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HENRI DE LUBAC
SULLE VIE DI DIO
henri de Iubac
edizioni paoline
Titolo originale dell'opera
SUR LES CHEMINS DE DIEU
AuBIER - Editions Montaigne - Paris, 1956
Traduzione di M. Morganti
Se ne permette la stampa
Alba, 12 gennaio 1959
Mons. Pasquale Gianolio, Vie. Gen.
Visto 4873
9
alla dimostrazione, anteponendo alla dissertazione l'in
vito pressante alla riflessione e al dono di sé.
» Tali erano appunto lo scopo e il programma del
l'opuscolo che il dotto gesuita francese pubblicava nel
1945 e nuovamente nel 1948 nelle "Editions du Témoi
gnage Chrétien" sotto il titolo De la connaissance de
Dieu, nel quale l'uso troppo abbondante dell'aforismo,
dello scorcio e della suggestione poteva lasciare nello spi
rito di alcuni lettori imprecisioni e ambiguità.
» Per evitare un'interpretazione che rischiasse di fal
sare il suo pensiero l'A. ha rifuso l'opera aggiungendovi
numerose precisazioni e inserendovi nuovi capitoli ( qua
li, soprattutto, il preliminare Abyssus abyssum invocat
e i due sulla ineffabilità e sull'attualità di Dio), provvisti
di quasi cento pagine di dense note.
» In tal modo, l'edizione - che ora presentiamo per
la prima volta al pubblico italiano - rivela la solidi
tà della dottrina di cui è tutta intessuta, nonché la
vastità della documentazione. Siamo in piena esperienza
cristiana e in perfetta philosophia perennis, patristica,
scolastica e moderna. In queste pagine appare chiaramen
te che l'Autore, ben lungi dal ritenere l'uomo incapace
di una dimostrazione razionale di Dio, giudica necessaria
una tale dimostrazione, sottolineando, nel contempo, che
il suddetto potere razionale sgorga da una energia spon
tanea di affermazione, che, pur non avendo nulla del
l'idea ontologica o innata, corrisponde nondimeno a quel
lo che S. Tommaso chiama habitus primi principii o "abi
tudine di Dio". Come tale energia passa all'atto si og
gettivizza in concetti e in prove senza mai esaurirsi.
» Affrettiamoci a dire che, a nostro avviso, l'accre-
10
sciuto numero di precisazioni e di pagine non ha sot
tratto nulla alla vivacità del dettato e alla forza di sug
gestione dello scritto.
» Aggiungiamo che la massa serrata delle note ma
nifesta l'alta competenza professionale e la straordinaria
erudizione dello scrittore...
» Indubbiamente, nelle "questioni libere" de Lubac
mantiene le sue personali opinioni, ma, rispondendo al
l'attesa degli spiriti più disparati, non intende affatto la
sciar cadere nessuna di quelle sfumature complementari
che il tesoro vivente del pensiero cristiano e anche sem
plicemente umano getta sul mistero divino. Così, l'abile
artista, sicut bonus pater familias, tesse un magnifico flo
rilegio di testi antichi e moderni con l'aggiunta delle più
significative preghiere innalzate a Dio.
» Bellissimo libro ricco di erudizione e di pietà, be
nefico nella meditazione al pari della Presenza di Dio
che tutto lo pervade. Seguendo queste pagine si cam
mina in Gesù Cristo sulle vie di Dio».
LA DIREZIONE
11
« Quanto a me, sono convinto che il
dovere verso Dio, di gran lunga il più
importante della mia vita, è di parlare
di Lui in tutto ciò che penso e ciò che
dico"·
SANT'ILARIO, De Trinitate, I. I, c. 37.
citato da San Tommaso d'Aquino,
Contra Gentiles, 1. I, c. 2.
13
CONOSCENZA DI DIO
15
ABYSSUS ABYSSUM INVOCAT
17
2. - Sulle vie di Dio
te positivo, e in realtà la sua voce risveglia nell'uomo
una complicità segreta. Essa vi suscita una forza, pri
ma mal definita, che lo condurrà molto oltre la negazio
ne dei suoi dèi. Prendiamo in questo senso uno dei suoi
echi più vicini a noi:
18
presi dal nostro mondo, naturale o sociale; ma v'è nel
l'uomo una forza che lo spinge sempre al di là: la for
za stessa della sua ragione. Nel suo essere intimo, fatto
a immagine di Dio, già qualche cosa di cui egli non è
senza esperienza, sfugge a ogni rappresentazione. « Egli
porta in sé di che stupirsi, di che sorpassarsi infinita
mente » 6• È là in ultima analisi ciò che gli permetterà
di conoscere Dio in verità. Abyssus abyssum invoca!.
Dio, dice Mosè, creò l'uomo a sua immagine. L'uo
mo, commenterà la tradizione cristiana, è fatto a imma
gine di Dio incomprensibile a causa del fondo incom
prensibile dell'uomo stesso. « Chi può entrare in sé e
comprendersi? » 7• « Il nostro spirito porta l'impronta
della natura inafferrabile per il mistero che è in esso » 8•
19
Non si può dunque dire che, nella sua radice, una
tale conoscenza sia un acquisto umano. È un'immagine,
una « impronta », un « sigillo ». È il segno di Dio su
noi. Noi non lo fabbrichiamo, non lo prendiamo a pre
stito dal di fuori; esso è in noi, in noi così miserabili;
esso è noi stessi, o, meglio, più che noi stessi. Anteriore
ad ogni operazione intellettuale o volontaria, supposta
da ogni coscienza, la nostra iniziativa non c'entra per
nulla. Di essa è dunque vero e indispensabile affermare:
« Auctor nobis de Deo, Deus est; non nisi se auctore
cognoscitur » 10• « Deum scire nemo potest, nisi Deo
docente » 11• Ciò non è sopprimere la nostra attività
naturale: è indicare la sua condizione fondamentale e
la garanzia della sua rettitudine. Non è sostituire un
altro principio alla ragione: è scavare sino alle sue fon
damenta, rimontare alla sorgente. È dire, ad un tempo,
con S. Tommaso d'Aquino e seguendo l'insegnamento
di S. Paolo 12, che Dio, il Dio creatore, ci si manifesta
Sag welcher tiefer sei? Cfr. TAULERO, Sermone 44. (vers. ital. Fi·
renze, 1929).
10 SANT'ILARIO, De Trinitate, I. V, c. 21 (P. L., X, 143).
11 SANT'IRENEO, Adversus haereses, I. IV, c. vr, n. 4 (P. G.,
VII, 988).
12 S. LYONNET, S. J., Quaestiones in Epistolam ad Romanos,
prima serie, (Romae, 1955), c. II, De naturali Dei cognitione,
Rom., 1, 18-23, p. 68-108. P. 78, sul versetto 19: « Deus enim
manifestavit: non mera tautologia; emphasis enim ponitur in
actione Dei: ita factum est quia ipse Deus manifestavit illud "•
e sul versetto 20: « Explicatur quomodo Deus manifestaverit....:
ex mundo creato et lumine intrinseco... "· SAN TOMMASO D'AQUINO,
In Epist. Pauli ad Romanos, cap. 1, lectio 6: « ••• Deus autem
dupliciter aliquid homini manifestavit. Uno modo infundendo
lumen interius, per quod homo cognoscit: Psalm. 42, 3: « Emitte
lucem tuam et veritatem tuam ». Alio modo proponendo suae
sapientiae signa exteriora, scilicet sensibiles creaturas, Eccl., 1, 10:
20
per mezzo delle sue opere come un libro, e che egli è
ancora al principio della conoscenza, che dobbiamo
acquistare con l'esercizio della nostra ragione naturale.
21
Egli ha messo il suo occhio nei loro cuori
Per mostrar loro la grandezza delle sue opere 1 3 .
1 3 Eccl., 17, 7.
14 HAu.AJ, Qasida I (Diwdn, vers. frane. di L. Massignon,
1955, p. 4).
1 5 Alcuni amici ci han chiesto perché impieghiamo questi
termini di « rivelare, rivelazione », quando si tratta ancora della
conoscenza naturale di Dio, e non di quella che ci viene dalla
rivelazione positiva e soprannaturale. :e. per le tre ragioni se
guenti:
1° - Perché questo termine esprime un'idea tradizionale im
portante, ed è esso stesso tradizionale. Cfr. SANT'IRENEO, Adversus
haereses, 1. Il, c. IV, n. 5: « Quando ratio ( = verbum) mentibus
infusa moveat eas et revelet eis quoniam est unus Deus
omnium Dominus » (ed. Harvey, t. I, pp. 263-264). SAN MASSIMO IL
CoNFESSORI!, Ambigua, il mondo visibile, « questo capolavoro uni
co, in cui Dio si fa conoscere per mezzo di una rivelazione
silenziosa " (P. G., XCI, 1328 A), ecc. Il termine è passato in alcuni
nostri manuali. Esso era più che autorizzato da San Paolo,
Rom., 1, 19 di cui l' ÈqiavÉ Q COOEV a cui corrisponde nella nostra
Volgata manifestavit, è spesso tradotto nelle antiche versioni
con relavit. Così ancora nel medio evo, in GUGLIELMO DI SAINT·
THIERRY, Lettre aux Frères du Mont-Dieu, 1 14: e Cum quod notum
est Dei, Deo naturaliter revelante manifestum fit homini » ; in
PIETRO LoMBARDO, Sentenze, 1. I, dist. 3: « Apostolus, Rom., 1, 19
dicit, quia Deus revelavit illis »; in Au!ssANDRO DI! HAÙ'.S, In I
Sent., d. 2, n. 6: e Tripliciter fit revelatio Trinitatis: ve] per
doctrinam, aut per creaturas... aut inspiratione fidei. .. " ; in SAN
TOMMASO, In Epist. ad Romanos, c. I, lectio 6: è Primo ostendit
quid de Deo cognoverunt ; secundo ostendit a quo hujusmodi
22
Lo sforzo della ragione che ci porta fino a Lui - non
fino a Lui, fino alla soglia del Suo Mistero - non è
mai che il secondo tempo di un ritmo, che Lui stesso ha
cominciato a scandire. Qualunque sia la spiegazione che
si dà della conoscenza - e si sa, ad esempio, che la spie
gazione di San Tommaso d'Aquino non è esattamente
quella di sant'Agostino o di San Bonaventura - la filo-
23
sofia tradizionale in c10 e unanime. Dio è sempre, nel
più intimo dello spirito, la « luce illuminante » della
nostra « luce illuminata » 1 6 • « Egli è la luce increata,
senza la quale io non sarei sguardo» 1 7 , e se Egli non
pronunziasse il Fiat lux sul mio abisso, le tenebre non
cesserebbero di regnarvi. Egli è il Focolare unico dove,
come altrettante lampade, si accendono tutte le anime 1 8 •
Nel cuore della ragione, Egli è sempre, incessantemente,
Ipse qui illumina! 19 :
16 SAN TOMMASO, Tertia, q. V, a. 4, ad 2m: « Intellectus au
tem seu mens bominis est quasi lux illuminata luce divina
Verbi», De Veritate, q. XVI, a. 3. SAN BoNAVENTURA, In Hexaemeron,
Collatio XIII, n. 8: Deus « est Lux illustrans » (Quaraccbi, t.
V., p. 385).
11 G. MARCEL, Le Mistère de l'Etre, II, Foi et réalité, 1951,
p. 178.
1 s SANT'AGOSTINO, De civitate Dei, 1. XI, c. XXVI, a. 2: « Lu
cem illam incorpoream contingere nequeunt (bruta) qua mens
nostra quadammodo irradiatur, ut de bis omnibus judicare pos
simus » (P. L., XLI, 341 ). De peccatorum meritis et remissione,
1. I, cap. xxv, n. 37: « ••• Illud quod in Evangelio positum est:
"Erat lumen verum, quod illuminat omnem hominem venientem
in bune mundum", ideo dictum est, quia nullus bominum illumi
natur, nisi illo lumine veritatis, quod Deus est... » (P. L., XLIV,
130). De fide et symbolo, c. IV, n. 6: « Nos aulem non lumen
naturaliter sumus, sed ad illo Lumine illuminamur... » (P. L., XL,
185) De Genesi ad litteram: « Unde animae tanquam lucernae
accenduntur », etc. (P. L., XXXIV, 251-254 e 292).
19 SANT'AGOSTINO, Soliloqui, c. VI, n. 12 (P. L., XXXII, 875).
In Joannem, tract. 23, n. 5 (P. L. xxxv, 1584). De vera religione,
c. XXXIX, n. 72: « Unde ipsum lumen rationis accenditur ». Come
si vedrà meglio in seguito, noi non riteniamo tutta la spiegazione
agostiniana, che, d'altra parte, non è il caso di riassumere qui.
Ma chi la ritenesse, sarebbe in diritto di ricordare, all'occor
renza, l'osservazione fatta da B. RoMBYER, La philosophie chré
tienne jusqu'à Descartes, t. III (1937), p. 61: « Conviene evitarsi la
ridicolaggine di tacciare Agostino d'ontologismo ». Infatti « tutti
i pensatori cristiani son d'accordo nell'ammettere che l'evidenza »
dei princìpi della ragione teorica e di quelli della r'agione pratica
« è sospesa all'illuminazione divina » (E. Gn.soN, L'esprit de la
24
Lux lucis et fons luminis,
Diem dies illuminans! 20
philosophie médiévale, 2e. ed., 1944, pp. 309-310, nota; vers. ital.
Morcelliana, Brescia, 1947). La divergenza non viene che dopo.
Alcuni, troppo prontamente attenti a questa divergenza, non
accordano al principio fondamentale e comune tutta l'attenzione
che esso merita. SAN TOMMASO, In Epist. Pauli ad Romanos, c.
r, lectio 6: « Veritatem Dei detinuerunt. Fuit enim in eis quan
tum ad aliquid vera Dei cognitio: quia quod notum est Dei, id
est quod cognoscibile est de Deo ab homine per ratione, mani
festum est eis ex eo quod in illis est, ex lumine intrinseco ».
Cfr. In Joannem, c. r, lectio 2, n. 2: « Lux, id est, vita illa quae
est lux hominum, in tenebris lucet, scilicet, in animabus et men
tibus creatis, irradiando semper omnes» (si è riconosciuta la
parola agostiniana). Prima secundae, q. CIX, a. r, ad 2m: « Sol
corporalis illustrat exterius, sed sol intelligibilis, qui est Deus,
illustrat interius. Unde ipsum lumen naturale animae inditum
est illustratio Dei, qua illustramur ab ipso ad cognoscendum
ea, quae pertinent ad naturalem cognitionem ». Contra Gentiles,
1. I, c. II ad Sm: « Sicut enim lux solis principium est omnis visi
bilis perceptionis, ita divina lux omnis intelligibilis cognitionis
principium est, cum sit in quo primum maxime lumen intelli
gibile invenitur ». Ugualmente per la ragione pratica, principio
della legge naturale: Prima secundae, q. XCI, a. 2: « Lex natu
ralis nihil aliud est quam participatio legis aeternae in rationali
creatura ».
20 Inno, feria secunda, ad Laudes (SANT'AMBROGIO).
21 Si vede che qui non si tratta, come qualcuno ce l'ha fatto
dire per un errore palese di lettura, d'una rivelazione e che s'in
dirizza alla nostra umile ragione » ( come per supplire alla sua
deficienza), ma in primissimo luogo di questa umile ragione
stessa, che si trova così, tutto al contrario, magnificata.
25
percorsi dal suo pensiero, sappia egli infine risalire alla
Sorgente, sappia raggiungere il Focolare !
Prima di tutto - sebbene ciò non debba apparire
che a una riflessione posteriore, spesso tardiva, e anche
troppo spesso impacciata - Dio si rivela incessantemen
te all'uomo, imprimendo di continuo in lui la propria
immagine 22 • È questa operazione divina che costituisce
l'uomo nel suo centro. È essa che lo fa spirito, essa che
lo fa ragionevole 23 • Ne deriva che, a rigore, non vi
sarebbe necessità per l'uomo d'un'altra rivelazione per
conoscere il suo Dio: fuori di ogni intervento sopran
naturale, questa « rivelazione naturale » sarebbe suflì-
26
ciente. Diremo, per non esagerare, che vi basta per
principio. Il peccato non l'ha soffocata completamente,
poiché, se l'anima umana non si conosce oggi d'una co
noscenza attuale e afferrabile che attraverso gli atti posti
da essa 24 , ha tuttavia di se medesima una certa « cono
scenza abituale », reale sebbene oscura e involuta, co
stante sebbene sempre fuggitiva, che le viene dal fatto
ch'ella è sempre presente a se stessa 25 • Presenza dell'ani
ma a se stessa, grazie a cui potrà manifestarsi, come
in uno specchio, la presenza di Dio all'anima 26 • Come
la realtà dell'immagine divina è nell'anima al principio
27
dell'attività razionale, che, dalla conoscenza del mondo,
deve condurla fino all'affermazione di Dio, cosi la « co
noscenza abituale », che l'anima ha di se stessa, può
divenire il principio d'una riflessione intima che le farà
riconoscere la sua realtà di « immagine » 2 1 •
Uomo, comprendi la tua grandezza, confessando la
tua dipendenza! Rifletti allo splendore che porti in te 28 •
Non disconoscere la luce che ti è stata data, ma non
attribuirtene la sorgente ! 29 Impara a scoprire la tua
realtà di specchio e di immagine! Impara a conoscerti
riconoscendo il tuo Dio! Comincia, per quanto è possi
bile a un mortale, a contemplare il suo Volto raccoglien
doti in te stesso! 30
27 Cfr. GARDBIL, op. cit., t. II, pp. 95 e 111, sui tre momenti
28
CAPITOLO I
29
questo movimento spontaneo della nostra specie? Per
ché quest'impresa di divinizzazione, sia che si tratti del
cielo o di qualsiasi altra cosa? La parola stessa « dio »,
si dice pure, appellandosi alla filologia, non significa al
tro che « il cielo luminoso di giorno ». E va bene. Ma
perché proprio questo « cielo luminoso di giorno » è di
venuto un dio per gli uomini? Molti neppure s'accor
gono che in ciò vi è un problema 2 • Tutti quelli che vo
gliono dare all'idea di Dio una genesi propriamente det
ta - sia questa da loro concepita come ideologica o sen
timentale, individuale o sociale, dichiarata del tutto il
lusoria o relativamente fondata - negano in anticipo,
almeno implicitamente, l'idea di Dio. La negano ridu
cendola tutta ad altra cosa 3 • « Non si vede troppo be-
30
ne », scrive M. Mircea Eliade, « in che cosa il fatto, che
la scoperta delle prime leggi geometriche sia stata dovu
ta alle necessità empiriche dell'irrigazione del delta del
Nilo, possa avere un'importanza qualsiasi per convali
dare o infirmare queste leggi » 4 • Noi potremmo ragio
nar allo stesso modo. Non si vede, cioè, in realtà, in
che cosa il fatto, che il sorgere dell'idea di Dio nella co
scienza sia stato magari provocato dall'uno o dall'altro
spettacolo, si sia trovato legato all'una o all'altra espe
rienza sensibile, possa bastare a mettere in dubbio la
validità di quest'idea. In un caso come nell'altro il pro
blema della genesi empirica e il problema dell'essenza
o del valore sono distinti. Essi sono di un ordine diver
so. Non più di quanto l'agrimensore abbia effettivamen
te generato la geometria, l'esperienza dell'uragano o del
cielo luminoso ha realmente generato l'idea di Dio. È
in se stessa che ha valore la considerazione di questa
idea: non nelle occasioni della sua nascita, ma nelle
sue ragioni interne.
Se l'idea di Dio è reale nell'uomo, nessun fatto
accessibile alla storia, alla psicologia, alla sociologia o
a qualche altra disciplina scientifica, è realmente la sua
causa generatrice 5 • Nessun « processo » osservabile ba-
0
31
sta a darne una spiegazione. In questo senso, essa non
ha genesi; non più, per riprendere il medesimo parago
ne, di quanto abbia una genesi la geometria. Ciò non si
gnifica, al contrario, ch'essa non possa essere « argomen
tata per induzione». Ciò significa ch'essa non si riduce
affatto al risultato ingannevole di qualche trasformazione
empirica. Il suo sbocciare nella coscienza può ben di
pendere dall'una o dall'altra condizione; essa può ben
trovarsi determinata dall'una o dall'altra occasione, pro-
studioso di vaglia.
32
vocata dall'uno o dall'altro segno. Un dato fenomeno
particolare può essere specialmente atto a dare allo spi
rito la scossa ammonitrice, a svegliarlo. Può accadere,
ad esempio, che « la prima concezione della Parola di
Dio come potenza cosmica » sia venuta ai nostri antenati
attraverso l'interpretazione « del fenomeno naturale del
l'uragano: il brontolio del tuono non rappresenta forse
la voce del Dio potente e temibile? » 8 • Molte altre ipo
tesi possono essere formulate, più o meno verosimili, più
o meno fondate, che d'altronde non s'oppongono neces
sariamente tra loro, ma spesso si completano. È dunque
possibile, e non senza interesse, analizzare certe condi
zioni o processi circa la scoperta di Dio, ed è qui che
i lavori degli storici, degli etnologi e degli psicologi ab
bondano in osservazioni utili, sebbene per lo più troppo
parziali. Le loro ricerche sono feconde. Ma essi non pos
sono in ogni caso informarci sull'essenziale. Non cadia
mo una volta di più nel sofisma che consiste nel « cer
care principi nelle origini » 1 •
Vi sono innumerevoli vie che, di fatto, conducono
a Dio. Vi sono anche vie diverse, vie sicure, di valore
universale per fondare razionalmente l'idea di Dio e per
confermare cosl l'intelligenza nella sua affermazione. Si
può infatti « raggiungere Colui che è, muovendo da uno
33
3. - Sulle vie di Dio
qualunque degli oggetti di cui si può dire che sono 8 e
di cui si deve dire nello stesso tempo che non sono. Le
prove di Dio sono su tutt'altro piano che quello dei pro
cessi empirici. Ed è anche per questo che non c'è, a ri
gore, né può esservi genesi dell'idea di Dio.
* * *
« Considerando le cose nella loro genesi, se ne ottie
ne una conoscenza perfetta » 9 • Queste parole di San
Tommaso trovano qui la loro applicazione. Effettivamen
te - e San Tommaso lo dimostra bene - non si sapreb
be avere di Dio una tale conoscenza. L'idea di Dio non
si spiega né come quella d'un'illusione perfettamente pe
netrata nelle sue cause, nè come quella di una costruzio
ne dello spirito.
* * *
Una grande discussione si è aperta per conoscere
se l'affermazione oggettiva di Dio dipendeva dal « pen
siero logico » o dal « pensiero mitico », cioè - si pen
sava - dalla ragione o dalla immaginazione; in altre
parole, dalla verità o dall'illusione. Ma forse non si è
sempre badato abbastanza al fatto che anche la logica
ha le sue illusioni, che è tentata di sconfinare nei domi
ni dell'immaginazione, o che al contrario le potrebbe ca
pitare d'essere troppo « ragionevole » per trovare in ve
rità Colui che è al di sopra della ragione ... Il Dio del ra-
34
zionalismo è realmente « il vero Dio »? L'idea di questo
Dio è un'idea solida e veramente razionale?
In realtà l'affermazione autentica di Dio - che è
molto più d'un'affermazione - deriva anzitutto dalla
operazione profonda del pensiero, che ·non è « mitico »
né puramente « logico », benché esso debba normalmen
te valersi delle vie della logica per formularsi, e utilizzi
pure le forze dell'immaginazione per darsi un corpo, in
modo che le sue costruzioni spontanee mostrano una
struttura analoga a quella dei miti. Forse, per tener con
to di tutti questi elementi, si potrebbe chiamarla me
glio - con una parola, di cui le moderne deformazioni
non dovrebbero impedircene l'uso - un'affermazione
« simbolica » 1 0 , o anche, con un altro vecchio vocabolo
amato dai Padri, « anagogica » 1 1 •
35
* * *
36
* * *
37
che ricopre la superficie della terra al punto che, per
giungere alla religione pura, piuttosto che epurare gli
dèi o scrutarli onde ritenere tra loro quello i cui titoli
saranno riconosciuti autentici, è necessario, sembra, ro
vesciarli tutti. L'uomo si libererà dalla superstizione con
l'ateismo 1 3 , in attesa di ricadere poi nella superstizione.
Oppure... Ma quali ipotesi egli non farà!
Ma come sfuggirà al cerchio? In qualunque via egli
si cacci, la sua ragione stenta assai a trionfare. Quante
difficoltà da vincere e illusioni da dissipare! In realtà,
presso i più, quante incertezze, quanti passi falsi! Quale
incessante mistura di errori! Perfino nel grido del mono
teismo - benché così razionalmente affermato - v'è
spesso mancanza di sicurezza:
« O sostegno della terra, e tu che imperi su di essa,
Chiunque tu sia, è con pena che la conoscenza ti avvicina,
Sia che tu sia Zeus, la suprema Necessità o lo spirito
[ umano » 1 4 •
...A meno che Dio stesso, rompendo il cerchio fatale,
non si scelga un confidente, che Egli incarica di annun
ziarLo ai fratelli 1 5• Ciò può accadere, dice l'autore del
l'Epistola agli Ebrei, « più volte e in più maniere » 1 6 •
1a Non è qui, in pratica, il caso del buddhismo? Il suo fon
datore, senza dubbio, non nega gli dèi, ma li dichiara tutti inca
paci di assicurare la salvezza degli uomini: essi stessi hanno
bisogno d'esser salvati ; e i Buddha sono al di sopra dei più
grandi dèi.
H EURIPI!lfl, Le Troiane, 884-886, vers. ital. di F. Bellotti.
1 5 Cfr. Concilio Vaticano I, Costituzione Dei Filius, c. II,
De revelatione: « Huic divinae revelationi tribuendum est ut ea,
quae in rebus divinis humanae rationi per se impervia non sunt,
in praesenti quoque generis humani conditione ab omnibus expe
dite, firma certitudine et nullo admixto errore cognosci possint ».
Acta Concilii Vaticani I, col. 250.
16 Hebr., 1, I. Cfr. SAN TOMMASO, Prima, q. I a. 1 ; Secunda
38
* * *
39
magia 1 8 : tendenza a confondere l'autore della natura
con la natura stessa attraverso cui Egli si rivela oscura
mente, e da cui bisogna prendere in prestito lineamenti
per pensarlo; tendenza ad abbandonare il Dio troppo
esigente e troppo incorruttibile per dèi subalterni e fin
ti. Sotto questa duplice azione congiunta, le analogie ben
presto s'induriscono 1 9 • Il mondo si fa denso. Ciò che
doveva essere un segno, diviene uno schermo. La visio
ne prima, appena scorta, si dissipa ... L'astro divino
sparisce dinanzi alla sua « ombra grossolana » .
GIÈIE, o.P., Le dieu cosmique, pp. 120.250. Non è che per l'effetto
di una ignoratio elenchi che si è potuto scrivere a questo ri
guardo: « Si sarebbe voluto forse vedere più decisamente rico
nosciuto il valore noetico delle analogie stabili e pienamente
efficaci nel loro ordine proprio, vale a dire quello intellettuale ».
Simile osservazione non ha in realtà alcun rapporto con l'og
getto del nostro testo.
40
incorruttibile » vien barattata con gli dèi del nulla e
della menzogna 20 •
... Se non altro il Dio vicino si è fatto lontano 21 , e,
per lungo tempo, sarà il Dio ignoto; per quegli stessi
che ne avranno serbato il ricordo sarà il Dio abbando
nato. Occorre riscoprirlo a tappe, brancolando nell'equi
voco, e talvolta credendo di perderlo. Persino nel tempo
in cui la sua conoscenza sembrava aver fatto progressi
decisivi, Dio è ancora concepito con facilità come un
individuo dalle passioni umane, o come una Forza diffu
sa. Quando si crede di averne esaurito l'idea, di Lui non
rimane che una specie di materia prima, un essere tanto
indeterminato e vicino al nulla quanto lo spazio; oppure
diventa un principio senza interiorità, un'astrazione sen
za irraggiamento efficace. Ogni formula è scoraggiante e
provoca per reazione una formula contraria. L'acquisto
spirituale non è mai definito, esso che solo potrebbe
rendere stabile e nutrire l'acquisto intellettuale. Il mi
gliore si cambia in peggiore, e la grande forza di perfe
zionamento dell'uomo è asservita a fini profani: l'uomo
41
divinizza di nuovo i suoi bisogni, i suoi interessi, le sue
passioni, le sue ignoranze, le sue follie ... Allora il pro
gresso diviene negatore. Agli dèi della favola si sosti
tuisce più spesso il Divino che il Dio Vivente. Religione
e morale si combattono a morte. L'uomo conquista sugli
dèi la sua interiorità ... A grandi intervalli, tuttavia, fil
tra un puro raggio di luce. I Pagani stessi hanno i loro
« santi nascosti », e il vero Dio dappertutto si sceglie
« profeti » 22 •
* * *
Molti fatti dànno alla teoria marxista e ad altre si
mili un'apparenza di ragione. Tenendo presente che l'uo
mo è cacciatore, agricoltore o pastore, il sistema religio
so tutto intero presenta caratteri differenti. I marxisti e
gli altri increduli non sono soli a sottolineare questa
specie di legge. Tutte le ricerche la confermano, e la
Scuola storico-culturale ne ha fatto, con un rigore parti
colare, il principio di tutta l'evoluzione religiosa fuori
della rivelazione soprannaturale. Si è distinta la religio
ne dei popoli « raccoglitori », quella dei « pastori »,
quella dei « cacciatori », quella dei « piantatori » ... Si è
ugualmente rilevato, ad esempio, che in tutta l'éra della
civiltà del cavallo, vengono adorati dei cavalieri 2 3 , ecc.
42
È anche un fatto che gli dèi delle grandi città cosmopo
lite non somigliano molto a quelli dei piccoli stati, chiu
si in se stessi. A misura che il gruppo umano, prima
modesta tribù, diviene città, poi nazione e impero; a mi
sura anche che, per ciò stesso, si ordina e si organizza
la coscienza cosmica, una serie di trasformazioni paral
lele si compie nei riti e nei miti 2 • . È dunque ben vero
che si trova in essi un riflesso dello stato sociale - il
quale non è senza strette dipendenze dallo stato econo
mico - e che, di conseguenza, essi concorrono a rin
forzare questo stato con le loro costrizioni. Bisognereb
be soltanto, per essere giusti, vedere pure come, con gli
abusi sociali, la religione cosl considerata, consacri il
principio stesso della società; come essa contribuisca,
più di ogni altro elemento, grazie alla coesione sociale e
alla coerenza mentale che essa assicura, a permettere al
l'uomo di durare, di vivere, ciò che è la prima condizio
ne per progredire.
Ma vi è altro ancora.
Vi è l'essenziale. Al pari del razionalismo, il marxi
smo ha, se cosl si può dire, quantitativamente ragione,
43
un po' come ha ragione il determinismo per la parte
maggiore o più apparente dell'azione umana. Il mate
rialismo storico è una di quelle verità fondamentali che
una prima evidenza non può -mancare di imporre, ma
che non è di alcun aiuto a chi vuol penetrare al cuore
della realtà. In tutto ciò che è oggetto di esperienza, il
falso e l'insignificante non tengono infinitamente più po
sto del sostanziale e dell'autentico? Le contraffazioni e
le ricadute dello spirito, le sue forme bastarde o addo
mesticate, le sue eruzioni aberranti o i suoi prodotti
standardizzati, si mostrano in piena luce e s'impongono
all'osservatore, coprendo larghi spazi e ingombrando
tutta la scena. Al contrario, ciò che veramente conta, ciò
che comincia e si prepara a cambiar tutto, è quasi sem
pre raro e nascosto, sebbene la sua azione diffusa possa
essere già sparsa quasi dappertutto. Ma se capita di ac
corgersene, bisognerebbe ancora, per apprezzarlo al suo
giusto valore, esaminarlo dal di dentro, con un metodo
che non ha nulla da vedere con i metodi statistici e che
sorpassa decisamente ogni osservazione empirica. Si può
pensare, ad esempio, che l'analisi marxista, applicata
nella maniera più coscienziosa e intelligente del mondo,
or sono venti secoli, in Palestina, avrebbe negletto l'umi
le fatto, sintetizzato in un nome: Gesù di Nazareth, co
sl come lo neglessero gli storici giudei e romani. Questo
punto quasi impercettibile sarebbe passato attraverso le
sue maglie, oppure, trattenuto nella rete delle sue spiega
zioni sapienti, vi si sarebbe trovato svuotato della sua
forza esplosiva.
Malgrado tutto, alcune grandi linee son troppo sa
lienti per rimanere del tutto nascoste a chi vuole sem-
44
plicemente aprir gli occhi. Il culto d'un Dio senza figu
ra, - ci si chiede, per esempio - è forse il riflesso di
una lontana età di commercio e di operazioni bancarie ?
Il monoteismo non è il risultato d'una lenta unificazio
ne di potenze terrestri? Ma come si spiegherebbe allora
la storia dell'India, ove profondi sistemi di filosofia re
ligiosa e di elevate forme d'adorazione si sono dischiu
se nel seno di un'economia primitiva e di una società
politica amorfa? Soprattutto, si sono letti i primi pre
cetti del Decalogo giudaico? (Poco importa qui la que
stione della loro data precisa). « Ascolta, Israele! Io so
no Yahwéh tuo Dio. Tu non avrai altri dèi dinanzi al
mio Volto. Tu non fabbricherai figure scolpite ... Poi
ché, io, Yahwéh, sono un Dio geloso » 25 •
* * *
Non occorre un'osservazione molto minuziosa per
distinguere nella nostra storia occidentale, a dispetto
delle loro multiple implicazioni, due specie di religioni
« monoteiste », le cui origini sono diverse. La prima è
realmente, almeno per una parte, il frutto dello sviluppo
sociale e politico al tempo stesso che del progresso della
riflessione. A poco a poco, come succede sulla terra, si
costituiscono dei pantheon. Gli dèi si organizzano, si
gerarchizzano, poiché la loro stessa moltitudine e mesco
lanza suggerisce l'unità del divino 26 • Infine il capo della
25 Deut. 5, 1-8.
26 Già nell'antico Egitto (Einsegnement pour Mérikarè), at
traverso espressioni oscure, si coglie " la teoria che gli idoli
sono ... l'espressione del Dio unico e nascosto, come i flutti suc
cessivi che vengono a frangersi contro la riva sono quelli d'un
45
società divina cresce fino a divenire il dio supremo, di
cui gli altri dèi non saranno che le manifestazioni o i
servitori 21 • Quando un popolo viene a conoscere le di
vinità dei popoli sottomessi, le amalgama alle sue con
un sistema di equivalenze, che al tempo stesso serve
ad arricchire e a unificare 28 • Se per caso vi è concor
renza, gli dèi del popolo vinto, vinti essi stessi, sono
eliminati, a meno che non siano adottati dai vincitori o
non divengano dei demoni... Così - con numerose va
rianti nel processo - a Babilonia, in Egitto, presso gli
antichi Indo-Europei, nell'impero achemenide, nel mon
do ellenistico, a Roma sotto l'impero ... Guadagno per
la politica, per la civiltà, per il pensiero? Sì, il più delle
volte, e qualche volta molto considerevole. Ma progres
so propriamente religioso? Non sempre, e spesso niente
affatto. Nel caso in cui l'antropomorfismo è sorpassato,
si sbocca allora in un divino astratto o in una natura di
vinizzata: « Aequum, est quidquid omnes colunt, unum
putari: eadem spectamus astra, commune coelum est,
idem nos mundus involvit...» 29 • Gli dèi si sono concen
trati : ma non hanno generato Dio!
46
Al contrario, nella seconda specie di monoteismo, il
Dio unico si afferma con un esclusivismo reciso: « Non
vi è altro Dio che Dio ». Questo non è il risultato di
nessuna riunione né d'alcun sincretismo, intellettuale o
politico che sia. Egli impone e consacra un nuovo ordine
di valori. È un Dio che non si raggiunge attraverso gli
dèi, ma al quale bisogna convertirsi spezzando gli idoli,
che le mani han fabbricati e il cuore si è creato. È un
Dio che lancia la sua sfida agli dèi della natura, come il
giovane David ancora sconosciuto al celebre gigante Go
lia. È un Dio che bisogna seguire abbandonando il paese
dei propri padri... Un Dio che conduce all'ignoto. Un
Dio che scandalizza quelli ch'egli non ha sedotti. Di
fronte a lui « gli dèi delle nazioni » non sono che « le
gno e pietra », « vanità », « nulla », « abbominio »,
« peccato »; essi sono « gl'immondi », « i cadaveri », « i
non-dèi ». « Non allontanatevi dal Signore, e non adora
te dèi vani! » 30 • « Ecco che il Signore verrà su una nube
leggera, e tutte le opere degli Egiziani saranno spazzate
dalla presenza del suo Volto! » 31 • « Dio geloso, Dio
esclusivo, che divide tutto, che non lascia durar nulla
dinanzi a Lui ». Si aveva un Principio compiacente che
47
giustificava le pratiche del politeismo pur consolidando
i dominii carnali, e che rimaneva in se stesso il possesso
di una piccola èlite di saggi. Ora si ha un Essere, per
nulla astratto sebbene tutto spirituale; un Essere vivo
ed agente sebbene invisibile; un Essere intransigente,
che reclama per sé tutto il culto e che vuol essere rico
nosciuto da tutti; un Essere trascendente, sebbene forte
mente personale, che va al di là di tutte le città terre
stri, fosse anche la città del mondo. Non un Dio cosmo
polita, ma un Dio che sarà, se non lo è ancora, il Dio
universale.
Solo questo secondo monoteismo è carico di forza
esplosiva. Solo esso porta il progresso religioso, essendo
all'origine di una trasformazione radicale nelle concezio
ni e nella vita religiosa. Soltanto esso, inoltre, è atto
ad assumere, quando non lo promuove da se stesso, il
progresso morale e il progresso sociale. Solo il Dio di
questo monoteismo può essere, nel senso primo della
parola, l'oggetto d'una fede 32 • Quando egli incontra il
primo monoteismo non si aggrega ad esso: deve anzi
tutto trionfare anche di esso. Hebraeorum Deus a Ro
manis non receptus, quia se solum coli voluerit In un 33
•
n. 26: « Quis est Deus iste vel ita ignotus, ut in tam multis diis
solus adhuc non inveniatur, aut ita notus, ut a tam muìtis
hominibus jam solus colatur? Nihil ergo restat , ut dicant cur
hujus Dei sacra recipere noluerint, nisi quia solum se coli vo-
48
secondo momento, egli lo utilizzerà per esprimere, com
pletare ed espandere se stesso ponendo così fine a ogni
altro monoteismo. Ora, noi costatiamo che esso non ap•
pare nei grandi Stati unifìcati, dopo potenti conquiste,
nè in seguito a profonde speculazioni o a grandi trasfor
mazioni economiche. Per quanto si può ricostruire la
storia dalla situazione disperata delle fonti, la religione
di Zoroastro, « la meno pagana delle religione pagane »,
le cui potenze divine sono, più che dèi, « attributi del
l'unica divinità » 3 4 , nacque in un remoto angolo del
l'Iran, lontano da quel focolare di cultura ch'era allora
Babilonia, e prima dell'era del sincretismo, aperta in
Babilonia stessa dalle conquiste di Ciro 35 • Il Giudai
smo e l'Islam smentiscono ancor di più ogni teoria del
lo sviluppo religioso, che ricorre ai soli fattori estra
nei alla religione. Israele era un piccolo popolo, dal pen
siero frusto, dall'economia rudimentale, dalla civiltà as
sai meno brillante di quella dei suoi grandi vicini, che
luerit, illos autem deos Gentium, quos isti jam colebant, coli
prohibuerit... Socratis enim sententia est, unumquemque deum
sic coli oportere, quomodo se ipse colendum esse praeceperit.
Proinde istis summa necessitas facta est non colendi Deum
Hebraeorum: quia si alio modo eum colere vellent, quam se
colendum ipse dixisset, non utique illum colerent, sed quod ipsi
finxissent ; si autem illo modo vellent quo ipse diceret, alios
sibi colendos non esse cernebant, quos ille coli prohibebat »
(P. L., XXXIV, 1053-1054).
34 J. P. DE MENAsCE, O. P., Le monde moral iranien in Les
morales non chrétiennes (Journées « Ethnologie et Chrétienté »,
Paris, 1954) p. 42.
35 Cfr. J. DUCHESNE-GUILl.l!MIN, Zoroastre, étude critique
avec une traduction commentée des Gatha (1948). Si ricorderà la
riflessione di S. PE'l'RBMENT, precisamente a proposito dell'anda
mento filosofico della religione di Zoroastro: « Tutto è più antico
di quanto si creda » (ibid., p. 66).
49
4. - Sulle vie di Dio
a turno lo schiacciavano. Se esso, specialmente duran
te l'esilio, ha approfittato molto delle loro concezioni,
fu per i suoi propri fini, e come per vestire d'un man
tello più magnifico il Dio che già riconosceva come uni
co. Ed è nella rovina e nella cattività ch'esso ne cele
bra il trionfo. Gli Arabi, prima dell'Egira, non avevano
quasi unità. L'idea di Dio, nelle sue più alte manifesta
zioni come nelle forme più umili, spezza e va oltre tut
ti i quadri sociali come tutti quelli mentali. In verità, si
può dire: « Lo Spirito soffia dove vuole ».
