta di comprendere la na­
tura di questo assoluto e il vero carattere della filosofia...
» Senza dubbio, si dirà, lo spirito umano non può
fare a meno di una concezione d'insieme delle cose ; gli
è necessario porre dinanzi a sé l'idea di verità assoluta.
Ma se ne deve concludere che questa verità esiste indi­
pendentemente da lui? Questa verità sussistente non sa­
rebbe che l'illusoria proiezione nell'essere d'una catego­
ria indispensabile al giuoco della riflessione. L'idea del­
l'assoluto ha il ruolo di un'impalcatura che il pensiero
utilizza per costruirsi. E l'impalcatura, che inizialmente
sorpassava la costruzione, deve poi essere eliminata. Ma
è difficile parlar cosi, poiché l'idea di verità non si ag­
giunge in modo facoltativo al pensiero. Essa gli è con­
sustanziale. Il pensiero non è costituito in se stesso an­
teriormente all'idea di Verità, esso è il sorgere nella co­
scienza del bisogno di Verità. Non si tratta dunque di
un'aspirazione dello spirito che sarebbe seconda o con-

83
tingente; tale aspirazione è lo spirito stesso che non è
potenza o funzione di verità. È impossibile che l'assolu­
to non esista, poiché il mio spirito non esiste che per
lui. Esso lo nega in un giudizio che non ha forza se non
perché egli lo afferma. Ciò per cui il mio spirito acqui­
sta il suo essere non può non essere » 28 •
* * *
Se per se stessi, prima di ogni correzione analogica,
i nostri concetti non sono adatti che al mondo dell'espe­
rienza, bisogna dire altrettanto, e nella stessa misura, dei
nostri ragionamenti, in quanto questi non sarebbero che
un'organizzazione di concetti.
Senza dubbio si dirà che, debitamente scelti e cor­
retti, i nostri concetti possono essere adattati alla real­
tà trascendente. Ciò è vero. E, in realtà, dobbiamo ef­
fettivamente impiegarli, sebbene restino tutti, malgrado
tutto, incurabilmente indegni d'un cosi alto uso 29 • Ma
per questo è necessario che questa realtà venga innan­
zitutto posta; che, in un certo senso, essa sia già, impli­
citamente, pensata.
Allo stesso modo argomentiamo a proposito dei no­
stri ragionamenti. Soltanto dopo aver posto una prima
affermazione di Dio - affermazione ancora implicita, in­
sita in ciascuno dei nostri giudizi d'esistenza o di valore

2s G. MADINIER, Conscience et signification ( 1951), pp. 62-67.


Su « l'attrattiva della negazione "e le filosofie della negazione
cfr. A. FOREST, La vocation de l'esprit, pp. 15-42.
2 9 Cfr. SANT'AGOSTINO, Sermo 241, c. VII, n. 9 (P. L., XXXIX,

1948) ; Contra Adimantum Manichaei discipulum c., XI (P. L., XLII,


142) ecc.

84
e per conseguenza coestensiva a ogni nostra attività spi­
rituale, congenita allo spirito - noi possiamo tentar di
raggiungerla, nella nostra vita cosciente, facendo opera di
logica per mezzo di un ragionamento. Soltanto dopo es­
sere giunti al possesso dell'idea di Dio contenuta in que­
sta affermazione implicita, noi possiamo cercare di rap­
presentare qualche cosa per la sola via che ci si offre:
la via dei concetti. È la fase prima e sotterranea, inav­
vertita ma determinante, della vita dello spirito. Prima
di ogni ragionamento esplicito come prima di ogni con­
cetto oggettivo 30 e per permettere al proprio soggetto
il loro uso indispensabile, Dio deve essere · già presen­
te allo spirito, nel quale va segretamente affermato e
pensato 3 1 • Prima di esservi « identificato » con qualche

3o Per non dare a questo brano un senso eccessivo o defor­


mato, si rifletta bene sulle parole: « prima di ogni concetto og­
gettivo », cioè prima di ogni rappresentazione. Infatti « l'inneità
della luce naturale non dev'essere confusa con l'inneità del suo
contenuto ». (E. Gn.soN, La philosophie de Saint Bonaventure,
2a ed., p. 297, nota 3). Si può mettere in rilievo tutto ciò che
significa, fuori di ogni contenuto, l'inneità della luce naturale.
Essa non è tuttavia - ricordiamolo ancora una volta poiché
l'equivoco sembra frequente - una conoscenza oggettiva, come
un appetitus naturalis o innatus non è un desiderio attuale, og­
gettivo, « elicito » e cosciente.
31 Qualche cosa di analogo accade ugualmente sul piano
della conoscenza, si tratti della conoscenza naturale che della co­
noscenza di fede. Cfr. G. MARCEI., Du refus à l'invocation (1940),
p. 231: « La riflessione e la storia mi sembrano convergere verso
questa costatazione che l'idea di prova è inseparabile da un
riferimento a una certa affermazione precedente, che si è stati
portati a mettere in discussione o più esattamente tra parentesi;
è la parentesi che si · tratta di togliere >. Tra gli esempi storici
a cui allude G. Marce! avrebbe potuto mettere quello di San
Tommaso d'Aquino. Questi - ci dice CHENu, op. cit., p. 72 -
« mette in discussione ,. l'esistenza di Dio per fornire la prova
razionale, partendo dalla fede innanzitutto e sempre posseduta

85
atto cosciente, deve esistere nello spirito una certa « abi­
tudine di Dio » 32 •
Se dunque esiste una verità « verso cui tutto in noi
cospira, una verità che noi viviamo prima di conoscere,
e che - tanto essa ci è connaturale - possiamo perce­
pire con certezza prima ancora di sottometterla al con­
trollo della prova per mezzo dei concetti, tale verità è,
indubbiamente, la conoscenza di Dio » 33 •

(ciò non significa che, logicamente, la dimostrazione razionale


non dipenda almeno dal mondo dell'atto di fede; ciò, d'altra
parte, differisce pure dal « dubbio metodico » cartesiano). La
stessa cosa si deve dire di DuNs Sroro, De primo rerum omnium
principio, c. I a., 1. Citando questo ultimo testo, di cui loda la
« pienezza », E. Gn.soN non lo presenta come una singolarità,
ma vi riconosce al contrario « il metodo della filosofia cristiana »
(L'esprit de la philosophie médiévale, 2& ed. [ 1944], pp. 51-52 ;
vers. ital. Morcelliana, Brescia, 1947). Ma, comunque sia di que­
sti casi analoghi, noi non consideriamo qui che il caso dell'affer­
mazione interamente implicita contenuta nel giudizio.
32 H. PAISSAC, Preuves de Dieu in Lumière et Vie, 14 (1954),
pp. 101-102: « ••• Quando l'atto di essere è identificato come
Dio, il ragionamento già s'è mischiato nella coscienza... L'abitu­
dine dell'identità può essere riconosciuta per l'abitudine di Dio,
se cosl ci si può esprimere, dopo l'uso del ragionamento che
dimostra l'esistenza di Dio. Dopo questo uso, e nella luce della
certezza acquisita con la dimostrazione, lo spirito può, torna.Ii.do
su se stesso, riconoscere effettivamente: l'abitudine dei primi
princìpi del mio pensiero equivale all'abitudine di Dio. Questa è,
del resto, la legge di ogni abitudine: è impossibile prenderne
coscienza prima di avere sperimentato l'atto a cui essa corri­
sponde. L'abitudine di Dio ha questo di particolare, di rigorosa­
mente unico nella vita mentale, cioè d'essere posseduta dallo
spirito prima di ogni atto: essa è un dono di Dio, appartiene
alla natura stessa dello spirito creato e fa di esso una "immagine
di Dio... ",. (Siamo noi che sottolineiamo l'ultima formula).
88 J. MARÉCHAL in Nouvelle revue théologique, (1931), p. 195

e p. 204: « ••• Anche l'analisi concettuale "dimostra", cioè eser­


cita un controllo razionale riflesso, ma non crea ».

86
* * *
Se noi la consideriamo soltanto là dove si trova in
atto, là solo è realmente pronunciata nell'intelligenza
concreta che è al tempo stesso un soggetto singolare, nel­
la persona che è al tempo stesso ragionevole, l'afferma­
zione di Dio ci appare come un atto a nessun altro ugua­
le. Essa contiene contemporaneamente qualcosa dell'ar­
gomento ontologico e della parte, per quanto non sia
né l'uno né l'altra, essendo espressione della più lumi­
nosa evidenza e attestazione della più oscura verità 34 • È
l'atto più libero e più necessario; affermazione sempre
sussistente e l'impegno più personale 3 5 •
* * *
36 •
Più la luce è pura, meno essa è costrittiva

34 Cfr. J. H. NEWMAN, Apologia pro vita sua, cfr. c. v, vers.


ital., Edizioni Paoline 1956: se l'esistenza di Dio è « tra tutti gli
articoli di fede, quello che solleva maggiori difficoltà », essa è
al tempo stesso la verità che « s'impone con maggior potenza
ai nostri spiriti ».
35 Come si sarà compreso, tali opposizioni vengono dal

fatto che quest'affermazione può esser considerata sia imperso­


nalmente nella intelligenza come tale, sia come atto concreto
dell'essere umano, come « decisione di pensiero ».
38 Si è già potuto scrivere in generale, per sottolineare para­

dossalmente il carattere intrinseco della luce del vero: " Il vero


ci necessita meno di quanto non ci obblighi » (J. LACROIX, Le
problème de Dieu in Le Monde, 18 febbraio 1956).

87
CAPITOLO III

LA PROVA DI DIO

Per molti Dio è un'opinione, o, se si consente a


parlare di certezza nei suoi riguardi, non si tratta -
precisiamo quasi a maniera di scusa - che d'una cer­
tezza di sentimento, strettamente personale.
Per noi, egli è oggetto di prova. Su questo punto,
del resto, la Chiesa Cattolica s'è pronunziata più di
una volta, aiutando la ragione di quelli che si fidano
di essa a riprendere fiducia in sè, stimolandola con­
tro il pericolo della « rinunzia metafisica » : l'insidia
del nostro tempo.
Il movimento che ci porta fino a Dio al di là del­
la creazione « visibile e invisibile » appoggiandosi su
di essa, non è soltanto uno slancio del cuore, tutt'al
più ammantato da un'opinione intellettuale. Per quan­
to personale possa essere - e debba essere - in cia­
scuno di noi esso ha valore universale. Una demonstra­
tio ne può tracciare l'itinerario, analizzarne il meccani­
smo essenziale, determinarne l'energia, distinguervi tap­
pe, valevoli per tutti gli spiriti.
Però, come ci sono diverse specie di oggetti, così
ci sono diverse specie di prove.

89
Tutte le volte che una prova non si limita a svilup­
pare il contenuto racchiuso in un concetto, ogni volta
ch'essa segna un progresso reale raggiungendo un og­
getto del tutto nuovo, il dinamismo dell'intelligenza che
elabora questa prova implica una finalità. Lo spirito
si trova allora « commisurato » all'oggetto in questio­
ne, dal quale già in anticipo è specificato. Il legame
che unisce l'uno all'altro non ha nulla di accidentale.
Ciò significa che un tale oggetto, precisamente in ra­
gione della novità di cui sarà portatore, · si trova già
presente allo spirito con una misteriosa presenza, co­
me con una presenza in germe. Afferrarlo al termine
del processo logico, captarlo per cosi dire in una rete
di forme oggettive, sarà dunque, in un certo senso, « ri­
conoscerlo ». Dimostrare, in questo caso, significa « ren­
dersi conto »; si « scopre » ciò che era.
Quanto più ciò è vero nel caso della prova di
Dio! Il finalismo, essenziale all'intelligenza che pene­
tra in un nuovo dominio, è allora doppiamente uni­
co. Infatti, in tutti gli altri casi, noi consideriamo an­
cora un oggetto del nostro mondo, del mondo della no­
stra esperienza, ancorché esso si trovi ancora al di là
delle conquiste attuali della nostra esperienza. Al con­
trario, quando si tratta di Dio, a proposito del quale
le parole stesse di oggetto e di esistenza assumono un
significato trascendente, si tratta di quell'Essere che
è la sorgente del mio essere, « più me stesso di me ».
Quanto più alto di tutti gli altri, e quanto più intimo!
Cosi, in questo caso, la presenza che rende conto del
dinamismo della prova è già essa una presenza altrimen­
ti stimolante e altrimenti profonda: punto sacro, segno

90
di Dio su di me, proprio ciò che fa di me un essere
spirituale 1 e, nel medesimo tempo, persona e respon­
sabile. Perciò la più valida delle prove dipende più di
ogni altra - senza dubbio non nel suo schema astratto,
ma nella sua forza di persuasione concreta - dalla
« buona volontà », poiché è sempre qualcosa di più del
funzionamento impersonale d'una intelligenza che si tro­
va in gioco. La purezza dello sguardo si confonde qui
con la lealtà.
D'altra parte, non v'è reale eterogeneità tra lo slan­
cio spontaneo dell'anima che si eleva all'esistenza di Dio
e le analisi razionali del filosofo. In presenza del primo,
si parla spesso d'istinto, di cuore, di sentimento, d'intui­
zione: termini equivoci che vogliono tradurre il dina­
mismo dell'intelligenza, la sua sorgente profonda, l'unità
del suo movimento, e al tempo stesso evocare le ricchez­
ze concrete e il fremito sensibile attraverso i quali la
luce dello spirito traccia la sua via. Il filosofo compie
opera critica poiché cerca di chiarificare, controllare, tal­
volta rettificare, completare; ma soprattutto analizza,

1 Cfr. il bel testo di SAN TOMMASO D'AQUINO, Contra Gentiles,


1. III, c. LIV, che esamina un problema un po' differente, ma che
ha tuttavia qui la sua applicazione ; poiché la ragione data porta
più lontano del suo fine immediato: « Divina substantia non sic
est extra facultatem intellectus creati quasi aliquid omnino
extraneum ab ipso, sicut est sonus a visu, vel substantia imma­
terialis a sensu ; nam ipsa divina substantia est primum intelli­
gibile et totius intellectualis cognitionis principium. Sed est
extra facultatem intellectus creati sicut excedens virtutem eius ».
E L. LAVELLE, Preface a M. F. Sciacca, L'Esistenza di Dio (vers.
frane. di R. Jolivet, 1951), p. 10: « A maggior ragione, quando
si tratta dell'esistenza di Dio, essere infinito, bisogna dire che il
nostro pensiero si muove in lui fin dal primo passo, ben lungi
dal poter approdare in lui, supposto che esso ne fosse prima
separato "·

91
scompone in tappe logiche, severamente verificate, il
movimento senza interruzioni. Raramente egli tenta di
portare la sua indagine non più solo sull'itinerario, ma
sul « centro » stesso del dinamismo, punto centrale e
segreto da cui scaturiscono ragione e volontà. Egli sen­
te troppo, indubbiamente, che qui lo strumento logico
non basta più all'analisi; che bisognerebbe inoltre sug­
gerire, interrogare, aiutare e prender coscienza; che oc­
correrebbe « rivelare », temendo incessantemente di tur­
barlo, un contenuto latente. Compito delicato, per il
quale egli si sente mal preparato. Se si tratta poi di lui
stesso, e non più d'una questione, per dir così, profes­
sionale, ma del problema suo personale che riguarda
lui, uomo vivente, può darsi pure che egli tema oscura­
mente d'incontrare non più solo un oggetto di analisi,
ma, in verità, Dio stesso; e non solamente di scoprire
« l'autore della natura », di ogni natura, ma di trovarsi
di fronte, lui essere vivo, all'azione del Dio vivo, irri­
ducibilmente singolare e incessantemente urgente in ogni
uomo. Non enim fecit Deus et abiit.. . » (Vietar Fon­
toynont, S.J.).
* * *
In fatto di prova di Dio, l'esposto più classico e più
semplice è sempre, in sé, il migliore 2 • Esso costituisce,
per dir così, lo schema permanente che sussiste in
tutte le precisazioni tecniche di superficie che vi in-
2 Cfr. R. JOLIVET, A la recherche de Dieu (Archives de philo­
sophie, vol. VIII, 1931), p. 85: « Vi è una forma semplice, comune,
universale, accessibile a tutti » degli argomenti ; p. 149, sul tema
detto del movimento: « cosi semplice e così evidente nel suo
contesto generale ».

92
troduce ciascuna scuola, ciascuna età, ciascun pensatore.
Esso alimenta pure lo slancio di coloro che s'illudono di
farne a meno, poiché « la prova necessaria a ogni uomo
per acquistare una piena certezza è cosl facile e cosl
chiara, che ci si accorge appena del processo logico che
essa implica » 3 • C'è qui, come afferma Fénelon, « una
filosofia sensibile e popolare, di cui ogni uomo spassio­
nato e senza pregiudizi è capace » 4 • Di diritto, e, altret­
tanto bene per lo spirito semplice e retto, di fatto, « la
minima occhiata basta per scorgere la mano che fa tut­
to » 5 • Moto, contingenza, esemplarità, causalità, finali­
tà, essere necessario: categorie eterne, punti di parten­
za sempre offerti, presenti sempre, cosl resistenti alla
critica e cosl attuali come l'uomo stesso e il suo pensie­
ro 6 • Ecce caelum et terra: clamant quod /acta sint 7 • E
ancora più semplicemente: Aliquid est, ergo Deus est.
« Ogni Scuola è d'accordo che non occorre niente di
più » 8 •
Senza dubbio, la prova spontanea che sorge cosl ha
bisogno, per imporsi con tutta la forza al pensiero ri­
flesso, d'essere indefinitamente commentata, e questo
commento giustificativo, che non va senza una parte cri­
tica, è esso stesso, per forza di cose, sempre cangiante

3 SCHEEBEN, Dogmatique, vers. frane., t. II, p. 21.


4 F�NELON, Traité de l'existence de Dieu, Ja parte, c. I, n. 2.
5 F�NELON, loc. cit., n. 1.
6 Si sarà rilevato che noi qui prendiamo posizione contro

il criticismo kantiano e i suoi seguaci.


7 s. AGOSTINO, Confessioni, 1. XI, c. IV, Il. 6 (P. L., XXXII, 811) ;
In Joannem, tract. 106, c. XVII, n. 4 (P. L. xxxv, 1910). Cfr. Sa­
pienza, 13, 1 e 9.
8 A. BREMOND, Une dialectique thomiste du retour à Dieu,
loc. cit., p. 561.

93
sotto un aspetto. « Forma sapiente » della prova, esso è
« destinato soprattutto a rispondere alle obiezioni o a
prevenirle » 9 ; non si concepisce senza uno sforzo di
adattamento da rinnovarsi di continuo. Ma una tale ne­
cessità non può sembrare strana se non a colui che non
abbia mai pensato a ciò che offre di unico questo pro­
blema di Dio.
« L'operazione sublime e semplice » 1 0 che conduce
a Lui rimane in fondo sempre la stessa. Il cambiamen-

9 R. JOLIVET, op. cit., p. 85: « ••• Le prove classiche di Dio


sono più semplici, più ovvie, meno litigiose, e, sebbene "metafi­
siche", si impongono, nei loro elementi essenziali, con una forza
sovrana. La loro forma sapiente, destinata soprattutto a rispon­
dere alle obiezioni o a prevenirle, non è la forma comune, quella
che agisce immediatamente sullo spirito e lo determina a cre­
dere ... Ecco perché le obiezioni "più sottili" e più capziose... non
riescono, per lo più, a scuotere la fede del vero credente: lo
schema semplice e chiaro della dimostrazione s'incorpora nello
spirito al di là e a dispetto di tutte le sottigliezze degli "abili"... ».
10 A. GRATRY, De la connaissance de Dieu, a. I, pp. 45-46:
« Se vi sono delle vere prove dell'esistenza di Dio, tali prove
debbono essere alla portata di tutti gli uomini. Poiché la luce
di Dio illumina e doveva illuminare ogni uomo venuto in questo
mondo... Bisogna cercare l'origine e la realtà (delle prove) in
qualche operazione volgare e quotidiana dello spirito umano ;
trovata poi tale operazione sublime e semplice, basta descri­
verla e tradurla in linguaggio filosofico. Successivamente se ne
dimostrerà il valore scientifico ». Ciò non sopprime l'importanza
e la necessità, sul loro piano, di considerazioni più tecniche,
come noi le mostriamo nel testo. Cfr. lbid., t. Il, p. 279: « Non
esiste nessuna ragione separata dall'attrattiva superiore che
cerca di elevarla ».
La maniera particolare con cui Gratry concepiva questa
« operazione sublime e semplice ,. sembra richiedere una preci­
sazione, che si troverà, infra, fatta dal Maréchal. Ci si potrà
riferire anche all'articolo entusiasta del P. RAM1t!RB, Du procédé
dialectique in Etudes de théologie, de philosophie et d'histoire,
t. II, 1857, pp. 85-130. Vedere pure L. FouCHER, La philosophie
catholique en France au XIX siècle (1955), c. VIII,' pp. 197-236. B.
POINTIJD - GUILLEMOT, Essai sur la philosophie de Gratry ( 1917).

94
to parziale delle tecniche, delle prospettive e delle pre­
sentazioni non la raggiunge 11 • Come Dio stesso, nella
sua eternità, domina il Butto incessante della creazione,
cosi l'idea di Dio in noi domina le fluttuazioni della vita
intellettuale, imponendosi sempre, attraverso le fluttua­
zioni stesse, con la medesima forza invincibile. E tutti
i grandi spiriti che hanno parlato di Dio, restano sempre
nostri contemporanei.

* * *
La causalità, di cui Kant ha voluto dimostrare che
l'uso « trascendente » non era legittimo, non era che
la categoria strettamente scientifica, la categoria specia­
lizzata che regge l'universo di Newton. Fatta per ordi­
nare i fenomeni, essa vi esaurisce la sua virtù. Questa
causalità kantiana, del resto, non è che un esempio. In
realtà le filosofie occidentali moderne « hanno questo di
particolare, che il mondo da cui esse partono » non è
per lo più che « quello che costituiscono � modificano
incessantemente le scienze » 12 • Come meravigliarsi che
un tal mondo sia impotente a fondare da se stesso e a
sostenere fino alla fine lo slancio del pensiero? Bisogne­
rebbe scavare di più per ritrovare, sotto le categorie
artificiali e metodologiche della scienza, le grandi cate-

11 Ecco perché si è potuto dire che le prove di Dio « sono


meno un'invenzione che un inventario, meno una rivelazione
che una dilucidazione, una purificazione e una giustificazione
delle credenze fondamentali dell'umanità » (M. BLGNDEL, I.A. Pen­
sée, t. I, p. 392).
12 F. ALouIÉ, I.A. nostalgie de l'etre (1950), p .151; ibid.: « Si
sa quanto la fisica e la logica su cui ha meditato Kant abbiano
influenzato la sua critica ».

95
gorie naturali della ragione. Allora si potrebbe imposta­
re la discussione tra una critica negativa che le dichiari
illusorie e uno sforzo di giustificazione ponderata nonché
di purificazione del loro uso spontaneo 13 •

***

Sotto le variazioni apparenti, lo schema della prova


resta sempre identico 1 4 • Esso è buono, eterno. Più soli­
do del più solido acciaio, è più che un'invenzione della
ragione: è la ragione stessa.

***
Per quante obiezioni possibili si possano muovere
alle diverse prove dell'esistenza di Dio, la critica non
le distruggerà mai, poiché mai intaccherà il principio
che esse hanno tutte in comune. Al contrario, questo
principio si svincolerà tanto più imperioso, quanto più

1 a Per liberarci tecnicamente dal criticismo, l'opera più


efficace è senza dubbio quella di J. MARÉCHAL. Cfr. Le point de
départ de la métaphysique, quad. V (1926), p. 452: « Il principio
trascendente di causalità esprime questa rivelazione complemen­
tare e simultanea, della contingenza oggettiva e della perfezione
eminente che lo misura ». E pp. 450-451. J. DEFEVER, op. cit.,
pp. 2S-40.
14 Molti autori lo hanno rilevato, senza tuttavia spiegare
le cose in ugual modo. Cfr. P. DESCOOS S. J., Praeelectiones theolo­
giae naturalis, a proposito delle cinque « vie » della Somma di
San Tommaso: « Omnia argumenta nobis videntur ad unum esse
reducenda et viam causalitatis efficientis implicare tanquam so­
lam in ordine discursus scientifici apodicticam» (t. I, p. 353 ;
t. II, p. 15). H. PAISSAC, Preuves de Dieu, Zoe. cit. p, 88: « Le prove
di Dio si irradiano da un centro unico: l'affermazione della
causalità ».

96
saranno scossi tutti gli elementi con i quali sono dispo­
ste le prove. Esso non è un principio particolare, che lo
spirito potrebbe isolare e passare al suo vaglio per fissar­
ne i limiti, o anche per rigettarlo interamente fuori di
sé, ma è inerente alla sua stessa sostanza. Tale principio
non è una via in cui lo spirito potrebbe scoraggiarsi nel
seguirla sino alla fine, o da cui potrebbe scostarsi nel ti­
more di essersi male avviato: esso si confonde con lo
spirito:
Lo spirito stesso è una via che cammina 1 5 •

***

Causa essendi, ratio intelligendi, ordo vivendi. Oc­


corrono a ogni pensiero, come a ogni essere e a ogni at-

1 5 Cfr. c. DE MoRÉ-PONTGIBAUD, Zoe. cit., pp. 510-511: « Questa


fissità nella direzione ; questa intrepidezza nel risalire verso un
termine naturalmente inaccessibile ; questa facilità ad abbrac­
ciare spontaneamente, nell'unità di una stessa prospettiva e in
un prodigioso compendio, somiglianze così dissimili da escludere,
dal basso in alto, ogni proporzione stretta e qualsiasi comune
misura ; quest'arditezza del ragionamento che procede così, senza
temere le vertigini, sulla via del medio termine analogico, scar­
tando imperturbabilmente, a destra e a sinistra, con le sue
negazioni, le vie traverse e le false piste, e che, con grande
spavento di coloro che misurano questo risalire con uno dei
procedimenti ordinari del nostro spirito, "passa al limite" e,
all'estremità della sua via, facilmente, pone l'Infinito, o più
esattamente si riferisce a Lui nella sua affermazione, quando
occorrono alla ragione riflessa, per giustificare e precisare questo
itinerario, sforzi così laboriosi ; - tutto ciò sarebbe indubbia­
mente pericoloso, e mal si concepirebbe, se si trattasse di pas­
sare da un'idea particolare a un'altra idea particolare, ma è
normale e legittimo se, facendolo, seguiamo solo l'inclinazione
fondamentale e costante della nostra intelligenza, sotto la direzio­
ne della causa prima, verso la sorgente unica e totale di realtà
e d'intelligibilità ».

97
7. - Sulle vie di Dio
to, un principio e un fine 16• Lo spirito non si è messo
tutto solo in moto, e il suo movimento suppone una
direzione, cioè un punto fisso. La gratuità pura è un al­
tro nome dell'assurdo. Non si può fare l'economia di Dio.

***
Se, come molti hanno creduto, l'uomo adorando Dio
adorava l'umanità stessa, egli l'adorerebbe come natura
o come ideale, cioè come realizzata e come realizzabile.
Nell'uno e nell'altro caso, l'oggetto che egli porrebbe
non sarebbe maggiormente degno di adorazione del Dio
trascendente tale quale lo si è dapprima immaginato,
poi criticato.
Se poi si concepisse questa divinità come un puro
ideale, che non potrà mai attuarsi, a qual titolo la chia­
meremmo ancora « umanità»? E che cosa vi sarebbe
ancora di intelligibile - o di adorabile - in un termi­
ne cosi fuggevole?

1 6 SANT'AGOSTINO, De Civitate Dei, I. VIII, c. IV: « Ut in Ilio


inveniatur et causa subsistendi, et ratio intelligendi, et ordo vi­
vendi: quorum trium unum ad naturalem, alterum ad rationa­
Iem, tertium ad moralem partem inte!Iigitur pertinere. Si enim
homo ita creatus est, ut per id quo in eo praecellit , attingat
illud, quod cuncta praecellit, id est, unum verum optimum Deum,
sine quo nulla natura subsistit, nulla doctrina instruit, nullus
usus expedit: Ipse quaeratur, ubi nobis secura sunt omnia; Ipse
cernatur, ubi nobis certa sunt omnia; Ipse di!igatur ubi nobis
recta sunt omnia ,. (P. L., XLI, 228-229). Cfr. c. x, n. 2 (col. 235).
Contra Faustum Manichaeum, I. XX, c. vn: « Inde nobis est ini­
tium existendi, ratio cognoscendi, !ex amandi, inde omnibus et
irrationalibus animantibus natura qua vivunt, vigor quo sen­
tiunt, motus quo appetunt; inde etiam omnibus corporibus men­
sura ut subsistant, numerus ut ornentur, pondus Ùt ordinentur ,,
(P. L., XLII, 372).

98
Tre tentativi per sfuggire al Dio Vivente, tre fughe
nella mistificazione.

* * *
Dio non è il primo anello di una catena. Nella serie
di cause ed effetti che compone questo mondo, Dio non
è il primo della serie 1 7• Dio non è « un punto d'origine
nel passato » : Egli è « una ragione sufficiente nel pre­
sente » (come pure nel passato e nell'avvenire, in tutta

11 Cfr. H. PAISSAC, Zoe. cit., pp. 90-94: « Se Dio è solamente


un oggetto fra tutti gli altri, o il primo anello della catena; se,
per esempio, il colore di un viso umano si spiega con la natura
delle cellule, la quale, a sua volta, si spiega con la costituzione
dei cromosomi e questa con Dio, Dio non è Dio. Almeno non
si è dimostrata l'esistenza del vero Dio. Dal fatto che nel mondo
v'è causalità, non ne consegue per nulla che vi sia una cau­
salità del mondo. Kant ha ragione se si cerca di stabilire una
prova esclusivamente scientifica dell'esistenza di Dio, cioè se la
causa rappresenta "il fenomeno che ne produce un altro"... (Solo
in metafisica) la causa non è più soltanto "il fenomeno che ne
produce un altro", bensì ciò che suppone o richiede un esistente
che non s'identifica con il suo atto di esistere... (Ora) "non si
può andare all'infinito" dice San Tommaso. E si comprende
ciò che vuol dire: non v'è questione né di catena né di convoglio
come se non si potesse sopportare la fatica di contare un'infinità
di vetture o di anelli, ma si è obbligati a uscire dalla serie, un
momento o l'altro ... Si potrebbe andare all'infinito nell'ordine
della spiegazione scientifica. Ma bisogna uscire da questo ordine:
non si può risalire all'infinito e trovare là una causa definitiva.
Occorre un fine, cioè una causa ultima o prima. Non un numero
primo al termine di una serie più o meno lunga, ma un Altro,
in tutto il rigore del termine, un Primo in questo senso che
sorpassi tutti gli altri e non faccia più parte del resto, essendo
di tutt'altro ordine. Se si vuole un'immagine per sostenere l'at­
tenzione, si può rappresentare il vagone che passa, e non la serie
indefinita di vetture che lo precedono e neanche la motrice che
trascina l'insieme del treno, ma più semplicemente, più defini­
tivamente, l'energia elettrica che corre nei cavi e domina la tota­
lità del convoglio ».

99
l'estensione della durata) 18• Quante obiezioni cadreb­
bero e quanti malintesi svanirebbero se questa verità
così semplice fosse compresa!

***
Dio non è solamente al principio e alla fine: Bene
di ogni bene, Vita dei viventi, Essere degli esseri 19 • Egli
è al centro di ogni cosa. In illo vivimus, et movemur. et
sttmus 20•
Senza questa presenza dell'Assoluto nel relativo,
dell'Eterno in seno a ciò che muta, tutto ricadrebbe in
polvere.

l8 E. GILS0N, rispondendo a L. BRUNSCHVIGG in La querelle de


l'athéisme (L. BRUNSCHVIGG, De la vraie et de la fausse conversion,
p. 228). Basta ricordarsi che San Tommaso ammetteva la possi­
bilità di un mondo creato ab aeterno, cioè di un mondo in cui
innumeri serie di cause e di effetti si succederebbero all'indefi­
nito, senza inizio e senza fine, per trovarsi costretti ad accettare
che egli non poteva commettere la confusione che si trova al
principio di tante obiezioni contro la più classica delle prove
dell'esistenza di Dio. - Occorre un primo motore, diceva già
in sostanza Aristotele, non perché occorra un primo termine
in una serie qualsiasi (temporale), ma perché occorre una prima
causa in una serie (gerarchizzata) di cause.
1 9 S. AGOSTINO, De Trinitate, I. VIII, c. III, n. 4: « Bonum
omnis boni " (P. L. XLII, 949). PSEUDO-DIONIGI, Circa i divini nomi,
I, 3 (vers. ital. di E. Turolla, in DIONIGI ARBoPAGITA, Le opere, Ce­
dam, Padova, 1956). SAN BERNARDO, De consideratione, I. V (vers.
ital. di D. Malbranci, La considerazione, Morcelliana, Brescia).
20 SAN PAOLO, in Atti, 17, 28. Cfr. GIOV. Scoro ERIUGENA,
De divisione naturae, I. I, n. II ; 1. III, n. I (P. L., CXXII, 451-452 e
621 D ). M. BLONDEL, L'Action, p. 346 (esistono due vers. ital.: di
E. Codignola, Firenze, 1921, 2° voi., e di A. Vedaldi, Torino, 19.50):
Dio « è al centro di ciò che io penso e di ciò che io faccio ...
Per andare da me a me io lo attraverso incessantemente ».

100
* * *
Il Divenire, di per sé, non ha senso: scorre, svani­
sce senza realmente divenire. È un altro nome dell'as­
surdo. Ora, senza una Trascendenza, cioè un Assoluto
presente, già stabilito al centro della realtà che diviene,
non dipendente da essa, essendo questo Assoluto che
la lavora, l'attira, la polarizza, la fa veramente avanza­
re, non vi può essere indefinitamente che divenire, a
meno che una catastrofe non venga a mettere una fine
violenta a tutto, e che l'assurdo non ritrovi da ultimo,
se cosl si può dire, la verità del suo essere, divenendo
senza equivoco il nulla...
Ogni divenire è causato dall'Essere. Ogni divenire
è orientato verso l'Essere. Il divenire non può essere
pensato che dall'Essere.
L'idea del Progresso, che magnifica il Divenire e in
qualche modo l'ipostatizza, è una delle più vane che gli
uomini abbiano forgiato. Poiché il Progresso divinizza­
to non è soltanto, come giustamente fu scritto 21 , una
« corsa senza timore » , bensl è una corsa senza meta,
anzi una corsa che si svia senza neanche realmente cor­
rere. Sopprimere il termine è sopprimere la direzione
della corsa. È far « balenare agli occhi dell'individuo
straziato e asservito un di là astratto che gli sfugge a
misura che egli crede di accostarvisi » 22 • È sopprimere
il progresso.

21 G. VAN DER LEEUW, L'homme et la civilisation in Eranos­

Jahrbuch, t. XVI (1948), p. 170.


22 G . FESSARD, France, prends garde de perdre ton ame (1946),

p. 149, vedere anche da p. 133 a 150.

101
« Far sparire la perfezione assoluta è far sparire
ogni idea di perfezionamento ». Nessun superamento
reale senza asse né termine; nessun progresso reale sen­
za « passaggio al limite ». Se vi è divenire, se vi è pro­
gresso possibile, deve un giorno esserci compimento ( di­
ciamo, almeno compimento possibile); e se deve o può
esservi compimento, vi è, da sempre, altra cosa che quel­
la del di venire 23 • « Togliete la fine del mondo ( che ne
è pure il principio), e non v'è più séguito nelle cose,
ma solo il caos che vi getta nella disperazione e a cui
il vecchio Tathagata preferiva il nulla » 2 • .

* * *
Contro l'assurdità del caos primordiale, del niente
da cui il tutto sorgerebbe, del nulla che genererebbe

23 F. RAVAISSON, La philosophie française au XIX siècle (4a


ed. 1895), p. 50. Cfr. Y. DE MONTCHEUIL, s. J., Une philosophie du
devoir in Mélanges théologiques ( 1946), pp. 238-239. J. MoNCHANIN,
De l'esthétique à la mystique (1955), pp. 43-44. Alcuni filosofi han­
no concepito per lo spirito creato un fine possibile che consiste­
rebbe, in qualche modo, nel non averne. Colui al quale Dio non
avesse offerto la divina visione, non si accontenterebbe tuttavia
di alcun bene finito, ma tenderebbe indefinitivamente verso
questa visione come verso un polo che sempre attira sebbene
sia irraggiungibile. Senza discutere qui una tale ipotesi, che non
è senza serie difficoltà (e che non trova fondamento nel tomismo
al quale essa talvolta si rifà), ci basterà osservare che essa non
ha nulla di comune, in ogni caso, con l'idea d'un Divenire puro,
idea che noi qui critichiamo come assurda. Effettivamente,
l'ipotesi menzionata concerne un universo creato da Dio e si
iscrive dunque di colpo nell'intimo di un pensiero che riconosce
una stabilità ontologica fondamentale e, per ciò stesso, il dive­
nire indefinito, di cui parla, è un divenire orientato.
24 P. CLAUDEL, Correspondance avec Jacques Rivière, p. 60.
Cfr. PwrINO, Enneadi, V, 1, 6: « Tutto ciò che si muove richiede
qualche cosa verso cui si muova ».

102
l'essere, della forza cieca che farebbe scaturire la lumi­
nosità dello spirito: ecco una Sorgente dell'Essere, una
« Alfa ».
Contro la disperazione del caos finale, del fallimen­
to assoluto, dello spirito vinto senza appello dalla ma­
teria oscura, della morte incessante, del grigio ritorno
ciclico in cui si sprofondano senza fine tutti i sogni:
ecco un luogo in cui l'essere si raccoglie, un « Omega ».
« Io sono l'Alfa e l'Omega, dice il Signore » 2' .

* * *

L'intelligenza, ci dicono gli antichi filosofi, « e m


qualche modo tutte le cose ». Essa ne ha coscienza spon­
taneamente, in realtà, e ogni qual volta le capita, attra­
verso i sistemi, di esprimere il suo sogno, qualunque
sia la strana diversità delle formule in cui questo sogno
prende corpo, si tratta sempre per essa di comprendere
in sé tutte le cose. Vult autem anima totum mundum
describi in se 26 •
In altri termini, non potendo rinunciare all'Asso­
luto per il quale è fatta, ma non sapendo ancora dove
situare quest'Assoluto né come comprenderlo, per un
moto naturale, essa lo cerca innanzitutto di fronte a
sé, nella Natura, nell'oggetto. Ma cercarlo a questo mo­
do non è condannarsi a non raggiungerlo mai? Il mon-

25 Cfr. 1s., 41, 4 ; Apoc. l, 8. Cfr. P. T. DE CHARDIN, Le groupe


zoologique humain (1956), pp. 156 e 162: « Focolare universale di
interiorizzazione psichica ", « Principio assolutamente ultimo di
irreversibilità e di personalizzazione "·
26 SAN BONAVENTURA.

103
do oggettivo è indefinito; un oceano senza riva dove
lo spirito fa presto a perdersi. Imbarcarvisi, nella spe­
ranza di gettare un giorno l'àncora sulle terre poste
« al di là delle cose fisiche », non è forse abbandonare
il mondo reale per un regno indefinito di astrazioni? La
vera metafisica è per eccellenza la scienza del reale e
del concreto 2 1 •
Dunque, si crede innanzitutto ai dati sensibili: non
hanno forse essi il privilegio dell'immediato? La loro
presenza non s'impone sempre e non sopravvive a tutte
le teorie? Non bisogna tornarvi sempre? Ma presto ci
si accorge che essi non sono che apparenza, o al mas­
simo la scorza della realtà. Allora ci si affida alle enti­
tà forgiate dalla scienza: a tutto il sensibile amorfo e
fluente non donano esse un'armatura? Non gli impon­
gono un ordine e una legge?
Ma bisogna ancora disdirsi. All'analisi, queste enti­
tà che si prendevano per assolute, appaiono contraddit­
torie o si risolvono in altre; tali il moto o I'« atomo »
degli antichi... 28 •
L'universo scientifico non regge più dell'universo
sensibile, se non si appoggia a qualche universo di altra
natura. Più la scienza, perfezionando i suoi metodi,
assoggetta il mondo all'uomo, più, per rivincita, l'Esse­
re, che non si lascia assoggettare, si sottrae ... E dinanzi

2 7 Cfr. F. ALouré, La nostalgie de l'etre, p. 17: « t:. naturalis­

simo che la maggioranza degli scienziati, consacrando la vita


alla ricerca dell'oggettività, lascino che si alieni in questa ricerca
la loro esigenza d'essere; ma il realismo che professano appar­
tiene allora all'ordine della deformazione professionale.
2s "A-i:oµoç = non divisibile, non tagliato, non tagliabile,
indisintegrabile.

104
a questo nuovo scacco, apparentemente definitivo, vie­
ne allora naturalmente la tentazione dell'agnosticismo.
Ma esso pure, a sua volta, finisce col rivelarsi con­
traddittorio, proprio esso che era stato inventato come
una soluzione disperata per salvare almeno la logica.
Effettivamente come si continuerebbe ad affermare un
Assoluto che si dichiara assolutamente inconoscibile?
Sembra quindi che non possa più essere evitato un fran­
co scetticismo.
Ma l'intelligenza non può assolutamente abdicare ;
non può rinunciare alla sua legge formale che è di giu­
dicare, cioè di affermare sempre. Lo scetticismo la oppri­
me e l'assale alla sua stessa radice, portando la contrad­
dizione non più solamente tra contenuti diversi delle
sue diverse affermazioni, ma in se stessa, al centro di
ciascuno dei suoi atti. Al fine di liberarsene, essa può
allora giungere a concepirne, nel senso più generale del
vocabolo, quasi una specie di surrogato dell'Assoluto,
la Legge. È porre un intermediario tra lo spirito e il
reale, come tra l'immanente e il trascendente, « terra
media dove si concentrano le nostre azioni, e al di là
della quale il bisogno di conoscere si perde nella meta­
fisica, cioè nella discussione chimerica e oziosa, riguar­
dante questioni inutili per la pratica della vita ». Ma
ancora una volta questo modesto rifugio è instabile pure
lui. Bisogna riconoscerlo: come l'assoluto delle cose era
contraddittorio, quest'assoluto della Legge è campato
in aria. « Assioma eterno », o comunque lo si chiami,
se esso non è il travestimento di altra cosa, non è che
il vuoto, un vuoto astratto, senza profondità e senza
mistero.
105
Così non si è forse finiti per sempre in un vicolo
cieco?
Tutto il male viene dall'illusione iniziale, cioè dal­
la persuasione, non vagliata dalla critica, che non vi sia
che da progredire nella conoscenza del mondo comin­
ciando dai suoi primi dati, senza ritorno riflessivo; che
l'occhio dello spirito deve prolungare in qualche modo
indefinitamente lo sguardo dei sensi, anche quando sem­
bra, con la scienza, passarlo al vaglio, per scoprire l'esse­
re sotto la sua apparenza; che bisogna ammassare l'og­
getto, confuso con l'essere, come un tesoro, scavarlo
per trovarvi l'alimento, custodirlo per bearsene. In una
parola, tutto il male viene dall'illusione che non vi è
mai altro se non sistemarsi meglio, se non ingolfarsi
più a fondo in questo mondo ...
Tale illusione è naturale allo spirito, come è natu­
rale all'uomo: illusione forse necessaria, comunque uti­
le per sostenere uno sforzo di ricerca che è una parte
della vocazione umana; illusione, tuttavia, che l'uomo,
il quale riflette, trova in sé il modo di distruggere. E
la distruggerà in una duplice maniera, costatando che
la conoscenza perfetta e adeguata di questo mondo gli
è doppiamente impossibile. Lo si chiami secondo che
si indulge a una tendenza piuttosto razionalista o piut­
tosto psicologista - « sapere » o « intuizione »; lo si
concepisca come una misteriosa colata verso il cuore
del reale nello svanire di tutte le sue forme o, invece,
come il termine vivente di un immenso sforzo di sintesi
razionale, come una immediazione o una costruzione,
l'ideale che sembrava azionare la conoscenza umana è
un miraggio.

1 06
Il Sapere assoluto e l'Intuizione del mondo ripugna­
no allo stesso modo.
Il Sapere assoluto ripugna, perché farebbe svanire,
nell'istante in cui si attua, colui che deve portarlo in
sé. Esso non potrebbe essere il Sapere di un Sapiente.
Tutte le contraddizioni sarebbero sormontate, tutte le
opposizioni sorpassate. Tutte le leggi si inserirebbero le
une nelle altre per giungere a rientrare finalmente in una
sola formula. Ma per ciò stesso, essendo scomparso ogni
punto di vista particolare, l'individuale essendo ormai
dissolto nell'universale e la molteplicità avendo intera­
mente raggiunto l'unità, questa formula generale non
troverebbe più né simbolo in cui esprimersi né coscien­
za in cui affermarsi.
Giunto al termine del suo Sapere, il Sapiente sarebbe
come « la strega che finiva col divorare le proprie inte­
riora ». « Non resterebbe che l'impensabile uguaglian­
za di nulla a nulla » 29 •
Non meno ripugna l'Intuizione del mondo, perché
essa farebbe svanire il mondo che vuole stringere. Vi è
effettivamente, in questo mondo, qualcosa di infraintel-

2 9 KIERKEGAARD, Diario, XII, A, 354 (1850); vers. ital. di c.


Fabro, Morcelliana, Brescia, 1965, voi. II, 1848-1852). G. MARcEL.
Cfr. G. FESsARD, La méthode de réflexion chez Maine de Biran
(1938), p. 170, sul sogno del sapere assoluto: « Sogno assurdo? -
Niente affatto ; il torto dell'uomo naturalmente metafisico non è
di sognare così né di voler trasformare il suo sogno in realtà, ma
solo di credere di esservi mai pervenuto, dimenticando così che
la scienza dell'essere non può esistere in chi non è ancora. Ma,
d'altronde, il torto non è minore in coloro che, per aver ricono­
sciuto il miraggio dell'ontologia fatta, sospendono una ricerca
che dichiarano chimerica, dimenticando da parte loro che la
scienza dell'essere non può essere rivelata se non da chi deve
essere ».

1 07
lettua.te : pienamente assorbito dall'intelligenza, esau­
rito da essa, cesserebbe dunque d'esser se stesso. Del re­
sto, la ragione ultima va ancora cercata dalla parte del
soggetto: perché se il mondo è essenzialmente sensibile
è perché è essenzialmente indefinito; e se è indefinito, e
quindi non suscettibile a essere riunito in un tutto unico
e inesauribile, non è forse perché è l'obbligato correla­
tivo di spiriti essi stessi in divenire ?
Insomma, il mondo non è né una Legge, né una Es­
senza. Le antinomie che non cessa di offrire, smorzando
e trattenendo il moto dello spirito, non saranno mai
tutte ridotte. Reali sul loro piano, le leggi e le essenze
che l'intelligenza non cessa di scoprire nel mondo lascia­
no sussistere un'oscurità che non può essere dissipata. La
scienza non si eleverà mai fino alla sintesi totale che la
identificherebbe con la metafisica, e l'oggetto ultimo, il
vero oggetto della metafisica, non è di questo mondo.
L'intendimento resterà sempre l'intendimento, cioè una
intelligenza imperfetta, mista di sensibile, ma esso stes­
so non è che un sostituto provvisorio e ausiliario dello
spirito.
L'intendimento, facoltà della scienza, guardava al di
fuori: lo spirito deve svolgersi al di dentro. « Ripresa
critica » del pensiero 30 , « conversione » necessaria, « in-

ao :t;. ciò che F. Al.oUIÉ chiama pure « la reazione filosofica


della coscienza » al pensiero scientifico, la quale è tutt'altra cosa
che uno sviluppo o un superamento, e di cui la coscienza prova
eternamente il bisogno, in vista « di collocarsi in rapporto al
mondo... che le offre la scienza » (op. cit., pp. 9, 40 e 151). Cfr.
p. 127, sulle « dottrine della intuizione e i sistemi ,. che « lasciano
apparire la loro essenza comune » dissipando lo spirito del mon­
do degli oggetti proprio quando pretendono di « dargli in suo
potere l'Essere ».

108
traversione », « riflessione », attraverso cui la metafisica
scopre infine il suo dominio.
« No », protestava Malebranche, « io non vi condur­
rò affatto in una terra straniera, ma v'insegnerò forse che
siete stranieri voi stessi nel vostro proprio paese ».
L'intendimento è, in potenza, volto a una infinità di
oggetti; ciò non è forse segno che anche lo spirito è ten­
denzialmente proteso verso l'infinito? Senza poterle riu­
nire in un tutto unico 3 1 , noi possiamo indefinitamente
rappresentarci tutte le cose; non è vero che vogliamo,
per quanto è in noi, possedere Dio? Acosmismo, se si
vuole; ma acosmismo che in realtà salva il mondo. Sen­
za di esso, il mondo non può essere che una « delusione
sistematica »; grazie ad esso, invece, ritrova il suo valo­
re e la propria consistenza, il suo senso e la sua giu!'ti­
ficazione; esso si rivela come un mezzo, una tappa, una
prova. La sua essenziale indefinitezza non ha più nulla
che ci scandalizzi e può infine, nella sua forma presen­
te, svanire, per cosl dire, nelle nostre mani, senza che
questa sparizione ci sconcerti: essa è una trasfigurazio­
ne, l'annunzio e l'avvicinarsi di un bene migliore. Noi
siamo 1tcxv-rcx 1tw,;, fu scritto, perché 0eòç 1tw,; ( 31 bis) ;
si è anche parlato di una « facoltà del divino » i n noi:
forse si potrebbe dire con maggior precisione e con più

31 SAN TOMMASO, Prima, q. LXXIX, a. 2: « Nullus intellectus


creatus potest se habere ut actus respectu totius entis universa­
lis ; quia sic oporteret quod esset ens infìnitum. Unde omnis
intellectus creatur ; per hoc ipsum quod est, non est actus om­
nium intelligibilium »
( 31 bis) E cioè: " Noi siamo, in un certo senso (in qualche
modo), tutte le cose perché, in un certo senso, siamo Dio ».
(N. d. D.).

1 09
esattezza: l'intelligenza è facoltà dell'essere, perché lo
spirito è capacità di Dio.
Lo spirito umano potrebbe paragonarsi a una pian­
ta. Il fine della pianta è, assimilando gli elementi che
attinge dal di fuori, quello di vivere, di divenire se stes­
sa. Il fine dello spirito, facendosi anzitutto intendi­
mento per assimilare il sensibile, non è di perdersi ne­
gli elementi che da ogni parte gli si offrono, né di co­
struire con esso l'edificio perfetto del sapere : è di dive­
nire se stesso, è di vivere. E la sua vita è il possesso
di sé - e di ogni cosa - nella luminosa dipendenza
da Dio.
- « Io sono con gli uomini, dice il viaggiatore, e
non con gli angeli, e non ho altro desiderio se non di
ciò che respira a mia somiglianza ».
- « Non è vero, risponde la voce, tu non hai altro
desiderio che di Dio, poiché la conoscenza di Dio è tua
porzione e, come l'ape nell'estate distilla il miele, cosl
la tua funzione è di contemplare, con occhi di amore,
l'Imperituro » 32 •
Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine
habitat Veritas; et si tuam naturam mutabilem invene­
ris, transcende teipsum. Sed memento, cum te transcen­
dis, ratiocinantem animam te transcendere. Illuc ergo
tende, unde ipsum lumen rationis accenditur... 33 •

32 E. PSICHARI, Le Voyage du Centurion.


33
SANT'AGOSTINO, De vera religione, c. XXIX, n. 72 (P. L.,
XXIV, 154. Il Card. ZIGLIARA, che cita e commenta questo testo,
si sforza di dimostrare come la dottrina di San Tommaso sia qui
conforme con quella di Sant'Agostino (Oeuvres philosophiques,
vers. frane., t. Il, pp. 206-208).

1 10
* * *
... Solus Deus est in quem nec pondus nec mensura
cadit omnino, nec numerus. Unus Deus est, et non ha­
bet sui generis cui valeat comparari 34.
Tutto ciò che riguarda Dio, tutto ciò che conduce
a Dio, tutto ciò che unisce a Dio è unico 35 • Tra Dio e
gli altri esseri, ogni « comunione » di nome o di essen­
za è esclusa 36 • Nulla di Dio né dei nostri rapporti con
Lui rientra « nel genere » 3 7 •

34 SAN BERNARDO, De Diversis, senno LXXXI, n. 2 (P. L., 103,


703 B).
3 5 Cfr. A. FOREST, in MARTIN ET FLICHE, Histoire général de la
Eglise, t. XIII (1951), p. 57 (vers. ital., Edizioni Paoline, S.A.I.E.,
Torino); benché criticato da San Tommaso, l'argomento di San­
t'Anselmo fa almeno « comprendere che il problema di Dio è
unico ».
se M. VITTORINO, Adversus Arium, 1. IV, c. 23: « Omnia enim
quae voces nominant, post lpsum sunt » (P. L., VIII, 1129 D).
SANT'ANSELMO, Monologio, c. 26: « Unde si quando illi est cum
aliis nominis alicujus communio, valde procul dubio intelligenda
est diversa significatio »; c. 27: « Constat igitur quia illa sub­
stantia nullo communi tractatu substantiarum includitur, a
cujus essentiali communione omnis natura excluditur » (P. L.,
CLXXI, 180 A e B).
3 7 SAN TOMMASO, Prima, q. III, a. 5. ecc. In La philosop11ie

de Saint Bonaventure (2a ed., 1943, p. 115, nota) E. Gn.soN com­


menta così l'articolo citato della Somma al Sed contra (« Nihil
est prius Deo, nec secundum rem, nec secundum intellectum ;,):
« Se Dio fosse in un genere, qualche cosa gli sarebbe anteriore;
infatti per l'intelletto che classifica le idee, l'idea del genere è
anteriore a quella della specie contenuta sotto il genere. Ora
non vi è in noi idea che sia logicamente anteriore a quella di
Dio, come non vi è fuori di noi realtà anteriore a Dio stesso ».
« La realtà divina è anteriore all'essere e a tutte le sue differen­
ze •. (La Sainte Trinité, opera d'un Certosino, 1948, p. 33). GAE­
TANO, In Primam, q. 39, a .1, n. 7: « Deitas seu res divina prior
est ente et omnibus differentiis ejus; est enim super ens et su­
per unum ». - Noi non possiamo (né dobbiamo) per questo fare

111
Questo principio non può ammettere eccezioni. La
via per andare a Dio, così molteplice e varia nelle sue
forme seconde, è essa stessa, in se stessa, unica 38 : cmx;.

* * *
- « Credi tu in Dio, Polemone?
- » Certamente, replicò il filosofo; io credo in qual-
che cosa che esiste fin dall'eternità e da sé.

meno ragionamenti legittimi in cui l'esistenza di Dio non figuri


in conclusione, poiché, come osserva ancora E. GILSON, « prius
secundum intellectum » non significa « prius secundum cogni­
tionem». In altre parole, Dio non è per noi il primo oggetto
conosciuto. Non si potrebbe aderire, senza illusione, alla tesi
degli ontologisti, « i quali confondono l'essere astratto, che l'in­
telligenza percepisce senza ragionamento, con l'essere concreto,
che costituisce l'essenza stessa di Dio; il più povero di tutti gli
esseri con la realtà infinita » (X. MOISANT S. J., Dieu, l'expérience
en métaphysique, 1907, p. 25), la qual cosa è ancora un modo di
mettere Dio « nel genere ». II nostro rilievo riguardo la via che
conduce a Dio si pone dopo questa duplice costatazione. Cfr.
c. n, nota 18.
3 s J. DEFEVER S. J., La preuve transcendante de Dieu in Rei•ue
philosophique de Louvain (1953), p. 527: « La prova dell'esistenza
di Dio non è una prova come un'altra » J. M. LE BLOND, Le chré­
tien devant l'athéisme actuel (Etudes, 1954), p. 301: « La prova di
Dio è di un altro ordine, di un ordine che non conviene se non
solamente ad essa ». Non vi è qui ciò che l'abate M. NfillONCELLE
chiama, con felice espressione, « il corto circuito della cono­
scenza di Dio? » Cfr. La réciprocité des consciences (1942), p. 107:
« La maggior parte delle discussioni sulla necessità di ricorrere
alla intuizione o al ragionamento per trovare Dio sono assai
vane. Vi si confondono d'ordinario due cose assai distinte: il
carattere immediato e il carattere diretto della conoscenza.
Conoscere qualcuno nella sua nozione, che è indiretta e simbo­
lica, non è conoscerlo in se stesso, ma riconoscere soltanto la sua
probabile presenza. Ed è per questo che una delle due scuole,
dalle tendenze più mistiche, respinge i soccorsi de� ragionamento
e i concatenamenti sistematici dell'analisi. Ma pretendere che
Dio venga raggiunto immediatamente per mezzo di una evasione

1 12
- » Ebbene, riprese Callista, questo Dio io lo sen­
to nel mio cuore e mi sento in sua presenza! Egli mi
dice : "Fa' questo, non far quello". Tu mi dirai for­
se che questa ispirazione non è che una semplice leg­
ge della natura, un'impressione analoga a quella della
gioia o del dolore ... Ma, no, io credo il contrario. È la
eco di una voce reale e vera che sento, e questa voce
procede da un essere indipendente dalla mia indivi­
dualità! Questa voce porta in se stessa la prova della
sua origine divina. Il mio cuore vi si attacca e l'ama
come se fosse una persona piena di amabilità. Obbeden­
dole, io sono del tutto felice; se sono ribelle, mi sen­
to triste. Mi sembra che io contristi o rallegri di volta
in volta un amico venerato.
- » Vedi, Polemone, io credo a ciò che è ben più
che un semplice "qualche cosa". L'oggetto della mia
credenza per me è più reale del sole, della luna e delle
stelle, della terra cosl bella e delle dolci parole d'un
amico. Tu mi chiederai: "Qual è quest'oggetto? Ti
ha esso mai rivelato qual è la sua natura?". Ahimè!
no... Oh! io lo rimpiango amaramente ... Ma per quan­
to poco sia, non posso spogliarmi di ciò che possiedo...
Un'eco suppone una voce; una voce suppone un esse-

da noi stessi e dal mondo, è misconoscere la condizione creata e


forse anche ciò che vi è di unico nel rapporto tra la creatura
e Dio. Di qui le diffidenze legittime dei partigiani di una prova
discorsiva sulla pretesa intuizione di Dio. In realtà il metodo
di avvicinamento che conviene a questo problema differisce da
tutti gli altri. La riflessione, che prende il suo punto di partenza
in noi, non ostacola l'intimità. Se la conoscenza di Dio è possibile
per una specie di corto circuito, è perché Egli è in comunione
totale con la nostra prospettiva di esistenza; e noi non abbiamo
in alcun caso l'esempio d'una tale comunione ».

