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Lopera una rilettura del cardinale Ravasi sugli interrogativi attuali e sul senso angoscioso dellesistenza QOHELET, IL LIEVE

SUSSURRO NEL GRAN SILENZIO DI DIO di Ravasi Gianfranco L insieme delle domande pi misteriose della Bibbia La sentenza Il sapiente tormenta to, l ignorante ilare nella sua beceraggine. Solo l intelligente vede il vuoto che rode l essere Uno pseudonimo ebraico, Qohelet, rimanda al vocabolo qahal , assemblea, in greco ekklesa , donde il greco-latino Ecclesiastes divenuto la titolatura com une nell Occidente cristiano di un opera tuttora oggetto di differenti decifrazion i. Interpretato come testo pessimistico, scettico, considerato espressione dell ide ologia dell aurea mediocritas , influenzato dalla filosofia greca del III secolo a. C., ritenuto una guida ascetica di distacco e disprezzo del mondo a parte del la tradizione cristiana, stato negli ultimi decenni da qualche esegeta riportato nell alveo rassicurante dell ottimismo a causa di alcuni passi, per la precisione sette (2,24-25; 3,12-13; 3,22; 5,17; 8,15; 9,7-9; 11,7-10), dai quali emergereb be un appello al sereno godimento delle scarse gioie che la vita riserva. A ques ta interpretazione si accosterebbe, paradossalmente, anche lo scrittore francese Albert Camus quando, nel Mito di Sisi fo , vede in Don Giovanni un uomo nutrito dall Ecclesiaste, un pazzo che un gran saggio perch questa vita lo appaga. () La to dominante quella dell inconsistenza, emblematicamente incarnata dal vocabolo caro a Qohelet, hebel/ habel , che risuona ben 38 volte, talora nella forma superlat iva habel habalm , il celebre vanitas vanitatum della versione latina della Volga ta: il termine allude al fumo, al vapore, al soffio e quindi definisce la realt c ome vuoto, vacuit, caducit irreversibile. () L incrinatura che fa scoprire la presen za dell hebel nell essere e nell esistere si incontra anche nell intelligenza umana. Q ohelet un sapiente, uno scriba, un intellettuale (12,9-10); disprezza la stupidi t, per ben 85 volte introduce le sue riflessioni in prima persona, consapevole di un originalit del suo pensiero. Eppure il risultato finale del conoscere aspro: g rande sapienza grande tormento, chi pi sa pi soffre (1,13-18). Anche il filosofo ch e crede di guidare il mondo scrive un commentatore, Daniel Lys non guida che il vento. Il paradosso della sapienza che la sapienza suprema consiste nel sapere c he la sapienza vento quando pretende di essere suprema. Non c , allora, nessuna diffe renza tra sapienza e stupidit? No, risponde Qohelet, una differenza c ed terribile : il sapiente tormentato, l ignorante ilare nella sua beceraggine. Solo l intellig ente vede il vuoto che rode l essere e la morte che pervade ogni atto che si comp ie sotto il sole. () Il Dio di Qohelet un Deus absconditus : La immensit di Dio non ha per Qohelet nulla di rallegrante; meraviglia in s, resta pura impenetrabilit (H orst Seebass). I buoni motivi che Dio chiamato 32 volte su 40 ha- elohm , cio il Dio, in modo freddo e distaccato pu avere sono per noi privi di incidenza perch ci res tano sconosciuti. La sua opera contiene in s una incomprensibilit tale da spegnere ogni interrogativo e rendere vana, non solo la contestazione, ma anche ogni ten tativo di decifrazione del suo senso (si veda soprattutto 4,17-5,6). A questo punt o scatta un interrogativo: come possiamo, dopo aver letto tutte le pagine di que sto autore dai temi spesso sconcertanti e fin provocatori, definire Qohelet parol a di Dio? O ancora, come ha fatto il canone delle Scritture ebraiche, e quindi la comunit giudaica e cristiana, ad accogliere al proprio interno un testo apparent emente scandaloso? Certo, l interpretazione ascetica, che ha usato l opera come se fos se un appello al distacco dalle cose, ha aiutato l inserimento di Qohelet nelle S critture o, almeno, servita a smorzarne la provocazione come, d altronde, appare nell epilogo del redattore finale che riduce l insegnamento di Qohelet alla dogmat ica sapienziale classica (12,13-14). I rabbini per giustificare Qohelet sono ricorsi anche ai suoi sette appelli al godimento delle gioie lecite, appelli distribuit i nell opera, oppure al fatto curioso e allegorico che la prima e l ultima parola del libro (rispettivamente: dibr , parole e ra , perverso, cattivo) si ritrovano nell a Trah, cio nella Legge! In realt, c una strada per comprendere come questa teologia cos nuda e povera possa a buon diritto far parte ed essere coerente con la Rivela zione biblica. Per la Bibbia, infatti, la parola divina s incarna e si esprime att raverso la storia e l esistenza. Essa, perci, acquista anche rivestimenti miseri, pu farsi domanda, supplica (Salmi), persino imprecazione (Giobbe) e dubbio (in Qo helet). Si vuole, cos, affermare che nella stessa crisi dell uomo e nel silenzio di

Dio si pu nascondere una parola, una presenza, un epifania segreta divina. Il terr eno umano dell interrogativo amaro, come quello di Giobbe, pu essere misteriosamen te fecondato da Dio. La Rivelazione, quindi, pu passare attraverso le oscurit di u n uomo come Qohelet, disincantato e in crisi di sapienza, ormai vicino alla fron tiera del silenzio e della negazione. Il silenzio di Dio e della vita non per la B ibbia necessariamente una maledizione, ma una paradossale occasione d incontro di vino lungo strade inedite e sorprendenti. Qohelet , dunque, la testimonianza di u n Dio povero che ci vicino, non in virt della sua onnipotenza, ma della sua incarn azione, ed in questa fratellanza che salva e si rivela. Ravasi Gianfranco

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