* * *
* * *
so
* * *
Se Dio porta lo stesso nome degli d èi, ciò non è in
virtù di non so quale parentela, come se uno, per esem
pio, fosse la perfezione, la sublimazione o l'unificazione
degli altri, è per sottolineare che gli altri non ebbero
mai che un'esistenza e un nome presi a prestito o, piut
tosto, rubati. Dio rientra nei suoi diritti, usurpati da
vani fantasmi o da forze malvagie dal giorno che l'uo
mo si era allontanato da lui.
* * *
Alcuni pensano che Dio unico sia un prodotto del-
1'evoluzione religiosa. Dapprima sparpagliato nella pol
vere di essere sacri, a poco a poco il divino si organizza,
si gerarchizza, infine si concentra e s'innalza di una di
vinità suprema, di cui le altre potenze, create dall'im
maginazione mitica, ormai più non sono che le ancelle.
Allora esso può a piacere purificarsi, spiritualizzarsi,
raffinarsi, magari fino a svanire 36 •
Altri pensano, al contrario, che il Dio unico s'im
ponga all'improvviso con una rivoluzione religiosa. Egli
s'afferma di colpo, opponendosi. È un dio particolare,
che respinge gli altri dèi. È una certa concezione del
36 Sul monoteismo ellenistico, ottenuto sia per la tendenza
ad accordare la supremazia a un dio particolare, che diviene
il sovrano degli dèi e degli uomini ( « Juppiter summus exsupe
rantissimus » ), sia per una fusione di tutti gli dèi in un sol prin
cipio divino, di cui essi non sarebbero che manifestazioni diffe
renti, vedere J. DUPONT, O. S. B., Gnosis, la connaissance religieuse
dans les Ep'ìtres de Saint Paul (1949), pp. 330-333 ; F. CUMONT,
Les religions orientales dans le paganisme romain (4& ed., 1929),
passim.
51
divino che sorge nel suo esclusivismo, contro concezioni
antecedentemente vissute di cui l'uomo s'è disgustato,
di cui ha riconosciuto il vuoto, e di cui non ha più scor.
to il valore.
L'una e l'altra tesi poggia su una serie di osserva
zioni esatte, ed è necessario renderne atto a entrambe,
sebbene nella seconda vi sia più verità storica che nella
prima, se si guarda più al Dio vivente della religione
che al principio supremo della filosofia 3 7 • Il Dio della
52
Bibbia ha un nome proprio: Yahwéh, che si afferma nel
la sua unicità, costituendosi un popolo particolare, in
disparte dagli altri popoli, imponendogli una particolare
legislazione, beffandosi per bocca dei suoi Profeti degli
dèi fabbricati da mano d'uomo. Il Dio del Vangelo non
è meno personale: è il Padre Celeste, e per i cristiani
gli dèi del paganesimo, se pur hanno qualche esistenza
reale, non possono essere che demoni. Tuttavia, è vero
che alla fase d'intransigenza, nel corso della quale si
stabilisce la monolatria o il monoteismo, non tarda a
succedere una fase d'involuzione, nel corso della quale
senza più lasciarsi contaminare, il Dio vincitore riuni
sce a suo profitto tutto ciò che s'era disperso altrove
di pensiero o di adorazione genuina. All'opposizione
succede l'assorbimento, in modo che le due tesi appaio
no meno contraddittorie che complementari.
Né l'una né l'altra va tuttavia a fondo delle cose.
Né l'una né l'altra risale alla sorgente. In realtà l'idea
del Dio unico e trascendente, nella sua apparizione sto
rica, non sorge da una critica o da una delusione qual
siasi. Essa non è frutto di alcuna dialettica immanente,
rivoluzionaria o evolutiva che sia. Essa non è ottenuta
né per sintesi, come se rispondesse al bisogno sentito
all'inizio di unificare il divino sparso; né per antitesi,
come se l'uomo avesse anzitutto preso coscienza della
vanità dei suoi antichi dèi. Nessun processo d'integra
zione o di contrasto la spiega. Ciò che si prende per
53
causa è, in realtà, effetto. L'idea del Dio unico sorge di
per se stessa nell'intimo della coscienza - che questo
avvenga per un'esigenza razionale o per qualche illumi
nazione soprannaturale, per ora non c'interessa - s'im
pone allo spirito da se stessa, in virtù della sua propria
necessità. Infatti, nel caso più chiaro, è Dio stesso che,
rivelandosi, fa svanire gli idoli, o costringe colui che
Egli visita a strapparli dal suo cuore. Reverberasti infir
mitatem aspectus mei, radians in me vehementer, et
contremui amore et horrore 38 • La prima cosa è questo
splendore, questo « irraggiamento »; è la luce e l'attra
zione mista di timore che se ne sprigionano. Allora, per
un fenomeno di « riverberazione », si scopre in tutta
la sua luce la fralezza delle concezioni umane, e l'uomo
che Dio ha toccato concepisce orrore per i fantasmi che
aveva generati. La fede che nasce in lui lo libera da ogni
malefizio.
All'origine, vi è dunque un contatto, un incontro;
vi è una certa intuizione, qualunque sia il nome che,
secondo i casi, le si darà: lampo dell'intelligenza, vista,
udito o fede. L'antitesi viene in secondo luogo, e la
sintesi, nella misura in cui se ne può parlare, segue da
ultimo.
In effetti, conta soltanto il primo tempo. È Abramo
ad udire la chiamata che lo strappa al paese e al culto
ancestrale; è Mosè, che riceve la legge sul Sinai; è Isaia,
che contempla la maestà di Yahwéh nel Tempio... È
Gesù che trasale nello Spirito e conversa col Padre. In
ciò, nessun rovesciamento dal « per » al « contro », nes-
54
suna relatività, nessuna « dialettica ». Ogni dialettica,
storica o no e qualunque ne sia il metodo, suppone
diversità e negazione. In ogni dialettica, checché ne
sia del suo valore, un termine è suscitato dall'altro. Il
rovesciamento dal « per » al « contro » non suppone
l'inserzione di un nuovo principio. La dialettica è un'ar
ma potente perché risponde a uno dei processi essenzia
li dello spirito. Ma se essa pretende non di organizzare
ma di generare il pensiero, la sua anima è una necessità
cieca. Essa non rischiara affatto l'interno degli esseri,
che alternativamente pone ad ogni suo passo; meglio,
questi esseri non hanno allora alcun interno, non essen
do che termini del tutto relativi a quelli con i quali en
trano in serie. Indubbiamente, una volta caduta nella
coscienza come un germe - sia per effetto della luce
della ragione che per quello d'una rivelazione sopranna
turale - l'idea del Dio vivo sarà, come ogni altra, sot
tomessa alla dialettica. Anzi, in un certo senso, più di
ogni altra, perché essa diviene il principio di un'« in
quietudine » permanente che la tormenterà senza fine.
Ma per questo essa diviene meno sostanziale e positiva,
ed è ciò che le assicura il trionfo. Lungi dal corrispon
dere a una fase della dialettica umana, è, al contrario,
quest'ultima che esplica il ruolo di intermediaria ponen
dosi come medium d'una realtà scorta innanzi a un mi
stero presentito e che non cessa di essere sostenuta nel
suo movimento da una presenza...
La cosa è assai più sorprendente nella dialettica con
creta della storia. Il monoteismo religioso, quello stesso
che dobbiamo a Israele e a Cristo - e, in scarsa misu
ra, quelli analoghi che si osservano altrove - s'accen-
55
de al fuoco divino. Prima di essere una credenza, e, a
più forte ragione, prima di divenire una tradizione Ò
un'idea, esso fu una vocazione, e lo rimane sempre, là
dove conserva il suo vigore autentico. Nella sua forma
zione non c'è traccia di questo movimento dialettico,
che è il « risentimento » in senso nicciano. Abramo non
si avvicinò al vero Dio per il disgusto delle divinità dei
suoi padri, anzi dovette lottare nel suo intimo per
abbandonarle, per cui la sua fede divenne una vittoria.
Gesù non predica, come il Buddha, la vanità di questo
mondo e degli dèi che lo canonizzano, perché essi sono
fatti miticamente della sua sostanza; Egli annunzia il
Regno dei Cieli dove respira già la sua anima, e inse
gna l'amore del Padre Celeste attraverso la propria per
sona. In questo senso ugualmente si veri.fica la parola
profonda dell'Apostolo: Non vi è che S1 in Lui 39 •
* * *
Si è intrapresa, con più o meno successo, la psica
nalisi delle mitologie. Sempre più si dovrà applicare la
psicanalisi all'ateismo. Però si fallirà sempre a « psica
nalizzare » la Fede 40 •
56
CAPITOLO II
L'AFFERMAZIONE DI DIO
57
sia - attribuendo al reale, su cui si esercita, una soli
dità e un senso, si appoggia segretamente su Dio. Dio
è l'Assoluto; e non si può pensare nulla senza porre l'As
soluto riallacciandolo a questo Assoluto; non si può
voler nulla senza tendere all'Assoluto, né stimar nulla
senza pesarlo al peso dell'Assoluto 2 •
58
Non è dunque solo negli atti detti di religione né
secondo un'accezione grossolanamente pragmatista che
God is used, come suona una nota espressione. Servirsi
di Dio per dominare il flusso dell'esistenza immediata,
organizzare il caos, decidere, giudicare, scegliere, fare,
in una parola, un atto dello spirito, e non affondare a
ogni passo nella contraddizione, ma contemporaneamen
te rifiutare di riconoscerLo; scartare con il pensiero Co
lui senza il quale il pensiero non sarebbe che psichismo;
appoggiarsi su Lui nell'atto stesso con cui Lo si nega:
questa è la contraddizione suprema. Tale giudizio, in
realtà, si nega da se stesso e si distrugge, non semplice
mente nel suo contenuto, ma come tale, spezzando la
sua armatura e rifiutando la sua condizione. Contraddi
zione senza dubbio inavvertita, poiché non interviene
tra due affermazioni oggettive, ma tra l'affermazione
oggettiva e l'affermazione trascendentale; tra l'asserzio
ne emessa e l'asserzione vissuta con il pensiero. Di con
seguenza contraddizione non particolare e puramente lo
gica - ed è per questo che essa è sempre possibile -
ma contraddizione totale, vitale e spirituale. Contraddi
zione nell'essere che pensa. Peccato dello spirito contro
lo Spirito.
Così facevano quei pagani di Roma che, rifugiati
nelle chiese per sfuggire ai colpi dei Barbari, profitta
vano della sicurezza che loro concedeva il Dio dei cri
stiani, per bestemmiare contro di Lui. Per avere il dirit
to di negare Dio senza contraddirsi, bisognerebbe pote-
59
re e, al tempo stesso, cessare di volere e di pensare 3 •
Bisognerebbe cessare di parlare 4 •
* * *
60
* * *
61
Bisogna riconoscere in tutto il suo valore la trascenden
za di Dio.
* * *
62
tica, che necessariamente dobbiamo in seguito istituire
della forma generale in cui questi ragionamenti sono
sgorgati, finirebbe col rinnegare ogni affermazione di
Dio.
Ma l'ipotesi esaminata è vana. La duplice attività
dello Spirito non è la tela di Penelope. Essa riesce real
mente, e il suo successo è definitivo. Precedente tutti
i nostri concetti, sebbene oggettivamente inafferrabile
al di fuori di essi, e anteriore a tutti i nostri ragiona
menti, sebbene logicamente ingiustificabile senza di essi,
ispiratrice, motrice e giustificatrice degli uni e degli
altri, l'idea di Dio è in noi, misteriosamente, fin dall'ori
gine. Omnia cognoscentia cognoscunt implicite Deum
in quolibet cognito 1
•
63
Tale asserzione non vale che per Dio solo. Per mo
destamente che la cosa venga intesa, il suo valore è ine
stimabile. L'idea di Dio presiede a tutte le nostre nega
zioni come a tutte le nostre critiche, un po' come il voca
bolo che si cerca, che si conosce senza poterlo dire, eli
mina tutti gli altri vocaboli che si presentano allo spi
rito. Nella negazione stessa, l'affermazione trionfa, e la
critica è un consolidamento.
Nel suo stato primo e permanente, quest'idea di
Dio non è dunque un prodotto dell'intelligenza. Essa
non è un concetto. È una realtà: l'anima stessa dell'ani
ma; immagine spirituale della divinità, « eikon » 8 •
64
* * *
Se lo spmto non affermasse Dio - se esso non
fosse affermazione di Dio - non potrebbe affermare
nulla. Come una terra privata del suo sole, esso non
avrebbe più alcuna legge. Rientrando completamente
nei meandri di un oscuro psichismo, non potrebbe più
esercitare alcuna attività razionale. Non potrebbe più
giudicare. Avrebbe perduto la sola cosa che può servire
di appoggio, di luce, di norma, di giustifìcazione, di
riferimento a tutto il resto.
Ciò non signifìca che, fin dall'inizio, l'esistenza di Dio
ci sia evidente. È partendo dal relativo che la ragione
si eleva all'assoluto. Ciò che sostiene e orienta ciascuno
dei suoi passi, è, al tempo stesso, sotto un altro rappor
to, il termine di questi passi. Ciò che spiega e giusti
fica la conoscenza deve essere stabilito da essa. Ciò che
65
5. - Sulle vie di Dio
è alla sua radice deve, per essere riconosciuto, apparire
alla sua sommità.
* * *
66
essa non vale, lo so, che contro la mia dappocaggine.
Nel labirinto in cui mi si chiude, io non sono mai en
trato tutto intero.
Ma so pure che l'intelligenza non è tutto l'uomo. E
l'uomo intelligente non si tratta come intelligenza pura.
L'appello multiforme al costume, alla tradizione, all'au
torità, agl'insegnamenti della religione positiva, ai gesti
ripetuti dalla prima infanzia, - ogni ricorso alla « mac
china », - non ha per oggetto di forzare la ragione né
di supplirla, ma di proteggerla, scartando le vertigini
dell'immaginazione. Si tratta di acquietare il bambino
che, al dire di Platone, resta sempre in ciascuno di noi. Se
ne possono scandalizzare, diremo con Sant'Agostino,
soltanto quelli qui nesciunt quam rarum et arduum sit
carnalia phantasmata prae mentis serenitate superare 9 •
* * *
67
ligenza non si dichiari convinta della loro prova. Ma
quando l'ora della dimostrazione è passata, il ricordo
di tale dimostrazione basta sempre a respingere l'assai.
to di tante impressioni contrarie ? In un cielo astratto
la loro luce può continuare a brillare; ma tali verità
sono fatte per essere sentite - est enim sensus et men
tis 1 0 - e non soltanto per essere dimostrate; per esse
re possedute, strette, non per essere scorte da lontano,
ricoperte da un pallido e superficiale chiarore. La prova
ce le impone, ma non ce le dona 11 • La certezza che essa
in tal modo ci conferisce non è un possesso. È bello, ad
esempio, che l'uomo possa provare a se stesso la sua
immortalità, ma tutto il rigore di cui la si può supporre
capace è impotente a ridurre il sentimento d'irrealtà
che, persino in piena luce, la accompagna. Anzi, quanto
più la prova è sentita come prova, tanto più ci fa pren
dere coscienza della miseria che ci obbliga a porla e che,
dopo averla posta, permane.
A quanta maggior ragione la coscienza di questa mi
seria diverrà acuta, e il sentimento d'irrealtà peserà sul
nostro spirito, quando si tratta di Dio, l'Essere infinita
mente puro, « che abita una luce inaccessibile », che è
al di sopra di ogni essenza, « di ogni nome e di ogni
forma », Colui che tutto significa, ma che nulla infine
68
sa rappresentare! 12 • Come saremmo soddisfatti d'una
prova, quando si tratta di Colui che, in ragione stessa
della sua attualità perfetta e della sua pienezza, non si
lascia direttamente concepire dalla ragione oggettiva che
come un'esistenza spoglia, e la cui realtà ci è troppo in
tima e, ad un tempo, inafferrabile perché qualsiasi « in
traversione » ce l'offra in un possesso durevole?
Ubi est lux inaccessibilis, aut quomodo accedam ad
lucem inaccessibilem? ... Numquam te vidi, Domine
Deus meus, non novi faciem tuam!
Haec lux est inaccessibilis, et tamen proxima ani-
69
mae etiam plus quam ipsa sibi. Est etiam inalligabilis, et
tamen summe intima 1 3 •
* * *
Noi sognamo sempre l'impossibile: vorremmo una
verità che non fosse affatto astratta e una realtà che non
fosse affatto empirica; un fatto che avesse tutti i carat
teri del diritto; una costatazione che fosse al tempo stes
so la risposta a un'esigenza; una soddisfazione ideale
che fosse pure possesso reale. A questo prezzo sola
mente si otterrebbe l'acquietamento dello spirito. Ma
noi oscilliamo sempre tra i due estremi. Per l'essere dop
pio che noi siamo, la dualità resta insormontabile. A
questo misto di senso e di ragione l'unità sempre si sot
trae. Quando noi crediamo di afferrarla, essa subito si
sdoppia, e l'unità universale non è l'unità concreta. Ciò
che raggiunge il nostro cammino non è solo, con la sua
insufficienza, il principio d'una nuova ricerca: è sempre
una nuova delusione. Cur non te sentit, Domine Deus
animae meae, si invenit te? Aut non invenit, quem in
venit esse lucem et veritatem... ? 1 4 •
1a SANT'ANSELMO, Proslogio, c . I (P. L., CLVIII, 225 c.). SAN
BONAVENTURA, riprendendo uno sviluppo di SANr'ANSELMO, Proslo
gio, c. XVI: « Vere, Domine, haec est lux inaccessibilis, in qua
habitas; vere enim non est aliud quod hanc Iucem penetret, ut
ibi te pervideat. Vere ideo hanc non video, quia nimia mihi est;
et tamen quidquid video, per illam video; sicut infirmus oculus ;
quod videt, per Iucem solis videt, quam in ipso sole nequit aspi
cere ». (P. L., CLVIII, 235 CD).
1 4 SANT'ANsELMo ha reso bene questa specie di delusione
sempre rinascente, sebbene non scoraggiante, nel Proslogio, c.
XIV. Egli si rivolge prima all'anima per rassicurarla: « An inve
nisti, anima mea, quod quaerebas? Quaerebas 'Deum, et inve
nisti... Nam si non invenisti Deum tuum, quomodo est ille hoc,
70
Ma allora saremmo mossi da una chimera? No. È
un impossibile che nondimeno non è chimerico. Dio so
lo, al di là del senso e al di là della ragione, può fare
la sintesi - sempre quaggiù parziale e fuggitiva. -
Nella notte del senso e della ragione, nella notte che
rimane notte, brilla allora la Presenza unica 1 ' .
* * *
Perché lo spirito, quando ha trovato Dio, conserva
ancora o scopre sempre il sentimento di non averlo tro
vato? Perché questo peso d'assenza, anche nella presen
za più intima? Perché questa invincibile oscurità di Co
lui che è tutta luce? Perché questo muro o questo vuoto
spalancato? Perché questo tradimento di tutte le cose,
che subito dopo averci mostrato Dio, di nuovo ce Lo
nascondono?
C'è la tentazione di soccombere a questo scandalo,
tanto più disperando in quanto si era creduto in un
71
primo momento di aver trovato; tentazione di negare la
luce, poiché il velo ridiventa opaco o gli occhi accecati;
tentazione di stanchezza, dopo lo sforzo di un cammino
che riconduce sempre al punto di partenza...
Per altri c'è la tentazione inversa che raggiunge quel
la di tutti i « mezzi sbrigativi » : l'illusione cioè di chi
si persuade che non vi sia più che da lacerare un velo
leggero perché, alla fine, la Presenza appaia; che non
abbia che da rivolgere il suo sguardo all'interno, a fissa
re il punto luminoso che rischiara tutti i suoi pensieri,
per godere della vista del suo Dio; che gli basti essere
per possedere l'Essere ...
È una sottovalutazione dell'ostacolo, una serenità
troppo presto acquisita, una confusione della pallida
chiarezza dell'essere con la luce divina ...
Perché, Signore, tali ambiguità? Perché sorgono nel
l'anima tali oscillazioni e tali dispute? Perché tanti slan
ci contraddittori e vani? « Perché questo »?
... Cur hoc, Domine, cur hoc? Tenebratur oculus
eius infirmitate sua, aut reverberatur fulgore tuo? Sed
certe et tenebratur in se, et reverberatur a te. Utique et
obscuratur sua brevitate, et obruitur tua immensitate.
Vere et contrahitur augustia sua, et vincitur amplitudi
ne tua ... 18 •
* * *
Che l'esistenza di Dio sia « probabile » 1 7 , come si
ode dire talvolta, è una proposizione senza senso. Su
72
che cosa si potrebbe fondare una simile probabilità, se
non, come ogni probabilità, su una certezza più generale
del medesimo ordine? Ora Dio è solo nel suo ordine, e
il posto che Lui occupa nella conoscenza è unico. La pro
babilità dell'esistenza di Dio dovrebbe fondarsi sulla cer
tezza preliminare della sua esistenza. Tanto varrebbe
dire che la nostra esistenza stessa è probabile...
La probabilità non si comprende che nel campo em
pirico. Essa non ha senso che in rapporto a un oggetto
particolare, cioè a un oggetto che fa parte di un insieme;
un fatto tra altri fatti. Ora Dio non fa parte dell'espe
rienza comune. Dio non è un fatto, Dio non è un « og
getto». La realtà di Dio non è quella di un avvenimen
to. Dio non è neppure il caso particolare, l'applicazione
particolare, la realizzazione particolare d'una verità ge
nerale o di un principio universale che gli sarebbe pre
liminare. Come dicevano gli antichi, « l'Essere è fuori
di ogni genere» 18 , « Dio non è nel genere», Dio è
unico.
73
Si dica dunque, se si vuole, per rispettare il miste
ro di cui, fin nelle sue più intime certezze, la nostra co
noscenza è immersa interamente, che la vita dello spiri
to riposa su una credenza. Si metta alla sua base una
certa specie di confidenza o, meglio, un'« anticipazio
ne » 1 9 • Si confessi pure il sentimento d'irrealtà che, nel
le condizioni della nostra esistenza terrestre, il più ri
goroso uso della ragione non fa spesso che accrescere ...
Ma queste diverse nozioni, che non sono affatto oppo
ste alla nozione di certezza, non hanno niente da vede
re con la nozione di probabilità 20 •
* * *
Il probabile può essere anche il verosimile. Ma chi
dirà che l'Essere di Dio sia verosimile? Se ci si attiene
alle analogie e alle apparenze, e se si ascoltano la ragione
comune e il giudizio comune, che cosa v'è, al contrario,
di più inverosimile, di più sconcertante sotto qualunque
aspetto lo si prenda? Non è a ragione della sua verosi-
lui questo rimprovero) di fare di Dio il genus generalissimum
dell'essere: Histaire et salutian des problèmes métaphisiques
(1901), c. xxv, p. 177. Vedere più avanti, c. III, nota 37.
1 0 :e un termine caro a CLEMENlll Ai..EssANDRINO: nQoì,:rpj11.ç
Stramata, I. IV, c. IV, n. 16 ecc. Cfr. THOMASSIN. Dagmata thealo
gica, De Dea ; J. MOINGT, La gnase de Clément d'Alexandrie dans
ses rapparts avec la fai et la philosaphie in Recherches de scien
ce religieuse t. XXXVII, 1950, p. 548.
20 L'autore della traduzione tedesca di questo libro (Sulle
74
miglianza che io affermo l'Essere di Dio, l'Essere che è
Dio: è malgrado la sua inverosimiglianza, malgrado tut
te le antinomie contro le quali urto ponendolo, malgrado
tutte le ripugnanze che non cessano di trattenermi. Tut
tavia lo faccio nella sicurezza completa dello spirito,
spinto come vi sono non da una forza estranea, ma da
una necessità razionale, che mi dimostra l'impossibilità
che egli non sia. La sua luce è indiretta, e quel che essa
mostra non è che negativo: la sua forza non è per que
sto meno atta a spazzar via tutte le « verosimiglianze ».
L'inverosimile è nello stesso tempo l'incontestabile; e
questo supera infinitamente quello.
« La certezza è una regione profonda in cui il pen
siero non si mantiene che con l'azione » 21•
* * *
« La verità », dice magnificamente Malebranche, « è
lontana, non è sensibile, non è un bene che ci si senta
incalzati ad amare. L'applicazione dello spirito è dunque
necessaria ». « Ma - aggiunge egli seguendo Sant'Ago
stino, - un uomo che viene tirato da tutti i lati, che
vien ferito da tutte le parti, che viene respinto quando
avanza, che vien trascinato quando indietreggia, che
viene molestato o maltrattato incessantemente, può ap
plicarsi? ». Ora, tale è la condizione dello spirito nella
carne. Esso non è mai - non è ancora - del tutto se
stesso. Non può mai abbandonarsi a lungo senza intral
ci alla ricerca o alla contemplazione del vero.
75
Tutta la « macchina » di cui si circonda e con cui
si protegge e si rafforza la credenza in Dio trae di qui
la propria necessità e, al tempo stesso, la propria giu
stificazione. Essa non è per rimediare a qualche difetto
di prova o di certezza ragionevole, ma solo per mettere
o per supplire in qualche misura questa necessaria e im
possibile « applicazione ». Compito pur sempre neces
sario, poiché « i pregiudizi toman sempre alla carica, e
ci scacciano dalle nostre conquiste, se con la nostra vi
gilanza e solide trincee non vi ci sappiamo mantenere ».
Con queste « solide trincee », la verità non è corrotta
ma salvata. Il pensiero si protegge contro la « vertigine
mentale »; non è asservito ma liberato.
* * *
Fin nelle nostre certezze più sicure, ogni volta che
si tratta di un oggetto che ci supera, la prerogativa emi
nente dello spirito, cioè la sua libertà, è rispettata. E
questo si verifica anche nella più alta di queste cer
tezze, la più solida e la meglio fondata di tutte, la più
eminentemente razionale, vale a dire quella dell'esisten
za di Dio. Anzi, è solamente qui che la libertà dello
spirito si esercita nella sua pienezza. Poiché lo spirito
umano, nonostante la sua distensione provvisoria, nel
proprio intimo non è diviso contro se stesso. La distin
zione delle sue « facoltà » non è una distinzione di cose
che si escluderebbero vicendevolmente. Le sue due po
tenze di conoscere con certezza e di volere liberamente,
lungi dal dover comprare ciascuna la perfezione del
proprio atto a prezzo d'una diminuzione e di una specie
76
di soggezione dall'altra, come se la certezza libera non
potesse mai essere che una semi-certezza. o una semi-li
bertà, si esaltano invece a mano a mano che il loro og
getto si eleva, tendendo cosi a ricongiungersi nell'unità.
Esse non sono mai tanto vicine come nell'affermazione di
Dio.
* * *
L'affermazione di Dio, considerata nel soggetto che
la pone, non è solamente libera di quella libertà essen
ziale e fondamentale, di cui parla, per esempio, uno Spi
noza, libertà propria di ogni atto spirituale, qui sola di
citur ratione. Non è neppure solo libera di quella liber
tà superiore e di quella iniziativa autonoma e totale che
essa reclama per perfezionarsi concretamente 22 • Esso
lo è ancora di quella libertà più umile, tutta empirica e
comune, che deve lottare giorno per giorno, adattarsi
alle circostanze, difendersi contro le sorprese, radicarsi
nella pratica, servirsi al bisogno senza falsa vergogna dei
mille piccoli artifici che la prudenza le raccomanda e il
buon senso le suggerisce.
La prima di queste libertà è la condizione stessa
di ogni vera conoscenza; è la libertà del soggetto, il cui
giudizio non può essere « forzato da alcuna causa este
riore » 23 • La seconda è indispensabile per affermare Dio,
22 Ogni ragionamento che effettui un progresso dalle pre
77
chiave di volta di tutto il sapere. L'uso della terza può
essere utile o necessario ad ogni istante per mantener
ne, senza venir meno, l'affermazione riflessa, mantenen
do noi stessi nella verità della nostra natura.
* * *
Nell'affermazione come nell'oggetto stesso, nel pen
siero come nell'essere, tutto è legato da una catena in
divisibile, di cui un anello trascina tutti gli altri. Da un
78
punto di vista statico e astratto, si possono indubbia
mente e si debbono distinguere dei sostegni, e ciò che
accade su uno di questi sostegni non sempre ha una ri
sonanza sulle operazioni che si compiono sopra o sotto.
Ogni prova particolare ha il proprio grado di valore, co
me ciascun oggetto il proprio grado di evidenza. Non v'è
buon metodo di lavoro né' di igiene del pensiero, senza
una preoccupazione di classificare le questioni e di non
rimettere sempre tutto in questione. In ogni ipotesi, l'uso
naturale della ragione basta per conoscere con certezza
molte verità, anche quando altre sono ancora sconosciu
te. Esso permette di elevarsi fino alla più alta di tutte,
la verità dell'esistenza di Dio, e perfino sulle cose più
essenziali un peccatore può ragionare meglio di un santo.
Altra cosa è, tuttavia, il problema che concerne la
conoscenza delle diverse verità o il loro rispettivo gra
do di certezza, dal problema che riguarda l'indice onto
logico da cui, in ultima istanza, si trova configurato l'in
sieme delle cose affermate dallo spirito. Quest'ultimo
problema è d'altra natura. Esso non viene imposto come
il precedente dalla logica formale dell'intelligenza ( che
egli lascia intatta), ma dalla logica reale dell'essere con
creto. Esso verte necessariamente sul tutto come tale, e
ciò che vi si trova esaminato, è l'operazione di uno spi
rito vivente, impegnato in un'avventura che, pure essa,
forma un tutto. Ora, dal senso che questo spirito vi
vente imprime alle sue avventure, dipendono alla fine
la coerenza e la solidità d'insieme del suo universo
mentale.
Di un tale spirito noi non diremo dunque che non
può aver da se stesso delle certezze. Non diremo nep-
79
pure - ciò che sarebbe già tutt'altra cosa - ch'esso
non può conseguire una certezza propri�mente metafi
sica. Ma preciseremo che tale certezza metafisica offre
un carattere ancora provvisorio, e soprattutto che l'es
sere su cui verte non ha ancora, se così si può dire, tut
ta la sua densità. Bisogna qui distinguere - per sem
plificare un processo che, in concreto, assume varie sfu
mature e si diversifica all'infinito - il tempo che pre
cede, nel soggetto l'accoglimento della grazia o il suo
rifiuto, e il tempo che segue. Nel tempo che prece
de, la certezza ontologica è quel che essa è, senza che
perciò si debba dichiararla illegittima o, per dir meglio,
illusoria. Dopo il rifiuto, questi epiteti prendono un sen
so, che va rigorosamente specificato. Perché se si può
allora dire illegittima o illusoria la certezza ontologica,
non è per dichiararla tale in se stessa - la natura del
l'intelligenza non è cambiata - bensì perché essa si
trova ormai contraddetta vitalmente 24 •
L'uomo è spirito, creato a immagine di Dio. Preroga
tiva indelebile, caratteristica essenziale che nessuna per-
80
versione sradica. L'uomo non può far sl che l'immagine
non resti in lui 2' . Soltanto se egli tende, per quanto è in
suo potere a rovinarla, se va deliberatamente a rovescio
della sua vocazione di spirito, egli introduce una con
traddizione non solo nella sua intelligenza - la quale
può continuare ad agire come per il passato - ma nel
suo essere stesso, tra la sua intelligenza e la sua vita. Fin
ché tale contraddizione non venga eliminata, gli toglie
il diritto o meglio ancora la possibilità stessa di pronun
ziare, in tutta la sua forza, la sillaba che approfondisce
tutte le cose: è 26•
81
6. - Sulle vie d i Dio
* * *
« Il giudizio d'esistenza lungi dall'arrestare il pensie
ro nella pura rappresentazione della cosa, tosto seguita
forse dall'affermazione dell'irrazionale, gli dona invece il
suo slancio, permettendoci cosl di andare di tappa in tap
pa al riconoscimento dell'assoluto metafisico. Ma lungi
dal farci dimenticare il reale, tale movimento di pensiero
vi si riconduce, per cui, in certo modo, noi non affer
miamo metafisicamente Dio che per essere più rassicurati
dell'esistenza delle creature. Effettivamente la spiegazio
ne metafisica si presenta sempre come la vittoria otte
nuta su una rappresentazione del reale puramente astrat
ta e priva di profondità » 2 1 •
* * *
« La negatività della coscienza, che non bisogna af
fatto sottovalutare, è un verso che reclama il suo retto.
Se il per sé è separazione da sé, potere negatore, è per
ché il suo vero essere non gli è donato, ma che egli vi
aspira. Il potere di dire no e il superamento di ogni
determinazione sarebbero forse intelligibili, se non espri
messero un orientamento verso una forma più elevata
di essere e un appello verso una pienezza la cui man
canza è precisamente il costitutivo della coscienza?
» Indubbiamente la coscienza non è pienezza di es
sere. Ma non è in un essere plenario che essa sorgerebbe
82
come un nulla... È in un essere incompleto e inferiore
che essa esprime un'aspirazione verso un aumento d'es
sere. L'esperienza in cui s'inaugura la vita dello spirito
è quella della mia inadeguatezza a me stesso. L'io non
può né raggiungersi né uguagliarsi: esso deve perpe
tuamente optare per ciò che vuole essere, e la sua esi
stenza è darsi questo essere in significazioni.
» La trascendenza costitutiva della nostra coscienza
personale impone a ogni uomo... di avere una filosofia...
La necessità di una filosofia e la presenza di un assoluto
in ogni giudizio sono due modi di affermare il medesimo
aspetto necessario della coscienza umana. Del resto, que
sta realtà non viene ordinariamente contrastata. Le diffi
coltà nascono... quando si tratta di comprendere la na
tura di questo assoluto e il vero carattere della filosofia...
» Senza dubbio, si dirà, lo spirito umano non può
fare a meno di una concezione d'insieme delle cose ; gli
è necessario porre dinanzi a sé l'idea di verità assoluta.
Ma se ne deve concludere che questa verità esiste indi
pendentemente da lui? Questa verità sussistente non sa
rebbe che l'illusoria proiezione nell'essere d'una catego
ria indispensabile al giuoco della riflessione. L'idea del
l'assoluto ha il ruolo di un'impalcatura che il pensiero
utilizza per costruirsi. E l'impalcatura, che inizialmente
sorpassava la costruzione, deve poi essere eliminata. Ma
è difficile parlar cosi, poiché l'idea di verità non si ag
giunge in modo facoltativo al pensiero. Essa gli è con
sustanziale. Il pensiero non è costituito in se stesso an
teriormente all'idea di Verità, esso è il sorgere nella co
scienza del bisogno di Verità. Non si tratta dunque di
un'aspirazione dello spirito che sarebbe seconda o con-
83
tingente; tale aspirazione è lo spirito stesso che non è
potenza o funzione di verità. È impossibile che l'assolu
to non esista, poiché il mio spirito non esiste che per
lui. Esso lo nega in un giudizio che non ha forza se non
perché egli lo afferma. Ciò per cui il mio spirito acqui
sta il suo essere non può non essere » 28 •
* * *
Se per se stessi, prima di ogni correzione analogica,
i nostri concetti non sono adatti che al mondo dell'espe
rienza, bisogna dire altrettanto, e nella stessa misura, dei
nostri ragionamenti, in quanto questi non sarebbero che
un'organizzazione di concetti.
Senza dubbio si dirà che, debitamente scelti e cor
retti, i nostri concetti possono essere adattati alla real
tà trascendente. Ciò è vero. E, in realtà, dobbiamo ef
fettivamente impiegarli, sebbene restino tutti, malgrado
tutto, incurabilmente indegni d'un cosi alto uso 29 • Ma
per questo è necessario che questa realtà venga innan
zitutto posta; che, in un certo senso, essa sia già, impli
citamente, pensata.
Allo stesso modo argomentiamo a proposito dei no
stri ragionamenti. Soltanto dopo aver posto una prima
affermazione di Dio - affermazione ancora implicita, in
sita in ciascuno dei nostri giudizi d'esistenza o di valore
84
e per conseguenza coestensiva a ogni nostra attività spi
rituale, congenita allo spirito - noi possiamo tentar di
raggiungerla, nella nostra vita cosciente, facendo opera di
logica per mezzo di un ragionamento. Soltanto dopo es
sere giunti al possesso dell'idea di Dio contenuta in que
sta affermazione implicita, noi possiamo cercare di rap
presentare qualche cosa per la sola via che ci si offre:
la via dei concetti. È la fase prima e sotterranea, inav
vertita ma determinante, della vita dello spirito. Prima
di ogni ragionamento esplicito come prima di ogni con
cetto oggettivo 30 e per permettere al proprio soggetto
il loro uso indispensabile, Dio deve essere · già presen
te allo spirito, nel quale va segretamente affermato e
pensato 3 1 • Prima di esservi « identificato » con qualche
85
atto cosciente, deve esistere nello spirito una certa « abi
tudine di Dio » 32 •
Se dunque esiste una verità « verso cui tutto in noi
cospira, una verità che noi viviamo prima di conoscere,
e che - tanto essa ci è connaturale - possiamo perce
pire con certezza prima ancora di sottometterla al con
trollo della prova per mezzo dei concetti, tale verità è,
indubbiamente, la conoscenza di Dio » 33 •
86
* * *
Se noi la consideriamo soltanto là dove si trova in
atto, là solo è realmente pronunciata nell'intelligenza
concreta che è al tempo stesso un soggetto singolare, nel
la persona che è al tempo stesso ragionevole, l'afferma
zione di Dio ci appare come un atto a nessun altro ugua
le. Essa contiene contemporaneamente qualcosa dell'ar
gomento ontologico e della parte, per quanto non sia
né l'uno né l'altra, essendo espressione della più lumi
nosa evidenza e attestazione della più oscura verità 34 • È
l'atto più libero e più necessario; affermazione sempre
sussistente e l'impegno più personale 3 5 •
* * *
36 •
Più la luce è pura, meno essa è costrittiva
87
CAPITOLO III
LA PROVA DI DIO
89
Tutte le volte che una prova non si limita a svilup
pare il contenuto racchiuso in un concetto, ogni volta
ch'essa segna un progresso reale raggiungendo un og
getto del tutto nuovo, il dinamismo dell'intelligenza che
elabora questa prova implica una finalità. Lo spirito
si trova allora « commisurato » all'oggetto in questio
ne, dal quale già in anticipo è specificato. Il legame
che unisce l'uno all'altro non ha nulla di accidentale.
Ciò significa che un tale oggetto, precisamente in ra
gione della novità di cui sarà portatore, · si trova già
presente allo spirito con una misteriosa presenza, co
me con una presenza in germe. Afferrarlo al termine
del processo logico, captarlo per cosi dire in una rete
di forme oggettive, sarà dunque, in un certo senso, « ri
conoscerlo ». Dimostrare, in questo caso, significa « ren
dersi conto »; si « scopre » ciò che era.
Quanto più ciò è vero nel caso della prova di
Dio! Il finalismo, essenziale all'intelligenza che pene
tra in un nuovo dominio, è allora doppiamente uni
co. Infatti, in tutti gli altri casi, noi consideriamo an
cora un oggetto del nostro mondo, del mondo della no
stra esperienza, ancorché esso si trovi ancora al di là
delle conquiste attuali della nostra esperienza. Al con
trario, quando si tratta di Dio, a proposito del quale
le parole stesse di oggetto e di esistenza assumono un
significato trascendente, si tratta di quell'Essere che
è la sorgente del mio essere, « più me stesso di me ».
Quanto più alto di tutti gli altri, e quanto più intimo!
Cosi, in questo caso, la presenza che rende conto del
dinamismo della prova è già essa una presenza altrimen
ti stimolante e altrimenti profonda: punto sacro, segno
90
di Dio su di me, proprio ciò che fa di me un essere
spirituale 1 e, nel medesimo tempo, persona e respon
sabile. Perciò la più valida delle prove dipende più di
ogni altra - senza dubbio non nel suo schema astratto,
ma nella sua forza di persuasione concreta - dalla
« buona volontà », poiché è sempre qualcosa di più del
funzionamento impersonale d'una intelligenza che si tro
va in gioco. La purezza dello sguardo si confonde qui
con la lealtà.
D'altra parte, non v'è reale eterogeneità tra lo slan
cio spontaneo dell'anima che si eleva all'esistenza di Dio
e le analisi razionali del filosofo. In presenza del primo,
si parla spesso d'istinto, di cuore, di sentimento, d'intui
zione: termini equivoci che vogliono tradurre il dina
mismo dell'intelligenza, la sua sorgente profonda, l'unità
del suo movimento, e al tempo stesso evocare le ricchez
ze concrete e il fremito sensibile attraverso i quali la
luce dello spirito traccia la sua via. Il filosofo compie
opera critica poiché cerca di chiarificare, controllare, tal
volta rettificare, completare; ma soprattutto analizza,
91
scompone in tappe logiche, severamente verificate, il
movimento senza interruzioni. Raramente egli tenta di
portare la sua indagine non più solo sull'itinerario, ma
sul « centro » stesso del dinamismo, punto centrale e
segreto da cui scaturiscono ragione e volontà. Egli sen
te troppo, indubbiamente, che qui lo strumento logico
non basta più all'analisi; che bisognerebbe inoltre sug
gerire, interrogare, aiutare e prender coscienza; che oc
correrebbe « rivelare », temendo incessantemente di tur
barlo, un contenuto latente. Compito delicato, per il
quale egli si sente mal preparato. Se si tratta poi di lui
stesso, e non più d'una questione, per dir così, profes
sionale, ma del problema suo personale che riguarda
lui, uomo vivente, può darsi pure che egli tema oscura
mente d'incontrare non più solo un oggetto di analisi,
ma, in verità, Dio stesso; e non solamente di scoprire
« l'autore della natura », di ogni natura, ma di trovarsi
di fronte, lui essere vivo, all'azione del Dio vivo, irri
ducibilmente singolare e incessantemente urgente in ogni
uomo. Non enim fecit Deus et abiit.. . » (Vietar Fon
toynont, S.J.).