1 13
8. - Sulle vie di Dio
re che parla, e questo essere, questa voce segreta, io li
amo e li temo al tempo stesso» 39 •
* * *
Il pensiero non stringerà mai l'essere, ma dai suoi
primi passi, esso lo tocca. Esso non camminerebbe, se
non fosse già, in un certo senso, arrivato.
* * *
Tutto l'apparato di prove non è forse, in fondo,
altra cosa, se non un vasto removens prohibens? Trop­
po necessario, del resto, nella condizione carnale dello
spirito. Ma, essenzialmente positivo se lo si considera
nell'interno della vita intellettuale, il suo significato sa­
rebbe anzitutto negativo, se lo si ricollocasse nel quadro
più largo o nella prospettiva più profonda dello spirito
concreto :
Lo scultore non fabbrica una scultura 4 0 •

39 J. H. NEWMAN, Callista, c. XXVII (vers. ital. Edizioni Pao­

line, Roma, 1942, pp. 253-254).


4 0 JOHN DoNNE. Cfr. PSEUDO-DIONIGI, Teologia Mistica, c. II
(vers. ital. di E. Turolla, in DIONIGI AREOPAGITA, Le Opere, Cedam,
Padova 1956): « Non altrimenti, chi vuol fare statua di naturale
espressione, quando toglie tutti gli impedimenti che si frappon­
gono alla pura visione del nascosto; costui mentre fa apparire
l'occulta bellezza per se stessa, unicamente si vale di tale pro­
cesso di allontanamento ,. (p. 309). L'idea viene da PLATONE, Re­
pubblica, I. X, 611 c-e; e da Purrrno, Enneadi, I, VI, 9. Cfr. SAN
GREGORIO DI NISSA in P. G., XLIV, 541 D-544 a, e 1069 B-C J. PALIARD,
Profondeur de l'Ame (1953), p. 46: « Si dimostra forse l'essenziale
in altro modo, se non eliminando ciò che lo simula o Io dissi­
mula? » BousSEI', Elevazioni sui misteri, 16 settimana, II eleva­
zione, La perfezione e l'eternità di Dio: « L'uomo ignorante

1 14
* * *
Le vie che la ragione prende a prestito per andare
a Dio sono prove, e, viceversa, queste prove sono vie.
Ciò non toglie ad esse il carattere di prove, - sebbene
siano spesso prove incomplete 41 - ma il loro Oggetto,
unico tra tutti gli oggetti del pensiero, conferisce loro
un carattere a parte. Esse non ce lo donano come le
altre prove ci donano più o meno i loro oggetti. Esse
non ce lo fanno penetrare. Solo, da una parte, Dio è
già presente d'una presenza intima a colui che ne prova
l'esistenza, come a colui che la nega. Ma al tempo stes­
so, d'una presenza cosl inafferrabile che, solo tra tutti
gli oggetti, noi non Lo teniamo 42 •

crede di conoscere il cambiamento prima dell'immutabilità, per­


ché esprime il cambiamento con un termine positivo e l'immuta­
bilità con la negazione del cambiamento stesso; e non vuole
conoscersi che essere immutabile significa essere, e che cam­
biare è non essere; ora l'essere è, ad esso è conosciuto prima
della privazione, la quale è il non-essere » (vers. ital. di D. Giu­
liotti, S.E.I., Torino, 1938).
4 1 Cfr. le conclusioni storiche di F. VAN STEENBERGHEN sulle
cinque vie della Somma Teologica: « Nessuna delle quinque viae
costituisce, nel suo contenuto letterale, una prova completa e
soddisfacente della esistenza di Dio. La l.a e la 2.a debbono
essere prolungate; la 3.a e la 5.a debbono essere corrette e com­
pletate; la 4.a è inutilizzabile » (Revue philosophique de Louvain,
t. XLV, 1947, p. 168). Si può tuttavia discutere queste conclusioni.
Su alcuni problemi d'interpretazione, cfr. W. BRYAR, Saint Tho­
mas and the Existence of God (Chicago, 1951).
42 Cfr. J. MARITAIN, Les degrés du savoir (1932), pp. 445-446:
« Quando noi abbiamo da fare con cose proporzionate o conna­
turali alla nostra intelligenza, la dimostrazione, pur sottomet­
tendosi all'oggetto, in un certo senso sottomette anche l'oggetto
a noi stessi, ai nostri mezzi di verifica che Io misurano, lo deli­
mitano, lo definiscono. Si impadronisce dell'oggetto, lo tocca, lo
maneggia, lo giudica. Ciò è tanto più sensibile in quanto essa ha
luogo per mezzo di procedimenti più materiali. E forse gli scola-

1 15
* * *
Dio è « naturalmente conosciuto » da tutti, ma Egli
non è sempre riconosciuto. Mille ostacoli al di dentro
e al di fuori impediscono spesso questo riconoscimento.
Non tutti sanno dunque di conoscerlo, e di conseguen­
za non lo conoscono « semplicemente ». Cosl - il para­
gone è di San Tommaso 43 - quando io vedo venire
Pietro, effettivamente è Pietro che io scorgo in questo
essere che viene verso di me, ma io non so ancora che
è lui 44 •
stici, che hanno ricevuto in eredità l'alta nozione d'una scienza
casta, il cui rigore stesso e la rigida intellettualità provenivano
da un rispetto religioso e da un'esigenza di purezza dinanzi all'es­
sere ..., forse dimenticano talvolta a qual punto i termini "scien­
za", "dimostrazione", "prova", si sono caricati di materialità
nell'uso dei moderni, dopo che il pensiero s'è volto prima di tutto
verso il dominio della natura sensibile, e che "verificare" non
evoca più per tale pensiero che metodi di misura e apparecchi
di laboratorio. Rifiutandosi, come debbono, a un vocabolario
degradato, rischiano allora di non spiegare sufficientemente il
loro proprio lessico. Ma, in ogni caso, sanno che dimostrare
l'esistenza di Dio non è sottometterlo alle nostre vedute, né defi­
nirlo, né impadronirsi di lui, né maneggiare altra cosa che delle
idee inferme a proposito di un tale oggetto, né giudicare altro
che la nostra propria e radicale dipendenza. Il procedimento
con il quale la ragione dimostra che Dio esiste, pone la ra­
gione stessa in un'attitudine di adorazione naturale e di ammi­
razione intelligente ». Vedere anche SAN TOMMASO, Contra Gen­
tiles, I. IV, Proemium.
43 SAN TOMMASO, Prima, q. Il, a. 1, ad. 1: « Cognoscere Deum

esse, in aliquo communi sub quadam confusione, est nobis natu­


raliter insertum, in quantum scilicet Deus est hominis beatitu­
do; homo enim naturaliter desiderat beatitudinem; et quod na­
turaliter desideratur ab homine, naturaliter cognoscitur ab eo­
dem. Sed hoc non est simpliciter cognoscere Deum esse, sicut
cognoscere venientem non est cognoscere Petrum, quamvis sit
Petrus veniens ».
44 Avevo scritto nella precedente edizione: ,« Come quando

scorgo venire Pietro, senza sapere ancora che è lui, dice san

1 16
Si potrebbe essere tentati di respingere il paragone
poiché suppone che già io conoscessi Pietro e che sto
per riconoscerlo tale quale lo conoscevo. Invece, nel caso
di Dio, è una conoscenza « propria » che sta per succe­
dere a una conoscenza ancora tutta implicita. Cosl io
non mi preparo a realmente riconoscerlo, ma a conoscer­
lo per la prima volta.
Indubbiamente, nessun paragone è perfetto, ed è
chiaro che quello di San Tommaso non si adatta a ogni
punto di vista. Non se ne dovrebbe tuttavia diminuire
troppo il valore. Quando io giungo alla conoscenza espli­
cita di Dio, senza dubbio non lo riconosco come qual­
cuno che avrei già conosciuto con una medesima specie
di conoscenza e che da allora avrei dimenticato o per­
duto di vista. Dio non lo conoscevo ancora cosciente­
mente, nel senso ordinario della parola. Nondimeno, la
meraviglia è precisamente che, conoscendo Dio per la
prima volta, tuttavia io Lo riconosco 4s. Poiché - per
riprendere l'esempio che San Tommaso dà proprio qui
- venendo a conoscere Dio come colui che deve ren­
dermi felice, io conosco contemporaneamente l'identità
di Dio con questa felicità che io conoscevo desiderandola
ma che riponevo da principio in oggetti ingannevoli, o
Tommaso ». Mi si è fatto osservare: « Così io non conosco Pietro
in colui che viene, benché chi viene sia Pietro. Questo è tutto
quanto dice San Tommaso ». Io non vedo un abisso tra queste
due traduzioni, ma tengo pure conto delle parole che precedono:
« simpliciter cognoscere ». Ad ogni modo, non intendo attribuire
alla mia versione nessun altro senso che quello assai semplice e
istruttivo contenuto nella formula latina di S. Tommaso.
45 t:. di un paradosso analogo che si meravigliava SANT'A�
STINO, quando gridava, rivolgendosi alla ragione: « Qui nondum
Deum nosti, unde nosti nihil te nosse Deo simile? » Soliloqui,
C. II, n. 7 (P. L., XXXII, 873).

1 17
piuttosto l'identità della mia felicità con Lui. C'è qui
davvero un riconoscimento. Ed è così ogni volta.
Io non scopro mai l'esistenza di Dio come scoprirei,
ad esempio, l'esistenza di qualche città lontana, a cui
non mi unisse qualche legame essenziale e che non avrei
che da registrare come un fatto esteriore. Diciamo anco­
ra, con Jules Lebreton, che « parlare di Dio a un uomo
non è come parlare di colori a un cieco » 46 • Senza dub­
bio molti uomini si comportano riguardo a Dio come
un cieco di fronte ai colori; ma i problemi di filosofia
riflessiva non vanno confusi con i problemi di psicolo­
gia empirica o di sociologia; e se un giorno uno di que­
sti ciechi ricupererà la vista, nel momento in cui cono­
scerà Dio, si potrà dire che Egli lo riconoscerà. Poiché,
- ed è qui lo straordinario, il fatto unico, ammirabile
- « l'abitudine di Dio » essendo inerente « alla natura
stessa dello spirito » è posseduta da lui « prima di ogni
atto ». È ciò che San Tommaso insinua con il suo para­
gone; e quando precisa che con la nostra prima cono­
scenza, tutta « naturale » e implicita, Dio non è ancora
conosciuto « simpliciter », afferma con ciò stesso che
in una certa maniera Egli è nondimeno già conosciu­
to: il che permetterà, giunto il momento, di « ricono­
scerLo » 4 7 •
* * *
Credere a un'eternità nell'istante - come obbliga
qualsiasi elevata esperienza spirituale - senza ammet-
4 8 La connaissance de foi in Etudes, t. CXVII, 1908, p. 735.
4 7 Cfr. H. PAISSAC, sopra citato, c. II, nota 32. 1:. chiaro, d'al­
tronde, che il solo testo di San Tommaso, qui richiamato, non

1 18
tere ch'essa sia una partecipazione all'Eternità eterna,
è immergersi nella contraddizione. È accettare di vivere
di una illusione, senza confessarselo pienamente.

* * *

Si può fare all'argomento di Sant'Anselmo l'obie­


zione classica dei cento tàlleri: l'esistenza non è un pre­
dicato, non è una perfezione dell'essenza ... Si può così
obiettare che l'essere a cui esso giunge non è altro, alla
fin fine, che il pensiero stesso che lo pone: esso non
sarebbe valevole che per la « virtualità d'idealismo » 48
che conterrebbe. In realtà « quest'infinito che non può
essere pensato che come oggettivo, in qual modo esiste,
se non essendo questo potere stesso di superamento
dello spirito? Che cos'è questa grandezza insuperabile,
se non la grandezza stessa del pensiero, che si conosce
capace di superare tutti i limiti? E, per ciò stesso, la
cosa affermata che non ha alcun bisogno che il pensiero
esca da se stesso per affermarla, sembra non esser più
che il pensiero che si afferma affermandosi superiore a
tutto. Ecco dunque l'essere assorbito nel pensiero ».
Venendo alla conclusione dell'esistenza di un Dio distin­
to dal pensiero, si realizzerebbe dunque un caso parti-

basterebbe ad autorizzare tutta la dottrina relativa alla cono­


scenza implicita di Dio.
48 Cfr. D. PARODI, Le rationalisme et l'idée de Dieu in Revue
de méthaphisique et de morale, 1930, pp. 41-42: e La trascendenza
dell'Assoluto, sotto la forma che sola ci sembra possa esser an­
cora ammessa dalla metafisica critica del nostro tempo, non
può esser che lo zampillare creatore del pensiero, che in qualche
modo realizza la coscienza della sua propria unità e della sua
continuità, della sua fecondità e del suo progresso infinito ».

1 19
colarmente tipico della « alienazione » che gli eredi di
Hegel si sforzano di denunciare in mille modi.
Forse nulla meglio di questa obiezione permette di
cogliere il valore profondo e il significato ultimo dell'ar­
gomento. È solo necessario un prolungamento della dia­
lettica anselmiana, che gli fa raggiungere l'argomento
classico della contingenza.
« Da un punto di vista strettamente ed esclusiva­
mente intellettuale, l'argomento non tocca e non affer­
ma altra cosa che il pensiero che afferma se stesso, che
solo può provarsi come quello che non può essere sor­
passato, per il potere ch'esso ha di cancellare tutte le
immagini, di spezzare tutte le rappresentazioni, di sor­
montare tutti i limiti. E allora la rIBessione, che prende
coscienza di questa grandezza senza confini, si accom­
pagna inevitabilmente a un'ambivalenza ironica: è que­
sto altra cosa distinta da me? È possibile prescindere
da questo punto di vista strettamente noetico? Noi lo
crediamo, poiché l'esperienza intellettuale, che sola deve
intervenire qui, è l'esperienza non solo del trionfo della
riflessione per cui il pensiero si afferma superiore a
ogni cosa, ma pure del lavoro della riflessione, di que­
sto atto di respingere e di negare il limite che sempre
chiede di rinnovarsi. Essa non è solo l'esperienza di una
grandezza; è anche quella di un'esiguità ... : esiguità e
grandezza sono date insieme nel loro rapporto che, pre­
cisamente, è l'atto di riflettere e di oltrepassare. Poiché
il limite è oltrepassato, poiché l'insuperabile è afferma­
to, non si può dimenticare che questo superamento re­
clama il limite, diciamo pure che è coscienza del limite.
Per questo, io so, al tempo stesso, che io non sono che

120
a causa di ciò che non può non essere oltrepassato, e
che non sono ciò che non può non essere oltrepassato: io
patisco di questa grandezza che mi condiziona e mi fa
riconoscere la mia ristrettezza. Quello stesso che si tro­
va affermato come esistente contemporaneamente nello
spirito individuale e nella realtà, è il pensiero assoluto,
ma questo pensiero assoluto che lo spirito limitato non
può appropriarsi né assorbire tutto in sé, al quale deve
per ciò stesso opporsi, diviene, in questa opposizione,
la realtà del pensiero, cioè l'Essere stesso » 49 •
Nella sua stretta intellettualità, non è dunque il ger­
me dell'idealismo e dell'immanentismo che contiene l'ar­
gomento anselmiano: è una meditazione sulla forza e
sul limite, sulla miseria e sulla grandezza congiunte del
no�tro pensiero. Esso non prepara né giustifica indebi­
tamente l'alienazione dell'uomo: gli mostra, nel rico­
noscimento del suo limite, il solo segreto per oltre­
passarlo.
* * *
Incomparabilmente più forte in se stessa di qualsiasi
altra prova, perché più consustanziale allo spirito che la
enuncia, la prova di Dio è pure - l'esperienza lo dimo­
stra - sempre, di fatto, più eludibile, ed è la stessa
ragione che le dà questi due caratteri apparentemente
opposti. Poiché Dio non è un oggetto tra tanti altri,

49 J. PALIARD, Prière et dialectique, méditation sur le « Pro­


slogion » de Saint Anselme in Dieu vivant, 6, pp. 56 e 59-oO. Dello
stesso: Sur un aspect de la structure conscientielle in Actes du
3.e congrès des sociétés de philosophie de langue française (Bru­
xelles, 1947). Cfr. J. TROUill.ARD, La purification plotinienne (1955),
pp. SS-90.

121
Egli non può essere, se è, che l'oggetto totale e la Veri­
tà totale, che investono tutto lo spirito. Ora, respingen­
do una verità particolare, si accoglie solamente una
assurdità, mentre respingendo la Verità totale s'intro­
duce nel contempo in se stessi l'assurdità. Ma, finché
l'intelligenza aderisce ancora a qualche regione solida
dell'essere, la più piccola assurdità le fa naturalmente
orrore, poiché la minima assurdità basta a distruggere,
appena scorta, la coerenza interna del suo universo men­
tale; mentre, non funzionando più la legge di contrasto,
essa prova grande fatica a « realizzare » l'assurdità tota­
le, che le si presenta come una specie di coerenza inver­
sa, coestensiva a tutto il suo sapere.
L'assurdità totale contamina a fondo questo sapere,
ma senza scompigliare i legami interni. Cosl l'intelli­
genza può sempre, sottilizzando, illudere se stessa.

* * *
Le prove dell'esistenza di Dio sono incessantemente
sottomesse a due specie di critiche, di cui alcuni parti­
colari possono qualche volta coincidere, senza che per
questo, non siano, nella loro sorgente, meno opposti co­
me lo sono nel loro risultato.
Le prime di queste critiche s'ispirano a un concet­
to severo ma stretto dell'intelligenza; o, se si richiamano
alle prove formulate nel passato, considerano super­
ficialmente il loro « intreccio concettuale » e le apparen­
ze delle loro « forme logiche » senza preoccupazione di
ritrovarne l'anima permanente.
Tale storicismo letterale, nella sua stessa esattezza,

122
lascia sfuggire l'essenziale delle dottrine che pretende
giudicare, attribuendo così a una indigenza di pensiero
nell'altro ciò che non è che l'indigenza del suo proprio
metodo... Critiche siffatte sfociano sempre, nello stesso
tempo, a una messa in dubbio, almeno sul piano razio­
nale, dell'esistenza di Dio, e a una mutilazione dello
spirito.
Al contrario, le critiche della seconda specie traggo­
no origine dalle esigenze della credenza in Dio. Esse non
vogliono prove che non conducano al Dio vero. Non
vogliono saperne d'una Causa, di un Fine o di un Legi­
slatore, la cui trascendenza non sia assicurata. Le guida
un istinto superiore, quello stesso che aveva iniziato le
prove. In verità, ben più che una critica, esse sono un
approfondimento delle prove, giacché collaborano con
queste a rettificarsi e a completarsi, scoprendone così
la vera natura e individuandone il principio motore.
Grazie ad esse, lo spirito prende coscienza di ciò che le
prove diverse hanno di unico e di totale, di ciò che ren­
de la loro forza superiore alla forza di qualsiasi altra
prova. È una messa a punto unificatrice, donde deriva,
attraverso espressioni caratterizzate da una mentalità
particolare o da uno stato determinato dalle scienze, il
valore sovraeminente ed eterno dell'operazione dello
spirito che, senza vederLo, ma infallibilmente, pone Dio.
Tale operazione non è una costrizione, alla quale. al
contrario, lo spirito non saprebbe opporsi se non facen­
do violenza a se stesso, e, per quanto dipende da esso,
auto-distruggendosi 50 •
50 :E:. in questo senso che saremmo portati ad ampliare
l'osservazione fatta dal CHENU, op. cit., p. 153: « Tra i diversi tipi

123
Un professionista si chiede : « Si può volgarizzare
la prova dell'esistenza di Dio? ».
Sembrerebbe che, a suo modo di vedere, solo un
piccolo numero di specialisti, i tecnici della « scienza
metafisica », siano in diritto di affermare l'esistenza di
Dio con piena conoscenza di causa, e che quindi soltanto
essi ne avrebbero una vera certezza. Tutti gli altri sa­
rebbero, a questo riguardo, nell'illusione. Intellettual­
mente, la loro affermazione non sarebbe valevole. Tut­
t'al più godrebbero di « preparazioni » più o meno lon­
tane all'esercizio della prova, preparazioni che si pos-

di dimostrazione, bisogna assegnare un posto del tutto a parte


alla struttura interna di certi tentativi metafisici, come la prova
dell'esistenza di un essere perfetto per mezzo dei gradi ineguali
dell'essere. Tale dialettica, che è al vertice d'una metafisica della
partecipazione, può indubbiamente esprimersi sotto forma di
sillogismo ; in realtà il ritmo dello spirito è più semplice e più
concentrato ; noi arriviamo qui al punto in cui l'intelligenza
funziona formalmente come natura propriamente trascendente,
non più soltanto come sola ragione ». La profondità stessa e la
perfezione di un tal movimento dello spirito fanno sì che il sud­
detto movimento non sia mai compiuto una volta per tutte:
esso è sempre in fieri, come lo spirito stesso tende ognora alla
vita. :e ciò che spiega, ci sembra, L. - B. GEIGER in un passo
citato dal CHENu, e che noi prenderemmo volentieri anche in un
senso più ampio: « Questo ritmo è d'altronde singolare per un
altro aspetto, in quanto è una partenza che non giunge mai pie­
namente alla meta ; va sempre ricominciato, e non è mai vera­
mente tanto ciò che deve essere, se non in quanto crea in noi
la convinzione e della sua necessità e della sua inevitabile imper­
fezione. Esso è un mettersi in cammino che giammai raggiungerà
quaggiù il riposo del pieno possesso » (La participation dans la
philosophie de Saint Thomas, 1942, p. 355). Ma, aggiungiamo noi,
in questo genere d'imperfezione sta precisamente la perfezione
della prova, la sua sola validità, se è vero che essa vuole essere
prova di Dio. Non consiste forse in questo ciò che può suggerire,
in generale, il termine « via », scelto da San Tommaso nella
Somma Teologica?

124
sono accogliere come « assai utili, a condizione di pren­
derle per ciò che valgono ».
Come mai quelli che parlano cosl non vedono, se
credono realmente in Dio, di accordarsi un privilegio
esorbitante ? Come mai non vedono almeno che il punto
di vista sotto il quale essi hanno ragione è ancora super­
ficiale?
Vi è, risponde loro Jacques Maritain, una conoscen­
za di Dio « doppiamente naturale », frutto di una ap­
percezione dell'essere, « decisamente più profonda di
ogni processo logico scientificamente sviluppato », per­
ché ha la sua radice in una « intuitività primordiale e
semplice » 5 1 • Simile conoscenza non rende inutili le
prove scientifiche, ma è essa che le rende possibili, è la
sua testimonianza che le sostiene ed è ad essa in fin
dei conti che bisogna sempre tornare 52 •

* * *

Si ha spesso buon giuoco a prendersela con alcuni


dettagli delle nostre prove « sapienti ». I materiali che
esse utilizzano possono effettivamente non essere sempre

51 Alla ricerca di Dio, vers. ital., 3a ediz. (Ediz. Paoline, Ro­


ma, 1963, pp. 7-18).
52 Cfr. pure L. B. GEIGER, Bulletin de philosophie in Revue
des sciences philosophiques et théologiques (1954), p. 268: « I
saggi recenti di teologia naturale segnano, in fondo, l'abban­
dono del razionalismo di tipo wolfìano, in cui i concetti metafi­
sici debbono essere separati per quanto possibile da ogni dato
empirico, e perciò stesso da tutta la vita mentale pre-filosofica.
Importa, ci sembra, al contrario, accentuare la riflessione sull'in­
sieme dei tentativi spontanei con cui l'uomo si eleva a Dio. Le
vie propriamente filosofiche non debbono temere questo richia­
mo delle loro umili origini ».

125
tutti solidi allo stesso modo 53 ; le categorie che sono
alla loro base possono anche non essere state sufficien­
temente provate; l'apparato dialettico di cui sono rive­
stite può avere forme inusitate, che lasciano sfuggire
come attraverso una rete troppo lenta, l'obiezione sot­
tile. « Talora (la riflessione critica) si trova in presenza
d'un pensiero ricco e profondo, ma allo stato implicito
e inespresso; talora, al contrario, incontra formule espli­
cite, che si dànno per prove autentiche dell'esistenza di
Dio, ma allora queste formule sembrano quasi sempre
vulnerabili da qualche lato » 5 4• Insomma, non è pro­
messo al credente che ragiona che sarà sempre un logico
rigoroso, un analista abile, uno scienziato scaltrito, né
un profondo filosofo. Anche se buon ragionatore, la sua
tecnica può essere debole. Non c'è vergogna a confes­
sarlo.
Ma il rilievo deve andare oltre. In realtà, ogni

H Cfr. per un esempio tratto da San Tommaso F. VAN


STEENBERGHEN nella Histoire générale de l'Eglise di MARTIN ET
PLICHE, a. XIII (1951), p. 254, nota 7 (vers. ital., Edizioni Paoline,
S.A.I.E. Torino): Nel Contra Gentiles « la prova di Dio ex parte
motus riceve uno sviluppo che può sembrare sproporzionato in
rapporto alle altre vie. Cosa più grave, l'esposizione è ancora
assai legata alla fisica di Aristotele. Questi difetti spariranno
nella Somma Teologica ». Cfr. M. CHOSSAT S. J., Dieu in Diction­
naire de théologie catholique, t. lV, coll. 932-935: « L'argomento
del primo motore, nel senso inteso da San Tommaso, da molto
tempo non s'insegna più neanche nella Scuola tomista... Se si
prende l'argomento nel senso in cui storicamente San Tommaso
l'ha preso a prestito dagli Arabi, esso non conclude, e la critica
di Scoto è decisiva... I neotomisti, per mezzo di considerazioni
metafisiche..., abbandonano in realtà, come tutto il resto della
Scuola, l'argomento fisico del primo motore ... Esso è solamente
sopravvissuto nella scolastica protestante, in alcuni filosofi e apo­
logisti di buona volontà » (Riflessioni un po' « storicistiche »! ).
54 F. VAN STEENBERGHEN in Revue philosophique de Louvain,
t. XLV ( 1947), p. 166.

126
pensiero sapiente è un pensiero tecnico, e, come tale,
nel senso etimologico del vocabolo, è artificiale. Ora,
all'artificio, anche legittimo, un altro artificio, persino
sofistico, può sempre opporre una istanza almeno prov­
visoria. Per trionfare di questa istanza, occorreranno
nuove precisazioni, giustificazioni tecniche che forse non
avranno esse stesse il loro valore che grazie all'apporto
di nuovi punti di vista. Non mancheranno quindi nuove
contestazioni. Dopo essersi fatti intendere « dagli igno­
ranti», bisognerà ancora, come dice Fénelon, « repri­
mere la critica temeraria degli uomini che abusano del
loro spirito contro la verità» 5 \ ma saper anche rendere
giustizia a quelle nuove esigenze che possono apportare
un positivo contributo. Dopo le difficoltà di Locke o di
Hume, per esempio, ecco spuntare, generate da esse ma
ben differenti, le difficoltà di Kant; poi quelle di Hegel,
e quindi tante altre, sempre impreviste, almeno in parte.
Ma la risposta, per essere adeguata, suppone sempre
riflessioni inedite. E questo ritmo non si arresta. La
ragione non è mai priva di risorse. La catena dialettica
forgia sempre nuovi anelli. Lo spirito, nel suo cammino,
non è al riparo dai passi falsi, si smarrisce in molte vie
senza uscita, ma scava pure dentro di sé, scopre in sé
nuove risorse, la sua vita non si ferma. È un'illusione
credere che lo spirito possa giungere ad essere piena­
mente soddisfatto di sé 56 • Bisogna rassegnarsi: è la

55 Lettres sur divers sujects de méthaphysique et de religion,


lettera ua.
56 Come si è potuto seriamente credere che era forse « riser­
vato al nostro secolo di giungere finalmente a formule comple­
tamente soddisfacenti » nell'espressione della prova di Dio?
« Questo fatto, si è scritto, non ha nulla di sorprendente se si

127
condizione per non corrompersi. Non ci si può riposare
semplicemente sugli sforzi e sulle conquiste degli Anti­
chi, fossero anche i più felici e sia pure col massimo im­
pegno da parte nostra per assimilarli nel modo migliore.
Non che si debbano disprezzare né aver sempre la per­
suasione che li abbiamo superati. Tutt'altro ! Però la
semplice ripetizione non è il mezzo per raggiungerli. La
prova, in ogni caso, resta in fondo la stessa: non la si
oltrepassa. Soltanto la certezza prima va indefinitamente
riconquistata, e per ristabilire le verità più semplici, in
certi casi, occorrono non solo molti combattimenti, ma
anche molte « invenzioni ».
Ma, nell'attesa, colui che veramente crede in Dio
non si lascia turbare. Nessuna istanza sapiente - di
qualunque ordine essa sia: razionale, « dialettico », psi­
cologico, ecc. - è capace di scuotere la sua fede. L'ar­
tificio architettato dalla prova sapiente e ponderata non
era per lui che la messa in opera e il controllo razionale
d'una prova più semplice, più fondamentale e sempre
sussistente; prova affatto naturale e spontanea; prova,
forse, in molti casi non formulata, ma non per questo
meno incisa « nelle pieghe più profonde della natura
ragionevole »; prova che non cessa, nel momento stesso
in cui le obiezioni sembrano insolubili, di generare una

ammette che il sapere metafisico è giunto, per la prima volta


al tempo nostro, al termine del processo della sua genesi sto­
rica ». Ma ecco precisamente ciò che non è facile ammettere, no­
nostante Hegel! Péguy, con il suo buon senso, rispondeva: « Non
si supera Platone ». A maggior ragione non si supera S. Tom­
maso. E, d'altronde, per non perdere l'essenziale, sempre minac­
ciato da vie nuove, nuovi sforzi s'impongono: l'illusione segna­
lata qui ci sembra accumulare l'illusione dello storico e quella
del definitivo.

128
convinzione perfettamente ragionevole, « più forte e più
incrollabile di qualsiasi convinzione artificialmente otte­
nuta » 57 ; prova che è l'energia sempre intatta di ogni
prova sapiente.
Checché alcuni ne pensino, in tale questione su Dio
non è mai la prova che manca. Si tratta di gusto! 58 • Ha
perduto, almeno in apparenza, il gusto di Dio: ecco la
diagnosi più triste e allarmante sulla nostra epoca. L'uo­
mo a Dio preferisce se stesso, sviando il moto che lo
conduce a Lui o, non potendolo, accanendosi a inter­
pretarlo falsamente. S'immagina così di aver liquidato
le prove; si affida alle critiche e non sa spingersi più
oltre. Si allontana da ciò che rischierebbe di convin­
cerlo. Se tornasse il gusto, siamo sicuri che le prove di
Dio ricomparirebbero presto agli occhi di tutti più chia­
re della luce del giorno, com'esse sono effettivamente
se ben si guarda alla loro anima.

* * *

« Ogni terra possiede acque, ma il Filisteo, i cui


gusti sono terrestri, non sapeva trovare acqua in tutta

57 SCHBl!BEN, Dogmatique (vers. frane., BEl.ET, t. Il, p. 21 ).


Cfr. più sopra, note 3, 8 e 9. Cfr. J. MARITAIN, Alla ricerca di Dio
(vers. ital., Ja ediz. Edizioni Paoline, Roma, 1963, p. 12): La « cono­
scenza di Dio, prima di essere sviluppata in dimostrazioni logi­
che e perfettamente concettualizzate, è dapprima e innanzi tutto
un frutto naturale dell'intuizione dell'esistenza ».
5 8 Cfr. H. GEURTSEN, Les preuves de l'existence de Dieu in
Dixième congrès international de philosophie, (Amsterdam, 1948),
voi. I, p. 838: « Il valore dell'argomento non dipende dalla nostra
accettazione volontaria, ma pensiamo che questa inclinazione
ad ammetterlo è condizione essenziale per percepire la forza
intellettuale ».

129
9. - Sulle vie di Dio
la terra. Egli non sa trovare in qualsiasi anima la ragione
e l'immagine di Dio » 59 •

5 9 ORIGENE, Sulla Genesi, omelia XIII, n. 3 (vers. frane. di


L. Doutreleau, « Sources chrétiennes », voi. VII, p. 220).
Alla fine dei due capitoli consacrati all'affermazione e alla
prova di Dio, in cui noi ci siamo appoggiati, in parecchi punti
importanti, sulla dottrina di Joseph Maréchal e dei suoi disce­
poli, crediamo utile citare due passi dell'opera essenziale del
Maréchal stesso, Le point de départ de la recherche metaphysi­
que, quad. V. Riassumendo e fondendo ciò che precede, questi
due passi contribuiranno a chiarire una parte di ciò che ci resta
da dire, nel capitolo seguente, della conoscenza di Dio.
l'RoSPE'ITIVA APERTA SULLA FINALITÀ INTERNA
DEll.'INTELLIGENZA COME FONDAMENTO
DEll.A NOSTRA CONOSCENZA ANALOGICA.

« L'obiezione rinasce a mano a mano che noi l'abbattiamo:


nella dottrina tomista, tutti i nostri concetti sono primitiva­
mente concetti di quiddità materiali ; la contingenza dell'essere
creato, in quanto rivelatrice della trascendenza divina, non ci è
data nella rappresentazione che questi concetti avvolgono, né
nella loro forma astrattiva e universale: la prima non è che
una relazione diversificata al fantasma, la seconda un processo di
generalizzazione oggettivata, che non oltrepassa il piano d'essere
della rappresentazione. Nessuna traccia, sembra, nel concetto ob­
biettivo, d'una "relazione trascendentale", come sarebbe la con­
tingenza metafisica dell'essere finito.
« Bisogna concedere l'obiezione, se il concetto non è che
rappresentazione e pura astrazione generalizzatrice. In qual mo­
do, in realtà, Dio, termine assoluto e trascendente del rapporto
di contingenza, si rivelerebbe, fosse pure sotto il mezzo indiretto
dell'analogia, in rappresentazioni finite o nella loro semplice ge­
neralizzazione? San Tommaso non ci dice che il punto culmi­
nante della nostra conoscenza di Dio è "sapere che egli eccede
tutto ciò che noi potremmo concepire di lui N? Dio, trascendente,
non saprebbe dunque essere rappresentato dai nostri concetti,
né presentito come il limite verso cui tenderebbe la generalizza­
zione di questi concetti. Noi avremmo solamente, sembra, la co­
scienza della contingenza radicale degli oggetti creati, evadendo
dalla loro finitezza, mediante la coscienza d'una sovr'eminenza
assoluta del loro principio su ogni oggetto possibile del
nostro pensiero. Ma una simile coscienza, che non 'sarebbe un'in­
tuizione intellettuale, né l'analisi d'una intuizione sensibile e

130
neppure la considerazione astratta d'una forma materiale, su
che cosa potrebbe fondarsi?
« Eccoci condotti a postulare, nella nostra conoscenza og­
gettiva, un'altra cosa dall'accoglienza statica e dall'analisi astrat­
tiva di "dati"; a postulare un movimento del pensiero che ci
trascinerebbe costantemente "al di là" di ciò che è ancora rap­
presentabile con concetti; a postulare una specie di anticipa­
zione metempirica, che ci mostrerebbe la capacità obbiettiva
della nostra intelligenza che si dilata infinitamente fino a sor­
montare ogni limite dell'essere. Fuori di lì, non c'è conoscenza
analogica del trascendente. Per spiegare e salvaguardare questa,
noi siamo dunque portati a porci sul cammino della finalità
dinamica del nostro spirito; poiché, sola, una "finalità interna"
dell'intelligenza può fargli oltrepassare costantemente l'oggetto
presente e perseguire indefinitamente un oggetto più ampio » (pp.
184-185) .
« Il lettore non avrà mancato di notare una certa rassomi­
glianza tra quest'interpretazione, che noi crediamo tradizionale,
del principio trascendente di causalità col processo metodolo­
gico di Jacobi e del Padre Gratry. Secondo questi ultimi, ogni
appercezione di un oggetto finito mette in atto l'affermazione
dell'Infinito, latente, allo stato virtuale nel profondo della nostra
natura intellettuale. Quest'affermazione non sarebbe necessa­
riamente avvertita, ma esisterebbe nella tessitura stessa del
nostro pensiero oggettivo, dove un'analisi attenta potrebbe pale­
sarla.
« Nei suoi elementi essenziali, la dottrina di Jacobi, o alme­
no quella del Padre Gratry, è vera o falsa? Noi diremmo piutter
sto che è incompleta e ambigua.
« Qualche cosa, in fondo alle nostre appercezioni partico­
lari, deve determinare e necessitare l'affermazione dell'Assoluto
trascendente, altrimenti non dimostreremmo mai analiticamente,
partendo da oggetti finiti, l'esistenza dell'Infinito. Ma ecco, sem­
bra, il punto preciso in cui una distinzione s'impone: l'afferma­
zione dell'Infinito è o no, come affermazione implicita, una còn­
dizione costitutiva delle nostre appercezioni particolari di og­
getti?
« Se no, se essa non è - in rapporto all'oggetto primario
del nostro intendimento, cioè l'oggetto finito - che una con­
dizione concomitante o susseguente, essa comanderà solo, in
occasione di ciascuna delle nostre appercezioni e in virtù di
una necessità soggettiva, un atto di "fede razionale" dell'Assoluto
trascendente ; il passaggio all'infinito sarà una vera "sintesi a
priori", naturale, legittima persino, non giustificata da una ne­
cessità strettamente speculativa, scientifica ; a questo passaggio,
in realtà, l'intelletto potrà sottrarsi senza contraddizione logica.
« Se sì, se cioè l'affermazione dell'Infinito è una condizione

131
logica preliminare e realmente costitutiva di ogni appercezione
di oggetti finiti, allora indubbiamente non potremmo rifiutarla o
ritrattarla senza flagrante contraddizione. Ma bisognerebbe ag­
giungere, sotto pena di scivolare nell'intuizionismo ontologista,
che tale affermazione trascendente, condizione dinamica costi­
tutiva dell'oggetto pensato, non ha nulla in comune con una
"visione degli oggetti in Dio", né con una "idea innata", fosse
pure questa solo "virtuale" in senso cartesiano. Puramente
implicita ed "esercitata" nell'appercezione degli oggetti finiti,
essa non può esplicarsi che dialetticamente, mediante riflessione
e analisi.
« Non cerchiamo di indovinare ciò che hanno voluto dire
- e forse non correttamente espresso - Jacobi e Gratry.
Dell'alternativa che abbiamo posta sopra, non dobbiamo rite­
nere che la costatazione seguente: optare per il primo di questi
due termini, o, per dirla in altre parole, lasciare l'affermazione
implicita dell'Assoluto divino fuori della struttura intelligibile
dell'oggetto finito è volere opporre alle conclusioni agnostiche
Kantiane il semplice fatto d'un impulso istintivo della ragione,
impulso - o ironia! - che Kant è il primo a proclamare ; al
contrario, optare per il secondo termine, è, praticamente, impe­
gnarsi a fornire una confutazione assolutamente radicale dell'a­
gnosticismo Kantiano a partire dalle esigenze metodologiche
della Critica stessa » (pp. 452-453).

132
CAPITOLO IV

LA CONOSCENZA DI DIO

Il creato, attraverso il quale Dio si rivela, non è


solo la sua opera, ma è la sua creatura; non è solo una
cosa che Dio ha tratto dal nulla, nella sua potenza, ma,
proprio per questo, è un essere che non è e non vive se
non della vita e dell'essere che riceve incessantemente
dal suo Autore. O piuttosto - poiché le metafore clas­
siche del prestito e della causa sono al tempo stesso
troppo forti e troppo deboli - l'universo non vive e
non esiste che in Dio. In Eo vivimus et sumus.
Dio, che è il « suo proprio essere », è al tempo
stesso « l'essere di tutti » 1• Incomprensibile, inaccessi­
bile, egli è nel contempo intimo e vicino. « Principio e

l PSEUDO-DIONIGI, La gerarchia celeste, IV, I: Tò yÒ.Q ELV(lL


iravniJv È<Jnv (P. G., III, 177-178 ; vers. ital. di E. Turolla, pp.
50-107 in DIONIGI AREoPAGITA, Opere, Cedam, Padova, 1956). G. Sco­
TO, De divisione naturae, I. I, n. 3, (P. L., CXXII, 443 B ) ; n. 72 (518
A). SAN BERNARDO, De consideratione, I. V, c. VI, n. 13: « Quid
item Deus? - Sine quo, nihil est. Tam nihil esse sine ipso,
quam nec ipse sine se potest. Ipse sibi, ipse omnibus est. Ac per
hoc quodammodo ipse solus est, qui suum ipsius est et omnium
esse » (P. L., CLXXXII, 796 A ; vers. ital. di O. Malfranci, Morcel­
liana, Brescia).

1 33
radice di ogni creatura » è l'Essere presente per eccel­
lenza 2 •
Dappertutto dunque, attraverso il mondo, Dio vie­
ne a noi, ed il suo Essere ci incalza. Noi dovremmo po­
terlo incontrare dappertutto e riconoscerlo ovunque; sia
che consideriamo il « gran mondo » o il « piccolo mon­
do », il cosmo che ci circonda o il nostro proprio spi­
rito, tutto il reale che ci si offre è, per tutto se stesso
e anzitutto per la sua sola esistenza, il simbolo o il segno
di Dio 3 • Non si tratta però di un qualche segno artifi­
ciale, scelto dopo, o di un valore convenzionale, bensì
di un simbolo naturale e necessario per noi, segno onto­
logico, di cui non si può fare a meno né liberarsene. Dio
non è mai venuto direttamente senza un segno; ma at­
traverso il mondo, sebbene oscuramente, Dio si mani­
festa dappertutto. Ogni creatura è, per se stessa, una
teofania. Tutto è pieno di tracce, di impronte, di ve-
2 SAN TOMMASO, Prima, · q. VIII, q. 1: « Oportet quod Deus
sit in omnibus rebus, et intime ». GIOVANNI DI SAN TOMMASO,
Cursus theologicus, In Primam, q. XLIII, dissert. XVII, a 34-11.
SAN BERNARDO, In Cantica, sermo IV, n. 4: « � dappertutto Colui
che amministra tutto, e nessuno al di fuori di Lui ha nulla di
proprio. In Lui stesso, Egli abita una luce inaccessibile, e la sua
pace supera ogni sentimento, ed infinita è la sua saggezza, e
la sua grandezza non ha limiti, e l'uomo non può vederlo
senza morire. Ma tutto ciò non significa che egli sia lontano
da ciascuno di noi, Lui che è l'essere di ogni essere e senza
il quale tutto non è che nulla. Cosa ancora più ammirevole,
nulla è al tempo stesso più presente di Lui e più inafferrabile
(incomprehensibilius). Che cosa vi è, in realtà, di maggiormente
presente a ciascun essere del suo essere? e che cosa vi è tuttavia
per ciascuno di più inafferrabile che l'essere di tutti? Indubbia­
mente, quando io dico che Dio è l'essere di tutti, non intendo
dire che tutti sono ciò che Egli è ; ma tutti sono da Lui, e per
Lui e in Lui » (P. L., CLXXXIII, 798 A-B).
3 GoFFREOO DI SAN VITTORE, Microcosmus ; c. XL (edizione Fi­

lippo Delhaye, 1951, p. 61), ecc.

1 34
stigia, di enigmi. Da ogni parte escono i raggi della Di­
vinità 4. Tutto stilla dell'unica Presenza. « Per un occhio
puro e uno sguardo attento tutte le cose diventano tra­
sparenti » 5 • Se in noi la scienza fa torto alla contem­
plazione quanto l'ignoranza; se lo sguardo del nostro
spirito si arresta alla scorza del mondo, se non vi scorge
nulla di sacro o se al contrario vede il mondo « pieno
di dèi », l'errore è dovuto a qualche malattia del nostro
sguardo. Infatti - e non è che fin troppo vero - il
mondo ci nasconde Dio molto più di quanto non ce lo
riveli. Tutte le cose sono per noi divenute opache. È al­
trettanto vero però che il Creatore « ha disseminato
sulle creature i riflessi delle sue divine perfezioni, e
che, grazie a queste luci visibili, noi possiamo conoscere,
per via analogica, gli splendori inaccessibili del Crea­
tore » 6 • Invisibilia Dei per ea quae facta sunt intellecta
conspiciuntur 1 •
4 Pro IX, Lettera a Mons. de la Bouillerie (Castel Gandolfo,

30 luglio 1864): « All'accecamento degli uomini che negano Dio,


non v'è miglior rimedio che presentare alle anime la luce del
Creatore riflessa nella creazione materiale. Risvegliate e ricon­
dotte dall'opera al pensiero dell'operaio, esse comprenderanno
che il Creatore è più potente della creatura, e sapranno quanto
colui che dòmina le cose create le sorpassi in bellezza... Opera
difficile, che esige una profonda scienza delle Sacre Scritture, e
una perfetta conoscenza dei suoi sensi multipli che vi si riscon­
trano (sia che ce li fornisca lo stesso Spirito Santo sia che
vadano ricercati nelle dotte interpretazioni . dei Santi Padri), e
che, sotto la scorza degli oggetti materiali, ci insegnano a sco­
prire più di un significato spirituale e celeste... Possano i raggi
della divinità, che, secondo l'espressione di San Bernardo, pro­
manano da tutta questa creazione cosi varia e bella nelle sue
diverse forme, colpire gli occhi ciechi... » (In MGR. DE LA Bourr.­
LERIE, Symbolisme de la Nature). Si noterà, nella penna del Papa,
l'unione dei due simbolismi naturale e biblico.
5 P. CLAUDm..
6 TH. DE Ra.NON, op. cit., t. III, p, 458.

135
« O Tu, che appari in ogni struttura e in ogni forma,
senza aderire né confonderti con esse! ».
Ne consegne, anzitutto, che la conoscenza di Dio
per mezzo del mondo esterno, è già in certo modo una
rivelazione essa stessa:

7 Rom., 1, 20. s. AGOSTINO, Confessioni, I. VII, c. XVII, n. 23 ;


c. X, n. 16 ; I. IX, c. X, n. 24. UGO DI SAN VITTORE, Didascalion, VII,
c. 1v: « Uni versus emm. mundus iste sensibilis, quasi quidam liber
est, scriptus digito Dei, hoc est, virtute divina creatus, et sin­
gulae creaturae quasi figurae quaedam sunt, non humano placito
inventae, sed divino arbitrio institutae, ad manifestandam invisi­
bilium Dei Sapientiam» (P. L., CLXXVI, 814 B). BALDOVINO DI CAN­
TERBURY, Liber de sacramento altaris. Le creature sono « quae­
dam mysticae similitudines, in quibus invisibilia Dei conspiciun­
tur » (P. L., CCIV, 744 D). ROBERTO DI Mm.UN, In Rom. 1, 20 (ed. M.
Martin, 1938, p. 24). S. GIOVANNI DEI.LA CROCE, Cantico spirituale
(ed. Postul. Gen. Carm. Scalzi, Roma, 1955, versione di Nazareno
dell'Addolorata, pp. 525-m) ecc.
Testi simili riassumono una lunga tradizione sia di pensiero
che di esegesi. In realtà escluderne questo elemento, che si può
chiamare esemplarista o simbolista, per vedervi solo l'indicazio­
ne di una prova di esistenza, sarebbe ridurre il valore dell'asser­
zione paolina. Cfr. ORIGENE, De principiis, I. I, c. III, n.1 (ed.
Koetschau, p. 49). Non solo nella tradizione antica, ma pure
presso i grandi teologi del XIII secolo e in particolare presso
SAN TOMMASO (cfr. sopra, c. prelim., nota 12), il simbolismo
« conserva intorno alla "scienza" gli espedienti d'intelligibilità
religiosa ove bazzicano curiosamente la teoria aristotelica del
sensibile e la mistagogia di Dionigi. Solo all'epoca cartesiana il
simbolismo sarà estromesso dalle frontiere della teologia ad uso
dei soli "mistici" » (D. CHENU, op. cit., pp. 43-49). Cfr. Al.BERT
Ba;uIN, L'dme romantique et le reve (2a ed.), p. 51: « La filosofia
cartesiana e post-cartesiana aveva trionfato di questa conoscenza
"analogica" e "simbolista", che, espulsa dalla meditazione supe-
1-:iore, era andata a raggiungere la corrente segreta delle super­
stizioni e delle dottrine occulte, dove sembra che il pensiero
umano debba periodicamente ritemprarsi per correggere il ra­
zionalismo puro, a cui lo trascina la sua inclinazione alla faci­
lità ». Ahimè!
Per il senso della parola « simbolismo », cfr. spiegazioni
date sopra, c. I, nota 10.

1 36
...Poiché dalla grandezza e dalla beltà delle creature
Argomentando se ne intuisce il primo Fattore 8 •

Si tratta di una rivelazione oggettiva, cosi come


la ragione naturale è essa stessa, come si è visto, rive­
lazione soggettiva, duplice e unica rivelazione naturale,
dono correlativo del segno e del potere d'interpretare
il segno, del libro e del potere di leggere. Poiché non
è il mio spirito che, per il primo, dal mondo sale a Dio:
è Dio che, in certo modo, per mezzo del mondo discende
fino al mio spirito. Per quanto spontanea, la prova che io
mi procuro non viene che in un secondo tempo. Per
quanto sia attiva, essa non è che una reazione. Mentre
questa prova è fabbricata da me, il segno che la precede
e già la contiene, la permette, la provoca, la fa muovere,
e sempre la sorpassa, mi vien fatto da un Altro. Dav­
vero Dio mi fa segno 9 •

s Sapienza, 13, 5 (vers. ital. del Pontificio Istituto Biblico di


Roma). Testo sempre ripreso e commentato, specie da Leone
XIII nella enciclica Aeterni Patris (Acta Leonis XIII, Roma, 1881,
p. 268). Cfr. SAN TOMMASO, In Rom., c. I, lez. 6. SANT'ILARIO, De
Trinitate, I. I, c. VII (P. L., X, 90). ANGELO Sn.ESIO, Il Pellegrino
cherubico, I. II, 48.
Il Dio nascosto si fa conoscere e si rende familiare
Per mezzo delle creature, che sono impronte di Lui.
Esistono due vers. ital.: quella di A. Hermet, Firenze, 1927, e
un'altra pubblicata a Milano nel 1942. Cfr. anche I. IV e V.
9 Dio manifesta la Sua sapienza per mezzo delle creature
visibili come per mezzo di segni, così come un uomo comunica
a un altro il suo pensiero con i segni del linguaggio. SAN TOM­
MASO, In Epist. ad Romanos, c. I, lez. 6. SAN MASSIMO IL CON­
FESSORE (P. G., XCI, 1328). Cfr. E. BoISMARD, D. P., Le prologue de
Saint Jean (1953), pp. 111, 113-114: « La prima tappa della rivela­
zione divina per mezzo della Parola fu l'opera della creazione ;
la Bibbia, in realtà, c'insegna che il mondo fu creato dalla Parola
di Dio, per cui... la Bibbia può dire anche che la creazione fu

1 37
Le creature gli servono come primo mezzo di espres­
sione per comunicare con me. Creata dal Verbo, ogni
cosa è una parola che mi viene da Lui e mi parla di Lui.
Io debbo farvi attenzione o rispondervi, ma l'iniziativa
non parte da me.
Per lo stesso motivo, una conoscenza di tal genere
di Dio creatore, quantunque sempre mediata, non è
totalmente indiretta. Prendendo a prestito un vocabolo
da Sant'Agostino, si potrebbe chiamare contritio. In
certo modo Dio mi dà un'investitura con i suoi segni,
ed io Lo scorgo nella creazione, attendendo di vedere
la sua creazione in Lui. Conoscenza sempre oscura 10,
data la debolezza del mio intelletto 11 , ma che per questo
fondamentalmente, non è meno concreta, anche quando
si serve delle vie della logica e dell'astrazione, poiché è
conoscenza di una Presenza. Il ragionamento da solo, an­
che supponendo mia tutta l'iniziativa, il ragionamento
una rivelazione... La creazione è dunque opera della Parola di
Dio, e per questo è pure una rivelazione, perché Dio, parlando,
non può che dire se stesso. Il mondo porta in sé il riflesso e la
immagine della Parola da cui fu creato... Creando il mondo,
Dio l'ha dunque caricato d'un messaggio che gli uomini do­
vrebbero essere capaci di leggere... Ma di fatto, come in egual
modo l'affermano l'autore della Sapienza e San Paolo, questa
prima "rivelazione" divina sfocia in un fallimento ». Cfr. H. URs
VoN BALTHASAR, Phénoménologie de la Vérité, pp. 86-87. Si po­
trebbe anche dire, riprendendo un vecchio motto attualmente
fuori uso, che il mondo è una « firma " di Dio.
10 SAN BoNAVENTURA, In Hexameron, col. XIII, n. 14: « Totus
mundus est umbra, via, vestigium, et est liber scriptus forinse­
cus. In qualibet enim creatura est refulgentia divini exemplaris,
sed cum tenebra permixta ; unde est sicut quaedam opacitas
admixta lumini » (Quaracchi, t. V., p. 386).
11 SAN TOMMASO o'AouINo, De Veritate, q. V, a. rr, ad. 2m:
« lmbecillitatem intellectus nostri, qui neque totum hoc de Deo
potest ex creaturis accipere, quod creaturae manifestant de
Deo ».

138
a cui io sarei provocato e che non risulterebbe da uno
stimolo e da un impulso essenziale, non mi darebbe che
una conoscenza del tutto indiretta e astratta. Non mi
fornirebbe che un puro concetto, tenendo il posto di
un essere assente, o piuttosto di una cosa assente. In
realtà, sotto l'astrazione proveniente da me, il Dio vero
si rivela presente.
Certo che, se per ipotesi impossibile, non vi fosse
davvero in me che la pura astrazione del concetto di
Dio, dal momento che ogni rappresentazione di Dio si
palesa assolutamente insufficiente, mi si potrebbe do­
mandare come potrei ancora sfuggire all'agnosticismo 12•
Molti se lo sono effettivamente chiesto senza trovar
risposta. In simile ipotesi, la mia conoscenza sarebbe
vana. Infatti nel concetto stesso vi è sempre qualcosa di
più del concetto 13 , ed è ciò che tanti critici e tante giu-

12 Come si vede, questa frase è al modo condizionale (ir­


reale), non all'indicativo. Essa esprime un'ipotesi che dichiara
al tempo stesso falsa e impossibile. Nella lingua della Scuola
diremo che essa è un Videtur quod non, in cui è già integrata la
risposta. Chiedo scusa di queste precisazioni, di cui la maggio­
ranza dei lettori non ha bisogno.
13 Così si trova giustificato realmente tutto l'ordine con­
cettuale il cui valore, al contrario, sarebbe compromesso se,
non vedendo nel concetto che una specie di atomo, venisse re­
ciso dalla corrente profonda della vita intellettuale. Ciò signifi­
cherebbe rendersi incapaci di fondarlo nell'assoluto. Ciò era
stato visto pure da J. MARÉCHAL, quando parlava della « necessità
trascendentale implicita in ogni concetto » e quando aggiungeva:
« Impossibile giustificare questa analogia trascendentale dell'es­
sere, se si disconosce il fondo dinamico su cui si delinea il con­
tenuto formale, infinitamente diverso, del pensiero umano... Ri­
conoscere in ciascuno dei nostri concetti, come condizione della
sua verità parziale, un'esigenza di verità, che sorpassa infinita­
mente ogni possibile espressione concettuale, significa gettare i
fondamenti d'una teoria generale dell'analogia e d'una metafisfca
della trascendenza " (Nouvelle revue théologique, 1931, pp. 193 e

1 39
stifìcazioni del concetto dimenticano. Ora è questo che
mi permette di capire che la conoscenza di Dio resta
la critica obbligata della rappresentazione. Le negazioni
che si accumulano e sembrano distruggere tutto, sono
sempre al servizio d'un'affermazione più forte e pura.
Se Dio si sottrae, è proprio nella sua presenza. La sua
trascendenza non ha alcun carattere di una relegazione
fuori del mondo : essa è tutto il contrario di un'assen­
za 1 4 • Ogni creatura Lo rivela con l'essere stesso che
prende a prestito da lui, gridando che essa non è lui.
È il mistero che non cessa, nella sua oscurità, di essere
luce; il vuoto a cui esso obbliga è la forma della sua
Pienezza 1 5 •

197). Ugualmente A. BREMOND, op. cit., p. 575, con l'umorismo e


l'espressione pittoresca di cui aveva il dono: « Se non pone
all'inizio o non ritrova sul cammino questo dinamismo dell'esse­
re, l'ontologia è condannata a non essere che un repertorio di
categorie anemiche, meno che un balletto. Come si prendereb­
bero esse la briga di danzare? ».
Da un altro punto di vista vedere pure E. GILSON, Le Tho­
misme, 4& ed., p. 65: Se il concetto universale d'essere « è il
contrario di una vuota nozione », ciò è in ragione « di tutti
i giudizi di esistenza che essa riassume e nota insieme, ma
ancor più del suo permanente riferimento alla realtà infinitamen­
te ricca del puro atto di esistere ». Analoghi rilievi, sebbene meno
precisi, in TF.OOORO DI Ra.NON, op. cit., prima serie ( 1892), p. 21. C'è
proprio bisogno di precisare che in tutti questi testi, come nel
nostro, non si tratta affatto di soprannaturale?
1 4 Cfr. M.-D. CHENU, op. cit., p. 161: « :t,, allora dire quanto
tra loro differiscano, tecnicamente e spiritualmente, il Dio di
Aristotele e il Dio di San Tommaso, poiché differiscono la prova
aristotelica del primo motore, ontologicamente assente da tutto
il resto, e la via tomista verso l'lpsum Esse subsistens, di cui
l'essere delle cose rivela la presenza con la sua deficienza stessa ».
1 5 E. GO.SON, op. cit., p. 11: « Ponendo il Primo motore
immobile come un Pensiero che si pensa, Aristotele aveva garan­
tito la purezza dell'Atto supremo, racchiudendolo nello splendo­
re dell'isolamento divino. Il Dio di Aristotele non è semplice­
mente « separato » come ontologicamente distinto da tutto il

140
Patet quam ampia sit via illuminationis, et quomodo
in omni re quae sentitur sive quae cognoscitur, interius
lateat ipse Deus 18•

***
Il Dio nascosto, il Dio misterioso, non è il Dio lon­
tano, il Dio assente: è sempre il Dio vicino.
***
Non potendo pensare a Dio tale quale Egli è, noi,
dopo aver ben riflettuto, prendiamo la decisione, altret­
tanto saggia che umile, di pensarLo come siamo noi.

resto, ma come ontologicamente assente da tutto il resto. Il


solo modo di presenza alle cose che gli convenga è il desiderio
che esse ne provano e che le muove verso di lui. Ora questo
desiderio di Dio è il loro desiderio ; esso è dell'essere che lo
prova, non dell'essere che ne è il termine. Ben diversamente
stanno le cose nel mondo di San Tommaso d'Aquino. Il rap­
porto delle cose al loro principio vi raggiunge un grado di
profondità che non si potrebbe esprimere né nella lingua di
Aristotele, né in quella di Platone. Nella sua esistenza stessa
l'universo di San Tommaso è un universo sacro, dunque un
universo religioso ». E a p. 144: « Questo mondo, dove è cosa
meravigliosa esser nato e dove la distanza che separa l'essere
più piccolo dal nulla è propriamente infinita, questo mondo
sacro, impregnato fin nelle fibre più intime della presenza di
un Dio, la cui esistenza sovrana lo salva permanentemente dal
nulla, è il mondo di San Tommaso d'Aquino ».
18 SAN BoNAVENTURA, De reductione artium ad theologiam.
SANT'ANSELMO, Monologio, c. XIII: « Necesse est ut sicut, nihil
factum est nisi per creatricem praesentem essentiam, ita nihil
vigeat nisi per ejusdem servatricem praesentiam ,. (P. L., CLVIII,
161 A-B). SANT'AGOSTINO, De Musica, I. VI, c. XIII, n. 40: « Cum
ergo ipsa (anima) per se nihil sit, quidquid autem illi esse est,
a Deo sit ; in ordine suo manens, ipsius Dei Praesentia vegetatur
in mente atque conscientia. Itaque hoc bonum habet intimum »
(P. L., XXXII, 1185).

