“il mondo non è comprensibile, ma è abbracciabile”
L’ essere umano è certamente una creatura complessa. Unico e
diverso allo stesso tempo e dalle mille sfaccettature, egli difficilmente potrà trovare una risposta definitiva alla specifica domanda “ che cos’ è l’uomo”?
Grandi pensatori, come Kant, hanno cercato di dare una risposta
appropriata al quesito, ma senza successo , in quanto la complessità e la diversità del genere umano, a seconda dell’epoca in cui vive e si relaziona, rendono più complicato la ricerca di una risposta risolutiva e che , soprattutto, venga accettata da tutti.
Certamente, ciò che rende l’uomo diverso dagli animali e che lo
differenzia è la ragione e la cultura. Come afferma Barbara Rogoff l’uomo è predisposto a sviluppare cultura intrisa di sapere , tradizione, costumi e così via in quanto l’uomo è essere pensante ed erudito.
L’uomo, inoltre, ha bisogno degli altri; è un essere
fondamentalmente sociale, e questo è vero, soprattutto per l’uomo moderno. Nel libro di Buber Il problema dell’uomo si parla proprio dell’uomo moderno sia in chiave individuale che collettiva: entrambe le dimensioni creano delle difficoltà e dei limiti all’ esistenza umana. In una società basata sul concetto di individualismo, dove l’uomo di relazione solo con se stesso e i suoi bisogni , egli rischia una chiusura in se stesso, mentre, in una società basata sul collettivismo. l’uomo si concentra di più sulla società e sul suo ruolo e quindi rischia di perdersi nella massa.
Martin Buber critica entrambe le società, e cerca di trovare una
soluzione nella quale l’uomo possa vivere in armonia con gli altri e con se stesso e non sentirsi solo.
Da sempre, l’uomo, per poter vivere insieme agli altri e integrarsi
nel miglior modo possibile, si dà delle regole; egli ha creato delle società dove poter convivere insieme in armonia e pacificamente ma. col passare del tempo, tutte queste regole, hanno forse allontanato l’uomo dalla sua vera essenza, dalla sua veridicità.
Sommersi sempre di più da certi ruoli che ci siamo dati, dove i
rapporti con gli altri non sono più autentici ma fatti di ipocrisia, di convenienza , dove certe relazioni ci soffocano quasi , e non ci permettono di essere realmente noi stessi, abbiamo, in un certo senso, perso di vista la nostra umanità.
I ruoli hanno, man mano preso il sopravvento e spesso trasformano
l’uomo che si ritrova in delle situazioni dove lui perde la sua umanità e si ritrova semplicemente a essere una ‘macchina’ con un suo ruolo ben preciso e con regole da seguire.
Per esempio, un giudice, un dottore, un insegante, un operario e così
via si svestono della loro umanità per assumere dei ruoli ben precisi ed esercitare le loro professioni. Ovviamente, questo, è il più delle volte necessario se non si vuol finire nel caos. Ma tutte le regole che ci siamo dati se prendono il sopravvento sul nostro essere, non portano che a un distacco totale dai nostri simili, portandoci ad annullare, perdere la nostra umanità e di conseguenza a sentirci sempre più soli. Molti studi sono stati condotti sul potere del ruolo, da Milgram, Zimbardo a Browning, e tutti sono arrivati alla conclusione che il ruolo e il contesto possono portare a un processo di disumanità vivendo cosi in una società che predilige la soppressione, la sopraffazione e il dominio. Tutto questo alla fine genera una grande solitudine.
Buber afferma che per poter evitare questa crisi di profonda
solitudine bisogna cominciare a superare questi ruoli e bisogna iniziare ad ascoltare veramente la persona che ci sta di fronte. Comunicare con altre persone è di vitale importanza, solo cosi l’uomo può ritrovare se stesso e non sentire la solitudine che, oggi più che mai, pesa sull’intera umanità.
In passato, questa solitudine forse pesava molto di meno, forse si
avvertiva molto di meno: vivere in uno spazio infatti, poteva darci l’illusione di sentirsi meno soli, vivere in una comunità poteva farci sentire amati e capiti. Ma oggi questo, con la modernità, non è più possibile, non siamo più circoscritti a uno spazio, ma come sottolinea Hannerz, l’ antropologo svedese, siamo un po’ tutti di ‘nowhere, anywhere and somewhere’, quindi apparteniamo a una temporalità più che a uno spazio circoscritto. Probabilmente questa transcultura ci fa sentire un po’ smarriti e forse, a volte, abbiamo bisogno di ritrovare noi stessi e una dimora che ci faccia sentire a casa: come afferma la studiosa Heller , la dimora/ la casa può essere un paese, una stanza, un libro, degli odori, qualcosa che ci riporti a non sentirci soli. Può essere rappresentato anche da una persona che ci ascolti davvero, che ci faccia sentire a casa e non più soli.
Questo, secondo Buber, è l’unica soluzione per l’uomo, ovvero
interagire con l’altro autenticamente, e quindi superare la solitudine, il problema dell’uomo, il grande problema dell’uomo.
Al tempo in cui Buber pubblicò il suo libro, nel 1943, l’uomo
muoveva i primi passi verso quel modernismo che caratterizzerà la nostra epoca, con tutte le scoperte e la tecnologia di oggi, quasi impensabili al tempo di Buber, eppure le sue parole e il suo pensiero hanno, in qualche modo, fin da allora, intravisto e anticipato il percorso che l’uomo avrebbe intrapreso verso un cammino solitario e le sue parole sono, quindi, sono più attuali che mai. Abbiamo perso di vista l’essenza dell’uomo e siamo sommersi dalle nostre regole e dai nostri ruoli che non ci permettono di vivere realmente a contatto con i nostri simili. Per fortuna, ce ne rendiamo conto e spesso cerchiamo di rimediare agli errori, ponendoci, nei panni dell’altro, riacquistando quell’empatia necessaria per vivere bene con noi stessi e gli altri. Quante volte ci ritroviamo magari a non seguire alcune regole per poter aiutare qualcuno, non siamo di certo robot ma essere umani capaci ancora di sentire l’altro e di relazionarci e grazie a questo, di tornare a quell’autenticità che ci permette di non sentirci più soli, condizione necessaria, come afferma Buber per vivere bene.
Bibliografia
M. Buber, Il problema dell’uomo, Marinetti 1820, Genova, 2019.
J. Gevarth, Il problema dell’uomo, Introduzione alla antropologia
filosofica, Elledici, Torino 1922.
A. Heller, Dove siamo a casa. Pisan Lectures 1993-1998,