* * *
In fatto di prova di Dio, l'esposto più classico e più
semplice è sempre, in sé, il migliore 2 • Esso costituisce,
per dir così, lo schema permanente che sussiste in
tutte le precisazioni tecniche di superficie che vi in-
2 Cfr. R. JOLIVET, A la recherche de Dieu (Archives de philo
sophie, vol. VIII, 1931), p. 85: « Vi è una forma semplice, comune,
universale, accessibile a tutti » degli argomenti ; p. 149, sul tema
detto del movimento: « cosi semplice e così evidente nel suo
contesto generale ».
92
troduce ciascuna scuola, ciascuna età, ciascun pensatore.
Esso alimenta pure lo slancio di coloro che s'illudono di
farne a meno, poiché « la prova necessaria a ogni uomo
per acquistare una piena certezza è cosl facile e cosl
chiara, che ci si accorge appena del processo logico che
essa implica » 3 • C'è qui, come afferma Fénelon, « una
filosofia sensibile e popolare, di cui ogni uomo spassio
nato e senza pregiudizi è capace » 4 • Di diritto, e, altret
tanto bene per lo spirito semplice e retto, di fatto, « la
minima occhiata basta per scorgere la mano che fa tut
to » 5 • Moto, contingenza, esemplarità, causalità, finali
tà, essere necessario: categorie eterne, punti di parten
za sempre offerti, presenti sempre, cosl resistenti alla
critica e cosl attuali come l'uomo stesso e il suo pensie
ro 6 • Ecce caelum et terra: clamant quod /acta sint 7 • E
ancora più semplicemente: Aliquid est, ergo Deus est.
« Ogni Scuola è d'accordo che non occorre niente di
più » 8 •
Senza dubbio, la prova spontanea che sorge cosl ha
bisogno, per imporsi con tutta la forza al pensiero ri
flesso, d'essere indefinitamente commentata, e questo
commento giustificativo, che non va senza una parte cri
tica, è esso stesso, per forza di cose, sempre cangiante
93
sotto un aspetto. « Forma sapiente » della prova, esso è
« destinato soprattutto a rispondere alle obiezioni o a
prevenirle » 9 ; non si concepisce senza uno sforzo di
adattamento da rinnovarsi di continuo. Ma una tale ne
cessità non può sembrare strana se non a colui che non
abbia mai pensato a ciò che offre di unico questo pro
blema di Dio.
« L'operazione sublime e semplice » 1 0 che conduce
a Lui rimane in fondo sempre la stessa. Il cambiamen-
94
to parziale delle tecniche, delle prospettive e delle pre
sentazioni non la raggiunge 11 • Come Dio stesso, nella
sua eternità, domina il Butto incessante della creazione,
cosi l'idea di Dio in noi domina le fluttuazioni della vita
intellettuale, imponendosi sempre, attraverso le fluttua
zioni stesse, con la medesima forza invincibile. E tutti
i grandi spiriti che hanno parlato di Dio, restano sempre
nostri contemporanei.
* * *
La causalità, di cui Kant ha voluto dimostrare che
l'uso « trascendente » non era legittimo, non era che
la categoria strettamente scientifica, la categoria specia
lizzata che regge l'universo di Newton. Fatta per ordi
nare i fenomeni, essa vi esaurisce la sua virtù. Questa
causalità kantiana, del resto, non è che un esempio. In
realtà le filosofie occidentali moderne « hanno questo di
particolare, che il mondo da cui esse partono » non è
per lo più che « quello che costituiscono � modificano
incessantemente le scienze » 12 • Come meravigliarsi che
un tal mondo sia impotente a fondare da se stesso e a
sostenere fino alla fine lo slancio del pensiero? Bisogne
rebbe scavare di più per ritrovare, sotto le categorie
artificiali e metodologiche della scienza, le grandi cate-
95
gorie naturali della ragione. Allora si potrebbe imposta
re la discussione tra una critica negativa che le dichiari
illusorie e uno sforzo di giustificazione ponderata nonché
di purificazione del loro uso spontaneo 13 •
***
***
Per quante obiezioni possibili si possano muovere
alle diverse prove dell'esistenza di Dio, la critica non
le distruggerà mai, poiché mai intaccherà il principio
che esse hanno tutte in comune. Al contrario, questo
principio si svincolerà tanto più imperioso, quanto più
96
saranno scossi tutti gli elementi con i quali sono dispo
ste le prove. Esso non è un principio particolare, che lo
spirito potrebbe isolare e passare al suo vaglio per fissar
ne i limiti, o anche per rigettarlo interamente fuori di
sé, ma è inerente alla sua stessa sostanza. Tale principio
non è una via in cui lo spirito potrebbe scoraggiarsi nel
seguirla sino alla fine, o da cui potrebbe scostarsi nel ti
more di essersi male avviato: esso si confonde con lo
spirito:
Lo spirito stesso è una via che cammina 1 5 •
***
97
7. - Sulle vie di Dio
to, un principio e un fine 16• Lo spirito non si è messo
tutto solo in moto, e il suo movimento suppone una
direzione, cioè un punto fisso. La gratuità pura è un al
tro nome dell'assurdo. Non si può fare l'economia di Dio.
***
Se, come molti hanno creduto, l'uomo adorando Dio
adorava l'umanità stessa, egli l'adorerebbe come natura
o come ideale, cioè come realizzata e come realizzabile.
Nell'uno e nell'altro caso, l'oggetto che egli porrebbe
non sarebbe maggiormente degno di adorazione del Dio
trascendente tale quale lo si è dapprima immaginato,
poi criticato.
Se poi si concepisse questa divinità come un puro
ideale, che non potrà mai attuarsi, a qual titolo la chia
meremmo ancora « umanità»? E che cosa vi sarebbe
ancora di intelligibile - o di adorabile - in un termi
ne cosi fuggevole?
98
Tre tentativi per sfuggire al Dio Vivente, tre fughe
nella mistificazione.
* * *
Dio non è il primo anello di una catena. Nella serie
di cause ed effetti che compone questo mondo, Dio non
è il primo della serie 1 7• Dio non è « un punto d'origine
nel passato » : Egli è « una ragione sufficiente nel pre
sente » (come pure nel passato e nell'avvenire, in tutta
99
l'estensione della durata) 18• Quante obiezioni cadreb
bero e quanti malintesi svanirebbero se questa verità
così semplice fosse compresa!
***
Dio non è solamente al principio e alla fine: Bene
di ogni bene, Vita dei viventi, Essere degli esseri 19 • Egli
è al centro di ogni cosa. In illo vivimus, et movemur. et
sttmus 20•
Senza questa presenza dell'Assoluto nel relativo,
dell'Eterno in seno a ciò che muta, tutto ricadrebbe in
polvere.
100
* * *
Il Divenire, di per sé, non ha senso: scorre, svani
sce senza realmente divenire. È un altro nome dell'as
surdo. Ora, senza una Trascendenza, cioè un Assoluto
presente, già stabilito al centro della realtà che diviene,
non dipendente da essa, essendo questo Assoluto che
la lavora, l'attira, la polarizza, la fa veramente avanza
re, non vi può essere indefinitamente che divenire, a
meno che una catastrofe non venga a mettere una fine
violenta a tutto, e che l'assurdo non ritrovi da ultimo,
se cosl si può dire, la verità del suo essere, divenendo
senza equivoco il nulla...
Ogni divenire è causato dall'Essere. Ogni divenire
è orientato verso l'Essere. Il divenire non può essere
pensato che dall'Essere.
L'idea del Progresso, che magnifica il Divenire e in
qualche modo l'ipostatizza, è una delle più vane che gli
uomini abbiano forgiato. Poiché il Progresso divinizza
to non è soltanto, come giustamente fu scritto 21 , una
« corsa senza timore » , bensl è una corsa senza meta,
anzi una corsa che si svia senza neanche realmente cor
rere. Sopprimere il termine è sopprimere la direzione
della corsa. È far « balenare agli occhi dell'individuo
straziato e asservito un di là astratto che gli sfugge a
misura che egli crede di accostarvisi » 22 • È sopprimere
il progresso.
101
« Far sparire la perfezione assoluta è far sparire
ogni idea di perfezionamento ». Nessun superamento
reale senza asse né termine; nessun progresso reale sen
za « passaggio al limite ». Se vi è divenire, se vi è pro
gresso possibile, deve un giorno esserci compimento ( di
ciamo, almeno compimento possibile); e se deve o può
esservi compimento, vi è, da sempre, altra cosa che quel
la del di venire 23 • « Togliete la fine del mondo ( che ne
è pure il principio), e non v'è più séguito nelle cose,
ma solo il caos che vi getta nella disperazione e a cui
il vecchio Tathagata preferiva il nulla » 2 • .
* * *
Contro l'assurdità del caos primordiale, del niente
da cui il tutto sorgerebbe, del nulla che genererebbe
102
l'essere, della forza cieca che farebbe scaturire la lumi
nosità dello spirito: ecco una Sorgente dell'Essere, una
« Alfa ».
Contro la disperazione del caos finale, del fallimen
to assoluto, dello spirito vinto senza appello dalla ma
teria oscura, della morte incessante, del grigio ritorno
ciclico in cui si sprofondano senza fine tutti i sogni:
ecco un luogo in cui l'essere si raccoglie, un « Omega ».
« Io sono l'Alfa e l'Omega, dice il Signore » 2' .
* * *
103
do oggettivo è indefinito; un oceano senza riva dove
lo spirito fa presto a perdersi. Imbarcarvisi, nella spe
ranza di gettare un giorno l'àncora sulle terre poste
« al di là delle cose fisiche », non è forse abbandonare
il mondo reale per un regno indefinito di astrazioni? La
vera metafisica è per eccellenza la scienza del reale e
del concreto 2 1 •
Dunque, si crede innanzitutto ai dati sensibili: non
hanno forse essi il privilegio dell'immediato? La loro
presenza non s'impone sempre e non sopravvive a tutte
le teorie? Non bisogna tornarvi sempre? Ma presto ci
si accorge che essi non sono che apparenza, o al mas
simo la scorza della realtà. Allora ci si affida alle enti
tà forgiate dalla scienza: a tutto il sensibile amorfo e
fluente non donano esse un'armatura? Non gli impon
gono un ordine e una legge?
Ma bisogna ancora disdirsi. All'analisi, queste enti
tà che si prendevano per assolute, appaiono contraddit
torie o si risolvono in altre; tali il moto o I'« atomo »
degli antichi... 28 •
L'universo scientifico non regge più dell'universo
sensibile, se non si appoggia a qualche universo di altra
natura. Più la scienza, perfezionando i suoi metodi,
assoggetta il mondo all'uomo, più, per rivincita, l'Esse
re, che non si lascia assoggettare, si sottrae ... E dinanzi
104
a questo nuovo scacco, apparentemente definitivo, vie
ne allora naturalmente la tentazione dell'agnosticismo.
Ma esso pure, a sua volta, finisce col rivelarsi con
traddittorio, proprio esso che era stato inventato come
una soluzione disperata per salvare almeno la logica.
Effettivamente come si continuerebbe ad affermare un
Assoluto che si dichiara assolutamente inconoscibile?
Sembra quindi che non possa più essere evitato un fran
co scetticismo.
Ma l'intelligenza non può assolutamente abdicare ;
non può rinunciare alla sua legge formale che è di giu
dicare, cioè di affermare sempre. Lo scetticismo la oppri
me e l'assale alla sua stessa radice, portando la contrad
dizione non più solamente tra contenuti diversi delle
sue diverse affermazioni, ma in se stessa, al centro di
ciascuno dei suoi atti. Al fine di liberarsene, essa può
allora giungere a concepirne, nel senso più generale del
vocabolo, quasi una specie di surrogato dell'Assoluto,
la Legge. È porre un intermediario tra lo spirito e il
reale, come tra l'immanente e il trascendente, « terra
media dove si concentrano le nostre azioni, e al di là
della quale il bisogno di conoscere si perde nella meta
fisica, cioè nella discussione chimerica e oziosa, riguar
dante questioni inutili per la pratica della vita ». Ma
ancora una volta questo modesto rifugio è instabile pure
lui. Bisogna riconoscerlo: come l'assoluto delle cose era
contraddittorio, quest'assoluto della Legge è campato
in aria. « Assioma eterno », o comunque lo si chiami,
se esso non è il travestimento di altra cosa, non è che
il vuoto, un vuoto astratto, senza profondità e senza
mistero.
105
Così non si è forse finiti per sempre in un vicolo
cieco?
Tutto il male viene dall'illusione iniziale, cioè dal
la persuasione, non vagliata dalla critica, che non vi sia
che da progredire nella conoscenza del mondo comin
ciando dai suoi primi dati, senza ritorno riflessivo; che
l'occhio dello spirito deve prolungare in qualche modo
indefinitamente lo sguardo dei sensi, anche quando sem
bra, con la scienza, passarlo al vaglio, per scoprire l'esse
re sotto la sua apparenza; che bisogna ammassare l'og
getto, confuso con l'essere, come un tesoro, scavarlo
per trovarvi l'alimento, custodirlo per bearsene. In una
parola, tutto il male viene dall'illusione che non vi è
mai altro se non sistemarsi meglio, se non ingolfarsi
più a fondo in questo mondo ...
Tale illusione è naturale allo spirito, come è natu
rale all'uomo: illusione forse necessaria, comunque uti
le per sostenere uno sforzo di ricerca che è una parte
della vocazione umana; illusione, tuttavia, che l'uomo,
il quale riflette, trova in sé il modo di distruggere. E
la distruggerà in una duplice maniera, costatando che
la conoscenza perfetta e adeguata di questo mondo gli
è doppiamente impossibile. Lo si chiami secondo che
si indulge a una tendenza piuttosto razionalista o piut
tosto psicologista - « sapere » o « intuizione »; lo si
concepisca come una misteriosa colata verso il cuore
del reale nello svanire di tutte le sue forme o, invece,
come il termine vivente di un immenso sforzo di sintesi
razionale, come una immediazione o una costruzione,
l'ideale che sembrava azionare la conoscenza umana è
un miraggio.
1 06
Il Sapere assoluto e l'Intuizione del mondo ripugna
no allo stesso modo.
Il Sapere assoluto ripugna, perché farebbe svanire,
nell'istante in cui si attua, colui che deve portarlo in
sé. Esso non potrebbe essere il Sapere di un Sapiente.
Tutte le contraddizioni sarebbero sormontate, tutte le
opposizioni sorpassate. Tutte le leggi si inserirebbero le
une nelle altre per giungere a rientrare finalmente in una
sola formula. Ma per ciò stesso, essendo scomparso ogni
punto di vista particolare, l'individuale essendo ormai
dissolto nell'universale e la molteplicità avendo intera
mente raggiunto l'unità, questa formula generale non
troverebbe più né simbolo in cui esprimersi né coscien
za in cui affermarsi.
Giunto al termine del suo Sapere, il Sapiente sarebbe
come « la strega che finiva col divorare le proprie inte
riora ». « Non resterebbe che l'impensabile uguaglian
za di nulla a nulla » 29 •
Non meno ripugna l'Intuizione del mondo, perché
essa farebbe svanire il mondo che vuole stringere. Vi è
effettivamente, in questo mondo, qualcosa di infraintel-
1 07
lettua.te : pienamente assorbito dall'intelligenza, esau
rito da essa, cesserebbe dunque d'esser se stesso. Del re
sto, la ragione ultima va ancora cercata dalla parte del
soggetto: perché se il mondo è essenzialmente sensibile
è perché è essenzialmente indefinito; e se è indefinito, e
quindi non suscettibile a essere riunito in un tutto unico
e inesauribile, non è forse perché è l'obbligato correla
tivo di spiriti essi stessi in divenire ?
Insomma, il mondo non è né una Legge, né una Es
senza. Le antinomie che non cessa di offrire, smorzando
e trattenendo il moto dello spirito, non saranno mai
tutte ridotte. Reali sul loro piano, le leggi e le essenze
che l'intelligenza non cessa di scoprire nel mondo lascia
no sussistere un'oscurità che non può essere dissipata. La
scienza non si eleverà mai fino alla sintesi totale che la
identificherebbe con la metafisica, e l'oggetto ultimo, il
vero oggetto della metafisica, non è di questo mondo.
L'intendimento resterà sempre l'intendimento, cioè una
intelligenza imperfetta, mista di sensibile, ma esso stes
so non è che un sostituto provvisorio e ausiliario dello
spirito.
L'intendimento, facoltà della scienza, guardava al di
fuori: lo spirito deve svolgersi al di dentro. « Ripresa
critica » del pensiero 30 , « conversione » necessaria, « in-
108
traversione », « riflessione », attraverso cui la metafisica
scopre infine il suo dominio.
« No », protestava Malebranche, « io non vi condur
rò affatto in una terra straniera, ma v'insegnerò forse che
siete stranieri voi stessi nel vostro proprio paese ».
L'intendimento è, in potenza, volto a una infinità di
oggetti; ciò non è forse segno che anche lo spirito è ten
denzialmente proteso verso l'infinito? Senza poterle riu
nire in un tutto unico 3 1 , noi possiamo indefinitamente
rappresentarci tutte le cose; non è vero che vogliamo,
per quanto è in noi, possedere Dio? Acosmismo, se si
vuole; ma acosmismo che in realtà salva il mondo. Sen
za di esso, il mondo non può essere che una « delusione
sistematica »; grazie ad esso, invece, ritrova il suo valo
re e la propria consistenza, il suo senso e la sua giu!'ti
ficazione; esso si rivela come un mezzo, una tappa, una
prova. La sua essenziale indefinitezza non ha più nulla
che ci scandalizzi e può infine, nella sua forma presen
te, svanire, per cosl dire, nelle nostre mani, senza che
questa sparizione ci sconcerti: essa è una trasfigurazio
ne, l'annunzio e l'avvicinarsi di un bene migliore. Noi
siamo 1tcxv-rcx 1tw,;, fu scritto, perché 0eòç 1tw,; ( 31 bis) ;
si è anche parlato di una « facoltà del divino » i n noi:
forse si potrebbe dire con maggior precisione e con più
1 09
esattezza: l'intelligenza è facoltà dell'essere, perché lo
spirito è capacità di Dio.
Lo spirito umano potrebbe paragonarsi a una pian
ta. Il fine della pianta è, assimilando gli elementi che
attinge dal di fuori, quello di vivere, di divenire se stes
sa. Il fine dello spirito, facendosi anzitutto intendi
mento per assimilare il sensibile, non è di perdersi ne
gli elementi che da ogni parte gli si offrono, né di co
struire con esso l'edificio perfetto del sapere : è di dive
nire se stesso, è di vivere. E la sua vita è il possesso
di sé - e di ogni cosa - nella luminosa dipendenza
da Dio.
- « Io sono con gli uomini, dice il viaggiatore, e
non con gli angeli, e non ho altro desiderio se non di
ciò che respira a mia somiglianza ».
- « Non è vero, risponde la voce, tu non hai altro
desiderio che di Dio, poiché la conoscenza di Dio è tua
porzione e, come l'ape nell'estate distilla il miele, cosl
la tua funzione è di contemplare, con occhi di amore,
l'Imperituro » 32 •
Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine
habitat Veritas; et si tuam naturam mutabilem invene
ris, transcende teipsum. Sed memento, cum te transcen
dis, ratiocinantem animam te transcendere. Illuc ergo
tende, unde ipsum lumen rationis accenditur... 33 •
1 10
* * *
... Solus Deus est in quem nec pondus nec mensura
cadit omnino, nec numerus. Unus Deus est, et non ha
bet sui generis cui valeat comparari 34.
Tutto ciò che riguarda Dio, tutto ciò che conduce
a Dio, tutto ciò che unisce a Dio è unico 35 • Tra Dio e
gli altri esseri, ogni « comunione » di nome o di essen
za è esclusa 36 • Nulla di Dio né dei nostri rapporti con
Lui rientra « nel genere » 3 7 •
111
Questo principio non può ammettere eccezioni. La
via per andare a Dio, così molteplice e varia nelle sue
forme seconde, è essa stessa, in se stessa, unica 38 : cmx;.
* * *
- « Credi tu in Dio, Polemone?
- » Certamente, replicò il filosofo; io credo in qual-
che cosa che esiste fin dall'eternità e da sé.
1 12
- » Ebbene, riprese Callista, questo Dio io lo sen
to nel mio cuore e mi sento in sua presenza! Egli mi
dice : "Fa' questo, non far quello". Tu mi dirai for
se che questa ispirazione non è che una semplice leg
ge della natura, un'impressione analoga a quella della
gioia o del dolore ... Ma, no, io credo il contrario. È la
eco di una voce reale e vera che sento, e questa voce
procede da un essere indipendente dalla mia indivi
dualità! Questa voce porta in se stessa la prova della
sua origine divina. Il mio cuore vi si attacca e l'ama
come se fosse una persona piena di amabilità. Obbeden
dole, io sono del tutto felice; se sono ribelle, mi sen
to triste. Mi sembra che io contristi o rallegri di volta
in volta un amico venerato.
- » Vedi, Polemone, io credo a ciò che è ben più
che un semplice "qualche cosa". L'oggetto della mia
credenza per me è più reale del sole, della luna e delle
stelle, della terra cosl bella e delle dolci parole d'un
amico. Tu mi chiederai: "Qual è quest'oggetto? Ti
ha esso mai rivelato qual è la sua natura?". Ahimè!
no... Oh! io lo rimpiango amaramente ... Ma per quan
to poco sia, non posso spogliarmi di ciò che possiedo...
Un'eco suppone una voce; una voce suppone un esse-
1 13
8. - Sulle vie di Dio
re che parla, e questo essere, questa voce segreta, io li
amo e li temo al tempo stesso» 39 •
* * *
Il pensiero non stringerà mai l'essere, ma dai suoi
primi passi, esso lo tocca. Esso non camminerebbe, se
non fosse già, in un certo senso, arrivato.
* * *
Tutto l'apparato di prove non è forse, in fondo,
altra cosa, se non un vasto removens prohibens? Trop
po necessario, del resto, nella condizione carnale dello
spirito. Ma, essenzialmente positivo se lo si considera
nell'interno della vita intellettuale, il suo significato sa
rebbe anzitutto negativo, se lo si ricollocasse nel quadro
più largo o nella prospettiva più profonda dello spirito
concreto :
Lo scultore non fabbrica una scultura 4 0 •
1 14
* * *
Le vie che la ragione prende a prestito per andare
a Dio sono prove, e, viceversa, queste prove sono vie.
Ciò non toglie ad esse il carattere di prove, - sebbene
siano spesso prove incomplete 41 - ma il loro Oggetto,
unico tra tutti gli oggetti del pensiero, conferisce loro
un carattere a parte. Esse non ce lo donano come le
altre prove ci donano più o meno i loro oggetti. Esse
non ce lo fanno penetrare. Solo, da una parte, Dio è
già presente d'una presenza intima a colui che ne prova
l'esistenza, come a colui che la nega. Ma al tempo stes
so, d'una presenza cosl inafferrabile che, solo tra tutti
gli oggetti, noi non Lo teniamo 42 •
1 15
* * *
Dio è « naturalmente conosciuto » da tutti, ma Egli
non è sempre riconosciuto. Mille ostacoli al di dentro
e al di fuori impediscono spesso questo riconoscimento.
Non tutti sanno dunque di conoscerlo, e di conseguen
za non lo conoscono « semplicemente ». Cosl - il para
gone è di San Tommaso 43 - quando io vedo venire
Pietro, effettivamente è Pietro che io scorgo in questo
essere che viene verso di me, ma io non so ancora che
è lui 44 •
stici, che hanno ricevuto in eredità l'alta nozione d'una scienza
casta, il cui rigore stesso e la rigida intellettualità provenivano
da un rispetto religioso e da un'esigenza di purezza dinanzi all'es
sere ..., forse dimenticano talvolta a qual punto i termini "scien
za", "dimostrazione", "prova", si sono caricati di materialità
nell'uso dei moderni, dopo che il pensiero s'è volto prima di tutto
verso il dominio della natura sensibile, e che "verificare" non
evoca più per tale pensiero che metodi di misura e apparecchi
di laboratorio. Rifiutandosi, come debbono, a un vocabolario
degradato, rischiano allora di non spiegare sufficientemente il
loro proprio lessico. Ma, in ogni caso, sanno che dimostrare
l'esistenza di Dio non è sottometterlo alle nostre vedute, né defi
nirlo, né impadronirsi di lui, né maneggiare altra cosa che delle
idee inferme a proposito di un tale oggetto, né giudicare altro
che la nostra propria e radicale dipendenza. Il procedimento
con il quale la ragione dimostra che Dio esiste, pone la ra
gione stessa in un'attitudine di adorazione naturale e di ammi
razione intelligente ». Vedere anche SAN TOMMASO, Contra Gen
tiles, I. IV, Proemium.
43 SAN TOMMASO, Prima, q. Il, a. 1, ad. 1: « Cognoscere Deum
scorgo venire Pietro, senza sapere ancora che è lui, dice san
1 16
Si potrebbe essere tentati di respingere il paragone
poiché suppone che già io conoscessi Pietro e che sto
per riconoscerlo tale quale lo conoscevo. Invece, nel caso
di Dio, è una conoscenza « propria » che sta per succe
dere a una conoscenza ancora tutta implicita. Cosl io
non mi preparo a realmente riconoscerlo, ma a conoscer
lo per la prima volta.
Indubbiamente, nessun paragone è perfetto, ed è
chiaro che quello di San Tommaso non si adatta a ogni
punto di vista. Non se ne dovrebbe tuttavia diminuire
troppo il valore. Quando io giungo alla conoscenza espli
cita di Dio, senza dubbio non lo riconosco come qual
cuno che avrei già conosciuto con una medesima specie
di conoscenza e che da allora avrei dimenticato o per
duto di vista. Dio non lo conoscevo ancora cosciente
mente, nel senso ordinario della parola. Nondimeno, la
meraviglia è precisamente che, conoscendo Dio per la
prima volta, tuttavia io Lo riconosco 4s. Poiché - per
riprendere l'esempio che San Tommaso dà proprio qui
- venendo a conoscere Dio come colui che deve ren
dermi felice, io conosco contemporaneamente l'identità
di Dio con questa felicità che io conoscevo desiderandola
ma che riponevo da principio in oggetti ingannevoli, o
Tommaso ». Mi si è fatto osservare: « Così io non conosco Pietro
in colui che viene, benché chi viene sia Pietro. Questo è tutto
quanto dice San Tommaso ». Io non vedo un abisso tra queste
due traduzioni, ma tengo pure conto delle parole che precedono:
« simpliciter cognoscere ». Ad ogni modo, non intendo attribuire
alla mia versione nessun altro senso che quello assai semplice e
istruttivo contenuto nella formula latina di S. Tommaso.
45 t:. di un paradosso analogo che si meravigliava SANT'A�
STINO, quando gridava, rivolgendosi alla ragione: « Qui nondum
Deum nosti, unde nosti nihil te nosse Deo simile? » Soliloqui,
C. II, n. 7 (P. L., XXXII, 873).
1 17
piuttosto l'identità della mia felicità con Lui. C'è qui
davvero un riconoscimento. Ed è così ogni volta.
Io non scopro mai l'esistenza di Dio come scoprirei,
ad esempio, l'esistenza di qualche città lontana, a cui
non mi unisse qualche legame essenziale e che non avrei
che da registrare come un fatto esteriore. Diciamo anco
ra, con Jules Lebreton, che « parlare di Dio a un uomo
non è come parlare di colori a un cieco » 46 • Senza dub
bio molti uomini si comportano riguardo a Dio come
un cieco di fronte ai colori; ma i problemi di filosofia
riflessiva non vanno confusi con i problemi di psicolo
gia empirica o di sociologia; e se un giorno uno di que
sti ciechi ricupererà la vista, nel momento in cui cono
scerà Dio, si potrà dire che Egli lo riconoscerà. Poiché,
- ed è qui lo straordinario, il fatto unico, ammirabile
- « l'abitudine di Dio » essendo inerente « alla natura
stessa dello spirito » è posseduta da lui « prima di ogni
atto ». È ciò che San Tommaso insinua con il suo para
gone; e quando precisa che con la nostra prima cono
scenza, tutta « naturale » e implicita, Dio non è ancora
conosciuto « simpliciter », afferma con ciò stesso che
in una certa maniera Egli è nondimeno già conosciu
to: il che permetterà, giunto il momento, di « ricono
scerLo » 4 7 •
* * *
Credere a un'eternità nell'istante - come obbliga
qualsiasi elevata esperienza spirituale - senza ammet-
4 8 La connaissance de foi in Etudes, t. CXVII, 1908, p. 735.
4 7 Cfr. H. PAISSAC, sopra citato, c. II, nota 32. 1:. chiaro, d'al
tronde, che il solo testo di San Tommaso, qui richiamato, non
1 18
tere ch'essa sia una partecipazione all'Eternità eterna,
è immergersi nella contraddizione. È accettare di vivere
di una illusione, senza confessarselo pienamente.
* * *
1 19
colarmente tipico della « alienazione » che gli eredi di
Hegel si sforzano di denunciare in mille modi.
Forse nulla meglio di questa obiezione permette di
cogliere il valore profondo e il significato ultimo dell'ar
gomento. È solo necessario un prolungamento della dia
lettica anselmiana, che gli fa raggiungere l'argomento
classico della contingenza.
« Da un punto di vista strettamente ed esclusiva
mente intellettuale, l'argomento non tocca e non affer
ma altra cosa che il pensiero che afferma se stesso, che
solo può provarsi come quello che non può essere sor
passato, per il potere ch'esso ha di cancellare tutte le
immagini, di spezzare tutte le rappresentazioni, di sor
montare tutti i limiti. E allora la rIBessione, che prende
coscienza di questa grandezza senza confini, si accom
pagna inevitabilmente a un'ambivalenza ironica: è que
sto altra cosa distinta da me? È possibile prescindere
da questo punto di vista strettamente noetico? Noi lo
crediamo, poiché l'esperienza intellettuale, che sola deve
intervenire qui, è l'esperienza non solo del trionfo della
riflessione per cui il pensiero si afferma superiore a
ogni cosa, ma pure del lavoro della riflessione, di que
sto atto di respingere e di negare il limite che sempre
chiede di rinnovarsi. Essa non è solo l'esperienza di una
grandezza; è anche quella di un'esiguità ... : esiguità e
grandezza sono date insieme nel loro rapporto che, pre
cisamente, è l'atto di riflettere e di oltrepassare. Poiché
il limite è oltrepassato, poiché l'insuperabile è afferma
to, non si può dimenticare che questo superamento re
clama il limite, diciamo pure che è coscienza del limite.
Per questo, io so, al tempo stesso, che io non sono che
120
a causa di ciò che non può non essere oltrepassato, e
che non sono ciò che non può non essere oltrepassato: io
patisco di questa grandezza che mi condiziona e mi fa
riconoscere la mia ristrettezza. Quello stesso che si tro
va affermato come esistente contemporaneamente nello
spirito individuale e nella realtà, è il pensiero assoluto,
ma questo pensiero assoluto che lo spirito limitato non
può appropriarsi né assorbire tutto in sé, al quale deve
per ciò stesso opporsi, diviene, in questa opposizione,
la realtà del pensiero, cioè l'Essere stesso » 49 •
Nella sua stretta intellettualità, non è dunque il ger
me dell'idealismo e dell'immanentismo che contiene l'ar
gomento anselmiano: è una meditazione sulla forza e
sul limite, sulla miseria e sulla grandezza congiunte del
no�tro pensiero. Esso non prepara né giustifica indebi
tamente l'alienazione dell'uomo: gli mostra, nel rico
noscimento del suo limite, il solo segreto per oltre
passarlo.
* * *
Incomparabilmente più forte in se stessa di qualsiasi
altra prova, perché più consustanziale allo spirito che la
enuncia, la prova di Dio è pure - l'esperienza lo dimo
stra - sempre, di fatto, più eludibile, ed è la stessa
ragione che le dà questi due caratteri apparentemente
opposti. Poiché Dio non è un oggetto tra tanti altri,
121
Egli non può essere, se è, che l'oggetto totale e la Veri
tà totale, che investono tutto lo spirito. Ora, respingen
do una verità particolare, si accoglie solamente una
assurdità, mentre respingendo la Verità totale s'intro
duce nel contempo in se stessi l'assurdità. Ma, finché
l'intelligenza aderisce ancora a qualche regione solida
dell'essere, la più piccola assurdità le fa naturalmente
orrore, poiché la minima assurdità basta a distruggere,
appena scorta, la coerenza interna del suo universo men
tale; mentre, non funzionando più la legge di contrasto,
essa prova grande fatica a « realizzare » l'assurdità tota
le, che le si presenta come una specie di coerenza inver
sa, coestensiva a tutto il suo sapere.
L'assurdità totale contamina a fondo questo sapere,
ma senza scompigliare i legami interni. Cosl l'intelli
genza può sempre, sottilizzando, illudere se stessa.
* * *
Le prove dell'esistenza di Dio sono incessantemente
sottomesse a due specie di critiche, di cui alcuni parti
colari possono qualche volta coincidere, senza che per
questo, non siano, nella loro sorgente, meno opposti co
me lo sono nel loro risultato.
Le prime di queste critiche s'ispirano a un concet
to severo ma stretto dell'intelligenza; o, se si richiamano
alle prove formulate nel passato, considerano super
ficialmente il loro « intreccio concettuale » e le apparen
ze delle loro « forme logiche » senza preoccupazione di
ritrovarne l'anima permanente.
Tale storicismo letterale, nella sua stessa esattezza,
122
lascia sfuggire l'essenziale delle dottrine che pretende
giudicare, attribuendo così a una indigenza di pensiero
nell'altro ciò che non è che l'indigenza del suo proprio
metodo... Critiche siffatte sfociano sempre, nello stesso
tempo, a una messa in dubbio, almeno sul piano razio
nale, dell'esistenza di Dio, e a una mutilazione dello
spirito.
Al contrario, le critiche della seconda specie traggo
no origine dalle esigenze della credenza in Dio. Esse non
vogliono prove che non conducano al Dio vero. Non
vogliono saperne d'una Causa, di un Fine o di un Legi
slatore, la cui trascendenza non sia assicurata. Le guida
un istinto superiore, quello stesso che aveva iniziato le
prove. In verità, ben più che una critica, esse sono un
approfondimento delle prove, giacché collaborano con
queste a rettificarsi e a completarsi, scoprendone così
la vera natura e individuandone il principio motore.
Grazie ad esse, lo spirito prende coscienza di ciò che le
prove diverse hanno di unico e di totale, di ciò che ren
de la loro forza superiore alla forza di qualsiasi altra
prova. È una messa a punto unificatrice, donde deriva,
attraverso espressioni caratterizzate da una mentalità
particolare o da uno stato determinato dalle scienze, il
valore sovraeminente ed eterno dell'operazione dello
spirito che, senza vederLo, ma infallibilmente, pone Dio.
Tale operazione non è una costrizione, alla quale. al
contrario, lo spirito non saprebbe opporsi se non facen
do violenza a se stesso, e, per quanto dipende da esso,
auto-distruggendosi 50 •
50 :E:. in questo senso che saremmo portati ad ampliare
l'osservazione fatta dal CHENU, op. cit., p. 153: « Tra i diversi tipi
123
Un professionista si chiede : « Si può volgarizzare
la prova dell'esistenza di Dio? ».
Sembrerebbe che, a suo modo di vedere, solo un
piccolo numero di specialisti, i tecnici della « scienza
metafisica », siano in diritto di affermare l'esistenza di
Dio con piena conoscenza di causa, e che quindi soltanto
essi ne avrebbero una vera certezza. Tutti gli altri sa
rebbero, a questo riguardo, nell'illusione. Intellettual
mente, la loro affermazione non sarebbe valevole. Tut
t'al più godrebbero di « preparazioni » più o meno lon
tane all'esercizio della prova, preparazioni che si pos-
124
sono accogliere come « assai utili, a condizione di pren
derle per ciò che valgono ».
Come mai quelli che parlano cosl non vedono, se
credono realmente in Dio, di accordarsi un privilegio
esorbitante ? Come mai non vedono almeno che il punto
di vista sotto il quale essi hanno ragione è ancora super
ficiale?
Vi è, risponde loro Jacques Maritain, una conoscen
za di Dio « doppiamente naturale », frutto di una ap
percezione dell'essere, « decisamente più profonda di
ogni processo logico scientificamente sviluppato », per
ché ha la sua radice in una « intuitività primordiale e
semplice » 5 1 • Simile conoscenza non rende inutili le
prove scientifiche, ma è essa che le rende possibili, è la
sua testimonianza che le sostiene ed è ad essa in fin
dei conti che bisogna sempre tornare 52 •
* * *
125
tutti solidi allo stesso modo 53 ; le categorie che sono
alla loro base possono anche non essere state sufficien
temente provate; l'apparato dialettico di cui sono rive
stite può avere forme inusitate, che lasciano sfuggire
come attraverso una rete troppo lenta, l'obiezione sot
tile. « Talora (la riflessione critica) si trova in presenza
d'un pensiero ricco e profondo, ma allo stato implicito
e inespresso; talora, al contrario, incontra formule espli
cite, che si dànno per prove autentiche dell'esistenza di
Dio, ma allora queste formule sembrano quasi sempre
vulnerabili da qualche lato » 5 4• Insomma, non è pro
messo al credente che ragiona che sarà sempre un logico
rigoroso, un analista abile, uno scienziato scaltrito, né
un profondo filosofo. Anche se buon ragionatore, la sua
tecnica può essere debole. Non c'è vergogna a confes
sarlo.
Ma il rilievo deve andare oltre. In realtà, ogni
126
pensiero sapiente è un pensiero tecnico, e, come tale,
nel senso etimologico del vocabolo, è artificiale. Ora,
all'artificio, anche legittimo, un altro artificio, persino
sofistico, può sempre opporre una istanza almeno prov
visoria. Per trionfare di questa istanza, occorreranno
nuove precisazioni, giustificazioni tecniche che forse non
avranno esse stesse il loro valore che grazie all'apporto
di nuovi punti di vista. Non mancheranno quindi nuove
contestazioni. Dopo essersi fatti intendere « dagli igno
ranti», bisognerà ancora, come dice Fénelon, « repri
mere la critica temeraria degli uomini che abusano del
loro spirito contro la verità» 5 \ ma saper anche rendere
giustizia a quelle nuove esigenze che possono apportare
un positivo contributo. Dopo le difficoltà di Locke o di
Hume, per esempio, ecco spuntare, generate da esse ma
ben differenti, le difficoltà di Kant; poi quelle di Hegel,
e quindi tante altre, sempre impreviste, almeno in parte.
Ma la risposta, per essere adeguata, suppone sempre
riflessioni inedite. E questo ritmo non si arresta. La
ragione non è mai priva di risorse. La catena dialettica
forgia sempre nuovi anelli. Lo spirito, nel suo cammino,
non è al riparo dai passi falsi, si smarrisce in molte vie
senza uscita, ma scava pure dentro di sé, scopre in sé
nuove risorse, la sua vita non si ferma. È un'illusione
credere che lo spirito possa giungere ad essere piena
mente soddisfatto di sé 56 • Bisogna rassegnarsi: è la
127
condizione per non corrompersi. Non ci si può riposare
semplicemente sugli sforzi e sulle conquiste degli Anti
chi, fossero anche i più felici e sia pure col massimo im
pegno da parte nostra per assimilarli nel modo migliore.
Non che si debbano disprezzare né aver sempre la per
suasione che li abbiamo superati. Tutt'altro ! Però la
semplice ripetizione non è il mezzo per raggiungerli. La
prova, in ogni caso, resta in fondo la stessa: non la si
oltrepassa. Soltanto la certezza prima va indefinitamente
riconquistata, e per ristabilire le verità più semplici, in
certi casi, occorrono non solo molti combattimenti, ma
anche molte « invenzioni ».
Ma, nell'attesa, colui che veramente crede in Dio
non si lascia turbare. Nessuna istanza sapiente - di
qualunque ordine essa sia: razionale, « dialettico », psi
cologico, ecc. - è capace di scuotere la sua fede. L'ar
tificio architettato dalla prova sapiente e ponderata non
era per lui che la messa in opera e il controllo razionale
d'una prova più semplice, più fondamentale e sempre
sussistente; prova affatto naturale e spontanea; prova,
forse, in molti casi non formulata, ma non per questo
meno incisa « nelle pieghe più profonde della natura
ragionevole »; prova che non cessa, nel momento stesso
in cui le obiezioni sembrano insolubili, di generare una
128
convinzione perfettamente ragionevole, « più forte e più
incrollabile di qualsiasi convinzione artificialmente otte
nuta » 57 ; prova che è l'energia sempre intatta di ogni
prova sapiente.