141
Lo qualifichiamo secondo le nostre relazioni con Lui,
e poiché queste relazioni sono reali, diciamo cose vere,
sebbene, come valore di definizione, insufficienti al pun­
to di esserne nulle 1 7 •
Partito saggio, conoscenza vera, ma è perché un
pensiero più profondo ispira questo partito, e una luce
più segreta rischiara questa conoscenza.
***
Il fautore dell'immanenza nega la trascendenza, men­
tre chi crede alla trascendenza non nega affatto, allo
stesso modo, l'immanenza. Anzi, egli realizza sufficien­
temente l'idea della trascendenza tanto da comprendere
che essa implica necessariamente l'immanenza. Se Dio è
trascendente, nulla gli si oppone, né Lo limita né fa
numero con Lui: « tutto diverso» dal mondo, Egli lo

1 7 A. DE SERTILLANGES, in San Tommaso, Somme théologique,


Dieu, t. Hl, p. 343. Cfr. p. 340: « Dio è inconoscibile nel senso
che le nostre parole e le nostre concezioni non lo definiscono in
alcun modo, non esprimono nulla che sia in lui così come noi
lo esprimiamo, e non sorpassano, come valore di significato,
l'affermazione della sua stessa necessità e della pienezza indici­
bile che gli permette di espletare il còmpito - e di espletarlo in
tutti i domlni, indefinibili da parte nostra - di ultimo Neces­
sario, di Primo, di Sommo. Però Dio così inconoscibile in sé,
non lo è sotto tutti gli aspetti; le concezioni che noi ci fac­
ciamo di Lui non sono arbitrarie, ma gli convengono in ragione
di un certo rapporto, e d'un rapporto da parte nostra definito,
tra il derivato dove si attingono i nostri concetti e la Sorgente
suprema •. Così ogni nome dato a Dio esprime « il postulato
necessario d'un rapporto vero "· Cfr. SAN GIOVANNI DAMASCENO,
De fide ortodoxa, I. I, c. IV: « Tutto ciò che di Dio diciamo in
termini positivi non dichiara la Sua natura, ma ciò che circonda
la sua natura (P. G., XCIV, 800). E SAN GIROLAMO, !n lsaiam VI:
« Non juxta id quod est Deus, sed juxta id quod se creaturis
suis dignanter ostendit » (Analecta Maredsolana, t. III, 2, p. 108).

142
penetra dunque in maniera assoluta. Deus interior in­
timo meo et superior summa meo ...
Il fautore della sola immanenza si mostra dunque
parziale. Il solo fautore della trascendenza è totale, come
la verità stessa.
Il fautore dell'immanenza non vuole vedere nella
idea di trascendenza altro che un'immagine spaziale, che
per questo comanda un pensiero tutto mitico. Egli accor­
da a se stesso l'esclusività del Logos.
Tuttavia, se egli non vuole fìnire nel vuoto assoluto
d'essere e di pensiero, non resta meno del suo antago­
nista prigioniero dell'immaginazione: il di dentro non è
meno spaziale del « di fuori » o del « di sopra ». Non vi
è ragione a priori di riguardarlo, ad esempio, come la
« faccia spaziale concava » d'una sfera... La « profondi­
tà » non è meno immaginativa dell'« altezza ». Cosl l'im­
manentismo, anche sottile, potrebbe non essere esso
stesso che un « pregiudizio spaziale a rovescio » 18 • Tan-
18 L'obiezione è stata formulata da L. BRUNSCHVICG, La que­
relle de l'athéisme, Societé française de philosophie, seduta del
24 marzo 1928 (testo riprodotto in De la vraie et de la fausse con­
version, 1950). Secondo lui, « l'ipotesi d'una trascendenza spiri­
tuale è manifestamente contraddittoria nei termini » (p. 209);
(cfr. Trascendance et Religion, ibid. p. 127: « Da un lato, il
realismo della trascendenza che nasce da una immaginazione
in altezza ; dall'altro, l'idealismo dell'immanenza che procede da
una riflessione in profondità » ). Sulla qual cosa G. MARCEI.
osservava: « Non posso impedirmi di temere che questo culto
dell'interiorità... non sia malgrado tutto un pregiudizio spaziale
a rovescio - (p. 249). Anche E. GILSON aveva a sua volta denun­
ziato la « spiacevole confusione » di L. BRUNSCHVICG, confusione
da tempo scartata da pensatori quali S. Agostino e S. Tommaso
d'Aquino: « L'ipotesi d'una trascendenza spirituale non è con­
traddittoria per la ragione se non nel caso che sia realizzata
dalla ragione stessa; ma la dottrina filosofica e teologica costante
del cristianesimo è precisamente il rifiuto di accettare come
soddisfacente una tale realizzazione » (pp. 218-219).

143
to da una parte che dall'altra s'impone una critica della
immaginazione 1 9•
Locales quidem excedit (Deus) temporalesque angu­
stias, sed libertate naturae, non enormi/ate substan­
stiae! 20 •
Il fautore dell'immanenza nutre l'illusione che, « in­
teriorizzando » la fede di chi crede alla trascendenza, si
fa l'interprete definitivo di un profeta che non sapeva
scorgere dove la sua intuizione dovesse condurlo. In tal
modo pensa di assicurare il passaggio dalla fede alla filo­
sofia, o dalla spontaneità alla riflessione. Crede di giu­
sti.6.care il credente, pur giudicandolo, con uno sdegno
misto d'indulgente comprensione, sdegno di cui la storia
del pensiero ci offre molti esempi. Egli crede di trasfor­
mare una verità relativa in assoluta. Ma lo sforzo, egual­
mente documentato dalla storia del pensiero, sforzo sem­
pre rinnovato e d'altronde sempre soggetto ad inganno,

1 0 Forse questa critica riconoscerà alla fine che l'altezza e


il moto di trascendenza sono meno dei dati primi della sensi­
bilità, in seguito trasposti per un'analogia contestabile a base
d'immaginazione, che dei valori direttamente percipiti nel sensi­
bile stesso, per un simbolismo ontologico e spontaneo. Precisa­
zioni interessanti sull'uso e la storia della parola « trascendente �
in rapporto con « trascendentale » si troveranno nel Trattato di
metafisica di J. WAHL (1953), pp. 642-649. Su trascendenza ed
esteriorità, cfr. SANT'AGOSTINO, De diversis quaestionibus 83, p. 29:
« Nell'universo v'è qualche cosa "in alto" e "in basso"? » (vers.
frane. di Beckaert in Oeuvres di Sant'Agostino, t. X, 1952,
pp. 81-83).
20 SAN BERNARDO, De consideratione, l. V, CXIII, Il. 28 (P. L.,
CLXXXII, 805 B ; cfr. vers. ital. sopra citata). SANT'AGOSTINO, Con­
fessioni, l. 1, c. III: « Quae imples, continendo imples. Non enim
vasa quae te piena sunt, stabilem te faciunt, quia etsi frangantur
non effunderis. Et cum effunderis super nos, non tu jaces, nec
tu dissiparis, sed colligis nos » (ed. De Labriolle, t. I, p. 4).

144
per trovare un nuovo « conglobante », un nuovo « al di
là », una nuova trascendenza nel seno stesso dell'imma­
nenza, rende ancora testimonianza in favore del creden­
te. L'ultima parola spetta alla trascendenza, dalla cui
vittoria l'immanenza viene consolidata: - le due idee
sono « come intessute l'una con l'altra » - ma l'imma­
nenza cambia allora di significato.
Deus, totus intra extraque, supereminens et internus,
circumfusus et in/usus.
Deus, supra quem nihil, extra quem nihil, sine quo
nihil est. Deus, sub quo totum est, in quo totum est,
cum quo totum est 21 •
Unus idemque totus ubique. . . circumdando pene­
trans, penetrando circumdans 22 •

21 SANT'lLARIO, De Trinitate, I. I, c. VI, commentando questi


due versetti di /saia, XL, 12: « Qui tenet caelum palma pugilo »,
et LXVI, 1: « Caelum mihi thronus est, terra autem scabellum
pedum meorum » (P. L., x. 29). SANT'AMBROGIO, De Fide, l. I, c.
XVI, n. 106 (P. L., XVI, 553): « Dio riempie tutto, senza affatto
confondersi col resto, penetra tutto, senza essere penetrato da
nulla, dappertutto è tutto intiero ». SANT'AGOSTINO, Soliloqui,
I. I, c. I, n. 4 (ed. De Labriolle, p. 32). In Psalmum, 130, n. 12:
« Intus Deus altus est et spiritualiter altus ; nec pervenit anima
ut contingat eum, nisi transierit se » (P. L., XXXVII, 1712), De Tri­
nitate, I. V, c. I, n. 2: « Sine situ praesidentem, sine habitu om­
nia continentem, sine loco ubique totum, sine tempore sempi­
ternum » (P. L., XLIII, 837). PSEUDO-AGOSTINO, Liber meditat., c. 111:
« Intra est non inclusus, extra non exclusus » (P. L., XL, 924).
22 SAN GREGORIO MAGNO, Moralia in lob., I. II, c. XII, n. 20:
« Ipse manet intra omnia, ipse extra omnia, ipse supra omnia,
ipse infra omnia. Et superior est per potentiam, et inferior per
sustentionem, exterior per magnitudinem, interior per subtilita­
tem. Sursum regens, deorsum continens, extra circumdans, inte­
rius penetrans. Nec alia ex parte superior, alia inferior; aut alia
ex parte exterior, atque ex alia interior ; sed unus idemque totus
ubique praesidendo sustinens, sustinendo praesidens, circum-

145
10. - Sulle vie di Dio
***
« Sono salito nella parte superiore di me stesso, e
ancora più in alto regna il Verbo. Esploratore curioso,

dando penetrans, penetrando circumdans ». Cfr. I. V, c. LXII ; I.


XVI, c. XXXIII (P. L., LXXV, 713 e 1140).
Questo testo è stato spesso ripreso e adattato nel medio
evo. S. ISIOORO DI SIVIGLIA, Sententiae, I. I, c. II, n. 2 (P. L.,
LXXXIII, 541). Grov. DI FllcAMP (?), Contemplativa oratio ad Deum
Summam Trinitatem: « Es ergo interior et exterior, inferior et
superior; regendo superior, portando inferior, replendo interior,
circumdando exterior; sicque virtus es ut extra sis, sic circum­
das ut penetres, sic praesides ut portes, sic portas ut praesi­
deas » (Ed. F. Leclerq, Studia Anselmiana, voi. XX, p. 99). (lbid.,
Lettera a un abate dell'XI secolo: « Deus immense ... qui opera
tua extra et intra reples, supra regis et infra fers »). SANr'ANSEL­
MO, Monologio, c. XIV: « lpsa est (essentia creans et fovens),
quae cuncta alia portat et superat, claudit et penetrat » (P. L.,
CLVIII, 1, 161 C ). ILDEBERTO DI LAVARDIN, Carmina Miscellanea, 71:
Alpha et Omega, magne Deus...
Super cuncta, subter cuncta;
Extra cuncta, intra cuncta:
Intra cuncta, nec inclusus,
Extra cuncta, nec exclusus,
Super cuncta, nec elatus,
Subter cuncta, nec substratus.
Super totus, praesidendo;
Subter totus, sustinendo;
Extra totus, complectendo;
Intra totus es, implendo.
Intra nunquam coarctaris,
Extra numquam dilataris,
Super nullo sustentaris,
Subter nullo fatigaris...
(Oratio divotissima ad tres Personas sanctissimae Trinitatis ad
Patrem. P. L., CLXXI, 1411). ERMANNO DI S. MARTINO, Tractatus de
lncarnatione Christi, c. I (P. L., CLXXX, 12 D). GUGLIELMO o'AUXERRE,
Summa, 1. I, c. xv (fol. 34 b). SANr'ALBERTO MAGNO, In I Sent., d.
37, a. 21 (Opera, t. XXVI, p. 251). Al.EsSANDRO or HAI.t!s, Summa
theologica, t. I, pp. 68 e 71, ecc. Già Si!NEcA, Naturales quaestio­
nes, q. I, praef. 13, scriveva: « Opus suum et ' intra et extra
tenet ».

146
son sceso nel mio profondo, e tuttavia l'ho trovato anco­
ra più giù. Ho guardato fuori, e L'ho incontrato ben al
di là di tutto ciò che è esterno. Ho guardato dentro: Egli
è più intimo di me stesso. E ho riconosciuto la Verità di
ciò che avevo letto, che cioè noi viviamo in Lui, e che
in Lui abbiamo il movimento e l'essere » 23 •
***
« È proprio dell'arte » ha scritto Léon Bloy « foggia­
re gli dèi ». È proprio anche del pensiero, è proprio di
tutta l'attività umana superiore, che è attività di
« poeta ».
Ma al poeta, che fabbrica gli dèi, s'oppone il profeta,
che riceve rivelazioni da Dio. Allo scultore di idoli, che
dà una figura agli dèi, s'oppone l'iconoclasta, che rifiuta
di lasciar rinchiudere Dio in una forma. All'intellettuale,
che organizza i suoi pensieri in tutto, s'oppone il mistico
che li respinge a mano a mano che essi han preso corpo,
o a cui piuttosto quelli vengono successivamente tolti.
Tale opposizione tra gli uomini non è forse uno degli
aspetti fondamentali, fino ai nostri tempi moderni, della
lotta tra ellenismo e giudaismo? Ma anche opposizione
intima nell'uomo, opposizione insormontabile, intermi­
nabile. Un affrontarsi tragico, ma fecondo. Non è possi­
bile fare una scelta definitiva senza sacrificare qualche
cosa di essenziale. Il poeta è colui « che ha sogni », « che
divulga le visioni del suo cuore », rischiando sempre di
divenire « falso profeta » se le dona come verità ricevute
dall'alto 24 • E tuttavia il profeta ha bisogno di questo
23 SAN BERNARDO, In Cantica, sermo 74 (P. L., CLXXXIII, 1141).
24 Jer., XXIII. 16-28.

147
poeta - e lui stesso è poeta a sua volta - poiché
l'uomo non può ricevere nulla nel suo spirito senza col­
laborarvi col proprio pensiero: l'oggetto della rivela­
zione non deve forse essere concepito? Il mistico non
ha minor bisogno dell'intellettuale, poiché il distacco
dalle forme definite - videntur ut paleae - suppone il
lavoro che ha dato capo a queste forme, e il giudizio che
ne ha riconosciuto il valore. Cosl la guerra tra loro non
può comportare né vincitore né vinto: deve cambiarsi in
armonia. La lotta deve diventare un ritmo, a immagine
del ritmo che fu scandito per la prima volta con l'in­
carnazione, la morte e la resurrezione del Salvatore.

***

« Le cose vogliono dire Dio, e non lo dicono ; nes­


suno può dirlo se non Lui stesso. Anche lo spirito vuol
dire Dio e non vi giunge mai. Ma esso afferma la propria
esistenza, come la presenza di un limite inafferrabile
verso cui fugge incessantemente il mondo desideroso di
esistere; come un ostacolo meraviglioso che non si vede
ancora, ma che un segnale previsto annunzia e disegna in
anticipo. Lo spirito porta solamente nei recessi della sua
struttura come un presentimento del fine, poiché pure
esso è costruito e lanciato nel senso di Dio, e può pren­
derne coscienza. Ma questa coscienza non è quasi nulla,
se le cose del mondo non vengono a far segno » 25 •

25 H. PAISSAC O. P., Le Dieu de Sartre, (1950), pp. 75-76.

148
* * *
Si realizza più fortemente il Tu - e, per il Tu, l'Io
che ne è il correlativo obbligato - a misura che ci si
allontana dal puro Lui. Cosl l'immanenza e l'esteriorità
crescono di pari passo. La riflessione, lungi dal farlo
svanire, fonda l'essere personale. È il principio miscono­
sciuto dall'idealismo, che non ha mai considerato che i
rapporti d'un « soggetto » conoscente e « dell'oggetto »
conosciuto. Ma l'esteriorità cosl fondata non è, come
ben lo si vede, un'esteriorità « oggettiva »: esiste nell'in­
terno di un'« inter-soggettività ». Non è l'esteriorità di
un Lui qualunque - che si degraderebbe subito in un
Ciò - è l'esteriorità del Tu per eccellenza. Non è quella
di un oggetto che vien dominato - e che può essere
annientato nell'immaginazione -: è quella di un Sog­
getto, a cui ci si dona e in cui ci si trova, e che si deve
pensare sussistente. Questo Soggetto è dunque l'Altro
vero, nel senso più forte che possa esserci: l'Altro asso­
luto, l'Essere misterioso, intimo a sé che sfugge ad ogni
presa, l'Essere totalmente personale, « il solo Tu che per
essenza non possa divenire un Ciò » 26 • Egli è Colui
che non possiamo rappresentarci, ma la cui realtà s'im­
pone tanto più necessariamente; Colui con la cui cono­
scenza si prende conoscenza di sé, e per amore del quale
ci si possiede; mentre la rappresentazione, finché si stava
in essa, non dava che un « altro » illusorio, senza inte­
riorità, senza mistero e senza fecondità reale per il sog­
getto. Allora l'idealismo aveva forse ragione di ridurre
questo « altro » assorbendo l'oggetto nel soggetto, o il
26 M. BUBER, le et Tu.

149
mondo nella rappresentazione, senza d'altronde riuscire
con ciò a fondare un Io, un vero Soggetto personale.
Nessun soggetto unico. Nessuna personalità senza
diversità (« alterità » ). Nessuna coscienza ripiegata su se
stessa. Nessun essere reale senza inter-soggettività 2 1 •
Nessuna conoscenza reale né densità ontologica senza
mistero. E nessun uomo senza Dio.
***
Bisogna davvero credere che se « molti cristiani »
amano vedere nel loro Dio il « Tu » per eccellenza, il mo­
tivo sarebbe che « non osano parlare di un Dio come d'un
Lui, come d'un Essere »? Sarebbe vero che, « facendo
di Dio un Tu, interlocutore di questo dialogo che è la
preghiera, essi raggiungono l'idea secondo cui il peraltrui
è una struttura della nostra coscienza, e sembrano non
raggiungere Dio che come una parte dell'umano? » 28•
La critica è assai sottile, ma l'analisi sembra assai imper­
fetta. Perché l'interlocutore a cui si dice « tu » sarebbe
più necessariamente « una parte dell'umano » che l'og­
getto di cui si dice « lui »? Perché il dialogo metterebbe
più fatalmente il suo termine nella nostra dipendenza
che nella rappresentazione? Se in ogni conoscenza v'è
una « intenzionalità » che la filosofia moderna aveva in­
crescevolmente misconosciuta e che la fenomenologia
contemporanea aiuta a ritrovare, può darsi che tale in­
tenzionalità si esprima con più forza nel dialogo, che
mette il soggetto in rapporto diretto con un altro sog-

2 7 G. MARcm., C. F. Le mystère de l'etre, 1 e Ì1 ( 1950 e 1951).


2s F. ALourn, Solitude de la raison in Deucalion 1, p. 188.

1 50
getto. Del resto, sia essa implorazione, adorazione, ade­
sione, la preghiera non è un dialogo qualsiasi, la recipro­
cità ch'essa suppone non suppone una qualunque ugua­
glianza, e il credente che si rivolge a Dio nella preghiera
lo sa bene, anche se non è per nulla atto alla riflessione
filosofica. Di fatto, quelli che, a torto o a ragione, par­
lano di Dio come di un « Tu » piuttosto che come di un
« Lui », non cedono a qualche timidezza causata da ver­
gogna. Anche se peccano di esclusivismo, intendono sal­
var piuttosto l'idea della trascendenza divina rifiutando
di parlare dell'Essere come di « un essere ». Stabilendo
con lui il legame della preghiera, essi affermano insieme
la loro dipendenza a suo riguardo e la sua indipendenza
da loro. Non consentendo a racchiuderlo nell' « ogget­
to », vogliono piuttosto sottrarlo all'umano 29 •

* * *
Se, nella conoscenza del dovere, Dio è già in qualche
modo conosciuto, anche da colui che non sapesse vederlo
e che si credesse ateo, si può dire che, nell'adempimento
di questo dovere, Egli è già, in qualche modo, trovato
e posseduto.
Ciò non si può tuttavia dire che ad una condizione
precisa. Vi sono infatti due modi di riconoscere il dovere
e di conseguenza di adempierlo. Affinché la conoscenza e
il possesso di Dio che comportano la conoscenza e l'a-

2 9 Cfr. S. FRANK, Dieu est avec nous (vers. frane. 1954), p. 71:
« Solo di un assente si può parlare in terza persona... In presenza
di Dio non si può che parlare a Dio e non ragionare su di
Lui ... Il Dio di una fede viva è sempre il mio Dio, "Dio con me"
è un essere che solo il vocativo può esprimere ».

151
dempimento del dovere non restino puramente impli­
cite 30, bisogna che il dovere sia riconosciuto non come
una legge puramente formale, alla maniera kantiana, ma
come l'esigenza del Bene. Solo allora l'astrazione della
« Legge naturale » è superata, e cede il posto al Dio
reale, anche in chi non sa ancora nominarlo.
« Indipendentemente da ogni messa in atto d'una
conoscenza esplicitamente cosciente », l'intelligenza ha
dunque di Dio « una coscienza vitale e non-concettuale,
avvolta nella nozione pratica, afferrata confusamente e
intuitivamente, ma con piena forza intenzionale, del
bene morale come motivo formale del primo atto di li­
bertà, e nel moto della volontà verso questo bene e,
contemporaneamente, verso il Bene ». Impegnandosi con
la sua scelta, l'uomo « pensa a ciò che è bene e a ciò
che è reale; ma nello stesso tempo conosce Dio senza sa­
perlo, perché in virtù del dinamismo interno di questa
scelta del bene per il bene egli vuole ed ama il Bene
separato come fine ultimo della sua esistenza »3 1 •
Ma, nello stesso tempo, è pure superata l'idea d'un
Dio « naturale », che sarebbe solo autore e sanzione
estrinseca della Legge, o semplice esemplare del valore
morale. Infatti questo Bene di cui, per ipotesi, l'agente
morale riconosce praticamente l'esigenza, questo Bene,

ao Si noti che non si tratta qui di ogni conoscenza naturale


di Dio, ma unicamente di questa conoscenza implicita nella
conoscenza del dovere morale, quando questo è afferrato in tutta
la sua urgenza. Che, d'altra parte, vi sia una conoscenza di Dio
nel contempo naturale ed esplicita, lo diciamo in parecchi altri
passi. Sul rapporto tra la conoscenza del dovere e quella di Dio
cfr. Y. DE MoNTCHEUIL S. J., Dieu et la vie morale in Mélanges
théologiques (2a ed., 1951), pp. 141-157.
a 1 J. MARITAIN, Raison et raisons, pp. 137-139.

152
a cui egli aderisce segretamente, non è altro, lo si è visto,
che il « Bene separato sussistente ». È « il Bene ultimo »,
cioè, in realtà, il Dio « in cui, che egli lo sappia o no,
fa consistere il suo ultimo Fine ». È Dio che è questo
Fine ultimo. Dunque è già il Dio della grazia.
In altri termini, il Dio che si rivela implicitamente
in tal modo all'uomo di buon volere che è impedito di
dargli il suo nome, è il Dio che, non contento di coman­
dare, attira, e vuol attirare fino a Lui. È il Dio per il
quale, secondo San Tommaso d'Aquino, si compie la
prima opzione dell'essere libero che si volge dal lato del
bene 32 , in modo che « il primo atto di volontà delibe­
rata, il primo atto di vita morale nel senso stretto della
parola, si tuffa nel mistero della grazia » 33 • È il Dio che,
secondo l'espressione di Pascal, « fa sentire all'anima
che Egli è il suo unico bene e che essa non troverà riposo
che amandolo ».

32 Per questo SAN TOMMASO, parlando del risveglio della co­

scienza morale, giudica che l'opzione fatta allora è accogli­


mento o rifiuto della grazia, che essa giustifica o condanna:
Prima secundae, q. LXXXIX, a. 6; cfr. De Veritate, q. XXIV, a. 12
ad 2m; De Malo, q. v, a. 2, ad 8m; q. VII, a. 10, ad. 8m; In 2 Sent.,
d. 42, q. I, a. 5, ad. 7m.
33 J. MARITAIN, Neuf leçon sur les notions premières de la
phhosophie morale (collezione « Cours et documents », 1951), p.
123; e p. 127: « Di fatto, il fanciullo... che sceglie di dirigere la
sua attività verso il bene onesto come valore universale, e, al
tempo stesso, in virtù di un dinamismo, che in lui può restare
incosciente, verso Dio come Fine ultimo, questo fanciullo sceglie
in virtù della grazia divina, e tende verso il fine .ultimo per
la carità teologale. Così, il primo atto ecc... ». Del medesimo
autore, Raison et raisons, pp. 131-165: La Dialectique immanente
du premier acte de liberté. C. JoURNET, Vérité de Pascal (1951),
p. 191, osserva (secondo Maritain): « ••• Conoscenza reale, ma
pre-concettuale del Bene come rifugio e salvezza, cioè di Dio
come Salvatore "·

153-
* * *

Più il mistero è alto e più l'immaginazione, ricono­


sciuta come tale, vede accrescersi il suo compito inso­
stituibile.
Sappiamo, ad esempio, che il nostro Dio è un Dio
personale, poiché « l'essere ha il viso della persona » 34 •
Noi non siamo tentati di tornare ai miti naturalistici di
tante religioni, né alle loro trasposizioni filosofiche. Ma,
ciò detto, è tuttavia vero che, a titolo di evocazione,
l'analogia « naturale » può andare più lontano che quel­
la « personale », precisamente perché essa è presa da più
lontano. Essa può essere pure atta a purificarla, ne è « il
rimedio naturale e il complemento normale che reclama
la tenuità del nostro sviluppo spirituale » 35 •
Bisogna ricordarsi di questa legge - legge della
suggestione inversamente proporzionale alla definizione,

34 A. MARc S. J., Dialectique de l'affìrmation (1952), p. 605.


Cfr. A. LAVELLE, De l'Acte, p. 63: la persona esprime « l'essenza
più profonda dell'essere ».
35 C. DE MoRÉ - PoNTGIBAUD S. J., Sur l'analogie des noms
divins, l'analogie méthaphorique in Recherches de science reli­
gieuse (1952), p. 182. Cfr. pp. 166, 173: « La metafora (come il
simbolo ) si presenta manifestando il legame tra un piano di
realtà inferiore e uno superiore, che il primo - a voler essere
precisi - suggerisce potentemente ma non contiene affatto. Tra
ciò che è rappresentato e ciò che è visto vi sono contempo­
raneamente relazione stretta e manifesta eterogeneità, corrispon­
denza e "taglio", di cui testimonia di bel nuovo il vocabolo
assai significativo di transposizione... In questo processo, il
nostro spirito può attingere a sorgenti incomparabili per prende­
re coscienza della realtà dell'oggetto supremo, di forze vive per
orientarsi verso di esso ; ma se esso l'impiegasse senza discerni­
mento e in maniera prevalente, si esporrebbe a tutte le confu­
sioni e a tutti gli errori generati da questa mancanza di distin­
zione essenziale •.

154
legge del valore d'evocazione inversamente proporzio­
nale al valore di pensiero analitico - per comprendere
l'importanza noetica del simbolo e della metafora 38 • Bi­
sogna ricordarsela anche per apprezzare il linguaggio dei
mistici. Allora non ci si allarma più di una progressione
che, per la nostra logica, sembra compiersi a ritroso. « O
Padre », esclama un mistico, « o Sposo, o Fratello! ».
Poi, al termine del suo slancio d'amore contemplativo:
« O Fiume profondo e calmo, Fuoco divorante, Luce che
rende tutto luce ! » 3 7•

* * *
« A dire il vero, si sarebbe bene imbarazzati a voler
determinare esattamente un "attributo divino", che il
nome di "luce" designerebbe esclusivamente. Senza
dubbio, esso evoca specialmente la limpidezza, la traspa-

38 Cfr. F. ScHUON, De l'unité transcendante des religions


( 1948), pp. 76-71: e Le realtà più alte si manifestano nel modo
più palese nel loro effetto più lontano »; p. 163, nota 2: « La
posizione d'antipodo analogico che hanno le forme sensibili di
fronte alle intellezioni ,._ Certe conseguenze che l'autore trae da
questo principio sono proprie della sua particolare dottrina. -
J. TROUILLARD, Le Cosmos du Pseudo-Denys in Revue de théologie
et philosophie ( 1955), p. 56: « I simboli più dissimili sono i mi­
gliori, poiché non rischiano di arrestare a sé lo slancio della
anima ». e la dottrina di SAN TOMMASO, In Boetium, de Trinitate,
q. VI, a. 2, ad lm: « Sacra Scriptura non proponit nobis divina
sub fìguris sensibilibus, ut intellectus noster ibi maneat, sed ut
ab bis ad invisibilia ascendat; unde etiam per vilium rerum
fìguras tradit, ut minor prrebeatur in talibus occasio remanendi,
ut Dionysius dicit ,.; De Veritate, q. x, a. 7, ad lm. Cfr. G. Scoro,
De visione naturae I. 1, n. 67 (P. L., CXXII, 512 A).
87 P. LYONNHr S. J., Ecrits spirituels ( 1951). Cfr. Ps1moo-D10-
NIG1, lA gerarchia celeste, c. xv, 2: « La teologia dimostra di at­
tribuire tanto valore oltre ogni cosa alle rappresentazioni
ignee... • (vers. ital. di E. Turolla, Cedam, Padova, 1956, p. UX>).

155
renza d'una conoscenza che penetra senza sforzo tutto il
reale, ma qualifica anche la purità di un'essenza che le
ombre del nulla non hanno accostato: "Dio è luce, e in
Lui non vi sono tenebre". E al di là di queste qualità
che potremmo chiamare "esteriori", egli ci aiuta a
"realizzare la potenza di espansione", l' "irraggiamen­
to" d'uno Spirito sommo senza cui tutti gli altri non
sarebbero che notte, e, in modo ancor più generico, la
sovrabbondanza vittoriosa di manifestazione che chia­
miamo "la gloria". Su tutti questi aspetti dell'Essere
infinito, che le analisi e le determinazioni concettuali mi­
nacciano di estenuare, collegandoli, prolungandoli, av­
volgendoli in un mistero di beatitudine, la "luce" viene
a posare la sua fluidità e il suo splendore » 38 •

* * *
O Dio! Tu non sei altro che l'Amore, ma sei un
altro Amore! Tu non sei altro che la Giustizia, ma sei
un'altra Giustizia! Se io vengo meno all'Amore o vengo
meno alla Giustizia, mi allontano infallantemente da Te,
e il mio culto non è che idolatria. Io debbo, per credere
in Te, credere all'Amore e credere alla Giustizia; è mille
volte meglio credere in queste cose che pronunziare il
tuo Nome 39 • Fuori di esse, mi è impossibile trovarti, e

38 DE MoRÉ-PONTGIBAUD, Zoe. cit., p. 167.


c.
39
Cfr. SAN BoNAVBNTURA, In Sent., d. 8, p. I, q. 11, conci.:
« Quia vero deficit in cognitione quid est, ideo frequenter cogitat
Deum esse quod non est, sicut idolum ve! non esse quod est,
sicut Deum justum» (Quaracchi, t. I, p. 154). SANT'AGOSTIN0, In
Psalmum 134, n. 4 e 5: « Omnia ista dico bona, sed tamen cum
suis nominibus: caelum bonum, angelum bonum, 'hominem bo­
num. Ad Deum cum me refero, puto melius nihil dicere quam

156
quelli che le prendono per guide sono sul cammino che
conduce a Te. Ma per adorarti in spirito e verità, per
non rischiare anche di adorar me stesso, debbo inoltre
credere che la mia giustizia - e quella stessa che io con­
cepisco senza mai realizzarla - non è ancora la Giusti­
zia, e che il mio amore non è ancora l'Amore. Il mio
ideale non è la tua realtà. Quando io Ti attribuisco que­
sti nomi di Giustizia e di Amore, Tu sei per me ancora
incompreso 40 • Infatti « noi conosciamo perfettamente, e
imperfettamente profetizziamo », e tutto è per noi an­
cora enigma, e possiamo farci un idolo della Giustizia
stessa e forse anche dell'Amore 41 •
O Dio che sei al di sopra di ogni nome 42 e di ogni

bonum ... lpsa est Veritas, ipsa est Sapientia, ipsa est Virtus Dei »
(P. L., 37, 1740 e 1742). PSEUDO-DIONIGI, Circa i divini nomi, c. IV,
n. 7: « Ogni bellezza e ogni cosa bella ha per ragione di causa
una preesistenza in Lui sotto unificante aspetto » (vers. ital. di
E. Turolla, op. cit., p. 231).
4 o SAN TOMMASO, Prima, q. XIII, a. 5: « Cum hoc nomen

"sapiens" de homine dicitur, quodammodo circumscribit et com­


prehendit rem significatam ; non autem cum dicitur de Deo, sed
re!inquit rem signifìcatam ut incomprehensam et excedentem
nominis signicationem ». DIONIGI IL CERTOSINO, De lumine chri­
stianae theoriae, I. I, a. 20: « Neque Deus pura bonitas, secundum
quod pura bonitas a nobis agnoscibilis » (Opera omnia, t. 33,
p. 254).
4 1 La cosa capita assai spesso e, a cominciar da questa ido­
latria, come da qualsiasi menzogna, la menzogna prolifica. « �
il fariseismo proprio della morale degli assiomi astratti o, come
oggi si dice, è la mistificazione propria dell'idealismo, il darsi
per "puro", mentre, più una nozione è generale e astratta, più
è atta a caricarsi di risonanze passionali e assurde » (E. 0RTI­
Gl'ES, Quelques ouvrages de psychanalyse nella Vie Spirituelle,
supplemento, 1951, p. 457).
42 SANT'AGOs'rINO, Contra Adimantum Manichaei discipulum,
c. 11: « Illi enim haec verba (ira Dei, zelum Dei) horrescunt,
qui nondum viderunt ineffabili majestati nulla verba congruere.
Sic enim ab istis verbis temperandum putant, quasi a!iquid

1 57
pensiero, al di là di ogni ideale e di ogni valore! 43 O
Dio Vivente!
***

L'affermazione di Dio sorge prima di ogni coscienza,


prima della formazione di ogni concetto, uscendo dalle
radici stesse dell'essere e del pensiero, per dar alla co­
scienza la sua armatura e conferire il suo valore univer­
sale a ogni concetto. Segreta, avvolta, ma necessaria e
permanente, essa è al fondo d'ogni giudizio d'essere. Fa
un sol tutto con la vita stessa dell'essere pensante. Essa

dignum Deo dicant, cum ista non dicunt. Sanctus enim Spi­
ritus hoc ipsum hominibus intelligentibus insinuans, quam sint
ineffabilia summa divina, bis etiam verbis uti voluit, quae apud
homines in vitio poni solent, ut inde admonerentur, etiam illa
quae cum a!iqua dignitate Dei se putant homines dicere, indigna
esse illius majestate, in honorificum potius silentium, quam ulla
vox humana competeret » (P. L., XLII, 142). Oppure Sermo 241,
c. VII, n. 9: « Ideo tamen et ad ista verba (paenitere Deum, nesci­
re Deum ...) salubriter Scriptura descendit, quae tu exhorres,
ne illa quae magna putas, digne dieta arbitreris etc. Qui autem
et ista transcenderit, et de Deo, quantum homini conceditur, di­
gne cogitare coeperit, inveniat ineffabili cordis voce laudandum »
(P. L., 39, 1498; allusione al Salmo 1115, 2: « Tibi silentium laus »).
43 SANT'AGOSTINO, Senno 241, n. 9: « Tamen ista de Deo
dicimus, fratres, quia non invenimus melius quod dicamus. Dico
justum Deum, quia in verbis humanis nihil melius invenio: nam
est ille ultra justitiam... Justum quidem Deum dicis: sed intel­
lige aliquid ultra justitiam quam soles de homine cogitare »
(P. L., 39, 1498). Cfr. ISACCO DELLA STELLA, Sermone, n. 5: « Che cosa
è Dio, se Egli è la giustizia? O che cosa è la Giustizia, se essa
è Dio stesso... Ma bisogna dire ciò che si può quando bisogna
parlare dell'ineffabile, di cui nulla può essere detto in termini
propri. Bisogna necessariamente tacere o usare termini presi a
prestito » (vers. frane. di André O. C.). Cfr. SAN GREGORIO, Mo­
ralia in lob., 1. XXXV, c. VI, n. 9: « O Domine, judicii tui sen­
tentia indicat quantum a luce tuae rectitudinis caecitas nostra
discordat » (P L., LXXXIV, 754 B).

158
gli assicura in tutti gli ordini questa coerenza e questa
sussistenza senza cui egli si dissolverebbe in polvere,
come, senza Dio, si dissolverebbe tutto il mondo. Forma
mea, Deus meus ...
Ma per accedere alla coscienza e divenire, al proprio
posto, un giudizio fra gli altri, quest'affermazione fonda­
mentale deve di necessità oggettivarsi. Essa lo fa attra­
verso mille forme immaginative, e finalmente si esprime
nella determinazione di un concetto, strumento necessa­
rio di ogni pensiero umano. Ma tale strumento necessa­
rio, anche dove il suo uso è corretto, non è meno necessa­
riamente deficiente. L'Assoluto, che fonda ogni conoscen­
za, entra di qui nel sistema delle nostre conoscenze, e
sembra così lasciarsi prendere dalla rete universale delle
relazioni. Il Trascendente che, per definizione « passa
al disopra » di tutte le nozioni elaborate dalla nostra
intelligenza •5 , sembra lasciarvisi racchiudere.
Allora comincia d'istinto, per continuarsi poi con
metodo, l'opera ugualmente necessaria di purificazione
intellettuale. Infatti come salvare l'idea di Dio, se non
si salva l'idea dell'Assoluto, del Trascendente ? A mano
a mano ch'essa si oggettiva e si particolarizza, l'idea di
Dio è dunque presto sottomessa a una dialettica nega-

H Cfr. SAN TOMMASO, Prima, q. CVI, a. I, ad 3m: « Ratio­


nalis mens fonnatur immediate a Deo, vel sicut imago ab exem­
plari, qu.ia non est facta ad alterius imaginem quam Dei, vel
sicut subjectum ab ultima forma completiva, quia semper repu­
tatur infonnis, nisi ipsi Primae Veritati inhaereat ». SANT'AGOSTINO
considerava più spesso questo secondo aspetto, come nel De
Genesi ad litteram, I. I, c. 4-5, dove si tratta soprattutto della
vita saggia e felice (P. L., XXXIV, 249-250).
• 5 Cfr. C. J. UlCLERCQ, Dialogo dell'uomo e di Dio (Edizioni
Paoline, Milano, 1965).

159
tiva, che si attacca a tutti gli elementi rudimentali da cui
sembra trarre la sua sostanza.
Ma al termine di questa purificazione, si potrebbe
temere che l'affermazione resti vuota. Non sarebbe sol­
tanto a questo prezzo che non si sarebbe idolatra? Poi­
ché « non è come un concetto » che Dio, alla fine, « ci
invita a porlo, e neppure come un essere il cui contenuto
sarebbe quello di un concetto. A mano a mano che l'og­
getto si forma, l'Essere fugge... Al di là di ogni immagine
sensibile e di ogni determinazione concettuale, Dio si
pone come l'atto assoluto dell'essere nella sua pura at­
tualità » 46 • Ogni elemento che possa essere afferrato,
qualunque esso sia e attraverso qualunque filtro sia pas­
sato, sarà dunque sempre troppo grossolano per espri­
mere questo Essere la cui essenza è l'Essere, Essere
puro, puro « Esistere », Atto senza molteplicità né de­
terminazione, Soggetto che non può essere predicato,
che bisogna « assolutamente » porre, e di cui bisogna
scartare ogni « qualificazione » come una « restrizione »
sacrilega 4 7 • In queste condizioni, come dire ancora qual-

40 E. GILSON, L'esprit de la philosophie médiévale, p. 52 ;


cfr. p. 56 (vers. ital. di P. Treves Sa11tori, Morce!liana, Brescia,
1947): « Considerato (come infinito), l'Essere divino sfida più che
mai la stretta dei nostri concetti. Non vi è neanche una delle
nozioni di cui noi disponiamo, che in qualche modo non scric­
chioli quando tentiamo di applicarla a lui. Ogni denominazione
è limitazione, e perciò è al di là di ogni denominazione ».
4 7 A. BREMOND, Une dialectique thomiste, loc. cit., pp. 572-
573: « Ogni soggetto che può essere affermato è... rapportato
all'assoluto dell'essere, ma con qualche restrizione, significata dal
predicato. Dio è il solo soggetto che il mio spirito pone neces­
sariamente nell'assoluto assolutamente senza restrizione, senza
qualificazione ». Cfr. E. GILSON, L'P.tre et l'Essence (1948), p. 326.
J. DE FINANCE, 'E.tre et agir, p. 351: « :t;: vero: la parola non evoca
in me che una rappresentazione incredibilmente povera... Ma

160
che cosa di Dio? Come saperne qualche cosa? Ogni ras­
somiglianza, che si crede di poter notare tra il Creatore
e la creatura, non è subito annullata, e più che annul­
lata, da una dissomiglianza maggiore? 48 E non si è co­
stretti a confessare che « ciò che Dio è » ci è « completa­
mente ignoto » ? 49 • Allora, nel momento preciso in cui
cessa alla fine, grazie a questa purificazione radicale, ogni
rischio di idolatria, non si diventa agnostici, e non si
avrà l'impressione di divenire atei?
Abbiamo visto che questa non è che un'apparenza.
Per l'intelligenza è impossibile retrocedere, non potendo
essa tornare su un'affermazione necesssaria senza men­
tire a se stessa. Solo che, per un paradosso di cui non
è neppure possibile evitare la risonanza sensibile, quello
stesso che si oppone a questa conclusione è ciò che ne
produce l'apparenza. Che cos'è infatti, si può chiedere,
un'affermazione pura? Che cos'è un'affermazione, che,
in apparenza, non afferma più nulla, non essendo pro­
nunziata da alcun soggetto distinto da essa, e non pog­
giando più su alcun oggetto? 50 • « Egli è »: questa Pie-

questa povertà non è che la livrea sotto cui si manifesta, nell'in­


tendimento concettuale, un dinamismo di cui nulla limita l'am­
piezza oggettiva ». SAN TOMMASO, Compendium Theologiae. I,
c. x ; Prima, q. xnr, a. 11 ; De Potentia, q. vn, q. n ; Contra Gen­
tiles, 1. I, c. XXII, ecc.
4 s Quarto Concilio Lateranense (1215): « Inter Creatorem et
creaturam non potest tanta similitudo notari, quin inter eos
major sit dissimilitudo notanda ».
49 SAN TOMMASO, De Veritate, q. n, a. r, ad 9m ; Contra
Gentiles, 1. III, c. 49; De Potentia, q. vn, a. 5, ad 14m. De anima,
q. II, a. 16, ecc.
50 Nel Le Dieu de Sartre (1950), H. PAISSAC sottomette
l'enunciato umano del Nome divino a una critica penetrante: « :e
indispensabile enunciare un soggetto. Occorre, senza tuttavia es-

161
1 1 . - Sulle vie di Dio
nezza, quando vi ci conduce la sola analisi, come non
apparirebbe dapprima un vuoto?
Ancora una volta la prova non è infirmata. Persiste
un'esigenza razionale. L'affermazione resta al centro del
pensiero. Affermazione tenace, ma cosl tenue; tenue,
ma cosl tenace ! 5 1 • Essa vi sorge e risorge di continuo,
sempre pronta a generare senza fìne - malgrado tutte
le critiche e tutti gli scrupoli che s'adoperano a rimuo­
verla - lo stesso processo di oggettivazione. Felicemen­
te impotente a consolidare nei loro limiti qualcuna delle
forme particolari, in cui cerca di prender corpo, basta
d'altra parte a impedire all'intelligenza di mai riposarsi
nelle negazioni che li seguono, che devono seguirli 52 • A
più forte ragione, le chiude ogni via di ripiegamento;
non permette nessun rinnegamento, nessun dubbio, nes­
suna possibilità di riprender la discussione. Il giudizio
sere vittima del metodo, chiamare Dio: Egli t;: » (p. 80). Dio non
è un soggetto che si distingua dal suo atto, né un oggetto, « ma
l'Atto puro di esistere, al di là di una separazione superficiale
tra oggetto e soggetto. Egli è dunque impensabile, o, più preci­
samente, per pensarlo occorrerebbe essere Dio. Solo allora, vale
a dire in una presenza, rigorosamente immediata, a se stesso,
sarebbe vissuta e conosciuta al tempo stesso la realtà di Dio ,,
(p. 84). « II Nome divino (Egli tè:) non sarebbe apprezzato senza
una zona di silenzio e di notte rappresentata dai nostri concetti.
Credendo di affermare di Dio che Egli è questo o quello, creatore
o sguardo, Altro o Se Stesso, atteso e raggiunto, noi in effetti
accumuliamo delle negazioni sottili che fanno il vuoto nel
nostro spirito, e realizzano come un appello. Dio è infine colui
che risponderà perfettamente » (p. 154).
5 1 SANT'AGOSTINO, De libero arbitrio, I. Il, c. 15, n. 39: « Certa,
quamvis adhuc tenuissima, forma cognitionis ,. (P. L., XXXII,
1262).
52 Si noti che qui non si tratta di una oscillazione tra
affermazione e negazione di Dio, tra dogmatismo e scetticismo,
ma tra i due tempi della conoscenza: teologia affermativa e teo­
logia negativa.

162
della ragione è senza appello. Ciò che è acquisito, rimane
acquisito per sempre.
Non sembra dunque che l'uomo debba oscillare in­
cessantemente ·tra questi due poli, senza trovare mai un
porto sicuro dove fissare la propria inquietudine? La
ragione può restare serena, con la sua prova intatta: ma
l'uomo, l'uomo che ragiona, è perplesso. Il problema
teorico in linea di diritto, può venire risolto, le apparen­
ze contrarie sormontate: resta però un problema pra­
tico, ma fondamentale, il problema dell'uso dell'idea di
Dio nella vita spirituale.
Allora, o meraviglia! , interviene il Dono di Dio,
secondo dono, perché il primo dono, la prima premura
non era altro che lo spirito, l'affermazione stessa. Su
questo datum optimum viene ad innestarsi il donum
perfectum. Esso non aggiunge nulla alla potenza di que­
sta affermazione né al valore dei miei fondamenti razio­
nali; non apporta alla prova né un supplemento né un
sostituto, di cui d'altronde non ha bisogno. La sua azio­
ne appartiene ad un altro ordine, che viene ad assicurare
allo spirito, senza togliergli lo slancio, il possesso tran­
quillo del suo oggetto. Viene a porre un termine al suo
turbamento. Spiega senza sforzo una situazione che sem­
brava inestricabile, proprio perché esso è « di un altro
ordine, quello soprannaturale ». Esso introduce in noi
come una nuova dimensione. La vita di carità, facendoci
partecipare alla vita stessa di Dio, fornisce perciò stesso
come un contenuto spirituale alla nostra idea di Dio.
Senza ostacolare né scoraggiare l'opera purificatrice, ca­
pace anzi di stimolarla, questo contenuto spirituale le
permette di continuare in pace, perché assicura di colpo,

1 63
su un altro piano, la continuità pacifica e, se così si può
dire, l'indispensabile densità dell'affermazione 53 •
Questo Dono non è altro che lo Spirito stesso di ·
Dio - di fatto, « lo Spirito di Gesù» - per mezzo
del quale la carità è diffusa nei nostri cuori. « A dire il
vero, nessuno conosce Dio, se non Dio solo. Lo Spirito
ci concede di conoscerLo in qualche modo, perché ci
assimila a lui. Lo Spirito solo sonda le profondità di
Dio. Lo Spirito solo può darci una conoscenza di Dio

� 3 ti. ovvio che non se ne concluderà che l'affermazione


debba la sua solidarietà intrinseca alla grazia. Altro è il valore
dell'affermazione stessa, impersonalmente per così dire, altro la
serenità o il riposo dello spirito concreto in cui questa afferma­
zione ha trionfato di ogni forza avversa. - Altri casi della stessa
specie si presentano nella vita dell'intelligenza. Per un processo
analogo, un certo numero di filosofi cristiani, tra cui San Tom­
maso, rafforzano e rischiarano la loro affermazione del Dio
creatore con un ricorso al mistero della Trinità. In possesso di
una conoscenza, ottenuta con la ragione naturale e senza rimet­
terla veramente in discussione, essi costatano che questa cono­
scenza non costituisce meno un problema, a sua volta, e che,
per togliere le antinomie che sorgono nello spirito a cominciar
da essa, i lumi della rivelazione soprannaturale offrono loro un
aiuto, il solo pienamente efficace. Cfr. gli ultimi · scritti di M.
BLONDEL o di K. ADAM, Le Christ notre Frère (vers. frane., Ricard,
pp. 171-173) e SAN TOMMASO, Prima, q. XXXII, a. 1, ad 3m: « Co­
gnitio divinarum personarum fuit necessaria nobis... ad recte sen­
tiendum de creatione rerum »; Contra Genti/es, I. Il, c. 3. Cfr. A.
R. MoITB O. P., Théodicée et théologie chez Saint Thomas
d'Aquin, in Revue des sciences philosophiques et théologiques
{1937), pp. 15-16: « Non è d'altronde una delle "necessità", che
S. Tommaso riconosce alla rivelazione del mistero della Trinità,
quella di escludere in maniera decisiva le concezioni emanatisti­
che secondo cui Dio agirebbe per necessità di natura, poiché la
nozione del Verbo e dell'Amore creatore include precisamente
un modo di produzione intelligente e libero? La parola necessaria
evidentemente non deve essere troppo forzata. Tuttavia il testo
certamente suggerisce come San Tommaso stimasse difficile per
la sola ragione eliminare questi errori sulla creazione che sono
al tempo stesso errori sul Creatore ».

164
che sorpassa, una conoscenza radicalmente inadeguata,
o una conoscenza puramente negativa. Lo Spirito, fa­
cendo di noi uomini nuovi, uomini che partecipano della
natura divina, come non esita a dire la seconda epistola
di San Pietro, lo Spirito ci dà la sola conoscenza di Dio
che sia al suo livello, poiché è una conoscenza per conna­
turalità » 54 •
Le leggi naturali dell'intelligenza non si trovano per
questo cambiate. L'aumento di conoscenza ottenuto cosl
non è dunque di ordine razionale o filosofico. Meglio: è
più o è meno: è altro. Esso non è l'appannaggio dei
ragionatori e dei sapienti, ma si riferisce a un'esperien­
za '5 • Più esattamente : fuori di questa esperienza - la
quale è del tutto spirituale e non cade mai sotto le
strette grossolane della psicologia - essa non è nulla.
Essa ha, da un lato, il carattere privilegiato d'intimità
personale e d'intuizione concreta proprio di ogni cono­
scenza religiosa, ma in cambio partecipa del suo caratte­
re extra-scientifico. È una conoscenza semplice, e quasi
immediata, sebbene, in realtà, sempre analogica « in spe­
culo » 56 • Infatti, « chi ama, dice San Giovanni, è nato
da Dio, e conosce Dio » H. Chi ama, commenta Sant'A-

54 L. BoUYER, Le sens de la vie monastique (1950), pp.


132-133.
55 Cfr. SAN TOMMASO, In primum Sent., d. 14, q. II, a. 2,
ad 3m; c. 15, q. Il, ad 5m; d. 16, q. I, a. 2.
56 Si applicherà qui al caso dell'amore la messa a punto
del pensiero agostiniano che SAN TOMMASO fa nel caso parallelo
della concezione della verità: Contra Gentiles, I. III, c. 47: « In
mentibus hominum divinae veritatis quasi quaedam imago ».
Cfr. SANT'AGOSTINO, Confessioni, I. XII, c. xxv, ecc.
•1 In Joan., 1v, 7: « Vi è, dice G. LEFEBVRE, commentando
San Gregorio e San Giovanni della Croce, un certo senso di Dio
che è il frutto della carità » ; è « questa conoscenza oscura e

1 65
gostino, vede l'amore e chi vede l'amore vede Dio : inde
videmus, unde similes sumus; e quest'amore, aggiunge
Guglielmo di Saint-Thierry, è l'occhio stesso che fa vede­
re Dio: ipsa caritas est oculus quo videtur Deus 58 • Ma
nel tempo stesso c'è qui una conoscenza precaria e sem­
pre oscura, poiché dipende da una vita precaria essa pu­
re, piena di « vicissitudini », non posseduta mai come
un bene naturale, e poiché essa non giunge - e neppure
lo cerca - a captare la luce purissima di cui questa vita
è apportatrice nel prisma dei concetti.
Putas quid est Deus? Putas qualis est Deus? Quid­
quid finxeris, non est; quidquid cogitatione comprehen­
deris, non est. Sed ut aliquid gustu accipias, Deus ca­
ritas est. Caritas est qua diligimus 59 •
Novimus haec (de Dea) . Num ideo et arbitramur
nos comprehendisse? Non ea disputatio comprehendit.

misteriosa che è il presentimento che si trova nell'amore stesso


dell'oggetto amato ». Dio è così conosciuto « nell'amore stesso
che Gli si porta » (Prière pure et pureté du coeur (1954), pp.
38-39). Cfr. CLEMENTE D'ALEssANDRIA, Stromata, V, c. I, 13, n. 2:
Dio è amore e si fa conoscere da quelli che amano ».
5 8 GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, De natura et dignitate amoris
(P. L., CLXXXIV, 390).
59 SANT'AGOSTINO, De Trinitate, I. VIII, c. VIII, n. 12: « Nemo
dicat: Non novi quid diligam. Diligat fratrem, et diliget eam­
dem dilectionem. Magis enim novit dilectionem qua diligit,
quam fratrem quem diligit. Ecce jam potest notiorem Deum
habere quam fratrem: piane notiorem, quia praesentiorem ; no­
tiorem, quia interiorem, notiorem, quia certiorem. Amplectere
dilectionem Deum, et dilectione amplectere Deum. lpsa dilectio
quae omnes bonos Angelos et omnes Dei servos consociat vinculo
sanctitatis, nosque et illos coniungit invicem nobis, et subjungit
sibi... Caritatem video, et quantum possum eam mente conspicio,
et credo Scripturae dicenti, quoniam "Deus caritas est, et qui
manet in caritate, in Deo manet..." et "omnis qui diligit ex
Deo natus est et cognoscit Deum" » (P. L., XLII, 1957-958). Osser­
viamo pure che SANTA CATERINA DA GENOVA chiama Dio « l'Amo-

1 66
sed sanctitas: si quo modo tamen comprehendi potest
quod incomprehensibile est 6 0 •
Tali sono - indicate schematicamente - le princi­
pali tappe della dialettica di Dio, della sua dialettica
concreta nella vita dello spirito concreto. Perpetuamente
sottintese dalla prima, le altre quattro tappe, si gene­
rano, si succedono, si mescolano, si combattono, si ar­
monizzano, nella complessità sempre in moto di questa
idea più forte di ogni critica, più forte della morte 61 •

re-Dio », « l'Amore beatifico » (Vita, c. x e XXI); per essa « ciò


che i teologi chiamano Essenza metafisica di Dio è costituito
unicamente dall'amore puro, cioè dall'amore che ha come postu­
lato essenziale la purità »: UMILE DA GENOVA O. M. C., Caterina
da Genova nel Dictionnaire de spiritualité, fase. 8 (1938), col.
300. Vedi Opere di s. CATERINA DA GENOVA, Edizioni Paoline,
Modena, 1956.
60 SAN BERNARDO, De Consideratione, I. V, c. XIV, n. 30 (vedi
vers. ital. più volte citata): « At nisi posset, non dixisset Apo­
stolus: "Ut comprehendamus cum omnibus sanctis" (Eph. 3,
18). Sancti igitur comprehenderunt. Quaeris quomodo? Si
sanctus es, comprehendisti, et nosti ; si non, et tuo exsperimento
scies » (P. L., CLXXXII, 805 CD). Ogni conoscenza di Dio è una
specie di risposta all'iniziativa di Dio, e ogni conoscenza reale
suppone una certa proporzione e connaturalità tra il conoscente
e il conosciuto; ora « solus est amor ... in quo potest creatura,
etsi non ex aequo, respondere auctori, ve! de simili mutuam
rependere vicem »: In cantica sermo LXXXIII, n. 4 (P. L.,
CLXXXIII, 1183 B). Cfr. P. DUMONTIER, Saint Bernard et la Bible
(1953), p. 160, nota.
61 DE VRIES in Scholastik (1950), I, p. 129, ha felicemente
colto e riassunto la dialettica concreta qui abbozzata. Da un
lato, la fede in Dio nell'uomo è messa in pericolo in tutti i modi,
ma, d'altra parte, essa s'impone allo spirito in maniera irresi­
stibile... Quando l'affermazione fondamentale si evolve in pen­
siero cosciente, allora sopraggiunge il pericolo che tale afferma­
zione conduca alla fabbricazione di miti che umanizzino il di­
vino, oppure che la purificazione del concetto di Dio non lasci
sussistere alla fine che un divino astratto e incline all'agnosti­
cismo. La sola via dell'amore, sgorgando dall'ordine sopranna­
turale, libera l'uomo da questa antinomia. Con ciò non è negato

1 67
***
Abbiamo un potere di affermazione che sorpassa sia
il nostro potere di concepire che il nostro potere di
argomentare. Quando infatti questi due ultimi si trova­
no rimessi in discussione su un punto o l'altro, il primo
resta intatto ed è ancora esso che li rianima e li manda
ad effetto.
Da ciò tutto un andirivieni, tutta una serie di con­
flitti, apparentemente irriducibili, ma la cui soluzione,
provvisoria o meno, si trova sempre. Nella zona in cui
si concepisce o si argomenta, appare perennemente com­
promesso ciò che meno possiamo impedirci di affermare.
Contro ciò che era stabilito più solidamente, la ragione
critica è indefinitamente inventiva. Tra quelli che ne
fanno uso, gli uni si riportano soprattutto alla nostra
idea di Dio, gli altri alle nostre prove. Dal punto di vista
della sola logica non è sempre facile dar loro torto, poi­
ché spesso il credente è maldestro nella giustificazione
razionale di ciò che crede; la sua filosofia può essere
corta, la sua analisi insufficiente; inoltre, in virtù della
sua credenza stessa, egli deve talvolta abbondare nel
senso di quelli che criticano. Tuttavia nulla prevale mai
contro la nostra affermazione e questa rimette incessan­
temente in valore e la nostra idea e le nostre prove. Con­
tro la critica inventiva essa è inventiva a sua volta.
Infatti è veramente in qualsiasi modo che Dio è il

il valore della prova di Dio. Infatti questa sorge anche a comin­


ciare dall'orientamento essenziale dello spirito. Ciò che essa
costruisce è più forte dell'acciaio più duro. Essa può tuttavia
essere scartata, perché essa concerne solo la ra,gione, mentre
Dio rivendica in noi tutto lo spirito "·

168
Tutt'Altro. Un processo, che ci conduce ad altri esseri o
ad altre verità, non saprebbe da solo e cosl com'è, con­
durci fino a Lui, non più di quanto le rappresentazioni
atte ad esprimere altri esseri o altre verità siano da se
stesse capaci di esprimerLo. Anche dopo che la logica
ci ha costretti ad affermare che Egli esiste, il suo mistero
resta inviolato. La nostra ragione non penetra in Lui 8 2 •
Dialettica e rappresentazione non possono superare la
soglia. Ma al di qua di ogni dialettica e rappresentazio­
ne, il nostro spirito afferma già Colui che, raggiunto per
la mediazione della dialettica e della rappresentazione, è
al di là di ogni rappresentazione e di ogni dialettica. E
questa affermazione, passando così dalla notte alla luce,
poi dalla luce a un'altra notte, resta sempre invincibile.
Spiriti creati, siamo uno slancio verso l'Assoluto!
Molte cose ci nascondono a noi stessi e si sforzano di
far deviare questo slancio, il quale però rimane nel no­
stro intimo, in attesa di essere liberato. E quando ci
applichiamo a criticare e a rettificare la condotta e i pro­
dotti del nostro pensiero, obbediamo alla nostra natura,
siamo fedeli allo slancio che noi siamo. Le nostre criti­
che non lo intralciano né lo sviano: è lui stesso che le
ispira e dona loro un senso positivo. E in questo stesso
slancio l'Assoluto ci si fa conoscere.
* * *
Il filosofo e lo spirituale, l'uomo primitivo e quello
civile, il pensatore più personale e il più umile credente,
82 SAN TOMMASO, In librum de Causis, v1: « lllud solum est
capabile ab intellectu nostro, quod habet quidditatem parteci­
pantem esse; sed Dei quidditas est ipsum esse ; unde est supra
intellectum ».
169
il « profeta » e il « rrustlco » non convengono soltanto
su una parola quando dicono tutti: « Dio ». Allorché
l'orientamento di ciascuno è giunto, per quanto parziale
e talvolta ristretta sia la loro concezione, essi s'incon­
trano realmente, o almeno tendono realmente ad incon­
trarsi - e in questa tendenza s'incontrano - quan­
tunque l'oggetto a cui ciascuno pensa sia apparente­
mente dissimile 83 •
Una sola idea di Dio - come. dell'anima - mal­
grado origini empiricamente multiple e così diverse!