Checché alcuni ne pensino, in tale questione su Dio
non è mai la prova che manca. Si tratta di gusto! 58 • Ha
perduto, almeno in apparenza, il gusto di Dio: ecco la
diagnosi più triste e allarmante sulla nostra epoca. L'uo
mo a Dio preferisce se stesso, sviando il moto che lo
conduce a Lui o, non potendolo, accanendosi a inter
pretarlo falsamente. S'immagina così di aver liquidato
le prove; si affida alle critiche e non sa spingersi più
oltre. Si allontana da ciò che rischierebbe di convin
cerlo. Se tornasse il gusto, siamo sicuri che le prove di
Dio ricomparirebbero presto agli occhi di tutti più chia
re della luce del giorno, com'esse sono effettivamente
se ben si guarda alla loro anima.
* * *
129
9. - Sulle vie di Dio
la terra. Egli non sa trovare in qualsiasi anima la ragione
e l'immagine di Dio » 59 •
130
neppure la considerazione astratta d'una forma materiale, su
che cosa potrebbe fondarsi?
« Eccoci condotti a postulare, nella nostra conoscenza og
gettiva, un'altra cosa dall'accoglienza statica e dall'analisi astrat
tiva di "dati"; a postulare un movimento del pensiero che ci
trascinerebbe costantemente "al di là" di ciò che è ancora rap
presentabile con concetti; a postulare una specie di anticipa
zione metempirica, che ci mostrerebbe la capacità obbiettiva
della nostra intelligenza che si dilata infinitamente fino a sor
montare ogni limite dell'essere. Fuori di lì, non c'è conoscenza
analogica del trascendente. Per spiegare e salvaguardare questa,
noi siamo dunque portati a porci sul cammino della finalità
dinamica del nostro spirito; poiché, sola, una "finalità interna"
dell'intelligenza può fargli oltrepassare costantemente l'oggetto
presente e perseguire indefinitamente un oggetto più ampio » (pp.
184-185) .
« Il lettore non avrà mancato di notare una certa rassomi
glianza tra quest'interpretazione, che noi crediamo tradizionale,
del principio trascendente di causalità col processo metodolo
gico di Jacobi e del Padre Gratry. Secondo questi ultimi, ogni
appercezione di un oggetto finito mette in atto l'affermazione
dell'Infinito, latente, allo stato virtuale nel profondo della nostra
natura intellettuale. Quest'affermazione non sarebbe necessa
riamente avvertita, ma esisterebbe nella tessitura stessa del
nostro pensiero oggettivo, dove un'analisi attenta potrebbe pale
sarla.
« Nei suoi elementi essenziali, la dottrina di Jacobi, o alme
no quella del Padre Gratry, è vera o falsa? Noi diremmo piutter
sto che è incompleta e ambigua.
« Qualche cosa, in fondo alle nostre appercezioni partico
lari, deve determinare e necessitare l'affermazione dell'Assoluto
trascendente, altrimenti non dimostreremmo mai analiticamente,
partendo da oggetti finiti, l'esistenza dell'Infinito. Ma ecco, sem
bra, il punto preciso in cui una distinzione s'impone: l'afferma
zione dell'Infinito è o no, come affermazione implicita, una còn
dizione costitutiva delle nostre appercezioni particolari di og
getti?
« Se no, se essa non è - in rapporto all'oggetto primario
del nostro intendimento, cioè l'oggetto finito - che una con
dizione concomitante o susseguente, essa comanderà solo, in
occasione di ciascuna delle nostre appercezioni e in virtù di
una necessità soggettiva, un atto di "fede razionale" dell'Assoluto
trascendente ; il passaggio all'infinito sarà una vera "sintesi a
priori", naturale, legittima persino, non giustificata da una ne
cessità strettamente speculativa, scientifica ; a questo passaggio,
in realtà, l'intelletto potrà sottrarsi senza contraddizione logica.
« Se sì, se cioè l'affermazione dell'Infinito è una condizione
131
logica preliminare e realmente costitutiva di ogni appercezione
di oggetti finiti, allora indubbiamente non potremmo rifiutarla o
ritrattarla senza flagrante contraddizione. Ma bisognerebbe ag
giungere, sotto pena di scivolare nell'intuizionismo ontologista,
che tale affermazione trascendente, condizione dinamica costi
tutiva dell'oggetto pensato, non ha nulla in comune con una
"visione degli oggetti in Dio", né con una "idea innata", fosse
pure questa solo "virtuale" in senso cartesiano. Puramente
implicita ed "esercitata" nell'appercezione degli oggetti finiti,
essa non può esplicarsi che dialetticamente, mediante riflessione
e analisi.
« Non cerchiamo di indovinare ciò che hanno voluto dire
- e forse non correttamente espresso - Jacobi e Gratry.
Dell'alternativa che abbiamo posta sopra, non dobbiamo rite
nere che la costatazione seguente: optare per il primo di questi
due termini, o, per dirla in altre parole, lasciare l'affermazione
implicita dell'Assoluto divino fuori della struttura intelligibile
dell'oggetto finito è volere opporre alle conclusioni agnostiche
Kantiane il semplice fatto d'un impulso istintivo della ragione,
impulso - o ironia! - che Kant è il primo a proclamare ; al
contrario, optare per il secondo termine, è, praticamente, impe
gnarsi a fornire una confutazione assolutamente radicale dell'a
gnosticismo Kantiano a partire dalle esigenze metodologiche
della Critica stessa » (pp. 452-453).
132
CAPITOLO IV
LA CONOSCENZA DI DIO
1 33
radice di ogni creatura » è l'Essere presente per eccel
lenza 2 •
Dappertutto dunque, attraverso il mondo, Dio vie
ne a noi, ed il suo Essere ci incalza. Noi dovremmo po
terlo incontrare dappertutto e riconoscerlo ovunque; sia
che consideriamo il « gran mondo » o il « piccolo mon
do », il cosmo che ci circonda o il nostro proprio spi
rito, tutto il reale che ci si offre è, per tutto se stesso
e anzitutto per la sua sola esistenza, il simbolo o il segno
di Dio 3 • Non si tratta però di un qualche segno artifi
ciale, scelto dopo, o di un valore convenzionale, bensì
di un simbolo naturale e necessario per noi, segno onto
logico, di cui non si può fare a meno né liberarsene. Dio
non è mai venuto direttamente senza un segno; ma at
traverso il mondo, sebbene oscuramente, Dio si mani
festa dappertutto. Ogni creatura è, per se stessa, una
teofania. Tutto è pieno di tracce, di impronte, di ve-
2 SAN TOMMASO, Prima, · q. VIII, q. 1: « Oportet quod Deus
sit in omnibus rebus, et intime ». GIOVANNI DI SAN TOMMASO,
Cursus theologicus, In Primam, q. XLIII, dissert. XVII, a 34-11.
SAN BERNARDO, In Cantica, sermo IV, n. 4: « � dappertutto Colui
che amministra tutto, e nessuno al di fuori di Lui ha nulla di
proprio. In Lui stesso, Egli abita una luce inaccessibile, e la sua
pace supera ogni sentimento, ed infinita è la sua saggezza, e
la sua grandezza non ha limiti, e l'uomo non può vederlo
senza morire. Ma tutto ciò non significa che egli sia lontano
da ciascuno di noi, Lui che è l'essere di ogni essere e senza
il quale tutto non è che nulla. Cosa ancora più ammirevole,
nulla è al tempo stesso più presente di Lui e più inafferrabile
(incomprehensibilius). Che cosa vi è, in realtà, di maggiormente
presente a ciascun essere del suo essere? e che cosa vi è tuttavia
per ciascuno di più inafferrabile che l'essere di tutti? Indubbia
mente, quando io dico che Dio è l'essere di tutti, non intendo
dire che tutti sono ciò che Egli è ; ma tutti sono da Lui, e per
Lui e in Lui » (P. L., CLXXXIII, 798 A-B).
3 GoFFREOO DI SAN VITTORE, Microcosmus ; c. XL (edizione Fi
1 34
stigia, di enigmi. Da ogni parte escono i raggi della Di
vinità 4. Tutto stilla dell'unica Presenza. « Per un occhio
puro e uno sguardo attento tutte le cose diventano tra
sparenti » 5 • Se in noi la scienza fa torto alla contem
plazione quanto l'ignoranza; se lo sguardo del nostro
spirito si arresta alla scorza del mondo, se non vi scorge
nulla di sacro o se al contrario vede il mondo « pieno
di dèi », l'errore è dovuto a qualche malattia del nostro
sguardo. Infatti - e non è che fin troppo vero - il
mondo ci nasconde Dio molto più di quanto non ce lo
riveli. Tutte le cose sono per noi divenute opache. È al
trettanto vero però che il Creatore « ha disseminato
sulle creature i riflessi delle sue divine perfezioni, e
che, grazie a queste luci visibili, noi possiamo conoscere,
per via analogica, gli splendori inaccessibili del Crea
tore » 6 • Invisibilia Dei per ea quae facta sunt intellecta
conspiciuntur 1 •
4 Pro IX, Lettera a Mons. de la Bouillerie (Castel Gandolfo,
135
« O Tu, che appari in ogni struttura e in ogni forma,
senza aderire né confonderti con esse! ».
Ne consegne, anzitutto, che la conoscenza di Dio
per mezzo del mondo esterno, è già in certo modo una
rivelazione essa stessa:
1 36
...Poiché dalla grandezza e dalla beltà delle creature
Argomentando se ne intuisce il primo Fattore 8 •
1 37
Le creature gli servono come primo mezzo di espres
sione per comunicare con me. Creata dal Verbo, ogni
cosa è una parola che mi viene da Lui e mi parla di Lui.
Io debbo farvi attenzione o rispondervi, ma l'iniziativa
non parte da me.
Per lo stesso motivo, una conoscenza di tal genere
di Dio creatore, quantunque sempre mediata, non è
totalmente indiretta. Prendendo a prestito un vocabolo
da Sant'Agostino, si potrebbe chiamare contritio. In
certo modo Dio mi dà un'investitura con i suoi segni,
ed io Lo scorgo nella creazione, attendendo di vedere
la sua creazione in Lui. Conoscenza sempre oscura 10,
data la debolezza del mio intelletto 11 , ma che per questo
fondamentalmente, non è meno concreta, anche quando
si serve delle vie della logica e dell'astrazione, poiché è
conoscenza di una Presenza. Il ragionamento da solo, an
che supponendo mia tutta l'iniziativa, il ragionamento
una rivelazione... La creazione è dunque opera della Parola di
Dio, e per questo è pure una rivelazione, perché Dio, parlando,
non può che dire se stesso. Il mondo porta in sé il riflesso e la
immagine della Parola da cui fu creato... Creando il mondo,
Dio l'ha dunque caricato d'un messaggio che gli uomini do
vrebbero essere capaci di leggere... Ma di fatto, come in egual
modo l'affermano l'autore della Sapienza e San Paolo, questa
prima "rivelazione" divina sfocia in un fallimento ». Cfr. H. URs
VoN BALTHASAR, Phénoménologie de la Vérité, pp. 86-87. Si po
trebbe anche dire, riprendendo un vecchio motto attualmente
fuori uso, che il mondo è una « firma " di Dio.
10 SAN BoNAVENTURA, In Hexameron, col. XIII, n. 14: « Totus
mundus est umbra, via, vestigium, et est liber scriptus forinse
cus. In qualibet enim creatura est refulgentia divini exemplaris,
sed cum tenebra permixta ; unde est sicut quaedam opacitas
admixta lumini » (Quaracchi, t. V., p. 386).
11 SAN TOMMASO o'AouINo, De Veritate, q. V, a. rr, ad. 2m:
« lmbecillitatem intellectus nostri, qui neque totum hoc de Deo
potest ex creaturis accipere, quod creaturae manifestant de
Deo ».
138
a cui io sarei provocato e che non risulterebbe da uno
stimolo e da un impulso essenziale, non mi darebbe che
una conoscenza del tutto indiretta e astratta. Non mi
fornirebbe che un puro concetto, tenendo il posto di
un essere assente, o piuttosto di una cosa assente. In
realtà, sotto l'astrazione proveniente da me, il Dio vero
si rivela presente.
Certo che, se per ipotesi impossibile, non vi fosse
davvero in me che la pura astrazione del concetto di
Dio, dal momento che ogni rappresentazione di Dio si
palesa assolutamente insufficiente, mi si potrebbe do
mandare come potrei ancora sfuggire all'agnosticismo 12•
Molti se lo sono effettivamente chiesto senza trovar
risposta. In simile ipotesi, la mia conoscenza sarebbe
vana. Infatti nel concetto stesso vi è sempre qualcosa di
più del concetto 13 , ed è ciò che tanti critici e tante giu-
1 39
stifìcazioni del concetto dimenticano. Ora è questo che
mi permette di capire che la conoscenza di Dio resta
la critica obbligata della rappresentazione. Le negazioni
che si accumulano e sembrano distruggere tutto, sono
sempre al servizio d'un'affermazione più forte e pura.
Se Dio si sottrae, è proprio nella sua presenza. La sua
trascendenza non ha alcun carattere di una relegazione
fuori del mondo : essa è tutto il contrario di un'assen
za 1 4 • Ogni creatura Lo rivela con l'essere stesso che
prende a prestito da lui, gridando che essa non è lui.
È il mistero che non cessa, nella sua oscurità, di essere
luce; il vuoto a cui esso obbliga è la forma della sua
Pienezza 1 5 •
140
Patet quam ampia sit via illuminationis, et quomodo
in omni re quae sentitur sive quae cognoscitur, interius
lateat ipse Deus 18•
***
Il Dio nascosto, il Dio misterioso, non è il Dio lon
tano, il Dio assente: è sempre il Dio vicino.
***
Non potendo pensare a Dio tale quale Egli è, noi,
dopo aver ben riflettuto, prendiamo la decisione, altret
tanto saggia che umile, di pensarLo come siamo noi.
141
Lo qualifichiamo secondo le nostre relazioni con Lui,
e poiché queste relazioni sono reali, diciamo cose vere,
sebbene, come valore di definizione, insufficienti al pun
to di esserne nulle 1 7 •
Partito saggio, conoscenza vera, ma è perché un
pensiero più profondo ispira questo partito, e una luce
più segreta rischiara questa conoscenza.
***
Il fautore dell'immanenza nega la trascendenza, men
tre chi crede alla trascendenza non nega affatto, allo
stesso modo, l'immanenza. Anzi, egli realizza sufficien
temente l'idea della trascendenza tanto da comprendere
che essa implica necessariamente l'immanenza. Se Dio è
trascendente, nulla gli si oppone, né Lo limita né fa
numero con Lui: « tutto diverso» dal mondo, Egli lo
142
penetra dunque in maniera assoluta. Deus interior in
timo meo et superior summa meo ...
Il fautore della sola immanenza si mostra dunque
parziale. Il solo fautore della trascendenza è totale, come
la verità stessa.
Il fautore dell'immanenza non vuole vedere nella
idea di trascendenza altro che un'immagine spaziale, che
per questo comanda un pensiero tutto mitico. Egli accor
da a se stesso l'esclusività del Logos.
Tuttavia, se egli non vuole fìnire nel vuoto assoluto
d'essere e di pensiero, non resta meno del suo antago
nista prigioniero dell'immaginazione: il di dentro non è
meno spaziale del « di fuori » o del « di sopra ». Non vi
è ragione a priori di riguardarlo, ad esempio, come la
« faccia spaziale concava » d'una sfera... La « profondi
tà » non è meno immaginativa dell'« altezza ». Cosl l'im
manentismo, anche sottile, potrebbe non essere esso
stesso che un « pregiudizio spaziale a rovescio » 18 • Tan-
18 L'obiezione è stata formulata da L. BRUNSCHVICG, La que
relle de l'athéisme, Societé française de philosophie, seduta del
24 marzo 1928 (testo riprodotto in De la vraie et de la fausse con
version, 1950). Secondo lui, « l'ipotesi d'una trascendenza spiri
tuale è manifestamente contraddittoria nei termini » (p. 209);
(cfr. Trascendance et Religion, ibid. p. 127: « Da un lato, il
realismo della trascendenza che nasce da una immaginazione
in altezza ; dall'altro, l'idealismo dell'immanenza che procede da
una riflessione in profondità » ). Sulla qual cosa G. MARCEI.
osservava: « Non posso impedirmi di temere che questo culto
dell'interiorità... non sia malgrado tutto un pregiudizio spaziale
a rovescio - (p. 249). Anche E. GILSON aveva a sua volta denun
ziato la « spiacevole confusione » di L. BRUNSCHVICG, confusione
da tempo scartata da pensatori quali S. Agostino e S. Tommaso
d'Aquino: « L'ipotesi d'una trascendenza spirituale non è con
traddittoria per la ragione se non nel caso che sia realizzata
dalla ragione stessa; ma la dottrina filosofica e teologica costante
del cristianesimo è precisamente il rifiuto di accettare come
soddisfacente una tale realizzazione » (pp. 218-219).
143
to da una parte che dall'altra s'impone una critica della
immaginazione 1 9•
Locales quidem excedit (Deus) temporalesque angu
stias, sed libertate naturae, non enormi/ate substan
stiae! 20 •
Il fautore dell'immanenza nutre l'illusione che, « in
teriorizzando » la fede di chi crede alla trascendenza, si
fa l'interprete definitivo di un profeta che non sapeva
scorgere dove la sua intuizione dovesse condurlo. In tal
modo pensa di assicurare il passaggio dalla fede alla filo
sofia, o dalla spontaneità alla riflessione. Crede di giu
sti.6.care il credente, pur giudicandolo, con uno sdegno
misto d'indulgente comprensione, sdegno di cui la storia
del pensiero ci offre molti esempi. Egli crede di trasfor
mare una verità relativa in assoluta. Ma lo sforzo, egual
mente documentato dalla storia del pensiero, sforzo sem
pre rinnovato e d'altronde sempre soggetto ad inganno,
144
per trovare un nuovo « conglobante », un nuovo « al di
là », una nuova trascendenza nel seno stesso dell'imma
nenza, rende ancora testimonianza in favore del creden
te. L'ultima parola spetta alla trascendenza, dalla cui
vittoria l'immanenza viene consolidata: - le due idee
sono « come intessute l'una con l'altra » - ma l'imma
nenza cambia allora di significato.
Deus, totus intra extraque, supereminens et internus,
circumfusus et in/usus.
Deus, supra quem nihil, extra quem nihil, sine quo
nihil est. Deus, sub quo totum est, in quo totum est,
cum quo totum est 21 •
Unus idemque totus ubique. . . circumdando pene
trans, penetrando circumdans 22 •
145
10. - Sulle vie di Dio
***
« Sono salito nella parte superiore di me stesso, e
ancora più in alto regna il Verbo. Esploratore curioso,
146
son sceso nel mio profondo, e tuttavia l'ho trovato anco
ra più giù. Ho guardato fuori, e L'ho incontrato ben al
di là di tutto ciò che è esterno. Ho guardato dentro: Egli
è più intimo di me stesso. E ho riconosciuto la Verità di
ciò che avevo letto, che cioè noi viviamo in Lui, e che
in Lui abbiamo il movimento e l'essere » 23 •
***
« È proprio dell'arte » ha scritto Léon Bloy « foggia
re gli dèi ». È proprio anche del pensiero, è proprio di
tutta l'attività umana superiore, che è attività di
« poeta ».
Ma al poeta, che fabbrica gli dèi, s'oppone il profeta,
che riceve rivelazioni da Dio. Allo scultore di idoli, che
dà una figura agli dèi, s'oppone l'iconoclasta, che rifiuta
di lasciar rinchiudere Dio in una forma. All'intellettuale,
che organizza i suoi pensieri in tutto, s'oppone il mistico
che li respinge a mano a mano che essi han preso corpo,
o a cui piuttosto quelli vengono successivamente tolti.
Tale opposizione tra gli uomini non è forse uno degli
aspetti fondamentali, fino ai nostri tempi moderni, della
lotta tra ellenismo e giudaismo? Ma anche opposizione
intima nell'uomo, opposizione insormontabile, intermi
nabile. Un affrontarsi tragico, ma fecondo. Non è possi
bile fare una scelta definitiva senza sacrificare qualche
cosa di essenziale. Il poeta è colui « che ha sogni », « che
divulga le visioni del suo cuore », rischiando sempre di
divenire « falso profeta » se le dona come verità ricevute
dall'alto 24 • E tuttavia il profeta ha bisogno di questo
23 SAN BERNARDO, In Cantica, sermo 74 (P. L., CLXXXIII, 1141).
24 Jer., XXIII. 16-28.
147
poeta - e lui stesso è poeta a sua volta - poiché
l'uomo non può ricevere nulla nel suo spirito senza col
laborarvi col proprio pensiero: l'oggetto della rivela
zione non deve forse essere concepito? Il mistico non
ha minor bisogno dell'intellettuale, poiché il distacco
dalle forme definite - videntur ut paleae - suppone il
lavoro che ha dato capo a queste forme, e il giudizio che
ne ha riconosciuto il valore. Cosl la guerra tra loro non
può comportare né vincitore né vinto: deve cambiarsi in
armonia. La lotta deve diventare un ritmo, a immagine
del ritmo che fu scandito per la prima volta con l'in
carnazione, la morte e la resurrezione del Salvatore.
***
148
* * *
Si realizza più fortemente il Tu - e, per il Tu, l'Io
che ne è il correlativo obbligato - a misura che ci si
allontana dal puro Lui. Cosl l'immanenza e l'esteriorità
crescono di pari passo. La riflessione, lungi dal farlo
svanire, fonda l'essere personale. È il principio miscono
sciuto dall'idealismo, che non ha mai considerato che i
rapporti d'un « soggetto » conoscente e « dell'oggetto »
conosciuto. Ma l'esteriorità cosl fondata non è, come
ben lo si vede, un'esteriorità « oggettiva »: esiste nell'in
terno di un'« inter-soggettività ». Non è l'esteriorità di
un Lui qualunque - che si degraderebbe subito in un
Ciò - è l'esteriorità del Tu per eccellenza. Non è quella
di un oggetto che vien dominato - e che può essere
annientato nell'immaginazione -: è quella di un Sog
getto, a cui ci si dona e in cui ci si trova, e che si deve
pensare sussistente. Questo Soggetto è dunque l'Altro
vero, nel senso più forte che possa esserci: l'Altro asso
luto, l'Essere misterioso, intimo a sé che sfugge ad ogni
presa, l'Essere totalmente personale, « il solo Tu che per
essenza non possa divenire un Ciò » 26 • Egli è Colui
che non possiamo rappresentarci, ma la cui realtà s'im
pone tanto più necessariamente; Colui con la cui cono
scenza si prende conoscenza di sé, e per amore del quale
ci si possiede; mentre la rappresentazione, finché si stava
in essa, non dava che un « altro » illusorio, senza inte
riorità, senza mistero e senza fecondità reale per il sog
getto. Allora l'idealismo aveva forse ragione di ridurre
questo « altro » assorbendo l'oggetto nel soggetto, o il
26 M. BUBER, le et Tu.
149
mondo nella rappresentazione, senza d'altronde riuscire
con ciò a fondare un Io, un vero Soggetto personale.
Nessun soggetto unico. Nessuna personalità senza
diversità (« alterità » ). Nessuna coscienza ripiegata su se
stessa. Nessun essere reale senza inter-soggettività 2 1 •
Nessuna conoscenza reale né densità ontologica senza
mistero. E nessun uomo senza Dio.
***
Bisogna davvero credere che se « molti cristiani »
amano vedere nel loro Dio il « Tu » per eccellenza, il mo
tivo sarebbe che « non osano parlare di un Dio come d'un
Lui, come d'un Essere »? Sarebbe vero che, « facendo
di Dio un Tu, interlocutore di questo dialogo che è la
preghiera, essi raggiungono l'idea secondo cui il peraltrui
è una struttura della nostra coscienza, e sembrano non
raggiungere Dio che come una parte dell'umano? » 28•
La critica è assai sottile, ma l'analisi sembra assai imper
fetta. Perché l'interlocutore a cui si dice « tu » sarebbe
più necessariamente « una parte dell'umano » che l'og
getto di cui si dice « lui »? Perché il dialogo metterebbe
più fatalmente il suo termine nella nostra dipendenza
che nella rappresentazione? Se in ogni conoscenza v'è
una « intenzionalità » che la filosofia moderna aveva in
crescevolmente misconosciuta e che la fenomenologia
contemporanea aiuta a ritrovare, può darsi che tale in
tenzionalità si esprima con più forza nel dialogo, che
mette il soggetto in rapporto diretto con un altro sog-
1 50
getto. Del resto, sia essa implorazione, adorazione, ade
sione, la preghiera non è un dialogo qualsiasi, la recipro
cità ch'essa suppone non suppone una qualunque ugua
glianza, e il credente che si rivolge a Dio nella preghiera
lo sa bene, anche se non è per nulla atto alla riflessione
filosofica. Di fatto, quelli che, a torto o a ragione, par
lano di Dio come di un « Tu » piuttosto che come di un
« Lui », non cedono a qualche timidezza causata da ver
gogna. Anche se peccano di esclusivismo, intendono sal
var piuttosto l'idea della trascendenza divina rifiutando
di parlare dell'Essere come di « un essere ». Stabilendo
con lui il legame della preghiera, essi affermano insieme
la loro dipendenza a suo riguardo e la sua indipendenza
da loro. Non consentendo a racchiuderlo nell' « ogget
to », vogliono piuttosto sottrarlo all'umano 29 •
* * *
Se, nella conoscenza del dovere, Dio è già in qualche
modo conosciuto, anche da colui che non sapesse vederlo
e che si credesse ateo, si può dire che, nell'adempimento
di questo dovere, Egli è già, in qualche modo, trovato
e posseduto.
Ciò non si può tuttavia dire che ad una condizione
precisa. Vi sono infatti due modi di riconoscere il dovere
e di conseguenza di adempierlo. Affinché la conoscenza e
il possesso di Dio che comportano la conoscenza e l'a-
2 9 Cfr. S. FRANK, Dieu est avec nous (vers. frane. 1954), p. 71:
« Solo di un assente si può parlare in terza persona... In presenza
di Dio non si può che parlare a Dio e non ragionare su di
Lui ... Il Dio di una fede viva è sempre il mio Dio, "Dio con me"
è un essere che solo il vocativo può esprimere ».
151
dempimento del dovere non restino puramente impli
cite 30, bisogna che il dovere sia riconosciuto non come
una legge puramente formale, alla maniera kantiana, ma
come l'esigenza del Bene. Solo allora l'astrazione della
« Legge naturale » è superata, e cede il posto al Dio
reale, anche in chi non sa ancora nominarlo.
« Indipendentemente da ogni messa in atto d'una
conoscenza esplicitamente cosciente », l'intelligenza ha
dunque di Dio « una coscienza vitale e non-concettuale,
avvolta nella nozione pratica, afferrata confusamente e
intuitivamente, ma con piena forza intenzionale, del
bene morale come motivo formale del primo atto di li
bertà, e nel moto della volontà verso questo bene e,
contemporaneamente, verso il Bene ». Impegnandosi con
la sua scelta, l'uomo « pensa a ciò che è bene e a ciò
che è reale; ma nello stesso tempo conosce Dio senza sa
perlo, perché in virtù del dinamismo interno di questa
scelta del bene per il bene egli vuole ed ama il Bene
separato come fine ultimo della sua esistenza »3 1 •
Ma, nello stesso tempo, è pure superata l'idea d'un
Dio « naturale », che sarebbe solo autore e sanzione
estrinseca della Legge, o semplice esemplare del valore
morale. Infatti questo Bene di cui, per ipotesi, l'agente
morale riconosce praticamente l'esigenza, questo Bene,
152
a cui egli aderisce segretamente, non è altro, lo si è visto,
che il « Bene separato sussistente ». È « il Bene ultimo »,
cioè, in realtà, il Dio « in cui, che egli lo sappia o no,
fa consistere il suo ultimo Fine ». È Dio che è questo
Fine ultimo. Dunque è già il Dio della grazia.
In altri termini, il Dio che si rivela implicitamente
in tal modo all'uomo di buon volere che è impedito di
dargli il suo nome, è il Dio che, non contento di coman
dare, attira, e vuol attirare fino a Lui. È il Dio per il
quale, secondo San Tommaso d'Aquino, si compie la
prima opzione dell'essere libero che si volge dal lato del
bene 32 , in modo che « il primo atto di volontà delibe
rata, il primo atto di vita morale nel senso stretto della
parola, si tuffa nel mistero della grazia » 33 • È il Dio che,
secondo l'espressione di Pascal, « fa sentire all'anima
che Egli è il suo unico bene e che essa non troverà riposo
che amandolo ».
153-
* * *
154
legge del valore d'evocazione inversamente proporzio
nale al valore di pensiero analitico - per comprendere
l'importanza noetica del simbolo e della metafora 38 • Bi
sogna ricordarsela anche per apprezzare il linguaggio dei
mistici. Allora non ci si allarma più di una progressione
che, per la nostra logica, sembra compiersi a ritroso. « O
Padre », esclama un mistico, « o Sposo, o Fratello! ».
Poi, al termine del suo slancio d'amore contemplativo:
« O Fiume profondo e calmo, Fuoco divorante, Luce che
rende tutto luce ! » 3 7•
* * *
« A dire il vero, si sarebbe bene imbarazzati a voler
determinare esattamente un "attributo divino", che il
nome di "luce" designerebbe esclusivamente. Senza
dubbio, esso evoca specialmente la limpidezza, la traspa-
155
renza d'una conoscenza che penetra senza sforzo tutto il
reale, ma qualifica anche la purità di un'essenza che le
ombre del nulla non hanno accostato: "Dio è luce, e in
Lui non vi sono tenebre". E al di là di queste qualità
che potremmo chiamare "esteriori", egli ci aiuta a
"realizzare la potenza di espansione", l' "irraggiamen
to" d'uno Spirito sommo senza cui tutti gli altri non
sarebbero che notte, e, in modo ancor più generico, la
sovrabbondanza vittoriosa di manifestazione che chia
miamo "la gloria". Su tutti questi aspetti dell'Essere
infinito, che le analisi e le determinazioni concettuali mi
nacciano di estenuare, collegandoli, prolungandoli, av
volgendoli in un mistero di beatitudine, la "luce" viene
a posare la sua fluidità e il suo splendore » 38 •
* * *
O Dio! Tu non sei altro che l'Amore, ma sei un
altro Amore! Tu non sei altro che la Giustizia, ma sei
un'altra Giustizia! Se io vengo meno all'Amore o vengo
meno alla Giustizia, mi allontano infallantemente da Te,
e il mio culto non è che idolatria. Io debbo, per credere
in Te, credere all'Amore e credere alla Giustizia; è mille
volte meglio credere in queste cose che pronunziare il
tuo Nome 39 • Fuori di esse, mi è impossibile trovarti, e
156
quelli che le prendono per guide sono sul cammino che
conduce a Te. Ma per adorarti in spirito e verità, per
non rischiare anche di adorar me stesso, debbo inoltre
credere che la mia giustizia - e quella stessa che io con
cepisco senza mai realizzarla - non è ancora la Giusti
zia, e che il mio amore non è ancora l'Amore. Il mio
ideale non è la tua realtà. Quando io Ti attribuisco que
sti nomi di Giustizia e di Amore, Tu sei per me ancora
incompreso 40 • Infatti « noi conosciamo perfettamente, e
imperfettamente profetizziamo », e tutto è per noi an
cora enigma, e possiamo farci un idolo della Giustizia
stessa e forse anche dell'Amore 41 •
O Dio che sei al di sopra di ogni nome 42 e di ogni
bonum ... lpsa est Veritas, ipsa est Sapientia, ipsa est Virtus Dei »
(P. L., 37, 1740 e 1742). PSEUDO-DIONIGI, Circa i divini nomi, c. IV,
n. 7: « Ogni bellezza e ogni cosa bella ha per ragione di causa
una preesistenza in Lui sotto unificante aspetto » (vers. ital. di
E. Turolla, op. cit., p. 231).
4 o SAN TOMMASO, Prima, q. XIII, a. 5: « Cum hoc nomen
1 57
pensiero, al di là di ogni ideale e di ogni valore! 43 O
Dio Vivente!
***
dignum Deo dicant, cum ista non dicunt. Sanctus enim Spi
ritus hoc ipsum hominibus intelligentibus insinuans, quam sint
ineffabilia summa divina, bis etiam verbis uti voluit, quae apud
homines in vitio poni solent, ut inde admonerentur, etiam illa
quae cum a!iqua dignitate Dei se putant homines dicere, indigna
esse illius majestate, in honorificum potius silentium, quam ulla
vox humana competeret » (P. L., XLII, 142). Oppure Sermo 241,
c. VII, n. 9: « Ideo tamen et ad ista verba (paenitere Deum, nesci
re Deum ...) salubriter Scriptura descendit, quae tu exhorres,
ne illa quae magna putas, digne dieta arbitreris etc. Qui autem
et ista transcenderit, et de Deo, quantum homini conceditur, di
gne cogitare coeperit, inveniat ineffabili cordis voce laudandum »
(P. L., 39, 1498; allusione al Salmo 1115, 2: « Tibi silentium laus »).
43 SANT'AGOSTINO, Senno 241, n. 9: « Tamen ista de Deo
dicimus, fratres, quia non invenimus melius quod dicamus. Dico
justum Deum, quia in verbis humanis nihil melius invenio: nam
est ille ultra justitiam... Justum quidem Deum dicis: sed intel
lige aliquid ultra justitiam quam soles de homine cogitare »
(P. L., 39, 1498). Cfr. ISACCO DELLA STELLA, Sermone, n. 5: « Che cosa
è Dio, se Egli è la giustizia? O che cosa è la Giustizia, se essa
è Dio stesso... Ma bisogna dire ciò che si può quando bisogna
parlare dell'ineffabile, di cui nulla può essere detto in termini
propri. Bisogna necessariamente tacere o usare termini presi a
prestito » (vers. frane. di André O. C.). Cfr. SAN GREGORIO, Mo
ralia in lob., 1. XXXV, c. VI, n. 9: « O Domine, judicii tui sen
tentia indicat quantum a luce tuae rectitudinis caecitas nostra
discordat » (P L., LXXXIV, 754 B).
158
gli assicura in tutti gli ordini questa coerenza e questa
sussistenza senza cui egli si dissolverebbe in polvere,
come, senza Dio, si dissolverebbe tutto il mondo. Forma
mea, Deus meus ...
Ma per accedere alla coscienza e divenire, al proprio
posto, un giudizio fra gli altri, quest'affermazione fonda
mentale deve di necessità oggettivarsi. Essa lo fa attra
verso mille forme immaginative, e finalmente si esprime
nella determinazione di un concetto, strumento necessa
rio di ogni pensiero umano. Ma tale strumento necessa
rio, anche dove il suo uso è corretto, non è meno necessa
riamente deficiente. L'Assoluto, che fonda ogni conoscen
za, entra di qui nel sistema delle nostre conoscenze, e
sembra così lasciarsi prendere dalla rete universale delle
relazioni. Il Trascendente che, per definizione « passa
al disopra » di tutte le nozioni elaborate dalla nostra
intelligenza •5 , sembra lasciarvisi racchiudere.
Allora comincia d'istinto, per continuarsi poi con
metodo, l'opera ugualmente necessaria di purificazione
intellettuale. Infatti come salvare l'idea di Dio, se non
si salva l'idea dell'Assoluto, del Trascendente ? A mano
a mano ch'essa si oggettiva e si particolarizza, l'idea di
Dio è dunque presto sottomessa a una dialettica nega-
159
tiva, che si attacca a tutti gli elementi rudimentali da cui
sembra trarre la sua sostanza.
Ma al termine di questa purificazione, si potrebbe
temere che l'affermazione resti vuota. Non sarebbe sol
tanto a questo prezzo che non si sarebbe idolatra? Poi
ché « non è come un concetto » che Dio, alla fine, « ci
invita a porlo, e neppure come un essere il cui contenuto
sarebbe quello di un concetto. A mano a mano che l'og
getto si forma, l'Essere fugge... Al di là di ogni immagine
sensibile e di ogni determinazione concettuale, Dio si
pone come l'atto assoluto dell'essere nella sua pura at
tualità » 46 • Ogni elemento che possa essere afferrato,
qualunque esso sia e attraverso qualunque filtro sia pas
sato, sarà dunque sempre troppo grossolano per espri
mere questo Essere la cui essenza è l'Essere, Essere
puro, puro « Esistere », Atto senza molteplicità né de
terminazione, Soggetto che non può essere predicato,
che bisogna « assolutamente » porre, e di cui bisogna
scartare ogni « qualificazione » come una « restrizione »
sacrilega 4 7 • In queste condizioni, come dire ancora qual-
160
che cosa di Dio? Come saperne qualche cosa? Ogni ras
somiglianza, che si crede di poter notare tra il Creatore
e la creatura, non è subito annullata, e più che annul
lata, da una dissomiglianza maggiore? 48 E non si è co
stretti a confessare che « ciò che Dio è » ci è « completa
mente ignoto » ? 49 • Allora, nel momento preciso in cui
cessa alla fine, grazie a questa purificazione radicale, ogni
rischio di idolatria, non si diventa agnostici, e non si
avrà l'impressione di divenire atei?
Abbiamo visto che questa non è che un'apparenza.
Per l'intelligenza è impossibile retrocedere, non potendo
essa tornare su un'affermazione necesssaria senza men
tire a se stessa. Solo che, per un paradosso di cui non
è neppure possibile evitare la risonanza sensibile, quello
stesso che si oppone a questa conclusione è ciò che ne
produce l'apparenza. Che cos'è infatti, si può chiedere,
un'affermazione pura? Che cos'è un'affermazione, che,
in apparenza, non afferma più nulla, non essendo pro
nunziata da alcun soggetto distinto da essa, e non pog
giando più su alcun oggetto? 50 • « Egli è »: questa Pie-
161
1 1 . - Sulle vie di Dio
nezza, quando vi ci conduce la sola analisi, come non
apparirebbe dapprima un vuoto?
Ancora una volta la prova non è infirmata. Persiste
un'esigenza razionale. L'affermazione resta al centro del
pensiero. Affermazione tenace, ma cosl tenue; tenue,
ma cosl tenace ! 5 1 • Essa vi sorge e risorge di continuo,
sempre pronta a generare senza fìne - malgrado tutte
le critiche e tutti gli scrupoli che s'adoperano a rimuo
verla - lo stesso processo di oggettivazione. Felicemen
te impotente a consolidare nei loro limiti qualcuna delle
forme particolari, in cui cerca di prender corpo, basta
d'altra parte a impedire all'intelligenza di mai riposarsi
nelle negazioni che li seguono, che devono seguirli 52 • A
più forte ragione, le chiude ogni via di ripiegamento;
non permette nessun rinnegamento, nessun dubbio, nes
suna possibilità di riprender la discussione. Il giudizio
sere vittima del metodo, chiamare Dio: Egli t;: » (p. 80). Dio non
è un soggetto che si distingua dal suo atto, né un oggetto, « ma
l'Atto puro di esistere, al di là di una separazione superficiale
tra oggetto e soggetto. Egli è dunque impensabile, o, più preci
samente, per pensarlo occorrerebbe essere Dio. Solo allora, vale
a dire in una presenza, rigorosamente immediata, a se stesso,
sarebbe vissuta e conosciuta al tempo stesso la realtà di Dio ,,
(p. 84). « II Nome divino (Egli tè:) non sarebbe apprezzato senza
una zona di silenzio e di notte rappresentata dai nostri concetti.
Credendo di affermare di Dio che Egli è questo o quello, creatore
o sguardo, Altro o Se Stesso, atteso e raggiunto, noi in effetti
accumuliamo delle negazioni sottili che fanno il vuoto nel
nostro spirito, e realizzano come un appello. Dio è infine colui
che risponderà perfettamente » (p. 154).
5 1 SANT'AGOSTINO, De libero arbitrio, I. Il, c. 15, n. 39: « Certa,
quamvis adhuc tenuissima, forma cognitionis ,. (P. L., XXXII,
1262).
52 Si noti che qui non si tratta di una oscillazione tra
affermazione e negazione di Dio, tra dogmatismo e scetticismo,
ma tra i due tempi della conoscenza: teologia affermativa e teo
logia negativa.
162
della ragione è senza appello. Ciò che è acquisito, rimane
acquisito per sempre.
Non sembra dunque che l'uomo debba oscillare in
cessantemente ·tra questi due poli, senza trovare mai un
porto sicuro dove fissare la propria inquietudine? La
ragione può restare serena, con la sua prova intatta: ma
l'uomo, l'uomo che ragiona, è perplesso. Il problema
teorico in linea di diritto, può venire risolto, le apparen
ze contrarie sormontate: resta però un problema pra
tico, ma fondamentale, il problema dell'uso dell'idea di
Dio nella vita spirituale.
Allora, o meraviglia! , interviene il Dono di Dio,
secondo dono, perché il primo dono, la prima premura
non era altro che lo spirito, l'affermazione stessa. Su
questo datum optimum viene ad innestarsi il donum
perfectum. Esso non aggiunge nulla alla potenza di que
sta affermazione né al valore dei miei fondamenti razio
nali; non apporta alla prova né un supplemento né un
sostituto, di cui d'altronde non ha bisogno. La sua azio
ne appartiene ad un altro ordine, che viene ad assicurare
allo spirito, senza togliergli lo slancio, il possesso tran
quillo del suo oggetto. Viene a porre un termine al suo
turbamento. Spiega senza sforzo una situazione che sem
brava inestricabile, proprio perché esso è « di un altro
ordine, quello soprannaturale ». Esso introduce in noi
come una nuova dimensione. La vita di carità, facendoci
partecipare alla vita stessa di Dio, fornisce perciò stesso
come un contenuto spirituale alla nostra idea di Dio.
Senza ostacolare né scoraggiare l'opera purificatrice, ca
pace anzi di stimolarla, questo contenuto spirituale le
permette di continuare in pace, perché assicura di colpo,
1 63
su un altro piano, la continuità pacifica e, se così si può
dire, l'indispensabile densità dell'affermazione 53 •
Questo Dono non è altro che lo Spirito stesso di ·
Dio - di fatto, « lo Spirito di Gesù» - per mezzo
del quale la carità è diffusa nei nostri cuori. « A dire il
vero, nessuno conosce Dio, se non Dio solo. Lo Spirito
ci concede di conoscerLo in qualche modo, perché ci
assimila a lui. Lo Spirito solo sonda le profondità di
Dio. Lo Spirito solo può darci una conoscenza di Dio
164
che sorpassa, una conoscenza radicalmente inadeguata,
o una conoscenza puramente negativa. Lo Spirito, fa
cendo di noi uomini nuovi, uomini che partecipano della
natura divina, come non esita a dire la seconda epistola
di San Pietro, lo Spirito ci dà la sola conoscenza di Dio
che sia al suo livello, poiché è una conoscenza per conna
turalità » 54 •
Le leggi naturali dell'intelligenza non si trovano per
questo cambiate. L'aumento di conoscenza ottenuto cosl
non è dunque di ordine razionale o filosofico. Meglio: è
più o è meno: è altro. Esso non è l'appannaggio dei
ragionatori e dei sapienti, ma si riferisce a un'esperien
za '5 • Più esattamente : fuori di questa esperienza - la
quale è del tutto spirituale e non cade mai sotto le
strette grossolane della psicologia - essa non è nulla.
Essa ha, da un lato, il carattere privilegiato d'intimità
personale e d'intuizione concreta proprio di ogni cono
scenza religiosa, ma in cambio partecipa del suo caratte
re extra-scientifico. È una conoscenza semplice, e quasi
immediata, sebbene, in realtà, sempre analogica « in spe
culo » 56 • Infatti, « chi ama, dice San Giovanni, è nato
da Dio, e conosce Dio » H. Chi ama, commenta Sant'A-
1 65
gostino, vede l'amore e chi vede l'amore vede Dio : inde
videmus, unde similes sumus; e quest'amore, aggiunge
Guglielmo di Saint-Thierry, è l'occhio stesso che fa vede
re Dio: ipsa caritas est oculus quo videtur Deus 58 • Ma
nel tempo stesso c'è qui una conoscenza precaria e sem
pre oscura, poiché dipende da una vita precaria essa pu
re, piena di « vicissitudini », non posseduta mai come
un bene naturale, e poiché essa non giunge - e neppure
lo cerca - a captare la luce purissima di cui questa vita
è apportatrice nel prisma dei concetti.
Putas quid est Deus? Putas qualis est Deus? Quid
quid finxeris, non est; quidquid cogitatione comprehen
deris, non est. Sed ut aliquid gustu accipias, Deus ca
ritas est. Caritas est qua diligimus 59 •
Novimus haec (de Dea) . Num ideo et arbitramur
nos comprehendisse? Non ea disputatio comprehendit.
1 66
sed sanctitas: si quo modo tamen comprehendi potest
quod incomprehensibile est 6 0 •
Tali sono - indicate schematicamente - le princi
pali tappe della dialettica di Dio, della sua dialettica
concreta nella vita dello spirito concreto. Perpetuamente
sottintese dalla prima, le altre quattro tappe, si gene
rano, si succedono, si mescolano, si combattono, si ar
monizzano, nella complessità sempre in moto di questa
idea più forte di ogni critica, più forte della morte 61 •
1 67
***
Abbiamo un potere di affermazione che sorpassa sia
il nostro potere di concepire che il nostro potere di
argomentare. Quando infatti questi due ultimi si trova
no rimessi in discussione su un punto o l'altro, il primo
resta intatto ed è ancora esso che li rianima e li manda
ad effetto.
Da ciò tutto un andirivieni, tutta una serie di con
flitti, apparentemente irriducibili, ma la cui soluzione,
provvisoria o meno, si trova sempre. Nella zona in cui
si concepisce o si argomenta, appare perennemente com
promesso ciò che meno possiamo impedirci di affermare.
Contro ciò che era stabilito più solidamente, la ragione
critica è indefinitamente inventiva. Tra quelli che ne
fanno uso, gli uni si riportano soprattutto alla nostra
idea di Dio, gli altri alle nostre prove. Dal punto di vista
della sola logica non è sempre facile dar loro torto, poi
ché spesso il credente è maldestro nella giustificazione
razionale di ciò che crede; la sua filosofia può essere
corta, la sua analisi insufficiente; inoltre, in virtù della
sua credenza stessa, egli deve talvolta abbondare nel
senso di quelli che criticano. Tuttavia nulla prevale mai
contro la nostra affermazione e questa rimette incessan
temente in valore e la nostra idea e le nostre prove. Con
tro la critica inventiva essa è inventiva a sua volta.
Infatti è veramente in qualsiasi modo che Dio è il
168
Tutt'Altro. Un processo, che ci conduce ad altri esseri o
ad altre verità, non saprebbe da solo e cosl com'è, con
durci fino a Lui, non più di quanto le rappresentazioni
atte ad esprimere altri esseri o altre verità siano da se
stesse capaci di esprimerLo. Anche dopo che la logica
ci ha costretti ad affermare che Egli esiste, il suo mistero
resta inviolato. La nostra ragione non penetra in Lui 8 2 •
Dialettica e rappresentazione non possono superare la
soglia. Ma al di qua di ogni dialettica e rappresentazio
ne, il nostro spirito afferma già Colui che, raggiunto per
la mediazione della dialettica e della rappresentazione, è
al di là di ogni rappresentazione e di ogni dialettica. E
questa affermazione, passando così dalla notte alla luce,
poi dalla luce a un'altra notte, resta sempre invincibile.
Spiriti creati, siamo uno slancio verso l'Assoluto!
Molte cose ci nascondono a noi stessi e si sforzano di
far deviare questo slancio, il quale però rimane nel no
stro intimo, in attesa di essere liberato. E quando ci
applichiamo a criticare e a rettificare la condotta e i pro
dotti del nostro pensiero, obbediamo alla nostra natura,
siamo fedeli allo slancio che noi siamo. Le nostre criti
che non lo intralciano né lo sviano: è lui stesso che le
ispira e dona loro un senso positivo. E in questo stesso
slancio l'Assoluto ci si fa conoscere.
* * *
Il filosofo e lo spirituale, l'uomo primitivo e quello
civile, il pensatore più personale e il più umile credente,
82 SAN TOMMASO, In librum de Causis, v1: « lllud solum est
capabile ab intellectu nostro, quod habet quidditatem parteci
pantem esse; sed Dei quidditas est ipsum esse ; unde est supra
intellectum ».
169
il « profeta » e il « rrustlco » non convengono soltanto
su una parola quando dicono tutti: « Dio ». Allorché
l'orientamento di ciascuno è giunto, per quanto parziale
e talvolta ristretta sia la loro concezione, essi s'incon
trano realmente, o almeno tendono realmente ad incon
trarsi - e in questa tendenza s'incontrano - quan
tunque l'oggetto a cui ciascuno pensa sia apparente
mente dissimile 83 •
Una sola idea di Dio - come. dell'anima - mal
grado origini empiricamente multiple e così diverse!
170
Malgrado concetti formati così differentemente, malgra
do figurazioni così stranamente lontane !
Come un solo spazio, un solo mondo esterno anche
se si può distinguere l'universo dei suoni, quello dei
profumi, quello del tatto e della vista. . .
Dio è unico! E questa stupefacente convergenza di
tante concezioni, che sembrano indipendenti, è ancora
una testimonianza resa alla sua unicità.
* * *
Dio dell'intelligenza e Dio della coscienza - Dio
della rivelazione soprannaturale e Dio della ragione -
Dio della natura e Dio della storia - Dio dell'essere e
Dio del valore - Dio della riflessione e Dio della pre
ghiera - Dio del filosofo e Dio del mistico - Dio del
l'anima e Dio dell'universo - Dio della tradizione socia
le e Dio della meditazione solitaria ... quanti contrap
posti e quale unità!
Dio infinito e Dio perfetto, perfetto nella sua infi
nità, infinito nella sua perfezione! Dio Assoluto e Dio
personale!
Dio unico dagli aspetti molteplici. Termine unico
dai molteplici approcci! Dio di tutto me stesso ! Dio
di tutti! Nessun accesso a Te è chiuso, su nessuno ho il
diritto di gettare l'interdetta.
... Voces diversae, semitae multae: sed unum per
eas significatur, unus quaeritur 64.
171
***
« Io credo che di Dio Padre possiamo farci una
idea diversa da quella di un vecchio barbuto. Da que
sto lato è la frontiera sacra del nostro spirito, dove
l'uomo lascia dietro di sé i suoi sensi, come Mosè che
abbandona i sandali dinanzi al roveto ardente, come
Gesù che lascia dietro di sé i tre apostoli, prega un
po' più lontano, "alla distanza d'un tiro di pietra", mu
nito solo del suo cuore e della sua intelligenza. È là che
comincia lo spavento metafisico, questa "afasia estati
ca", di cui parla Plotino. Quanto è più acuta e più inten
sa questa idea che abbiamo di Dio, che non quella che
abbiamo di un oggetto usuale, benché non possiamo
esprimerla! » 85 •
***
Idea del Bene, Primo Motore, Essere necessario,
Uno superiore all'Essere, Principio universale, Deità
senza nome né forma; Dio dei Patriarchi, Dio di Mosè e
di Isaia, Maestro sommo, Giudice temibile, Re della
storfa, Padre di Gesù... Dall'uno all'altro vi è un abisso,
e tuttavia è, o almeno può essere, lo stesso Dio.
***
« Fuori vi sono molti che sembrano dentro. Dentro
vi son molti che sembrano fuori ». La parola di Origene
172
e di Agostino 66 è attuale in tutti i tempi. L'abuso che
può esserne fatto non deve nascondercene la verità. E
ciò che è vero dell'appartenenza alla Chiesa non è certo
meno vero della credenza in Dio. Si può essere atei, fa
cendo professione di credere in Dio 67 ; si può essere cre
denti dicendosi atei 68 • Novit Deus qui sunt eius.
***
« Chi scruta la Maestà, sarà oppresso dalla Glo
ria » 69 •
La filosofia diffidi di ogni metafisica da Titani. Non
creda di poter elevarsi da se stessa fino a una vera
« scienza di Dio ». Usi delle sue facoltà critiche per mo
derare l'orgoglio della sua curiosità. Se qualcuno, ritro
vando al termine dei suoi sforzi qualche cosa di ciò a
cui l'inclinava il primo moto del suo essere, afferma
l'esistenza di Dio, egli con questo non fa altro che dare
173
un principio di unità a tutti gli esseri, una base al suo
pensiero, una ragione d'essere alla sua esistenza e un
senso generale all'universo. Egli si limita così « a descri
vere la sola risposta richiesta dal mondo in questione:
Dio stesso non si è ancora svelato » 70 • Continui, al di
là della prova, la sua meditazione: questa non lo farà en
trare mai nell'intimo della natura divina. Ciò che egli
ne presenta è forse quello stesso che lo esclude. Tuttavia
la sapienza di cui sarà capace non gli permetterà di co
minciare a contemplare Dio stesso, « ma solamente l'eco
nomia della sua sapienza » 7 1 •
174
***
« Io non tento, o Signore, di penetrare la tua altez
za, poiché non metto affatto a paragone con essa la mia
intelligenza, ma desidero intravvedere la verità che il
mio cuore ama e crede » 12•
72 SANT'ANSELMO, Proslogio.
175
CAPITOLO V
LA INEFFABILITA DI DIO
177
12. - Sulle vie di Dio
che la penetra - il mistero di Dio gli rivela l'infinito
della sua profondità, e la luce che gli dispensa non fa
che infittire l'oscurità in cui si nasconde. Ciò non signi
fica che da Dio all'uomo si scopra sempre meglio, per
esprimerci esattamente, « l'infinito della distanza » co
me diceva Kierkegaard, quasi che Dio si allontani da
noi con la sua grandezza via via che l'idea dell'infinito
si sviluppa in noi e ci rendiamo meglio conto che il
divino non è « un semplice superlativo dell'umano » 3 •
Non si tratta di allontanamento né di distanza; o, alme
no, queste parole non esprimono che un aspetto della
realtà. Dio non si sottrae al nostro orizzonte, non ci
sfugge, o, meglio, non permette che Gli sfuggiamo: ma
in ciò stesso ci si rivela come Dio, cioè come incommen
surabile e « irraggiungibile » cioè « inafferrabile ». Si
può dunque senza timore ingiungere alla ragione di
« comprendere » : quanto più essa vi riuscirà scoprendo
nell'Oggetto divino nuove meraviglie, tanto magglor
mente si troveranno mortificati la sua brama di conosce
re e il suo desiderio di abbracciare 4 •
178
« L'esercizio della speculazione », diceva il Carmeli
tano Domenico di Sant'Alberto 5 , « è la morte più pro
fonda che lo spirito più innamorato possa patire >), E il
nostro Pellegrino cherubico, Angelo Silesio:
Più conoscerai Dio, tanto più confesserai
Che tu sempre meno puoi esprimere ciò che Egli è 8 •
Amictus lumine sicut vestimento.
***
Lo spmto, che si sforza di « comprendere » Dio,
non è paragonabile all'avaro, che ammucchia una quan
tità di oro - una somma di verità - sempre più con
siderevole. E neppure rassomiglia all'artista, che ripren
de sempre da capo un abbozzo per renderlo ogni volta
meno imperfetto e per riposarsi finalmente nel godi
mento estetico della sua opera. È piuttosto come il nuo
tatore, che, per tenersi sui flutti, avanza nell'oceano co
stretto a respingere una nuova onda a ogni bracciata 1 •
Esso scarta, incessantemente, le rappresentazioni che si
riformano sempre, ben sapendo che lo portano, ma che
arrestarsi significherebbe perire 8 •
179
Quantumcumque in altum cogitatio proficiat, ultra
est 0 •
Si comprehendisti, non est Deus. Si comprehendere
potuisti, aliud pro Deo comprehendisti. Si quasi com
prehendere potuisti, cogitatione tua te decepisti 1 0•
180
. . . Quidquid scientia comprehenditur, scientis com
prehensione finitur.
. . . Si finisti, non est Deus 11 •
***
Quando diciamo che Dio è ineffabile, non significa
che non se ne possa dire nulla di vero 12! Né significa
181
che non vi sia nulla da dire a suo riguardo, che di lui
dobbiamo senz'altro tacere, che gli attributi dati a lui
dagli uomini siano tutti sinonimi, o che senza discri
minazione tutto si possa affermare di lui o tutto nega
re 13 • E neanche signifìca che tutto ciò che se ne dice
non abbia che valore pragmatico e provvisorio. L'inef
fabilità divina è riconosciuta al termine di una dialettica,
da cui essa trae signifìcato preciso, eminentemente posi
tivo. Chi la professa non si perde nel vuoto e nell'in
distinto, ma compie e corona uno sforzo di rigore nel
pensiero. Né annulla i risultati di questo sforzo, ma ne
raccoglie il frutto nella sua stessa negazione.
Altrettanto, anzi più che in qualsiasi altro argomen
to, le nostre idee concernenti Dio chiedono di essere
condotte con ordine. Nulla sarebbe peggiore di una
« teologia negativa » che giungesse prematura. Il giuo
co dell'affermazione e della negazione non è un giuoco
senza regole. Le diverse qualità di Dio che vengono
affermate - e che, d'altronde, non lo sono tutte al me
desimo titolo né al medesimo modo - non si identifi
cano, come dev'essere, che trascendendosi e negandosi,
ecc. Dio dunque non è ineffabile nel senso che sia inin
telligibile, ma è ineffabile perché resta sempre al di
sopra di tutto ciò che ne possiamo dire.
Egli è sempre al di sopra di tutto quanto effettiva-
ineffabilis est, quia per verba, sicuti est nullatenus valet aesti
mari ; et falsum non est, si quid de illa, ratione docente, per
aliud velut in aenigmate potest aestimari » (P. L., CLVIII, 212 B).
1 3 Vedere ad esempio la proposizione condannata nel 1348:
« Quod propositiones: Deus est, Deus non est. penitus idem
significat, Iicet alio modo ». Errores Nicolai de Ultricuria, n. 3
(DENZINGER-BANNWART, op. cit., n. 555, p. 222).
182
mente se ne deve dire da principio, e che non sarà mai
semplicemente rinnegato: infatti negare non è rinne
gare, poiché è sempre la stessa attrattiva del Dio semper
major che prima fa affermare, poi negare nel corso di
un medesimo moto, cioè di una medesima affermazione.
L'ineffabilità non è che un altro nome della trascen
denza assoluta. Il silenzio non è al principio, ma è al
termine.
Diximusne aliquid et sonuimus aliquid dignum Deo?
Imo vero nihil me aliud quam dicere voluisse sentio:
si autem dixi, non est quod dicere volui. Et fit nescio
quae pugna verborum, quoniam si illud est ineffabile,
quod dici non potes, non est ineffabile quod vel ineffa
bile dici potes. Quae pugna verborum silentio cavenda
potius quam voce pacanda est... 1 4 •
***
.. .In fondo, nella dialettica delle tre vie che dànno
accesso alla conoscenza umana di Dio (affirmatio, seu
positio; negatio, seu remotio; eminentia, seu transcen
dentia), la via eminentiae, più che succedere alla via ne
gationis, la esige, la ispira e la guida. Se essa è ultima,
è perché già essa stessa è segretamente in primo luogo,
superiore e anteriore alla stessa via affirmationis. Essa
183
resta incessantemente la luce e la norma, senza poter
mai prendere forma definitiva riguardo all'intelligenza;
nube luminosa che non lascia di indicarci il giusto cam
mino nel deserto del nostro pellegrinaggio terreno; for
za segreta, che suscita le operazioni della conoscenza
oggettiva, e in segu ito le costringe a correggersi. È per
questo che senza timore, dopo le prime affermazioni
necessariamente superabili, si può impegnarsi, per non
uscirne più, nella via negationis. Compresa e posta così,
essa è solo apparentemente negativa, o è negatrice di sole
apparenze. In altri termini, forse più esatti, per quanto
essa sia realmente negativa, e negativa senza ritorni, la
via negationis è tutto l'opposto di una via negatrice.
Negatività non è negazione. La « teologia negati
va », teologia che moltiplica le negazioni, non è tuttavia
una teologia di negazione. Il moto di negatività che la
distingue non è un rimettere in questione, così come il
moto di trascendenza o di eminenza che essa implica
non è un ritorno indietro.
Di conseguenza, l'affermazione resta sempre, trion
fa sempre, e nella sua forma più alta; trionfa mediante
la negazione, che utilizza come unico mezzo per suppli
re alla propria insufficienza.
E trionfa nella negazione stessa, nella negazione che
non la elimina, ma la costringe a superarsi e che non
è se non l'aspetto del moto di trascendenza che si può
cogliere oggettivamente 1 5 • Essa trionfa sempre perché
15 Cfr. SAN TOMMASO, Contra Gentiles, I. I, c. xxx: « Modus
autem supereminentiae... significari non potest, nisi per nega
tionem ... , ve! etiam per relationem ipsius (Dei) ad alia ». Prima,
q. XIII, a. 1: « Cognoscitur (Deus ) a nobis ex creaturis secundum
habitudinem principii, et per modum excellentiae et remotio-
184
è la prima e perché tutto si svolge necessariamente sotto
il suo segno; è certa di trionfare alla fine, perché nono
stante molti indizi, che possono ingannare, è in fondo
lo spirito stesso.
Lo spirito non è, come si è preteso, « quello che
nega », ma quello che afferma. Lo spirito non è rivol
ta né opposizione né rifiuto, ma è adesione. Tutte le
sue negazioni e le sue rivolte, tutte le sue opposizioni
e tutti i suoi rifiuti, in ciò che hanno di fondato, si spie
gano con le esigenze di questa affermazione e di questa
adesione. Se queste esigenze restassero misconosciute,
lo spirito, infedele alla sua legge, ricadrebbe nella schia
vitù delle forze naturali, da cui si era affrancato, e da
cui deve affrancarsi perennemente, mediante le sue ne
gazioni, le sue opposizioni, le sue rivolte, i suoi dinieghi.
***
« Un'analogia che partisse solamente dal basso non
potrebbe riuscire a nulla. Per quanto la si voglia nega
tiva, bisogna nondimeno che si possieda già in qualche
modo, se non altro sotto forma di aspirazione o di biso
gno, ciò che si cerca di raggiungere indirettamente. Se
parto dalla mia esperienza e dalle mie rappresentazioni
della giustizia o dell'amore, e cerco, con l'analogia e
con la negazione di tutti i limiti, di qualificare Dio come
Giustizia o Amore assoluti, sorge un'alternativa.
185
O la sostanza del mio processo è una specie di estra
polazione per cui ciò che viene proiettato nella regione
inaccessibile resta fondamentalmente omogeneo al pun
to di partenza; nel qual caso non avremo che un Dio
fatto a nostra immagine e il processo è dello stesso tipo
del processo antropomorfico; oppure abbiamo in noi
(e, in realtà, è quello che si suppone) una possibilità,
una legge di superamento che ci fa porre, al di fuori
delle nostre valutazioni, un assoluto di giustizia e di amo
re. Tale superamento non è concepibile, se fin dall'ini
zio, questo assoluto in qualche modo non agisce in noi.
L'analogia va rovesciata; ciò che nella nostra esperienza
chiamiamo giustizia e amore, è tale solo perché confer
ma o esprime qualche cosa di questa aspirazione o di
questa presenza » 1 8 •
***
« ... Hinc advertere est, quam longe agimus a sum
mo Bono, qui carere culpam, justitiam, carere miseriam,
beatitudinem indicamus! » 1 7 •
* * *
In sostanza noi neghiamo di Dio tutto ciò che, par
tendo dalla creatura, all'inizio abbiamo affermato. A
questa legge non sfugge nulla. Nessuna eccezione è con
cepibile. Ma non neghiamo tutto nello stesso momento
della dialettica, né per le medesime ragioni, né alla
1e G. MADINIER, Conscience et signification ( 1952), pp. Ss-89.
17 Sermones de dedicatione Ecclesiae, IV, 5 (P. L., CLXXXIII,
529 B).
186
stessa maniera. Se è vero che c'è un abisso insupera
bile tra l'Essere unico del Creatore e la totalità delle
creature, non è meno vero che nella partecipazione
delle creature all'Essere del Creatore vi sono gradi dif
ferenti. Non è possibile porre sullo stesso piano, a uso
analogico, ciò che proviene dai sensi e ciò che proviene
dallo spirito, o ciò che è ottenuto con uno sforzo di
attrazione e ciò che è attinto dall'esperienza interiore.
Non è possibile assimilare l'antropomorfismo del corpo
e quello dell'anima, ecc. Inoltre, non distinguiamo solo,
come già faceva San Giustino, due specie di attributi
divini, concernenti gli uni Dio in se stesso e gli altri
le sue operazioni ad extra, per professare che i soli
nomi dei primi sono veri « nomi divini » 18• Con lo
Pseudo-Dionigi distinguiamo ciò che di Dio è detto
senza verità reale e ciò che è detto con verità, sebbene
quest'ultimo sia poi negato con maggior verità. Seguen
do la tradizione agostiniana, distinguiamo l'immagine
di Dio da quella che ne è l'impronta (vestigia), più o
meno lontana, più o meno offuscata. Con Giovanni Scoto
Eriugena, tra i vocaboli che applichiamo a Dio, ne di
stinguiamo alcuni « quasi propria », e altri che sono
« aliena, hoc est translata ». Con Sant'Anselmo distin
guiamo ancora le qualità « non meliores quam non
ipsae » e le qualità « meliores quam non ipsae », richia
mandoci che, se è vietato supporre che l'Essere perfetto
sia « aliquid quo melius sit aliquo modo non ipsum », è
però necessario confessare che è realmente « quidquid
omnino melius est quam ipsum » 1 9 • Infine distinguiamo,
18 SAN GIUSTINO, I Apol., 1, 3.
re G. Sroro, De praedestinatione, IX, 2 (P. L. CXXII, 390-391) ;
1 87
con tutta la Scuola, le « perfezioni miste », che in nes
sun modo possono trovarsi in Dio, e le « perfezioni sem
plici » o « pure », che debbono trovarvisi in maniera di
versa che in noi.
Ora il risultato di queste distinzioni non è mai total
mente abolito, come se esse non fossero state che illu
sorie. Tanto altius creatrix essentia cognoscitur, quanto
per propinquiorem sibi creaturam indagatur 2 0 • Tale
principio non cessa mai di essere vero. Le nostre nega
zioni, infine, riguardano tutto, ma sono pur sempre
relative e poste successivamente: perciò non si equival
gono tra loro. Esse, se ci si consente questa immagine
troppo imperfetta, non si identificano alla base, sebbene
si ritrovino al vertice. Allora si verifica tra esse una
specie di « livellamento dall'alto ». I loro significati par
ticolari restano diversi, diversissimi, pur sfociando tutti
insieme in questa costatazione obbligata che Dio è sem
pre al di sopra.
I gradi di partecipazione sono reali e diversi, ma
« Egli (Dio) è la causa impartecipata di tutte le cose
partecipanti e di tutte le partecipazioni » 2 1 • La creatura
spirituale è simile a Dio, tuttavia Iddio « per eminenza
e per prelazione trascendente l'universo, in quanto è,
188
non è simile a nulla » 22 • « Nessun principio d'unità o
di fecondità, né altra cosa alcuna o cosa qualsiasi cono
sciuta dalle creature può dare esplicazione a quell'arca
no, che trascende ogni cosa, ragione e mente, della su
prema Divinità, in grado di eminenza per trascendenza
oltre l'essere dimorante; non c'è nome di Lei, non c'è
ragione; ma se ne sta distaccata e alta in inaccessibili
luoghi » 23 •
Tuttavia, come finiremmo il processo di negazione,
come proclameremmo con questa intrepidità che Dio
è sempre al di sopra, se non in virtù di qualche esigen
za, perfino anteriore a ogni tentativo di concezione, cioè
in virtù di una specie di affermazione prima e invinci
bile? È essa che ci forzerà, giunto il momento, a nega-
22 Id., ibid., c. IX, 6 (p. 282), ecc. Cfr. SAN TOMMASO, Contra
1 89
re tutto: essa non può dunque esser negata, poiché
raccoglie in sé quanto vi era di verità, di verità non
isolabile concettualmente, poiché non possiamo conce
pire propriamente ciò che in Dio è il modus altior o
eminentior di cui parla San Tommaso, il modus quidam
singularis di cui parla Sant'Anselmo, in tutte le affer
mazioni che essa ci fa respingere. Essa è l'anima perma
nente delle nostre negazioni, e se giungiamo a rinne
garla, il processo di negazione dovrebbe arrestarsi; allo
ra per un immobilizzarsi del pensiero, che equivarreb
be a negare che Dio sia sempre al di sopra, cadremmo
non nell'ateismo, ma nell'idolatria « attribuendo all'im
magine ciò che non conviene che alla verità » 24 , per il
fatto stesso che attribuiremmo alla verità ciò che non
conviene che all'immagine.
La forza di negazione che è in noi non è dunque una
forza negativa: facendoci sempre affermare Dio, senza
mai permetterci di arrestarci a nulla indegno di Lui,
si manifesta alla riRessione come una forza doppiamen
te positiva. Per mezzo del principio che la mette in ope
ra; essa fa della nostra idea di Dio, sotto la negatività
della sua forma, una idea non semplicemente, ma emi
nentemente positiva.
***
Noi non sappiamo di Dio ciò che è... Ma questo
può avere due significati. Un primo senso, volgare, <li
ignoranza generica, e che va respinto; un secondo sen-
190
so, particolare, riguarda solo Dio: noi non sappiamo
ciò che Dio è, ma sappiamo ciò che Egli non è. O, piut
tosto, noi diciamo di non sapere ciò che Egli è perché
sappiamo ciò che non è. Queste due ultime affermazioni
sono solidali. Difatto sono identiche. Non sapere ciò
che Dio è significa sapere ciò che Egli non è. E questa
è scienza altissima. Respingendo di Dio ogni significa
zione che, tale e quale, converrebbe alla creatura, affer
miamo che Dio partecipa di ogni creatura: in breve, noi
lo proclamiamo Dio.
Deus, qui melius nesciendo scitur 25 •
***
191
dubbio affermare l'esistenza di un essere, qualunque
esso sia, senza darne almeno una qualche definizione 2 1 •
Ma una cosa è la definizione propriamente detta di una
essenza, e altra cosa è la determinazione di una fun
zione. Nel caso di Dio, quale l'argomento lo pone, solo
quest'ultima è possibile, almeno sotto forma positiva,
e perché Dio possa esplicare la funzione attribuitagli
dall'argomento stesso che lo pone non è necessario sa
perne di più; è anzi persino necessario non saperne
troppo.
In altre parole, perché la prova di Dio, movendo
dal mondo, sia valevole, perché sia veramente prova di
Dio, non è indispensabile che si possa, a rigore di ter·
mini, conoscere qualche cosa dell'essenza divina : sem
bra, al contrario, indispensabile non poterne conoscere
nulla. Infatti solo cosl lo conosciamo come distinto da
tutto il resto. E se ne potessimo conoscere qualche cosa
nel senso in cui conosciamo qualche cosa del mondo o
degli oggetti del mondo, è che questa essenza, come le
altre, entrerebbe più o meno essa pure nelle categorie
del pensiero e cadrebbe nel « genere ».
Da quel momento anch'essa farebbe parte di questo
mondo e non ci sarebbe più di nessun aiuto per spie
gare il mondo stesso. Sarebbe tutto da ricominciare e
noi saremmo nell'imbarazzo 28 •
192
Ma da un lato, quale ricchezza di riflessione non tro
va l'intelligenza nello stesso contrasto tra un mondo
che si lascia conoscere e spiegare e Colui senza il quale
questo mondo è nulla! Quale differenza non vede su
tutti i punti tra le ignoranze comuni e quest'ignoranza
qualificata! Quale scienza paradossale in questa ripulsa
di ogni scienza! Quale pienezza nel vuoto che si apre
dinanzi ad essa, quale luce nell'oscurità! Come potrebbe
non sentire che la sua impotenza di fronte a Colui
che non può definire è il segno evidente non d'una de
ficienza ma di un incomparabile soprappiù? Hoc est
quod Deum aestimari facit, dum aestimari non capit 29 •
D'altra parte, lasciando il mondo e la sua spiegazio
ne, non ha essa ancor più direttamente l'evidenza che,
più le sue negazioni diventano incalzanti e rigorose, più
sono comandate da una affermazione preliminare e in
condizionata, la cui forza superiore a ogni altra non può
esprimersi diversamente ?
Per alcune cose da precisare vedere pure più sotto. Cfr. SAN
TOMMASO, Contra Gentiles, 1. I, c. XIV: « In consideratione sub
stantiae divinae non possumus accipere quid quasi genus, nec
distinctionem ejus ab aliis rebus per aflìrmativas differentias
accipere possumus... Tunc de substantia ejus (Dei) erit propria
consideratio cum cognoscetur ut ab omnibus distinctus, non ta
men erit perfecta cognitio quia non cognoscetur quid in se
sit ». Per alcuni passi da precisare concernenti il pensiero di
San Tommaso, cfr. H. F. DoNDAINB, O. P., Cognoscere de Deo
« quid est » in Recherches de théologie ancienne et médiévale,
t. XXII, 1955, pp. 72-78. G. Sroro, op. cit., I, 15: « Sed, ut ait
Sanctus Pater Augustinus in Libris de Trinitate, dum ad theolo
giam, hoc est, ad divinae essentiae investigationem pervenitur,
categoriarum virtus omnino extinguitur » (P. L. CXXII, 463 B);
72: « •••lam nunc nullam categoriam in Deo cadere, incunctanter
intelligo » (518 B).
2 0 TERTULLIANO, Apologeticus, c. XVII (P. L., I, 376 A).
1 93
13. - Sulle vie di Dio
***
I nostri concetti hanno effettivamente il potere di
significare Dio, e tuttavia non possiamo, propriamente
parlando, cogliere Dio in nessuno di essi o, piuttosto, è
proprio questo non-cogliere che essi lo significano vera
mente. Dio non sarebbe ciò che è, non sarebbe Dio, se
non fosse, non l'Inconoscibile, ma l'Inafferrabile 30 • Egli
resta dunque sempre al di sopra di tutto ciò che possia-
30 SAN TOMMASO, De Veritate, q. II, a. I, ad 9m: « Tunc
intellectus dicitur scire de aliquo, quid est, quando definit ipsum,
id est quando concipit aliquam formam de ipsa re quae per
omnia ipsi rei respondet. Jam autem ex dictis patet quod
quidquid intellectus noster de Deo concipit, est deficiens a
repraesentatione ejus; et ideo quid est ipsius Dei semper nobis
occultum remanet; et haec est summa cognitio quam de ipso
in statu viae habere possumus, ut cognoscamus Deum esse supra
omne id quod cogitamus de eo, ut patet per Dionysium ». Cfr.
De Veritate q. VIII, a. 1, ad 8m ; q_ x, a. 11, ad 4m: « Intellectuali
visione in statu viae Deus cognoscitur, non ut sciatur de eo quid
est, sed quid non est... » Prima, q. XIII, a. 2.
Commentando la dottrina tomista delle perfezioni di Dio,
E. GILSON (Le Thomisme, IV edizione, p. 171) scrive: « Senza
dubbio è per noi un preziosissimo guadagno sapere che Dio è
eterno, infinito, perfetto, intelligente e buono, ma non dimenti
chiamo che il "come" di questi attributi ci sfugge, poiché se
alcune certezze dovessero farci dimenticare che l'essenza divina
ci resta sconosciuta quaggiù, sarebbe meglio per noi non posse
derla mai. L'esistenza di Dio sfugge alla nostra comprensione.
Possiamo dunque concludere con Dionigi l'Areopagita, ponendo
la conoscenza più alta riguardante la natura divina che ci sia
permesso di acquistare in questa vita nella certezza che Dio resta
al di sopra di tutto ciò che pensiamo di Lui ».
Ciò non suppone in noi più che in San Tommaso una
« critica corrosiva della conoscenza intellettuale ,, o una « diffi
denza nei riguardi del ragionamento ». D'altra parte, è ben vero
che « tutto il processo » qui contenuto « dei concetti di Dio non
si può spiegare oggettivamente che di fronte ad una analogia
dei nomi divini quasi univoca » e che essa « non è quella inse
gnata da San Tommaso dopo il Concilio Lateranense ». Non ve
diamo però perché si è creduto di poter supporre qui da parte
194
mo o pensiamo di Lui : Super omnia quae praeter ipsum
sunt et concipi possunt ineffabiliter excelsus 31 •
« L'Innominabile è il più bello di tutti i suoi nomi,
poiché lo pone di colpo al di sopra di tutto ciò che si
potrebbe tentare di dire di Lui» 32•
Parallelamente non ci è possibile racchiudere tutta
intera in una formula o in un argomento qualunque -
in quanto questo argomento stesso è formulato, e quin
di particolareggiato nel tempo stesso che ridotto a uno
schema comune - l'operazione dello spirito che real
mente e proprio per mezzo di questi argomenti e di que
ste formule ci conduce fino a Dio. Ma come poco sopra
concludevamo che i nostri concetti hanno il potere effet
tivo di significare Dio, così possiamo ora affermare che i
nostri argomenti non hanno forza probativa e non sono
195
quindi inutili. Senza di essi l'operazione fondamentale
dello spirito non potrebbe oggettivarsi e « prendere cor
po », per cui non potremmo rendercene conto. Ma, co
me molti filosofi hanno riconosciuto, questi diversi ar
gomenti, considerati nella loro formulazione oggettiva e
particolare, non fanno altro che esprimere razionalmen
te, ciascuno a suo modo, il moto essenziale dello spi
rito 33 • La Presenza nascosta che lo suscita e lo mantiene
non è tale che si possa trascurare di convertirla in prova,
_ed è questo l'ufficio specifico della ragione. Ma quest'ul
tima non capta mai nelle sue « vie », come in altrettanti
canali, che una parte della linfa sovrabbondante e sem
pre rinnovata che costituisce la vita dello spirito e non
cessa di imprimergli il suo moto essenziale.
Infatti come l'Essere è al di sopra di ogni rappresen
tazione 34 cosi lo spirito, nel suo palpito segreto, è al di
sopra di ogni processo logico analizzabile. O, se si prefe
risce, è al di sotto, come la « radice comune » e la « mol
la nascosta » di tutti i processi 35 •
1 96
E questo linguaggio, nella sua stessa verità, resta an
cora inadeguato. In realtà, Colui che chiamiamo l'Essere
e che altri, correggendosi però subito, non hanno temu
to di chiamare paradossalmente il « Nulla assoluto », il
« Niente » 38 , il « puro e nudo Nulla », il « Nulla eter
no » 37 , non è rappresentato, a rigor di termini, dal con
cetto di essere più che da qualsiasi altro concetto 38 • Si
può certamente dire - e talvolta si dovrà anche dire
per non svegliare l'errore in intelligenze mal provvedute
- che i nomi che diamo a Dio, e anzitutto il nome di
1 97
« Essere », ce Lo rappresentano in qualche modo, seb
bene assai imperfettamente. Ma se si vuole andare fino
all'estremo dell'esattezza, non si potrà aggiungere che
l'essenza divina non ha in noi una rappresentazione pro
priamente detta e che non vi è un sol nome che, appli
cato a Dio, Lo possa significare « quidditativamente » 39 •
Nullum est nomen Dei, quod ipsum quidditative signifi
cet, seu repraesentet, et hac ratione merito ineffabilis di
citur 40 • « L'esclusione di ogni elemento di definizione
riguardante Dio », si estende fin qui: ma giunge « fino
cioè sapere ciò che Dio è". Dire che quid est Deus è qualche
cosa di omnino ignotum per l'uomo in questa vita (In Epist. ad
Romanos, c. I, lectio 6), è porre ogni conoscenza, imperfetta o
perfetta, dell'essenza di Dio come radicalmente inaccessibile al
l'uomo quaggiù. "San Paolo, ci dice San Tommaso, ha parlato
dell'invisibilia Dei perché ciò che in Dio risponde a questi nomi
o ragioni non è visto da noi" ».
se La conoscenza di Dio che San Tommaso ci accorda, dice
ancora E. GILSON (p. 154) « non influisce affatto sulla sua essenza,
cioè sul suo esse ». Ciò non impedisce, ben inteso, che noi pos
siamo dare riguardo a Dio giudizi veri, poiché la direzione del
polo, verso cui essi orientano il nostro intelletto, ci è nota.
Perciò se non possiamo raggiungerlo, possiamo almeno rivolgerci
verso di Lui e saperlo con certezza. Di conseguenza « per sfug
gire allo "agnosticismo di concetto" a cui alcuni male si adat
tano, quando si tratta di Dio, non bisogna cercare rifugio in
un concetto più o meno imperfetto dell'essenza divina, ma nella
positività dei giudizi affermativi, che partendo dagli effetti multi
pli di Dio, collocano, per così dire, il luogo metafisico di un'es
senza che non possiamo assolutamente concepire » (pp. 156-157).
Così sembra possano essere ancor dati i testi tanto categorici in
cui San Tommaso, a proposito di Dio, ci rifiuta ogni conoscenza
del quid est, con quelli in cui egli osserva che, per Dio come
per ogni altro oggetto, la conoscenza del an est non va mai
senza una certa conoscenza del quid est. Vedere, ad esempio,
In Boetium de Trinitate, q. I, a. 2, c. e ad 2m, e q. VI, a. 3.
40 SUAREZ, Tractatus primus de divina substantia, I. Il, c.
XXXI, n. 10. Il che non gli impedisce di dire pure, n. 15: « Nomina
quae nobis imperfecte Deum repraesentant... ,. (Opera omnia,
edizione Vivès, t. I, pp. 184-185).
198
alla qualificazione di Dio in quanto essere» 41 • Deo quasi
ignoto conjungimur 42 •
Se definire è sempre più o meno determinare, come
si potrebbe definire Colui il cui essere esclude ogni de
terminazione? » 43 • Non abbiamo paura di riconoscere ta
le realtà contro tutte le tentazioni ontologiste, gli istinti
41 A. D. SERTILLANGES, in SAN TOMMASO D'AQUINO, Somme
théologique (edizione della « Revue des Jeunes »), Dieu, t. II, p.
383, commentando I Sent., d. 13, a. 1, ad 4m. Cfr. p. 341:
« L'essere che serve a chiamare Dio nell'espressione Colui che è,
non è l'essere di Dio, ma l'essere delle creature. Bisognerà
ricordarsene quando si dirà... che l'essere stesso non potrebbe
attribuirsi a Dio senza subire, come tutte le altre parole umane,
la trasposizione anologica ».
Cfr. SUAREZ, Disput., xxx, sectio 12, n. 10: « Licet cognosca
mus Deum esse ipsum esse per essentiam, tamen, neque proprie
concipimus quale sit illud esse, neque etiam concipere possumus
quid sit ipsum esse per essentiam, nisi negationem scilicet,
quia esse est ens actu, id est, non ab alio, et propriam perfec
tionem illius esse etiam per negationem declaramus, quia est in
finitum » J. MARÉCHAL, Le Point de départ ecc., quad. V, pp.