83 In una nota su La triple origine de l'idée de Dieu (Revue


de métaphysique et de morale, t. XVI, 1908, 2, pp. 717-721), G.
BELOT distingueva « tre sorgenti irriducibili » di questa idea: « la
sorgente religiosa popolare, la sorgente intellettuale metafisica e
la sorgente mistica ». Egli si domandava, ad esempio, « con
qual diritto » il metafisico prendesse dalla tradizione questo
vocabolo di Dio, e « con qual diritto » il mistico facesse altret­
tanto da parte sua, dato che tra queste tre accezioni della mede­
sima parola non vi era « nessuna unità neanche psicologica,
nessuna omogeneità nemmeno funzionale ». Una riflessione pii\
modesta e, al tempo stesso, più avanzata avrebbe potuto con­
durre l'autore a chiedersi « con quale diritto » egli intrapren­
desse a spezzare in tre tronconi un'idea che, nonostante le
diversità da lui analizzate, si presentava dappertutto spontanea
come unica, almeno nella sua ultima aspirazione. (E lui stesso,
nel suo titolo, non parlava forse al singolare « dell'idea di Dio »
malgrado la sua « triplice origine »?) Può darsi che egli avrebbe
potuto allora intravvedere che ciò che prendeva a priori « per
sorgenti » di tre nozioni realmente irriducibili, in realtà non
erano che tre « canali » o tre grandi vie di avvicinamento attra­
verso cui un'idea altrettanto complessa che unica giunge a farsi
luce nella coscienza umana. Ma per ciò sarebbe occorso almeno
considerare l'ipotesi che questa idea non fosse esaurita dai suoi
aspetti psicologici o « funzionali » più apparenti ; che essa po­
tesse avere qualche rapporto con un assoluto di pensièro; che
tutto, in questo dominio, non si spiegasse affatto definitiva­
mente con una serie di « processi psicologici e sociali » a co­
minciare da qualche « immaginazione mitica ». Insomma, sa­
rebbe occorso non supporre a priori che l'idea di Dio nella sua
più ampia accezione fosse illusoria.

170
Malgrado concetti formati così differentemente, malgra­
do figurazioni così stranamente lontane !
Come un solo spazio, un solo mondo esterno anche
se si può distinguere l'universo dei suoni, quello dei
profumi, quello del tatto e della vista. . .
Dio è unico! E questa stupefacente convergenza di
tante concezioni, che sembrano indipendenti, è ancora
una testimonianza resa alla sua unicità.
* * *
Dio dell'intelligenza e Dio della coscienza - Dio
della rivelazione soprannaturale e Dio della ragione -
Dio della natura e Dio della storia - Dio dell'essere e
Dio del valore - Dio della riflessione e Dio della pre­
ghiera - Dio del filosofo e Dio del mistico - Dio del­
l'anima e Dio dell'universo - Dio della tradizione socia­
le e Dio della meditazione solitaria ... quanti contrap­
posti e quale unità!
Dio infinito e Dio perfetto, perfetto nella sua infi­
nità, infinito nella sua perfezione! Dio Assoluto e Dio
personale!
Dio unico dagli aspetti molteplici. Termine unico
dai molteplici approcci! Dio di tutto me stesso ! Dio
di tutti! Nessun accesso a Te è chiuso, su nessuno ho il
diritto di gettare l'interdetta.
... Voces diversae, semitae multae: sed unum per
eas significatur, unus quaeritur 64.

u SAN BERNARDO, De consideratione, I. V, c. XIII, n. 27-29


(cfr. vers. ital.) a proposito della molteplicità delle nostre
affermazioni su Dio, specialmente di altre parole, come « longi­
tudo, profunditas, sublimitas, profundum • (P. L., CLXXII, 804-805).

171
***
« Io credo che di Dio Padre possiamo farci una
idea diversa da quella di un vecchio barbuto. Da que­
sto lato è la frontiera sacra del nostro spirito, dove
l'uomo lascia dietro di sé i suoi sensi, come Mosè che
abbandona i sandali dinanzi al roveto ardente, come
Gesù che lascia dietro di sé i tre apostoli, prega un
po' più lontano, "alla distanza d'un tiro di pietra", mu­
nito solo del suo cuore e della sua intelligenza. È là che
comincia lo spavento metafisico, questa "afasia estati­
ca", di cui parla Plotino. Quanto è più acuta e più inten­
sa questa idea che abbiamo di Dio, che non quella che
abbiamo di un oggetto usuale, benché non possiamo
esprimerla! » 85 •

***
Idea del Bene, Primo Motore, Essere necessario,
Uno superiore all'Essere, Principio universale, Deità
senza nome né forma; Dio dei Patriarchi, Dio di Mosè e
di Isaia, Maestro sommo, Giudice temibile, Re della
storfa, Padre di Gesù... Dall'uno all'altro vi è un abisso,
e tuttavia è, o almeno può essere, lo stesso Dio.

***
« Fuori vi sono molti che sembrano dentro. Dentro
vi son molti che sembrano fuori ». La parola di Origene

65 P. CLAUDEL a J. RIVIÈRE, Il maggio 1908. Correspondance


de P. Claudel et de J. Rivière, pp. 158-159.

172
e di Agostino 66 è attuale in tutti i tempi. L'abuso che
può esserne fatto non deve nascondercene la verità. E
ciò che è vero dell'appartenenza alla Chiesa non è certo
meno vero della credenza in Dio. Si può essere atei, fa­
cendo professione di credere in Dio 67 ; si può essere cre­
denti dicendosi atei 68 • Novit Deus qui sunt eius.
***
« Chi scruta la Maestà, sarà oppresso dalla Glo­
ria » 69 •
La filosofia diffidi di ogni metafisica da Titani. Non
creda di poter elevarsi da se stessa fino a una vera
« scienza di Dio ». Usi delle sue facoltà critiche per mo­
derare l'orgoglio della sua curiosità. Se qualcuno, ritro­
vando al termine dei suoi sforzi qualche cosa di ciò a
cui l'inclinava il primo moto del suo essere, afferma
l'esistenza di Dio, egli con questo non fa altro che dare

66 Cfr. Histoire et Esprit, L'intelligence de l'Ecriture


d'après Origène (coli. « Théologie », 1950), pp. 158-159. SANT'AGO­
STINO, De Baptismo contra Donatistas, I. V, c. XXVII, n. 38:
« Molti che sembrano fuori sono dentro, e altri che sembrano
dentro sono fuori "· Su questo testo vedere « Cahiers universi­
taires catholiques », marzo 1953.
6 7 « C'è un ateismo nascosto in tutti i cuori, che si diffonde

su tutte le azioni: si ritiene Dio un nulla » (BossUET, Pensées


détachées, II).
68 Questo non vuol dire che ogni ateo sia un credente che

si ignora! Cfr. M. B1.0Ni>EL, La pensée, t. I, 1934, pp. 392-393: « Vi


sono realmente persone che non credono in Dio... Non vi è "cre­
denza in Dio" che là dove, senza presunzione metafisica, magica
o superstiziosa, si riconosca in pratica che non si può raggiun­
gerlo se egli non si dona e che non si può averlo per sé senza
essere prima suoi... Se dunque si può dire che "non vi sono
atei", si può veramente dire pure che "è difficile e gravoso non
essere atei" ».
69 Prov. , 25, 27.

173
un principio di unità a tutti gli esseri, una base al suo
pensiero, una ragione d'essere alla sua esistenza e un
senso generale all'universo. Egli si limita così « a descri­
vere la sola risposta richiesta dal mondo in questione:
Dio stesso non si è ancora svelato » 70 • Continui, al di
là della prova, la sua meditazione: questa non lo farà en­
trare mai nell'intimo della natura divina. Ciò che egli
ne presenta è forse quello stesso che lo esclude. Tuttavia
la sapienza di cui sarà capace non gli permetterà di co­
minciare a contemplare Dio stesso, « ma solamente l'eco­
nomia della sua sapienza » 7 1 •

70 H. PAISSAC O. P., Théologie, science de Dieu in Lumière


et vie, I (1951), p. 36. Cfr. K. BARTH, Esquisse d'une dogmatique,
vers. frane., ( 1950), p. 31.
7 1 EVAGRIO IL PONTICO, Gnostico, V, 51: « Chi dietro l'armonia
degli esseri vede il Creatore, non sa quale sia la sua natura, ma
conosce la sua sapienza con cui egli ha fatto tutto. Non parlo
della sua sapienza essenziale ; ma di quella che appare negli es­
seri, e che i sapienti in questi argomenti usano chiamare con­
templazione naturale. Se è cosi, quale è la follia di coloro che
dicono di conoscere la natura stessa di Dio! ,. (Vers. frane. di
A. e C. Guillaumont, Le texte véritable des « Gnostica » d'Eva­
gre le Pontique in Revue de l'histoire des religions, t. 142 (1952),
pp. 181-182). Cfr. Selecta in Psalmos (P. G., 12, 1661 C). ZENONE
DI VERONA, I. II, Tract. 17, n. 1: « Humanae devotionis religiosa
confessio est, de Deo hoc nosse, quod Iicitum est ; sicut enim
in simplici corde scrutanda sunt testimonia ejus, ita curiositate
non sunt inquirenda secreta ,. (P. L., XI, 444-445). SAN BERNARDO,
In Cantica, sermo 62, n. 5: « Non scrutator Majestatis, sed Vo­
luntatis » (P. L., CLXXXIII, 1078 B ) ; cfr. ancora, dello stesso au­
tore, De consideratione, I. V, c. III, n. 6 (P. L. CLXXXII, 790 D ;
cfr. vers. ital. più volte citata). SAN TOMMASO, De virtutibus in
communi, a. 12, ad llm: e Sapientia qua nunc contemplamur
Deum, non immediate respicit ipsum Deu.m, sed effectus ex
quibus Deum in praesenti contemplamur ».

174
***
« Io non tento, o Signore, di penetrare la tua altez­
za, poiché non metto affatto a paragone con essa la mia
intelligenza, ma desidero intravvedere la verità che il
mio cuore ama e crede » 12•

72 SANT'ANSELMO, Proslogio.

175
CAPITOLO V

LA INEFFABILITA DI DIO

Ecco che cosa è Dio: un infinito di intelligibilità 1 •


L'incomprensibile è il contrario dell'intelligibile. Pili si
penetra nell'infinito e più si comprende che esso ci sor­
passa, e che non lo afferreremo mai. Quidquid scientia
2
comprehenditur, scientis comprehensione finitur •

L'infinito non è una somma di elementi finiti, e quel­


lo che ne comprendiamo non è dunque un lembo sot­
tratto, per cosl dire, a ciò che resterebbe da compren­
derne. L'intelligenza dunque non distrugge e neanche
intacca il mistero; essa non lo diminuisce in nulla, non
« ha mordente» su esso, ma lo approfondisce. Essa en­
tra in lui, e lo scopre sempre meglio come tale.
Come all'apice dello sforzo umano il nulla dell'uomo
appare meglio di fronte all'essere di Dio, cosl man mano
che l'uomo si lascia penetrare dalla ragione - o, meglio,
1 Infatti Egli è - secondo la parola di SAN GRB,ORIO NA­
ZIANZENO, Discorso 45, in sanctum Pascha, c. III, ripresa da SAN
GIOVANNI DAMASCENO, De fide orthodoxa, I. I, c. IX (P. G., XCIV,
833), poi da SAN TOMMASO (cfr. sotto) - Colui che « raccoglie
in sé la totalità dell'Essere, come un oceano di "pace", senza
limiti e senza rive "·
2 SANT'AGOSTINO, De Civitate Dei, I. XII, c. xvm (P. L.,
XLI, 388).

177
12. - Sulle vie di Dio
che la penetra - il mistero di Dio gli rivela l'infinito
della sua profondità, e la luce che gli dispensa non fa
che infittire l'oscurità in cui si nasconde. Ciò non signi­
fica che da Dio all'uomo si scopra sempre meglio, per
esprimerci esattamente, « l'infinito della distanza » co­
me diceva Kierkegaard, quasi che Dio si allontani da
noi con la sua grandezza via via che l'idea dell'infinito
si sviluppa in noi e ci rendiamo meglio conto che il
divino non è « un semplice superlativo dell'umano » 3 •
Non si tratta di allontanamento né di distanza; o, alme­
no, queste parole non esprimono che un aspetto della
realtà. Dio non si sottrae al nostro orizzonte, non ci
sfugge, o, meglio, non permette che Gli sfuggiamo: ma
in ciò stesso ci si rivela come Dio, cioè come incommen­
surabile e « irraggiungibile » cioè « inafferrabile ». Si
può dunque senza timore ingiungere alla ragione di
« comprendere » : quanto più essa vi riuscirà scoprendo
nell'Oggetto divino nuove meraviglie, tanto magglor­
mente si troveranno mortificati la sua brama di conosce­
re e il suo desiderio di abbracciare 4 •

a KIERKB,AARD, Diario, XI A 48 e 679: xu A 320 (1849-1850) ;


v. vers. ital. sopra citata.
4 TIIBODORE oo RÉGNON S. J., �tude sur la Sainte Trinité, t. III
(1898), p. 458: « (Una definizione) dovrebbe essere "misurativa".
Ma può la ragione racchiudere Dio? L'effetto può circoscrivere
la sua causa? Perciò la misura razionale di Dio non può essere
che la negazione di ogni misura, o l'affermazione dell'incom­
mensurabilità ». SANT'ILARio, De Trinitate, I. Il, c. VII (P. L., x, 57
A). Cfr. SAN BoNAVENTURA, In Hexaemeron, xx, n: « Est ergo ibi
caligo inaccessibilis, quae tamen illuminat mentes quae perdi­
derunt investigationes curiosas » (Quaracchi, t. V, p. 447); e
questo titolo di una questione della Somma teologica di Al.Es·
SANDRO DI HALES (pars I, lnq. I, tract. 2, q. II ; Quaracchi, a. I,
p. 58): « De immensitate Dei quantum ad intellectum, seu de
incomprehensibilitate ejus ».

178
« L'esercizio della speculazione », diceva il Carmeli­
tano Domenico di Sant'Alberto 5 , « è la morte più pro­
fonda che lo spirito più innamorato possa patire >), E il
nostro Pellegrino cherubico, Angelo Silesio:
Più conoscerai Dio, tanto più confesserai
Che tu sempre meno puoi esprimere ciò che Egli è 8 •
Amictus lumine sicut vestimento.
***
Lo spmto, che si sforza di « comprendere » Dio,
non è paragonabile all'avaro, che ammucchia una quan­
tità di oro - una somma di verità - sempre più con­
siderevole. E neppure rassomiglia all'artista, che ripren­
de sempre da capo un abbozzo per renderlo ogni volta
meno imperfetto e per riposarsi finalmente nel godi­
mento estetico della sua opera. È piuttosto come il nuo­
tatore, che, per tenersi sui flutti, avanza nell'oceano co­
stretto a respingere una nuova onda a ogni bracciata 1 •
Esso scarta, incessantemente, le rappresentazioni che si
riformano sempre, ben sapendo che lo portano, ma che
arrestarsi significherebbe perire 8 •

5 1596-1634: discepolo preferito di Giovanni di Saint-Sam­


son. Cfr. H. BREMOND, Histoire littéraire du sentiment religieux
en France, t. Il, pp. 388-389.
6 Il Pellegrino Cherubico, 1. V, 41 (cfr. le due vers. ital.
sopra citate). Cfr. CLEMENTE DI Af.ESSANDRIA, 5° Stromata, tutto il
capitolo XII.
7 Cfr. l'espressione del Beato ENRICO SUSONE: e Bild mit
bilden us triben » cioè e Scacciare immagini con immagini ». Ve­
dere P. BrZET, Henri Suso et le déclin de la Scolastique (1946),
p. 280.
8 Sull'impossibilità di sottrarsi completamente quaggiù alla
immaginazione, si leggerà la bellissima meditazione di GUGI.IEL-

179
Quantumcumque in altum cogitatio proficiat, ultra
est 0 •
Si comprehendisti, non est Deus. Si comprehendere
potuisti, aliud pro Deo comprehendisti. Si quasi com­
prehendere potuisti, cogitatione tua te decepisti 1 0•

MO DI SAINT-THIERRY, Meditativae orationes, medit. II: « Stat


igitur oratura Deum suum pavida et stupens anima, semetipsam
in manibus suis semper portans, quasi eam tibi oblatura; pavida
a consuetis, stupens ad insolita, ad inveniendum te portans si­
gnaculum fidei meae; sed non adhuc inveniens cui illud resolvat ;
vultum tuum, Domine, vultum tuum requirens, nec sciens, nec
omnino nesciens quid requirat. Cordis sui phantasmata de te
abominatur ut idola. Amat te, qualem te sibi fides describit; sed
mens videre non sufficit. Ardensque faciei tuae desiderio, cui
sacrificium pietatis et justitiae suae offerat, oblationes et holo­
causta, cum defertur, magis turbatur. Et cum non tam cito fidei
tuae, cui se credidit, impetrat muminationem, in tantum non­
nunquam stupescit, ut credere se in te vix sibi credat, ut oderit
se, quia, ut sibi videtur, non te amat. Absit autem ut non credat
in te, qui sic anxiatur desiderio tui, ut non amet te, qui deside­
rat te usque ad contemptum omnium quae sunt, et etiam sui!
Usquequo, Domine, usquequo? Tu, si non illuminas lucernam
meam, si non illuminas tenebras meas, non eripiar ab hac
tentatione, nec, nisi in te, Deo meo, transgrediar murum hunc »
(ed. M. Davy, pp. �5 e 68-70).
Vedere pure s. GREGORIO NAZIANZENO, Discorso 28, c. XII (P.
G.,q. LXXXIV, a. 7).
9 SAN BERNARDO, De consideratione, I. V, c. VII, n. 16 (P. L.,
CLXXXII , 798; cfr. vers. ital. più volte citata).
IO SANT'AGOSTINO, Sermo 52, n. 16 ( P.L., XXXVIII, 360) ;
Sermo 117, n. 5: « De Deo loquimur. Quid mirum, si non com­
prehendis? Si comprehendis, non est Deus... Attingere aliquan­
tulum mente Deum, magna beatitudo; comprehendere autem,
omnino impossibile» (P. L., XXXVIII, 663). Pensiamo che sia
togliere efficacia al pensiero di Sant'Agostino dire con X. LE
BACHELBT (Dictionnaire de théologie catholique, t. IV, col 1110)
che in simili passi si tratta solo di scartare l'idea di una
« conoscenza perfetta», per cui « la conoscibilità divina si tro­
verebbe esaurita "· Questo genere di commenti che indeboliscono
è il segno di un'epoca in cui il pericolo urgente dell'agnosticismo
suscitava un'apologetica unilaterale e troppo affrettata, per es­
sere sempre sufficientemente ponderata. Già THé'.looRE oo R!lGNON
scriveva (op. cit., 1892, p. 45): « :E:. un'ingiuria gratuita ai Padri

180
. . . Quidquid scientia comprehenditur, scientis com­
prehensione finitur.
. . . Si finisti, non est Deus 11 •

***
Quando diciamo che Dio è ineffabile, non significa
che non se ne possa dire nulla di vero 12! Né significa

della Chiesa circondare il loro insegnamento con tante spiega­


zioni minimizzanti ». Per SAN TOMMASO, cfr. sopra c. IV, note
17 e 40.
Cfr. Il Libro della B. ANGELA DA FOLIGNO (a cura di G. De
Libero, Edizioni Paoline, Modena, 1955, p. 75: « Quando rientrai
in me stessa, conobbi con assoluta certezza che coloro che più
sentono di Dio meno possono parlarne e ciò per il fatto stesso
che sentono dell'infinito e dell'ineffabile e meno possono parlar­
ne. E io vorrei che quando tu vieni a predicare (qui si rivolge
al cronista) comprendessi ciò che io compresi, quando conobbi
di aver ospitato il Pellegrino: infatti io non avrei potuto dire
assolutamente niente di Dio, e ogni uomo, in simile caso, sarebbe
restato muto. lo vorrei venire a te (se ti accadesse cosa simile) e
dirti: - Fratello, parlami un poco di Dio ora. - Tu nulla al
mondo sapresti dire o pensare di Dio, tanto la bontà di Dio
supererebbe te e le cose che tu potessi dire o, in· qualche modo,
pensare. E ciò non accade, perché l'anima perda la coscienza di
se stessa o qualche sensibilità del corpo: essa è integra in sé.
Tu pertanto diresti al popolo, con tutta convinzione: - Andate
con la benedizione, perché io di Dio non posso dirvi nulla! - ».
Una elevazione analoga si trova presso MAIMONIDE, Le Guide
des égarés: « Lode a Colui che è tanto in alto che, quando le
intelligenze ne contemplano l'essenza, e quando esaminano come
le sue azioni risultino dalla sua volontà, la loro scienza si cam­
bia in ignoranza, e quando le lingue vogliono glorificarlo con
attributi, ogni eloquenza diviene un debole balbettio » (vers.
frane. di S. Munk, t. I, pp. 247-248). Qui non ricerchiamo se la
dottrina di Maimonide abbia saputo rendere in maniera del
tutto soddisfacente questi pensieri tradizionali. Precisazioni in
SAN TOMMASO, Prima, q. XIII, a. 12.
1l SANT'AGOSTINO, De Civitate Dei, J. XII, c. XVIII (P. L., XLI,
368) ; Sermo 53, c. XI, n. 12 (P. L., xxxvm, 370). Cfr. PsEUDO-DIO­
NIGI, Lettera a Gaio, I (vers. ital. di E. Turolla, op. cit., p. 320).
12 SANT'ANSELMO, Monologio, c. LXV: Sic ergo illa natura et

181
che non vi sia nulla da dire a suo riguardo, che di lui
dobbiamo senz'altro tacere, che gli attributi dati a lui
dagli uomini siano tutti sinonimi, o che senza discri­
minazione tutto si possa affermare di lui o tutto nega­
re 13 • E neanche signifìca che tutto ciò che se ne dice
non abbia che valore pragmatico e provvisorio. L'inef­
fabilità divina è riconosciuta al termine di una dialettica,
da cui essa trae signifìcato preciso, eminentemente posi­
tivo. Chi la professa non si perde nel vuoto e nell'in­
distinto, ma compie e corona uno sforzo di rigore nel
pensiero. Né annulla i risultati di questo sforzo, ma ne
raccoglie il frutto nella sua stessa negazione.
Altrettanto, anzi più che in qualsiasi altro argomen­
to, le nostre idee concernenti Dio chiedono di essere
condotte con ordine. Nulla sarebbe peggiore di una
« teologia negativa » che giungesse prematura. Il giuo­
co dell'affermazione e della negazione non è un giuoco
senza regole. Le diverse qualità di Dio che vengono
affermate - e che, d'altronde, non lo sono tutte al me­
desimo titolo né al medesimo modo - non si identifi­
cano, come dev'essere, che trascendendosi e negandosi,
ecc. Dio dunque non è ineffabile nel senso che sia inin­
telligibile, ma è ineffabile perché resta sempre al di
sopra di tutto ciò che ne possiamo dire.
Egli è sempre al di sopra di tutto quanto effettiva-

ineffabilis est, quia per verba, sicuti est nullatenus valet aesti­
mari ; et falsum non est, si quid de illa, ratione docente, per
aliud velut in aenigmate potest aestimari » (P. L., CLVIII, 212 B).
1 3 Vedere ad esempio la proposizione condannata nel 1348:
« Quod propositiones: Deus est, Deus non est. penitus idem
significat, Iicet alio modo ». Errores Nicolai de Ultricuria, n. 3
(DENZINGER-BANNWART, op. cit., n. 555, p. 222).

182
mente se ne deve dire da principio, e che non sarà mai
semplicemente rinnegato: infatti negare non è rinne­
gare, poiché è sempre la stessa attrattiva del Dio semper
major che prima fa affermare, poi negare nel corso di
un medesimo moto, cioè di una medesima affermazione.
L'ineffabilità non è che un altro nome della trascen­
denza assoluta. Il silenzio non è al principio, ma è al
termine.
Diximusne aliquid et sonuimus aliquid dignum Deo?
Imo vero nihil me aliud quam dicere voluisse sentio:
si autem dixi, non est quod dicere volui. Et fit nescio
quae pugna verborum, quoniam si illud est ineffabile,
quod dici non potes, non est ineffabile quod vel ineffa­
bile dici potes. Quae pugna verborum silentio cavenda
potius quam voce pacanda est... 1 4 •

***
.. .In fondo, nella dialettica delle tre vie che dànno
accesso alla conoscenza umana di Dio (affirmatio, seu
positio; negatio, seu remotio; eminentia, seu transcen­
dentia), la via eminentiae, più che succedere alla via ne­
gationis, la esige, la ispira e la guida. Se essa è ultima,
è perché già essa stessa è segretamente in primo luogo,
superiore e anteriore alla stessa via affirmationis. Essa

14 SANT'AGOSTINO, De doctrina christiana, l. I, c. IV (P. L., 34,


21). SAN TOMMASO, In Boetium de Trinitate, q. II, a. I, ad 6m:
« Deus honoratur silentio, non quod de ipso nihil dicamus vel
inquiramus: sed quia intelligimus nos ab ejus comprehensiune
defecisse. Unde Eccli., 43, 32: Glorificantes Dominum quantum
cumque potueritis, supervalebit adhuc, et admirabilis magnifi­
centia ejus. Benedicentes Dominum, exaltate illum quantum
potestis: major est enim omni laude ».

183
resta incessantemente la luce e la norma, senza poter
mai prendere forma definitiva riguardo all'intelligenza;
nube luminosa che non lascia di indicarci il giusto cam­
mino nel deserto del nostro pellegrinaggio terreno; for­
za segreta, che suscita le operazioni della conoscenza
oggettiva, e in segu ito le costringe a correggersi. È per
questo che senza timore, dopo le prime affermazioni
necessariamente superabili, si può impegnarsi, per non
uscirne più, nella via negationis. Compresa e posta così,
essa è solo apparentemente negativa, o è negatrice di sole
apparenze. In altri termini, forse più esatti, per quanto
essa sia realmente negativa, e negativa senza ritorni, la
via negationis è tutto l'opposto di una via negatrice.
Negatività non è negazione. La « teologia negati­
va », teologia che moltiplica le negazioni, non è tuttavia
una teologia di negazione. Il moto di negatività che la
distingue non è un rimettere in questione, così come il
moto di trascendenza o di eminenza che essa implica
non è un ritorno indietro.
Di conseguenza, l'affermazione resta sempre, trion­
fa sempre, e nella sua forma più alta; trionfa mediante
la negazione, che utilizza come unico mezzo per suppli­
re alla propria insufficienza.
E trionfa nella negazione stessa, nella negazione che
non la elimina, ma la costringe a superarsi e che non
è se non l'aspetto del moto di trascendenza che si può
cogliere oggettivamente 1 5 • Essa trionfa sempre perché
15 Cfr. SAN TOMMASO, Contra Gentiles, I. I, c. xxx: « Modus
autem supereminentiae... significari non potest, nisi per nega­
tionem ... , ve! etiam per relationem ipsius (Dei) ad alia ». Prima,
q. XIII, a. 1: « Cognoscitur (Deus ) a nobis ex creaturis secundum
habitudinem principii, et per modum excellentiae et remotio-

184
è la prima e perché tutto si svolge necessariamente sotto
il suo segno; è certa di trionfare alla fine, perché nono­
stante molti indizi, che possono ingannare, è in fondo
lo spirito stesso.
Lo spirito non è, come si è preteso, « quello che
nega », ma quello che afferma. Lo spirito non è rivol­
ta né opposizione né rifiuto, ma è adesione. Tutte le
sue negazioni e le sue rivolte, tutte le sue opposizioni
e tutti i suoi rifiuti, in ciò che hanno di fondato, si spie­
gano con le esigenze di questa affermazione e di questa
adesione. Se queste esigenze restassero misconosciute,
lo spirito, infedele alla sua legge, ricadrebbe nella schia­
vitù delle forze naturali, da cui si era affrancato, e da
cui deve affrancarsi perennemente, mediante le sue ne­
gazioni, le sue opposizioni, le sue rivolte, i suoi dinieghi.
***
« Un'analogia che partisse solamente dal basso non
potrebbe riuscire a nulla. Per quanto la si voglia nega­
tiva, bisogna nondimeno che si possieda già in qualche
modo, se non altro sotto forma di aspirazione o di biso­
gno, ciò che si cerca di raggiungere indirettamente. Se
parto dalla mia esperienza e dalle mie rappresentazioni
della giustizia o dell'amore, e cerco, con l'analogia e
con la negazione di tutti i limiti, di qualificare Dio come
Giustizia o Amore assoluti, sorge un'alternativa.

nis ». G. Sc:oro, De divisione naturae, I. I, n. 14: « Essentia est,


affinnatio ; essentia non est, abdicatio ; superessentialis est, af­
firmatio simul et abdicatio. In superficie etenim negatione caret ;
in intellectu negatione pollet. Nam qui dicit, superessentialis
est, non quid est dicit, sed quid non est ; dicit enim essentiam
non esse, sed plus quam essentiam » (P. L., cxxn, 462 D).

185
O la sostanza del mio processo è una specie di estra­
polazione per cui ciò che viene proiettato nella regione
inaccessibile resta fondamentalmente omogeneo al pun­
to di partenza; nel qual caso non avremo che un Dio
fatto a nostra immagine e il processo è dello stesso tipo
del processo antropomorfico; oppure abbiamo in noi
(e, in realtà, è quello che si suppone) una possibilità,
una legge di superamento che ci fa porre, al di fuori
delle nostre valutazioni, un assoluto di giustizia e di amo­
re. Tale superamento non è concepibile, se fin dall'ini­
zio, questo assoluto in qualche modo non agisce in noi.
L'analogia va rovesciata; ciò che nella nostra esperienza
chiamiamo giustizia e amore, è tale solo perché confer­
ma o esprime qualche cosa di questa aspirazione o di
questa presenza » 1 8 •
***
« ... Hinc advertere est, quam longe agimus a sum­
mo Bono, qui carere culpam, justitiam, carere miseriam,
beatitudinem indicamus! » 1 7 •
* * *
In sostanza noi neghiamo di Dio tutto ciò che, par­
tendo dalla creatura, all'inizio abbiamo affermato. A
questa legge non sfugge nulla. Nessuna eccezione è con­
cepibile. Ma non neghiamo tutto nello stesso momento
della dialettica, né per le medesime ragioni, né alla
1e G. MADINIER, Conscience et signification ( 1952), pp. Ss-89.
17 Sermones de dedicatione Ecclesiae, IV, 5 (P. L., CLXXXIII,
529 B).

186
stessa maniera. Se è vero che c'è un abisso insupera­
bile tra l'Essere unico del Creatore e la totalità delle
creature, non è meno vero che nella partecipazione
delle creature all'Essere del Creatore vi sono gradi dif­
ferenti. Non è possibile porre sullo stesso piano, a uso
analogico, ciò che proviene dai sensi e ciò che proviene
dallo spirito, o ciò che è ottenuto con uno sforzo di
attrazione e ciò che è attinto dall'esperienza interiore.
Non è possibile assimilare l'antropomorfismo del corpo
e quello dell'anima, ecc. Inoltre, non distinguiamo solo,
come già faceva San Giustino, due specie di attributi
divini, concernenti gli uni Dio in se stesso e gli altri
le sue operazioni ad extra, per professare che i soli
nomi dei primi sono veri « nomi divini » 18• Con lo
Pseudo-Dionigi distinguiamo ciò che di Dio è detto
senza verità reale e ciò che è detto con verità, sebbene
quest'ultimo sia poi negato con maggior verità. Seguen­
do la tradizione agostiniana, distinguiamo l'immagine
di Dio da quella che ne è l'impronta (vestigia), più o
meno lontana, più o meno offuscata. Con Giovanni Scoto
Eriugena, tra i vocaboli che applichiamo a Dio, ne di­
stinguiamo alcuni « quasi propria », e altri che sono
« aliena, hoc est translata ». Con Sant'Anselmo distin­
guiamo ancora le qualità « non meliores quam non
ipsae » e le qualità « meliores quam non ipsae », richia­
mandoci che, se è vietato supporre che l'Essere perfetto
sia « aliquid quo melius sit aliquo modo non ipsum », è
però necessario confessare che è realmente « quidquid
omnino melius est quam ipsum » 1 9 • Infine distinguiamo,
18 SAN GIUSTINO, I Apol., 1, 3.
re G. Sroro, De praedestinatione, IX, 2 (P. L. CXXII, 390-391) ;

1 87
con tutta la Scuola, le « perfezioni miste », che in nes­
sun modo possono trovarsi in Dio, e le « perfezioni sem­
plici » o « pure », che debbono trovarvisi in maniera di­
versa che in noi.
Ora il risultato di queste distinzioni non è mai total­
mente abolito, come se esse non fossero state che illu­
sorie. Tanto altius creatrix essentia cognoscitur, quanto
per propinquiorem sibi creaturam indagatur 2 0 • Tale
principio non cessa mai di essere vero. Le nostre nega­
zioni, infine, riguardano tutto, ma sono pur sempre
relative e poste successivamente: perciò non si equival­
gono tra loro. Esse, se ci si consente questa immagine
troppo imperfetta, non si identificano alla base, sebbene
si ritrovino al vertice. Allora si verifica tra esse una
specie di « livellamento dall'alto ». I loro significati par­
ticolari restano diversi, diversissimi, pur sfociando tutti
insieme in questa costatazione obbligata che Dio è sem­
pre al di sopra.
I gradi di partecipazione sono reali e diversi, ma
« Egli (Dio) è la causa impartecipata di tutte le cose
partecipanti e di tutte le partecipazioni » 2 1 • La creatura
spirituale è simile a Dio, tuttavia Iddio « per eminenza
e per prelazione trascendente l'universo, in quanto è,

De divisione naturae, 1. I, 37 e 76 (480 B e 522 A-B). SANT'ANSELMO,


Monologio, c. xv (P. L., CLVIII, 161-164).
20 Id., ibid., c. LXVI: « Patet itaque, quia sicut sola est
mens rationalis inter omnes creaturas, quae ad ejus investigatio­
nem assurgere valeat, ita nihilominus eadem sola est, per quam
maxime ipsamet ad ejusdem inventionem perficere queat » (P.
L., CLVIII, 212-213 ).
21 PSEUDO-DIONIGI, Circa i divini nomi, c. XII, 4 '(vers. i tal. E.
Turolla) op. cit., p . 295.

188
non è simile a nulla » 22 • « Nessun principio d'unità o
di fecondità, né altra cosa alcuna o cosa qualsiasi cono­
sciuta dalle creature può dare esplicazione a quell'arca­
no, che trascende ogni cosa, ragione e mente, della su­
prema Divinità, in grado di eminenza per trascendenza
oltre l'essere dimorante; non c'è nome di Lei, non c'è
ragione; ma se ne sta distaccata e alta in inaccessibili
luoghi » 23 •
Tuttavia, come finiremmo il processo di negazione,
come proclameremmo con questa intrepidità che Dio
è sempre al di sopra, se non in virtù di qualche esigen­
za, perfino anteriore a ogni tentativo di concezione, cioè
in virtù di una specie di affermazione prima e invinci­
bile? È essa che ci forzerà, giunto il momento, a nega-

22 Id., ibid., c. IX, 6 (p. 282), ecc. Cfr. SAN TOMMASO, Contra

Gentiles, I. I, c. xxix: « Non igitur Deus creaturae assimilatur,


sed magis e converso ». A. VALENSIN S. J., A travers la métaphisi­
que (1925), p. 234: « Dio non può rassomigliare ad alcuno, essen­
do l'Assoluto a cui tutto si riferisce, mentre Lui a nulla ».
23 Id., ibid., c. xm, 3 (p. 298). Cfr. SAN TOMMASO, De Po­

tentia, q. VII, a. 5, ad 14m: « Illud est ultimum cognitionis hu­


manae de Deo, quod sciat se Deum nescire, in quantum cogno­
scit, id quod est Deus omne ipsum quod de eo intelligimus
excedere ». Nel Contra Gentiles, I, 30, San Tommaso distingue i
nomi che « absolute perfectionem absque defectu designant » e
quelli che specificano un modo proprio alla creatura ; ma è per
aggiungere subito: « Quantum ad modum significandi, omne no­
men cum defectu est », e ancora: « In omni nomine a nobis
dicto, quantum ad modum significandi imperfectio invenitur
quae Deo non competit, quamvis res significata aliquo eminenti
modo Deo conveniat ». Questo il Santo lo spiega con un esempio:
« Ut patet in nomine bonitatis et boni, nam bonitas significat
ut non subsistens, bonum autem ut concretum ». Da un altro
punto di vista egli distingue in Prima, q. XIII, a. 2, i nomi che si
dicono di Dio negative e quelli che si dicono absolute et afferma­
tive ; ma precisa che pure questi non rappresentano che imper­
fettamente l'essenza divina: perciò li dobbiamo ugualmente ne­
gare tali e quali per affermare in Dio la loro inafferrabile unità.

1 89
re tutto: essa non può dunque esser negata, poiché
raccoglie in sé quanto vi era di verità, di verità non
isolabile concettualmente, poiché non possiamo conce­
pire propriamente ciò che in Dio è il modus altior o
eminentior di cui parla San Tommaso, il modus quidam
singularis di cui parla Sant'Anselmo, in tutte le affer­
mazioni che essa ci fa respingere. Essa è l'anima perma­
nente delle nostre negazioni, e se giungiamo a rinne­
garla, il processo di negazione dovrebbe arrestarsi; allo­
ra per un immobilizzarsi del pensiero, che equivarreb­
be a negare che Dio sia sempre al di sopra, cadremmo
non nell'ateismo, ma nell'idolatria « attribuendo all'im­
magine ciò che non conviene che alla verità » 24 , per il
fatto stesso che attribuiremmo alla verità ciò che non
conviene che all'immagine.
La forza di negazione che è in noi non è dunque una
forza negativa: facendoci sempre affermare Dio, senza
mai permetterci di arrestarci a nulla indegno di Lui,
si manifesta alla riRessione come una forza doppiamen­
te positiva. Per mezzo del principio che la mette in ope­
ra; essa fa della nostra idea di Dio, sotto la negatività
della sua forma, una idea non semplicemente, ma emi­
nentemente positiva.
***
Noi non sappiamo di Dio ciò che è... Ma questo
può avere due significati. Un primo senso, volgare, <li
ignoranza generica, e che va respinto; un secondo sen-

2 4 N1coco' DA CusA, La dotta ignoranza, I. I c. XXVI, vers.


ital. di P. Rotta, Milano, 1929.

190
so, particolare, riguarda solo Dio: noi non sappiamo
ciò che Dio è, ma sappiamo ciò che Egli non è. O, piut­
tosto, noi diciamo di non sapere ciò che Egli è perché
sappiamo ciò che non è. Queste due ultime affermazioni
sono solidali. Difatto sono identiche. Non sapere ciò
che Dio è significa sapere ciò che Egli non è. E questa
è scienza altissima. Respingendo di Dio ogni significa­
zione che, tale e quale, converrebbe alla creatura, affer­
miamo che Dio partecipa di ogni creatura: in breve, noi
lo proclamiamo Dio.
Deus, qui melius nesciendo scitur 25 •

***

Nel problema della conoscenza di Dio quale si pre­


senta alla ragione movendo dalla conoscenza del mondo,
le due questioni an est e quid est devono essere più che
mai distinte assai accuratamente 26 • Non si può senza

25 SANT'AGOSTINO, De ordine, II, 16 ( P. L., XXXII, 1015). G.


Sano, De divisione naturae, I, 66 (P. L. CXXII, 510 B ). SANT'AN­
SELMO, Monologio, c. XXVI: « Quantum illud esse, quod per se est
quidquid, et de nihilo facit omne aliud esse, diversum est ab
eo esse, quod per aliud fit de nihilo quidquid est ; tantum
omnino distat summa substantia ab bis quae non sunt idem
quod ipsa. Cumque ipsa sola omnium naturarum habeat se, sine
alterius naturae auxilio, esse quidquid est: quomodo non est
singulariter, absque suae creaturae consortio, quidquid ipsa
est? Unde, si quando illi est cum aliis nominis alicuius commu­
nio, valde procul dubio intelligenda est diversa significatio »
(P. L., CLVIII, 179-180). Cfr. c. XXVII.
28 GUGI.IELMO DI SAINT-THIERRY, Aenigma -{idei, init.: « Hu­
manae infirmitatis religiosa confessio est, de Deo hoc solum
nosse, quod Deus est. Caeterum essentiam ejus vel naturam, et
secreta illa imperscrutabilis judicii ejus decreta investigare

191
dubbio affermare l'esistenza di un essere, qualunque
esso sia, senza darne almeno una qualche definizione 2 1 •
Ma una cosa è la definizione propriamente detta di una
essenza, e altra cosa è la determinazione di una fun­
zione. Nel caso di Dio, quale l'argomento lo pone, solo
quest'ultima è possibile, almeno sotto forma positiva,
e perché Dio possa esplicare la funzione attribuitagli
dall'argomento stesso che lo pone non è necessario sa­
perne di più; è anzi persino necessario non saperne
troppo.
In altre parole, perché la prova di Dio, movendo
dal mondo, sia valevole, perché sia veramente prova di
Dio, non è indispensabile che si possa, a rigore di ter·
mini, conoscere qualche cosa dell'essenza divina : sem­
bra, al contrario, indispensabile non poterne conoscere
nulla. Infatti solo cosl lo conosciamo come distinto da
tutto il resto. E se ne potessimo conoscere qualche cosa
nel senso in cui conosciamo qualche cosa del mondo o
degli oggetti del mondo, è che questa essenza, come le
altre, entrerebbe più o meno essa pure nelle categorie
del pensiero e cadrebbe nel « genere ».
Da quel momento anch'essa farebbe parte di questo
mondo e non ci sarebbe più di nessun aiuto per spie­
gare il mondo stesso. Sarebbe tutto da ricominciare e
noi saremmo nell'imbarazzo 28 •

quidem et perscrutari pium est ; quae tamen cum mens terrena


non penetret, inscrutabilia et investigabilia esse confidendU:m
est » (P. L., CLXXX, 397 B). Vedere al riguardo J. MARITAIN, Alla
ricerca di Dio, Edizioni Paoline, Roma, 1956, pp. 16-18.
27 SAN TOMMASO, In Boetium de Trinitate, q. v1, a. 3.
2s Un'argomentazione analoga si troverà in A. D. SERTIL­
LANGES, Les grandes thèses de la philosophie thomiste, pp. 48-49.

192
Ma da un lato, quale ricchezza di riflessione non tro­
va l'intelligenza nello stesso contrasto tra un mondo
che si lascia conoscere e spiegare e Colui senza il quale
questo mondo è nulla! Quale differenza non vede su
tutti i punti tra le ignoranze comuni e quest'ignoranza
qualificata! Quale scienza paradossale in questa ripulsa
di ogni scienza! Quale pienezza nel vuoto che si apre
dinanzi ad essa, quale luce nell'oscurità! Come potrebbe
non sentire che la sua impotenza di fronte a Colui
che non può definire è il segno evidente non d'una de­
ficienza ma di un incomparabile soprappiù? Hoc est
quod Deum aestimari facit, dum aestimari non capit 29 •
D'altra parte, lasciando il mondo e la sua spiegazio­
ne, non ha essa ancor più direttamente l'evidenza che,
più le sue negazioni diventano incalzanti e rigorose, più
sono comandate da una affermazione preliminare e in­
condizionata, la cui forza superiore a ogni altra non può
esprimersi diversamente ?

Per alcune cose da precisare vedere pure più sotto. Cfr. SAN
TOMMASO, Contra Gentiles, 1. I, c. XIV: « In consideratione sub­
stantiae divinae non possumus accipere quid quasi genus, nec
distinctionem ejus ab aliis rebus per aflìrmativas differentias
accipere possumus... Tunc de substantia ejus (Dei) erit propria
consideratio cum cognoscetur ut ab omnibus distinctus, non ta­
men erit perfecta cognitio quia non cognoscetur quid in se
sit ». Per alcuni passi da precisare concernenti il pensiero di
San Tommaso, cfr. H. F. DoNDAINB, O. P., Cognoscere de Deo
« quid est » in Recherches de théologie ancienne et médiévale,
t. XXII, 1955, pp. 72-78. G. Sroro, op. cit., I, 15: « Sed, ut ait
Sanctus Pater Augustinus in Libris de Trinitate, dum ad theolo­
giam, hoc est, ad divinae essentiae investigationem pervenitur,
categoriarum virtus omnino extinguitur » (P. L. CXXII, 463 B);
72: « •••lam nunc nullam categoriam in Deo cadere, incunctanter
intelligo » (518 B).
2 0 TERTULLIANO, Apologeticus, c. XVII (P. L., I, 376 A).

1 93
13. - Sulle vie di Dio
***
I nostri concetti hanno effettivamente il potere di
significare Dio, e tuttavia non possiamo, propriamente
parlando, cogliere Dio in nessuno di essi o, piuttosto, è
proprio questo non-cogliere che essi lo significano vera­
mente. Dio non sarebbe ciò che è, non sarebbe Dio, se
non fosse, non l'Inconoscibile, ma l'Inafferrabile 30 • Egli
resta dunque sempre al di sopra di tutto ciò che possia-
30 SAN TOMMASO, De Veritate, q. II, a. I, ad 9m: « Tunc
intellectus dicitur scire de aliquo, quid est, quando definit ipsum,
id est quando concipit aliquam formam de ipsa re quae per
omnia ipsi rei respondet. Jam autem ex dictis patet quod
quidquid intellectus noster de Deo concipit, est deficiens a
repraesentatione ejus; et ideo quid est ipsius Dei semper nobis
occultum remanet; et haec est summa cognitio quam de ipso
in statu viae habere possumus, ut cognoscamus Deum esse supra
omne id quod cogitamus de eo, ut patet per Dionysium ». Cfr.
De Veritate q. VIII, a. 1, ad 8m ; q_ x, a. 11, ad 4m: « Intellectuali
visione in statu viae Deus cognoscitur, non ut sciatur de eo quid
est, sed quid non est... » Prima, q. XIII, a. 2.
Commentando la dottrina tomista delle perfezioni di Dio,
E. GILSON (Le Thomisme, IV edizione, p. 171) scrive: « Senza
dubbio è per noi un preziosissimo guadagno sapere che Dio è
eterno, infinito, perfetto, intelligente e buono, ma non dimenti­
chiamo che il "come" di questi attributi ci sfugge, poiché se
alcune certezze dovessero farci dimenticare che l'essenza divina
ci resta sconosciuta quaggiù, sarebbe meglio per noi non posse­
derla mai. L'esistenza di Dio sfugge alla nostra comprensione.
Possiamo dunque concludere con Dionigi l'Areopagita, ponendo
la conoscenza più alta riguardante la natura divina che ci sia
permesso di acquistare in questa vita nella certezza che Dio resta
al di sopra di tutto ciò che pensiamo di Lui ».
Ciò non suppone in noi più che in San Tommaso una
« critica corrosiva della conoscenza intellettuale ,, o una « diffi­
denza nei riguardi del ragionamento ». D'altra parte, è ben vero
che « tutto il processo » qui contenuto « dei concetti di Dio non
si può spiegare oggettivamente che di fronte ad una analogia
dei nomi divini quasi univoca » e che essa « non è quella inse­
gnata da San Tommaso dopo il Concilio Lateranense ». Non ve­
diamo però perché si è creduto di poter supporre qui da parte

194
mo o pensiamo di Lui : Super omnia quae praeter ipsum
sunt et concipi possunt ineffabiliter excelsus 31 •
« L'Innominabile è il più bello di tutti i suoi nomi,
poiché lo pone di colpo al di sopra di tutto ciò che si
potrebbe tentare di dire di Lui» 32•
Parallelamente non ci è possibile racchiudere tutta
intera in una formula o in un argomento qualunque -
in quanto questo argomento stesso è formulato, e quin­
di particolareggiato nel tempo stesso che ridotto a uno
schema comune - l'operazione dello spirito che real­
mente e proprio per mezzo di questi argomenti e di que­
ste formule ci conduce fino a Dio. Ma come poco sopra
concludevamo che i nostri concetti hanno il potere effet­
tivo di significare Dio, così possiamo ora affermare che i
nostri argomenti non hanno forza probativa e non sono

nostra un'intenzione di criticare la dottrina di San Tommaso,


mentre ci appoggiamo su essa. Se si vuole, vi è « processo »
ma il processo è istruito (moderatamente ) da San Tommaso
stesso.
31 Concilio Vaticano I, Constitutio dogmatica de fide catho­

lica, c. I (DENZINGER-BANNWART, Enchiridion symbolorum, XI ed.


1911, n. 1781, p. 473). Oltre i testi già citati, vedere SANT'AM­
BROGIO, De Fide, I. I, c. x, n. 63: « Neque enim angustis sermoni­
bus nostris immensae magnitudinem possumus divinitatis inclu­
dere, cujus magnitudinis non est finis » (P. L. XVI, 543 A). O
SANT'AGOSTINO, In Psalmum 85, n. 12: « Non est hoc Deus... Et
quid est? Hoc solum potui dicere, quid non sit. Quaeris quid sit?
Quod oculus non vidit, nec auris audivit, nec in cor hominis
ascendit. Quid quaeris ut ascendat in linguam, quod in cor non
ascendit? » (P. L., XXXVII, 1090). M. OLIER, Traité des attributs
divins (citato da P. POURRAT in Dictionnaire de spiritualitè t. I,
col. 1089).
32 SANr'ALEERTO MAGNO, Summa theologiae, tract. III, q. XVI,

ad lm. Cfr. NICCOLÒ DA CusA, La Visione di Dio, c. XII: « Un'altis­


sima muraglia allontana da Te tutto ciò che si può esprimere e
pensare, poiché Tu sei indipendente da tutto ciò che il pensiero
di qualsiasi persona può raggiungere » (vers. frane. di E. Van­
steenberghe, 1925, p. 58).

195
quindi inutili. Senza di essi l'operazione fondamentale
dello spirito non potrebbe oggettivarsi e « prendere cor­
po », per cui non potremmo rendercene conto. Ma, co­
me molti filosofi hanno riconosciuto, questi diversi ar­
gomenti, considerati nella loro formulazione oggettiva e
particolare, non fanno altro che esprimere razionalmen­
te, ciascuno a suo modo, il moto essenziale dello spi­
rito 33 • La Presenza nascosta che lo suscita e lo mantiene
non è tale che si possa trascurare di convertirla in prova,
_ed è questo l'ufficio specifico della ragione. Ma quest'ul­
tima non capta mai nelle sue « vie », come in altrettanti
canali, che una parte della linfa sovrabbondante e sem­
pre rinnovata che costituisce la vita dello spirito e non
cessa di imprimergli il suo moto essenziale.
Infatti come l'Essere è al di sopra di ogni rappresen­
tazione 34 cosi lo spirito, nel suo palpito segreto, è al di
sopra di ogni processo logico analizzabile. O, se si prefe­
risce, è al di sotto, come la « radice comune » e la « mol­
la nascosta » di tutti i processi 35 •

33 E ciò che dice assai bene J. MARÉCHAL nella Nouvelle

revue théologique (1931), p. 198: « La diversità di vie o di argo­


menti segna la diversità di punti di appoggio che lo spirito si
dà, nel reale accessibile da vicino, per elevarsi di qui, con un
processo sempre sostanzialmente identico, fino all'assoluto tra­
scendente ».
34 Cfr. F. MARÉCHAL, Le point de départ de la métaphisique,

quad. V, p. 183: « Che Dio sia "essere" puramente e semplice­


mente e che la creatura sia "essere" e "essenza", che significa
se non che Dio non può essere rappresentato, per esprimersi
con esattezza, da alcuno dei nostri concetti oggettivi? Infatti
ogni concetto oggettivo delimita una "essenza" (e implica pure
una rappresentazione di origine sensibile) ». Vedi sopra, c. II,
nota 12.
35 Cfr. DE MoRÉ-PONTGIBAUD, loc. cit., pp. 506-507: « Questa

stessa direzione di pensiero è come la molla nascosta di tutte

1 96
E questo linguaggio, nella sua stessa verità, resta an­
cora inadeguato. In realtà, Colui che chiamiamo l'Essere
e che altri, correggendosi però subito, non hanno temu­
to di chiamare paradossalmente il « Nulla assoluto », il
« Niente » 38 , il « puro e nudo Nulla », il « Nulla eter­
no » 37 , non è rappresentato, a rigor di termini, dal con­
cetto di essere più che da qualsiasi altro concetto 38 • Si
può certamente dire - e talvolta si dovrà anche dire
per non svegliare l'errore in intelligenze mal provvedute
- che i nomi che diamo a Dio, e anzitutto il nome di

le prove dell'esistenza di Dio »; importa considerare queste


prove « nella loro radice comune ».
3 8 Cfr. ANGELA DA FOLIGNO, Vita, c. IV, n. 72 (Acta Sanct<>­
rum, Anversa, 1643, t. I, Jan., p. 197): « Vidi... in tenebra quia
est majus bonum quod nec possit cogitari ve! intelligi, et omne
quod potest cogitari ve! intelligi non attingit ad illud... Et nihil
videt omnino anima quod narrari possit ore, nec etiam concipi
corde, et nihil videt, et videt omnino omnia... » (cfr. Il Libro
della B. ANGELA DA FOLIGNO, a cura di G. De Libero, Edizioni Paer
line, Modena, 1955, p. 52). MAEsTRO ECKHART, Sull'Esodo: « In Deo
non est esse, sed puritas essendi... Deo ergo non competit esse
nisi talem puritatem vocem esse » (Magistri Echardi quaestiones
et sermo parisienses, ed. B. Geyer, 1931; vers. ital. di G. C.,
Prediche e trattati, Bologna, 1928). G. Scuro, op. cit., I. II (589 A-C)
e III (684-685 ).
3 7 HADEWIJSCH J.I, Poema I (FR. J. B. P., Hadewijch d'Anvers
1954, p. 134). ENRICO SusoNE, Dialogo della Verità, I, V, VI, vers.
ital. di Levasti, Carabba, Lanciano (1923).
38 Cfr. E. GILSON, Le Thomisme, IV ed., p. 150: In un « de­
siderio segreto di riscattare da una miseria troppo apparente
la conoscenza di Dio che ci accorda San Tommaso d'Aquino »,
si giunge « progressivamente a parlare dell'analogia come di una
sorgente di conoscenze quasi positive che ci permetterebbero
di concepire più o meno confusamente l'essenza di Dio ». Tut­
tavia, « far dire a San Tommaso che abbiamo una conoscenza
almeno imperfetta di ciò che Dio è, significa tradire il suo pen­
siero cosl come egli lo ha formulato più volte. Infatti non ha
detto solo che la visione dell'essenza divina ci è negata quaggiù,
ma ha dichiarato in termini propri che "riguardo a Dio vi è
qualche cosa del tutto sconosciuta all'uomo in questa vita e

1 97
« Essere », ce Lo rappresentano in qualche modo, seb­
bene assai imperfettamente. Ma se si vuole andare fino
all'estremo dell'esattezza, non si potrà aggiungere che
l'essenza divina non ha in noi una rappresentazione pro­
priamente detta e che non vi è un sol nome che, appli­
cato a Dio, Lo possa significare « quidditativamente » 39 •
Nullum est nomen Dei, quod ipsum quidditative signifi­
cet, seu repraesentet, et hac ratione merito ineffabilis di­
citur 40 • « L'esclusione di ogni elemento di definizione
riguardante Dio », si estende fin qui: ma giunge « fino

cioè sapere ciò che Dio è". Dire che quid est Deus è qualche
cosa di omnino ignotum per l'uomo in questa vita (In Epist. ad
Romanos, c. I, lectio 6), è porre ogni conoscenza, imperfetta o
perfetta, dell'essenza di Dio come radicalmente inaccessibile al­
l'uomo quaggiù. "San Paolo, ci dice San Tommaso, ha parlato
dell'invisibilia Dei perché ciò che in Dio risponde a questi nomi
o ragioni non è visto da noi" ».
se La conoscenza di Dio che San Tommaso ci accorda, dice
ancora E. GILSON (p. 154) « non influisce affatto sulla sua essenza,
cioè sul suo esse ». Ciò non impedisce, ben inteso, che noi pos­
siamo dare riguardo a Dio giudizi veri, poiché la direzione del
polo, verso cui essi orientano il nostro intelletto, ci è nota.
Perciò se non possiamo raggiungerlo, possiamo almeno rivolgerci
verso di Lui e saperlo con certezza. Di conseguenza « per sfug­
gire allo "agnosticismo di concetto" a cui alcuni male si adat­
tano, quando si tratta di Dio, non bisogna cercare rifugio in
un concetto più o meno imperfetto dell'essenza divina, ma nella
positività dei giudizi affermativi, che partendo dagli effetti multi­
pli di Dio, collocano, per così dire, il luogo metafisico di un'es­
senza che non possiamo assolutamente concepire » (pp. 156-157).
Così sembra possano essere ancor dati i testi tanto categorici in
cui San Tommaso, a proposito di Dio, ci rifiuta ogni conoscenza
del quid est, con quelli in cui egli osserva che, per Dio come
per ogni altro oggetto, la conoscenza del an est non va mai
senza una certa conoscenza del quid est. Vedere, ad esempio,
In Boetium de Trinitate, q. I, a. 2, c. e ad 2m, e q. VI, a. 3.
40 SUAREZ, Tractatus primus de divina substantia, I. Il, c.
XXXI, n. 10. Il che non gli impedisce di dire pure, n. 15: « Nomina
quae nobis imperfecte Deum repraesentant... ,. (Opera omnia,
edizione Vivès, t. I, pp. 184-185).