176-177: « L'essere puro esclude ogni ulteriore determinazione,
perché non contiene alcuna specie di "potenza"... L'essere astrat
to... è in potenza riguardo a ogni determinazione ». Cfr. SAN
TOMMASO, Prima, q. Ili, a. 4, ad lm.
42 SAN TOMMASO, Prima, q. Xli, a. 13, ad lm: « Licet per
revelationem gratiae in hac vita non cognoscamus de Deo quid
est, et sic ei quasi ignoto conjungamur... ». De potentia, q. VII,
a. 5: « Dicendum quod, ex quo intellectus noster divinam sub
stantiam non adaequat, hoc ipsum quod est Dei substantia
remanet nostrum intellectum excedens ; et ita a nobis ignoratur.
Et propter hoc, illud est ultimum, cognitionis humanae de Deo,
quod sciat se Deum nescire, in quantum cognoscit, illud, quod
Deus est, omne ipsum, quod de eo intelligimus excedere ».
43 In I Sent., d. 8, q. I, a. ad 4m: « Hoc nomen "qui est"
dicit esse absolutum et non determinatum per aliquid additum ;
et ideo dicit Damascenus quod non significat quid est Deus, sed
significat quoddam pelagus substantiae infinitum, quasi non de
terminatum. Unde quando in Deum procedimus per viam re
motionis, primo negamus ab eo corporalia ; et secundo etiam
intellectualia, secundum quod inveniuntur in creaturis, ut bo
nitas et sapientia ; et tunc remanet tantum in intellectu nostro,
199
pragmatisti, o i meschini desideri di un Dio apparente
mente più vicino. È questa una delle forme che deve
200
prendere il nostro amore della verità, ed è uno dei so
stegni della nostra adorazione: Deus semper major. La
imperfezione costatata nella nostra rappresentazione por
ta con sé, in un secondo tempo, la sua negazione: Deus,
de quo negationes, magis verae sunt 44 • Ma una volta di
più dovremmo comprendere che la negazione toglie sol
tanto i limiti all'affermazione che la precedeva 45 ; di
conseguenza ancora una volta risulterà il senso, in fondo
tutto positivo, di questa negazione necessaria.
Tale « operazione dello spirito », da cui risulta l'af
fermazione di Dio, non è un'operazione nel senso pro
prio del termine, cioè nella sua accezione comune. O,
per lo meno, non è soprattutto ciò. È piuttosto, nel
suo primo istante logico, una recezione, un'ouverture
sostanziale, un accoglimento; di conseguenza una prima
passività.
Essa non è attività che in maniera derivata. Anche
qui il linguaggio spontaneo deve essere corretto o alme
no controllato accuratamente. « Noi riceviamo, inces
santemente, una ragione superiore a noi ». Partecipia
mo a una luce che viene molto dall'alto, la nostra intel
ligenza non afferma l'Assoluto - con un affermare sem
pre astratto - senza essere stata afferrata da Lui 40 • È
44 ISACCO DELLA STELLA, In Sexagesima sermo V: « Proprius
enim de illo omnia negamus quam omnium aliquid affirmamus »
(P. L., CXCIV, 1762 C).
45 J. ALVAREZ DE PAZ S. J., De inquisitione pacis, I. V. P. I..
app. III, c. 1: « In Deo, ut Dionysius sapienter animadvertit,
istae affirmationes et negationes non sunt oppositae: quia cum
Deo, v. g., sapientiam attribuimus, perfectionem illam, qua
seipsum et cuncta in se cognoscit, concedimus: cum vero eam
dem sapientiam subtrahimus, modum illum sapientiae limita
tum, quo eam concipimus, denegamus » (Opera, t. VI, p. 463).
48 F�NELON, Traité de l'existence de Dieu, prima parte, c. u.
201
ciò che si esprimerà dicendo, con una tradizione che
risale a San Paolo, che se vi è conoscenza di Dio, anche
naturale, in fine dei conti è per « rivelazione » di Dio 4 7 •
« Per essere illuminato bisogna essere guardato » 48 •
« Signum est super nos lumen Vultus tui, Domine! » 49 •
202
***
Quando se ne sa il nome, si crede di possedere la
cosa. Si crede di possedere l'essere. Ma è forse meglio
non credere troppo presto di poter dare un nome a
Dio 50 •
Non ignorabatur Dei nomen, sed piane Deus ignora
batur.
« Egli resta fuori dei nomi che gli vengono dati » 51 •
203
***
« Quid ergo est Deus? - Quod ad universum spec
tat, finis; quod ad electionem, salus; quod ad se, Ipse
novit » 52 •
***
Non si deve dire: Dio non è buono; e mcompren
sibile; ma bisogna piuttosto dire: Dio è la Bontà stessa,
ed è appunto tale Bontà che io non posso comprendere.
Non si deve dire: Dio non è Padre, Egli è Abisso; ma
si deve dire: « Dio è un Abisso di Paternità » 53 •
***
Supponendo che per l'intelligenza non sia impossi
bile riunire in sé l'Universo e sviscerarne in un modo o
nell'altro l'essenza intelligibile, si può credere che ciò
sia cosa degiderabile? Non sarebbe piuttosto una cosa or
ribile ? Perché ? Non più possibilità di scoperte, non più
possibilità di meraviglia! Non più davanti a me nuove
profondità da esplorare! « O desiderio di desiderare ! -
204
grida Zaratustra - o fame divorante nella sazietà! » 5 4 •
E senza romanticismo da Prometeo già Il Pellegrino
cherubico diceva:
205
***
« In questa vita bisogna parlar poco: si può parlare
del mondo, della materia, dell'anima, delle creature ra
gionevoli buone o cattive, del giudizio, delle ricompen
se, delle pene, delle sofferenze di Gesù Cristo; ma assai
sobriamente di Dio quando si vuole considerare, non
ciò che egli ha detto o fatto, ma ciò che egli è » 58 •
« Vi dirò, amici e discepoli miei, o miei cari emuli
nell'amore della verità, ciò che mi è capitato nella sua
ricerca.
» Correvo con un ardore infaticabile, come se al più
presto avessi dovuto raggiungere Dio; ero salito sulla
montagna, ero penetrato attraverso la nube con Mosè,
e, lontano da tutti gli oggetti materiali in cui il mio spi
rito si era dissipato, ero rientrato in me stesso per
quanto mi era stato possibile. Ma, poiché allora io pen
savo di poter posare gli occhi su Dio stesso e guardarlo
in viso, costatavo di poter appena scorgere nelle sue
opere il lato che egli volgeva dalla mia parte; inoltre non
ottenevo questa grazia che stando nascosto nella roccia,
cioè nel Verbo incarnato per la nostra salvezza. Ho dun
que compreso che questa prima e purissima natura non
era conosciuta che da se stessa, che era nascosta da un
velo, che i Cherubini l'avvolgevano con le loro ali e la
d'orrore conoscibili e insegnabili ». Cfr. In H. URs VON BALTIIASAR,
Fenomenologia della verità, il bel capitolo sulla verità come mi
stero, p. 196: « Lo svelamento dell'essere è come tale il suo
velo più opaco » (la citazione è tratta dalla vers. frane. sopra
citata).
5 8 SAN GREGORIO NAZIANZENO, Discorso 27, n. 10 (P. G., XXXIV,
206
coprivano come l'arca, e che a noi ne giungeva solo un
piccolo raggio.
» Così, chiunque tu sia, potrai divenire teologo
(cioè contemplatore della divinità), quando sarai un
Mosè e il Dio di Faraone; quando sarai un altro Paolo
e, rapito al terzo cielo, avrai inteso queste parole na
scoste; quando, ancora più elevato di queste grandi ani
me, avrai preso posto tra gli Angeli e gli Arcangeli,
poiché queste nature celesti e più che celesti, sono an
cora più al di sotto della conoscenza di Dio di quanto
non siano al di sopra delle nature terrestri e corporali.
» Voglio esprimermi ancora in un altro inodo: un
teologo profano ha detto, con una sottigliezza finissima,
che è difficile conoscere Dio, ma del tutto impossibile
esprimere ciò che se ne pensa; io dirò piuttosto che è
impossibile esprimere a parole la grandezza di Dio e
darGli un nome, ma ancora più impossibile capirlo » 5 9 •
« Se questo discorso riprende qualche punto di cui
ho già parlato, nessuno se ne meravigli; infatti dirò le
stesse cose e sullo stesso argomento con quel fremito
della voce, dello spirito e del pensiero che provo ogni
volta che parlo di Dio e auspicando per voi la stessa lo
devole e felice emozione » 60 •
***
Parola di Yahwèh a Mosè. Bisogna interpretare:
« Io sono Colui che sono », oppure: « Io sono chi so-
5 0 IDEM, Discorso 28, n. 3-4, (P. G., xxxvI, 29; ibid., pp.
58-60).
60 IDEM, Discorso 39 (P. G., XXXVI, 345 D).
207
no »? È l'Assoluto che si proclama o il Dio nascosto
che tace? Siamo davanti a una definizione o a un rifiuto
di definire?
Lasciando gli esegeti discutere tra loro - forse
qualcuno di essi troverà un'altra spiegazione, altre sfu
mature 81 - perché non tenere contemporaneamente i
due sensi? Il primo può essere difficile da giustificare
così com'è con la grammatica o la situazione storica;
può darsi che il secondo dapprima sembri un po' arido
per la solennità dell'affermazione. Ma, in fondo, nella
loro opposta apparenza, non sono l'uno assai vicino
all'altro? 62 •
208
La prima formula è grande. Per quanto è possibile,
essa chiama Dio col nome che gli conviene in proprio,
col nome « che è più propriamente il nome suo che il
nome stesso di Dio » 63 • Egli è! Egli esiste ! Egli è l'Esi-
209
14. - Sulle vie di Dio
stere stesso! Esprimendo una verità « metafisica» essa
dà uno scorcio paradossale e impressionante, una defini
zione astratta dell'« Essere supremo» che lo distingue
da ogni altro al tempo stesso che si rifiuta di assegnargli
un limite; in una parola, rivela l'Assoluto dell'Essere e
la sua eternità 64 • Non est tibi nisi, Est... Quidquid ibi
est, nonnisi est... Ego, inquit, sum qui sum. Magnum
ecce Est, magnum Est! 65 •
210
La seconda formula non è meno preziosa. Essa insi
nua una personalità concreta che sfugge. « Io sono colui
che mi piace di essere ». È piena di una sacra riserva.
Senza affermarlo in sé, mette in rilievo, nella maniera
più semplice e più forte al tempo stesso, il mistero del
l'Essere. Richiama « la distanza irriducibile tra ogni pa
rola su Dio e la realtà misteriosa che deve essere espres
sa » 66 • E così rivendica l'indipendenza sovrana del Dio
Vivente. Costituisce il primo manifesto contro ogni
idolatria nel pensiero 67 •
Da un lato, dunque, l'enigma persistente di Colui
che, nella sua sovranità, si sottrae: « Perché mi domandi
il mio nome ? » 68 • Dall'altro, una pura luce, diffusa do
vunque, che si offre senza gelosia, ma troppo pura per
il nostro sguardo.
E le due accezioni finiscono col raggiungersi comple
tamente nell'idea che « Colui che è » rimane per ciò
(P. L., CLXXXII, 795 D ) ; De diversis, IV, 2: « Ille autem qui idem
ipse est, qui dicit "Ego sum qui sum", veraciter est, cui est esse
quod est » (P. L., CLXXXIII, 552 C). DUNS Scoro, De primo prin
cipio, I, I, ecc.
66 G. LAMBERT, art. cit., p. 915.
67 Cfr. R. GUARDINI, Le sérieux de l'amour divin in Dieu
vivant, XI: « Dio rifiuta ogni nome e ogni nozione esprimibili
cominciando dal mondo. Non assolutamente, poiché in molti
altri passi della Scrittura si chiama lui stesso il Vivente, il
Santo, il Giusto, l'Onnipotente, e in altri modi. Tuttavia in
quest'ora, all'esordio decisivo della storia sacra, egli dice: Non
v'è nome per me da parte del mondo, e finché voi mi accettate
come Tale. Più tardi potrete nominarmi sulla base dell'espe
rienza e della conoscenza, ma partendo da questa conversione
compiuta con la prima obbedienza della fede "· E E. ORTIGUES,
Le temps de la Parole ( 1954), p. 22: « La teofania non è stata un
rifiuto di spiegazione, ma la spiegazione è consistita nel far
conoscere il carattere enigmatico, misterioso del nome divino ».
68 Gen., 32, 30 ; cfr. Giudici, 13, 18; Esodo, 33, 34.
21 1
stesso al di sopra di ogni designazione come al di sopra
di ogni possibilità di raggiungerlo nella sua urgenza per
manente, ma, nello stesso tempo, nel suo segreto inviola
bile. Nomen quod est super omne nomen 69 •
***
« L'essere senza limiti è pure senza nome » 70 • Molti
mistici lo affermano, ma vi sono due maniere opposte
di intenderlo.
***
« L'essere senza limiti e senza nome » non è la Di
vinità indifferenziata, non è il Principio impersonale,
l'Unità vuota, la « Possibilità universale » ... Non l'Es
sere « che per se stesso (se si potesse parlar cosi) sa
rebbe senza forma, e che ogni tentativo di concepire tra-
212
direbbe dall'inizio: ma al contrario « omnem conceptum
excedens ineffabilis Forma » 7 1 •
L'Essere « indeterminato » non per povertà, ma per
sovrabbondanza; non un Essere che in sé non offrirebbe
nulla di inafferrabile perché sarebbe diluito come lo spa
zio, ma l'Essere misterioso, la Condensazione suprema,
il Nucleo personale inviolabile. L'Essere infinito, ma di
una infinità intensiva, che ne fa al tempo stesso l'Essere
perfetto. Colui che effettivamente non può essere nomi
nato come non può essere compreso, ma perché Egli è
al di sopra di ogni nome. Se è vero che in ciascuno di
noi l'ultimo segreto è la propria personalità, Dio è nasco
sto per eccellenza perché Egli è per eccellenza l'Essere
personale. Egli è Colui « donde proviene e prende nome
ogni personalità ». Il « Supremo Qualcuno » 12 •
***
Ilept 0eou, x.d -rocì,!j0'ìj ìl:ye.v, zfvSuvoç ou µo�p6ç.
Parlare di Dio, anche in termini appropriati, è un
rischio non piccolo 73 •
***
« Semplicità madre dell'Essere
In Dio non v'è nulla che non sia trasparente.
Non si vede nulla che non penetri
Questo tutto in forma di nulla ... » 74 •
213
* * *
« ... Tu sei cosl grande e cosl puro nella tua perfe
zione che tutto quanto mischio di mio all'idea che ho di
te fa sl che subito non sia più tu. Io passo la vita a
contemplare il tuo infinito; lo vedo, né saprei dubitar
ne; ma appena voglio comprenderlo mi sfugge; non è
più lui e ricado nel finito. Ne vedo abbastanza per con
traddirmi e riprendermi tutte le volte che ho concepito
ciò che è meno di Te; ma appena mi sono rialzato, torno
a cadere per il mio stesso peso » 75 •
... Succumbat ergo humana infirmitas Gloriae Dei,
et in explicandis operibus misericordiae ejus, imparem
se semper inveniat. Laboremus sensu, haereamus inge
nio, deficiamus eloquio: bonum est ut nobis parum sit,
quod etiam recte de Domine Majestate sentimus 16 •
214
CAPITOLO VI
LA RICERCA DI DIO
215
istantaneo del pro- o del contro 1 • E non si è forse soste
nuto che fra tutti i dialoghi di Platone il più evidente
mente dialettico, il Parmenide, è pure il più mistico?
E questo accadrebbe forse perché il mistico percepi
sce l'Essere personale, mentre il filosofo tenderebbe sem
pre a concepirlo impersonale?
Ma, a giudicare da molti fatti, si potrebbe sostenere
pure il contrario. E precisamente : la filosofia, nella sua
più alta aspirazione, come la mistica, sulle sue sommità,
non tenderebbero entrambe, in un modo o nell'altro, a
sormontare tale opposizione?
Si coglierebbe forse maggiormente la differenza es
senziale dicendo che la filosofia è anzitutto ricerca del
l'Uno Unificante, mentre la mistica è la ricerca - o
l'attrattiva - dell'Uno unico 2 •
Il filosofo parte da un bisogno di spiegazione, che
è, almeno virtualmente, bisogno di spiegazione totale.
Egli vuole unificare ciò che è multiplo, e al tempo stesso
216
diversificare l'uno; gli occorre perciò un sistema di rap
porti che, abbracciando ogni cosa, renda tutto compren
sibile. È sua ambizione capire l'universo. Se dunque nel
corso della sua ricerca egli incontra Dio - come non può
non fare - ciò sarà a titolo di sostegno del mondo e
di principio di spiegazione del mondo. A titolo di Uno
unificante. Res divinae non tractantur a philosophis, nisi
prout sunt rerum omnium principia 3 • Ciò che il filo
sofo afferma, non è mai !'assolutamente assoluto, ma
« l'assoluto in rapporto con lui » 4 •
La filosofia è opera della ragione. È una « scienza » 5 •
Ora Dio, in se stesso, per l'uomo naturale, non è og
getto di scienza. Non solo non si può comprenderLo, ma
217
non si può neanche nominarlo. Come afferma pure San
Tommaso, non si sa « ciò che Egli è »; si sa solo « quale
relazione ha con Lui tutto il resto »6 • « Giungere all'af
fermazione di Dio, partendo dal divenire » o da qualche
altro aspetto del mondo « non è alzarsi, per mezzo del
divenire, a una conoscenza diretta di Dio, ma è penetrare
meglio nella struttura intelligibile del divenire stesso; o,
meglio, è conoscere Dio nella misura in cui Egli è signi
ficato della relatività "trascendentale", essenziale del
divenire metafisico » 7 • Ciò, d'altra parte, in un certo
218
senso, basta a definirlo. In ogni caso, ciò basta al :filo
sofo, preso nel senso propriamente formale che abbiamo
precisato. Come tale, non chiede di più.
Felix qui potuit rerum cognoscere causas! 8 •
219
Quando San Tommaso d'Aquino da fanciullo gri
dava: « Vorrei comprendere Dio! », non era tanto il filo
sofo nascente che si manifestava in lui, quanto invece il
genio religioso, il contemplativo, il mistico in potenza,
il santo di grande capacità intellettuale. E nella misura
in cui la sua speculazione cercherà di soddisfare a questo
desiderio, più che la scienza razionale di cui egli ha inau
gurato la vasta carriera in Occidente, essa sarà un aspetto
di quella « intelligenza delle fede » di cui i secoli cristiani
gli trasmettevano l'ideale e il metodo.
Al contrario, quando egli dice con tanta forza e
insistenza : « Noi non conosciamo Dio, ma solo il rap
porto che ogni cosa ha con Lui », è il filosofo puro che
parla in lui. Da questo punto di vista determinante non
v'è ragione di attribuire alla frase alcun senso nascosto,
e 162: « Che possa esistere nel senso proprio della parola una
esperienza mistica naturale che prolunga e consuma uno slancio
metafisico, è ciò che tenterò di dimostrare... Ma - ed è ciò che,
secondo il mio giudizio, la scuola del Padre Roussellot non
rileva sufficientemente - questo superamento filosofico della
filosofia, questa contemplazione meta-filosofica non persegue nella
stessa direzione il moto naturale della filosofia ... Al contrario,
essa suppone inevitabilmente una specie di regresso contrario
alla natura, e perciò l'irruzione di un desiderio che non è certo
il desiderio costitutivo della filosofia stessa, il desiderio intellet
tuale dell'essere, ma un desiderio più profondo, e repentinamente
liberato nell'anima e propriamente religioso, e che non è nep
pure il desiderio intellettuale di vedere la Causa prima... che è
consecutivo al desiderio intellettuale dell'essere. Il desiderio di
cui io parlo ora è un desiderio più radicale di quello naturale
dell'intelligenza per l'essere e del suo desiderio naturale per la
Causa dell'essere ... »; « ••• l'intervento di un desiderio naturale più
profondo e più totale di quello dell'intelligenza filosofica per la
conquista intellettuale dell'essere " (p. 162). J. MARITAIN è tornato
recentemente su questi problemi, nella quinta delle sue Neuf
leçons sur les notions premières de la philosophié morale ( 1951),
pp. 89-108.
220
alcuna nostalgia. Come spiega uno dei migliori interpreti
del Dottore angelico, « veramente, in teodicea naturale,
non è Dio che è in causa e che è oggetto di scienza, ma
l'essere universale, la creatura. Infatti Dio non è consi
derato né raggiunto che come causa prima, non in se
stesso. Non vi è, in altri termini, teologia naturale al di
fuori della metafisica generale » 1 1 • Il Dio dei filosofi
« completa la formula del mondo » 12 e soddisfa piena
mente la loro ragione.
Tuttavia San Tomaso non aggiunge con uguale insi-
22 1
stenza che « l'intelligenza desidera naturalmente di cono
scere Dio in se stesso »? Questo desiderio che cosa è
dunque esattamente? Esprime ancora il bisogno razio
nale a cui risponde l'attività :filosofìca, o definisce a modo
suo lo slancio mistico nella sua radice naturale ? O piut
tosto non vi si deve scorgere la fondamentale unità
dell'uno e dell'altro?
Diciamo anzitutto - senza pronunciarci ancora se
si tratta di un difetto di analisi o di una perspicacia pro
fonda - che, parlando in quei termini, San Tommaso
mischia i due punti di vista che noi abbiamo distinti.
Il « desiderio di vedere Dio », di cui egli afferma l'esi
stenza nella nostra natura, in fondo è proprio un desi
derio di ordine mistico. Non si può ridurlo al desiderio
di comprendere il mondo.
Nondimeno San Tommaso si sforza di stabilirne la
realtà in via del tutto razionale, partendo dagli effetti
che l'intelligenza desidera conoscere nella loro Causa per
conoscerli nella loro pienezza. Nel Contra Gentiles svi
luppa a questo fìne tutta un'argomentazione ispiratagli
dalla fede e di cui un puro :filosofo potrebbe indiscutibil
mente contestargli il valore apodittico 1 3 , ed è precisa
mente la ragione per la quale un certo numero dei suoi
interpreti si sono creduti autorizzati a sostenere che il
desiderio naturale di cui parla, essendo desiderio di ve-
222
dere Dio come causa, non è, nel senso vero del termine,
desiderio di vedere Dio.
Insomma quest'argomentazione consiste nel dimo
strare che la ragione umana, la stessa che costruisce
l'opera filosofica, non è soddisfatta allorché giunge a
conoscere un effetto senza conoscerne la causa. Di qui un
moto incessante, un'inquietudine perenne, fino a che, da
un effetto all'altro e da una causa all'altra, essa non sia
giunta alla causa suprema da cui tutto deriva e che per
questo stesso motivo spiega il tutto unificandolo 14•
Un tale ragionamento è solido. Ma tuttavia può pro
vare tutto quello che doveva provare ? Il suo fine è,
formalmente, il fine che si voleva raggiungere? L'intelli
genza, che vuol comprendere l'universo, non può desi
stere dal cercare fino a quando non abbia incontrato la
causa prima, e si può dunque dire a buon diritto che in
essa v'è un desiderio congenito di conoscere questa cau
sa 15 • Ma da ciò a dire, come effettivamente San Tom
maso dice, che essa desidera di conoscerla, non più so
lamente come causa degli effetti che aspira a compren
dere - come il propter quid universale - ma nella sua
essenza 18 , in se stessa, senza più considerarne gli effetti,
1 4 Oltre che i testi ben noti del Contra Gentiles, vedere ad
esempio, Expositio in Matthaeum Evangelistam, c. v: « Beatitudo
hominis est ultimum bonum hominis, in quo quietatur deside
rium ejus... Istud ergo desiderium non quietabitur donec per
veniat ad primam causam, quae Deus est, scilicet ad ipsam di
vinam essentiam ».
15 Cfr. ORIGENE, In Psalmum Il, v. 8: fon f>È fi À1J QOvoµ1a -rijç
ì.oyLxijç q,uarnç -r&v awµanx&v xat -r&v ùawµa-rwv, xat -rou,wv
umiv-rwv at-rfo 6rnu (P. G., XII, 1608 C).
1 0 Compendium Theologiae, c. crv: « Non igitur naturale
desiderium sciendi potest quietari in nobis, quosque primam
causam cognoscamus non quocumque modo, sed per ejus es
sentiam».
223
indipendentemente dai rapporti che tutto il resto ha con
Essa, non ci corre un abisso ?
Indubbiamente, lo slancio mistico supera questo
abisso d'un balzo. Nell'Unificante c'è l'Uno che egli di
scerne, e incontrando l'Unificante è all'Uno che egli ade
risce.
Ma si può dire che la sua forza gli venga dal prin
cipio che aveva messo in moto l'intelligenza alla ricerca
della « causa delle cause »? Si può dire che questo slan
cio mistico seguendo semplicemente il moto della ra
gione vada solo più lontano nella medesima linea? Non
conviene piuttosto riconoscere che, sotto il ragionamento
del filosofo, si celi . una dialettica anagogica il cui mo
vente è ben altro che il desiderio generale di sapere?
San Tommaso sembra cosl fallire nel suo tentativo
di stabilire una continuità tra filosofia e mistica, cioè
tra il dinamismo dell'intelligenza e il desiderio dello spi
rito. La dottrina del « desiderio naturale di vedere Dio »
è centrale nel suo pensiero: egli non è riuscito a unifi
carlo pienamente.
Nessun altro vi riuscirebbe 1 7• Infatti, se lo si pren
de a rigor di termini, il tentativo è senza dubbio impos
sibile. Lo slancio mistico non prolunga precisamente la
1 1 Su queste ultime parole si è scritto: « Eccoci un po' ras
sicurati... Tuttavia, questo gioco troppo facile non ci piace che
a metà, poiché ci sembra di indovinare, in una materia cosl
grave, un sorriso di San Tommaso, che non sarebbe del tutto
indulgente ». Confesso di non capire i sottintesi di questa affer
mazione. Da parte mia non vi è qui alcun gioco. lo credo assai
seriamente (sebbene non sia facile esprimere la cosa in formule
perfettamente chiare), che l'unificazione totale, compiuta, delle
nostre diverse attività spirituali, nella nostra condizione pre
sente, non sia possibile, e credo ancora che sia salutare il do
verlo costatare qualche volta. :e già tanto ardua l'organizzazione
224
ricerca metafisica, non la duplica e non la sostituisce,
sebbene possa animarla e, per contrapposto, trovar in
essa uno stimolante. Altra è la sua radice, altro il suo
fine e parimenti diverso è il suo processo elementare. La
ricerca filosofica risale analiticamente dall'effetto alla
causa, in virtù di una necessità razionale. Lo slancio mi
stico si eleva dall'effetto, visto come segno, a questa
medesima causa e con un moto che non si giustifichereb
be totalmente con la pura ragione (infatti, se si trattasse
di un ragionamento, vi sarebbe nella « conclusione » più
di quanto non vi fosse nelle « premesse » ), ma che pro
cede da un'esigenza dello spirito non meno impellente
dell'esigenza logica, o, più esattamente, da un'attrazio
ne dell'Essere attraverso ai suoi indizi. Il filosofo si
riposerà dalla ricerca nella contemplazione dell'effet
to ormai pienamente compreso; il mistico respingerà
alla fine tutti i segni - ma non avrà mai finito comple
tamente di farlo - per riposarsi nella contemplazione di
Dio solo 18 •
225
15. - Sulle vie di Dio
Riconosciamo tuttavia che nella distinzione stabilita
all'inizio entra qualche cosa di artificiale. Per quanto fon
data, essa pone il « filosofo » e il « mistico » come due
esseri di ragione, e mette a parte due funzioni dello spi
rito. Ora, se è vero che le funzioni dello spirito sono
diverse, non possiamo nondimeno dimenticare che lo
spirito è un tutto unico. L'intelligenza vi si immerge, e
il filosofo degno di questo nome non si rassegnerà mai a
restare rinchiuso nella sua specialità fosse anche la spe
cialità della conoscenza e della spiegazione del tutto. La
filosofia respinge tutte le frontiere. Il filosofo stesso su
pera il filosofo, e non lo si può ridurre ad alcuna defini
zione precisa. In lui la conoscenza del mondo è insepa
rabilmente o almeno divenuta inevitabilmente percezio-
226
ne della sua insufficienza. La costruzione dell'oggetto
intelligibile non va senza « nostalgia dell'Essere >, 1 9•
Averlo capito costituisce la grandezza di San Tommaso.
Con un processo che la pura ragione non basta a giusti
ficare, ma che lo spirito ratifica o piuttosto esige, egli
ha saputo approfondire il modo naturale dell'intelligenza
fino a scoprirvi l'appetito spirituale. Nella sua stessa
filosofia lo sforzo filosofico si apre allo slancio mistico.
Lo spirito umano prende coscienza della sua natura totale
e della sua vocazione superiore. Esplora tutte le sue di
mensioni, e cerca di ritrovare al di là delle tecniche e
delle specializzazioni che, per cosl dire, lo hanno obbli
gato a dividersi da se stesso, la semplicità del suo atto
essenziale 20 • Le distinzioni e le opposizioni formali ten
dono, sebbene senza mai giungervi pienamente, a rias
sorbirsi nell'unità.
Tutta la ricerca di San Tommaso è una ricerca di
Dio.
1 0 Presso lo stesso Cartesio - accusato così spesso, dopo
Pascal, di non interessarsi di Dio che in vista di assicurarsi il
possesso del mondo - questa verità si realizza. Vedere, tra gli
altri testi, la celebre Lettre à Chanut.
20 Di qui la definizione della filosofia prima, che apparente
mente contraddice i testi sopra citati più sopra, nota 9: « La
filosofia prima è completamente ordinata alla conoscenza di Dio
come al suo fine ultimo, e per questo viene chiamata scienza
divina ». Contra Gentiles, l. III, c. xxv. Cfr. E. Gn.soN, L'Etre et
l'Essence, pp. 81-83. Ci sembra che nello stesso spirito il Df! F1-
NANCE scriva, Etre et agir, p. 351: e Se il dinamismo della vita
personale, che si espande squisitamente nella coscienza religiosa,
non è che l'interiorizzazione del dinamismo dell'essere, non vi
potrebbe essere conflitto e neanche distinzione irriducibile tra
ciò che la ragione esige per garantire tutto l'ordine dell'essere, e
il Dio vivente di cui una vita ha bisogno per non decadere dal
piano dello spirito ».
227
***
Respingere Dio a causa delle deformazioni umane
o rigettare la religione per l'abuso che gli uomini ne
fanno è effetto di una chiaroveggenza ancora cieca. In
qual modo gli oggetti più alti, le cose più sante non
sarebbero i luoghi privilegiati dei peggiori abusi? Come
è incominciata da se stessa, la religione deve incessan
temente purificarsi da se medesima. Del resto, in una
forma o nell'altra l'uomo torna sempre all'adorazione.
Questa è nello stesso tempo che il suo dovere essenziale,
il bisogno piii profondo del suo essere. Egli non può
estirparla, ma solo corromperla. Dio è il Polo che non
cessa di attirare l'uomo, e quelli stessi che credono di
negarlo gli rendono testimonianza pure loro.
***
Dio è il Trascendente, ma è pure il tutt'altro. Egli
è al di là di un universo gerarchico, ma è pure l'incon
dizionato, l'incoordinato, di cui non si avvicina il per
corso di alcuna serie di condizioni, che non viene posto
dallo stabilirsi di nessuna rete. Ci si eleva fino a Lui -
fino alla soglia del suo Mistero - per i « gradi dell'es
sere », poiché Egli è « l'essere di ogni essere », e tutta
via nessuna ascensione avvicina davvero a Lui poiché se
di Lui si può dire che Egli è, di nessun'altra creatura
si potrà dire veramente che sia 21 • Dinanzi a Lui tutte
sono ugualmente un niente:
21 SANTA CATERINA DA GBNOVA, Vita in Opere, Edizioni Pao
line, Modena (1956), c. XIV: Di ogni cosa creata « per quanto
228
Ho guardato la terra, ed essa era vuota;
Ho guardato i cieli, non vi ho trovato luce 22 •
L'universo è un « cosmo » il cui bell'ordine è un ri-
flesso del suo Autore; i cieli cantano la gloria di Dio,
eppure questa gloria spegne tutte le stelle e fa ricadere
tutto nella polvere 23 : solo il silenzio può cantarla.
Ogni creatura è immagine o vestigio del Creatore,
e nondimeno nulla è simile a Dio 25 • Similis quidem,
sed dispar 26 .Dissimiles similitudines 21 • II µ� ov si op-
229
pone irrimediabilmente all' ov-rwc; ov, e tuttavia que
sta opposizione radicale non esclude il rapporto simbo
lico di ciò che non è con ciò che è; questo iato lascia il
posto ad una partecipazione. « Tutta la grazia e la beltà
delle creature, comparate alla grazia di Dio, sono disgra
zia suprema », e l'austero dottore a cui dobbiamo questa
massima senza compiacenza, è nel tempo stesso il poeta
mirabile che canta le grazie sparse dal Creatore su tutta
la creazione:
Mille grazie versando,
Passò per queste selve agile e snello;
Mentre le andò mirando,
Solo col suo bel volto
Fe' ch'ogni bel rimase in esse accolto 28•
230
avvolgimento e di ascensione 3 1 • I loro due moti si in
trecciano, e l'una non può andare completamente senza
l'altra 3 2 •
Mai l'una o l'altra, mai l'una e l'altra hanno espletata
la loro funzione. Nessuna scala mistica giunge al fine, se
non si rinuncia ad essa. Percorrendo l'intero ciclo della
creazione, dalla materia sino allo spirito puro e dai ritmi
dell'universo sino al cammino della storia, l'anima in
cerca di Dio non supera mai le tappe del suo cammino
ascendente se non con una serie di rifiuti, sentendosi ri-
231
spondere ogni volta dagli esseri che interroga: « Noi non
siamo il Dio che tu cerchi! » 33 •
***
Psittacismo, ipocrisia, superstizione, puerilità, con
venzione 34 , forza dell'abitudine possono entrare per tre
quarti e anche più in ciò che gli uomini dicono o pen
sano di Dio, nel loro culto e nella loro preghiera.
Tuttavia diffidiamo dei giudizi sdegnosi, che sono i
più accecanti. Questa tara immensa non ci deve far · per
dere di vista la piccola scintilla che splende nel profondo
dell'anima. Anche quando essa ce la nasconde non sem
pre riesce a soffocarla, e talvolta la vediamo elevarsi in
una bella fiamma diritta e pura.
***
Optimi corruptio pessima. Non v'è cosa intorno alla
quale si incrosti un'ipocrisia più crassa quanto all'idea
di Dio.
232
***
***
***
233
Cosl si spiegavano molte cose, e questo bel calcolo era
corretto, né la mia ragione aveva nulla a ridire. Tuttavia
il suo moto non era fissato. Il mio spirito restava per·
plesso ... Un giorno la nube si è squarciata, e al di là ho
visto apparire il sole. Non potevo fissarlo direttamente,
ma i suoi raggi son venuti a colpirmi, ed hanno illumi
nato il mio volto 35 • Ormai la prova non è più uno scan
dalo per me. L'opacità proveniente dalle nubi non può
più costituire per me un dubbio contro il sole.
E se i ragionatori mi impacceranno nelle loro reti,
forse mi basterà incontrare un uomo dinanzi a cui la
nube si è effettivamente squarciata. Forse mi basterà di
vedere colui che ha visto, e credere alla sua testimonian
za? Ecco infatti la meraviglia che si riproduce incessan
temente, di generazione in generazione, trionfando di
ogni prevenzione e di ogni precauzione contraria, fa
cendo esplodere tutte le fortezze della critica e della ne
gazione. Per questa testimonianza non accade come per
quelle della vita sociale. Attraverso colui che ha visto
io vedo veramente - o almeno intravvedo, presento -
ciò che lui ha veduto. Il suono della sua voce risveglia
una risonanza in me. La mia notte diviene luminosa pur
non cessando di essere notte. Io posso dire « all'uomo
di Dio » ciò che il Salmista diceva indirizzandosi a Dio:
in lumine tuo videbimus lumen.
I santi sono fra noi i testimoni efficaci di Dio 36 •
35 Cfr. SAN GIOVANNI DELLA CROCE, Cantico spirituale, vers.
ital. sopra citata, c. XIV, n. 20: « Mi apparve uno il cui volto non
conoscevo, un'immagine davanti ai miei occhi ».
3 8 Vedere L. oo GRANDMAISON S. J., lA religion personelle,
pp. 177-179, e il bell'articolo di G. LE MAITRE in Etùdes, settembre
1950, pp. 216-226: Choisir l'espoir.
234
***
Il santo non è un ideale già foggiato in noi che tro
viamo alla fine realizzato e vissuto, né la perfezione del
tipo umano - o sovrumano - finalmente incarnato
nell'uomo. La meraviglia è di un altro ordine. È una vita
nuova, una sfera di esistenza che ci viene rivelata all'im
provviso, non solo con profondità inaspettate, ma con
risonanze insolite. È come una nuova « patria » che sol
lecita il nostro cuore, una patria prima ignorata da noi,
ma subito percepita come la più antica e la più vera.
Non si tratta di una soddisfazione che sboccia in
noi come dinanzi a uno specchio che ci rinvia la nostra
immagine più nobile; né il nostro sogno più bello che si
trova compiuto; si tratta di altra cosa, che non ci appare
solamente come più bella. Noi siamo attirati al tempo
stesso; e forse assai più urtati che attratti. Proviamo
contemporaneamente la duplice sensazione di qualche
cosa assai lontana e assai vicina, di inquietante, che ci
turba e nel contempo è da noi oscuramente desiderata.
Abbiamo l'impressione mista di turbamento e di compi
mento supremo, oltre il nostro desiderio; siamo nel
tempo stesso sconcertati e rapiti, e questo rapimento
non manca di svegliare in noi il timore. Lo spirito del
mondo reagisce in noi a una minaccia. La nostra segreta
connivenza col male si irrita; tentiamo di metterci in
guardia. Se avevamo potuto crederci perfetti in qualche
cosa, siamo allora doppiamente tentati di respingere lo
spettacolo provocatore che ci costringe a vederci mise
rabili, anzi a vedere la miseria di quella stessa che noi
chiamiamo perfezione.
235
Ma inoltre tutto ciò non ci abbandona a noi stessi
come un puro spettacolo.
In realtà è una provocazione. Il doversi decidere,
svelando magari la propria inclinazione più nascosta,
costituisce per il nostro cuore un'intimazione. Brusca
mente l'universo stesso ci appare altro, come il luogo
di un vasto dramma nel cui centro dobbiamo entrare a
nostra volta.
Se nel mondo vi fossero più santi, la lotta spirituale
sarebbe più intensa. Il regno di Dio, manifestandosi con
maggior forza, susciterebbe adesioni più ferventi, ma
parallelamente anche opposizioni più violente. La sua
urgenza accresciuta provocherebbe una tensione, sorgen
te di strepitosi conflitti.
Se noi viviamo relativamente in pace in mezzo agli
uomini, ciò è un segno indubbio che siamo tiepidi.
***
236
***
Se la ragione deve penetrare l'apparenza sensibile, la
fede deve penetrare tutte le apparenze, e deve attraver
sare tutte le notti. Ciò talvolta la rende così dura: è
infatti il contrario di una « soluzione pigra ».
La fede è sempre una vittoria.
***
Mentre il mistico solitario si crede identico al Prin
cipio dell'Essere, e così moltiplica all'infinito la sua so
litudine, il credente si urta con l'Altro che lo rovescia
e che, dopo la lotta, si unirà a Lui per amore.
* * *
Quando la testimonianza dei santi provoca la mia
adesione, io non confondo la forza di questa testimo
nianza con quella di un'argomentazione razionale. So be
ne che allora io non effettuo alcuna operazione scientifi
ca, ma vedo perfettamente che si tratta di due generi,
la cui differenza è irriducibile. Se però questa testimo
nianza non costituisce una prova che abbia un valore
apodittico, essa non è tuttavia una cattiva prova, nè una
prova da poco. Perciò non mi dirò affatto che è « ragio
nevole e prudente » fidarmi di quanto mi dicono uomini
degni di stima, le cui affermazioni convergono e la cui
sincerità è indubbia, sebbene l'evidenza di cui si dicono
apportatori resti per me « puramente estrinseca » e non
237
mi permetta di concludere nulla con piena certezza. Nè
ho bisogno che mi si faccia osservare che un'argomen
tazione simile è sprovvista di valore scientifico, poichè
ho già ammesso che non si trattava di argomentazione.
Ciò che contesto è che la testimonianza a cui aderisco
sia « puramente estrinseca », mentre ciò che per me
costituisce il suo valore - il quale, ripeto, non ha nulla
di « scientifico » - è l'eco che essa sveglia in me, il
che mi permette di distinguere in me qualche cosa di
essenziale. Nessuna prova ci viene data allo stesso modo;
anzi nemmeno preparata. Ma i due epiteti di « ragio
nevole » e di « prudente » non sono meno insufficienti
a qualificare l'adesione che di conseguenza mi s'impo
ne 3 1 .
La testimonianza dei santi non ha effetto automatico,
e neppure si può universalizzare nel senso in cui lo sa
rebbe una prova razionale, ma quando riesce efficace è
tutt'altra cosa e ben più che un genere inferiore di
prova 38 •
238
***
« Una cosa spiegata cessa di interessarci » (Nietz
sche). Perciò Dio - e ogni cosa in Dio per l'infinitezza
che acquista in Lui - ci interesserà eternamente.