198
alla qualificazione di Dio in quanto essere» 41 • Deo quasi
ignoto conjungimur 42 •
Se definire è sempre più o meno determinare, come
si potrebbe definire Colui il cui essere esclude ogni de­
terminazione? » 43 • Non abbiamo paura di riconoscere ta­
le realtà contro tutte le tentazioni ontologiste, gli istinti
41 A. D. SERTILLANGES, in SAN TOMMASO D'AQUINO, Somme
théologique (edizione della « Revue des Jeunes »), Dieu, t. II, p.
383, commentando I Sent., d. 13, a. 1, ad 4m. Cfr. p. 341:
« L'essere che serve a chiamare Dio nell'espressione Colui che è,
non è l'essere di Dio, ma l'essere delle creature. Bisognerà
ricordarsene quando si dirà... che l'essere stesso non potrebbe
attribuirsi a Dio senza subire, come tutte le altre parole umane,
la trasposizione anologica ».
Cfr. SUAREZ, Disput., xxx, sectio 12, n. 10: « Licet cognosca­
mus Deum esse ipsum esse per essentiam, tamen, neque proprie
concipimus quale sit illud esse, neque etiam concipere possumus
quid sit ipsum esse per essentiam, nisi negationem scilicet,
quia esse est ens actu, id est, non ab alio, et propriam perfec­
tionem illius esse etiam per negationem declaramus, quia est in­
finitum » J. MARÉCHAL, Le Point de départ ecc., quad. V, pp.
176-177: « L'essere puro esclude ogni ulteriore determinazione,
perché non contiene alcuna specie di "potenza"... L'essere astrat­
to... è in potenza riguardo a ogni determinazione ». Cfr. SAN
TOMMASO, Prima, q. Ili, a. 4, ad lm.
42 SAN TOMMASO, Prima, q. Xli, a. 13, ad lm: « Licet per
revelationem gratiae in hac vita non cognoscamus de Deo quid
est, et sic ei quasi ignoto conjungamur... ». De potentia, q. VII,
a. 5: « Dicendum quod, ex quo intellectus noster divinam sub­
stantiam non adaequat, hoc ipsum quod est Dei substantia
remanet nostrum intellectum excedens ; et ita a nobis ignoratur.
Et propter hoc, illud est ultimum, cognitionis humanae de Deo,
quod sciat se Deum nescire, in quantum cognoscit, illud, quod
Deus est, omne ipsum, quod de eo intelligimus excedere ».
43 In I Sent., d. 8, q. I, a. ad 4m: « Hoc nomen "qui est"
dicit esse absolutum et non determinatum per aliquid additum ;
et ideo dicit Damascenus quod non significat quid est Deus, sed
significat quoddam pelagus substantiae infinitum, quasi non de­
terminatum. Unde quando in Deum procedimus per viam re­
motionis, primo negamus ab eo corporalia ; et secundo etiam
intellectualia, secundum quod inveniuntur in creaturis, ut bo­
nitas et sapientia ; et tunc remanet tantum in intellectu nostro,

199
pragmatisti, o i meschini desideri di un Dio apparente­
mente più vicino. È questa una delle forme che deve

quia est, et nihil amplius; unde est sicut in quadam confusione.


Ad ultimum autem, etiam hoc ipsum esse, secundum quod est
in creaturis, ab ipso removemus; et tunc remanet in quadam
tenebra ignorantiae, secundum quam ignorantiam, quantum ad
statum viae pertinet, optime Dea conjungimur, ut dicit Diony­
sius; et haec est quaedam caliga, in qua Deus habitare dicitur ».
Contra Gentiles, I. III, c. xux: « Per effectus enim de Dea
cognoscimus quia est, et quod causa aliorum est, et aliis supe­
reminens et ab omnibus remotus; et hoc est ultimum et per­
fectissimum nostrae cognitionis in hac vita. Unde Dionysius dicit,
quod Dea quasi ignoto conjungimur; quod quidem contigit dum
de Deo quid non sit cognoscimus; quid vero sit, penitus manet
ignotum. Unde et ad hujus sublimissimae cognitionis ignoran­
tiam demostrandam, de Moyse dicitur, quod accessit ad cali­
ginem in qua erat Deus, Exod., 20, 21 ».
In I Tim., c. IV, lectio 3, in fine: « Dupliciter potest intel­
lectus accedere ad cognitionem naturae alicujus, scilicet ut
cognoscat et ut comprehendat. Ad comprehendendum autem
Deum, impossibile est intellectum pervenire... Sed alius modus
est cognoscendi Deum, scilicet attingendo eum. Et secundum
hoc, nullus intellectus creatus per propria naturalia attingit ad
cognoscendum id quod est Deus. Et ratio hujus est, quia nulla
potentia potest in aliquid altius suo objecto, sicut visus ad
altius cognoscere. Proprium autem objectum intellectus est,
quod quid est. Unde, quod superat quod quid est excedit pro­
portionem omnis intellectus. In Deo autem non est aliud esse et
quidditas ejus ».
Prima, q. XIII, a. 2, ad 3m: « Essentiam Dei in hac vita
cognoscere non possumus secundum quod in se est, sed cogno­
scimus eam secundum quod repraesentatur in perfectionibus
creaturarum ». Ci venne mossa l'obiezione su questo articolo.
San Tommaso vi tratta « de nominibus quae absolute et affir­
mative de Deo dicuntur, sicut bonus, sapiens et hujusmodi ». In
realtà, egli scarta l'opinione di quelli che vi vedono solo deno­
minazioni puramente negative, poi l'opinione di quelli che pen­
sano che tali nomi siano impiegati solo « ad significandum habi­
tudinem (Dei) ad creata ». Questi nomi si dicono di Dio, e cor­
rispondono a una realtà positiva, tuttavia « defìciunt a reprae­
sentatione ipsius ». Come spiega E. GILSON, op. cit., p. 200, nota
2, questo testo, sebbene in forma leggermente addolcita, o piutto­
sto meno completa, presenta in fondo la stessa ' dottrina degli
altri.

200
prendere il nostro amore della verità, ed è uno dei so­
stegni della nostra adorazione: Deus semper major. La
imperfezione costatata nella nostra rappresentazione por­
ta con sé, in un secondo tempo, la sua negazione: Deus,
de quo negationes, magis verae sunt 44 • Ma una volta di
più dovremmo comprendere che la negazione toglie sol­
tanto i limiti all'affermazione che la precedeva 45 ; di
conseguenza ancora una volta risulterà il senso, in fondo
tutto positivo, di questa negazione necessaria.
Tale « operazione dello spirito », da cui risulta l'af­
fermazione di Dio, non è un'operazione nel senso pro­
prio del termine, cioè nella sua accezione comune. O,
per lo meno, non è soprattutto ciò. È piuttosto, nel
suo primo istante logico, una recezione, un'ouverture
sostanziale, un accoglimento; di conseguenza una prima
passività.
Essa non è attività che in maniera derivata. Anche
qui il linguaggio spontaneo deve essere corretto o alme­
no controllato accuratamente. « Noi riceviamo, inces­
santemente, una ragione superiore a noi ». Partecipia­
mo a una luce che viene molto dall'alto, la nostra intel­
ligenza non afferma l'Assoluto - con un affermare sem­
pre astratto - senza essere stata afferrata da Lui 40 • È
44 ISACCO DELLA STELLA, In Sexagesima sermo V: « Proprius
enim de illo omnia negamus quam omnium aliquid affirmamus »
(P. L., CXCIV, 1762 C).
45 J. ALVAREZ DE PAZ S. J., De inquisitione pacis, I. V. P. I..
app. III, c. 1: « In Deo, ut Dionysius sapienter animadvertit,
istae affirmationes et negationes non sunt oppositae: quia cum
Deo, v. g., sapientiam attribuimus, perfectionem illam, qua
seipsum et cuncta in se cognoscit, concedimus: cum vero eam­
dem sapientiam subtrahimus, modum illum sapientiae limita­
tum, quo eam concipimus, denegamus » (Opera, t. VI, p. 463).
48 F�NELON, Traité de l'existence de Dieu, prima parte, c. u.

201
ciò che si esprimerà dicendo, con una tradizione che
risale a San Paolo, che se vi è conoscenza di Dio, anche
naturale, in fine dei conti è per « rivelazione » di Dio 4 7 •
« Per essere illuminato bisogna essere guardato » 48 •
« Signum est super nos lumen Vultus tui, Domine! » 49 •

n. 56. Cfr. J. MARÉCHAL, prima redazione del Point de départ de la


métaphysique (Lovanio, 1917): « La metafisica è la scienza uma­
na dell'assoluto. Essa traduce immediatamente la presa (o affer­
ramento) della nostra intelligenza da parte dell'assoluto ; presa
che non è un giogo subìto dall'esterno, ma un principio interno
di vita » Mélanges I. Maréchal, t. I, p. 7 e p. 239. A. HAYEN,
che ha curato questo testo, fa rilevare in nota: « Il Padre non
scrive: "la presa dell'assoluto da parte della nostra intelligenza".
Ciò è molto significativo, ed esprime con forza l'idea che abbia­
mo voluto mettere in rilievo a più riprese. Già nella nostra cono­
scenza naturale noi afferriamo in qualche modo Dio soltanto
dopo essere "afferrati" da Lui. C'è qui, mutatis mutandis, sul pia­
no della natura e della ragione, l'analogo di ciò che scriveva San
Paolo, Gal. 4, 9 ; "Ora che avete conosciuto Dio o piuttosto che
siete stati conosciuti da Lui..." Cfr. L. LAVELLE, loc. cit., p. 12:
« Nell'intimo del pensiero, vi è un'identità segreta tra la nostra
attività e la nostra passività ».
4 7 SAN MASSIMO CONFESSORE, Capitula theologica et oecono­
mica, cent. I, c. xxv: « In nessun caso l'anima può giungere fino
alla conoscenza di Dio, se Dio stesso non si abbassa ad essa per
innalzarla fino a Lui. Poiché lo spirito umano non avrebbe mai
la forza di compiere una corsa sufficiente per raggiungere qual­
che cosa della luce divina, se Dio non l'attira a Sé - per
quanto è possibile allo spirito umano di essere così attirato - e
non lo illumina delle sue proprie chiarezze » (P. G., xc, 10'J3-10'J6).
Si vede ora come è possibile intendere tali testi (che non fanno
che riprendere e sviluppare affermazioni, che si trovavano già
in Sant'Ireneo: cfr. sopra il capitolo preliminare, note 11-12).
48 V. PouCEL, vedi sopra, c. I, note 7-12. Cfr. P. DEMIÉVILLE,
Le Concile de Lhasa (1952), p. 78, nota 2: « L'espressione fan
tchao generalmente significa riflettere. Ma per un'associazione
che risale senza dubbio alle credenze taoistiche - le quali para­
gonano gli occhi a due sorgenti di luce: il sole e la luna -
il termine tchao vuol dire a un tempo illuminare e guardare ».
49 Salmo 4, 6, SAN TOMMASO rinvia a questo 'versetto nella
spiegazione di Rom., 1, 20: « Quod notum est Dei, manifestum
est in illis "• a proposito del « lumen rationis inditum » ; così in

202
***
Quando se ne sa il nome, si crede di possedere la
cosa. Si crede di possedere l'essere. Ma è forse meglio
non credere troppo presto di poter dare un nome a
Dio 50 •
Non ignorabatur Dei nomen, sed piane Deus ignora­
batur.
« Egli resta fuori dei nomi che gli vengono dati » 51 •

Prima, q. LXXXIV, a. v ; cfr. Prima Secundae, q. XIX, a. IV ;


q. XCI, a. II, ecc. SAN BONAVENTURA In Ile. Sent., d. 24, P. I, a. II,
q. IV; d. 17, P. I, q. IV.
Cfr. SAN ROBERTO BELLARMINO, In Psalmum IV, 7: « Lumen
rationalis naturalis... signatum est et impressum indelebiter
super nos, id est, in suprema parte hominis... In hac igitur su­
prema parte est lumen quo distinguimur a bestiis ; estque hoc
lumen derivatum a Vultu Dei, quia id nos facit esse ad ima­
ginem et similitudinem Dei "· Opera, t. X, pp. 25-26. D. Soro, In
Epist. ad Romanos, c. I: « Igitur lumen ipsum naturale, de quo
ait Propheta, "signatum est super nos lumen Vultus tui, Domi­
ne", appellat, et quidem meritissimo, manifestationem Dei »
(Anversa, 1550, p. 43).
50 SAN GREGORIO DI NISSA, Contra Eunomium, I. XII: « Come
dice l'Apostolo: Il solo nome che conviene a Dio è di credere
che Egli è al di sopra di ogni nome. Invero il fatto ·che Egli
trascende ogni moto del pensiero e che è al di fuori di ogni pos­
sibilità di essere compreso nel nome, costituisce la prova della
Sua grandezza, che l'uomo non può esprimere ,. (P. G., XLV, 1 108,
C). Cfr. ISACCO DELLA STELLA, In Sexagesima Sermo VI: « Manife­
stum est cum de Dei ineffabilis supernatura aut verbo loqui
cogimur, qui silere non sinimur, sicut nullum excogitari potest
nomen exsprimens de quo dicitur, sic nec verbum proprie
significans id de quo recte dicitur ,. (P. L., cxciv, 1768, B).
51 SANT'ILARIO. MAEsTRO EcKHART, Discorso sulla ricchezza di
Dio in Prediche e trattati, vers. ital. di G. C., Bologna, 1928,
discorso XIII.

203
***
« Quid ergo est Deus? - Quod ad universum spec­
tat, finis; quod ad electionem, salus; quod ad se, Ipse
novit » 52 •

***
Non si deve dire: Dio non è buono; e mcompren­
sibile; ma bisogna piuttosto dire: Dio è la Bontà stessa,
ed è appunto tale Bontà che io non posso comprendere.
Non si deve dire: Dio non è Padre, Egli è Abisso; ma
si deve dire: « Dio è un Abisso di Paternità » 53 •

***
Supponendo che per l'intelligenza non sia impossi­
bile riunire in sé l'Universo e sviscerarne in un modo o
nell'altro l'essenza intelligibile, si può credere che ciò
sia cosa degiderabile? Non sarebbe piuttosto una cosa or­
ribile ? Perché ? Non più possibilità di scoperte, non più
possibilità di meraviglia! Non più davanti a me nuove
profondità da esplorare! « O desiderio di desiderare ! -

52SAN BERNARDO, De Consideratione, 1. V, c. XI, n. 24 (P. L.,


CLXXXII, 802; cfr. la più volte citata vers. ital.). Cfr. De Diversis
sermo VIII, n. 1: « Quod diversis nominibus Deum nunc quidem
Patrem, nunc Magistrum vocemus aut Dominum, non illius
simplicissimae et omnino invariabilis naturae diversitas ulla in
causa est: sed affectionum nostrarum multiplex variatio secun­
dum diversos profectus animae vel defectus » (P. L., CLXXXIII, 561
A). In Cantica Canticorum sermo LI, n. 7: « Ubi, quaeso, inve­
nias verba quibus illam majestatem vel digne assignes vel pro­
prie proloquaris vel competenter definias? " (1028 A).
53 0RIGENE, In Numer., Horn. XVI, n. 4; In Joannem, II, 2, ecc.

204
grida Zaratustra - o fame divorante nella sazietà! » 5 4 •
E senza romanticismo da Prometeo già Il Pellegrino
cherubico diceva:

Il mondo è per me troppo stretto, il cielo troppo piccolo!


Dove si troverà ancora uno spazio per l'anima mia?
Quello che il Cherubino sa non mi può bastare:
Io voglio volare più alto di lui, nell'Ignoto 55 •

Si pensi all'uomo che, per un patto stretto col de­


monio, aveva ottenuto il sapere universale. Prigioniero
nel carcere di questo sapere, « passava la giornata a
stendere le ali per attraversare le sfere luminose di cui
aveva l'intuizione netta e disperante... Egli anelava
l'ignoto poiché conosceva tutto » 58 • Dio solo è degno
dell'intelligenza e Dio solo può soddisfarla, perché Egli
è inesauribile : « Non abbiamo noi il diritto di non vede­
re Dio? ... Nel fatto di non conoscer Lo, io Lo cono­
sco » 5 1 .

54 F. NIETZSCHE, Così parlò Zaratustra, due vers. ital., Bocca,


Torino ; Sociale, Milano, 1926-1927.
55 ANGELO Sn.ESIO, Il Pellegrino cherubico, I. I, 187 e 284 (cfr.
le due vers. ital. più volte citate).
5 8 BALZAC, Melmoth réconcilié (personaggio di Castanier).
Cfr. A. Ba.urN, Balzac e la fine di Satana in Satana, Vita e Pen­
siero, Milano, 1954, pp. 359-368.
57 P. CLI.UDEL, La ville, seconda ed., p. 243 (ciò si applicherà,

mutatis mutandis, alla visione beatifica). Cfr. Art poétique, pp.


25 e 45. Lettera a Gabriel Frizeau, 20 gennaio 1904, a proposito
dei misteri della fede: Queste ombre sono care al cuore credente
quanto le chiarità stesse. Chi vorrebbe una verità assimilabile al
primo contatto, prostituita a tutte le curiosità? " (P. CLI.UDEL,
F. JAMMES, G. FRIZEAU, Correspondance, edita da A. Blanchet,
1952, p. 34). Lettera a Jacques Rivière, 12 marzo 1908: « Uscivo
alla fine dal laido mondo di Taine, di Renan e di altri Moloch
del XIX secolo, da questa galera, da questa struttura orrenda
governata interamente da leggi del tutto inflessibili e per colmo

205
***
« In questa vita bisogna parlar poco: si può parlare
del mondo, della materia, dell'anima, delle creature ra­
gionevoli buone o cattive, del giudizio, delle ricompen­
se, delle pene, delle sofferenze di Gesù Cristo; ma assai
sobriamente di Dio quando si vuole considerare, non
ciò che egli ha detto o fatto, ma ciò che egli è » 58 •
« Vi dirò, amici e discepoli miei, o miei cari emuli
nell'amore della verità, ciò che mi è capitato nella sua
ricerca.
» Correvo con un ardore infaticabile, come se al più
presto avessi dovuto raggiungere Dio; ero salito sulla
montagna, ero penetrato attraverso la nube con Mosè,
e, lontano da tutti gli oggetti materiali in cui il mio spi­
rito si era dissipato, ero rientrato in me stesso per
quanto mi era stato possibile. Ma, poiché allora io pen­
savo di poter posare gli occhi su Dio stesso e guardarlo
in viso, costatavo di poter appena scorgere nelle sue
opere il lato che egli volgeva dalla mia parte; inoltre non
ottenevo questa grazia che stando nascosto nella roccia,
cioè nel Verbo incarnato per la nostra salvezza. Ho dun­
que compreso che questa prima e purissima natura non
era conosciuta che da se stessa, che era nascosta da un
velo, che i Cherubini l'avvolgevano con le loro ali e la
d'orrore conoscibili e insegnabili ». Cfr. In H. URs VON BALTIIASAR,
Fenomenologia della verità, il bel capitolo sulla verità come mi­
stero, p. 196: « Lo svelamento dell'essere è come tale il suo
velo più opaco » (la citazione è tratta dalla vers. frane. sopra
citata).
5 8 SAN GREGORIO NAZIANZENO, Discorso 27, n. 10 (P. G., XXXIV,

25). Cfr. GREGORIO DI NISSA, Sull'Ecclesiastico, VII, (P. G., XLIV,


731-735).

206
coprivano come l'arca, e che a noi ne giungeva solo un
piccolo raggio.
» Così, chiunque tu sia, potrai divenire teologo
(cioè contemplatore della divinità), quando sarai un
Mosè e il Dio di Faraone; quando sarai un altro Paolo
e, rapito al terzo cielo, avrai inteso queste parole na­
scoste; quando, ancora più elevato di queste grandi ani­
me, avrai preso posto tra gli Angeli e gli Arcangeli,
poiché queste nature celesti e più che celesti, sono an­
cora più al di sotto della conoscenza di Dio di quanto
non siano al di sopra delle nature terrestri e corporali.
» Voglio esprimermi ancora in un altro inodo: un
teologo profano ha detto, con una sottigliezza finissima,
che è difficile conoscere Dio, ma del tutto impossibile
esprimere ciò che se ne pensa; io dirò piuttosto che è
impossibile esprimere a parole la grandezza di Dio e
darGli un nome, ma ancora più impossibile capirlo » 5 9 •
« Se questo discorso riprende qualche punto di cui
ho già parlato, nessuno se ne meravigli; infatti dirò le
stesse cose e sullo stesso argomento con quel fremito
della voce, dello spirito e del pensiero che provo ogni
volta che parlo di Dio e auspicando per voi la stessa lo­
devole e felice emozione » 60 •

***
Parola di Yahwèh a Mosè. Bisogna interpretare:
« Io sono Colui che sono », oppure: « Io sono chi so-

5 0 IDEM, Discorso 28, n. 3-4, (P. G., xxxvI, 29; ibid., pp.
58-60).
60 IDEM, Discorso 39 (P. G., XXXVI, 345 D).

207
no »? È l'Assoluto che si proclama o il Dio nascosto
che tace? Siamo davanti a una definizione o a un rifiuto
di definire?
Lasciando gli esegeti discutere tra loro - forse
qualcuno di essi troverà un'altra spiegazione, altre sfu­
mature 81 - perché non tenere contemporaneamente i
due sensi? Il primo può essere difficile da giustificare
così com'è con la grammatica o la situazione storica;
può darsi che il secondo dapprima sembri un po' arido
per la solennità dell'affermazione. Ma, in fondo, nella
loro opposta apparenza, non sono l'uno assai vicino
all'altro? 62 •

81 Si troverà un'esegesi dell'Esod. 3, 13--15, con la discussione

di diverse interpretazioni proposte in A. M. DUBARLE O. P., La si­


gnifìcation du nom de Y ahwèh (Revue des sciences philosophi­
ques et théologiques, 1951, pp. 3--21 ). L'articolo costituisce, per
quanto conosciamo, la migliore e più chiara spiegazione che si
sia avuta del problema. Contrariamente alla traduzione dei
Settanta, la parola di Dio a Mosè « è una risposta volontaria­
mente evasiva. Bisogna tradurla: - lo sono chi sono - o -
Io sono ciò che sono. - Dio non consente a dare un nome che
lo definisca » (p. 11 ). Infatti non è nella scena riportata nell'Eso­
do che si verifica il primo incontro tra il Dio di Abramo, di
Isacco e di Giacobbe e il Dio dei filosofi e dei sapienti » (Gn.soN) ;
« è più tardi, nel Libro della Sapienza » (p. 19). Tuttavia, il
Dubarle osserva con ragione che « può accadere e accade che
riprendendo le parole di un testo mal compreso un pensatore
riesca ad esprimere un pensiero vero, conforme in profondità
all'insegnamento biblico » (pp. 17-18). Vedere pure l'articolo più
recente di G. LAMBERT S. J., Que signifìe le nom divin JHWH?
(Nouvelle revue théologique, 1952, pp. 897-915). Più recentemente
ancora P. VAN IMSCHOOT, Théologie de l'Ancien Testament, I,
Dieu, 1954, pp. 15-17: « La risposta di Dio non è un rifiuto a dare
il suo nome » ; essa designa « un'esistenza che si manifesta atti­
vamente, un essere efficace più che l'essere assoluto » ; è l'« effi­
cacia dell'essere del Dio liberatore » ; egli è ed agisce con una
libertà assoluta: « Egli è colui che è ».
82 L. MAssrGNON, Soyons des Sémites spirituels in Dieu vivant,

xrv, 87: « La parola a Mosè, in ebraico: « Io sono Colui che mi

208
La prima formula è grande. Per quanto è possibile,
essa chiama Dio col nome che gli conviene in proprio,
col nome « che è più propriamente il nome suo che il
nome stesso di Dio » 63 • Egli è! Egli esiste ! Egli è l'Esi-

piace di essere », è infinitamente più forte e più libera che nel


greco dei Settanta, « lo sono il participio presente della copula
essere », e tutta la fatica della teologia cristiana che ha tratto
l'ontologia di questo « essere », si è appoggiata sulla potenza
iniziale, l'urto creatore dell'ebraico ». In senso opposto, per
esempio, A. Loos, Israel des origines au milieu du XII siècle
(1930), pp. 371-373.
6 3 SAN TOMMASO, Prima, q. XIII, a. II, ad lm: « Hoc no-­
men, "qui est", est magis proprium nomen Dei quam hoc nomen,
"Deus", quantum ad id a quo imponitur, scilicet ad esse, et
quantum ad modum significandi et consignificandi ». Cfr. E.
GILSON, L'esprit de la philosophie médiévale (23 ed., 1944, p. 50,
nota prima; vers. ital. Morcelliana, Brescia, 1947): « Natural­
mente non si tratta di sostenere che il testo dell'Esodo recava
agli uomini una definizione metafisica di Dio ; ma se nell'Esodo
non vi è metafisica, vi è una metafisica dell'Esodo, che vediamo
formarsi assai presto nei Padri della Chiesa, di cui i filosofi del
Medio Evo non hanno fatto che seguire e utilizzare le direttive
su questo punto ». Leggere le conclusioni del DUBARLE, art. cit.,
nota 32.
SANT'AGOSTINO, In Psalmum 134, n. 4: « Cum ergo sint et illa
quae fecit, venitur tamen ad illius comparationem, et tamquam
solus sit, dixit: "Ego sum qui sum", etc ... Non dixit, Dominus
Deus ille omnipotens, misericors, justus... Sublatis de medio
omnibus quibus appellari posset et dici Deus, ipsum esse se
vocari respondit; et tamquam hoc esset ei nomen: "Hoc dices
eis, inquit, qui est, misit me". Ita enim ille est, ut in ejus
comparatione ea quae facta sunt, non sint. Ilio non compa­
rato, sunt, quoniam ab illo sunt ; illi autem comparata, non
sunt » ( P. L., XXXVII, 1741).
SAN GIOVANNI DAMASCENO, De fide orthodoxa, I. I, c. IX (P. G.•
XCIV, 833). PIETRO LoMBARDO, Sentenze, I. I, dist. 8. SAN BoNAVEN­
TURA, In 4 Sent., I. I, d. 8, p. I, dub. 8: « Et ideo Hilarius dicit
quod esse non est accidens Deo », etc. (Quaracchi, t. I, p. 164).
SAN TOMMASO, Contra Gentiles, I. I, c. xxn: « Hanc autem subli­
mem veritatem Moyses a Domino est edoctus, qui, cum quaereret
a Domino, dicens: "Si dixerint ad me filii Israel: Quomodo est
nomen ejus? quid dicam eis?", Dominus respondit: "Ego sum
qui sum ; sic dices fìliis lsrael: Qui est misit me ad vos" (Es.

209
14. - Sulle vie di Dio
stere stesso! Esprimendo una verità « metafisica» essa
dà uno scorcio paradossale e impressionante, una defini­
zione astratta dell'« Essere supremo» che lo distingue
da ogni altro al tempo stesso che si rifiuta di assegnargli
un limite; in una parola, rivela l'Assoluto dell'Essere e
la sua eternità 64 • Non est tibi nisi, Est... Quidquid ibi
est, nonnisi est... Ego, inquit, sum qui sum. Magnum
ecce Est, magnum Est! 65 •

3, 13-14), ostendens suum proprium nomen esse: Qui est». Et


I. II, c. LII: « Hinc est quod proprium nomen Dei ponitur esse:
Qui est, quia ejus solius proprium est quod sua substantia non
sit aiud quam suum esse» (Commento in GILSON, op. cit., pp.
133-134).
Si potrà confrontare MAIMONIDE, Le Guide des égarés, I. I,
279-283: « Tutto il mistero è nella ripetizione, sotto forma di
attributo, della parola stessa che designa l'esistenza ... Esprimen­
do il primo nome, che è soggetto, e il secondo che gli serve
da attributo, con la medesima parola viene dichiarato, per modo
di dire, che il soggetto è identicamente la stessa cosa dell'attri­
buto. Vi è dunque in ciò un'applicazione di questa idea: che
esiste Dio, ma non l'esistenza; in modo che questa idea è rias­
sunta e interpretata così: L'Essere che è l'Essere, cioè l'Essere
necessario. Effettivamente è ciò che si può stabilire rigorosa­
mente per via dimostrativa, cioè che vi è qualche cosa la cui
esistenza è necessaria, e che non è mai stata né sarà mai
inesistente» (vers. frane. di S. Munk, t. I, pagine 279-283).
64 Si riconoscono qui le due principali correnti dell'inter­

pretazione tradizionale, riassunte nei due nomi di San Tommaso


e di S. Agostino. La differenza tra l'uno e l'altro è minore di
quanto talvolta si dice, poiché l'« Essere eterno » agostiniano
non è un banale « essere sempre»: l'eternità indica un modo di
essere, una profondità, e, per così dire, una densità di essere,
che risponde all'« Essere» tomista.
6s SANT'AGOSTINO, In Psalmum 101, sermo 2, n. 10 (P. L.,
XXXVII 1311); De moribus Ecclesiae catholicae, I. I, c. XIV, n. 24:
« Quod nihil aliud dicam esse, nisi idipsum esse " (P. L., XXXII,
1321); De Trinitate, I. V., c. II, n. 3 (P. L., XLII, 912). 0RIGENE,
De Oratione, c. XXIV (P. G., XI 492-493). SANT'IIARIO, De Trinitate,
I. I, c. v (P. L., x, 28). SAN BERNARDO, De consideratione, I. V, c. VI,
n. 13 (vedi vers. ital. più volte citata): « Qui es? - Non sane
occurrit melius, quam Qui est ; hoc ipse de se voluit responderi»

210
La seconda formula non è meno preziosa. Essa insi­
nua una personalità concreta che sfugge. « Io sono colui
che mi piace di essere ». È piena di una sacra riserva.
Senza affermarlo in sé, mette in rilievo, nella maniera
più semplice e più forte al tempo stesso, il mistero del­
l'Essere. Richiama « la distanza irriducibile tra ogni pa­
rola su Dio e la realtà misteriosa che deve essere espres­
sa » 66 • E così rivendica l'indipendenza sovrana del Dio
Vivente. Costituisce il primo manifesto contro ogni
idolatria nel pensiero 67 •
Da un lato, dunque, l'enigma persistente di Colui
che, nella sua sovranità, si sottrae: « Perché mi domandi
il mio nome ? » 68 • Dall'altro, una pura luce, diffusa do­
vunque, che si offre senza gelosia, ma troppo pura per
il nostro sguardo.
E le due accezioni finiscono col raggiungersi comple­
tamente nell'idea che « Colui che è » rimane per ciò

(P. L., CLXXXII, 795 D ) ; De diversis, IV, 2: « Ille autem qui idem
ipse est, qui dicit "Ego sum qui sum", veraciter est, cui est esse
quod est » (P. L., CLXXXIII, 552 C). DUNS Scoro, De primo prin­
cipio, I, I, ecc.
66 G. LAMBERT, art. cit., p. 915.
67 Cfr. R. GUARDINI, Le sérieux de l'amour divin in Dieu
vivant, XI: « Dio rifiuta ogni nome e ogni nozione esprimibili
cominciando dal mondo. Non assolutamente, poiché in molti
altri passi della Scrittura si chiama lui stesso il Vivente, il
Santo, il Giusto, l'Onnipotente, e in altri modi. Tuttavia in
quest'ora, all'esordio decisivo della storia sacra, egli dice: Non
v'è nome per me da parte del mondo, e finché voi mi accettate
come Tale. Più tardi potrete nominarmi sulla base dell'espe­
rienza e della conoscenza, ma partendo da questa conversione
compiuta con la prima obbedienza della fede "· E E. ORTIGUES,
Le temps de la Parole ( 1954), p. 22: « La teofania non è stata un
rifiuto di spiegazione, ma la spiegazione è consistita nel far
conoscere il carattere enigmatico, misterioso del nome divino ».
68 Gen., 32, 30 ; cfr. Giudici, 13, 18; Esodo, 33, 34.

21 1
stesso al di sopra di ogni designazione come al di sopra
di ogni possibilità di raggiungerlo nella sua urgenza per­
manente, ma, nello stesso tempo, nel suo segreto inviola­
bile. Nomen quod est super omne nomen 69 •

***
« L'essere senza limiti è pure senza nome » 70 • Molti
mistici lo affermano, ma vi sono due maniere opposte
di intenderlo.

***
« L'essere senza limiti e senza nome » non è la Di­
vinità indifferenziata, non è il Principio impersonale,
l'Unità vuota, la « Possibilità universale » ... Non l'Es­
sere « che per se stesso (se si potesse parlar cosi) sa­
rebbe senza forma, e che ogni tentativo di concepire tra-

es Questo « nome al di sopra di ogni nome », al di sopra di


qualsivoglia nome che possa esser nominato, non solo in questo
mondo, ma anche nel mondo avvenire, questo nome che il
Cristo riceve in quanto Signore, è il nome divino (Adonai), cioè
il nome stesso di Dio, il Nome che non può essere detto. Filipp.,
2, 9; Efes. 1, 21. Cfr. SAN GREGORIO DI NISSA, Adversus Euno­
mium, I, XI, a proposito di Filipp. 2, 9: e: Egli è semplicemente,
poiché egli non ha nome che possa farne conoscere l'essenza; ma
un nome che è posto al di sopra di ogni designazione per mezzo
di nomi. Così l'Apostolo scrive che il di lui nome è al di sopra
di ogni nome. Non come qualche cosa di particolare, a cui è
data la preferenza in tutto il resto, ma perché "Colui che è" è
al di sopra di ogni nome » (P. G., XLV, 873 A), cfr. P. HENRY S. J.,
in Supplément au Dictionnaire de la Bible, art. Kénose, col. 35
e 134.
7 0 ENRICO SusoNE, Dialogo della verità, vers. itàl. di Levasti,
Carabba, Lanciano, 1923, in principio.

212
direbbe dall'inizio: ma al contrario « omnem conceptum
excedens ineffabilis Forma » 7 1 •
L'Essere « indeterminato » non per povertà, ma per
sovrabbondanza; non un Essere che in sé non offrirebbe
nulla di inafferrabile perché sarebbe diluito come lo spa­
zio, ma l'Essere misterioso, la Condensazione suprema,
il Nucleo personale inviolabile. L'Essere infinito, ma di
una infinità intensiva, che ne fa al tempo stesso l'Essere
perfetto. Colui che effettivamente non può essere nomi­
nato come non può essere compreso, ma perché Egli è
al di sopra di ogni nome. Se è vero che in ciascuno di
noi l'ultimo segreto è la propria personalità, Dio è nasco­
sto per eccellenza perché Egli è per eccellenza l'Essere
personale. Egli è Colui « donde proviene e prende nome
ogni personalità ». Il « Supremo Qualcuno » 12 •
***
Ilept 0eou, x.d -rocì,!j0'ìj ìl:ye.v, zfvSuvoç ou µo�p6ç.
Parlare di Dio, anche in termini appropriati, è un
rischio non piccolo 73 •
***
« Semplicità madre dell'Essere
In Dio non v'è nulla che non sia trasparente.
Non si vede nulla che non penetri
Questo tutto in forma di nulla ... » 74 •

7 1 N1coù> DA CusA, La dotta ignoranza, vers. ital. di P.


Rotta, Milano, 1929.
7 2 P. TEILHARD DE CHARDIN, Le phénomène humain (1955).

7 8 OluGENE, In Psalm. I, II (P. G., XII, 1080 A).


74 P. EMMANUEL, Simplicité (Visage Nuage, 1955, p. 84).
Cfr. M. SANDAEUS S. J., Pro Theologia mystica clavis (1640), p. 288:

213
* * *
« ... Tu sei cosl grande e cosl puro nella tua perfe­
zione che tutto quanto mischio di mio all'idea che ho di
te fa sl che subito non sia più tu. Io passo la vita a
contemplare il tuo infinito; lo vedo, né saprei dubitar­
ne; ma appena voglio comprenderlo mi sfugge; non è
più lui e ricado nel finito. Ne vedo abbastanza per con­
traddirmi e riprendermi tutte le volte che ho concepito
ciò che è meno di Te; ma appena mi sono rialzato, torno
a cadere per il mio stesso peso » 75 •
... Succumbat ergo humana infirmitas Gloriae Dei,
et in explicandis operibus misericordiae ejus, imparem
se semper inveniat. Laboremus sensu, haereamus inge­
nio, deficiamus eloquio: bonum est ut nobis parum sit,
quod etiam recte de Domine Majestate sentimus 16 •

« Manifestat se... Lumen illud, velut quoddam Nihilum, cujus


nobilitate ab omni opere sabbatizare homo compellitur ». AN­
GELO SII.ESIO, il Pellegrino cherubico, I, 121 (vedi le due vers.
ital. più volte citate). Cfr. sopra, note 36 e 37.
75 FtNELON, Traité de l'existence de Dieu, seconda parte,
c. v, Eternité, fine.
7 8 SAN Ll!ONE MAGNO, cfr. Sermo XXIX c. I (P. L., LIV, 226).

214
CAPITOLO VI

LA RICERCA DI DIO

Che cosa è un filosofo? che cosa è un mistico? Guar­


dando alla loro prima « intenzione », alla radice del
loro sviluppo naturale, in che cosa consiste la loro essen­
ziale differenza?
Sarebbe forse filosofo colui che usa una dialettica,
e mistico chi fa delle esperienze? Questi getterebbe lo
scandaglio in seno dell'Essere, mentre quegli cercherebbe
di vedere come il Pensiero lo genera o lo esprime? Uno,
il mistico, sarebbe l'uomo dell'immediato, l'altro, il :filo­
sofo, l'uomo della meditazione?
Nell'uno come nell'altro c'è una dialettica. La sola
differenza forse è che l'una è soprattutto affettiva e
vitale, l'altra razionale e concettuale. In entrambi si
trova un'esperienza: solo che l'esperienza del filosofo è
attiva, mentre « passiva » è quella del mistico. Infine,
non v'è indubbiamente dialettica più caratteristica di
quella che si sforza di tradurre in pensiero l'esperienza
del mistico o la sua tendenza. In nessun altro caso si
osserva maggiormente il rovesciamento, per cosl dire,

215
istantaneo del pro- o del contro 1 • E non si è forse soste­
nuto che fra tutti i dialoghi di Platone il più evidente­
mente dialettico, il Parmenide, è pure il più mistico?
E questo accadrebbe forse perché il mistico percepi­
sce l'Essere personale, mentre il filosofo tenderebbe sem­
pre a concepirlo impersonale?
Ma, a giudicare da molti fatti, si potrebbe sostenere
pure il contrario. E precisamente : la filosofia, nella sua
più alta aspirazione, come la mistica, sulle sue sommità,
non tenderebbero entrambe, in un modo o nell'altro, a
sormontare tale opposizione?
Si coglierebbe forse maggiormente la differenza es­
senziale dicendo che la filosofia è anzitutto ricerca del­
l'Uno Unificante, mentre la mistica è la ricerca - o
l'attrattiva - dell'Uno unico 2 •
Il filosofo parte da un bisogno di spiegazione, che
è, almeno virtualmente, bisogno di spiegazione totale.
Egli vuole unificare ciò che è multiplo, e al tempo stesso

1 Come nei disegni quadrettati, in cui i vuoti e i pieni


dinanzi allo sguardo si cambiano alternativamente gli uni negli
altri, è una continua alternativa di luce e di tenebre, di affer­
mazione e di negazione, di identità e di alterità ... E la dialettica
traduce l'esperienza stessa. Cfr. GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY,
Lettre aux Frères du Mont-Dieu, 1 11: « L'esaltazione si unisce al
tremore, quando si comprende che Dio si è umiliato sino alla
morte di croce, per elevare l'uomo alla somiglianza con la
divinità ».
2 Per sapere come questo « Uno » debba essere cercato e
trovato, e se il desiderio stesso che porta verso di Lui non debba
prima essere sacrificato, o almeno trasceso e trasfigurato, è tutto
un altro ciclo di problemi, in cui non entreremo. Qui parliamo
solo del misticismo in generale, nella sua radice naturale, e
non del misticismo cristiano. Diciamo solo che una mistica
cristiana non può essere che una mistica d'amore, che l'amore
del prossimo è in essa il segno indispensabile dell'amore di Dio,
che l'estasi privilegiata è in essa l'estasi degli atti, e che certe

216
diversificare l'uno; gli occorre perciò un sistema di rap­
porti che, abbracciando ogni cosa, renda tutto compren­
sibile. È sua ambizione capire l'universo. Se dunque nel
corso della sua ricerca egli incontra Dio - come non può
non fare - ciò sarà a titolo di sostegno del mondo e
di principio di spiegazione del mondo. A titolo di Uno
unificante. Res divinae non tractantur a philosophis, nisi
prout sunt rerum omnium principia 3 • Ciò che il filo­
sofo afferma, non è mai !'assolutamente assoluto, ma
« l'assoluto in rapporto con lui » 4 •
La filosofia è opera della ragione. È una « scienza » 5 •
Ora Dio, in se stesso, per l'uomo naturale, non è og­
getto di scienza. Non solo non si può comprenderLo, ma

forme di alta contemplazione possono non essere del tutto con­


formi allo spirito del cristianesimo. Come ha scritto J. MARITAIN
in Quatre essais sur l'esprit dans sa condition charnelle, p. 144,
« la teologia più vera della contemplazione soprannaturale si
trova meno in una teoria dell'intuizione di Dio» che in una dot­
trina dell'« esperienza divina per unione di amore », sebbene non
si debba negare la portata realmente « noetica » dello slancio
contemplativo. Cfr. SAN BONAVENTURA, commentar.do San Ber­
nardo, In 2 Sent., d. 22, a. 2, q. III, ad 4m ; o Itinerarium mentis
in Deum. Vedere anche le osservazioni di E. GILSON, Introduction
à l'étude de Saint Augustin, 2a ed., 1943, p. 319, nota 2.
3 SAN TOMMASO, In Boetium de Trinitate, q. V, a. rv: « Et
ideo pertractantur in illa doctrina in qua ponuntur, illa quae
sunt communia omnibus entibus... Est autem alius modus co­
gnoscendi hujusmodi res non secundum quod per effectus rna­
nifestantur, sed secundum quod ipsae seipsas manifestant... Et
per hunc modum tractantur res divinae secundum quod in
seipsis subsistunt... Et haec est theologia quae sacra Scriptura
dicitur».
4 M. MERLEAu-PONTY dove interpreta L. Lavelle in Eloge de la
philosophie (1953), p. 12.
5 Non dimentichiamo che San Tommaso ha definito la teo­
logia come la scienza di Dio (vedere particolarmente la nota 3).
Ma noi chiediamo di non dimenticare neppure che la teologia
non è la filosofia. Seguendo lo stesso San Tommaso, i cui testi
sono troppo numerosi e troppo chiari per prestarsi a una seria

217
non si può neanche nominarlo. Come afferma pure San
Tommaso, non si sa « ciò che Egli è »; si sa solo « quale
relazione ha con Lui tutto il resto »6 • « Giungere all'af­
fermazione di Dio, partendo dal divenire » o da qualche
altro aspetto del mondo « non è alzarsi, per mezzo del
divenire, a una conoscenza diretta di Dio, ma è penetrare
meglio nella struttura intelligibile del divenire stesso; o,
meglio, è conoscere Dio nella misura in cui Egli è signi­
ficato della relatività "trascendentale", essenziale del
divenire metafisico » 7 • Ciò, d'altra parte, in un certo

contestazione, manteniamo l'affermazione che, per la ragione del


filosofo puro, « Dio non è, in se stesso, oggetto di scienza », e
manteniamo l'affermazione non in un senso qualsiasi (poiché una
tale formula, isolata, sarebbe equivoca), ma nel senso stesso in
cui l'intende San Tommaso, e che il nostro contesto basta a
precisare.
6 SAN TOMMASO, De Potentia, q. VII, a. II, ad llm, e ad lm:
« Quid est Deus nescimus... Est idem esse Dei quod est sub­
stantia, et sicut eius substantia est ignota, et esse... ». « De Deo
quid non sit cognoscimus ; quid vero sit, penitus manet igno­
tum » (Contra Gentiles, I. I, c. xxx. � ciò che X. MorsANT chia­
mava « il purismo in teodicea » (Dieu, l'expérience en métaphy­
sique, p. 136).
Cfr. E. Gn.SON, Le Thomisme, Sa ed., pp. 150-159. A.-D. SER­
TILLANGES, Somme théologique, Dieu, t. II, p. 383: « Noi non sap­
piamo dunque affatto, in nulla, in nessun grado, ciò che Dio
è »; o a pagina 330: « Per San Tommaso ... ciò che sembrava un
giudizio di natura non è, in verità, che una qualificazione di Dio
in quanto causa necessaria, cioè il santo si limita alla pura
e semplice affermazione di Dio »; e Les grandes thèses de la phi­
losophie thomiste, pp. 49-50: « La locuzione: Dio è, non è posi­
tiva che a titolo di espressione dell'insufficienza del mondo e
della necessità correlativa di un ultimo sostegno; come valore
di definizione, nel senso proprio della parola, è del tutto nega­
tiva ». H. PAISSAC, Le Dieu de Sartre, p. 15: e Identico, l'Atto puro
d'essere è al di là della ragione. � dalla ragione raggiunto come
il reale significato del mondo, e tale realtà senza cui il mondo
non avrebbe senso, cioè non esisterebbe; ma non è mai conte­
nuto né posseduto dall'intelligenza in un concetto ;
7 J. MARllcHAL.

218
senso, basta a definirlo. In ogni caso, ciò basta al :filo­
sofo, preso nel senso propriamente formale che abbiamo
precisato. Come tale, non chiede di più.
Felix qui potuit rerum cognoscere causas! 8 •

Ma ciò non basta all'uomo, né basta allo spirito. Pili


profonda dell'esigenza razionale, più radicale e più to­
tale, completamente diversa da essa, vi è l'aspirazione
mistica. Al di là della Causa suprema o dell'Uno unifi­
cante cercato dal :filosofo, e che, per cosl dire, ancora non
è che una funzione, il mistico cerca l'Uno in se stesso.
Egli cerca l'Uno nel suo essere e nella sua unità. La
minima conoscenza di questo Uno prende ai suoi occhi
maggior valore della conoscenza più profonda e più vasta
di tutto il resto 9, e per trovare quest'Uno, per unirsi
a quest'Uno, egli è pronto a perdere l'universo intero 10 •

s VIRGILIO, Georgiche, II, 490. In Boetium de Trinitate, q.


v, a. IV. Testi analoghi in SAN BoNAVENTURA, In 3 Sent., d. 23, a. I,
q. IV, ad Sm; Quaestiones de Theologia, q. II, resp. I, ad 3m ; q. IV,
resp. I, ad 3m. Cfr. P. ROBERT O. F. M., Le problème de la philoso­
phie bonaventurienne in Laval théologique et philosophique
(1951), p. 22. A. FoRESr, Du consentement à l'etre, pp. 107-108 (so­
pra, c. I I ). Oppure A. D. SERTILIANGES, Somme théologique, Dieu,
t. Il, pp. 384 e 388: « Questa affermazione: Dio è, è un'afferma­
zione vera, non perché qualifichi Dio a titolo dell'essere, ma
perché esige Dio fondandosi sull'essere... Ma cosi non si vuol
definire Dio, bensi pensarlo in funzione della creatura che ne
emana, e che esige questo mistero per aver un senso e per sus­
sistere ». Dio è allora « il principio lontano postulato dall'univer­
sale indigenza "• la condizione suprema dell'intelligibilità del­
l'universo (J. DB FINANCE, Etre et agir, p. 18).
9 SAN TOMMASO, De Veritate, q. X, a. VII, ad 3m: « Minima
cognitio quae de Deo haberi potest, superat omnem cognitionem
quae de creatura habetur •.
i o Questa dualità è stata rilevata da J. MARITAIN in uno stu­
dio già citato su L'exspérience mystique naturelle et le vide in
Quatre essais sur l'esprit dans sa condition charnelle, pp. 139-140

219
Quando San Tommaso d'Aquino da fanciullo gri­
dava: « Vorrei comprendere Dio! », non era tanto il filo­
sofo nascente che si manifestava in lui, quanto invece il
genio religioso, il contemplativo, il mistico in potenza,
il santo di grande capacità intellettuale. E nella misura
in cui la sua speculazione cercherà di soddisfare a questo
desiderio, più che la scienza razionale di cui egli ha inau­
gurato la vasta carriera in Occidente, essa sarà un aspetto
di quella « intelligenza delle fede » di cui i secoli cristiani
gli trasmettevano l'ideale e il metodo.
Al contrario, quando egli dice con tanta forza e
insistenza : « Noi non conosciamo Dio, ma solo il rap­
porto che ogni cosa ha con Lui », è il filosofo puro che
parla in lui. Da questo punto di vista determinante non
v'è ragione di attribuire alla frase alcun senso nascosto,

e 162: « Che possa esistere nel senso proprio della parola una
esperienza mistica naturale che prolunga e consuma uno slancio
metafisico, è ciò che tenterò di dimostrare... Ma - ed è ciò che,
secondo il mio giudizio, la scuola del Padre Roussellot non
rileva sufficientemente - questo superamento filosofico della
filosofia, questa contemplazione meta-filosofica non persegue nella
stessa direzione il moto naturale della filosofia ... Al contrario,
essa suppone inevitabilmente una specie di regresso contrario
alla natura, e perciò l'irruzione di un desiderio che non è certo
il desiderio costitutivo della filosofia stessa, il desiderio intellet­
tuale dell'essere, ma un desiderio più profondo, e repentinamente
liberato nell'anima e propriamente religioso, e che non è nep­
pure il desiderio intellettuale di vedere la Causa prima... che è
consecutivo al desiderio intellettuale dell'essere. Il desiderio di
cui io parlo ora è un desiderio più radicale di quello naturale
dell'intelligenza per l'essere e del suo desiderio naturale per la
Causa dell'essere ... »; « ••• l'intervento di un desiderio naturale più
profondo e più totale di quello dell'intelligenza filosofica per la
conquista intellettuale dell'essere " (p. 162). J. MARITAIN è tornato
recentemente su questi problemi, nella quinta delle sue Neuf
leçons sur les notions premières de la philosophié morale ( 1951),
pp. 89-108.

220
alcuna nostalgia. Come spiega uno dei migliori interpreti
del Dottore angelico, « veramente, in teodicea naturale,
non è Dio che è in causa e che è oggetto di scienza, ma
l'essere universale, la creatura. Infatti Dio non è consi­
derato né raggiunto che come causa prima, non in se
stesso. Non vi è, in altri termini, teologia naturale al di
fuori della metafisica generale » 1 1 • Il Dio dei filosofi
« completa la formula del mondo » 12 e soddisfa piena­
mente la loro ragione.
Tuttavia San Tomaso non aggiunge con uguale insi-

11 SERTill.ANGES, Les grandes thèses ecc., p. 75. Cfr. E. GILSON,


L'esprit de la philosophie médiévale, 2a. ed. (1944), p. 261 (cfr.
vers. ital., Morcelliana, Brescia, 1947): La teologia naturale di
San Tommaso « legittima tutte le ambizioni della speranza cri­
stiana, ma è al tempo stesso la più modesta che esista ».
12 SAN TOMMASO, Prima, q. XXXII, a. 1 : « Hoc solum ratione
naturali de Deo cognosci potest, quod competere ei necesse est
secundum quod est omnium entium principium. Et hoc funda­
mento usi sumus supra in consideratione Dei ». O. XII, a. 12:
« (Per effectus) perduci possumus, ut cognoscamus de Deo, an
est ; et ut cognoscamus de ipso ea, quae necesse est ei convenire
3ecundum quod est prima omnium causa excedens omnia sua
causata. Unde cognoscimus de ipso habitudinem ipsius ad crea­
turas, quod scilicet omnium est causa ; et differentiam creatu­
rarum ab ipso, quod scilicet, ipse non est aliquid eorum, quae
ab eo causantur, et quod haec non removentur ab eo propter
ejus defectum, sed quia superexcedit ».
Dal punto di vista che presentemente ci interessa, tale era
già in Aristotele il concetto della metafisica. Cfr. G. DucoIN,
Saint Thomas commentateur d'Aristote (tesi dattilografata della
Università Gregoriana, Biennium S. J., Roma, 1951, p. 97): « La
spiegazione della natura è l'unico punto di vista secondo cui
Aristotele considera gli altri sistemi quando vuole elaborare la
sua metafisica. In procinto di parlare della sostanza immobile,
egli giudica e condanna ancora in rapporto al mondo sensibile
le affermazioni concernenti le sostanze immobili, tanto è vero
che la sua prima filosofia ha radici profonde nella metafisica e
nel mondo della Natura ... Le Idee (platoniche) sono incapaci di
spiegare il moto o il cambiamento, e per ciò stesso non interes­
sano affatto la scienza, non essendo cause ».

22 1
stenza che « l'intelligenza desidera naturalmente di cono­
scere Dio in se stesso »? Questo desiderio che cosa è
dunque esattamente? Esprime ancora il bisogno razio­
nale a cui risponde l'attività :filosofìca, o definisce a modo
suo lo slancio mistico nella sua radice naturale ? O piut­
tosto non vi si deve scorgere la fondamentale unità
dell'uno e dell'altro?
Diciamo anzitutto - senza pronunciarci ancora se
si tratta di un difetto di analisi o di una perspicacia pro­
fonda - che, parlando in quei termini, San Tommaso
mischia i due punti di vista che noi abbiamo distinti.
Il « desiderio di vedere Dio », di cui egli afferma l'esi­
stenza nella nostra natura, in fondo è proprio un desi­
derio di ordine mistico. Non si può ridurlo al desiderio
di comprendere il mondo.
Nondimeno San Tommaso si sforza di stabilirne la
realtà in via del tutto razionale, partendo dagli effetti
che l'intelligenza desidera conoscere nella loro Causa per
conoscerli nella loro pienezza. Nel Contra Gentiles svi­
luppa a questo fìne tutta un'argomentazione ispiratagli
dalla fede e di cui un puro :filosofo potrebbe indiscutibil­
mente contestargli il valore apodittico 1 3 , ed è precisa­
mente la ragione per la quale un certo numero dei suoi
interpreti si sono creduti autorizzati a sostenere che il
desiderio naturale di cui parla, essendo desiderio di ve-

1 3 Cfr. RouNirGossELIN O. P., Béatitude et désir naturel in


Revue des sciences philosophiques et théologiques (1929), p. 200:
« La convinzione prima che orienta la sua analisi e le conferisce
una piena sicurezza è la fede nella parola di Dio che promette
all'uomo la visione beatifica ... La fede nella visione beatifica
deve essere considerata come quella che esercita un'influenza
positiva e decisiva nell'argomentazione stessa ».

222
dere Dio come causa, non è, nel senso vero del termine,
desiderio di vedere Dio.
Insomma quest'argomentazione consiste nel dimo­
strare che la ragione umana, la stessa che costruisce
l'opera filosofica, non è soddisfatta allorché giunge a
conoscere un effetto senza conoscerne la causa. Di qui un
moto incessante, un'inquietudine perenne, fino a che, da
un effetto all'altro e da una causa all'altra, essa non sia
giunta alla causa suprema da cui tutto deriva e che per
questo stesso motivo spiega il tutto unificandolo 14•
Un tale ragionamento è solido. Ma tuttavia può pro­
vare tutto quello che doveva provare ? Il suo fine è,
formalmente, il fine che si voleva raggiungere? L'intelli­
genza, che vuol comprendere l'universo, non può desi­
stere dal cercare fino a quando non abbia incontrato la
causa prima, e si può dunque dire a buon diritto che in
essa v'è un desiderio congenito di conoscere questa cau­
sa 15 • Ma da ciò a dire, come effettivamente San Tom­
maso dice, che essa desidera di conoscerla, non più so­
lamente come causa degli effetti che aspira a compren­
dere - come il propter quid universale - ma nella sua
essenza 18 , in se stessa, senza più considerarne gli effetti,
1 4 Oltre che i testi ben noti del Contra Gentiles, vedere ad
esempio, Expositio in Matthaeum Evangelistam, c. v: « Beatitudo
hominis est ultimum bonum hominis, in quo quietatur deside­
rium ejus... Istud ergo desiderium non quietabitur donec per­
veniat ad primam causam, quae Deus est, scilicet ad ipsam di­
vinam essentiam ».
15 Cfr. ORIGENE, In Psalmum Il, v. 8: fon f>È fi À1J QOvoµ1a -rijç
ì.oyLxijç q,uarnç -r&v awµanx&v xat -r&v ùawµa-rwv, xat -rou,wv
umiv-rwv at-rfo 6rnu (P. G., XII, 1608 C).
1 0 Compendium Theologiae, c. crv: « Non igitur naturale
desiderium sciendi potest quietari in nobis, quosque primam
causam cognoscamus non quocumque modo, sed per ejus es­
sentiam».

223
indipendentemente dai rapporti che tutto il resto ha con
Essa, non ci corre un abisso ?
Indubbiamente, lo slancio mistico supera questo
abisso d'un balzo. Nell'Unificante c'è l'Uno che egli di­
scerne, e incontrando l'Unificante è all'Uno che egli ade­
risce.
Ma si può dire che la sua forza gli venga dal prin­
cipio che aveva messo in moto l'intelligenza alla ricerca
della « causa delle cause »? Si può dire che questo slan­
cio mistico seguendo semplicemente il moto della ra­
gione vada solo più lontano nella medesima linea? Non
conviene piuttosto riconoscere che, sotto il ragionamento
del filosofo, si celi . una dialettica anagogica il cui mo­
vente è ben altro che il desiderio generale di sapere?
San Tommaso sembra cosl fallire nel suo tentativo
di stabilire una continuità tra filosofia e mistica, cioè
tra il dinamismo dell'intelligenza e il desiderio dello spi­
rito. La dottrina del « desiderio naturale di vedere Dio »
è centrale nel suo pensiero: egli non è riuscito a unifi­
carlo pienamente.
Nessun altro vi riuscirebbe 1 7• Infatti, se lo si pren­
de a rigor di termini, il tentativo è senza dubbio impos­
sibile. Lo slancio mistico non prolunga precisamente la
1 1 Su queste ultime parole si è scritto: « Eccoci un po' ras­
sicurati... Tuttavia, questo gioco troppo facile non ci piace che
a metà, poiché ci sembra di indovinare, in una materia cosl
grave, un sorriso di San Tommaso, che non sarebbe del tutto
indulgente ». Confesso di non capire i sottintesi di questa affer­
mazione. Da parte mia non vi è qui alcun gioco. lo credo assai
seriamente (sebbene non sia facile esprimere la cosa in formule
perfettamente chiare), che l'unificazione totale, compiuta, delle
nostre diverse attività spirituali, nella nostra condizione pre­
sente, non sia possibile, e credo ancora che sia salutare il do­
verlo costatare qualche volta. :e già tanto ardua l'organizzazione

224
ricerca metafisica, non la duplica e non la sostituisce,
sebbene possa animarla e, per contrapposto, trovar in
essa uno stimolante. Altra è la sua radice, altro il suo
fine e parimenti diverso è il suo processo elementare. La
ricerca filosofica risale analiticamente dall'effetto alla
causa, in virtù di una necessità razionale. Lo slancio mi­
stico si eleva dall'effetto, visto come segno, a questa
medesima causa e con un moto che non si giustifichereb­
be totalmente con la pura ragione (infatti, se si trattasse
di un ragionamento, vi sarebbe nella « conclusione » più
di quanto non vi fosse nelle « premesse » ), ma che pro­
cede da un'esigenza dello spirito non meno impellente
dell'esigenza logica, o, più esattamente, da un'attrazio­
ne dell'Essere attraverso ai suoi indizi. Il filosofo si
riposerà dalla ricerca nella contemplazione dell'effet­
to ormai pienamente compreso; il mistico respingerà
alla fine tutti i segni - ma non avrà mai finito comple­
tamente di farlo - per riposarsi nella contemplazione di
Dio solo 18 •

coerente di tutti i modi di procedere della ragione, modi così


vari, relativi a tanti oggetti, intrapresi in tante occasioni e sotto
tanti punti di vista poco coordinabili tra loro! Quanto più ardua
la sinergia perfetta di tutto lo sforzo intellettuale e di tutto lo
slancio spirituale! In un senso, che in questa pagina definisco
come posso, mi sembra perfino che questa cosa sia impossibile
e che la storia del pensiero cristiano lo testimoni. D'altronde
mancanza di unificazione totale non significa affatto contraddi­
zione logica. E l'autore del rilievo che cito non scrive lui stesso
quasi subito dopo: « Tre aspirazioni dell'anima umana, legate
organicamente, per quanto lo permette la natura delle cose, nella
dottrina di San Tommaso? » (La sottolineatura è mia).
18 Sui rapporti della filosofia e della mistica, prese sempre
nella loro radice naturale, si rileggerà ancora la seguente pagina
di J. MARlTAIN, Les degrés du savoir (1932, pp. 477-478: « Che si
porti verso Dio conosciuto o misconosciuto, amato come Dio o

225
15. - Sulle vie di Dio
Riconosciamo tuttavia che nella distinzione stabilita
all'inizio entra qualche cosa di artificiale. Per quanto fon­
data, essa pone il « filosofo » e il « mistico » come due
esseri di ragione, e mette a parte due funzioni dello spi­
rito. Ora, se è vero che le funzioni dello spirito sono
diverse, non possiamo nondimeno dimenticare che lo
spirito è un tutto unico. L'intelligenza vi si immerge, e
il filosofo degno di questo nome non si rassegnerà mai a
restare rinchiuso nella sua specialità fosse anche la spe­
cialità della conoscenza e della spiegazione del tutto. La
filosofia respinge tutte le frontiere. Il filosofo stesso su­
pera il filosofo, e non lo si può ridurre ad alcuna defini­
zione precisa. In lui la conoscenza del mondo è insepa­
rabilmente o almeno divenuta inevitabilmente percezio-

desiderato come verità suprema di cui si ignora il nome, un


moto simile, un simile slancio mistico anima ogni grande filo­
sofia, intendo ex parte subjecti ; poiché non si è filosofo se non
si ama l'assoluto e non si vuole raggiungerlo. Ma talvolta esso
anima la filosofia come tendente verso un fine che trascende la
filosofia e come non intervenendo nella sua specificazione (poi­
ché questa dipende puramente dall'oggetto, che qui è di ordine
del tutto razionale), talvolta anima la filosofia come tendendo
verso un fine immanente alla filosofia, e come intervenendo per
costituire il suo oggetto proprio e per specificarla. Nel primo
caso la purezza stessa della filosofia come tale farà sì che, so­
prattutto agli occhi dei non filosofi, il valore e l'efficienza di
questo slancio rischieranno di essere mascherati, ma almeno,
passando oltre, potrà condurre l'anima ad una contemplazione
autentica e pura. Nel secondo caso la mescolanza sofferta dalla
filosofia renderà più manifesta e più sensibile la presenza in
essa di questo slancio, ed è questa troppo bella testimonianza
resa alle aspirazioni eterne che, nel suo fallimento stesso, qua­
lunque ne sia il prezzo, inclinerà sempre un metafisico a
riverire un Plotino o i pensatori dell'antica India. Ma, suppo­
nendo semplicemente naturale anche il termine del moto,
questo finirà nel vuoto; o almeno, se entrano in ' gioco influenze
superiori... è ancora su una mescolanza in cui la parte della
delusione sarà grande ». (Cfr. pp. 549-551).

226
ne della sua insufficienza. La costruzione dell'oggetto
intelligibile non va senza « nostalgia dell'Essere >, 1 9•
Averlo capito costituisce la grandezza di San Tommaso.
Con un processo che la pura ragione non basta a giusti­
ficare, ma che lo spirito ratifica o piuttosto esige, egli
ha saputo approfondire il modo naturale dell'intelligenza
fino a scoprirvi l'appetito spirituale. Nella sua stessa
filosofia lo sforzo filosofico si apre allo slancio mistico.
Lo spirito umano prende coscienza della sua natura totale
e della sua vocazione superiore. Esplora tutte le sue di­
mensioni, e cerca di ritrovare al di là delle tecniche e
delle specializzazioni che, per cosl dire, lo hanno obbli­
gato a dividersi da se stesso, la semplicità del suo atto
essenziale 20 • Le distinzioni e le opposizioni formali ten­
dono, sebbene senza mai giungervi pienamente, a rias­
sorbirsi nell'unità.
Tutta la ricerca di San Tommaso è una ricerca di
Dio.
1 0 Presso lo stesso Cartesio - accusato così spesso, dopo
Pascal, di non interessarsi di Dio che in vista di assicurarsi il
possesso del mondo - questa verità si realizza. Vedere, tra gli
altri testi, la celebre Lettre à Chanut.
20 Di qui la definizione della filosofia prima, che apparente­
mente contraddice i testi sopra citati più sopra, nota 9: « La
filosofia prima è completamente ordinata alla conoscenza di Dio
come al suo fine ultimo, e per questo viene chiamata scienza
divina ». Contra Gentiles, l. III, c. xxv. Cfr. E. Gn.soN, L'Etre et
l'Essence, pp. 81-83. Ci sembra che nello stesso spirito il Df! F1-
NANCE scriva, Etre et agir, p. 351: e Se il dinamismo della vita
personale, che si espande squisitamente nella coscienza religiosa,
non è che l'interiorizzazione del dinamismo dell'essere, non vi
potrebbe essere conflitto e neanche distinzione irriducibile tra
ciò che la ragione esige per garantire tutto l'ordine dell'essere, e
il Dio vivente di cui una vita ha bisogno per non decadere dal
piano dello spirito ».

227
***
Respingere Dio a causa delle deformazioni umane
o rigettare la religione per l'abuso che gli uomini ne
fanno è effetto di una chiaroveggenza ancora cieca. In
qual modo gli oggetti più alti, le cose più sante non
sarebbero i luoghi privilegiati dei peggiori abusi? Come
è incominciata da se stessa, la religione deve incessan­
temente purificarsi da se medesima. Del resto, in una
forma o nell'altra l'uomo torna sempre all'adorazione.
Questa è nello stesso tempo che il suo dovere essenziale,
il bisogno piii profondo del suo essere. Egli non può
estirparla, ma solo corromperla. Dio è il Polo che non
cessa di attirare l'uomo, e quelli stessi che credono di
negarlo gli rendono testimonianza pure loro.

***
Dio è il Trascendente, ma è pure il tutt'altro. Egli
è al di là di un universo gerarchico, ma è pure l'incon­
dizionato, l'incoordinato, di cui non si avvicina il per­
corso di alcuna serie di condizioni, che non viene posto
dallo stabilirsi di nessuna rete. Ci si eleva fino a Lui -
fino alla soglia del suo Mistero - per i « gradi dell'es­
sere », poiché Egli è « l'essere di ogni essere », e tutta­
via nessuna ascensione avvicina davvero a Lui poiché se
di Lui si può dire che Egli è, di nessun'altra creatura
si potrà dire veramente che sia 21 • Dinanzi a Lui tutte
sono ugualmente un niente:
21 SANTA CATERINA DA GBNOVA, Vita in Opere, Edizioni Pao­
line, Modena (1956), c. XIV: Di ogni cosa creata « per quanto

228
Ho guardato la terra, ed essa era vuota;
Ho guardato i cieli, non vi ho trovato luce 22 •
L'universo è un « cosmo » il cui bell'ordine è un ri-
flesso del suo Autore; i cieli cantano la gloria di Dio,
eppure questa gloria spegne tutte le stelle e fa ricadere
tutto nella polvere 23 : solo il silenzio può cantarla.
Ogni creatura è immagine o vestigio del Creatore,
e nondimeno nulla è simile a Dio 25 • Similis quidem,
sed dispar 26 .Dissimiles similitudines 21 • II µ� ov si op-

bella, buona ed utile la si possa stimare in questo mondo, non


si può dire in verità che essa sia ». Cfr. SAN CLEMENTE ROMANO,
Epistola ai Corinti, c. XXVII, n. 4: « Dio ha creato tutto il verbo
della sua maestà, e con questo stesso verbo Egli può ridurre
tutto nel nulla ».
22 Geremia, 4, 23. Vedere il commentario di SAN GIOVANNI
DELLA CROCE, Salita del Monte Carmelo, I. I, c. IV, in Opere, vers.
ital. di P. Nazareno dell'Addolorata, Postulazione Gen. dei Car­
melitani Scalzi, Roma (1955 ).
23 SANT'AGOSTINO, Confessioni, I. XI, c. VI, Il. 6: (( Tu ergo,
Domine, fecisti ea, qui pulcher es, pulchra sunt enim ; qui bonus
es, bona sunt enim ; qui es, sunt enim. Nec ita pulchra sunt,
nec ita bona sunt, sicut tu, conditor eorum, cui comparata, nec,
pulchra sunt, nec bona sunt, nec sunt » (P. L., XXXII, 8 1 1 ).
24 P. Cuunm., Vers d'exil.
25 SANT'AGOSTINO, In Psalmum 85, n. 12: « Quodlibet aliud
cogitet homo non est simile quod factum est illi qui fecit...
Quantum interest inter eum qui fecit, et illud quod factum est,
quis digne cogitet? lste ergo dixit: "Non est similis tibi in diis,
Domine"; quantum autem sit dissimilis Deus, non dixit, quia
dici non potest... Deus ineffabilis est... Terram cogita: non est
hoc Deus... Homines et animalia...; angelos cogita: non est hoc
Deus. Et quid est? Hoc solum potui dicere, quid non sit... Quid
quaeris ut ascendat in linguam, quod in cor non ascendit?
"Non est similis tibi in diis, Domine, et non est secundum
opera tua" " (P. L., XXXVII , 1900).
26 SAN BERNARDO, In Cantica senno LXXXI, n. 4 (P. L.,

CLXXXIII, 1 172 D).


27Psl!UDO-DIONIGI, La gerarchia celeste, II, 4 e 5, vers. ital.,
più volte citata, pp. 58-61.

229
pone irrimediabilmente all' ov-rwc; ov, e tuttavia que­
sta opposizione radicale non esclude il rapporto simbo­
lico di ciò che non è con ciò che è; questo iato lascia il
posto ad una partecipazione. « Tutta la grazia e la beltà
delle creature, comparate alla grazia di Dio, sono disgra­
zia suprema », e l'austero dottore a cui dobbiamo questa
massima senza compiacenza, è nel tempo stesso il poeta
mirabile che canta le grazie sparse dal Creatore su tutta
la creazione:
Mille grazie versando,
Passò per queste selve agile e snello;
Mentre le andò mirando,
Solo col suo bel volto
Fe' ch'ogni bel rimase in esse accolto 28•

Dal mondo a Dio, il passaggio è dunque perenne­


mente assicurato da una duplice dialettica 29 • Una è di
negazione, l'altra di costruzione. Una è soppressiva, l'al­
tra progressiva 30 • Una è di rifiuto, di rottura, l'altra di

2 8 SAN GIOVANNI DELLA CROCE, Cantico ,spirituale, vers. ital.


sopra citata, p. 567. Cfr. Salita del Monte Carmelo (nella stessa
vers. ital., I. I, c. IV, p. 22): « Tutti gli esseri creati, a paragone
dell'infinito essere di Dio, sono niente... Tutta la bontà delle
creature del mondo, messa a confronto dell'infinita bontà di
Dio, si può chiamar malizia ».
29 In relazione a questa duplice dialettica, si distingue­
ranno due vie spirituali, mediante i segni e fuori dei segni. D'al­
tra parte, come le due dialettiche, queste due vie spirituali sono
più unite che separate ; ma talvolta prevale l'una, talvolta l'altra.
Esse sono state descritte da J. MONCHANIN, De l'esthétique à la
mystique (1955), pp. 105-112.
30 SANT'AGOSTINO, De vera religione, c. XXIX, n. 52: « Videa­
mus quatenus ratio posset progredi, a visibilibus ad invisibilia,
et a temporalibus ad aeterna conscendens... (In consideratione
rerum) gradus ad immortalia et semper manentia faciendus »
(P. L., XXXIV, 145, vers. ital. di P. Rotta, Paravia, Torino, 1938).

230
avvolgimento e di ascensione 3 1 • I loro due moti si in­
trecciano, e l'una non può andare completamente senza
l'altra 3 2 •
Mai l'una o l'altra, mai l'una e l'altra hanno espletata
la loro funzione. Nessuna scala mistica giunge al fine, se
non si rinuncia ad essa. Percorrendo l'intero ciclo della
creazione, dalla materia sino allo spirito puro e dai ritmi
dell'universo sino al cammino della storia, l'anima in
cerca di Dio non supera mai le tappe del suo cammino
ascendente se non con una serie di rifiuti, sentendosi ri-

3 1 SANT'ANSELMO, Proslogio, c. XIV: « An invenisti, anima


mea, quod quaerebas Deum, invenisti eum esse quiddam
summum omnium, quo nihil melius cogitari potest » (P. L.,
CLVIII, 234 D). Sulle « meditazioni anagogiche » utilizzate da
Riccardo di S. Vittore cfr. G. DUMEIGB in Dictionnaire de
spiritualité, fase. XVIII-XIX (1954), col. 326.
32 « Mentre nel corso della contemplazione iniziale l'anima
attribuiva a Dio in grado eminente tutto ciò che trovava di
bene nelle creature, essa cerca ormai di eliminare tutto questo
come notoriamente insufficiente ad esprimere le perfezioni divine
e a considerare Dio nelle tenebre del non-sapere ». S. AxTERS, O.
P., La spiritualité des Pays-Bas, p. 72; DIONIGI IL CERTOSINO, De
contemplatione, p. 3 c. XIV (Opera Omnia, t. XLI).
Cfr. SANT'ILARIO, De Trinitate, I. I, c. VII dove commenta
Sapienza, 13, 5: « Magnorum creator in maximis est, et pulcher­
rimorum conditor in pulcherrimis est,... atque ita pulcherrimus
Deus est confitendus, ut neque intra sententiam sit intelligendi,
neque extra intelligentiam sentiendi » (P. L., x, 30) e c. XIX:
« Comparatio terrenorum ad Deum, nulla est; sed intelligentiae
nostrae infirmitas cogit species quasdam ex inferioribus supe­
riorum indices quaerere, ut, rerum familiarium consuetudine
admonente, ex nostri sensus conscientia ad insoliti sensus opi­
nionem reduceremus » (col. 38).
Confrontare le due dialettiche del progresso e della rottura
nel buddhismo, P. Mus, Barabudur, t. I, pp. 137-140, 217, 222 ecc.
Cfr. G. THIBON, Nietzsche ou le déclin de l'esprit, p. 279: « Biso­
gna avere attraversato tutti i deserti della negazione per sco­
prire il simbolismo profondo del mondo sensibile "·

231
spondere ogni volta dagli esseri che interroga: « Noi non
siamo il Dio che tu cerchi! » 33 •
***
Psittacismo, ipocrisia, superstizione, puerilità, con­
venzione 34 , forza dell'abitudine possono entrare per tre
quarti e anche più in ciò che gli uomini dicono o pen­
sano di Dio, nel loro culto e nella loro preghiera.
Tuttavia diffidiamo dei giudizi sdegnosi, che sono i
più accecanti. Questa tara immensa non ci deve far · per­
dere di vista la piccola scintilla che splende nel profondo
dell'anima. Anche quando essa ce la nasconde non sem­
pre riesce a soffocarla, e talvolta la vediamo elevarsi in
una bella fiamma diritta e pura.
***
Optimi corruptio pessima. Non v'è cosa intorno alla
quale si incrosti un'ipocrisia più crassa quanto all'idea
di Dio.

33 Confessioni, I. I, c. VI, n. 9 (P. L., XXXII, 783). Cfr. Sermo


53, n. 12 e 14: « Coge cor tuum cogitare divina ; compelle, urge.
Quidquid simile corpori cogitandi occurrerit, abjice. Nondum
potes dicere: Hoc est. Saltem clic: Non est hoc. Quando enim
dices: Hoc est Deus? Nec cum videbis; quia ineffabile est quod
videbis... Non est ista similitudo. Erubescat ergo tale idolum
in corde christiano ,. (P. L., XXXVIII, 369 e 370). Vedere anche
l'ammirabile Enarratio in Psalmum 41, n. 7-10, meno nota del
passo analogo delle Confessioni, ma più completa e più lirica:
« Audiendo quotidie: Ubi est Deus tuus? ecc. ,. (P. L., XXXVI, 467-
471). Il passo verrà riportato alla fine di questo capitolo.
34 Cfr. J. GREEN, Journal, 30 giugno 1943 (t. IV, p. 543):
« Accade di pensare cosl spesso e cosl abitualmente a Dio in
termini convenzionali che questa grande realtà, che è la sola
realtà, svanisce dietro le frasi fatte ».

232
***

Dio non è realmente pensato né riconosciuto come


Dio senza un sursum che nessuna prova può suscitare.
Perciò importa molto meno provare Dio all'incredulo che
il farglielo intravvedere. L'apologetica sta alla testimo­
nianza come la parola all'esempio.

***

Attraverso la muraglia più spessa del carcere più triste


basta la stretta fessura d'una feritoia per attestare che
c'è il sole. Lo stesso è del mondo ora opaco e pesante:
basta l'incontro furtivo di un santo per attestare Dio.

***

Quando, venuta la notte, io mi riporto a certi mo­


menti privilegiati in cui la verità della mia affermazione
mi è apparsa in un'esperienza, il ricordo di cui io vivo
non è ingannatore, perché non è il ricordo di una dol­
cezza sentita, ma di un valore percepito; e neppure è il
ricordo del realizzarsi di un valore di cui portavo in me
la norma, ma propriamente, d'una esistenza scoperta,
che mette al loro posto, integra e giudica tutti i valori
umani.
Mi si diceva che questa calotta grigia non era che un
sottile velo di nubi, e che dietro vi era il sole. E di ciò
mi si davano prove . ingegnose, e persino convincenti.

233
Cosl si spiegavano molte cose, e questo bel calcolo era
corretto, né la mia ragione aveva nulla a ridire. Tuttavia
il suo moto non era fissato. Il mio spirito restava per·
plesso ... Un giorno la nube si è squarciata, e al di là ho
visto apparire il sole. Non potevo fissarlo direttamente,
ma i suoi raggi son venuti a colpirmi, ed hanno illumi­
nato il mio volto 35 • Ormai la prova non è più uno scan­
dalo per me. L'opacità proveniente dalle nubi non può
più costituire per me un dubbio contro il sole.
E se i ragionatori mi impacceranno nelle loro reti,
forse mi basterà incontrare un uomo dinanzi a cui la
nube si è effettivamente squarciata. Forse mi basterà di
vedere colui che ha visto, e credere alla sua testimonian­
za? Ecco infatti la meraviglia che si riproduce incessan­
temente, di generazione in generazione, trionfando di
ogni prevenzione e di ogni precauzione contraria, fa­
cendo esplodere tutte le fortezze della critica e della ne­
gazione. Per questa testimonianza non accade come per
quelle della vita sociale. Attraverso colui che ha visto
io vedo veramente - o almeno intravvedo, presento -
ciò che lui ha veduto. Il suono della sua voce risveglia
una risonanza in me. La mia notte diviene luminosa pur
non cessando di essere notte. Io posso dire « all'uomo
di Dio » ciò che il Salmista diceva indirizzandosi a Dio:
in lumine tuo videbimus lumen.
I santi sono fra noi i testimoni efficaci di Dio 36 •
35 Cfr. SAN GIOVANNI DELLA CROCE, Cantico spirituale, vers.
ital. sopra citata, c. XIV, n. 20: « Mi apparve uno il cui volto non
conoscevo, un'immagine davanti ai miei occhi ».
3 8 Vedere L. oo GRANDMAISON S. J., lA religion personelle,
pp. 177-179, e il bell'articolo di G. LE MAITRE in Etùdes, settembre
1950, pp. 216-226: Choisir l'espoir.

234
***
Il santo non è un ideale già foggiato in noi che tro­
viamo alla fine realizzato e vissuto, né la perfezione del
tipo umano - o sovrumano - finalmente incarnato
nell'uomo. La meraviglia è di un altro ordine. È una vita
nuova, una sfera di esistenza che ci viene rivelata all'im­
provviso, non solo con profondità inaspettate, ma con
risonanze insolite. È come una nuova « patria » che sol­
lecita il nostro cuore, una patria prima ignorata da noi,
ma subito percepita come la più antica e la più vera.
Non si tratta di una soddisfazione che sboccia in
noi come dinanzi a uno specchio che ci rinvia la nostra
immagine più nobile; né il nostro sogno più bello che si
trova compiuto; si tratta di altra cosa, che non ci appare
solamente come più bella. Noi siamo attirati al tempo
stesso; e forse assai più urtati che attratti. Proviamo
contemporaneamente la duplice sensazione di qualche
cosa assai lontana e assai vicina, di inquietante, che ci
turba e nel contempo è da noi oscuramente desiderata.
Abbiamo l'impressione mista di turbamento e di compi­
mento supremo, oltre il nostro desiderio; siamo nel
tempo stesso sconcertati e rapiti, e questo rapimento
non manca di svegliare in noi il timore. Lo spirito del
mondo reagisce in noi a una minaccia. La nostra segreta
connivenza col male si irrita; tentiamo di metterci in
guardia. Se avevamo potuto crederci perfetti in qualche
cosa, siamo allora doppiamente tentati di respingere lo
spettacolo provocatore che ci costringe a vederci mise­
rabili, anzi a vedere la miseria di quella stessa che noi
chiamiamo perfezione.

235
Ma inoltre tutto ciò non ci abbandona a noi stessi
come un puro spettacolo.
In realtà è una provocazione. Il doversi decidere,
svelando magari la propria inclinazione più nascosta,
costituisce per il nostro cuore un'intimazione. Brusca­
mente l'universo stesso ci appare altro, come il luogo
di un vasto dramma nel cui centro dobbiamo entrare a
nostra volta.
Se nel mondo vi fossero più santi, la lotta spirituale
sarebbe più intensa. Il regno di Dio, manifestandosi con
maggior forza, susciterebbe adesioni più ferventi, ma
parallelamente anche opposizioni più violente. La sua
urgenza accresciuta provocherebbe una tensione, sorgen­
te di strepitosi conflitti.
Se noi viviamo relativamente in pace in mezzo agli
uomini, ciò è un segno indubbio che siamo tiepidi.

***

Sant'Agostino diceva: « Ama, e fa' ciò che vuoi »,


ma a patto che tu ami abbastanza per agire in tutto
secondo il tuo amore.
Si potrebbe anche dire: « Ama, e credi ciò che tu
vuoi », a patto che tu sappia trarre dal tuo amore, la cui
sorgente non si trova in te, tutta la luce che esso na­
sconde .
... Non credere però troppo presto di sapere che
cosa significhi amare.

236
***
Se la ragione deve penetrare l'apparenza sensibile, la
fede deve penetrare tutte le apparenze, e deve attraver­
sare tutte le notti. Ciò talvolta la rende così dura: è
infatti il contrario di una « soluzione pigra ».
La fede è sempre una vittoria.

***
Mentre il mistico solitario si crede identico al Prin­
cipio dell'Essere, e così moltiplica all'infinito la sua so­
litudine, il credente si urta con l'Altro che lo rovescia
e che, dopo la lotta, si unirà a Lui per amore.

* * *
Quando la testimonianza dei santi provoca la mia
adesione, io non confondo la forza di questa testimo­
nianza con quella di un'argomentazione razionale. So be­
ne che allora io non effettuo alcuna operazione scientifi­
ca, ma vedo perfettamente che si tratta di due generi,
la cui differenza è irriducibile. Se però questa testimo­
nianza non costituisce una prova che abbia un valore
apodittico, essa non è tuttavia una cattiva prova, nè una
prova da poco. Perciò non mi dirò affatto che è « ragio­
nevole e prudente » fidarmi di quanto mi dicono uomini
degni di stima, le cui affermazioni convergono e la cui
sincerità è indubbia, sebbene l'evidenza di cui si dicono
apportatori resti per me « puramente estrinseca » e non

237
mi permetta di concludere nulla con piena certezza. Nè
ho bisogno che mi si faccia osservare che un'argomen­
tazione simile è sprovvista di valore scientifico, poichè
ho già ammesso che non si trattava di argomentazione.
Ciò che contesto è che la testimonianza a cui aderisco
sia « puramente estrinseca », mentre ciò che per me
costituisce il suo valore - il quale, ripeto, non ha nulla
di « scientifico » - è l'eco che essa sveglia in me, il
che mi permette di distinguere in me qualche cosa di
essenziale. Nessuna prova ci viene data allo stesso modo;
anzi nemmeno preparata. Ma i due epiteti di « ragio­
nevole » e di « prudente » non sono meno insufficienti
a qualificare l'adesione che di conseguenza mi s'impo­
ne 3 1 .
La testimonianza dei santi non ha effetto automatico,
e neppure si può universalizzare nel senso in cui lo sa­
rebbe una prova razionale, ma quando riesce efficace è
tutt'altra cosa e ben più che un genere inferiore di
prova 38 •

37 Cfr. J. MARITAIN, Approches de Dieu, pag 118, il quale


parlando dell'argomento fondato sulla testimonianza, aggiunge:
"lo non penso che questo argomento induca un'adesione razio­
nale o puramente naturale senza che sia accompagnato da una
credenza d'un altro ordine, fondata sulla testimonianza invisibile,
nel fondo dell'anima, di un Dio di cui noi sentiamo parlare
dai suoi amici". La testimonianza dei Santi diventerebbe quindi
testimonianza di Dio stesso ; ed è appunto ciò che noi pensiamo.
Ben lungi dal negare i possibili interventi della grazia noi cre­
diamo che ci si può appellare prima d'ogni altra cosa, - e
se Maritain non lo dice espressamente tuttavia non lo nega -
a una certa risonanza che nasce dalla connaturalità che esistt.
tra l'anima di un santo e la nostra.
3 s Cfr. F. VAN STEBNBERGHEN, Le problème philosophique de

l'existence de Dieu in Revue philosophique de Louvain, t. XLV


(1947), pp. 146 e 302.

238
***
« Una cosa spiegata cessa di interessarci » (Nietz­
sche). Perciò Dio - e ogni cosa in Dio per l'infinitezza
che acquista in Lui - ci interesserà eternamente.
Nel presente dell'eternità, tutte le cose saranno per
noi « nuove, fresche e presenti » 39 in Dio.
***
Per alcuni Dio è Colui che permette di dormire, è la
parola rassicuratrice che dispensa da ogni ricerca. Per al­
tri Egli è Colui che strappa dalla « falsa pace » in cui,
secondo Pascal, il mondo viveva prima di Cristo.
***
L'umiltà dei santi non è quella che noi presentiamo.
Il loro amore non è quello che immaginiamo noi. Per
dirla in una parola - è proprio necessario arrivare a
questo punto? - il nostro Dio non è il loro Dio.
Ognuno di noi ha in fondo a se stesso la possibilità
di presentire questa opposizione e di misurar questa di­
visione, e, per ciò stesso, di ridurle. Ciascuno sente, se
è attento, quasi un preavviso di queste sconcertanti no­
vità, in cui il santo trova la sua patria.
***
L'Inferno è opera dell'uomo, dell'uomo che si rifiu­
ta e si vincola e al quale l'Amore diviene intollerabile.
39 MAEsTRO EcKHART, Prediche e trattati, vers. ital. di G. C.,
Bologna, 1928, in principio.

239
Come i secoli cristiani l'avevano ammirabilmente
compreso e ammirabilmente raffigurato, è il medesimo
gesto del Cristo, la serena e maestosa ostensione delle
cinque Piaghe, che salva gli uni e condanna gli altri. Il
Redentore non si trasforma in Giudice, come se fosse
stanco del suo primo ruolo: è sempre il suo unico Amo­
re, il suo immutato Amore che pronuncia la duplice sen­
tenza riflettendosi nei cuori 40 •
La stessa Parola, spada unica a doppio taglio, è paro­
la di vita per gli uni, di morte per gli altri. Semel locutus
est Deus, duo haec audivi.
È la stessa « contemplazione » che, secondo lo stato
del soggetto, gli riesce oscura o luminosa, deliziosa o cru­
dele 41 •
Nella sua essenza immutata, lo stesso Fuoco divino è
Supplizio per uno, Purificazione per l'altro, e per un al­
tro ancora Felicità 42 •

40 Vedere, tra gli altri, l'affresco del Giudizio del Cavallini


nel muro di fondo della tribuna nella Chiesa di Santa Cecilia in
Trastevere, a Roma.
41 SAN GIOVANNI DELLA CROCE, Notte oscura, vers. ital. sopra
citata, passim, 1. II, c. VI: « L'indicibile tormento che l'anima
sopporta quando è purificata dal fuoco di questa contempla­
zione »; cfr. ancora 1. Il, c. VII.
42 ALEsSANDRO DI HAI.ES, In I Sent., d. 37, n. 10: « Deus est
in se ut Alpha et Omega, in mundo ut creator et rector, in angelo
ut sapor et adjutor, in reprobis ut terror et horror » (Quaracchi,
1951, p. 368: testo citato come di SANT'AGOSTINO, Confessioni).
A. Scoro, Epistola: « Deus est in seipso incomprehensibilis, et in
reprobis terribilis, et in electis amabilis ,, (P. L., CXCVII, 795, A.
Cfr. 778 C). M. SANDAEUS S. J., Pro theologia mystica clavis (1640),
p. 169; Theologia mystica, seu Contemplatio divina Religiosorum
a calumniis vindicata (1627), p. 101: « Quid ergo est Deus? Non
minus poena perversorum, quam humilium glotja. Est enim
rationabilis quaedam aequitatis directio inconvertibilis atque
in.declinabilis, quippe attingens ubique, cui illis omnis pravitas

240
***

Noverim me, noverim Te. Che io conosca me, che


io conosca Te, o Dio, mio Dio! Ma questo duplice voto
non deve realizzarsi in due tempi. Mi è impossibile im­
parare a conoscermi senza cercare di conoscere Dio, poi­
ché, nel mio stesso essere, sono tutto relativo a Dio. Tut­
te le investigazioni più sottili e le ri8essioni più sapienti
non servono che a perdermi anziché trovarmi, se cerco
di conoscere solo me. L'uomo non si conosce, né si vuo­
le, né si ama, che in Dio o dinanzi a Dio. Noverim Te,
noverim me.
L'uomo che prega trova in sé e sopra di sé la luce
che invece non trova colui che cerca il proprio « io».

***

Ahimè! , l'uomo ha soprattutto paura di Dio. Egli


teme, come gli antichi Israeliti quando avevano toccato
l'Arca, di esser bruciato al Suo contatto. Di qui tante
sottigliezze per negarlo, tante astuzie per dimenticarLo,
tante pie invenzioni per ammortirne l'urto... Increduli,
indifferenti, credenti, noi rivaleggiamo in ingegnosità
per tenerci lontani da Dio! 43 •

conturbetur necesse est "· Citazione di S. BERNARDO, De considera­


tione, I. V, c. XII, n. 25 che aggiunge: • Est et turpium paena
Deus: lux est enim, et quid tam invisum obscaenis flagitiosi­
sque mentibus? " (P. L., CLXXXII, 802, vers. ital. più volte citata).
4 3 Cfr. SIMONE WEIL, L'ombra e la grazia (vers. ital., Mi­
lano: « Noi fuggiamo il vuoto interiore perché vi si potrebbe
trovare Dio "·

241
16. - Sulle vie di Dio
***

« Quando sembra di toccare Dio, o quando ci si


accorge che Egli è passato in noi, attraverso le nostre
chimere e le nostre miserie, si resta spaventati » (M.
Blondel).

***

Lo slancio mistico non è un lusso. Senza di esso la


vita morale rischia di non essere altro che una rimozione,
l'ascesa una aridità, la docilità un sonno, la pratica della
religione un'abitudine, un'ostentazione o una paura.

***
Il vero m1st1co non fa confidenze, e c10 non per
prudenza né per disdegno. Non è solo umiltà e amore
del segreto. Egli non ha confidenze da fare. La vita
della coscienza sfugge a ogni psicologia, e, più di tutte,
la sua forma più alta, cioè la vita mistica 44 •

44 Cfr. MARIA DELL'INCARNAZIONE, lettera al figlio, ottobre


1671: « Dio mi consuma in uno stato di semplicità con Lui. Se
io volessi parlare di più non avrei molte cose da dire, poiché
direi quasi sempre la stessa cosa ». Ugualmente il 26 ottobre
1653: « La cosa più intima non è stata in mio potere. E In
parte dipende da ciò la mia ripugnanza a scrivere di questi
argomenti, sebbene la mia delizia consista nel non trovare fondo
in questo grande abisso, e nell'essere costretta a smarrire del
tutto la parola nel perdermici io stessa. Più s'invecchia più
si è incapaci di scrivere, poiché la vita spirituale semplifica
l'anima in un amore consumante, cosi che non si trovano più
parole adatte per parlarne ».

242
* * *
Come il mistico desidera conoscere Dio in se stesso,
cioè come Dio stesso si conosce, così - se ha ricevuto
qualche rivelazione dall'Amore - egli desidera amare
Dio per se stesso, cioè dell'amore con il quale Egli ama
Se stesso. Così egli si apre da ogni parte a essere invaso
da Dio.
* * *

Cum absens putatur, videtur; cum praesens est, non


videtur 45 •

* * *
La nust1ca è « intuizione di Dio »? Sì, ma sempre
nella notte. Poiché non Lo troviamo che cercandoLo
sempre. Dio resta sempre « Colui che vien cercato »,
'O �1J't'Ouµe:voç 46 •
O Luce qui mortalibus
Lates inaccessa, Deus! 4 7 •

45 SANr'AGOSTINO, De videndo Deo (Epist. 147, ad Paulinam),


c. n. 18 (P. L., XXXIII, 604).
VI,
4 0 SAN GREGORIO DI NISSA, In Cantica Canticorum; In Eccle­
siasten, hom. VII, n. 6: « Cuius inventio est ipsum semper
quaerere, et aliud invenire: sed exquirendi lucrum est ipsum
quaerere. Non enim aliud est quaerere, et aliud invenire: sed
exquirendi lucrurn est ipsum quaerere » (P. G., XLIV, T]J) C). G.
Scoro, De divisione naturae, 1. V (P. L., CXXII, 1010 C-D). AI.Es-­
SANDRO DI HAI.ES, Summa theologica, p. I, I. II; c. x, n. 2, ad 3m:
« Cognitio de Deo semper est in fieri in vita ista ». Correlativa­
mente ÈQ)(E"taL o ci.Et naQwv: ancora GREGORIO DI NISSA, Vita di
Mosè (P. G., XLTV, 472 C). Cfr. Apoc. 1, 4 ; 1, 8 ; 4, 8.

243
* * *
Nella conoscenza di Dio v'è un progredire, ma que­
sto progresso che non meriterebbe il suo nome se non
ci avvicinasse al fine, in un altro senso ce ne lascia pure
sempre lontani. Via via che si lascia accostare, l'Infinito
diviene e si rivela più inaccessibile. Cosl « colui che
sale non s'arresta mai nel salire »; chi ha iniziato la cor­
sa va « da un inizio all'altro, con inizi che non hanno
mai termine ».
« Dal momento in cui l'anima, slanciandosi verso le
altezze, ha cominciato, per quanto ne era capace, a par­
tecipare ai beni divini, ecco che di nuovo il Verbo l'at­
tira come se essa fosse ancora all'inizio dell'ascesa ... Egli
ripete: - "Alzati" - a quella che era già alzata, e:
- "Vieni" a quella che già era venuta. In realtà colui
che veramente si alza dovrà alzarsi sempre, e per chi
corre verso il Signore non mancherà mai largo spazio
alla sua corsa divina. Dicendo: - "Alzati e vieni" -
il Verbo costringe ad alzarsi sempre, e a non cessar mai
dall'accostarsi correndo, donando ogni volta la grazia
<li un'ascesa migliore » 48 •

47 Liturgia gallicana, inno di Vespro.


48 SAN GREGORIO DI NISSA, In Cantica canticorum, hom. V
(P. G., XLIV, 873-876) ; cfr. hom. VIII (940-944) ; Vita di Mosè (P. G.,
XLIV, 405). « Cosi », commenta L. Beirnaert, « v'è un'ascensione,
ma questa ascensione e questo progresso non si verificano tra
due punti che resterebbero fissi. Non vi sono mai sazietà del
desiderio e raggiungimento del valore, perché per il mistico cri­
stiano il desiderio e il suo oggetto sono trascinati ambedue da
una gravitazione misteriosa, per cui man mano che si sale ap­
paiono nuove vette, e via via che si è saziati si rinnova la
fame. Che cosa significa ciò se non che il più e il meno, l'alto
e il basso si apprezzano qui in rapporto a un Assoluto, la cui

244
Lungi dall'essere scoraggiante, questo pensiero ha
di che meravigliarci. Quanto esso ci fa capire non ricor­
da né la tela di Penelope, né il masso di Sisifo. Nulla
è perduto del cammino fatto, e non vi è mai ritorno,
ma tutto è sempre più grande e più bello di quanto si
intravvedeva. Bisogna infatti che Dio vinca su tutto
« non solo in questo mondo, ma pure nel mondo avve­
nire » 49 •
Tutto avrà dunque la freschezza dell'inizio, tutto
avrà lo slancio di una prima partenza. Non c'è da te­
mere nessuna stanchezza e neppure alcuna sazietà « che
renderebbe il nostro spirito stupido » 5 0 • Le messi del­
l'autunno avranno, nella loro ricchezza, il sapore delle
promesse primaverili, e noi stessi parteciperemo a �ue-

altezza è tale che si è sempre al principio dell'ascensione? Ma,


essere sempre all'inizio e riconoscerlo incessantemente, secondo
la parola di TAULERO (Sermoni, vers. ital. Firenze, 1929), è te­
nersi "nel fondo dell'umiltà là dove si è assolutamente come
un debuttante" (pur essendo già innalzato al di sopra di se
stesso e di tutte le cose). :E!. vivere paradossalmente un'ascen­
sione, che si inscrive in una situazione più profonda, per la quale
la distanza tra l'alto e il basso non ha senso misurabile. :E!.
infine per questo che l'ascesa cristiana, in quanto s'incide nel
tempo, è un progresso verso la profondità dell'umiltà al tempo
stesso che verso l'altezza della divinità, poiché là dove Dio
si è abbassato "fino alla morte di croce", il cammino delle al­
tezze passa incessantemente attraverso l'umiliazione ».
Cfr. SANT'AGOSTINO, De Trinitate, I. IX, c. I, dove cita
Eccli., 18, 6: « Cum enim consummaverit homo, tunc incipit »
(P. L., XLI, 961). SAN BERNARDO, In Cantica, serrno 84, n. 1
(P. L., CLXXXIII, 1184-1185). M. BLONDEL, l'Action (1893, pp. 351-352 ;
esistono due vers. ital.: di E. Codignola, Firenze, 1921, 2 voi.; di
A. Vedaldi, Torino, 19.50).
49 SANT'IRENEO, Adv. Haer. II, 28, 3 (P. G., VII, 806 A).
50 U!IBNIZ, Principes de la nature de la grdce, n. 18. Cfr.
GRATRY, Connaissance de l'ame, t. I (1857), I, 13: « Il vino della
vita eterna, dice il Salvatore nel Vangelo, sarà pure esso nuovo ,._

245
sta eterna giovinezza. Via via comprenderemo sempre
più questa realtà sperimentandola, e tuttavia vedendo
sempre meglio che non comprendiamo ancora né com­
prenderemo mai ciò che vuol dire questa cosa inaudita,
che ci apparirà sempre inaudita in realtà: la scoperta
di Dio.

Cum consummaverit homo, tunc incipit.


Sanctorum sicut aquila? ;uventus renovabitur 51 •

* * *

« Il non poter raggiungerLo è la nostra scoperta; il


fallimento stesso il nostro successo » 5 : .

* * *

« Dio non è uno spettacolo. La sua contemplazione


è più segreta, più velata, più sconcertante. Egli non si
scopre in qualche grado che nella fedeltà del moto verso
di lui, in un superamento che stabilisce la pace attra­
verso gli strazi e che dona la ricchezza denudando » 53 •

51 Ps. 102, 5. Cfr. anche SANT'AGOSTINO, De Trinitate, 1. XV,


c. II, 2: bel commento del Ps. 104, 3-4: « Laetetur cor quaeren­
tium dominum ».
52 ECKHART, Prediche e trattati (vers. ital. di G. C., Bologna,
1928), Trattato XIV. Cfr. SAN GREGORIO MAGNO, Moralia in lob.,
1. XXIV, n. 11: « Lo spirito si giudica tanto più lontano dalle
realtà divine quanto più vi si accosta, poiché, se non ne perce­
pisse nulla, non potrebbe comprendere che gli è impossibile di
contemplarlo senza veli ». CLBMENTB o'Au!ssANDRIA, 5°Stromata,
c. VI, 40, n. 1: e La contemplazione che non appaga ».
53 J. PALIARD, Profondeur de l'time (1953), p. 159.

246
* * *

« Non bisogna pensare che l'anima resti sempre o


debba rimanere sulle vette dello spirito, e ivi aderire a
Dio in quanto Egli è uno spirito purissimo, alla cui pre­
senza tutte le cose sono come un nulla..., e che cosl essa
compia il suo progresso solo per mezzo di penetrazioni,
immersioni, movimenti, nascondimenti o celamenti più
profondi in questo spirito divino. Occorre invece conce­
pire il profitto spirituale in questo modo, e cioè che
l'anima, una volta giunta sulla vetta secondo il valore e
la latitudine di un grado, se essa deve essere elevata da
Dio a un altro grado sostanzialmente più perfetto, dovrà
pure ritornare anzitutto agli stati inferiori, e ricomincia­
re da essi una purificazione più sottile, una dilatazione
e una disposizione nuova, e un fondamento più sincero
e profondo di vera conoscenza di se stessa, che per l'ad­
dietro. E questo nuovo cominciamento contiene tuttavia
virtualmente nella sua bassezza tutte le altezze prima
acquisite.
» Deve infatti essere ben noto questo: che tutto
quanto l'anima si è acquistato di sublime alla sommità
del suo spirito in forma di fruizione e di termine finale,
essa ora lo possiede in segreto in forma di principio,
di essere, di fondo e di sostanza, nascosto e sconosciu­
to, e come cosa aggiunta e identificata con il suo proprio
essere sostanziale in questo nuovo ricominciamento do­
po le inferiorità: e ciò per un singolare artificio e prov­
videnza di Dio, affinché l'anima non venga a stimare e
magnificare troppo il suo stato interno, e affinché, esente
da questo pericolo, possa crescere in Dio...
247
» Da ciò deriva che la vera spiritualità non consi­
ste nel godere sempre di Dio, né ugualmente del potere
perseverantemente rimanere sulle sommità del proprio
spirito; ma nel poter seguire Dio secondo tutti i muta­
menti, vicissitudini, fruizioni, e tutte le diversità dei
gradi di cui Egli è causa nell'anima. In una parola il
poter seguire dovunque egli vuol condurre » 54 •

* * *
Il vero problema non è di « cercare Dio », poiché
vi sono maniere di cercarlo che sono provocazioni 5 5 :
ogni ricerca in cui l'uomo si attribuisce il primo piano
non è già una provocazione? Il vero problema sta nel
mettersi in disposizioni tali che si possa sperare di tro­
varLo, senza dover, per cosl dire, neanche cercarLo. Bi­
sogna giungere a comprendere che queste disposizioni
stesse non possono venire che da Lui. Infatti è Lui che
ci cerca e che, alla Sua ora, ci si manifesterà.

In chi si volge a Levante e attende il suo Dio,


In lui sale ben presto l'aurora della Grazia 56 •
* * *
Talvolta noi crediamo di cercare Dio. Invece è sem­
pre Dio che ci cerca, e spesso Egli si fa trovare da chi
non Lo cercava.

54 Anatomie de l'dme et des opérations divines en icelle a


cura di c. DE BARBANSON (1635), 3" p., art. XVI, pp. 155-158.
55 Cfr. Sapienza, 1, 2: " Egli si lascia trovare da quelli che
non lo provocano ».
5 6 ANGELO Sll.ESIO, Il Pellegrino cherubico, 1. II, 215, le due
vers. ital. più volte citate.

248
* * *
Nessuna perspicacia critica prevarrà sulla chiaroveg­
genza d'un cuore puro.
Due volte felici i cuori puri: poiché vedranno Dio,
e Dio si farà vedere attraverso di loro.

* * *
« Ciò che l'uomo chiama "Dio" partendo da se stes­
so è uno slancio, un ultimo vertice del mondo donde
l'appello va al di là, una soglia per il salto della fede.
Ma se ci si limita a ciò e gli si dà un valore definitivo,
allora ne risulta la frode "religiosa", dove la natura o
qualsiasi ideale si trova deificato. Una divinità simile,
cominciando dai numina delle religioni naturali fino al­
l'essere assoluto della filosofia religiosa, non esiste. Il
Dio che "c'è", Colui che è, il vero e il vivente, è colui
che si mostra nella Rivelazione. L'uomo ha da far con
Lui, lo voglia o no, per il tempo e per l'eternità » 57

5 7 R. GUARDINI. Si osservi, tuttavia, che il Dio « naturale ,.

escluso dall'autore non è che quello nel cui nome· si esclude­


rebbe il Dio della Rivelazione soprannaturale, attribuendogli
« un valore definitivo ». Lo stesso scrittore tedesco (in Pascal,
vers. ital. di M. C. Perotti, Morcelliana, Brescia, 1957, pp. 45-46)
scrive: « Le rappresentazioni universali di Dio, i concetti univer­
sali di Lui, che pretendevano di essere assoluti . e che in un
certo senso lo erano, vengono immessi in questo apparente
antropomorfizzamento. I due mondi di esperienza e di pensiero,
che si possono esprimere con le proposizioni: "Dio è l'assoluto"
e "Dio è colui che parla attraverso Gesù Cristo", lottano tra di
loro... sebbene si riferiscano alla medesima realtà: il Dio vivo ».
Tuttavia « tutto quello che l'onesto lavoro della speculazione
come "conoscenza di Dio secondo il modo dei filosofi" ha por-

249
* * *
« La luce è la veste del Signore; se anche tu perdes­
si la luce, sappi che non hai ancora perduto Dio stes­
so » 5 8 .

* * *
Al di là di tutte le convenzioni - nel respingere
ogni menzogna - nella perdita di ogni sicurezza - at­
traverso tutte le negazioni - nel crollo di tutte le cer­
tezze - nell'abbandono di ogni essere : scoprire Dio !

* * *
Ciò che ad alcuni sembrava sottigliezza morbosa o al­
meno gratuita raffinatezza, per altri è necessità. È la
« fuga in avanti » in cui si sono cacciati. È la gola stretta
che per loro è l'unica via di salvezza.
Più di tutti gli abili e di tutti gli inquieti, anche più
di tutti gli avventurieri del pensiero dai disegni tene­
brosi e degli avversari mascherati di sana dottrina, essi
indisporranno sempre gli spiriti naturalmente soddisfat­
ti. Ma essi stessi che cosa ne possono?

tato alla luce, conserva il suo valore. E questo valore è grande,


nonostante i dispregiatori della filosofia di tutti i tempi, com­
preso l'attuale. Poiché la totalità unitaria dell'essere, cosi come
i presupposti del pensiero e la forza dello spirito, donde questi
concetti furono attinti, non hanno una provenienza qualsiasi,
non vengono dal male, ma dal medesimo Dio che ha parlato in
Cristo. Ma la creazione è ordinata alla grazia e vien colta real­
mente solo quando sia vista in relazione a questa ,._
5 s ANGELO Sll.ESIO, Il Pellegrino cherubico, I. , II, 5, cfr. una

delle due vers. ital. più volte citate.

250
O lo scetticismo o la purificazione della fede. O la
disperazione o la purificazione della speranza, o la mi­
santropia e la rivolta o la purificazione dell'amore.
E la pace che scende abbondante su loro coesiste
con l'angoscia �9 •
E il Dio della loro angoscia è più Dio di ogni altro,
e più di ogni altro appartiene a loro.
E nessun altro Dio è più contagioso di questo, e
nessuna angoscia ha maggiore efficacia per calmare senza
addormentare.
* * *
« No, mio amore, Tu non sei fuoco, non sei acqua,
non sei ciò che noi diciamo. Tu sei ciò che sei nella tua
eternità gloriosa. Tu sei: ecco la tua essenza e il tuo
nome, Tu sei vita, vita divina, vita viva, vita di unione.
Tu sei tutta la felicità. Tu sei unità adorabilissima, inef­
fabile, incomprensibile. In una parola Tu sei Amore e
il mio Amore. Che cosa dirò dunque di Te? Tu mi hai
fatta per Te; dico per Te, che sei Amore. Perché dun­
que parlerò dell'amore? Ma ahimé ! che cosa dirò? Sulla
terra non posso parlarne. I santi che Ti vedono nel cielo
Ti adorano in silenzio, e questo silenzio è un parlare
sacro nel quale essi gustano l'amore. Tu ci riversi il
tuo amore come a loro, o mio gran Dio! Ci riempi di

�9 Cfr. MARIA DELL'INCARNAZIONE, Relazione del 1654, XII:


« L'anima è trascinata passivamente per un tratto che le dona
nell'intimo una grandissima pace. Ma, d'altronde, l'amore di­
vino la tiene in una angoscia che si può provare, ma non espri­
mere" (ed. Jamet, t. Il, p. 216). Ma vi è angoscia e angoscia:
cfr. H. U. VoN BALTHASAR, Il cristiano e l'angoscia, vers. ital. di
V. Simon, Edizioni Paoline, Alba, 1957).

251
Te stesso come loro. E perché dunque non faremo noi
come loro? Perché non gusteremo l'amore come loro?
Poiché se Tu sei il loro Amore sei pure il nostro. Essi
Ti vedono a nudo, o mia cara vita, ed è ciò che essi
hanno al di sopra di noi, che siamo ancora nella bassez­
za e nella miseria della nostra carne. Ma quando saremo
liberati da questa prigione, Ti vedremo come loro, co­
me essi Ti loderemo, Ti abbracceremo come essi, Ti pos­
sederemo come essi, come essi sprofondati in Te, e per
esprimere il tuo amore non ripeteremo più queste simili­
tudini meschine, poiché saremo soltanto amore, tutto es­
sendo nell'amore, cioè in Te, che sei il mio unico Amore,
la mia misericordia e il mio Tutto » 6 0 •

* * *
Niente ti turbi - Niente t'attristi,
tutto dilegua - Dio non si muta,
con la pazienza - tutto t'acquisti,
manchi di nulla - se hai Dio nel cuor:
basta il suo amor! 6 1 •

* * *
« E se io non raggiungo il mio fine ? Se io vengo
meno nella mia corsa? Avrò almeno la gioia di aver cor-

60 MARIA DELL'INCARNAZIONE, Esclamazioni ed Elevazioni, Il


(ed. Jamet, t. I, pp. 380-381).
e1 S. Tmu!sA o'AVII.A, Massime in Opere, vers. ital. di P. Egi­
dio e P. Federico, Lega Eucaristica, Milano, 1932, p. 1790. Tali
massime - è detto nella nota dell'edizione italiana - vennero
trovate nel Breviario della Santa, scritte di suo pugno sopra una
carta che le serviva di segnacolo. Le stimava tanto, che le teneva
sempre sotto gli occhi.

252
so, penato, sudato per quanto avrò potuto in questa ri­
cerca del Volto del mio Signore» 62 •

* * *

« Mio Signore Iddio, mia unica speranza, esaudisci­


mi per timore che io non voglia più cercarti per la stan­
chezza, ma fa' che io cerchi sempre ardentemente il tuo
Volto. Dammi la forza di cercarti, tu che hai fatto sì
che io ti trovassi, e mi hai dato la speranza di trovarti
sempre di più. Dinanzi a te sono la mia forza e la mia
debolezza : custodisci la mia forza, e guarisci la mia
ignoranza: là dove tu mi hai aperto, accoglimi quando
io voglio entrare; là dove tu mi hai chiuso, aprimi quan­
do vengo a picchiare. Che io mi ricordi di te, che io com­
prenda te, che io ami te! Aumenta in me questi tre doni
fino a che tu mi abbia riformato completamente ... Libe­
rami, o Signore, dall'abbondanza di parole di cui soffro
nell'intimo dell'anima mia, che dinanzi al tuo sguardo
non è che miseria, ma che si rifugia nella tua misericor­
dia. Il mio pensiero infatti non tace anche quando tace
la mia bocca.:. I miei pensieri sono numerosi, quali tu
li conosci, pensieri di uomini, poiché sono vani. Conce­
dimi di non consentirvi... e di non appesantirmi in una
specie di sonno ... "Noi moltiplichiamo le parole, e non
lo raggiungiamo, e la somma perfetta di tutti i nostri
discorsi è lui stesso" (Eccli 43, 29). Quando noi ti avre­
mo raggiunto, cesseranno queste parole che moltipli­
chiamo senza toccarti: tu rimarrai solo tutto in tutti:
62 RICCARDO DI s. VITI'ORE, De Trinitate, 1. Ili, c. I (P. L.,
CXCVI, 915-916).
253
noi diremo senza fine una sola parola, lodandoti con un
sol movimento, e facendo noi pure un solo tutto in
te » e3 .
* * *
« O ergo, quem nemo quaerit vere et non invenit,
quippe cum ipsa veritas te quaerendi in conscientia quae­
rentis non suspectum jam habeat responsum aliquatenus
inventae veritatis! » 84 •
* * *
Attendere Dio è possederlo e s .

e3 SANr'AGOSTINO, De Trinitate, 1 . XV, c . XXVIII, n . 5 1 : « D�


mine Deus meus, una spes mea, exaudi me, ne fatigatus nolim
Te quaerere, sed quaeram faciem tuam semper ardenter. Tu da
quaerendi vires, qui invenire Te fecisti, et magis magisque inve­
niendi Te spem dedisti. Coram Te est firmitas et infirmitas
mea: illam serva, istam sana. Coram Te est scientia et ignorantia
mea: ubi mihi aperuisti, suscipe intrantem ; ubi clausisti, aperi
pulsanti. Meminerim tui, intelligam te, diligam te. Auge in m�
ista, donec me reformes ad integrum... Libera me, Deus, a mul­
tiloquio, quod patior intus in anima mea... Multae sunt cogita­
tiones meae, tales quales nosti, cogitationes meae hominum,
quoniam vanae sunt. Dona mihi non eis consentire ... , nec in
eis velut dormitando immorari... Cum ergo pervenerim ad Te,
cessabunt multa ista quae dicimus,... et manebis unus omnia
in omnibus, et sine fine dicemus unum, laudantes Te in unum,
et in Te facti unum ».
84 GUGLIELMO DI SAINT THIERRY, Speculum fidei (P. L., CLXXX,
397 A).
es F�NELON, Oeuvres, ed. di Parigi, t. VIII, p. 557.