Nel presente dell'eternità, tutte le cose saranno per
noi « nuove, fresche e presenti » 39 in Dio.
***
Per alcuni Dio è Colui che permette di dormire, è la
parola rassicuratrice che dispensa da ogni ricerca. Per al
tri Egli è Colui che strappa dalla « falsa pace » in cui,
secondo Pascal, il mondo viveva prima di Cristo.
***
L'umiltà dei santi non è quella che noi presentiamo.
Il loro amore non è quello che immaginiamo noi. Per
dirla in una parola - è proprio necessario arrivare a
questo punto? - il nostro Dio non è il loro Dio.
Ognuno di noi ha in fondo a se stesso la possibilità
di presentire questa opposizione e di misurar questa di
visione, e, per ciò stesso, di ridurle. Ciascuno sente, se
è attento, quasi un preavviso di queste sconcertanti no
vità, in cui il santo trova la sua patria.
***
L'Inferno è opera dell'uomo, dell'uomo che si rifiu
ta e si vincola e al quale l'Amore diviene intollerabile.
39 MAEsTRO EcKHART, Prediche e trattati, vers. ital. di G. C.,
Bologna, 1928, in principio.
239
Come i secoli cristiani l'avevano ammirabilmente
compreso e ammirabilmente raffigurato, è il medesimo
gesto del Cristo, la serena e maestosa ostensione delle
cinque Piaghe, che salva gli uni e condanna gli altri. Il
Redentore non si trasforma in Giudice, come se fosse
stanco del suo primo ruolo: è sempre il suo unico Amo
re, il suo immutato Amore che pronuncia la duplice sen
tenza riflettendosi nei cuori 40 •
La stessa Parola, spada unica a doppio taglio, è paro
la di vita per gli uni, di morte per gli altri. Semel locutus
est Deus, duo haec audivi.
È la stessa « contemplazione » che, secondo lo stato
del soggetto, gli riesce oscura o luminosa, deliziosa o cru
dele 41 •
Nella sua essenza immutata, lo stesso Fuoco divino è
Supplizio per uno, Purificazione per l'altro, e per un al
tro ancora Felicità 42 •
240
***
***
241
16. - Sulle vie di Dio
***
***
***
Il vero m1st1co non fa confidenze, e c10 non per
prudenza né per disdegno. Non è solo umiltà e amore
del segreto. Egli non ha confidenze da fare. La vita
della coscienza sfugge a ogni psicologia, e, più di tutte,
la sua forma più alta, cioè la vita mistica 44 •
242
* * *
Come il mistico desidera conoscere Dio in se stesso,
cioè come Dio stesso si conosce, così - se ha ricevuto
qualche rivelazione dall'Amore - egli desidera amare
Dio per se stesso, cioè dell'amore con il quale Egli ama
Se stesso. Così egli si apre da ogni parte a essere invaso
da Dio.
* * *
* * *
La nust1ca è « intuizione di Dio »? Sì, ma sempre
nella notte. Poiché non Lo troviamo che cercandoLo
sempre. Dio resta sempre « Colui che vien cercato »,
'O �1J't'Ouµe:voç 46 •
O Luce qui mortalibus
Lates inaccessa, Deus! 4 7 •
243
* * *
Nella conoscenza di Dio v'è un progredire, ma que
sto progresso che non meriterebbe il suo nome se non
ci avvicinasse al fine, in un altro senso ce ne lascia pure
sempre lontani. Via via che si lascia accostare, l'Infinito
diviene e si rivela più inaccessibile. Cosl « colui che
sale non s'arresta mai nel salire »; chi ha iniziato la cor
sa va « da un inizio all'altro, con inizi che non hanno
mai termine ».
« Dal momento in cui l'anima, slanciandosi verso le
altezze, ha cominciato, per quanto ne era capace, a par
tecipare ai beni divini, ecco che di nuovo il Verbo l'at
tira come se essa fosse ancora all'inizio dell'ascesa ... Egli
ripete: - "Alzati" - a quella che era già alzata, e:
- "Vieni" a quella che già era venuta. In realtà colui
che veramente si alza dovrà alzarsi sempre, e per chi
corre verso il Signore non mancherà mai largo spazio
alla sua corsa divina. Dicendo: - "Alzati e vieni" -
il Verbo costringe ad alzarsi sempre, e a non cessar mai
dall'accostarsi correndo, donando ogni volta la grazia
<li un'ascesa migliore » 48 •
244
Lungi dall'essere scoraggiante, questo pensiero ha
di che meravigliarci. Quanto esso ci fa capire non ricor
da né la tela di Penelope, né il masso di Sisifo. Nulla
è perduto del cammino fatto, e non vi è mai ritorno,
ma tutto è sempre più grande e più bello di quanto si
intravvedeva. Bisogna infatti che Dio vinca su tutto
« non solo in questo mondo, ma pure nel mondo avve
nire » 49 •
Tutto avrà dunque la freschezza dell'inizio, tutto
avrà lo slancio di una prima partenza. Non c'è da te
mere nessuna stanchezza e neppure alcuna sazietà « che
renderebbe il nostro spirito stupido » 5 0 • Le messi del
l'autunno avranno, nella loro ricchezza, il sapore delle
promesse primaverili, e noi stessi parteciperemo a �ue-
245
sta eterna giovinezza. Via via comprenderemo sempre
più questa realtà sperimentandola, e tuttavia vedendo
sempre meglio che non comprendiamo ancora né com
prenderemo mai ciò che vuol dire questa cosa inaudita,
che ci apparirà sempre inaudita in realtà: la scoperta
di Dio.
* * *
* * *
246
* * *
* * *
Il vero problema non è di « cercare Dio », poiché
vi sono maniere di cercarlo che sono provocazioni 5 5 :
ogni ricerca in cui l'uomo si attribuisce il primo piano
non è già una provocazione? Il vero problema sta nel
mettersi in disposizioni tali che si possa sperare di tro
varLo, senza dover, per cosl dire, neanche cercarLo. Bi
sogna giungere a comprendere che queste disposizioni
stesse non possono venire che da Lui. Infatti è Lui che
ci cerca e che, alla Sua ora, ci si manifesterà.
248
* * *
Nessuna perspicacia critica prevarrà sulla chiaroveg
genza d'un cuore puro.
Due volte felici i cuori puri: poiché vedranno Dio,
e Dio si farà vedere attraverso di loro.
* * *
« Ciò che l'uomo chiama "Dio" partendo da se stes
so è uno slancio, un ultimo vertice del mondo donde
l'appello va al di là, una soglia per il salto della fede.
Ma se ci si limita a ciò e gli si dà un valore definitivo,
allora ne risulta la frode "religiosa", dove la natura o
qualsiasi ideale si trova deificato. Una divinità simile,
cominciando dai numina delle religioni naturali fino al
l'essere assoluto della filosofia religiosa, non esiste. Il
Dio che "c'è", Colui che è, il vero e il vivente, è colui
che si mostra nella Rivelazione. L'uomo ha da far con
Lui, lo voglia o no, per il tempo e per l'eternità » 57
•
249
* * *
« La luce è la veste del Signore; se anche tu perdes
si la luce, sappi che non hai ancora perduto Dio stes
so » 5 8 .
* * *
Al di là di tutte le convenzioni - nel respingere
ogni menzogna - nella perdita di ogni sicurezza - at
traverso tutte le negazioni - nel crollo di tutte le cer
tezze - nell'abbandono di ogni essere : scoprire Dio !
* * *
Ciò che ad alcuni sembrava sottigliezza morbosa o al
meno gratuita raffinatezza, per altri è necessità. È la
« fuga in avanti » in cui si sono cacciati. È la gola stretta
che per loro è l'unica via di salvezza.
Più di tutti gli abili e di tutti gli inquieti, anche più
di tutti gli avventurieri del pensiero dai disegni tene
brosi e degli avversari mascherati di sana dottrina, essi
indisporranno sempre gli spiriti naturalmente soddisfat
ti. Ma essi stessi che cosa ne possono?
250
O lo scetticismo o la purificazione della fede. O la
disperazione o la purificazione della speranza, o la mi
santropia e la rivolta o la purificazione dell'amore.
E la pace che scende abbondante su loro coesiste
con l'angoscia �9 •
E il Dio della loro angoscia è più Dio di ogni altro,
e più di ogni altro appartiene a loro.
E nessun altro Dio è più contagioso di questo, e
nessuna angoscia ha maggiore efficacia per calmare senza
addormentare.
* * *
« No, mio amore, Tu non sei fuoco, non sei acqua,
non sei ciò che noi diciamo. Tu sei ciò che sei nella tua
eternità gloriosa. Tu sei: ecco la tua essenza e il tuo
nome, Tu sei vita, vita divina, vita viva, vita di unione.
Tu sei tutta la felicità. Tu sei unità adorabilissima, inef
fabile, incomprensibile. In una parola Tu sei Amore e
il mio Amore. Che cosa dirò dunque di Te? Tu mi hai
fatta per Te; dico per Te, che sei Amore. Perché dun
que parlerò dell'amore? Ma ahimé ! che cosa dirò? Sulla
terra non posso parlarne. I santi che Ti vedono nel cielo
Ti adorano in silenzio, e questo silenzio è un parlare
sacro nel quale essi gustano l'amore. Tu ci riversi il
tuo amore come a loro, o mio gran Dio! Ci riempi di
251
Te stesso come loro. E perché dunque non faremo noi
come loro? Perché non gusteremo l'amore come loro?
Poiché se Tu sei il loro Amore sei pure il nostro. Essi
Ti vedono a nudo, o mia cara vita, ed è ciò che essi
hanno al di sopra di noi, che siamo ancora nella bassez
za e nella miseria della nostra carne. Ma quando saremo
liberati da questa prigione, Ti vedremo come loro, co
me essi Ti loderemo, Ti abbracceremo come essi, Ti pos
sederemo come essi, come essi sprofondati in Te, e per
esprimere il tuo amore non ripeteremo più queste simili
tudini meschine, poiché saremo soltanto amore, tutto es
sendo nell'amore, cioè in Te, che sei il mio unico Amore,
la mia misericordia e il mio Tutto » 6 0 •
* * *
Niente ti turbi - Niente t'attristi,
tutto dilegua - Dio non si muta,
con la pazienza - tutto t'acquisti,
manchi di nulla - se hai Dio nel cuor:
basta il suo amor! 6 1 •
* * *
« E se io non raggiungo il mio fine ? Se io vengo
meno nella mia corsa? Avrò almeno la gioia di aver cor-
252
so, penato, sudato per quanto avrò potuto in questa ri
cerca del Volto del mio Signore» 62 •
* * *
254
rit Deus meus, non autem video ipsum Deum meum qui fecit
haec.
Sed quoniam sicut cervus desidero ad fontes aquarum,
et est apud eum fons vitae, et in intellectum scriptus est
Psalmus filiis Core, et invisibilia Dei per ea quae facta sunt
intellecta conspiciuntur: quid agam, ut inveniam Deum meum?
Considerabo terram: facta est terra. Est magna pulchritudo
terrarum: sed habet artificem. Magna miracula sunt seminum
atque gignantium; sed habent ista omnia creatorem. Ostendo
magnitudinem circumfusi maris; stupeo, miror; artificem quae
ro. Caelum suspicio et pulchritudinem siderum; admiror splen
dorem solis exserendo diei suffìcientem, lunam nocturnam tene
bras consolantem. Mira sunt haec; Jaudanda sunt haec, veJ
etiam stupenda sunt haec; neque enim terrena, sed jam caelestia
sunt haec. - Nondum ibi stat sitis mea; haec miror, haec laudo,
sed eum qui fecit haec, sitio.
Redeo ad meipsum, et quis sim etiam ipse qui talia quaero,
perscrutor. Invenio me habere corpus et animam, etc. Sed num
quid aliquid tale Deus ipsius est, qualis est animus? Non qui
dem videri Deus nisi animo potest, nec tamen ita ut animus
videri potest. Aliquid enim quaerit animus iste quod Deus est,
de quo illi non insultent, qui dicunt: « Ubi est Deus tuus? »
Aliquam quaerit incommutabilem veritatem, sine defectu sub
stantiam. Non est talis ipse animus... Ista mutabilitas non
cadit in Deum...
Quaerens ergo Deum meum in rebus visibilibus et corpora
bilibus et non inveniens; quaerens ejus substantiam in meipso,
quasi sit aliquid qualis ego sum, neque hoc inveniens, aliquid
super animam esse sentio Deum meum. Ergo, ut eum tangerem,
« haec meditatus sum, et effundi super me animam meam »•••
... Dicant illi adhuc: « Ubi est Deus tuus? ». Quaero ergo
Deum meum in omni corpore, sive terrestri, sive caelesti, et non
invenio; quaero substantiam ejus in anima mea, et non invenio;
meditatus sum tamen inquisitionem Dei mei, et per ea quae
facta sunt, invisibilia Dei mei cupiens intellecta conspicere,
« effundi super me animam meam "; et non jam restat quem
tangam, nisi Deum meum. Ibi enim domus Dei mei, super ani
mam meam; ibi habitat, inde me prospicit, inde me creavit,
inde me gubernat, inde mihi consulit, inde me excitat, inde me
vocat, inde me dirigit, inde me ducit, inde me perducit.
Ille enim qui habet altissimam in secreto domum, habet
etiam in terra tabernaculum. Tabernaculum ejus in terra, Ec
clesia ejus est adhuc peregrina. Sed hic quaerendum est, quia
in tabernaculo invenitur via, per quam venitur ad domum...
Extra locum tabernaculi errabo, quaerens Deum meum; « quo-
255
niam ingrediar in locum tabernaculi admirabilis, usque ad
domum Dei »...
... Ecce quanta admiror in tabernaculo! Tabernaculum enim
Dei in terra, homines fideles... Respicio et ipsam animam oboe
dientem Deo..., justitiam et caritatem impendentem... Miror et
istas virtutes in anima; sed adhuc in loco tabernaculi ambulo.
Transeo et haec: et quamvis admirabile sit tabernaculum, stupeo
cum pervenio usque ad domum Dei... In domo Dei festivitas
sempiterna est, vultus praesens Dei, laetitia sine defectu ... Am
bulanti in hoc tabernaculo et miracula Dei in redemptionem
fidelium consideranti, mulcet aurem sonus festivitatis illius, et
rapit cervum ad fontes aquarum.
Sed quia, fratres, quamdiu sumus in corpore hoc, peregri
namur a Domino, et corpus quod corrumpitur aggravat animam,
et depremit terrena inhabitatio sensum multa cogitantem: etsi
utcumque nebulis diffugatis ambulando per desiderium, ad
hunc sonum pervenerimus interdum, ut aliquid de illa domo
Dei nitendo capiamus; onere tamen quodam in.firmitatis no
strae ad consueta recidimus, et ad solita ista dilabimur. Et
quomodo ibi inveneramus unde gauderemus, sic hic non deerit
quod gemamus.
Etenim cervus iste..., raptus desiderio ad fontes aquarum,
interiorem scilicet dulcedinem Dei, effundens super se animam
suam ut tangeret quod est super animam suam, ambulans in
locum tabernaculi admirabilis usque ad domum Dei, et ductus
interioris et intelligibilis soni jucunditate, ut omnia exteriora
contemneret et in interiora raperetur: adhuc tamen homo est,
adhuc hic gemit, adhuc carnem fragilem p ortat, adhuc inter
scandala hujus mundi periclitatur. Respexit ergo ad se et ait:
« Quare tristis es, anima mea, et quare conturbas me? » Ecce
jam quadam interiore dulcedine laetati sumus, ecce acie mentis
aliquid incommutabile, etsi perstrictim et raptim, perspicere
potuimus: quare adhuc conturbas me, quare adhuc tristis es?
Non enim dubitas de Deo tuo. Non enim non est quod dicas
tibi, contra illos qui dicunt: « Ubi est Deus tuus? » Jam aliquid
incommutabile persensi, quare ergo conturbas me? « Spera
in Deum ».
Et quasi responderet illi an,ima ejus in silentio: Quare con
turbo te, nisi quia nondum sum ibi, ubi est dulce illud, quo
sic rapta sum quasi per transitum?...
Sed, « Spera in Deum », respondet conturbanti se animae
suae... Interim habita in spe. Spes enim quae videtur, non est
spes. Si autem quod non videmus speramus, per patientiam
exspectamus (SANT'AGOSTINO, Enarratio in Psalmum 41, nn. 7-10,
P. L., XXXVI, 467-471).
256
CAPITOLO VII
L'ATTUALITÀ DI DIO
·258
Dio si è rivelato, in pratica, un soggetto di �ttribuzione
assai inutile nel tempo stesso che è divenuto oggetto di
un giustificato -risentimento Quando infine, per rien
3
•
l'athéisme.
e Cfr. G. FESSARD, La main tendue (1937), pp. 124-126, a pro
posito della formula hegeliana che proclama « la morte della
astrazione dell'essenza .di:vina ».
259
***
Negli ultimi secoli abbiamo ass1st1to a « l'evapora
zione razionalista di Dio » 7 • Ma era il Dio dei raziona
listi. Soffiate e dissipate questo vapore. Non ne saremo
turbati, anzi respireremo meglio. Il Dio vero, quello che
non cessiamo di adorare, è altrove, è dovunque credete
di raggiungerlo, è dovunque non lo raggiungete.
***
Quando « la Causa di Dio » è vinta, è allora che
Dio trionfa nuovamente. Allora « Egli è il suo proprio
difensore » 8 •
***
È riconosciuto che il cristianesimo è quello che ha
« inserito nella nostra storia la confutazione delle false
divinità ». Ma vi è chi si offre a sostituirlo in questo
ruolo come se esso non sia capace di « espletarlo fino
alla fine ». Gli si vuol dare per erede « la filosofia ».
Non di meno, si dice che il filosofo è « colui che com
prende » e non « quello che sceglie » 9 • I falsi dèi si go
dranno ancora delle belle giornate col filosofo.
***
Il tal scrittore dice che bisogna « respingere le divi
nità, tutte le divinità ». È appunto quello che i discepoli
1 G. GusDORF, Mythe et Métaphysique (1953), ,p. 221.
s Cfr. LEIBNIZ, Causa Dei... , e n. 68.
9 M. MERLEAu-PoNTY, Eloge de la philosophie (1953), p. 65.
260
di Gesù ci hanno insegnato a fare fin dall'origine. Se
furono presi per atei non è perché, cosa banale, portava
no un altro Dio, il quale non sarebbe stato che una divi
nità tra le altre, ma perché annunziavano Colui che è
tutt'altra cosa che le divinità e ci strappa alla loro tiran
nia. Essi dunque negavano tutto ciò che gli uomini intor
no consideravano divinità, tutto ciò che l'uomo in ogni
epoca tende a divinizzare per adorare se stesso e tiran
neggiarsi da sé nelle sue divinità. Solo il Vangelo è il
vero « crepuscolo degli dèi ».
***
Si può sostenere che la religione - e anzitutto la
fede in Dio - è un sistema inventato dalla natura per
rassicurare l'uomo, che senza di essa sarebbe abbattuto
dall'agitazione e dallo spavento dinanzi al mistero ostile.
Ma vi è per l'uomo anche un'altra maniera di rassi
curarsi: quella del razionalista e dell'ottimista dalla
vista d'una spanna che non sanno neppure innalzarsi al
sentimento del mistero e che superbamente dichiarano
che non c'è nessun mistero da conoscere.
Quale delle due maniere è più conforme al vero?
La fede in Dio ci rassicura 1 0 • È innegabile, e non c'è da
arrossirne, come se fosse cosa più intelligente l'aver pro
vato l'angoscia o più nobile non volerne essere liberati.
Essa ci rassicura, ma non come vorremmo noi: cioè non
per procurarci un'illusione paralizzante o una soddisfa-
1 Cfr. CLEMENTE ALEssANDRINO. Testi scelti dai Profeti, n. 21
°
e 26: Dio è al tempo stesso � Luce inaccessibile " e e fuoco
divorante • : come fuoco genera il timore; come luce ridà
sicurezza.
261
ì
zione beata, ma per permetterci d agire. Essa ridona
fiducia all'uomo, perché sia degno di se stesso, perché
non soccomba alla formidabile crisi di crescenza, che co
stituisce il risveglio della coscienza all'uscire dall'anima
lità. Essa lo rassicura, ma stabilendolo nella verità, e co
municandogli un'inquietudine superiore.
***
Orrore di un mondo senza Dio, senza stabilità né
mistero, che crede di esser chiaro a se stesso, e va inabis
sandosi in un divenire senza- significato e senza via di
uscita, dum nil perenne cogitati
Disperazione atroce di una società sedotta dagli idoli
temporali, e in cui muore soffocata la mens avida aeter
nitatis!
***
262
***
Diritto divino dei re, diritto divino dei popoli: ina
venzioni umane, strumenti di oppressione. Diritto divino
di Dio : unica liberazione dell'uomo.
***
L'antiteista - e ogni ateo militante è tale -- prea
tende di conoscere Dio, perché senza ciò non potrebbe
opporsi a Lui. Ma per il fatto stesso e checché ne sia,
non è a Dio che egli si oppone. Infatti Dio non potrebbe
esser conosciuto cosl.
***
Anche dal solo punto di vista dell'analisi sociologica,
la teoria di Marx sulla religione è già poco esatta o, per
lo meno, incompleta. La religione potrebbe effettivaa
mente essere, ammettiamolo per ipotesi, l'oppio del po"
polo, se il popolo avesse il gusto di questo oppio; e può
essere che lo abbia in alcune circostanze felici. Ma l'ossera
vazione ci fa pensare che, via via che diviene proletariato,
il popolo perde proprio questo gusto. Lungi dal provo
care per compenso mistico uno slancio religioso, la crea
scente alienazione sociale, che caratterizza la condizione
proletaria, tende piuttosto a soffocare l'interesse per la
religione. Essa distoglie da Dio quello che disumanizza.
Un certo grado di alienazione sociale può effettiva
mente portare come conseguenza l'alienazione della co
scienza. Ma la coscienza alienata è tutto il contrario della
coscienza religiosa.
263
***
« Il proletario non ha patria ». In senso analogo, e
per motivi uguali, il proletario non ha religione. In una
società come la nostra la religione tende a divenire un
articolo di lusso che tutta una parte della popolazione
non può più procurarsi. La soppressione del proletariato
non renderà automaticamente Dio all'uomo : ma, in certa
misura, essa è una condizione perché le sia reso Dio.
***
La famosa dialettica marxista : ecco un altro auten
tico caso di « :filosofia cristiana », per quanto assai aber
rante e quasi vergognoso.
Hegel era teologo, le sue grandi categorie gli furono
fornite dai misteri cristiani razionalizzati. Marx fu hege
liano. Per conseguire il risultato presente occorse una
doppia involuzione, « una doppia apostasia »: una im
manentizzazione del divino, ad opera di Hegel; poi una
materializzazione dell'umano, ad opera di Marx (quello
che Marx definiva: rimettere sui propri piedi la dialetti
ca). Ma attraverso a questa doppia metamorfosi, la trama
è restata la medesima: non è l'esperienza, non è la scien�
za e neppure la riflessione pura che l'hanno fornita -
forse che la pura riflessione ha mai dato qualche cosa? -
ma è la fede. È il mistero del Cristo, Dio incarnato morto
e risuscitato. Sotto le categorie apparentemente più pro
fane un occhio esercitato riconosce ancora il « latrocinio
delle cose sante » che si trova alla loro origine. Ancora
oggi, dopo tanti mutamenti, rinnegamenti, negazioni,
264
corruzioni, la ideologia marxista trae una vita parassi
taria dalla sostanza cristiana 12 •
Quando non si parlerà più della « storia assoluta
dell'Idea divina» o della sua « alienazione suprema»
la fede vivrà sempre sul Dio che si è incarnato nella
storia, e che si è « annientato » per noi. Quando non si
tratterà più di « Venerdì Santo speculativo » né di
« Calvario della Gloria », la croce di Gesù continuerà a
fiorire e a portare il Frutto di Vita.
***
Io so quel che ho visto, o almeno intravisto, quando
ho incontrato un santo. Ed ecco ora quelli che dicono che
ormai fanno a meno di Dio e si trovano meglio. Aspetto
che essi mi mostrino un nuovo tipo di santo.
265
***
Poveri spiriti, che un giorno si sono messi in capo
che « l'angoscia metafisica ha fatto il suo tempo » ! Essi
proclamano: « Siamo degli ossessi guariti. L'ossessione
di Dio, l'ossessione dell'essere e del nulla, la bruciatura
dell'incognito nel bel centro del conosciuto, l'altro che ci
perseguitava in noi stessi, questa follia è finita ». E ag
giungono: « abbiamo vinto l'ossessione dell'assoluto »,
abbiamo rimosso il peso delle « verità eterne » ... Poveri
mutilati che si credono divenuti liberi! Celebrano come
una « vittoria immensa » la più triste abdicazione. Ma si
affrettano a concludere il loro canto di trionfo! Anche
in loro la mutilazione non è completa, e non sanno che
l'abdicazione è impossibile per l'uomo. Ecco che un bru
sco risveglio rimette tutto in questione. Una scintilla
improvvisa riaccende il fuoco che si credeva spento.
L'anima risorge in colui che l'aveva uccisa. Accorgendosi
allora con sgomento che la porta in sé,
Non come una vacca satolla che rumina sui suoi piedi,
Ma come una giumenta vergine, con la bocca bruciata
Dal sale preso nella mano del suo padrone,
Come saprebbe serrarla e cos tringerla, la grande
Terribile cosa che si drizza e grida nella stretta
Stalla della sua volontà personale
Quando dalle fessure della porta l'odore della prateria
Giunge con il vento dell'alba? 1 8
***
Nell'uomo vi è una ferita, segno spesso segreto, ma
che non si cancella, della sua grandezza. Quando questa
ts P. CuUDEI., lA Ville.
266
ferita affiora alla coscienza, vi appare sotto forme multi
ple. È un'inquietudine sempre rinascente, una insoddi
sfazione essenziale, che non solo impedisce di attenersi
a qualche forma stabile, ma di accontentarsi di un pro
gresso spinto nella stessa direzione. È uno slancio del
pensiero che gli fa spezzare successivamente tutti i .cer
chi in cui la vita dell'animale umano tende a rinchiu
dersi, e che volta per volta ha ragione di tutti i sistemi
critici, di tutte le saggezze positiviste che credevano di
averne ragione. Il che può essere un'angoscia senza og
getto sempre definito:
267
si può impegnare a sbrogliare tutte le confusioni che una
mentalità rudimentale mantiene al riguardo 14 • Si può
inoltre osservare che molti uomini, in generale contenti
di se stessi, non ne hanno il minimo sospetto, mentre
sembra curiosamente acuito da certi stati morbosi del
l'organismo fisico o sociale. Ma sarebbe pessimo osser
vatore chi non vi vedesse che una anomalia, un male
superficiale, una specie di escrescenza che un giorno si
potrebbe estirpare, un fantasma che si potrebbe dissipa
re, una voce estranea che si potrebbe ridurre al silen
zio. Ben poco realista chi immaginasse che ce ne sbaraz
zeremo con gli sviluppi della scienza o con una salute
fisica e sociale alla fine raggiunte pienamente. Egli disco
noscerebbe ciò che vi è di più umano nell'uomo, e che
al tempo stesso fa che « l'uomo superi l'uomo ».
Supponiamo tuttavia che vi si giunga. Non esiteremo
ad affermare che sarebbe allora meglio aver minor salute,
se una tale salute dovesse soddisfarci al punto di stabilir
ci in un umanismo beato; se si dovesse stabilire un equi
librio tale che l'uomo ne fosse saturo, e che non fosse più
un problema a se stesso. Quale misero ideale quello di
un'esistenza terrestre senza lotta, senza contraddizione,
senza sofferenza, ma anche senza slancio, senza ricerca
dell'assoluto! Ideale di un mondo ordinato cosl perfetta
mente da non trovarvi più posto conveniente per i santi
268
e per gli eroi ! Ideale di una perfezione così perfetta
nella sua realtà circoscritta, così adattata totalmente
all'ambiente, che realizza una equazione così rigorosa
tra l'oggettivo e il soggettivo, tra l'idea che l'uomo si fa
di se stesso e la sua esistenza concreta 1 5 , in modo che
non resti più la minima apertura attraverso cui comuni
care ancora con il mistero dell'essere, non rimanga più
alcun giuoco in questa grande macchina dell'universo me
ravigliosamente ordinata, più nulla che permetta ancora
la lotta dell'uomo con se stesso e l'impegno di un'opzione
personale! Allora si potrebbe parlare ancora di umane
simo, di cultura o di vita spirituale: ma in qual senso
scipito ! Quale orrore dal punto di vista cristiano! Ma
già umanamente quale miseria! E dovrebbe sfociare in
questo carcere lo sforzo immenso che ci spinge sempre
avanti ? 16 •
Ma in realtà non siamo affatto ristretti a questo di
lemma. Si dovrebbe piuttosto dire che uno stato sociale
troppo ingiusto o troppo miserabile - pur favorendo
magari certe aberrazioni grossolane - chiude l'uomo
mente, e sarebbe questa una delle ragioni per cui tracciamo più
volentieri il ritratto ideale del marxista nella società attuale che
quello dell'uomo nella società marxista.
269
alla vita dello spirito. Possiamo dunque di tutto cuore e
senza sottintesi, senza timore di esser mai esposti a· pas
sare il limite desiderabile, lavorare al risanamento della
nostra specie e al suo progresso su tutti i fronti: la riu
scita non sarà mai tale che l'augusta ferita si cicatrizzi.
Quand'anche dovesse realizzarsi sulla terra il « salto nél
regno della libertà » profetizzato da Engels, : la ferita
rimarrebbe aperta, la coscienza che noi ne acquisteremmo
non sarebbe · che più· viva e più · pura. · ciò ·che non ha
generato il disordine sociale, l'ordine sociale è impotente
a guarirlo.
***
Per la prima volta, ·nella nostra epoca, è sorta la
persuasione collettiva, potente come un maremoto, che
l'ora 'dell'uomo è infine suonata, l'ora dell'essere finito
che basta a se stesso nella sua immanenza e nella sua
finitezza, e che, nella sua immanenza e nella sua finitezza,
si arroga tutte le prerogative di Dio. Follia di Kirilov,
follia di Zaratustra, e follia 'di Feuerbach! - Follia del-
1'« umanista » e follia del « superuomo » ! Si è giusta
mente parlato a suo riguardo di « disprezzo tragico ».
L'uomo,· è vero, eccelle nel trasformare in ogni specie
di sogni le condizioni attuali della sua miseria fisiologica
o sociale. Vi è certamente molto ·di vero nelle psican;1lisi
opposte di un Marx o d'un Freud, per non citare che
questi due grandi esempi paralleli. Ve n'è pure nell'idea
del Comte di una prima-età « teologica » ·e in tante rifles
sioni analoghe dei nostri filosofi e storici. Uno dei segni
della maturità -di spirito è effettivamente qn�llo di rinun-
270
dare alle false trascendenze, a tutte le vegetazioni paras
site che esauriscono la linfa senza dare frutto sostanzioso.
Ma non dimentichiamo neanche la saggezza del primo
tra i grandi « riduttori». Quando il vecchio Senofane di
Colofone formulava le sue asserzioni apparentemente
scettiche: « Se i buoi e i cavalli avessero mani e potes
sero dipingere ... », la sua intenzione non era affatto di
distruggere l'idea della divinità: egli lavorava unica
mente per purificarla. Non dimentichiamo che una volta
ritrovata, se ve ne fosse bisogno, la realtà della natura
e dell'uomo, bisogna ancora spiegarla. Bisogna ancora
penetrarla, salvarla. Badiamo che le riduzioni effettuate
non divengano mutilazioni; che le conquiste della scien
za, male interpretate, non producano obnubilazioni, e
che a un'illusione non ne segua un'altra antitetica. Infatti
vi è pur un'illusione dell'assoluto, ma vi è ugualmente
un'illusione del relativo; vi è un'illusione dell'eterno, ma
vi è ugualmente un'illusione di ciò che è storico; un'illu
sione della trascendenza, ma pure un'illusione dell'imma
nenza; un'illusione mistica, ma anche un'illusione positi
va. Significa che, da un lato, misconoscendo il relativo e
ciò che è storico, è vero che non si ottiene che uno pseu
do-assoluto, uno pseudo-eterno, una liberazione in so
gno; ma, d'altra parte, e non meno indubbiamente, la
misconoscenza dell'eterno e dell'assoluto non lascia in
mano che uno pseudo-storico, uno pseudo-temporale, una
via che non conduce alla liberazione. In breve la « misti
ficazione » non è a senso unico.
271
***
Vi è un'illusione mistica o celeste, e v'è un'illusione
positiva o terrestre. Chiamiamo spiritualista l'una, e ma
terialista l'altra. Ora, non trattasi di sole illusioni o ma
lattie individuali. Esse possono, ora l'una ora l'altra,
contrassegnare lunghi periodi della storia umana. Nor
malmente fillusione celeste precede la terrestre, perché
la seconda è una doppia illusione che si scambia per
lucidità critica. Tuttavia non serve nulla dissipare l'una
per cadere nell'altra.
Chi è guidato dal Vangelo sta in guardia contro am
bedue. L'idea della trascendenza implica l'immanenza.
Il dogma della risurrezione e l'invito biblico al lavoro
<lella terra indicano direzioni sicure: ugualmente il pre
cetto della carità paterna. La maturazione intellettuale e
i progressi tecnici di questi ultimi secoli ci aiutano ad
acquistare una coscienza approfondita. Crediamo con
San Paolo che « la figura di questo mondo passa » e non
acconsentiamo a sacrificare alcuna delle sue facce di que
sta verità, riconoscendole solidali. Nessuna vita spirituale
nel sogno! Nessuna eternità per noi che il tempo non
prepari! Ma neppure umanismo chiuso, « umanismo inu
mano »! Il « nulla tranne la terra » è l'illusione più
crudele...
***
Il cielo dell'illusione mistica non esiste. Ma la terra
<lell'illusione « positiva », dell'illusione . temporalista,
questa terra esiste, e si vendica.
272
* * *
« Non protestiamo abbastanza contro le deforma
zioni dell'idea di Dio che si introducono tra i cristiani.
Pensiamo sempre a guidare i deboli, ed evitiamo di far
cadere i semplici, e di allontanare gli impuri, nella spe
ranza che ogni contatto con la Chiesa abbia la possibilità
di illuminarli e convertirli. Però badiamo a quegli altri
deboli che sono gli increduli e che si scandalizzano dei
nostri compromessi ».
« Lasciare che la verità si oscuri è sempre di scan
dalo per qualcheduno, anche se uno si lascia così sviare
per evitare di scandalizzare questo o quello » 1 7 •
***
Non è una prova che mi abbia dato il mio Dio, non
è la critica di una prova che me la toglierà. Per intelli
gente che sia, questa critica stessa deriverà sempre da
un'altra critica 18 • Ma forse è necessario che essa, in
un primo tempo, esplichi il suo compito salutare. Senza
costringermi a qualche concessione, mi provoca a un
progresso. Senza togliere valore alla mia prova, mi ob
bliga a scoprirne la molla segreta, ad approfondire la
mia credenza e a purificarla.
Così l'ateo, a sua insaputa e contro sua volontà, spes
so è il miglior aiuto del credente. Come il libro dell'Ec-
1 7 J. LEcu!Rco, Dialogo dell'uomo e di Dio, Ed. Paoline, 1965,
pp. 29-30. Cfr. L. BAUYER, Le sens de la vie monastique (19.50), p.
105, sulle bestemmie che " si profferiscono in ginocchio "·
18 A questo riguardo la storia è istruttiva. « L'idealismo
critico ,. credeva di avere definitivamente scartato, o almeno
trasformato radicalmente, molte prove. Di questo idealismo,
preso in tutto il suo contenuto, oggi che cosa resta?
273
18. - Sulle vie di Dio
clesiaste, egli segna con la sua critica uno dei tempi della
dialettica integrale. Concon-e senza volerlo a questa
« purificazione della fede », che deve andare « sempre
più distinguendosi dai significati e dai ragionamenti uma
ni». Porta il sale che impedirà alla mia idea di Dio di
corrompersi coagulandosi.
***
L'idea di Dio è inestirpabile, perché in fondo è la
Presenza stessa di Dio nell'uomo. Sbarazzarsi di questa
Presenza non è possibile. L'ateo non è colui che vi sa
rebbe riuscito. È solamente l'idolatra che, come diceva
Origene, « riferisce a qualsiasi cosa piuttosto che a Dio
la sua nozione indistruttibile di Dio » 1 0•
***
Se le civiltà industriali sono naturalmente atee 20 le
274
civiltà agricole sono pure naturalmente pagane. La fede
nel vero Dio è sempre una vittoria 21 •
***
Divenendo ognor più profane, le nostre civiltà mo
derne ci espongono a perdere Dio. Forse ci permetteran
no di ritrovarLo a maggior profondità, e tale riscoperta
potrebbe preparare sintesi nuove, senza che debbano
mai più risorgere le confusioni primitive 22 •
21 Cfr. H. NIEl., Zoe. cit. p. 80: Attraverso la rivoluzione tec
nica « è in certo modo l'esperienza del suo potere creatore che
l'uomo fa, e che egli paragona con il potere creatore della na
tura. Rivelando all'uomo un nuovo aspetto della sua grandezza,
questa rivoluzione ci obbliga per contraccolpo a un lavoro di
dirozzamento, di purificazione dell'idea che ci formiamo di Dio ».
22 Cfr. VAN DllR Ù!EUW, L'homme primitif et la religion, p.
207: « Ciò che noi chiamiamo secolarizzazione non è solo una
perdita religiosa, ma un fenomeno che va insieme con la presa
di coscienza dell'homo religiosus. Ciò che la religione perde in
estensione lo può guadagnare in profondità. L'uomo primitivo
non mangia mai senza mischiarvi la religione, mentre il fatto
di mangiare per l'uomo moderno, anche religioso, è la cosa più
naturale del mondo. Ma il primitivo non può « convertirsi », ciò
che invece l'uomo moderno è in grado di fare. e una possibilità
della secolarizzazione, che l'uomo primitivo possiede molto
meno: l'uomo che ha scoperto il mondo può trovarvi la propria
perdizione. e così che la perdita della nozione del carattere sacro
della vita può divenire la condizione preliminare della nozione
del carattere sacro di Dio; ma può anche condurre alla perdita
di ogni nozione sacra, qualunque essa sia "·
Si mediteranno anche altre riflessioni del medesimo autore
(pp. 167-168 e 187): « La sovranità dell'astrazione, che, nelle sue
forme idealistiche e materialistiche, domina in gran parte il
XIX0 secolo, si infrange nella nostra epoca contro le forze impla
cabili della realtà. L'uomo ha ritrovato se stesso come essere di
carne e di sangue, ha ritrovato i suoi istinti ; ha scoperto di
nuovo le potenze che dominano ,il mondo ; è perfino in procinto
di riscoprire la realtà dei suoi dèi e talvolta persino quella del
suo Dio. Ogni sorta di influenza, estremamente contraddittoria
in apparenza, concorre a spezzare l'astrazione. e qui che si tro-
275
***
Non c'è uomo senza valori e non vi sono valori che,
in modo assoluto, pongano le fondamenta al valore
dell'uomo senza un Assoluto su cui poggiano essi stessi.
L'uomo vale assolutamente perché il suo volto è illu
minato da un raggio del Volto divino; perché, pur svi
luppandosi ed agendo nella storia, egli respira già nella
eternità. Fuori di ciò ogni filosofia dell'uomo non può
essere che volgarità, cinismo o sogno vano.
***
Si è potuto credere che ridurre tutto all'immanenza
sarebbe render tutto all'uomo, e in primo luogo renderlo
a se stesso; al contrario era rapirgli tutto e alienarlo
tutto intero. Era infatti ridurre tutto alla durata, a una
276
durata senza assise eterne, di cui tutti gli istanti, per
quanti ne abbia, si sparpagliano o si addizionano senza
compenetrarsi. Non si sono ricuperati « i tesori sprecati
per i cieli ». Non si è fatto discendere l'Assoluto da un
cielo di sogno su una terra reale; non lo si è ricondotto
da Dio nell'uomo: lo si è fatto cadere nel relativo, e
tutto l'uomo con lui.
***
Opera reale di un Dio buono, il mondo ha un va
lore reale. Più ancora che l'ambiente in cui l'uomo deve
agire ed impegnarsi, più dello strumento che deve impie
gare, egli è per cosl dire la stoffa del mondo avvenire,
la materia della nostra eternità. L'uomo deve dunque
liberarsi più per mezzo del tempo che liberarsi dal tem
po. Egli non deve evadere dal mondo, ma assumerlo.
Però, per comprendere il tempo e il mondo, è necessario
volger lo sguardo al di là: infatti è il suo rapporto con
l'eternità che dà al mondo consistenza e che fa del tempo
un divenire reale. Ed è la speranza di una trasforma
zione radicale ed ultima che salva dall'inanità il nostro
sforzo terrestre.
L'umanesimo, si è detto, « è un antropocentrismo
riflesso che, partendo dalla conoscenza dell'uomo, ha per
oggetto la valorizzazione dell'uomo, escluso ciò che lo
aliena da se stesso, sia assoggettandolo a verità o potenze
sovrumane, sia sfigurandolo per ritrarre qualche utilizza
zione infra-umana » 23 • Ma se ciò che viene chiamato un
23 C. BRUNOLD e J. JACOB, De Montaigne à Louis de Broglie,
introduction à l'étude de la pensée française contemporaine, Pa
rigi (1952), p. 4, Entretiens de Pontigny.