Dov'� il tuo Dio?


Audiendo quotidie: « Ubi est Deus tuus? " et in lacrymis
meis quotidianis pastus, die ac nocte meditatus ,sum quod au­
divi... Quaesivi etiam ego ipse Deum meum, ut si possem, non
tantum crederem, sed aliquid et viderem. Video enim quid fece-

254
rit Deus meus, non autem video ipsum Deum meum qui fecit
haec.
Sed quoniam sicut cervus desidero ad fontes aquarum,
et est apud eum fons vitae, et in intellectum scriptus est
Psalmus filiis Core, et invisibilia Dei per ea quae facta sunt
intellecta conspiciuntur: quid agam, ut inveniam Deum meum?
Considerabo terram: facta est terra. Est magna pulchritudo
terrarum: sed habet artificem. Magna miracula sunt seminum
atque gignantium; sed habent ista omnia creatorem. Ostendo
magnitudinem circumfusi maris; stupeo, miror; artificem quae­
ro. Caelum suspicio et pulchritudinem siderum; admiror splen­
dorem solis exserendo diei suffìcientem, lunam nocturnam tene­
bras consolantem. Mira sunt haec; Jaudanda sunt haec, veJ
etiam stupenda sunt haec; neque enim terrena, sed jam caelestia
sunt haec. - Nondum ibi stat sitis mea; haec miror, haec laudo,
sed eum qui fecit haec, sitio.
Redeo ad meipsum, et quis sim etiam ipse qui talia quaero,
perscrutor. Invenio me habere corpus et animam, etc. Sed num­
quid aliquid tale Deus ipsius est, qualis est animus? Non qui­
dem videri Deus nisi animo potest, nec tamen ita ut animus
videri potest. Aliquid enim quaerit animus iste quod Deus est,
de quo illi non insultent, qui dicunt: « Ubi est Deus tuus? »
Aliquam quaerit incommutabilem veritatem, sine defectu sub­
stantiam. Non est talis ipse animus... Ista mutabilitas non
cadit in Deum...
Quaerens ergo Deum meum in rebus visibilibus et corpora­
bilibus et non inveniens; quaerens ejus substantiam in meipso,
quasi sit aliquid qualis ego sum, neque hoc inveniens, aliquid
super animam esse sentio Deum meum. Ergo, ut eum tangerem,
« haec meditatus sum, et effundi super me animam meam »•••
... Dicant illi adhuc: « Ubi est Deus tuus? ». Quaero ergo
Deum meum in omni corpore, sive terrestri, sive caelesti, et non
invenio; quaero substantiam ejus in anima mea, et non invenio;
meditatus sum tamen inquisitionem Dei mei, et per ea quae
facta sunt, invisibilia Dei mei cupiens intellecta conspicere,
« effundi super me animam meam "; et non jam restat quem
tangam, nisi Deum meum. Ibi enim domus Dei mei, super ani­
mam meam; ibi habitat, inde me prospicit, inde me creavit,
inde me gubernat, inde mihi consulit, inde me excitat, inde me
vocat, inde me dirigit, inde me ducit, inde me perducit.
Ille enim qui habet altissimam in secreto domum, habet
etiam in terra tabernaculum. Tabernaculum ejus in terra, Ec­
clesia ejus est adhuc peregrina. Sed hic quaerendum est, quia
in tabernaculo invenitur via, per quam venitur ad domum...
Extra locum tabernaculi errabo, quaerens Deum meum; « quo-

255
niam ingrediar in locum tabernaculi admirabilis, usque ad
domum Dei »...
... Ecce quanta admiror in tabernaculo! Tabernaculum enim
Dei in terra, homines fideles... Respicio et ipsam animam oboe­
dientem Deo..., justitiam et caritatem impendentem... Miror et
istas virtutes in anima; sed adhuc in loco tabernaculi ambulo.
Transeo et haec: et quamvis admirabile sit tabernaculum, stupeo
cum pervenio usque ad domum Dei... In domo Dei festivitas
sempiterna est, vultus praesens Dei, laetitia sine defectu ... Am­
bulanti in hoc tabernaculo et miracula Dei in redemptionem
fidelium consideranti, mulcet aurem sonus festivitatis illius, et
rapit cervum ad fontes aquarum.
Sed quia, fratres, quamdiu sumus in corpore hoc, peregri­
namur a Domino, et corpus quod corrumpitur aggravat animam,
et depremit terrena inhabitatio sensum multa cogitantem: etsi
utcumque nebulis diffugatis ambulando per desiderium, ad
hunc sonum pervenerimus interdum, ut aliquid de illa domo
Dei nitendo capiamus; onere tamen quodam in.firmitatis no­
strae ad consueta recidimus, et ad solita ista dilabimur. Et
quomodo ibi inveneramus unde gauderemus, sic hic non deerit
quod gemamus.
Etenim cervus iste..., raptus desiderio ad fontes aquarum,
interiorem scilicet dulcedinem Dei, effundens super se animam
suam ut tangeret quod est super animam suam, ambulans in
locum tabernaculi admirabilis usque ad domum Dei, et ductus
interioris et intelligibilis soni jucunditate, ut omnia exteriora
contemneret et in interiora raperetur: adhuc tamen homo est,
adhuc hic gemit, adhuc carnem fragilem p ortat, adhuc inter
scandala hujus mundi periclitatur. Respexit ergo ad se et ait:
« Quare tristis es, anima mea, et quare conturbas me? » Ecce
jam quadam interiore dulcedine laetati sumus, ecce acie mentis
aliquid incommutabile, etsi perstrictim et raptim, perspicere
potuimus: quare adhuc conturbas me, quare adhuc tristis es?
Non enim dubitas de Deo tuo. Non enim non est quod dicas
tibi, contra illos qui dicunt: « Ubi est Deus tuus? » Jam aliquid
incommutabile persensi, quare ergo conturbas me? « Spera
in Deum ».
Et quasi responderet illi an,ima ejus in silentio: Quare con­
turbo te, nisi quia nondum sum ibi, ubi est dulce illud, quo
sic rapta sum quasi per transitum?...
Sed, « Spera in Deum », respondet conturbanti se animae
suae... Interim habita in spe. Spes enim quae videtur, non est
spes. Si autem quod non videmus speramus, per patientiam
exspectamus (SANT'AGOSTINO, Enarratio in Psalmum 41, nn. 7-10,
P. L., XXXVI, 467-471).

256
CAPITOLO VII

L'ATTUALITÀ DI DIO

Ogni volta che l'umanità abbandona un sistema di


pensiero crede di perdere Dio.
Il Dio dell'« ontologia classica » è morto? Può darsi.
Io me ne dò poco pensiero. « Non ci tengo a difendere
le costruzioni gelide di un Wolf ».
Ma se l'« ontologia classica » è scomparsa, ciò è per­
ché non era adeguata all'essere. Né lo era di più la sua
idea di Dio: ma lo spirito resta vivo, e cosl il Dio che
s'impone a lui.
« Dio è morto! ». Cosl ci sembra ... ma presto « lo
ritroveremo vivo » alla prima svolta della via. Egli si
imporrà di nuovo, al di là di tutto ciò che avremo lasciato
lungo la strada, di tutto ciò che non era che viatico per
una tappa del nostro cammino, rifugio provvisorio prima
di ripartire. E se abbiamo progredito davvero, lo ritro­
veremo cresciuto pure Lui. Ma sarà il medesimo Dio.
Deus semper major. E cammineremo di nuovo nella Sua
luce...
Dio non è mai indietro, tra i sorpassati. In qualunque
direzione i nostri passi ci portino, eccolo erigersi dinanzi
a noi, ecco che ci chiama, eccolo che ci viene incontro...
257
17. - Sulle vie di Dio
***
Spesso è fin troppo vero: « Il deista è un uomo che
ha avuto ancora il tempo di divenire ateo! » 1 •
Il Dio del deismo; il Dio di molte « teodicee » mo­
derne che lo giudicano e lo pesano molto di più di
quanto lo « difendano »; il Dio di cui non si sa più se
può ancora dire : « Io sono »; il Dio che non tende a
non essere più che « l'armonia universale delle cose » e
che regna su un al di là dove « dappertutto è come
qui » 2 ; il Dio racchiuso « nei limiti della ragione », che
non interviene più nel mondo, che in realtà non è che
la proiezione dell'uomo naturale, che tutto in una volta
si è fatto lontano e ha perduto il suo mistero; Dio fatto
su nostra misura e definito attraverso il nostro ideale;
Dio che si confonde con « l'ordine morale dell'universo »
come può concepirlo l'uomo; Dio che non viene adorato
e che serve solo per il culto della moralità; Dio che « non
è accessibile se non nel puro sapere » e che altro non
è « che il sapere stesso »; Dio infine i cui pensieri sono
i nostri pensieri e le cui vie sono le nostre vie; questo
1 BoNALD ; cfr. P. Wusr, La crise occidentale in Le roseau
d'or. Chroniques (1929), p. 330: « Il Dio dei deisti non è più che
un'ombra del tutto morta del paterno Dio dei cristiani ». J.
MARITAIN, Les degrés du savoir, pp. 446-447 ; P. lIAzARD, La pensée
européenne au XVIII si�le, t. I, p. 153 ; La crise de la conscien­
ce..., t. Il, p. 31. Nella Philosophie de la mis�re, PRounHON diceva
crudemente: « lo conosco un tale che, per la causa di Dio, sa­
i-ebbe pronto a maneggiar la spada e, come Robespierre, a
far funzionare la ghigliottina fino alla distruzione dell'ultimo
ateo, senza sospettare che l'ateo sarebbe lui». Diciamo almeno
che il deismo razionalista fornisce alla negazione di Dio in
vantaggio dell'uomo il suo argomento più formidabile.
2 Cfr. J. LACHELIER, dove fa la critica di quèsta concezione
di Leibniz, Lettre à Jean Baruzi, 10 dic. 1906.

·258
Dio si è rivelato, in pratica, un soggetto di �ttribuzione
assai inutile nel tempo stesso che è divenuto oggetto di
un giustificato -risentimento Quando infine, per rien­
3

trare in possesso del suo bene, l'uomo ha pensato di


cacciarlo, « ·ridotto nella stretta cinta del pensiero uma­
no », esso era soltanto più un'ombra '.
« Convincere Voltaire di ateismo non può costituire
una grande vittoria sul pensiero cristiano » 5 • E neanche
il mostrare che il Dio di Fichte o di Hegel si trasforma
senza sforzo nell'uomo di Feuerbach. « Ne deducano
ciò èhe vorranno contro il deismo » diceva già profeti­
camente Pascal e .

a Cfr. F. Pru.oN, Une dénonciation épiscopale in La critique


philosophique ( 1876), n, pp. 122-123: « Si voleva solo che rendesse
un omaggio di convenienza al Dio di Cousin e della Revue des
deux Mondes? Ha il torto di sdegnare e di disprezzare questo
religiosismo borghese ed incolore degli eclettici e dei dottrinari,
che non conclude, che non ha nessun influsso sulla vita, che non
è nelle abitudini, ostacola ogni manifestazione spontanea e
originale del vero sentimento religioso! » - Per Hegel cfr. J.
HYPPOLITE, Logique et existence (1953 ) ; il pensiero dello stesso
Hegel è ancora ambiguo, ma lo è già nelle sue prime opere;
cfr. M. MERY, G. W. F. HEGEL, Premières publications ( 1952), p.
299 ; e dello stesso: La critique du christianisme chez Renouvier,
t. Il, (1952), conclusione (pp. 500-501 ).
' Ci si ricorderà tuttavia sempre che ogni caso è unico ; che
vi sono sopravvivenze attive; che vi sono pure ambivalenze e
che spesso le « questioni dell'ateismo • sono confuse, che ciò che
sotto una certa luce appariva come una « degradazione » può al
contrario esser talvolta esca di una nuova reinvenzione. G. MAR·
CEL nota ad esempio che « presso i più grandi rappresentanti
dell'idealismo » - egli pensa particolarmente a Fichte - « sus­
sisteva uno straordinario riconoscimento dei valori » (Le mystère
de l'Etre, t. Il, 1951, p. 89).
5 E. GILSON, rispondendo a L. BRUNSCHVICG, Querelle de

l'athéisme.
e Cfr. G. FESSARD, La main tendue (1937), pp. 124-126, a pro­
posito della formula hegeliana che proclama « la morte della
astrazione dell'essenza .di:vina ».

259
***
Negli ultimi secoli abbiamo ass1st1to a « l'evapora­
zione razionalista di Dio » 7 • Ma era il Dio dei raziona­
listi. Soffiate e dissipate questo vapore. Non ne saremo
turbati, anzi respireremo meglio. Il Dio vero, quello che
non cessiamo di adorare, è altrove, è dovunque credete
di raggiungerlo, è dovunque non lo raggiungete.

***
Quando « la Causa di Dio » è vinta, è allora che
Dio trionfa nuovamente. Allora « Egli è il suo proprio
difensore » 8 •
***
È riconosciuto che il cristianesimo è quello che ha
« inserito nella nostra storia la confutazione delle false
divinità ». Ma vi è chi si offre a sostituirlo in questo
ruolo come se esso non sia capace di « espletarlo fino
alla fine ». Gli si vuol dare per erede « la filosofia ».
Non di meno, si dice che il filosofo è « colui che com­
prende » e non « quello che sceglie » 9 • I falsi dèi si go­
dranno ancora delle belle giornate col filosofo.
***
Il tal scrittore dice che bisogna « respingere le divi­
nità, tutte le divinità ». È appunto quello che i discepoli
1 G. GusDORF, Mythe et Métaphysique (1953), ,p. 221.
s Cfr. LEIBNIZ, Causa Dei... , e n. 68.
9 M. MERLEAu-PoNTY, Eloge de la philosophie (1953), p. 65.

260
di Gesù ci hanno insegnato a fare fin dall'origine. Se
furono presi per atei non è perché, cosa banale, portava­
no un altro Dio, il quale non sarebbe stato che una divi­
nità tra le altre, ma perché annunziavano Colui che è
tutt'altra cosa che le divinità e ci strappa alla loro tiran­
nia. Essi dunque negavano tutto ciò che gli uomini intor­
no consideravano divinità, tutto ciò che l'uomo in ogni
epoca tende a divinizzare per adorare se stesso e tiran­
neggiarsi da sé nelle sue divinità. Solo il Vangelo è il
vero « crepuscolo degli dèi ».
***
Si può sostenere che la religione - e anzitutto la
fede in Dio - è un sistema inventato dalla natura per
rassicurare l'uomo, che senza di essa sarebbe abbattuto
dall'agitazione e dallo spavento dinanzi al mistero ostile.
Ma vi è per l'uomo anche un'altra maniera di rassi­
curarsi: quella del razionalista e dell'ottimista dalla
vista d'una spanna che non sanno neppure innalzarsi al
sentimento del mistero e che superbamente dichiarano
che non c'è nessun mistero da conoscere.
Quale delle due maniere è più conforme al vero?
La fede in Dio ci rassicura 1 0 • È innegabile, e non c'è da
arrossirne, come se fosse cosa più intelligente l'aver pro­
vato l'angoscia o più nobile non volerne essere liberati.
Essa ci rassicura, ma non come vorremmo noi: cioè non
per procurarci un'illusione paralizzante o una soddisfa-
1 Cfr. CLEMENTE ALEssANDRINO. Testi scelti dai Profeti, n. 21
°
e 26: Dio è al tempo stesso � Luce inaccessibile " e e fuoco
divorante • : come fuoco genera il timore; come luce ridà
sicurezza.

261
ì
zione beata, ma per permetterci d agire. Essa ridona
fiducia all'uomo, perché sia degno di se stesso, perché
non soccomba alla formidabile crisi di crescenza, che co­
stituisce il risveglio della coscienza all'uscire dall'anima­
lità. Essa lo rassicura, ma stabilendolo nella verità, e co­
municandogli un'inquietudine superiore.

***
Orrore di un mondo senza Dio, senza stabilità né
mistero, che crede di esser chiaro a se stesso, e va inabis­
sandosi in un divenire senza- significato e senza via di
uscita, dum nil perenne cogitati
Disperazione atroce di una società sedotta dagli idoli
temporali, e in cui muore soffocata la mens avida aeter­
nitatis!
***

Io paragono Nietzsche a Gesù. Gesù fu ucciso dagli


uomini per aver annunciato loro il Padre che è nei
cieli. Nietzsche si è ucciso da sé, la sua intelligenza si è
sommersa nella notte per aver proclamato, accettato, vo­
luto « la morte di Dio ».
Dal giorno di questa decisione, nonostante la sua per­
suasione volontaria di possedere la « Gaia Scienza »,
l'uomo deve confessare, con Nietzsche, che questa
« scienza » lo « agghiaccia di terrore », e resta in preda a
un « sacro spavento » 1 1 •

11 Cfr. Atfrontements mystiques ( 1950), e : III, Nietzsche


mystique.

262
***
Diritto divino dei re, diritto divino dei popoli: ina
venzioni umane, strumenti di oppressione. Diritto divino
di Dio : unica liberazione dell'uomo.
***
L'antiteista - e ogni ateo militante è tale -- prea
tende di conoscere Dio, perché senza ciò non potrebbe
opporsi a Lui. Ma per il fatto stesso e checché ne sia,
non è a Dio che egli si oppone. Infatti Dio non potrebbe
esser conosciuto cosl.

***
Anche dal solo punto di vista dell'analisi sociologica,
la teoria di Marx sulla religione è già poco esatta o, per
lo meno, incompleta. La religione potrebbe effettivaa
mente essere, ammettiamolo per ipotesi, l'oppio del po"
polo, se il popolo avesse il gusto di questo oppio; e può
essere che lo abbia in alcune circostanze felici. Ma l'ossera
vazione ci fa pensare che, via via che diviene proletariato,
il popolo perde proprio questo gusto. Lungi dal provo­
care per compenso mistico uno slancio religioso, la crea
scente alienazione sociale, che caratterizza la condizione
proletaria, tende piuttosto a soffocare l'interesse per la
religione. Essa distoglie da Dio quello che disumanizza.
Un certo grado di alienazione sociale può effettiva­
mente portare come conseguenza l'alienazione della co­
scienza. Ma la coscienza alienata è tutto il contrario della
coscienza religiosa.
263
***
« Il proletario non ha patria ». In senso analogo, e
per motivi uguali, il proletario non ha religione. In una
società come la nostra la religione tende a divenire un
articolo di lusso che tutta una parte della popolazione
non può più procurarsi. La soppressione del proletariato
non renderà automaticamente Dio all'uomo : ma, in certa
misura, essa è una condizione perché le sia reso Dio.

***
La famosa dialettica marxista : ecco un altro auten­
tico caso di « :filosofia cristiana », per quanto assai aber­
rante e quasi vergognoso.
Hegel era teologo, le sue grandi categorie gli furono
fornite dai misteri cristiani razionalizzati. Marx fu hege­
liano. Per conseguire il risultato presente occorse una
doppia involuzione, « una doppia apostasia »: una im­
manentizzazione del divino, ad opera di Hegel; poi una
materializzazione dell'umano, ad opera di Marx (quello
che Marx definiva: rimettere sui propri piedi la dialetti­
ca). Ma attraverso a questa doppia metamorfosi, la trama
è restata la medesima: non è l'esperienza, non è la scien�
za e neppure la riflessione pura che l'hanno fornita -
forse che la pura riflessione ha mai dato qualche cosa? -
ma è la fede. È il mistero del Cristo, Dio incarnato morto
e risuscitato. Sotto le categorie apparentemente più pro­
fane un occhio esercitato riconosce ancora il « latrocinio
delle cose sante » che si trova alla loro origine. Ancora
oggi, dopo tanti mutamenti, rinnegamenti, negazioni,

264
corruzioni, la ideologia marxista trae una vita parassi­
taria dalla sostanza cristiana 12 •
Quando non si parlerà più della « storia assoluta
dell'Idea divina» o della sua « alienazione suprema»
la fede vivrà sempre sul Dio che si è incarnato nella
storia, e che si è « annientato » per noi. Quando non si
tratterà più di « Venerdì Santo speculativo » né di
« Calvario della Gloria », la croce di Gesù continuerà a
fiorire e a portare il Frutto di Vita.

***
Io so quel che ho visto, o almeno intravisto, quando
ho incontrato un santo. Ed ecco ora quelli che dicono che
ormai fanno a meno di Dio e si trovano meglio. Aspetto
che essi mi mostrino un nuovo tipo di santo.

12 Cfr. F. GJIBGOIRE, Aux sources de la pensée de Marx


(1947), p. 77: « L'attaccamento cli Hegel al dogma cristiano della
redenzione, sia pure dopo che questo filosofo ebbe perduta la
fede, come a un puro simbolo, ha certo contribuito a suggerirgli
l'idea del processo dialettico come legge fondamentale delle
cose ». E. G. VAN DER LEEuw, L'homme primitif et la religion;
pp. 194-195: « Più l'ateismo si afferma, più ci è possibile rilevar
distintamente nei suoi tratti le tracce di esperienza religiosa
del passato, come nell'ateismo comunista quelle dell'escatologia
e della religione della comunità umana. L'uomo che non vuole
essere religioso, lo è proprio per questa sua volontà. Fugga pure
davanti a Dio, ma non gli è possibile schivarlo ».
In Le Génie des religions (1841), E. QUINE!' aveva già rilevato
questa specie di assorbimento del cristianesimo ad opera della
dottrina dei metafisici tedeschi più contrari alla fede cristiana ,
ma il suo punto di vista liberale gli faceva considerare il fatto
in modo ottimistico: « Essendo il cristianesimo entrato quasi
interamente nelle teorie dei suoi metafisici, non è mai stato
abolito negli spiriti neanche per un giorno; perciò (per la Ger­
mania) è passata dalla religione alla filosofia, senza violenza...
Essa non si è mai trovata un minuto dinanzi al nulla ... ».

265
***
Poveri spiriti, che un giorno si sono messi in capo
che « l'angoscia metafisica ha fatto il suo tempo » ! Essi
proclamano: « Siamo degli ossessi guariti. L'ossessione
di Dio, l'ossessione dell'essere e del nulla, la bruciatura
dell'incognito nel bel centro del conosciuto, l'altro che ci
perseguitava in noi stessi, questa follia è finita ». E ag­
giungono: « abbiamo vinto l'ossessione dell'assoluto »,
abbiamo rimosso il peso delle « verità eterne » ... Poveri
mutilati che si credono divenuti liberi! Celebrano come
una « vittoria immensa » la più triste abdicazione. Ma si
affrettano a concludere il loro canto di trionfo! Anche
in loro la mutilazione non è completa, e non sanno che
l'abdicazione è impossibile per l'uomo. Ecco che un bru­
sco risveglio rimette tutto in questione. Una scintilla
improvvisa riaccende il fuoco che si credeva spento.
L'anima risorge in colui che l'aveva uccisa. Accorgendosi
allora con sgomento che la porta in sé,
Non come una vacca satolla che rumina sui suoi piedi,
Ma come una giumenta vergine, con la bocca bruciata
Dal sale preso nella mano del suo padrone,
Come saprebbe serrarla e cos tringerla, la grande
Terribile cosa che si drizza e grida nella stretta
Stalla della sua volontà personale
Quando dalle fessure della porta l'odore della prateria
Giunge con il vento dell'alba? 1 8

***
Nell'uomo vi è una ferita, segno spesso segreto, ma
che non si cancella, della sua grandezza. Quando questa
ts P. CuUDEI., lA Ville.

266
ferita affiora alla coscienza, vi appare sotto forme multi­
ple. È un'inquietudine sempre rinascente, una insoddi­
sfazione essenziale, che non solo impedisce di attenersi
a qualche forma stabile, ma di accontentarsi di un pro­
gresso spinto nella stessa direzione. È uno slancio del
pensiero che gli fa spezzare successivamente tutti i .cer­
chi in cui la vita dell'animale umano tende a rinchiu­
dersi, e che volta per volta ha ragione di tutti i sistemi
critici, di tutte le saggezze positiviste che credevano di
averne ragione. Il che può essere un'angoscia senza og­
getto sempre definito:

... AJiis oppressa malis in pectore cura.

Angoscia le cui varietà o succedanei psicologici sa­


rebbero infiniti da descrivere, ma di cui qualunque psi­
cologia della superficie o del « profondo » non tocca mai
altro che le manifestazioni. Talvolta è pure un presenti­
mento, il presentimento di un'altra esistenza, di cui chi
lo prova per primo comunica intorno a sè il gusto o al­
meno il sospetto per la segreta connivenza che gli assi­
cura un medesimo spirito diffuso dappertutto, anche se
assopito nei più, e sottomesso a sua volta a misteriose
leggi di germinazione. È ciò che un filosofo definiva « il
richiamo della trascendenza »...
Di questo fenomeno universale si possono tentare
spiegazioni rassicuranti. Ugualmente se ne possono criti­
care molte manifestazioni ingenue. Se ne possono con­
dannare molte deformazioni, denunciare molte contraffa­
zioni, spesso tanto più gravi quanto l'espansione normale
della vita spirituale si trova d'altra parte impedita. Ci

267
si può impegnare a sbrogliare tutte le confusioni che una
mentalità rudimentale mantiene al riguardo 14 • Si può
inoltre osservare che molti uomini, in generale contenti
di se stessi, non ne hanno il minimo sospetto, mentre
sembra curiosamente acuito da certi stati morbosi del­
l'organismo fisico o sociale. Ma sarebbe pessimo osser­
vatore chi non vi vedesse che una anomalia, un male
superficiale, una specie di escrescenza che un giorno si
potrebbe estirpare, un fantasma che si potrebbe dissipa­
re, una voce estranea che si potrebbe ridurre al silen­
zio. Ben poco realista chi immaginasse che ce ne sbaraz­
zeremo con gli sviluppi della scienza o con una salute
fisica e sociale alla fine raggiunte pienamente. Egli disco­
noscerebbe ciò che vi è di più umano nell'uomo, e che
al tempo stesso fa che « l'uomo superi l'uomo ».
Supponiamo tuttavia che vi si giunga. Non esiteremo
ad affermare che sarebbe allora meglio aver minor salute,
se una tale salute dovesse soddisfarci al punto di stabilir­
ci in un umanismo beato; se si dovesse stabilire un equi­
librio tale che l'uomo ne fosse saturo, e che non fosse più
un problema a se stesso. Quale misero ideale quello di
un'esistenza terrestre senza lotta, senza contraddizione,
senza sofferenza, ma anche senza slancio, senza ricerca
dell'assoluto! Ideale di un mondo ordinato cosl perfetta­
mente da non trovarvi più posto conveniente per i santi

H G. MARCEL osserva giustamente che « l'esigenza di trascen­


denza si presenta anzitutto come insoddisfazione », tuttavia « non
sembra che si sia in diritto di dire che ogni insoddisfazione
implichi l'aspirazione alla trascendenza "· Le mystère de l'étre,
t. I, Ré{lexion et mystère (1951), p. 50. -In questo rilievo c'è di
che premunirsi contro un'illusione romantica e contro un'illusio­
ne in contrasto con alcuni anti-romantici.

268
e per gli eroi ! Ideale di una perfezione così perfetta
nella sua realtà circoscritta, così adattata totalmente
all'ambiente, che realizza una equazione così rigorosa
tra l'oggettivo e il soggettivo, tra l'idea che l'uomo si fa
di se stesso e la sua esistenza concreta 1 5 , in modo che
non resti più la minima apertura attraverso cui comuni­
care ancora con il mistero dell'essere, non rimanga più
alcun giuoco in questa grande macchina dell'universo me­
ravigliosamente ordinata, più nulla che permetta ancora
la lotta dell'uomo con se stesso e l'impegno di un'opzione
personale! Allora si potrebbe parlare ancora di umane­
simo, di cultura o di vita spirituale: ma in qual senso
scipito ! Quale orrore dal punto di vista cristiano! Ma
già umanamente quale miseria! E dovrebbe sfociare in
questo carcere lo sforzo immenso che ci spinge sempre
avanti ? 16 •
Ma in realtà non siamo affatto ristretti a questo di­
lemma. Si dovrebbe piuttosto dire che uno stato sociale
troppo ingiusto o troppo miserabile - pur favorendo
magari certe aberrazioni grossolane - chiude l'uomo

1 5 Cfr. H. NIEL, Athéisme et Marxisme in Lumière et Vie


(1953), p. 78: Agli occhi di Marx « la religione nasce cosi dal
dualismo tra l'ideale e la realtà, tra l'idea che l'uomo si fa di
se stesso e la sua esistenza concreta. Finché esiste questa alter­
nativa vi è religione. :E!. a questo sentimento di insufficienza,
di inadattamento che Marx vuol mettere fine con la realizzazione
di un mondo in cui l'uomo si ritrovi veramente a casa sua».
E. MoUNIER, Carnets de route, II p. 415: « Che cosa è un uomo
felice? Si penserà: un uomo ben ambientato che scivola come
un congegno perfetto sui propri ingranaggi biologici, affettivi e
sociaH ».
16 Sembra che perfino alcuni marxisti lo temano oscura­

mente, e sarebbe questa una delle ragioni per cui tracciamo più
volentieri il ritratto ideale del marxista nella società attuale che
quello dell'uomo nella società marxista.

269
alla vita dello spirito. Possiamo dunque di tutto cuore e
senza sottintesi, senza timore di esser mai esposti a· pas­
sare il limite desiderabile, lavorare al risanamento della
nostra specie e al suo progresso su tutti i fronti: la riu­
scita non sarà mai tale che l'augusta ferita si cicatrizzi.
Quand'anche dovesse realizzarsi sulla terra il « salto nél
regno della libertà » profetizzato da Engels, : la ferita
rimarrebbe aperta, la coscienza che noi ne acquisteremmo
non sarebbe · che più· viva e più · pura. · ciò ·che non ha
generato il disordine sociale, l'ordine sociale è impotente
a guarirlo.

***
Per la prima volta, ·nella nostra epoca, è sorta la
persuasione collettiva, potente come un maremoto, che
l'ora 'dell'uomo è infine suonata, l'ora dell'essere finito
che basta a se stesso nella sua immanenza e nella sua
finitezza, e che, nella sua immanenza e nella sua finitezza,
si arroga tutte le prerogative di Dio. Follia di Kirilov,
follia di Zaratustra, e follia 'di Feuerbach! - Follia del-
1'« umanista » e follia del « superuomo » ! Si è giusta­
mente parlato a suo riguardo di « disprezzo tragico ».
L'uomo,· è vero, eccelle nel trasformare in ogni specie
di sogni le condizioni attuali della sua miseria fisiologica
o sociale. Vi è certamente molto ·di vero nelle psican;1lisi
opposte di un Marx o d'un Freud, per non citare che
questi due grandi esempi paralleli. Ve n'è pure nell'idea
del Comte di una prima-età « teologica » ·e in tante rifles­
sioni analoghe dei nostri filosofi e storici. Uno dei segni
della maturità -di spirito è effettivamente qn�llo di rinun-

270
dare alle false trascendenze, a tutte le vegetazioni paras­
site che esauriscono la linfa senza dare frutto sostanzioso.
Ma non dimentichiamo neanche la saggezza del primo
tra i grandi « riduttori». Quando il vecchio Senofane di
Colofone formulava le sue asserzioni apparentemente
scettiche: « Se i buoi e i cavalli avessero mani e potes­
sero dipingere ... », la sua intenzione non era affatto di
distruggere l'idea della divinità: egli lavorava unica­
mente per purificarla. Non dimentichiamo che una volta
ritrovata, se ve ne fosse bisogno, la realtà della natura
e dell'uomo, bisogna ancora spiegarla. Bisogna ancora
penetrarla, salvarla. Badiamo che le riduzioni effettuate
non divengano mutilazioni; che le conquiste della scien­
za, male interpretate, non producano obnubilazioni, e
che a un'illusione non ne segua un'altra antitetica. Infatti
vi è pur un'illusione dell'assoluto, ma vi è ugualmente
un'illusione del relativo; vi è un'illusione dell'eterno, ma
vi è ugualmente un'illusione di ciò che è storico; un'illu­
sione della trascendenza, ma pure un'illusione dell'imma­
nenza; un'illusione mistica, ma anche un'illusione positi­
va. Significa che, da un lato, misconoscendo il relativo e
ciò che è storico, è vero che non si ottiene che uno pseu­
do-assoluto, uno pseudo-eterno, una liberazione in so­
gno; ma, d'altra parte, e non meno indubbiamente, la
misconoscenza dell'eterno e dell'assoluto non lascia in
mano che uno pseudo-storico, uno pseudo-temporale, una
via che non conduce alla liberazione. In breve la « misti­
ficazione » non è a senso unico.

271
***
Vi è un'illusione mistica o celeste, e v'è un'illusione
positiva o terrestre. Chiamiamo spiritualista l'una, e ma­
terialista l'altra. Ora, non trattasi di sole illusioni o ma­
lattie individuali. Esse possono, ora l'una ora l'altra,
contrassegnare lunghi periodi della storia umana. Nor­
malmente fillusione celeste precede la terrestre, perché
la seconda è una doppia illusione che si scambia per
lucidità critica. Tuttavia non serve nulla dissipare l'una
per cadere nell'altra.
Chi è guidato dal Vangelo sta in guardia contro am­
bedue. L'idea della trascendenza implica l'immanenza.
Il dogma della risurrezione e l'invito biblico al lavoro
<lella terra indicano direzioni sicure: ugualmente il pre­
cetto della carità paterna. La maturazione intellettuale e
i progressi tecnici di questi ultimi secoli ci aiutano ad
acquistare una coscienza approfondita. Crediamo con
San Paolo che « la figura di questo mondo passa » e non
acconsentiamo a sacrificare alcuna delle sue facce di que­
sta verità, riconoscendole solidali. Nessuna vita spirituale
nel sogno! Nessuna eternità per noi che il tempo non
prepari! Ma neppure umanismo chiuso, « umanismo inu­
mano »! Il « nulla tranne la terra » è l'illusione più
crudele...

***
Il cielo dell'illusione mistica non esiste. Ma la terra
<lell'illusione « positiva », dell'illusione . temporalista,
questa terra esiste, e si vendica.

272
* * *
« Non protestiamo abbastanza contro le deforma­
zioni dell'idea di Dio che si introducono tra i cristiani.
Pensiamo sempre a guidare i deboli, ed evitiamo di far
cadere i semplici, e di allontanare gli impuri, nella spe­
ranza che ogni contatto con la Chiesa abbia la possibilità
di illuminarli e convertirli. Però badiamo a quegli altri
deboli che sono gli increduli e che si scandalizzano dei
nostri compromessi ».
« Lasciare che la verità si oscuri è sempre di scan­
dalo per qualcheduno, anche se uno si lascia così sviare
per evitare di scandalizzare questo o quello » 1 7 •
***
Non è una prova che mi abbia dato il mio Dio, non
è la critica di una prova che me la toglierà. Per intelli­
gente che sia, questa critica stessa deriverà sempre da
un'altra critica 18 • Ma forse è necessario che essa, in
un primo tempo, esplichi il suo compito salutare. Senza
costringermi a qualche concessione, mi provoca a un
progresso. Senza togliere valore alla mia prova, mi ob­
bliga a scoprirne la molla segreta, ad approfondire la
mia credenza e a purificarla.
Così l'ateo, a sua insaputa e contro sua volontà, spes­
so è il miglior aiuto del credente. Come il libro dell'Ec-
1 7 J. LEcu!Rco, Dialogo dell'uomo e di Dio, Ed. Paoline, 1965,
pp. 29-30. Cfr. L. BAUYER, Le sens de la vie monastique (19.50), p.
105, sulle bestemmie che " si profferiscono in ginocchio "·
18 A questo riguardo la storia è istruttiva. « L'idealismo
critico ,. credeva di avere definitivamente scartato, o almeno
trasformato radicalmente, molte prove. Di questo idealismo,
preso in tutto il suo contenuto, oggi che cosa resta?

273
18. - Sulle vie di Dio
clesiaste, egli segna con la sua critica uno dei tempi della
dialettica integrale. Concon-e senza volerlo a questa
« purificazione della fede », che deve andare « sempre
più distinguendosi dai significati e dai ragionamenti uma­
ni». Porta il sale che impedirà alla mia idea di Dio di
corrompersi coagulandosi.
***
L'idea di Dio è inestirpabile, perché in fondo è la
Presenza stessa di Dio nell'uomo. Sbarazzarsi di questa
Presenza non è possibile. L'ateo non è colui che vi sa­
rebbe riuscito. È solamente l'idolatra che, come diceva
Origene, « riferisce a qualsiasi cosa piuttosto che a Dio
la sua nozione indistruttibile di Dio » 1 0•
***
Se le civiltà industriali sono naturalmente atee 20 le

1 9 0RIGBNE, Contra Celsum, 1. II, c. XL: ..• ,:oì,ç lÌÈ :n:ì..avooµivouç


ltEQÌ llEOV, xaÌ :n:av'tÌ µù.ì..ì..ov � llEq> ÈcpaQµotov'taç 'tT)V ltEQÌ aÌ,,:o\j
ci.lì uiCJ'tQOcpov Évvol.<lv, u:n:oì..aµ�a.vov'taç elvm E'l!�EVECJ'ta.'touç P. G.,
XII, 261 B). J. LP.ClJlRcQ, op. cit., p. 23:
e Si mette Dio nelle cose perché non si conosce Dio. Tuttavia lo
si conosce, perché è lui che si ricerca nelle cose, perché non si
cercano per loro stesse, come si presentano, ma per l'Ineffabile
che esse nascondono ».
2o Cfr. J. Foumr, L'avénement de Prométhée (1951), pp.
21-22: e Preludendo al progresso delle scienze naturali e della
tecnica, Cartesio e Bacone preparano l'avvento dei grandi nega­
tori, dei nemici di Dio. L'uomo prometeico vive in un mondo che
è la sua propria creazione, lontano dalla natura, la cui crudeltà
e bontà riempivano il primitivo, poi il contadino, di entusiasmo
e di terrore; le luci della città gli nascondono le stelle ... Nell'uni­
verso che egli secerne, egli non prova più il bisogno del Creatore.
Il timore dell'ignoto che resta in lui è quello di un ignoto umano
e sociale, più che di un ignoto naturale o soprannaturale "·

274
civiltà agricole sono pure naturalmente pagane. La fede
nel vero Dio è sempre una vittoria 21 •
***
Divenendo ognor più profane, le nostre civiltà mo­
derne ci espongono a perdere Dio. Forse ci permetteran­
no di ritrovarLo a maggior profondità, e tale riscoperta
potrebbe preparare sintesi nuove, senza che debbano
mai più risorgere le confusioni primitive 22 •
21 Cfr. H. NIEl., Zoe. cit. p. 80: Attraverso la rivoluzione tec­
nica « è in certo modo l'esperienza del suo potere creatore che
l'uomo fa, e che egli paragona con il potere creatore della na­
tura. Rivelando all'uomo un nuovo aspetto della sua grandezza,
questa rivoluzione ci obbliga per contraccolpo a un lavoro di
dirozzamento, di purificazione dell'idea che ci formiamo di Dio ».
22 Cfr. VAN DllR Ù!EUW, L'homme primitif et la religion, p.
207: « Ciò che noi chiamiamo secolarizzazione non è solo una
perdita religiosa, ma un fenomeno che va insieme con la presa
di coscienza dell'homo religiosus. Ciò che la religione perde in
estensione lo può guadagnare in profondità. L'uomo primitivo
non mangia mai senza mischiarvi la religione, mentre il fatto
di mangiare per l'uomo moderno, anche religioso, è la cosa più
naturale del mondo. Ma il primitivo non può « convertirsi », ciò
che invece l'uomo moderno è in grado di fare. e una possibilità
della secolarizzazione, che l'uomo primitivo possiede molto
meno: l'uomo che ha scoperto il mondo può trovarvi la propria
perdizione. e così che la perdita della nozione del carattere sacro
della vita può divenire la condizione preliminare della nozione
del carattere sacro di Dio; ma può anche condurre alla perdita
di ogni nozione sacra, qualunque essa sia "·
Si mediteranno anche altre riflessioni del medesimo autore
(pp. 167-168 e 187): « La sovranità dell'astrazione, che, nelle sue
forme idealistiche e materialistiche, domina in gran parte il
XIX0 secolo, si infrange nella nostra epoca contro le forze impla­
cabili della realtà. L'uomo ha ritrovato se stesso come essere di
carne e di sangue, ha ritrovato i suoi istinti ; ha scoperto di
nuovo le potenze che dominano ,il mondo ; è perfino in procinto
di riscoprire la realtà dei suoi dèi e talvolta persino quella del
suo Dio. Ogni sorta di influenza, estremamente contraddittoria
in apparenza, concorre a spezzare l'astrazione. e qui che si tro-

275
***
Non c'è uomo senza valori e non vi sono valori che,
in modo assoluto, pongano le fondamenta al valore
dell'uomo senza un Assoluto su cui poggiano essi stessi.
L'uomo vale assolutamente perché il suo volto è illu­
minato da un raggio del Volto divino; perché, pur svi­
luppandosi ed agendo nella storia, egli respira già nella
eternità. Fuori di ciò ogni filosofia dell'uomo non può
essere che volgarità, cinismo o sogno vano.
***
Si è potuto credere che ridurre tutto all'immanenza
sarebbe render tutto all'uomo, e in primo luogo renderlo
a se stesso; al contrario era rapirgli tutto e alienarlo
tutto intero. Era infatti ridurre tutto alla durata, a una

vano allineati fianco a fianco i nomi di Nietzsche e di Kierke­


gaard, di Barth e del terzo Reich, di Klages e di Berdiaev, di
Guardini e di Rosenberg, di Buber e di Chesterton. La "men­
talità" moderna come astrazione della realtà, dominante questa
realtà, è un fenomeno transitorio, un fantasma che ancora si
aggira tra noi, ma condannato a sparire presto ». Però questa
liquidazione del razionalismo è nel contempo l'irruzione di un
irrazionalismo non meno pericoloso. Occorre essere vigilanti:
« Per quanto, nell'insieme della vita umana, sia grande e stabile
l'importanza delle strutture della vita primitiva e mitica, esse
non debbono mai metterci in disaccordo con la ragione. Altri­
menti commetteremmo l'errore esattamente opposto di quello
di coloro... che presentano la struttura razionale come la sola
salutare. Riprenderemmo in certo modo la glorificazione di
un "buon selvaggio" roussoniano ... Le considerazioni che dànno
valore ai nemici mortali dello spirito, particolarmente quelle
di Klages, ci fanno pensare, sebbene esse mirino a un fine
assai diverso... "·
Perciò, se non si vuole ricadere da Cariddi in Scilla, oggi
urge ritrovare e rimettere in valore nella sua integrità l'idea
dello spirito che ci viene dalla tradizione cristiana ...

276
durata senza assise eterne, di cui tutti gli istanti, per
quanti ne abbia, si sparpagliano o si addizionano senza
compenetrarsi. Non si sono ricuperati « i tesori sprecati
per i cieli ». Non si è fatto discendere l'Assoluto da un
cielo di sogno su una terra reale; non lo si è ricondotto
da Dio nell'uomo: lo si è fatto cadere nel relativo, e
tutto l'uomo con lui.
***
Opera reale di un Dio buono, il mondo ha un va­
lore reale. Più ancora che l'ambiente in cui l'uomo deve
agire ed impegnarsi, più dello strumento che deve impie­
gare, egli è per cosl dire la stoffa del mondo avvenire,
la materia della nostra eternità. L'uomo deve dunque
liberarsi più per mezzo del tempo che liberarsi dal tem­
po. Egli non deve evadere dal mondo, ma assumerlo.
Però, per comprendere il tempo e il mondo, è necessario
volger lo sguardo al di là: infatti è il suo rapporto con
l'eternità che dà al mondo consistenza e che fa del tempo
un divenire reale. Ed è la speranza di una trasforma­
zione radicale ed ultima che salva dall'inanità il nostro
sforzo terrestre.
L'umanesimo, si è detto, « è un antropocentrismo
riflesso che, partendo dalla conoscenza dell'uomo, ha per
oggetto la valorizzazione dell'uomo, escluso ciò che lo
aliena da se stesso, sia assoggettandolo a verità o potenze
sovrumane, sia sfigurandolo per ritrarre qualche utilizza­
zione infra-umana » 23 • Ma se ciò che viene chiamato un
23 C. BRUNOLD e J. JACOB, De Montaigne à Louis de Broglie,
introduction à l'étude de la pensée française contemporaine, Pa­
rigi (1952), p. 4, Entretiens de Pontigny.

277
rifiuto di assoggettare l'uomo « a verità o a potenze so­
vrumane » dovesse essere un rifiuto di Dio e della verità
divina, un rifiuto simile condurrebbe ben presto a sfigu­
rare l'uomo « per ritrarre qualche utilizzazione infra­
umana ». La protezione del valore dell'uomo è posta più
in alto di lui.

***
L'uomo ha il duplice carattere di storicità e di inte­
riorità, senza che uno si possa dissociare dall'altro. L'uno
non c'è senza l'altro: senza storicità reale, orientata, fe­
conda, la sua interiorità non sarebbe che fantasmagoria o
psicologismo vano; senza interiorità sostanziale la sua
storicità si disgregherebbe in un tempo divenuto polvere
pure esso... L'uomo si fa nella storia e con la storia -
questo si può affermare senza pregiudizio di nessuna teo­
ria del « progresso » - ed è per questo che ogni gene­
razione non si comprende pienamente che come un anello
di una umanità in cammino. Ma il cammino di questa
umanità non avrebbe senso, o, per meglio dire, l'uma­
nità non camminerebbe, e il nome stesso con cui la desi­
gnamo non sarebbe che un fl,atus vocis, se, presente al
cuore del nostro mondo e attirandolo come un fine, non
vi fosse un Eterno, che imprime in ciascuno di noi il
sigillo del suo Volto e conferisce cosl a ciascuno di noi la
sua irreducibile interiorità.
***
Se vuol trovare se stesso, l'uomo deve guardare più
alto e più lontano di sé. Non basta che ogni individuo

278
si dedichi a un compito che lo sorpassi; ma occorre lo
stesso per ogni generazione, per ogni comunità naturale,
per tutta l'umanità: senza ciò tutti i successi sono este­
riori e precari, attesi ogni volta al varco da una crisi di
nichilismo più radicale, e tutti si rivolgono contro l'uo­
mo. Nessun avvenire umano è degno di assorbire l'atten­
zione degli uomini. L'umanità non può trovare un equi­
librio, una pace - pace attiva, equilibrio in cammino
- che mantenendo lo sguardo al di sopra del suo oriz­
zonte terrestre, e con l'esser fedele alla sua vocazione
divina.
Occorre all'uomo un al di là dell'uomo, che non
sia mai riassorbito; gli occorre un al di là, che resti sem­
pre al di là. Infatti egli non può trovarsi senza perdersi.
A tutti i gradi la soluzione ultima del problema uma­
no sta nell'adorazione, e questa non è che nell'estasi 24 •
***
« L'uomo supera l'uomo ». Molti, tra quelli stessi
che vogliono essere rigorosamente ed esclusivamente
« umanisti », lo riconoscono. Secondo loro non c'è nes-
2• A chiunque intravvede almeno il bisogno di adorazione,
che è nel fondo dell'uomo, tutte le soluzioni positiviste del pro­
blema religioso sembreranno derisorie. Questo è uno dei vizi
della soluzione comtiana. Cfr. H. DB LUBAC, Il dramma dell'uma­
nesimo ateo, vers. ital. di L. Ferino, Morcelliana, Brescia, 1949,
seconda parte. Per l'abbozzo di J. HUXLEY cfr. L'homme cet etre
unique, vers. frane., (1947) p. 349: « La scomparsa di Dio trascina
con sé una rifusione della religione, e una rifusione di un genere
fondamentale. Essa importa per l'uomo l'obbligo di portare sulle
proprie spalle delle responsabilità finali di cui si era preceden­
temente scaricato su Dio "• per esempio, la responsabilità di
divenire oggetto di adorazione, l'oggetto della sua propria ado­
razione. L'utopia del laicismo integrale è almeno più logica...

279
sun uomo degno di questo nome senza un « sursum ».
Ogni dottrina che lo chiude in una natura realizzata
sembra loro bassa e menzognera. Essi postulano un moto
di trascendenza in seno dell'immanenza.
. . . Ma come potrebbe essere efficace un moto simile ?
Senza un al di là escatologico, già agente e presente nel
seno del divenire, è vano ogni sogno di avvenire collet­
tivo. E senza un al di là trascendente e immanente al
tempo stesso è vano ogni sogno di superamento inte­
riore.
Una « trascendenza verso il nulla »: è tutto ciò che
può offrire all'uomo chi non riconosce in lui l'attrattiva
di un Trascendente.
* * *
Ci si dice talvolta che concepiamo un mondo celeste
ad immagine di quello - troppo reale - della terra, e
talvolta che il nostro desiderio crea, per contrasto, una
regione mistica ove tutti i segni sono invertiti, per eva­
dere in una libertà di sogno dalla dura schiavità della
società terrena.
Ma noi sappiamo bene che il nostro Dio è altro!
Sappiamo bene che Lui è il Dio vivente! La nostra fede
in Lui è indipendente da questi processi, e la speranza
da lui infusa nei nostri cuori non c'inganna.
Indubbiamente, noi vediamo chiaro quanto altri i
processi che ci segnalano. Lo spirito ha bisogno di ana­
logie per rappresentarsi il proprio Dio, il che apre la
porta a molti rischi. L'oppresso tende a cercare in cielo
un rifugio contro le durezze dell'esistenza e la per.fidia
degli uomini; e questo comporta rischi opposti. È troppo

280
facile, troppo « naturale » mobilitare il divino a servizio
di un realismo sociale, o chiamarlo in soccorso di un sog­
gettivismo utopistico. Uno può chiamar Dio principio
della sua rivolta, l'altro principio della sua tirannia. Ma
il credente si guarda dagli abusi. Egli non è vittima né
delle analogie né dei contrasti. Non divinizza la terra né
tanto meno ipostatizza un cielo senza rapporto con essa.
Sa tuttavia bene che in definitiva la sua speranza del cielo
è la sola a dargli il gusto dell'opera terrestre che lo
prepara.
***

L'uomo alienato in nome del suo Dio? Ahimé ! oggi


diciamo piuttosto: alienato dal suo Dio. Orbato della
sua ultima ricchezza, la più preziosa, quella in cui ritro­
verebbe il principio non solo del suo avere, ma del
suo essere!
Quale rilievo prende oggi la formula tradizionale :
colui che è in me più me stesso di me! Formula adottata
forse con fiducia da molti di quelli che ne vivevano la
verità senza riflettere, ma di cui una terribile esperienza
a vuoto impone di nuovo l'evidenza!
L'uomo senza Dio è disumanizzato.

***
Vi sono divinità tiranne. Vi è un Dio liberatore.
Oggi, gli dèi tiranni generalmente non assumono più
nomi di divinità. Preferiscono pseudonimi, ma la loro
tirannia non è minore.
Respingete la fede in Dio, come una « teocrazia » in-

281
tollerabile? Ma ogni giorno che passa è una prova che
ciò è a vantaggio di una « mitocrazia » temibile. Ecco
salire verso il cielo, che voi avete svuotato, l'armata dei
miti: miti più costrittivi della fame, più dispotici di
qualsiasi despota ...
Non habebis deos alienos coram Me. Questo è per
sempre il « precetto della libertà » 25 • Questi dèi stra­
nieri, falsi, mitici, sono dèi allenatori, mostri divoratori
come le passioni umane, di cui tutti sono ipostasi.
Voi avete fatto del vero Dio un loro simile, e avete
creduto di respingerli tutti ugualmente, con un medesimo
gesto. Ma questo gesto superbo derivava da un contro­
senso. E non avete visto che invece tra essi e Lui bisogna
scegliere. Le divinità oscure, che il Sole di Giustizia met­
teva in fuga alla sua aurora e che teneva a distanza, tor­
nano subito sotto altri nomi.
Nomi antichi o nomi nuovi, nomi di divinità o pseu­
donimi, sotto essi si nasconde sempre qualche tratto
dell'uomo che in essi si adora e che si rende cosl suo
proprio schiavo.
Fin dove bisognerà discendere in questa schiavitù,
perché alla fine l'umanità intera gridi con una sola voce:
« Io tendo le braccia al mio Liberatore » !

***
Si respinge Dio come colui che limita l'uomo, e non
si vede che è per rapporto con Dio, che l'uomo ha in
sé « qualche infinità ». Si respinge Dio come quegli che
soggioga l'uomo, e non si vede che è per rapporto con
25 OR:rGHNE.

282
Dio che l'uomo sfugge a ogni servitù, in particolare a
quella della storia e della società. Si respinge Dio come
quegli che obbliga l'uomo.a ratificare tutto, e non si vede
che è sempre questo medesimo rapporto con Dio che
conferisce all'uomo la sua « capacità illimitata di rifiu­
to » 28 • Si respinge Dio come quegli che aliena l'uomo
con la sua trascendenza, e non si vede che « è nell'affer­
mazione della trascendenza che l'uomo trova la sua ve­
rità più autentica » 27•

***
« La coscienza puramente umanista, la coscienza de­
siderosa di non riconoscere nulla fuori dell'uomo, non
sa mai abbastanza se lo slancio che la trascina verso la
vita è di speranza o di disperazione. Dire che l'uomo è
tutto non è dire che egli non trova che il nulla dinanzi
a sé? ... Si può salvare l'uomo senza ricorrere all'al di là
dell'uomo? » 28•
Ogni rivolta che non ha Dio al suo principio e che
non lo prende per alleato finisce nell'asservimento.
Ogni no suppone un sì più profondo che lo sostiene,
lo suscita e l'orienta; ogni rivolta un assenso più sostan­
ziale e più libero.

2e Espressione di A. BRIITON, Position politique du surréa­


lisme, p. 11 (citato da F. AI.oum, Philosophie du surréalisme,
1955, p. 91).
2 7 F. AI.oum, op. cit., p. 211. Cfr. A. CARTIP.R, Le probl�me de

Dieu dans la philosophie de Blondel in Giornale di Metafisica


(1955), pp. 833-848.
28 F. AI.oum, op. cit., pp. 210 e 211.

283
***
Non si possono mai chiudere « tra parentesi », forse
anche solo per una breve generazione, né i problemi
immediati dell'esistenza, né il problema totale del de­
stino.
L'umanità è sempre attuale, con i suoi bisogni ele­
mentari e la sua passione di assoluto.
***
Tristezza del credente, che vede l'umanità affondare
- e chi sa per quanti secoli? - nell'istante stesso in cui
aspira più che mai ad emergere; la vede respingere il suo
Dio come « un essere estraneo » 29 ; la vede alienarsi
nell'atto stesso in cui crede :finalmente di liberarsi. Tri­
stezza di vederla cominciare ad avvilirsi in un moto che
sembrava dover essere un sussulto di dignità.
Quelli in cui sopravvive la prima ispirazione non si
accorgeranno a tempo del dramma? E non riconosceran­
no allora come alleati indispensabili, messaggeri di sal­
vezza, i credenti che prima prendevano per avversari?
L'homo sapiens ridiventa ai nostri tempi homo faber ,
ma questa volta operaio di un mondo, e perciò, più
che mai, operaio di se stesso. Non più animale bisognoso,
ma creatore. Sl. Ma non bisognerebbe pure ritrovare, al

29 Cfr. C. MARX, Il Capitale (esistono varie vers. ital.: ricor­


diamo quella di L. Firpo, Torino, 1950, e quella di D. Cantinori,
Roma, 1951): e t!. praticamente divenuto impossibile chiedere se
esiste un essere estraneo, un essere posto al di sopra della
natura e dell'uomo, poiché la questione implica ,la non essen­
zialità della natura e dell'uomo ,. (nelle prime pagine).

284
di là, una nuova saggezza? E come si ritroverebbe all'in­
fuori di una contemplazione più alta e più ricca?
***
Per non ricevere dal Creatore i caratteri che mi fan­
no uomo, acconsento ad alienarli a profitto di una Entità
futura, .o piuttosto mitica, che non è nulla per me, e per
la quale io non sono nulla? 30 Da un lato, con il ricono­
scimento di un dono, ho la garanzia di una inalienabile
nobiltà, e se mi sacrifico per i miei fratelli, il mio sacri­
ficio ha un senso.
Dall'altro, la mia coscienza stessa è sacrificata 31 , e,

30 Cfr. H. NIEL, loc. cit., p. 83: « L'individuo concreto non


trova nell'idea di società perfetta che la sua propria realtà
presente di essere sociale, determinata dalla rappresentazione
di una società che ancora non esiste. Rappresentato come pro­
ducente la realtà del presente in funzione di un ideale da venire,
l'individuo attuale sostiene da solo tutte le spese di questa rap­
presentazione della società perfetta. Se considera dunque come
già reale per lui un termine puramente rappresentato e che
non contiene altro che i suoi sforzi strettamente attuali, e se
crede di riconoscere in questa rappresentazione una presenza
reale della società perfetta, è allora che egli si aliena, poiché
nutre della sua propria sostanza un avvenire che non ha altra
realtà se non quella del suo presente, proiettato miticamente. In
realtà la rappresentazione della società perfetta ha per condizio­
ne necessaria di esistenza il dono vivo dell'individuo che la
produce. Noi siamo proprio in piena alienazione, e il rimedio
della morte non è effettivamente che la sua utilizzazione ideo­
logica: la vita e la morte dell'individuo servono a vantaggio di
una rappresentazione della società. Noi non oltrepassiamo l'ideo­
logia e le sue alienazioni particolari ,._
31 Cfr. F. W. FOERSTER, L'Europe et la question allemande,
vers. frane. (1937), p. 10: « Nulla di più grandioso del ricordo in
cui l'Apocalisse descrive la crescita della bestia collettiva, che
mette il suo segno su ogni fronte e su ogni mano, cioè rende
uniforme l'azione e il pensiero di ciascuno e spalanca del tutto
le sue fauci per bestemmiare e vomitare menzogne. Tale è la

285
per effetto di una alienazione totale e definitiva, non sono
più che un ingranaggio nell'immensa macchina produt­
tiva, in un lontano che mi sfugge e che ancora si chiama,
non so perché, l'Umanità 32 •

***

Sempre minacciata e come pronta a morire, l'idea


di Dio in noi è pure sempre rinascente. Sembra che
tutto la rovini, poiché tutto è scandalo per noi; ed ecco
che ciò stesso che sembrava rovinarla l'alimenta di nuo­
vo. Ogni giorno ci offre qualche nuova testimonianza.
L'uomo non avrà mai finito di dibattersi contro Dio. La
lotta misteriosa di Giacobbe con l'Angelo, lotta audace
ma necessaria, necessaria ma ineguale, è durata tutta la
notte, tutta la notte della nostra oscura storia.
« Dio stesso è per primo in rovina e in risurrezione
del genere umano » 83 •

Sub nocte Jacob caerula,


luctator audax angeli,

società contemporanea - in cui non conta più la coscienza


individuale attaccata al mondo morale invisibile - massa
sprovvista di ogni centro morale, noncurante di ogni valore
eterno, dall'apparenza gelatinosa delle meduse, da cui l'umanità
era uscita con il lento progresso delle coscienze individuali ».
32 Cfr. G. FESSARD, France, prends garde de perdre ta liberté

(1946), p. 146: « Poiché astrae dalla coscienza individuale e dai


rapporti sia con gli altri che con l'universo, essa (la natura
umana del marxismo) non è che il concetto generico dell'uomo
o dell'Umanità: individualità astratta o universalità purgata da
ogni realtà umana •.
3 3 BossUET.