277
rifiuto di assoggettare l'uomo « a verità o a potenze so
vrumane » dovesse essere un rifiuto di Dio e della verità
divina, un rifiuto simile condurrebbe ben presto a sfigu
rare l'uomo « per ritrarre qualche utilizzazione infra
umana ». La protezione del valore dell'uomo è posta più
in alto di lui.
***
L'uomo ha il duplice carattere di storicità e di inte
riorità, senza che uno si possa dissociare dall'altro. L'uno
non c'è senza l'altro: senza storicità reale, orientata, fe
conda, la sua interiorità non sarebbe che fantasmagoria o
psicologismo vano; senza interiorità sostanziale la sua
storicità si disgregherebbe in un tempo divenuto polvere
pure esso... L'uomo si fa nella storia e con la storia -
questo si può affermare senza pregiudizio di nessuna teo
ria del « progresso » - ed è per questo che ogni gene
razione non si comprende pienamente che come un anello
di una umanità in cammino. Ma il cammino di questa
umanità non avrebbe senso, o, per meglio dire, l'uma
nità non camminerebbe, e il nome stesso con cui la desi
gnamo non sarebbe che un fl,atus vocis, se, presente al
cuore del nostro mondo e attirandolo come un fine, non
vi fosse un Eterno, che imprime in ciascuno di noi il
sigillo del suo Volto e conferisce cosl a ciascuno di noi la
sua irreducibile interiorità.
***
Se vuol trovare se stesso, l'uomo deve guardare più
alto e più lontano di sé. Non basta che ogni individuo
278
si dedichi a un compito che lo sorpassi; ma occorre lo
stesso per ogni generazione, per ogni comunità naturale,
per tutta l'umanità: senza ciò tutti i successi sono este
riori e precari, attesi ogni volta al varco da una crisi di
nichilismo più radicale, e tutti si rivolgono contro l'uo
mo. Nessun avvenire umano è degno di assorbire l'atten
zione degli uomini. L'umanità non può trovare un equi
librio, una pace - pace attiva, equilibrio in cammino
- che mantenendo lo sguardo al di sopra del suo oriz
zonte terrestre, e con l'esser fedele alla sua vocazione
divina.
Occorre all'uomo un al di là dell'uomo, che non
sia mai riassorbito; gli occorre un al di là, che resti sem
pre al di là. Infatti egli non può trovarsi senza perdersi.
A tutti i gradi la soluzione ultima del problema uma
no sta nell'adorazione, e questa non è che nell'estasi 24 •
***
« L'uomo supera l'uomo ». Molti, tra quelli stessi
che vogliono essere rigorosamente ed esclusivamente
« umanisti », lo riconoscono. Secondo loro non c'è nes-
2• A chiunque intravvede almeno il bisogno di adorazione,
che è nel fondo dell'uomo, tutte le soluzioni positiviste del pro
blema religioso sembreranno derisorie. Questo è uno dei vizi
della soluzione comtiana. Cfr. H. DB LUBAC, Il dramma dell'uma
nesimo ateo, vers. ital. di L. Ferino, Morcelliana, Brescia, 1949,
seconda parte. Per l'abbozzo di J. HUXLEY cfr. L'homme cet etre
unique, vers. frane., (1947) p. 349: « La scomparsa di Dio trascina
con sé una rifusione della religione, e una rifusione di un genere
fondamentale. Essa importa per l'uomo l'obbligo di portare sulle
proprie spalle delle responsabilità finali di cui si era preceden
temente scaricato su Dio "• per esempio, la responsabilità di
divenire oggetto di adorazione, l'oggetto della sua propria ado
razione. L'utopia del laicismo integrale è almeno più logica...
279
sun uomo degno di questo nome senza un « sursum ».
Ogni dottrina che lo chiude in una natura realizzata
sembra loro bassa e menzognera. Essi postulano un moto
di trascendenza in seno dell'immanenza.
. . . Ma come potrebbe essere efficace un moto simile ?
Senza un al di là escatologico, già agente e presente nel
seno del divenire, è vano ogni sogno di avvenire collet
tivo. E senza un al di là trascendente e immanente al
tempo stesso è vano ogni sogno di superamento inte
riore.
Una « trascendenza verso il nulla »: è tutto ciò che
può offrire all'uomo chi non riconosce in lui l'attrattiva
di un Trascendente.
* * *
Ci si dice talvolta che concepiamo un mondo celeste
ad immagine di quello - troppo reale - della terra, e
talvolta che il nostro desiderio crea, per contrasto, una
regione mistica ove tutti i segni sono invertiti, per eva
dere in una libertà di sogno dalla dura schiavità della
società terrena.
Ma noi sappiamo bene che il nostro Dio è altro!
Sappiamo bene che Lui è il Dio vivente! La nostra fede
in Lui è indipendente da questi processi, e la speranza
da lui infusa nei nostri cuori non c'inganna.
Indubbiamente, noi vediamo chiaro quanto altri i
processi che ci segnalano. Lo spirito ha bisogno di ana
logie per rappresentarsi il proprio Dio, il che apre la
porta a molti rischi. L'oppresso tende a cercare in cielo
un rifugio contro le durezze dell'esistenza e la per.fidia
degli uomini; e questo comporta rischi opposti. È troppo
280
facile, troppo « naturale » mobilitare il divino a servizio
di un realismo sociale, o chiamarlo in soccorso di un sog
gettivismo utopistico. Uno può chiamar Dio principio
della sua rivolta, l'altro principio della sua tirannia. Ma
il credente si guarda dagli abusi. Egli non è vittima né
delle analogie né dei contrasti. Non divinizza la terra né
tanto meno ipostatizza un cielo senza rapporto con essa.
Sa tuttavia bene che in definitiva la sua speranza del cielo
è la sola a dargli il gusto dell'opera terrestre che lo
prepara.
***
***
Vi sono divinità tiranne. Vi è un Dio liberatore.
Oggi, gli dèi tiranni generalmente non assumono più
nomi di divinità. Preferiscono pseudonimi, ma la loro
tirannia non è minore.
Respingete la fede in Dio, come una « teocrazia » in-
281
tollerabile? Ma ogni giorno che passa è una prova che
ciò è a vantaggio di una « mitocrazia » temibile. Ecco
salire verso il cielo, che voi avete svuotato, l'armata dei
miti: miti più costrittivi della fame, più dispotici di
qualsiasi despota ...
Non habebis deos alienos coram Me. Questo è per
sempre il « precetto della libertà » 25 • Questi dèi stra
nieri, falsi, mitici, sono dèi allenatori, mostri divoratori
come le passioni umane, di cui tutti sono ipostasi.
Voi avete fatto del vero Dio un loro simile, e avete
creduto di respingerli tutti ugualmente, con un medesimo
gesto. Ma questo gesto superbo derivava da un contro
senso. E non avete visto che invece tra essi e Lui bisogna
scegliere. Le divinità oscure, che il Sole di Giustizia met
teva in fuga alla sua aurora e che teneva a distanza, tor
nano subito sotto altri nomi.
Nomi antichi o nomi nuovi, nomi di divinità o pseu
donimi, sotto essi si nasconde sempre qualche tratto
dell'uomo che in essi si adora e che si rende cosl suo
proprio schiavo.
Fin dove bisognerà discendere in questa schiavitù,
perché alla fine l'umanità intera gridi con una sola voce:
« Io tendo le braccia al mio Liberatore » !
***
Si respinge Dio come colui che limita l'uomo, e non
si vede che è per rapporto con Dio, che l'uomo ha in
sé « qualche infinità ». Si respinge Dio come quegli che
soggioga l'uomo, e non si vede che è per rapporto con
25 OR:rGHNE.
282
Dio che l'uomo sfugge a ogni servitù, in particolare a
quella della storia e della società. Si respinge Dio come
quegli che obbliga l'uomo.a ratificare tutto, e non si vede
che è sempre questo medesimo rapporto con Dio che
conferisce all'uomo la sua « capacità illimitata di rifiu
to » 28 • Si respinge Dio come quegli che aliena l'uomo
con la sua trascendenza, e non si vede che « è nell'affer
mazione della trascendenza che l'uomo trova la sua ve
rità più autentica » 27•
***
« La coscienza puramente umanista, la coscienza de
siderosa di non riconoscere nulla fuori dell'uomo, non
sa mai abbastanza se lo slancio che la trascina verso la
vita è di speranza o di disperazione. Dire che l'uomo è
tutto non è dire che egli non trova che il nulla dinanzi
a sé? ... Si può salvare l'uomo senza ricorrere all'al di là
dell'uomo? » 28•
Ogni rivolta che non ha Dio al suo principio e che
non lo prende per alleato finisce nell'asservimento.
Ogni no suppone un sì più profondo che lo sostiene,
lo suscita e l'orienta; ogni rivolta un assenso più sostan
ziale e più libero.
283
***
Non si possono mai chiudere « tra parentesi », forse
anche solo per una breve generazione, né i problemi
immediati dell'esistenza, né il problema totale del de
stino.
L'umanità è sempre attuale, con i suoi bisogni ele
mentari e la sua passione di assoluto.
***
Tristezza del credente, che vede l'umanità affondare
- e chi sa per quanti secoli? - nell'istante stesso in cui
aspira più che mai ad emergere; la vede respingere il suo
Dio come « un essere estraneo » 29 ; la vede alienarsi
nell'atto stesso in cui crede :finalmente di liberarsi. Tri
stezza di vederla cominciare ad avvilirsi in un moto che
sembrava dover essere un sussulto di dignità.
Quelli in cui sopravvive la prima ispirazione non si
accorgeranno a tempo del dramma? E non riconosceran
no allora come alleati indispensabili, messaggeri di sal
vezza, i credenti che prima prendevano per avversari?
L'homo sapiens ridiventa ai nostri tempi homo faber ,
ma questa volta operaio di un mondo, e perciò, più
che mai, operaio di se stesso. Non più animale bisognoso,
ma creatore. Sl. Ma non bisognerebbe pure ritrovare, al
284
di là, una nuova saggezza? E come si ritroverebbe all'in
fuori di una contemplazione più alta e più ricca?
***
Per non ricevere dal Creatore i caratteri che mi fan
no uomo, acconsento ad alienarli a profitto di una Entità
futura, .o piuttosto mitica, che non è nulla per me, e per
la quale io non sono nulla? 30 Da un lato, con il ricono
scimento di un dono, ho la garanzia di una inalienabile
nobiltà, e se mi sacrifico per i miei fratelli, il mio sacri
ficio ha un senso.
Dall'altro, la mia coscienza stessa è sacrificata 31 , e,
285
per effetto di una alienazione totale e definitiva, non sono
più che un ingranaggio nell'immensa macchina produt
tiva, in un lontano che mi sfugge e che ancora si chiama,
non so perché, l'Umanità 32 •
***
286
eo usque dum lux surgeret,
sudavit impar praelium (34 ).
***
... Exaudi me, Deus meus, illumina oculos meos, ne unquam
obdormiam in nocte (35).
287
INNO A DIO
289
19. - Sulle vie di Dio
essere e non sei alcuno (2).
Tu non sei un solo essere, Tu non sei il loro insieme;
Tu hai tutti i nomi (3), e quale nome darò
a Te il solo a cui non si può dare un nome?
Quale spirito celeste potrà penetrare le nubi
che coprono il cielo stesso?
Abbi pietà,
O Tu, l'al-di-là di tutto, non è questo tutto quanto
si può cantare di Te? (4).
290
Pontificio Istituto Biblico di Roma, Salani, Firenze, 1949, voi. V,
pp. 269-270):
Altro di simile non aggiungeremo
e sia conclusion del discorso: Egli è tutto.
Magnifichiamolo ancora più,
che non toccheremo fondo,
essendo Egli più grande di tutte le sue fatture.
Ammirabile è il Signore tanto tanto,
e stupendi gli effetti della sua potenza.
Voi che glorificate il Signore, alzate la voce
per quanto potete, perché ce ne resta ancora.
Voi, che lo esaltate, rinnovate il vigore,
e non vi stancate, perché non toccherete mai il fondo.
Chi lo ha visto e può riferirmene?
E chi canterà la sua grandezza quant'ella è?
Cfr. ANGELO Sll.BSIO, Il pellegrino cherubico, 1. V, 196-197
(esistono, come più volte venne scritto sopra, due versioni ita
liane: quella di A. Hermet, Firenze, 1927 e quella pubblicata a
Milano nel 1942):
Si può chiamare l'Altissimo con tutti i nomi
e, d'altra parte, non si può attribuirgliene uno solo
Dio è nulla ed è tutto, senza vane sottigliezze:
prova a dire chi Egli sia? oppure fa' il nome di qualche cosa
che Egli non sia?
291
« ... Abramo desiderò sapere ciò che gli toccava
della benedizione del suo primo padre, e s'informò dal
Dio che doveva attendere. E poiché, secondo l'inclina
zione e i gusti della sua anima, percorreva il mondo,
chiedendosi dov'è Dio, e poiché si stancava e si arrestava
nelle sue ricerche, Dio s'impietosl di Lui che lo ricercava
solo in segreto: Egli si mostrò ad Abramo per mezzo del
Verbo, come un raggio, e si fece conoscere ... ».
292
» Iddio nessuno lo ha mai visto; se noi c1 amiamo
a vicenda, Iddio sta in noi... Dio è amore, e chi sta fermo
nell'amore sta in Dio e Dio in lui».
294
Vere dignum et iustum est, aequum et salu
tare, nos Tibi semper et ubtque grattas agere,
Domine Sancte, Pater Omnipotens, Aeterne
Deus: quia per Incarnati Verbi Mysterium,
nova mentis nostrae oculis lux tuae claritatis
infulsit: ut dum visibiliter Deum cognosctmus,
per bune in invisibilium amorem rapiamur...
295
NOTA FINALE
297
Non di meno la necessità di parlare non giustificherebbe
totalmente l'inettitudine. Comunque siano non solo le « in
tenzioni » di un autore, ma la cosa tutta intellettuale che è
l'intentio del suo pensiero, l'intentio della sua opera, cioè il si
gnificato d'insieme che le conferisce il fine a cui tende, il senso
verso cui essa è diretta 4 , può accadere che un compendio
troppo rapido, un'espressione troppo ellittica o una parola poli
valente rischino di orientare l'uno o l 'altro lettore su una falsa
pista; un accento qui troppo debole là troppo forte può essere
tale da minacciare, in alcune menti, l'equilibrio sempre deli
cato della verità. Aggiungiamo che una redazione discontinua,
più atta a suscitare lo sforzo di riflessione, rende pure più
difficoltosa la piena intelligenza di tutte le formule. Perciò
rispondendo a domande benevole e autorizzate, abbiamo rivisto
il nostro testo. Sono state aggiunte molte precisazioni a scopo
di maggiore chiarezza. Ci era tuttavia impossibile dimenticare
che ogni qualvolta si toccano le questioni essenziali, ogni spie
gazione suppletiva fa nascere nuovi problemi, cosl che più si
spiega più bisognerebbe spiegare. Non ci si farà colpa di un'in
fermità inerente alla condizione umana. Questa edizione rifatta
non affronta, come del resto le due precedenti, tutti i problemi
che formano l 'oggetto dei nostri trattati classici di « teologia
naturale ». Ben lungi da ciò. Cosl essa non può né vuole sosti
tuirvisi. Comunque, vi sono stati introdotti alcuni sviluppi onde
completare o mettere in miglior luce certi punti che ci sem
bravano importanti in se stessi o che abbiamo costatato adatti
a trarre d'imbarazzo alcuni lettori. A rischio di appesantirsi
molto, essa arreca inoltre note esplicative, destinate a fornire
gli schiarimenti o le giustificazioni necessarie.
Si troverà perciò alquanto modificato il carattere delle primt>
298
due edizioni. Vorremmo solo tendere una mano fraterna ad
alcune persone in cerca del loro Dio, ed è una gioia che effetti
vamente l'abbiamo stretta più di una volta. Queste persone
di solito non sanno che cosa farsene di « autorità » multiple.
Cosl le citazioni si riducevano a qualche raro testo, la cui forza
e bellezza ci eran sembrate particolarmente suggestive. Ora inve
ce si presentano assai numerose e speriamo che siano utili a
tutta un'altra categoria di lettori.
Vorremmo che fosse ormai più chiaro per tutti che noi
attribuiamo la medesima importanza che vi attribuisce la stessa
Chiesa Cattolica - come dicevamo poco fa in termini equiva
lenti - al « potere che la ragione umana ha di dimostrare, par
tendo dalle cose create, senza il soccorso della rivelazione
soprannaturale né della grazia, l'esistenza di un Dio persona
le ». Noi non confondiamo questo potere - supposto in tutta
la nostra fatica - con queste o quelle condizioni concrete
del suo esercizio e, ad esempio, per riprendere due parole già
usate, se il gusto di Dio è una cosa, noi sappiamo che le prove
sono un'altra. Non v'è una sola nostra pagina che non voglia
testimoniare il nostro attaccamento - tanto profondo, osiamo
dirlo, quanto quello di chiunque - alla « sana filosofia che
abbiamo ricevuto in eredità dai secoli cristiani, come un patri
monio costituito da lungo tempo », e pur confessando a nostra
volta che conviene, in uno scritto che non è un manuale di inse
gnamento, « alleggerirla di certe presentazioni scolastiche meno
adatte », non la consideriamo affatto, tuttavia, come un « monu
mento imponente ma di un'altra età ». È essa che ci ha nutriti,
è nel suo clima che il nostro pensiero non cessa di vivere: vor
remmo poter dimostrare a tutti che essa è ancora più ricca e
più nutriente, che ha ancora oggi linfa più feconda di quanto
credano perfino alcuni suoi adepti. Si vedrà del resto qui come
altrove che non professiamo alcuna indulgenza per quella specie
di « nevrastenia filosofica » 5 che sembra rodere lo spirito di
299
un certo numero dei nostri contemporanei e che neppure abbia
mo un'eccessiva tendenza per le « novità del giorno » che esalte
rebbero l'unica considerazione « degli esseri singolari e della
vita sempre fluente » o l'adozione simultanea di « dottrine dispa
rate ». Lasciando d'altronde agli specialisti di intavolare le
discussioni necessarie, la nostra sola ambizione è stata, e lo è
ancora, di ricordare, in un linguaggio che non sembrasse troppo
invecchiato, alcune verità eterne. Se infine pensiamo con tutti
i credenti che « gli insegnamenti della fede su un Dio personale
e i suoi precetti si accordano perfettamente con le necessità della
vita », stimiamo pure che ciò non è di detrimento, ma anzi in
ragione del loro valore di verità 6 •
Ci si voglia ora permettere di richiamare l'attenzione su
alcuni punti particolari.
Un critico ci ha attribuito di cercare un « ritorno ai Padri »,
il che sarebbe una specie di rinuncia a tutte le ulteriori conqui
ste del pensiero cristiano. Ciò era un errore da parte sua:
questo scritto lo dimostra abbastanza da se stesso. Noi teniamo
molto al numero di queste conquiste. Allo stesso modo che le
manie innovatrici, cosi ci ripugnano tutte le forme di archeolo
gismo, e d'altra parte sappiamo abbastanza quanto esse siano
lontane dallo spirito cattolico. Se talvolta ciò che si chiama
« ritorno alle sorgenti » ha dato luogo, ai nostri giorni, ad affer
mazioni inconsiderate, ci si renderà questa giustizia che noi non
c'entriamo affatto. Ma per contro, non sarebbe forse una pre
cisa novità voler tenere semplicemente scaduto, sul piano del
pensiero o anche della sua espressione, tutto l'apporto della
patristica? Bisognerebbe forse credere che questa, che è ancora
cosi feconda, in senso stretto, di « vita spirituale », non sa
rebbe più di alcun aiuto per una ricerca di ordine intellettuale?
Non avrebbe più alcuna fecondità? Tutto ciò che essa conteneva
di solido, sarebbe allora stato totalmente assorbito, sistematiz-
300
zato, o « sorpassato » nella speculazione posteriore, cosl che
sarebbe per lo meno una perdita di tempo il ricorrervi? Nes
suno dei grandi pensatori cristiani che si sono succeduti dopo
di allora ne converrebbe. Il loro esempio prova precisamente
il contrario. Il pensiero non progredisce come la tecnica. E un
simile taglio, un simile sdegno pratico non sarebbero pieni di
pericoli? Se ve ne fosse bisogno, gli avvertimenti cosl netti del
l'enciclica Humani generis basterebbero a metterci in guardia 7 •
301
sivo » che ci dispensi dal conoscere gli altri, e stlllllamo incre
scioso che partiti presi di falso rigore o controversie artifi
ciose abbiano talvolta fatto perdere il senso di questa unità
profonda tra i grandi maestri, unità che Etienne Gilson, sottile
analista lui stesso delle particolarità di ciascuno, recentemente
ricordava a cosl giusto titolo 8 •
D'altronde si vedrebbe a torto eclettismo in ciò.
In un'opera che non vuol essere di filosofia tecnica, ma
di libera riflessione sul tema più fondamentale, una simile
posizione non solo è legittima ma la giudichiamo necessaria.
Essa salva l'unità della philosophia perennis, e fra altri vantaggi
permette pure di assimilare, per quanto è possibile, molte
idee profonde il cui significato o potere di suggestione sorpas
sa l'uso definito dal loro contesto immediato. Altri lavori di
più pronunciato carattere storico o più dotti attingono ad al
tro metodo. Però, almeno vicino ad essi o, come dicevamo,
in margine, si tollerino alcuni scritti più umili, che forse avran
no maggior probabilità di rispondere all'attesa di un certo
numero di spiriti. Si ascoltino pure, si odano le serie obie
zioni che cosl spesso ci vengono poste: non per cedere ad
esse, ma per poter rispondere; non per essere intimiditi, ma
per confutarle e ribatterle a fondo. Se occorre, si abbia riguar
do a quelli che cercano; si abbia pietà delle anime. Non si
supponga troppo in fretta che la verità non avrebbe che
a perderci: essa può pure guadagnarvi. Infine ci si provi a non
dimenticare che Dio non appartiene esclusivamente a qualche
tecnico.
302
Dobbiamo infatti aggiungere che la filosofia tradizionale
non è esattamente ciò che alcuni saggi troppo semplici fareb
bero credere. San Tommaso stesso, « il più intellettuale dei
filosofi cristiani » 9 , offre una resistenza costante alle minacce
del razionalismo 10• Egli vuole « che si istituisca una severa
crhica della nostra conoscenza relativa alle cose di Dio » 1 1 • La
sua teologia negativa non è la timida e pallida teodicea di
tanti « spiritualisti » moderni. La sua dottrina dell'analogia,
spesso cosl mal compresa, non offre che un solo aspetto: non
è la teoria sdolcinata che si presenta qui o là forse al solo
fine di evitarci ogni vertigine. In quel che concerne la nostra
conoscenza di Dio, la sua critica del concetto va assai lontario.
Gli interpreti migliori lo hanno dimostrato: cosl anche E. Gil
son nel suo bel libro sul tomismo; cosl pure, fra altri, il Ser
tillanges, che ne ha esaltato l'« audacia tanto tranquilla quanto
liberatrice » 12 , e che commentava un testo della Somma con il
grido di estasiato stupore: « Che cosa è questa unità infrangi
bile, cosl ricca che i nostri concetti !'assalgono da tutte le parti
e vi si perdono? » 13 • Ci si rassicura volentieri facendo appello
alla distinzione classica della significazione del concetto e del suo
modo di significazione. Come principio, nulla è più giusto 14 ; ma
succede che viene applicato troppo materialmente, come se si
potesse illudersi di mettere a parte questo per conservare intat-
303
ta quella. Come se, almeno nell'ultimo istante del pensiero, si
potesse concepire nella sua purezza, partendo dalle nostre qua
lità umane, il modus altior che solo si trova in Dio e in Dio solo!
Il che vuol dire ristabilire con un sotterfugio, nella conoscenza
analogica, una parte di univocità che la nega. È dimenticare che
effettivamente l'analogia non è nel concetto, ma nel giudizio,
che essa dice nel contempo ed indissolubilmente rassomiglianza
e dissimiglianza, indicando il « rapporto » (ordo, proportio), che
permette di affermare la prima, tenuto conto della seconda 1 5 •
Oppure temendo giustamente di dover dire che i nostri concetti
sono solo approssimativi, proprio a torto si rifiuta talvolta di
confessare l'inadeguatezza che, senza togliere ad essi la loro
verità, inevitabilmente li intacca 16 • Può darsi che questa timi-
304
dezza eccessiva derivi dal fatto che non si guarda abbastanza
agli elementi compensatori che assicurano l'equilibrio della dot
trina tradizionale. A dire il vero, la ripugnanza che questi tenta
tivi manifestano denota preoccupazioni più pragmatiche che in
tellettuali, e non è certo che lo stesso spirito di fede vi trovi
tutto il suo interesse. Sarebbe allora tutto perduto se non si
giungesse a « incapsulare » Dio?
Una convinzione più solida ha il diritto di dimostrarsi meno
timorosa. Essa non è tentata ad arrestarsi a metà strada del
vero e a sacrificare il rispetto del mistero a un istinto pusilla
nime di sicurezza. Infatti, per quanto essa spinga lontano i pro
gressi della « teologia negativa », sa bene di non scuotere la
solidità delle prime affermazioni che li sostengono. Essa non
rischia di confondere questi progressi con gli indietreggiamenti
o le esitazioni dell'agnosticismo. Sa infatti, come vedremo più
a fondo, che il no che succede al sì non è (per usare una volta
il gergo di Sartre) I'« annientizzazione »: il sì continua a vivere
segretamente nel no, come il suo correlativo obbligato; l'orien
ta, lo determina, lo qualifica. Se tutto sembra improvvisamente
inghiottito, essa sa che nulla è perduto, e comprende, con San
Tommaso, che la remotio è il frutto dell'excessus. Essa dice infi-
305
20. - Sulle vie di Dio
ne con Sant'Agostino: « Non parvre pars est, cum de profondo
isto, in illam summitatem respiramus, si ante quam scire possi
mus quid sit Deus, possumus jam scire quid non sit » 17 •
Non è per questo men vero che il concetto resta sempre
indispensabile, e la verità che comporta non è in causa: essa
chiede solo di essere definita. La critica che, per parte nostra,
ne abbiamo fatta, o piuttosto richiamata in alcuni passi, ne
è pure una giustificazione, « poiché nel concetto stesso vi
è sempre più che il concetto », e noi non vorremmo cedere
mai al miraggio di un altro modo di conoscere che gli facesse
concorrenza nella vita normale dello spirito. Come fu detto ·
con formule felici, il concetto e il processo discorsivo, se
fossero soli, non costruirebbero senza dubbio che l'irreale;
ma nella nostra conoscenza vi è « un fondo di intuizione »
che in essi è implicito e conferisce loro un valore reale, pur
avendo bisogno di essi per esprimersi e completarsi 19• La
« conoscenza naturale » o l'« affermazione necessaria » di cui ab
biam parlato, forse in modo rozzo, ma a colpo sicuro, seguendo
una tradizione antica e ininterrotta 20 , non si oggettivizza altri-
306
menti che in concetti, sebbene resti sempre in fondo allo spi
rito come una forza viva, che le impedisce di restare ancorata
nell'ordine del concetto 21 • Interpretandola cosl, cioè non am
mettendo per l'uomo naturale, in questo mondo, nessuna « vi
sione intellettuale » diretta dell'Essere, nessuna intuizione che
basti a se stessa, e al tempo stesso rifiutando ogni « inneismo »
propriamente detto anche, in senso forte, dei primi principii
della ragione o dei « prima intelligibilia », noi andremmo in
contro a tutte le dottrine di tendenza « ontologista » 22 • Più
ancora, crediamo di aver seguito su questo punto essenziale lo
schema essenziale del pensiero tomista a preferenza di ogni
altra filosofia approvata nella Chiesa. E noi siamo certamente
più fedeli a San Tommaso di quelli che han creduto di poterci
al riguardo criticare in suo nome. Come ricordava di recente
Giuseppe Pieper, la neoscolastica non ha certo avuto torto di
voler « lavare il suo maestro San Tommaso dal minimo sospet
to di agnosticismo »; ma (purché si sappia riconoscerne nello
stesso tempo l'ispirazione profondamente positiva) ciò non deve
trarre con sé il non riconoscimento dell'« elemento negativo »
della sua filosofia, soprattutto nel problema della conoscenza
di Dio. Dio conosciuto come « sconosciuto » : per San Tommaso
è qui il più alto grado della nostra conoscenza umana 23 •
307
« Meglio di ogni altro » San Tommaso « descrive l'un
perfezione dello strumento » che noi dobbiamo usare nella
nostra ricerca. Tuttavia questa unperfezione « non arresta il
suo slancio intrepido » 24 • Ciò perché egli sa, a sua volta, che
nello spirito umano c'è qualche cosa di più fondamentale: non
al di fuori, ma proprio nel cuore dell'intelligenza. Bandire
dall'intellettualità questo elemento che non è forma né rappre
sentazione, questo elemento dinamico, questo moto del pen
siero che non è il concetto poichè ne esplica la formazione,
ma che gli dà la sua anima, sarebbe distruggere l'intellettualità
stessa; sarebbe rinchiudere l'intelligenza nel centro del relativo.
Si può esitare sulla sua natura, o piuttosto, secondo i pro
blemi considerati, prestare successivamente attenzione all'uno
o all'altro dei suoi aspetti; ma - solo che si sia intravvisto
l'enigma che la conoscenza è a se stessa e il tipo di problemi
che essa pone - non se ne saprebbe fare l'economia. Libero
ciascuno di augurarsi, come oggi si dice con una parola alla
moda ma spesso ingannatrice, un « intellettualismo » più veg
gente. Ma potrà essere opportuno richiamare che non è que
stione di gusto deciderne, e che il più veggente non è sempre
il più autentico. L'intellettualismo legittimo non è un nar
cissismo del concetto. Non è amore dell'intelligenza per se
stessa o compiacenza nel prodotto dei suoi atti: è uso libero
e fiducioso dell'intelligenza nella ricerca del vero. Si badi a
non introdurre di nuovo qui, per qualche sottile deformazione,
un nuovo soggettivismo, e a non lasciarsi sopraffare troppo
facilmente da dichiarazioni presuntuose: non costa nulla an
nunziare sempre con prove perentorie, distinzioni definitive
e chiarezze senza penombra; ma, come qualcuno ha detto
assai bene, una filosofia non si giudica da ciò che promette,
ma da ciò che contiene.
Una preoccupazione analoga fu causa di un altro malin
teso. Molti non hanno compreso qual era il pruno oggetto
del capitolo in cui si trova esaminata l'origine dell'idea di
308
Dio. Chiusi nello stretto cerchio delle loro dispute di scuola,
hanno immaginato in buona fede che queste pagine fossero
scritte per loro, cioè, pensavano, contro di loro. Meraviglio
samente protetti contro il chiasso stesso degli assalti diretti
contro la nostra fede in Dio, sembrano non aver più sospetta
to un istante l'avversario principale a cui in realtà miravano.
Quest'avversario è tuttavia legione. Dopo un centinaio di an
ni prolifica. Volta per volta assume l'aspetto dell'etnologo, del
sociologo, dello psicologo, dello storico delle religioni. Dopo
l'animismo di Tylor fino alle elucubrazioni di una certa psicana
lisi, ha inventato cento sistemi, denunciando a gara la grande
illusione da cui l'umanità deve essere affrancata. Spiega tutta
l'idea di Dio nella coscienza umana con una serie di trasforma
zioni a partire dal sogno, dalla credenza negli spiriti, dalla
mistificazione del linguaggio, dalla paura cosmica, dall'alienazio
ne sociale ecc., e, persuaso di averne cosl stabilito la genesi -
potremmo dire la genealogia empirica - conclude per il suo
nulla 25 • Contestare questa pretesa « genesi » non è fare pro
fessione di inneismo né infirmare il valore dell'operazione razio
nale che ci fa affermare Dio: è al contrario darle campo libero.
D'altra parte sottrarre l'affermazione di Dio alle maglie della
« dialettica » immanente in cui molti pensatori, marxisti o altri,
vorrebbero oggi rinserrarla tutta e relativizzarla, non significa
reciderla vieppiù dalle sue basi logiche; tutto al contrario,
equivale a restituirle queste basi, strappandola al gioco, « dell'al
terità e della negazione » e fondarla nell'assoluto. Non è forse
Engels che diceva: « Questa filosofia dialettica dissolve tutte le
idee di verità assoluta »? E occorre forse ricordare a filosofi
che nel linguaggio attuale le due parole dialettica e logica, lungi
dall'essere equivalenti, sono spesso opposte tra loro? Non
di pensare " Dio, ove distingue diversi tipi, secondo lui irridu
cibili in diritto, dell'idea di Dio, scriveva: « Il termine iniziale di
questi processi complicati è posto dall'immaginazione mitica
dell'umanità » (Note sur la triple origine de l'idée de Dieu in
Revue de méthaphysique et de morale, t. XVI, 1908, 2, p. 721 ).
309
udivamo assai recentemente un buon analizzatore di dottrine
definire il tomismo come « un rifiuto della dialettica? » 26 • Im
possibile in ogni caso conservare la purezza perentoria del logos
senza resistenza alle invasioni indebite della dialettica.
Ugualmente, quando ci capita di mostrare nella storia e nel
corso dell'evoluzione religiosa certe « analogie » che si indura
no, siamo assai lungi dal pensare di tradurre in giudizio l'analo
gia metafisica. Non facciamo che riprodurre una osservazione
del libro della Sapienza. Segnaliamo semplicemente il fatto
che in certi spiriti o presso certi popoli cose sensibili come la
volta del cielo, il sole, la folgore ... , attraverso cui la divinità
poteva essere scorta come in un simbolo, in un giorno diventano
opache e adescano ormai lo slancio religioso invece di sostenerlo.
Di qui le diverse forme del « naturismo » che si può osservare
fin troppo nella storia e che alcuni ci dànno come prima origine
e ultima spiegazione d'ogni religione.
I termini « analogia », « dialettica », « genesi » , nel con
testo in cui figurano ci erano sembrati abbastanza chiari per
se stessi, almeno per chiunque è un po' al corrente di una pro
blematica oggi diffusa e volgarizzata dappertutto. Certamente
chi si fa intender male è sempre in torto. Avrebbe mostrato
maggior saggezza prevenendo lui, con più insistenza, l'equivoco.
Se tuttavia questo è il caso di un piccolo numero, e se del resto
è facile riconoscere ciò che lo genera, forse non lo si riterrà
completamente responsabile. Fors'anche si inviteranno piuttosto
quelli che l'avessero commesso a rientrare nella propria coscien
za per esaminare se il proprio atteggiamento non tenda a ren
dere impossibile l'esercizio di un compito, ahimè, indispensabile
e il minimo necessario di ubbidienza alle insistenti raccoman
dazioni della Santa Sede 21 •
310
Recensendo quest'opera con la sua abituale simpatia, il Pa
dre Giuseppe Huby, che dopo se ne andò nella luce di Dio,
aveva espresso il suo rammarico. La riconoscenza di Dio per
mezzo di Gesù Cristo appena menzionata alla fine del volume,
non vi si trova studiata affatto. Una lacuna innegabile e, lo rico
nosciamo, non senza inconvenienti. Attardandosi troppo nelle
considerazioni di teologia naturale, si rischia effettivamente
di dimen.ticare l'astrazione di metodo che è alla loro base, e di
lasciarsi prendere da una specie di « filosofia religiosa », la quale
usurpa il posto che compete solo alla religione stessa. Si rischia
di cambiare in un oggetto di speculazione, sia pure contem
plativa, l'Essere a cui si tratta di dare la propria fede, di donar
si nella fede. D'altra parte, questa speculazione non può che
svilupparsi ben presto in teologia negativa, poièhé è vero che la
ragione naturale non può entrare nell'intimo del Dio che affer
ma, e che la conoscenza di Dio per negationem è la più perfetta
in ogni ipotesi 28 • Ma, in un clima di credulità, la teologia
negativa, come per un'inclinazione fatale, tende ad andare verso
l'agnosticismo quando va piuttosto verso un misticismo affatto
negativo o verso un ateismo puro e semplice, camuffato solo per
un certo tempo. Hegel diceva: « La definizione dell'Assoluto
non può essere che negativa » e si conosce il seguito dell'avven
tura in tutta la sua posterità vivente... Con un minimo di auda
cia, si potrebbe anche supporre che la riflessione obblighi a
311
escludere dall'Assoluto ogni determinazione personale, in quanto
immaginativa e antropomorfica, e allora un mistero del divino
tende a sostituirsi al mistero del Divino vivente, tanto più
nascosto quanto più Egli è personale 29 • Via via che si perde il
senso dei valori suscitati dal cristianesimo nella nostra coscien
za, si cessa pure di comprendere che il rispetto di questo mistero
di Dio è la confessione tanto più forte della sua Personalità.
Questi pericoli non debbono certo far disconoscere la
legittimità, e perfino la necessità di una « teologia naturale ».
Nondimeno, la storia delle idee ci ricorda che in realtà essa
trova il suo equilibrio solo in un clima di fede. In tutti i grandi
pensatori della tradizione cattolica è nell'intimo della fede che
essa si è costituita e sviluppata, per quanto lontano essi ne
abbiano spinto l'autonomia relativa e la razionalità. Realtà
manifesta che gli storici recenti della filosofia cristiana hanno
ancora una volta messa in luce, e di cui il Concilio Vaticano I
ci mostra il motivo 30 • A nostra volta noi abbiamo seguito la
stessa via.
Non abbiamo perciò pensato di colmare direttamente la
lacuna che il Padre Huby segnalava. Sarebbe occorso tutto un
altro libro e il diretto richiamo alla fede. Ma la prospettiva
di storia religiosa che domina nel nostro primo capitolo e la
· . visuale concreta che seguiamo un po' dappertutto crediamo che
3B
pensiero più razionale ha attinto una parte della sua linfa dal
suolo della Rivelazione. Esso scaturisce da una vita religiosa e si
spande in atto religioso. « Dialettica e contemplazione vi resta
no congiunte affettuosamente in una esperienza elevatissima »
( 33).
Noi non abbiamo di sicuro cercato in nulla di imitare la
maniera o l'accento del grande Dottore, né di alcun altro. Non
abbiamo cancellato ogni traccia di quel « conflitto di pensie
ro » 34 che inevitabilmente agita lo spirito quando si lascia
invadere dal Mistero di Dio, né abbiamo cercato di bandire
dalle nostre riflessioni ogni apparenza di coefficiente personale.
Pur essendo salva l'unità sostanziale della dottrina e acquisita
l'adesione di tutti agli stessi insegnamenti del Magistero, nella
grande famiglia cattolica le dimore sono ancora diverse. Diversi
i metodi di esposizione, secondo la diversità dei temperamenti,
pure essa voluta da Dio. Diverse soprattutto le situazioni sto
riche e i bisogni che queste comportano. Sempre il medesimo
3 14
nella sostanza, come sempre il medesimo è lo spmto dell'uo
mo, il problema dell'esistenza di Dio riveste, nel corso delle
età, certi aspetti nuovi di cui, se non fosse necessario, sarebbe
un obbligo tener conto per chi, secondo le sue possibilità, voglia
illuminare i propri fratelli. Sia, come alcuni pensano, appro
fondimento dello spirito o almeno delle sue tecniche, sia in
vece, come vogliono altri, una malattia; sia più semplicemente
spostamento di prospettive, è in ogni caso un fatto che i punti
di interrogazione - di opposizione, di negazione - non restano
sempre posti esattamente nel medesimo luogo né con la stessa
rispettiva insistenza. Ora sono appunto essi che impongono i
punti di partenza 35 • Cosi la fedeltà del credente non si accon
tenta in tutto di una ripetizione letterale.
Comunque, senza paragonare agli sforzi di tanti grandi
predecessori uno sforzo infinitamente più modesto e assai cir
coscritto, possiamo assicurare che esso si pone spontaneamente
nel loro solco, al servizio della medesima Verità 36 •
Il cristiano sa che, per un incontro reale con Dio, non vi
è che una sola Via : la Via Vivente che ha nome Gesù Cristo.
A ciò pensando abbiamo intitolato quest'opera Sulle Vie di Dio
senza voler subito precisare, anche per i primi passi della
conoscenza naturale, se sono più le Vie per le quali noi an
diamo a Dio o quelle per le quali Dio ci attira 3 r.
315
nem Deum. Hic est enim Mediator Dei et hominum, homo Chri
stus Jesus ».
Cfr. Sermo 117, De verbis evangelii Joannis, c. 10, n. 16: « Si
nondum possumus videre Verbum Deum, audiamus Verbum car
nem: quia carnales facti sumus, audiamus Verbum carnem fac
tum. Ideo enim venit, ideo suscepit infinnatatem nostram, ut
possis firmam Iocutionem capere Dei portantis infirmitatem
tuam ».
316
INDICE
Premessa pag . 9
Conoscenza di Dfo » 15
Abyssus abyssum invocat » 17
Capitolo I - Origine dell'idea di Dio » 29
Capitolo II - L'affermazione di Dio » 57
Capitolo III - La prova di Dio » 89
Capitolo IV - La conoscenza di Dio » 133
Capitolo V - La ineffabilità di Dio » 177
Capitolo VI - La ricerca di Dio » 215
Capitolo VII - L'attualità di Dio » 257
Inno a Dio » 289
Nota finale » 297
Finito di stampare
1 0 luglio 1 966 - Edizioni Paoline - Alba