286
eo usque dum lux surgeret,
sudavit impar praelium (34 ).

***
... Exaudi me, Deus meus, illumina oculos meos, ne unquam
obdormiam in nocte (35).

34 A. PRUDENZIO, Inni della giornata (Cathemèrinon), Hymnus


matutinus, II, p. 48, testo latino con vers. ital. e apparato critico
di M. Pellegrino, Edizioni Paoline, Alba (1954). Riportiamo la ver­
sione italiana: « Durante l'oscurità della notte, Giacobbe, lottan­
do audacemente con l'angelo, fino al sorgere della luce sostenne
sudando l'impari combattimento "·
35 Ps., 13, 4.

287
INNO A DIO

O tu, l'al-di-là di tutto, non è questo tutto quanto


si può cantare di Te?
Quale inno potrà scioglierti la lingua? Nessuna
parola Ti esprime ( 1 ).
A che cosa si attaccherà lo spirito? Tu sorpassi
ogni intelligenza.
Tu sei il solo indicibile, poiché tutto ciò che si
dice è uscito da Te.
Tu sei il solo inconoscibile, poiché tutto ciò che si
pensa è uscito da Te.
Tutti gli esseri, quelli che parlano e quelli
che sono muti, Ti proclamano.
Tutti gli esseri, quelli che pregano e quelli che
non hanno il pensiero, Ti rendono omaggio.
Il desiderio universale, il gemito universale
tendono a Te.
Tutto ciò che esiste Ti prega, e ogni essere che pensa
il Tuo universo fa salire un inno silenzioso
a Te.
Tutto ciò che esiste, esiste per Te; il moto
dell'universo sussiste per mezzo Tuo.
Di tutti gli esseri Tu sei il fine. Tu sei ogni

1 Cfr. SANT'EFREM: • Qui totus alienus est ab omnibus


linguis ,. (E. BECK, op. cit., p. 247).

289
19. - Sulle vie di Dio
essere e non sei alcuno (2).
Tu non sei un solo essere, Tu non sei il loro insieme;
Tu hai tutti i nomi (3), e quale nome darò
a Te il solo a cui non si può dare un nome?
Quale spirito celeste potrà penetrare le nubi
che coprono il cielo stesso?
Abbi pietà,
O Tu, l'al-di-là di tutto, non è questo tutto quanto
si può cantare di Te? (4).

2 Cfr. M. SANDAEUS, Pro theologia mystica clavis (1640), p.


167: « Quae, si ut debent intelligantur, nemo vel Scholasticus
reprehendit. Ut enim Deus dicitur Omnia, quia omnia in ipso
per unam simplicissimam rationem Deitatis continentur, quo
fit ut sit Omnia vel formaliter, vel eaquivalenter, vel eminenter:
ita dici potest Nihil Rerum, quia est ultra omnia '"·
a « La polionimia di Dio è un fenomeno frequente a partire
dalla fine dell'età ellenistica » (FESTUGIBRE, O. P., La Révélation
d'Hermès Trismégiste, t. IV, 1954, p. 65).
4 Questo inno, che figura tra le opere di San Gregorio

Nazianzeno, forse è di Proclo. (A. Jahn, L.-J. Rosan; contro


J. Driiseke, A. Ludwig, Schmid-Stiihlin ; cfr. FESTUGIÈU!, op. cit.,
p. 67). :e certo in ogni caso che, per l'espressione della loro
« teologia negativa », i Padri della Chiesa - e al loro seguito
i filosofi cristiani di tutti i secoli seguenti - devono molto al
neo platonismo. Ciò non significa affatto che la loro idea di Dio,
presa nella sua totalità, sia neoplatonica, e neppure che non ne
sia assai diversa. - BossUET ha tradotto una parte dell'inno
nella Instruction sugli stati di orazione, secondo trattato, c. XXII,
teologia e contemplazione di S. Gregorio Nazianzeno (ed. E. Le­
vesque, 1897, pp. 56-61).
Non solo negli scritti dei Padri, ma nella stessa Liturgia,
si trova uno schema di ringraziamento o, meglio, di lodi, « in cui
il tema cristiano della conoscenza di Dio riveste lo stile della
filosofia ellenistica. L'inaccessibile grandezza di Dio vi è resa
con una sequenza di attributi negativi, generalmente con l'alfa
privativa greca: Dio increato, inscrutabile, ineffabile, incompren­
sibile a qualsiasi sostanza creata. Cosl nell'Anafora di Serapio­
ne ... » (G. A. JUNGMANN, Missarum Sollemnia, vers. ital., Ma­
rietti, Torino, 1953, voi. I, p. 36). Cfr. il bel passo dell'Ecclesia­
stico (43, 27-31 ), nella versione italiana dai testi originali (La
Sacra Bibbia, tradotta dai testi originali con note a cura del

290
Pontificio Istituto Biblico di Roma, Salani, Firenze, 1949, voi. V,
pp. 269-270):
Altro di simile non aggiungeremo
e sia conclusion del discorso: Egli è tutto.
Magnifichiamolo ancora più,
che non toccheremo fondo,
essendo Egli più grande di tutte le sue fatture.
Ammirabile è il Signore tanto tanto,
e stupendi gli effetti della sua potenza.
Voi che glorificate il Signore, alzate la voce
per quanto potete, perché ce ne resta ancora.
Voi, che lo esaltate, rinnovate il vigore,
e non vi stancate, perché non toccherete mai il fondo.
Chi lo ha visto e può riferirmene?
E chi canterà la sua grandezza quant'ella è?
Cfr. ANGELO Sll.BSIO, Il pellegrino cherubico, 1. V, 196-197
(esistono, come più volte venne scritto sopra, due versioni ita­
liane: quella di A. Hermet, Firenze, 1927 e quella pubblicata a
Milano nel 1942):
Si può chiamare l'Altissimo con tutti i nomi
e, d'altra parte, non si può attribuirgliene uno solo
Dio è nulla ed è tutto, senza vane sottigliezze:
prova a dire chi Egli sia? oppure fa' il nome di qualche cosa
che Egli non sia?

291
« ... Abramo desiderò sapere ciò che gli toccava
della benedizione del suo primo padre, e s'informò dal
Dio che doveva attendere. E poiché, secondo l'inclina­
zione e i gusti della sua anima, percorreva il mondo,
chiedendosi dov'è Dio, e poiché si stancava e si arrestava
nelle sue ricerche, Dio s'impietosl di Lui che lo ricercava
solo in segreto: Egli si mostrò ad Abramo per mezzo del
Verbo, come un raggio, e si fece conoscere ... ».

SANr'IRENEO, Dimostrazione della predicazione apostolica,


c. XXIV.

« Dandoci suo Figlio, Dio ci ha dato tutto. Dandoci


la sua unica Parola, Egli ci ha rivelato tutto. Dopo Gesù
Cristo non vi è più nulla da attendere ».

SAN GIOVANNI DELLA CROCE, Salita del Monte Carmelo in


Opere, vers. ital. di P. Nazareno, Post. Gen. dei Carme­
litani Scalzi, Roma (1955).

« Dio non lo ha mai visto nessuno; ce lo ha manife­


stato l'Unigenito Dio, che sta nel seno del Pàdre.

292
» Iddio nessuno lo ha mai visto; se noi c1 amiamo
a vicenda, Iddio sta in noi... Dio è amore, e chi sta fermo
nell'amore sta in Dio e Dio in lui».

Vangelo secondo San Giovanni, 1, 18.


Prima lettera di San Giovanni, 4, 12, e 16 (vers. ital. del
Biblico, op. cit.).

« Più forte è Dio che la nostra coscienza».


Prima lettera di San Giovanni, 3, 20 (idem).

« Ora la vita eterna consiste in questo, che conoscano


te, il solo vero Dio, e Colui che hai inviato, Gesù
Cristo».
Vangelo secondo San Giovanni, 17, 3 (idem).

'« Quello che era da principio, quello che abbiamo


udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi,
quello che abbiamo osservato e toccato con le nostre
mani, ossia il Verbo di Vita o (poiché la Vita è apparsa,
e noi l'abbiamo veduta, e perciò attestiamo e annun­
ziamo a voi) la Vita eterna, che era presso il Padre e ap­
parve a noi, quello che abbiamo visto e udito, lo annun­
ziamo anche a voi, affinché voi siate in comunione con
293
noi. La nostra comunione poi è anche col Padre e col
Figlio di Lui, Gesù Cristo; e questo noi lo scriviamo,
perché la nostra gioia sia al colmo.
» Ora, tal è l'annunzio che udimmo da Lui e appor­
tiamo a voi: che Dio è luce, e di tenebre in Lui non ce
n'è punto.
» Se noi diciamo di essere in comunione con Lui,
eppure camminiamo nelle tenebre, diciamo bugia e non
pratichiamo la verità. Se invece camminiamo nella luce,
com'Egli è nella luce, siamo in comunione mutua, e il
sangue di Gesù Cristo, Figlio di Lui, ci netta da ogni
peccato».
Prima lettera di San Giovanni, 9, 1-7 ( idem.)

... Sed in hac quaestione Deum videndi, plus mihi


videtur valere vivendi modus, quam loquendi.

GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, Aenigma fidei (P. L., 180, c. 398).

294
Vere dignum et iustum est, aequum et salu­
tare, nos Tibi semper et ubtque grattas agere,
Domine Sancte, Pater Omnipotens, Aeterne
Deus: quia per Incarnati Verbi Mysterium,
nova mentis nostrae oculis lux tuae claritatis
infulsit: ut dum visibiliter Deum cognosctmus,
per bune in invisibilium amorem rapiamur...

295
NOTA FINALE

Come ogni lettore accorto si sarà subito avveduto, in questo


libro non vi è nulla che non attinga al duplice tesoro della
philosophia perennis e dell'esperienza cristiana. L'autore era
dello stesso parere al tempo stesso delle due prime edizioni
comparse sotto il titolo: De la connaissance de Dieu. Perciò,
quando apprese che molti ne dubitavano, la sua meraviglia fu
immediata. Perché un simile dubbio potesse sorgere, bisognava
pure che vi fosse stato in qualche cosa almeno un rischio di
malinteso. In genere, nelle questioni che toccano la conoscenza
di Dio, si può dire ciò che Sant'Agostino diceva di questa stessa
conoscenza: « Nomen quippe non sonaret aenigmatis, si esset
facilitas visionis » 1 ; o ciò che San Leone diceva del tnistero
soprannaturale: « Inde oritur difficultas fandi, unde adest ratio
non tacendi » 2 • Parlare di Dio è dunque tanto pericoloso
quanto necessario.
Il pericolo non giustificherebbe il silenzio. Tale in effetti
è « l'altezza, e per cosl dire la delicatezza della verità di Dio
che il linguaggio non la può toccare senza in qualche modo
ferirla. D'altra parte se, per parlare di Dio, aspettate di aver
trovato parole degne di lui, non ne parlerete mai ». Questa sag­
gia riflessione di Bossuet 3 ci è sembrata decisiva.

1 SANr'AGOSTINO, De Trinitate, I. XV, c. IX, n. 16 ( P. L., XLII,


1069); cfr. c.XXIII e XXIV (c. 1090-1091). Vedere pure SAN TOM­
MASO D'AQUINO, In I Cor., c.
XIII, lectio 4.
2 SAN LEONE MAGNO, Senno 9 in Nativitate Domini, c. I
(P. L.LIV, 226 B).
3 Sixième avertissement awc Protestants, n° 38.

297
Non di meno la necessità di parlare non giustificherebbe
totalmente l'inettitudine. Comunque siano non solo le « in­
tenzioni » di un autore, ma la cosa tutta intellettuale che è
l'intentio del suo pensiero, l'intentio della sua opera, cioè il si­
gnificato d'insieme che le conferisce il fine a cui tende, il senso
verso cui essa è diretta 4 , può accadere che un compendio
troppo rapido, un'espressione troppo ellittica o una parola poli­
valente rischino di orientare l'uno o l 'altro lettore su una falsa
pista; un accento qui troppo debole là troppo forte può essere
tale da minacciare, in alcune menti, l'equilibrio sempre deli­
cato della verità. Aggiungiamo che una redazione discontinua,
più atta a suscitare lo sforzo di riflessione, rende pure più
difficoltosa la piena intelligenza di tutte le formule. Perciò
rispondendo a domande benevole e autorizzate, abbiamo rivisto
il nostro testo. Sono state aggiunte molte precisazioni a scopo
di maggiore chiarezza. Ci era tuttavia impossibile dimenticare
che ogni qualvolta si toccano le questioni essenziali, ogni spie­
gazione suppletiva fa nascere nuovi problemi, cosl che più si
spiega più bisognerebbe spiegare. Non ci si farà colpa di un'in­
fermità inerente alla condizione umana. Questa edizione rifatta
non affronta, come del resto le due precedenti, tutti i problemi
che formano l 'oggetto dei nostri trattati classici di « teologia
naturale ». Ben lungi da ciò. Cosl essa non può né vuole sosti­
tuirvisi. Comunque, vi sono stati introdotti alcuni sviluppi onde
completare o mettere in miglior luce certi punti che ci sem­
bravano importanti in se stessi o che abbiamo costatato adatti
a trarre d'imbarazzo alcuni lettori. A rischio di appesantirsi
molto, essa arreca inoltre note esplicative, destinate a fornire
gli schiarimenti o le giustificazioni necessarie.
Si troverà perciò alquanto modificato il carattere delle primt>

4 Cfr. SAN TOMMASO, Quodl. lii a. 17, ad l m ; De substantiis


separatis, 12. Vedere pure In VIII Phisic., 21, 13 ; In I de Caelo,
6, 5 ; Contra Gentiles, I. I, c. xx ecc. SANT'ANSBLMo, Monologio,
prefazione: « Multum enim prodesse puto ad intelligenda ea
quae legerit ibi si quis prius, qua intentione, quQve modo dispu­
tata sint, cognoverit " (P. L. CLVIII, 144 A B).

298
due edizioni. Vorremmo solo tendere una mano fraterna ad
alcune persone in cerca del loro Dio, ed è una gioia che effetti­
vamente l'abbiamo stretta più di una volta. Queste persone
di solito non sanno che cosa farsene di « autorità » multiple.
Cosl le citazioni si riducevano a qualche raro testo, la cui forza
e bellezza ci eran sembrate particolarmente suggestive. Ora inve­
ce si presentano assai numerose e speriamo che siano utili a
tutta un'altra categoria di lettori.
Vorremmo che fosse ormai più chiaro per tutti che noi
attribuiamo la medesima importanza che vi attribuisce la stessa
Chiesa Cattolica - come dicevamo poco fa in termini equiva­
lenti - al « potere che la ragione umana ha di dimostrare, par
tendo dalle cose create, senza il soccorso della rivelazione
soprannaturale né della grazia, l'esistenza di un Dio persona­
le ». Noi non confondiamo questo potere - supposto in tutta
la nostra fatica - con queste o quelle condizioni concrete
del suo esercizio e, ad esempio, per riprendere due parole già
usate, se il gusto di Dio è una cosa, noi sappiamo che le prove
sono un'altra. Non v'è una sola nostra pagina che non voglia
testimoniare il nostro attaccamento - tanto profondo, osiamo
dirlo, quanto quello di chiunque - alla « sana filosofia che
abbiamo ricevuto in eredità dai secoli cristiani, come un patri­
monio costituito da lungo tempo », e pur confessando a nostra
volta che conviene, in uno scritto che non è un manuale di inse­
gnamento, « alleggerirla di certe presentazioni scolastiche meno
adatte », non la consideriamo affatto, tuttavia, come un « monu­
mento imponente ma di un'altra età ». È essa che ci ha nutriti,
è nel suo clima che il nostro pensiero non cessa di vivere: vor­
remmo poter dimostrare a tutti che essa è ancora più ricca e
più nutriente, che ha ancora oggi linfa più feconda di quanto
credano perfino alcuni suoi adepti. Si vedrà del resto qui come
altrove che non professiamo alcuna indulgenza per quella specie
di « nevrastenia filosofica » 5 che sembra rodere lo spirito di

5 L'espressione è di M. F. SclACCA a proposito « di un certo

esistenzialismo ,. (Il problema di Dio e della religione nella filo­


sofia attuale, Morcelliana, Brescia, 1953, Ja ed.).

299
un certo numero dei nostri contemporanei e che neppure abbia­
mo un'eccessiva tendenza per le « novità del giorno » che esalte­
rebbero l'unica considerazione « degli esseri singolari e della
vita sempre fluente » o l'adozione simultanea di « dottrine dispa­
rate ». Lasciando d'altronde agli specialisti di intavolare le
discussioni necessarie, la nostra sola ambizione è stata, e lo è
ancora, di ricordare, in un linguaggio che non sembrasse troppo
invecchiato, alcune verità eterne. Se infine pensiamo con tutti
i credenti che « gli insegnamenti della fede su un Dio personale
e i suoi precetti si accordano perfettamente con le necessità della
vita », stimiamo pure che ciò non è di detrimento, ma anzi in
ragione del loro valore di verità 6 •
Ci si voglia ora permettere di richiamare l'attenzione su
alcuni punti particolari.
Un critico ci ha attribuito di cercare un « ritorno ai Padri »,
il che sarebbe una specie di rinuncia a tutte le ulteriori conqui­
ste del pensiero cristiano. Ciò era un errore da parte sua:
questo scritto lo dimostra abbastanza da se stesso. Noi teniamo
molto al numero di queste conquiste. Allo stesso modo che le
manie innovatrici, cosi ci ripugnano tutte le forme di archeolo­
gismo, e d'altra parte sappiamo abbastanza quanto esse siano
lontane dallo spirito cattolico. Se talvolta ciò che si chiama
« ritorno alle sorgenti » ha dato luogo, ai nostri giorni, ad affer­
mazioni inconsiderate, ci si renderà questa giustizia che noi non
c'entriamo affatto. Ma per contro, non sarebbe forse una pre­
cisa novità voler tenere semplicemente scaduto, sul piano del
pensiero o anche della sua espressione, tutto l'apporto della
patristica? Bisognerebbe forse credere che questa, che è ancora
cosi feconda, in senso stretto, di « vita spirituale », non sa­
rebbe più di alcun aiuto per una ricerca di ordine intellettuale?
Non avrebbe più alcuna fecondità? Tutto ciò che essa conteneva
di solido, sarebbe allora stato totalmente assorbito, sistematiz-

6 Tutti i passi di questo paragrafo posti tra virgolette sono

tolti dall'enciclica Humani generis tena parte: e il posto della


filosofia tradizionale nella Chiesa » (vers. ital., Edizioni Paoline,
Roma, 1950).

300
zato, o « sorpassato » nella speculazione posteriore, cosl che
sarebbe per lo meno una perdita di tempo il ricorrervi? Nes­
suno dei grandi pensatori cristiani che si sono succeduti dopo
di allora ne converrebbe. Il loro esempio prova precisamente
il contrario. Il pensiero non progredisce come la tecnica. E un
simile taglio, un simile sdegno pratico non sarebbero pieni di
pericoli? Se ve ne fosse bisogno, gli avvertimenti cosl netti del­
l'enciclica Humani generis basterebbero a metterci in guardia 7 •

In forma molto più moderata, un altro critico ha detto


dell'autore che « anche quando dà l'impressione di seguire
fedelmente S. Tommaso, il suo pensiero si svolge fuori della
sua sintesi e del suo spirito ». Forse l'impressione provata de­
rivava in parte dal fatto che allora alcuni riferimenti non erano
fatti di preferenza a S. Tommaso, ma a qualche sistematizza­
zione posteriore. In ogni caso, tradurremo il rilievo in ter­
mini più esatti, dicendo che in realtà la nostra preoccupazione
costant e, in questo come in altri temi, fu di non erigere, quasi
a proposito, San Tommaso contro la Tradizione, ma di rile­
vare piuttosto i tratti nei quali essa trova in lui un testimone
eminente. Il « Dottore comune » non è per noi « Dottore esclu-

7 « Si aggiunga che ambedue le fonti della Rivelazione con­


tengono tali e tanti tesori di verità da non potersi mai di fatto
esaurire. Per cui le scienze sacre con lo studio delle sacre fonti
ringiovaniscono sempre, mentre, al contrario, diventa sterile,
come sappiamo dall'esperienza, la speculazione che trascura la
ricerca del sacro deposito » (vers. ital., op. cit., p. 10). Ciò che
qui è detto della teologia in senso stretto non è meno vero
dell'insieme del pensiero cristiano, e sarebbe evidentemente
contrario allo spirito dell'enciclica volerne escludere tutto
quanto concerne la filosofia. - Si conosce il ruolo di primo
piano che il cardinal T. M. ZIGLIARA ebbe nella restaurazione
della filosofia tradizionale nell'ultimo secolo: « Io non credo ,.
scriveva (Oeuvres philosophiques, vers. frane., t. Il, Lione, 1881,
p. 12) « che il sacerdote possa essere davvero quello che deve
essere, cioè l'uomo di pietà e di scienza, padre del popolo e
difensore della Chiesa, se non è formato alla scuola dei Padri e
dei Dottori». Quante altre testimonianze analoghe si potrebbero
addurre!

301
sivo » che ci dispensi dal conoscere gli altri, e stlllllamo incre­
scioso che partiti presi di falso rigore o controversie artifi­
ciose abbiano talvolta fatto perdere il senso di questa unità
profonda tra i grandi maestri, unità che Etienne Gilson, sottile
analista lui stesso delle particolarità di ciascuno, recentemente
ricordava a cosl giusto titolo 8 •
D'altronde si vedrebbe a torto eclettismo in ciò.
In un'opera che non vuol essere di filosofia tecnica, ma
di libera riflessione sul tema più fondamentale, una simile
posizione non solo è legittima ma la giudichiamo necessaria.
Essa salva l'unità della philosophia perennis, e fra altri vantaggi
permette pure di assimilare, per quanto è possibile, molte
idee profonde il cui significato o potere di suggestione sorpas­
sa l'uso definito dal loro contesto immediato. Altri lavori di
più pronunciato carattere storico o più dotti attingono ad al­
tro metodo. Però, almeno vicino ad essi o, come dicevamo,
in margine, si tollerino alcuni scritti più umili, che forse avran­
no maggior probabilità di rispondere all'attesa di un certo
numero di spiriti. Si ascoltino pure, si odano le serie obie­
zioni che cosl spesso ci vengono poste: non per cedere ad
esse, ma per poter rispondere; non per essere intimiditi, ma
per confutarle e ribatterle a fondo. Se occorre, si abbia riguar­
do a quelli che cercano; si abbia pietà delle anime. Non si
supponga troppo in fretta che la verità non avrebbe che
a perderci: essa può pure guadagnarvi. Infine ci si provi a non
dimenticare che Dio non appartiene esclusivamente a qualche
tecnico.

s E. Gn.soN, Lo spirito della filosofia medioevale, vers. ital.,


Morcelliana, Brescia (1947). Da Sant'Agostino a San Tommaso la
differenza è notoriamente nel contempo più irriducibile e meno
contraddittoria di quanto talvolta si supponga, perché non è
esattamente il medesimo problema che viene considerato dall'una
e dall'altra parte. Cfr. GERSONE, Secunda lectio contra vanam
curiositatem, Sa consideratio: e Signum curiositatis et singulari­
tatis... est gaudere potius in impugnatione Doctorum, aut in
defensione unius pertinaci, quam ad eorum dieta concordanda
operam dare • (Opera, t. I, c. 99 B).

302
Dobbiamo infatti aggiungere che la filosofia tradizionale
non è esattamente ciò che alcuni saggi troppo semplici fareb­
bero credere. San Tommaso stesso, « il più intellettuale dei
filosofi cristiani » 9 , offre una resistenza costante alle minacce
del razionalismo 10• Egli vuole « che si istituisca una severa
crhica della nostra conoscenza relativa alle cose di Dio » 1 1 • La
sua teologia negativa non è la timida e pallida teodicea di
tanti « spiritualisti » moderni. La sua dottrina dell'analogia,
spesso cosl mal compresa, non offre che un solo aspetto: non
è la teoria sdolcinata che si presenta qui o là forse al solo
fine di evitarci ogni vertigine. In quel che concerne la nostra
conoscenza di Dio, la sua critica del concetto va assai lontario.
Gli interpreti migliori lo hanno dimostrato: cosl anche E. Gil­
son nel suo bel libro sul tomismo; cosl pure, fra altri, il Ser­
tillanges, che ne ha esaltato l'« audacia tanto tranquilla quanto
liberatrice » 12 , e che commentava un testo della Somma con il
grido di estasiato stupore: « Che cosa è questa unità infrangi­
bile, cosl ricca che i nostri concetti !'assalgono da tutte le parti
e vi si perdono? » 13 • Ci si rassicura volentieri facendo appello
alla distinzione classica della significazione del concetto e del suo
modo di significazione. Come principio, nulla è più giusto 14 ; ma
succede che viene applicato troppo materialmente, come se si
potesse illudersi di mettere a parte questo per conservare intat-

e Id., ibid., p. 36. Cfr. a proposito dell'illuminazione ago­


stiniana e dell'astrazione tomista, E. Gn.soN, lntroduction à l'étu­
de de Saint Augustin, 2a ed. ( 1943), pp. 112-125.
10 D. CHENU, lntroduction à l'étude de Saint Thomas d'A­
quin (1950), p. 139.
11 L. B. GEIGER, O. P., La partecipation dans la philosophie
de Saint Thomas d'Aquin, 2a ed. (1953), p. 262.
12 A. D. SERTILLANGES, O. P., Les grandes thèses de la philoso­
phie thomiste ( 1928), p. 52.
1 3 A. D. SERTILLANGES nel commento di Prima, q. XIV, a. IV.
SAN TOMMASO, Somme théologique, edizione della « Revue des
jeunes >, Dieu, t. II, p. 346. Cfr. L. BoUYFR, Les sens de la vie
monastique (1950), p. 172, a proposito del Padre: « Giungendo
a Lui, superiamo tutto ciò che lo spirito può . concepire. Non
solo tutte le nostre immaginazioni, ma tutti i nostri concetti
svaniscono al suo avvicinarsi ».

303
ta quella. Come se, almeno nell'ultimo istante del pensiero, si
potesse concepire nella sua purezza, partendo dalle nostre qua­
lità umane, il modus altior che solo si trova in Dio e in Dio solo!
Il che vuol dire ristabilire con un sotterfugio, nella conoscenza
analogica, una parte di univocità che la nega. È dimenticare che
effettivamente l'analogia non è nel concetto, ma nel giudizio,
che essa dice nel contempo ed indissolubilmente rassomiglianza
e dissimiglianza, indicando il « rapporto » (ordo, proportio), che
permette di affermare la prima, tenuto conto della seconda 1 5 •
Oppure temendo giustamente di dover dire che i nostri concetti
sono solo approssimativi, proprio a torto si rifiuta talvolta di
confessare l'inadeguatezza che, senza togliere ad essi la loro
verità, inevitabilmente li intacca 16 • Può darsi che questa timi-

14 :t;, la formula stessa dell'analogia. Come ancora recentissi­


mamente ricordava T. D'EYPERNON S. J., essa pone « il realismo di
una conoscenza, in cui il concetto tratto dall'esperienza umana
resta, nella applicazione che di esso si fa al trascendente, ogget­
tivo e vero secondo ciò che esso indica positivamente, ma non
secondo le restrizioni e le limitazioni della realtà finita donde
trae origine ». L'Encyclique « Humani generis» et la théologie in
Nouvelle revue théologique, 1951, p. 7. Ma l'uso che talvolta si fa
di questa distinzione mostra che non è stata compresa. Sul
modus significandi cfr. S. TOMMASO, Prima, q. XIII, a. 1, a. 2,
e soprattutto a. III ; q. XLV, a. II, ad 2m; Contra Gentiles, I. I,
c. xxx: « Quantum ad modum signifìcandi, omne nomen cum
defectu est ». J. ALvAREZ DB PAZ S. J., De inquisitione pacis, I.
V, p. I, Apparatus III, c. 7, De cognitione Dei per negationem:
« A Deo omnes creaturarum perlectiones subtrahimus, quia non
sunt in eo modo quo nos concipimus, sed alio modo in infinitum
perlectiori, quem ignoramus » (Opera, t. VI, p. 486). Sulla cono­
scenza analogica si leggerà il capitolo di J. DEFBVER S. J., La preu­
ve réelle de Dieu, étude critique ( 1953), pp. 70-90.
a SAN TOMMASO, Prima, q. XIII, a. 5: « Hujusmodi nomina
dicuntur de Deo et creaturis secundum analogiam, id est, pro­
portionem »; « Nomen quod sic multipliciter dicitur, significat
diversas proportiones ad aliquid unum ».
1 a Il fatto è che si prendono allora per equivalenti i due
epiteti « inadeguato " e « approssimativo », o anche « inesatto "·
Confusione lamentevole (quando non è questione solo di parole).
L'enciclica Humani generis parla un linguaggio più preciso,
respingendo la pretesa secondo cui i misteri e non possono esse-

304
dezza eccessiva derivi dal fatto che non si guarda abbastanza
agli elementi compensatori che assicurano l'equilibrio della dot­
trina tradizionale. A dire il vero, la ripugnanza che questi tenta­
tivi manifestano denota preoccupazioni più pragmatiche che in­
tellettuali, e non è certo che lo stesso spirito di fede vi trovi
tutto il suo interesse. Sarebbe allora tutto perduto se non si
giungesse a « incapsulare » Dio?
Una convinzione più solida ha il diritto di dimostrarsi meno
timorosa. Essa non è tentata ad arrestarsi a metà strada del
vero e a sacrificare il rispetto del mistero a un istinto pusilla­
nime di sicurezza. Infatti, per quanto essa spinga lontano i pro­
gressi della « teologia negativa », sa bene di non scuotere la
solidità delle prime affermazioni che li sostengono. Essa non
rischia di confondere questi progressi con gli indietreggiamenti
o le esitazioni dell'agnosticismo. Sa infatti, come vedremo più
a fondo, che il no che succede al sì non è (per usare una volta
il gergo di Sartre) I'« annientizzazione »: il sì continua a vivere
segretamente nel no, come il suo correlativo obbligato; l'orien­
ta, lo determina, lo qualifica. Se tutto sembra improvvisamente
inghiottito, essa sa che nulla è perduto, e comprende, con San
Tommaso, che la remotio è il frutto dell'excessus. Essa dice infi-

re espressi in termini veri, ma solo in termini approssimativi e


mutevoli, che indicano la verità in una certa misura, ma che
pure necessariamente la deformano » ; pretesa che traduce assai
meno un pensiero ardito che non un pensiero molle, inconsi­
stente ; meno una preoccupazione di rigore che non una
confusione. Dio stesso con il suo modo di rispondere all'interro­
gazione di Mosè (Esodo, 111, 14) « ricordava che tutti i nostri
enunciati relativi a lui sono inadeguati " (A. M. DUBARLE O. P., LA
signification du nom de lawèh in Revue des sciences philoso­
phiques et théologiques (1951), p. 18. J. MAROCHAL S. J., spiega,
dopo molti altri, che il e significato " degli attributi divini, cioè il
valore oggettivo che conferisce loro l'affermazione nel giudizio,
s'appoggia su una e rappresentazione assai inadeguata, perché
tratta della nostra esperienza di creature ,. (quad. V, p. 234).
Cfr. A. D. SERTILLANGF.S, San Tommaso d'Aquino (ed. ital. a cura di
Giuseppe Bronzini, Morcelliana, Brescia, 1947): « La dottrina del­
l'analogia permette di attribuire un valore positivo, anche se
inadeguato, ai nomi divini ».

305
20. - Sulle vie di Dio
ne con Sant'Agostino: « Non parvre pars est, cum de profondo
isto, in illam summitatem respiramus, si ante quam scire possi­
mus quid sit Deus, possumus jam scire quid non sit » 17 •
Non è per questo men vero che il concetto resta sempre
indispensabile, e la verità che comporta non è in causa: essa
chiede solo di essere definita. La critica che, per parte nostra,
ne abbiamo fatta, o piuttosto richiamata in alcuni passi, ne
è pure una giustificazione, « poiché nel concetto stesso vi
è sempre più che il concetto », e noi non vorremmo cedere
mai al miraggio di un altro modo di conoscere che gli facesse
concorrenza nella vita normale dello spirito. Come fu detto ·
con formule felici, il concetto e il processo discorsivo, se
fossero soli, non costruirebbero senza dubbio che l'irreale;
ma nella nostra conoscenza vi è « un fondo di intuizione »
che in essi è implicito e conferisce loro un valore reale, pur
avendo bisogno di essi per esprimersi e completarsi 19• La
« conoscenza naturale » o l'« affermazione necessaria » di cui ab­
biam parlato, forse in modo rozzo, ma a colpo sicuro, seguendo
una tradizione antica e ininterrotta 20 , non si oggettivizza altri-

17 SANT'AGOSTINO, De Trinitate, 1. VIII, c. II, n. 3 (P. L., XLII,


948). Cfr. S. TOMMASO, Prima, q., LXXXIV a. 7 ad 3m. « Se si deve
sempre finire con una negazione » chiedeva D. X. LE BACHELET
(Dictionnaire de théologie catholique, t. IV, col. 1024) « a che
si ridurrà la nostra conoscenza? » Ma la domanda angosciosa tro­
vava la risposta un po' più sotto (col. 1111): « Silenzio non as­
soluto ma relativo, e che ha il suo posto non all'inizio ma al
termine della nostra conoscenza ». Vedere c. V.
1 s C. BoYER, L'idée de vérité dans la philosophie de St. Au­
gustin (1921), pp. 126-227. Cfr. P. RoussELOT, L'intellectualisme de
Saint Thomas, 2a ediz. 1936.
1e J. DBFBvER, op. ctt., pp. 107 e 123 ; cfr. pp. 16-21, 130-135.
2o La troviamo espressa nel passo ben noto di SAN GIOVANNI
DAMASCENO, De fide orthodoxa, 1. I, c. 1: « Deus ergo nec ora­
tione ulla explicari, nec ullo modo comprehendi potest... Non
nos tamen in omnigena prorsus ignorantia versari passus est
Deus. Nemo quippe mortalium est, cui non hoc ab eo naturaliter
insitum sit, ut Deum esse cognoscat » (P. G., XCIV, 790). Cfr.
SANr'ILARio: « Nullus quippe est, qui non habeat semina intellec­
tus Dei », ecc. Vedere THOMASSIN, Dogmata theologica, De Deo,

306
menti che in concetti, sebbene resti sempre in fondo allo spi­
rito come una forza viva, che le impedisce di restare ancorata
nell'ordine del concetto 21 • Interpretandola cosl, cioè non am­
mettendo per l'uomo naturale, in questo mondo, nessuna « vi­
sione intellettuale » diretta dell'Essere, nessuna intuizione che
basti a se stessa, e al tempo stesso rifiutando ogni « inneismo »
propriamente detto anche, in senso forte, dei primi principii
della ragione o dei « prima intelligibilia », noi andremmo in­
contro a tutte le dottrine di tendenza « ontologista » 22 • Più
ancora, crediamo di aver seguito su questo punto essenziale lo
schema essenziale del pensiero tomista a preferenza di ogni
altra filosofia approvata nella Chiesa. E noi siamo certamente
più fedeli a San Tommaso di quelli che han creduto di poterci
al riguardo criticare in suo nome. Come ricordava di recente
Giuseppe Pieper, la neoscolastica non ha certo avuto torto di
voler « lavare il suo maestro San Tommaso dal minimo sospet­
to di agnosticismo »; ma (purché si sappia riconoscerne nello
stesso tempo l'ispirazione profondamente positiva) ciò non deve
trarre con sé il non riconoscimento dell'« elemento negativo »
della sua filosofia, soprattutto nel problema della conoscenza
di Dio. Dio conosciuto come « sconosciuto » : per San Tommaso
è qui il più alto grado della nostra conoscenza umana 23 •

1. I, c. III, n. 1: « Ante rudimenta magistrorum, ante exsperimen­


ta sensuum, anticipatam inesse omnium mentibus Dei notitiam,
Sancti Ecclesiae Patres unanimi suffragatione consentientes... ,.
n. 4: « Superest ergo post peccatum in omnium animis memor
aliqua; Dei notitia, sed abstrusior ... " (ed. Vivès, t. I, pp. 8 e
10). All'interpretazione che proponiamo noi è opposta quella
che era prevalsa nelle dottrine di tendenza inneista o più o meno
ontologista. Vedere c. II, n 7.
21 DllFEvER, op. cit., p. 125 dice pure e moto intuitivo ,. che
assume e trascende la rappresentazione.
22 A qualsiasi varietà appartengano, esse si caratterizzano
sempre per l'idea di una certa appercezione oggettiva dell'Essere
di Dio.
23 In Boetium de Trinitate, I, a. 2, ad. lm. J. PIEPER, De
l'élement négatif dans la philosophie de saint Thomas in Dieu
vivant, 20 (1951), p. 45.

307
« Meglio di ogni altro » San Tommaso « descrive l'un­
perfezione dello strumento » che noi dobbiamo usare nella
nostra ricerca. Tuttavia questa unperfezione « non arresta il
suo slancio intrepido » 24 • Ciò perché egli sa, a sua volta, che
nello spirito umano c'è qualche cosa di più fondamentale: non
al di fuori, ma proprio nel cuore dell'intelligenza. Bandire
dall'intellettualità questo elemento che non è forma né rappre­
sentazione, questo elemento dinamico, questo moto del pen­
siero che non è il concetto poichè ne esplica la formazione,
ma che gli dà la sua anima, sarebbe distruggere l'intellettualità
stessa; sarebbe rinchiudere l'intelligenza nel centro del relativo.
Si può esitare sulla sua natura, o piuttosto, secondo i pro­
blemi considerati, prestare successivamente attenzione all'uno
o all'altro dei suoi aspetti; ma - solo che si sia intravvisto
l'enigma che la conoscenza è a se stessa e il tipo di problemi
che essa pone - non se ne saprebbe fare l'economia. Libero
ciascuno di augurarsi, come oggi si dice con una parola alla
moda ma spesso ingannatrice, un « intellettualismo » più veg­
gente. Ma potrà essere opportuno richiamare che non è que­
stione di gusto deciderne, e che il più veggente non è sempre
il più autentico. L'intellettualismo legittimo non è un nar­
cissismo del concetto. Non è amore dell'intelligenza per se
stessa o compiacenza nel prodotto dei suoi atti: è uso libero
e fiducioso dell'intelligenza nella ricerca del vero. Si badi a
non introdurre di nuovo qui, per qualche sottile deformazione,
un nuovo soggettivismo, e a non lasciarsi sopraffare troppo
facilmente da dichiarazioni presuntuose: non costa nulla an­
nunziare sempre con prove perentorie, distinzioni definitive
e chiarezze senza penombra; ma, come qualcuno ha detto
assai bene, una filosofia non si giudica da ciò che promette,
ma da ciò che contiene.
Una preoccupazione analoga fu causa di un altro malin­
teso. Molti non hanno compreso qual era il pruno oggetto
del capitolo in cui si trova esaminata l'origine dell'idea di

2 4 J. WEBERT, Saint Thomas d'Aquin (1934), p: 48.

308
Dio. Chiusi nello stretto cerchio delle loro dispute di scuola,
hanno immaginato in buona fede che queste pagine fossero
scritte per loro, cioè, pensavano, contro di loro. Meraviglio­
samente protetti contro il chiasso stesso degli assalti diretti
contro la nostra fede in Dio, sembrano non aver più sospetta­
to un istante l'avversario principale a cui in realtà miravano.
Quest'avversario è tuttavia legione. Dopo un centinaio di an­
ni prolifica. Volta per volta assume l'aspetto dell'etnologo, del
sociologo, dello psicologo, dello storico delle religioni. Dopo
l'animismo di Tylor fino alle elucubrazioni di una certa psicana­
lisi, ha inventato cento sistemi, denunciando a gara la grande
illusione da cui l'umanità deve essere affrancata. Spiega tutta
l'idea di Dio nella coscienza umana con una serie di trasforma­
zioni a partire dal sogno, dalla credenza negli spiriti, dalla
mistificazione del linguaggio, dalla paura cosmica, dall'alienazio­
ne sociale ecc., e, persuaso di averne cosl stabilito la genesi -
potremmo dire la genealogia empirica - conclude per il suo
nulla 25 • Contestare questa pretesa « genesi » non è fare pro­
fessione di inneismo né infirmare il valore dell'operazione razio­
nale che ci fa affermare Dio: è al contrario darle campo libero.
D'altra parte sottrarre l'affermazione di Dio alle maglie della
« dialettica » immanente in cui molti pensatori, marxisti o altri,
vorrebbero oggi rinserrarla tutta e relativizzarla, non significa
reciderla vieppiù dalle sue basi logiche; tutto al contrario,
equivale a restituirle queste basi, strappandola al gioco, « dell'al­
terità e della negazione » e fondarla nell'assoluto. Non è forse
Engels che diceva: « Questa filosofia dialettica dissolve tutte le
idee di verità assoluta »? E occorre forse ricordare a filosofi
che nel linguaggio attuale le due parole dialettica e logica, lungi
dall'essere equivalenti, sono spesso opposte tra loro? Non

25 t:. così che G. Baor, dopo aver ricordato alcuni « modi

di pensare " Dio, ove distingue diversi tipi, secondo lui irridu­
cibili in diritto, dell'idea di Dio, scriveva: « Il termine iniziale di
questi processi complicati è posto dall'immaginazione mitica
dell'umanità » (Note sur la triple origine de l'idée de Dieu in
Revue de méthaphysique et de morale, t. XVI, 1908, 2, p. 721 ).

309
udivamo assai recentemente un buon analizzatore di dottrine
definire il tomismo come « un rifiuto della dialettica? » 26 • Im­
possibile in ogni caso conservare la purezza perentoria del logos
senza resistenza alle invasioni indebite della dialettica.
Ugualmente, quando ci capita di mostrare nella storia e nel
corso dell'evoluzione religiosa certe « analogie » che si indura­
no, siamo assai lungi dal pensare di tradurre in giudizio l'analo­
gia metafisica. Non facciamo che riprodurre una osservazione
del libro della Sapienza. Segnaliamo semplicemente il fatto
che in certi spiriti o presso certi popoli cose sensibili come la
volta del cielo, il sole, la folgore ... , attraverso cui la divinità
poteva essere scorta come in un simbolo, in un giorno diventano
opache e adescano ormai lo slancio religioso invece di sostenerlo.
Di qui le diverse forme del « naturismo » che si può osservare
fin troppo nella storia e che alcuni ci dànno come prima origine
e ultima spiegazione d'ogni religione.
I termini « analogia », « dialettica », « genesi » , nel con­
testo in cui figurano ci erano sembrati abbastanza chiari per
se stessi, almeno per chiunque è un po' al corrente di una pro­
blematica oggi diffusa e volgarizzata dappertutto. Certamente
chi si fa intender male è sempre in torto. Avrebbe mostrato
maggior saggezza prevenendo lui, con più insistenza, l'equivoco.
Se tuttavia questo è il caso di un piccolo numero, e se del resto
è facile riconoscere ciò che lo genera, forse non lo si riterrà
completamente responsabile. Fors'anche si inviteranno piuttosto
quelli che l'avessero commesso a rientrare nella propria coscien­
za per esaminare se il proprio atteggiamento non tenda a ren­
dere impossibile l'esercizio di un compito, ahimè, indispensabile
e il minimo necessario di ubbidienza alle insistenti raccoman­
dazioni della Santa Sede 21 •

2e E. BoRNB in Philosophies chrétiennes (1955), p. 163.


27 Cfr. l'allocuzione di S. S. Pio XII Ad Patres Societatis
Jesu in XXIX Congregatione Generali electores, Castel Gandolfo,
17 settembre 1946: e Suae aetatis hominibus, sive ore sive scrip­
tis, debent (Societatis Jesu sodales) ita loqui, uf intelligenter et
libenter audiantur. Ex equo id infertur, ut in proponendis et

310
Recensendo quest'opera con la sua abituale simpatia, il Pa­
dre Giuseppe Huby, che dopo se ne andò nella luce di Dio,
aveva espresso il suo rammarico. La riconoscenza di Dio per
mezzo di Gesù Cristo appena menzionata alla fine del volume,
non vi si trova studiata affatto. Una lacuna innegabile e, lo rico­
nosciamo, non senza inconvenienti. Attardandosi troppo nelle
considerazioni di teologia naturale, si rischia effettivamente
di dimen.ticare l'astrazione di metodo che è alla loro base, e di
lasciarsi prendere da una specie di « filosofia religiosa », la quale
usurpa il posto che compete solo alla religione stessa. Si rischia
di cambiare in un oggetto di speculazione, sia pure contem­
plativa, l'Essere a cui si tratta di dare la propria fede, di donar­
si nella fede. D'altra parte, questa speculazione non può che
svilupparsi ben presto in teologia negativa, poièhé è vero che la
ragione naturale non può entrare nell'intimo del Dio che affer­
ma, e che la conoscenza di Dio per negationem è la più perfetta
in ogni ipotesi 28 • Ma, in un clima di credulità, la teologia
negativa, come per un'inclinazione fatale, tende ad andare verso
l'agnosticismo quando va piuttosto verso un misticismo affatto
negativo o verso un ateismo puro e semplice, camuffato solo per
un certo tempo. Hegel diceva: « La definizione dell'Assoluto
non può essere che negativa » e si conosce il seguito dell'avven­
tura in tutta la sua posterità vivente... Con un minimo di auda­
cia, si potrebbe anche supporre che la riflessione obblighi a

proferendis quaestionibus, in argumentationibus ducendis, in


dicendi quoque genere diligendo, oporteat sui saeculi ingenio
et propensioni sapienter orationem suam accommodent " (Acta
Apostolicae Sedis, 1946, p. 383). Testi analoghi raccolti da
MoNs. BIANCHIIT nel suo discorso di ripresa all'Istituto Cattolico
di Parigi, 3 novembre 1950 (Documentation catholique, 1950). Per
il fatto di essere di natura positiva e non negativa questo dovere
non s'impone meno del dovere complementare. Chi di noi po­
trebbe confessare di essersene interessato seriamente e suffi­
cientemente?
28 Tra le altre testimonianze citiamo quella del P. MAss1-
MILIANO VAN SANDT (SANDBUs) S. J., Theologia mystica seu Con­
templatio divina Religiosorum a calumniis vindicata (1627), pp.
89-125, specialmente pp. 1 18-119.

311
escludere dall'Assoluto ogni determinazione personale, in quanto
immaginativa e antropomorfica, e allora un mistero del divino
tende a sostituirsi al mistero del Divino vivente, tanto più
nascosto quanto più Egli è personale 29 • Via via che si perde il
senso dei valori suscitati dal cristianesimo nella nostra coscien­
za, si cessa pure di comprendere che il rispetto di questo mistero
di Dio è la confessione tanto più forte della sua Personalità.
Questi pericoli non debbono certo far disconoscere la
legittimità, e perfino la necessità di una « teologia naturale ».
Nondimeno, la storia delle idee ci ricorda che in realtà essa
trova il suo equilibrio solo in un clima di fede. In tutti i grandi
pensatori della tradizione cattolica è nell'intimo della fede che
essa si è costituita e sviluppata, per quanto lontano essi ne
abbiano spinto l'autonomia relativa e la razionalità. Realtà
manifesta che gli storici recenti della filosofia cristiana hanno
ancora una volta messa in luce, e di cui il Concilio Vaticano I
ci mostra il motivo 30 • A nostra volta noi abbiamo seguito la
stessa via.
Non abbiamo perciò pensato di colmare direttamente la
lacuna che il Padre Huby segnalava. Sarebbe occorso tutto un
altro libro e il diretto richiamo alla fede. Ma la prospettiva
di storia religiosa che domina nel nostro primo capitolo e la
· . visuale concreta che seguiamo un po' dappertutto crediamo che

20 Infatti « il primo sforzo della riflessione si ripresenta


spontaneamente (la realtà ineffabile) sotto una forma imperso­
nale: la luce naturale della ragione conduce ad un risultato
"prezioso e nel contempo fallace". La rivelazione permette un'au­
dacia più fiduciosa. Nella conoscenza rivelata, "Dio non è più
considerato come una spinta in alto che universalizza e astrae,
ma è dato e trasmesso come un concreto che condiscende", e
una conoscenza così "comunicata per condiscendenza può ecci­
tare, nello spirito che la riceve, virtualità che da solo sarebbe
stato incapace di sviluppare" » (C. DE Mrnm-PoNTGIBAUD, Sur
l'analogie des noms divins. Au centre de l'analogie révélée in
Recherches de science religieuse, t. XLII, 1954, pp: 322, 324 e 328).
3 ° Constitutio De fide catholica (Dei filius).
rimedino già un po' agli inconvenienti che abbiamo riconosciuti.
D'altronde, un primo riflesso della Gloria che i discepoli del
Cristo hanno contemplata sul suo volto, rischiarava segretamen­
te qua e là il nostro cammino. Come supporre che potesse esse­
re altrimenti? Non potevamo astrarre totalmente più di chiun­
que altro da ciò che la rilevazione cristiana ha messo in noi per
sempre. Quando Gesù invitava Natanaele a rinascere, in un
certo senso invitava pure la filosofia 31 • Il dominio della ragione
e quello della fede come principio restano distinti, e in realtà
molte affermazioni si possono assegnare senza difficoltà a questa
e a quella. I misteri della fede restano inaccessibili all'investi­
gazione razionale, la potenza e le leggi della ragione restano
essenzialmente immutate nell'intelligenza che crede 32• Tuttavia
è un fatto, ad esempio, che dinanzi alle opere più grandi matura­
te dal pensiero cristiano, si è spesso imbarazzati a determinare
esattamente il loro genere; si discute per sapere se bisogna classi­
ficarle come filosofiche o teologiche. La discussione sorpassa pu­
re sia l'analisi serrata dei testi che l'esame dell'ampio contesto
storico; lo attesta la letteratura concernente il Proslogion di
Sant'Anselmo o il Contra Genti/es di San Tommaso. Non vi può
essere un cristiano, la cui filosofia possa essere completamente
ciò che sarebbe stata senza la sua fede. Qualunque cosa se ne di­
ca ancora, ciò è eminentemente vero per San Tommaso d'Aquino.
La « verità sublime », chiave di volta del suo edificio razionale,
egli la trova nella Bibbia, senza che si possa dire né che la Bibbia
gliela imponga né che la sua ragione l'imponga alla Bibbia. Il suo

3 1 Cfr. A. D. SERTILLANGES O. P., Il cristianesimo e le filo­


sofie, vers. ital. di S. Treves, Morcelliana, Brescia, 1949, 2a ed.,
v. I, in princ.
a2 Ofr. Concilio del Vaticano I, 3a Sessione, Constitutio
Dei Filius: « Perpetuus Ecclesiae catholicae consensus tenuit et
tenet, duplicem esse ordinem cognitionis, non solum principio,
sed objecto etiam distinctum ; principio quidem, quia in altero
naturali ratione, in altero fide divina cognoscimus ; objecto
autem, quia praeter ea, ad quae naturalis ratio pertingere po­
test, credenda nobis proponuntur mysteria in Deo abscondita,
quae nisi revelata divinitus, innotescere non possunt ».

3B
pensiero più razionale ha attinto una parte della sua linfa dal
suolo della Rivelazione. Esso scaturisce da una vita religiosa e si
spande in atto religioso. « Dialettica e contemplazione vi resta­
no congiunte affettuosamente in una esperienza elevatissima »
( 33).
Noi non abbiamo di sicuro cercato in nulla di imitare la
maniera o l'accento del grande Dottore, né di alcun altro. Non
abbiamo cancellato ogni traccia di quel « conflitto di pensie­
ro » 34 che inevitabilmente agita lo spirito quando si lascia
invadere dal Mistero di Dio, né abbiamo cercato di bandire
dalle nostre riflessioni ogni apparenza di coefficiente personale.
Pur essendo salva l'unità sostanziale della dottrina e acquisita
l'adesione di tutti agli stessi insegnamenti del Magistero, nella
grande famiglia cattolica le dimore sono ancora diverse. Diversi
i metodi di esposizione, secondo la diversità dei temperamenti,
pure essa voluta da Dio. Diverse soprattutto le situazioni sto­
riche e i bisogni che queste comportano. Sempre il medesimo

33 Cfr. E. GILSON, Le Thomisme, 4& ed. (1943), pp. 120.136.

M. D. CHENU, op. cit., pp. 161 e 275. Vedere pure A. M. DUBARLE,


articolo citato, p. 20: « Ci si può chiedere se il solo nome di
essere avrebbe avuto, agli occhi dei pensatori cristiani, la ric­
chezza che essi vi hanno scoperta, se non fosse stato posto nel
quadro della rivelazione biblica », ecc. Cfr. c. v.
34 « Cogitationum conflictus », SANT'ANsELMo, Proslogio, proe­

mium. SAN TOMMASO, In Joannem, c. I, lectio I, n. 1: « Intellectus


jactatur hac atque illuc ». E chi è colui che non è « gonfio di
vana scienza », che almeno in se stesso non abbia detto con
SANT'AGOSTINO, De catechizandis rudibus, c. II, n. 3: « Mihi prope
semper sermo meo displicet; melioris enim avidus sum, quo
saepe fruor interius, antequam eum explicare verbis sonantibus
caepero, quod ubi minus quam mihi notus est evaluero, contri­
stor, linguam non posse cordi meo suflicere » (P. L., XL, 311). Cfr.
De doctrina christiana, I. I, c. VI (cfr. vers. ital. sopra citata):
« Et fit nescio quae pugna verborum ,. ; « ••• quae pugna verbo­
rum silentio cavenda potius quam vocem pacanda est ». Ma
come non aggiungere ancora con Sant'Agostino: « Et tamen
Deus, cum de ilio nihil digne dici possit, admisit, humanae vocis
obsequium, et verbis nostris in laude sua gaudere nos voluh "
(P. L., XXXIV, 21).

3 14
nella sostanza, come sempre il medesimo è lo spmto dell'uo­
mo, il problema dell'esistenza di Dio riveste, nel corso delle
età, certi aspetti nuovi di cui, se non fosse necessario, sarebbe
un obbligo tener conto per chi, secondo le sue possibilità, voglia
illuminare i propri fratelli. Sia, come alcuni pensano, appro­
fondimento dello spirito o almeno delle sue tecniche, sia in­
vece, come vogliono altri, una malattia; sia più semplicemente
spostamento di prospettive, è in ogni caso un fatto che i punti
di interrogazione - di opposizione, di negazione - non restano
sempre posti esattamente nel medesimo luogo né con la stessa
rispettiva insistenza. Ora sono appunto essi che impongono i
punti di partenza 35 • Cosi la fedeltà del credente non si accon­
tenta in tutto di una ripetizione letterale.
Comunque, senza paragonare agli sforzi di tanti grandi
predecessori uno sforzo infinitamente più modesto e assai cir­
coscritto, possiamo assicurare che esso si pone spontaneamente
nel loro solco, al servizio della medesima Verità 36 •
Il cristiano sa che, per un incontro reale con Dio, non vi
è che una sola Via : la Via Vivente che ha nome Gesù Cristo.
A ciò pensando abbiamo intitolato quest'opera Sulle Vie di Dio
senza voler subito precisare, anche per i primi passi della
conoscenza naturale, se sono più le Vie per le quali noi an­
diamo a Dio o quelle per le quali Dio ci attira 3 r.

3 5 SAN TOMMASO, In lib. I de Caelo, 22, 2; De perfectione vi­

tae spiritualis, c. xxvi, in fine.


3 6 Tra i numerosi autori ai quali siamo debitori, teniamo
a citare in particolare, per l'ispirazione di numerosi passi. J.
Maréchal S. J., t 1944 (il cui pensiero è stato « troppo spesso
semplificato e deformato », L. B. Gl!IGER O. P., in Revue des scien­
ces philosophiques et théologiques, 1954, p. 273 ; cfr. J. DllFEvER
S. J., La preuve réelle de Dieu, (1953) e per l'intelligenza storica
del tomismo E. Gilson.
3 7 SANT'AGOSTINO, De Civitate Dei, I. XI, c. 2: e Ut fidentius

ambularet (homo) ad veritatem, ipsa Veritas Deus Dei Filius,


homine assumpto, non Deo consumpto, eandem constituit atque
fundavit fidem, ut ad hominis Deum iter esset homini per homi-

315
nem Deum. Hic est enim Mediator Dei et hominum, homo Chri­
stus Jesus ».
Cfr. Sermo 117, De verbis evangelii Joannis, c. 10, n. 16: « Si
nondum possumus videre Verbum Deum, audiamus Verbum car­
nem: quia carnales facti sumus, audiamus Verbum carnem fac­
tum. Ideo enim venit, ideo suscepit infinnatatem nostram, ut
possis firmam Iocutionem capere Dei portantis infirmitatem
tuam ».

316
INDICE

Premessa pag . 9
Conoscenza di Dfo » 15
Abyssus abyssum invocat » 17
Capitolo I - Origine dell'idea di Dio » 29
Capitolo II - L'affermazione di Dio » 57
Capitolo III - La prova di Dio » 89
Capitolo IV - La conoscenza di Dio » 133
Capitolo V - La ineffabilità di Dio » 177
Capitolo VI - La ricerca di Dio » 215
Capitolo VII - L'attualità di Dio » 257
Inno a Dio » 289
Nota finale » 297
Finito di stampare
1 0 luglio 1 966 - Edizioni Paoline - Alba

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