HARTMANN
Scheda Biografico-concettuale :
1. Nicolai Hartmann è uno dei principali protagonisti del rinnovamento della metafisica
nel 20° secolo. Il suo nome viene di solito associato all’etica materiale dei valori ch’egli,
insieme a Scheler, propose negli anni Venti, e ad una teoria della conoscenza di impianto
realista. Ma sarebbe un errore circoscrivere a questi due settori il contributo filosofico di
Hartmann: teoria dei valori e teoria della conoscenza sono infatti elementi di una
complessa costruzione ontologica, il cui obiettivo è esplicitare la struttura categoriale
dell’essere, nei suoi diversi strati. Non è possibile capire il senso delle proposte teoriche e
delle riabilitazioni storiografiche di Hartmann, prescindendo dalla fondazione ontologica
della sua filosofia e dall’impianto sistematico che ne deriva. L’opera di Hartmann è un
sistema filosofico paragonabile ai grandi sistemi del passato, da Aristotele a Tommaso
d’Aquino, da Wolff a Hegel, ma Hartmann non è tuttavia un pensatore unilateralmente
sistematico. I sistemi filosofici hanno infatti la tendenza a semplificare la realtà a spese
della variopinta e complessa ricchezza fenomenica. Conscio di questo rischio, Hartmann
distingue metodologicamente pensiero sistematico e pensiero problematico, considerando
il secondo premessa del primo. Nel suo Systematische Philosophie in eigener Darstellung
(1931), Hartmann articola l’analisi filosofica in tre momenti: fenomenologia, aporetica,
teoria. La fenomenologia è il primo momento, ed è la descrizione non pregiudicata dei
fenomeni, che fornisce i contenuti reali al pensiero; l’aporetica è la problematizzazione di
questi contenuti, il rinvenimento di tutte le difficoltà, le contraddizioni, le antinomie
presenti in essi. Fino a questo punto, la scena filosofica è dominata dal pensiero
problematico; il pensiero sistematico entra direttamente nel momento teoretico quando si
tratta di organizzare i contenuti problematizzati nella costruzione del mondo, nel rilievo
delle sue categorie costitutive e della sua struttura a strati, nell’individuazione delle leggi
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che lo governano. L’aporetica dunque non è solo propedeutica al sistema, ma ne è anche
l’elemento essenziale e duraturo: senza di essa, il sistema si ridurrebbe a dogmatismo
aprioristico, ovvero a generalizzazioni affrettate e a violente semplificazioni. La centralità
del pensiero problematico permette di cogliere un altro elemento decisivo di Hartmann:
più ancora della genialità e della coerenza dei sistemi, importante è l’ethos filosofico, cioè
la capacità del filosofo di aprirsi alla vita e al mondo degli uomini, riconoscerne i
problemi nella loro ineluttabilità e spesso nella loro insolubilità, senza precipitarsi in
soluzioni apparenti e dogmatiche. Il valore di una filosofia è dunque sempre valore di
un’ethos, di un insistito esercizio spirituale, in cui l’apertura al mondo non si identifica,
ma anzi precede ogni presa di posizione sul mondo (eccezion fatta per la presa di
posizione radicale, quella per cui il mondo è).
2. La vita di Hartmann non presenta segni e caratteristiche di particolare rilievo, che ne
possano fare una figura drammatica come Bonhoeffer o carismatica come Heidegger:
defilato rispetto ad ogni prospettiva di impegno non filosofico, Hartmann rimane, come è
stato notato da Lukács, non solo professionalmente, ma anche esistenzialmente sempre
all’interno della corporazione accademica tedesca, vivendo in questo modo due guerre
mondiali e gli anni del totalitarismo nazista. Ma all’interno di quest’ambito, Hartmann
attraversa attivamente tutti i principali movimenti filosofici in lingua tedesca della prima
metà del secolo, mantenendo una coerenza di percorso intellettuale assolutamente
insolita.
2.1. Nicolai Hartmann nasce il 22 febbraio 1882 a Riga, capitale della Livonia, in una
famiglia appartente a quella ricca minoranza baltica di lingua tedesca che, dopo
l’assassinio dello zar Alessandro 2° (1881), stava subendo un tentativo di slavizzazione
forzata da parte delle autorità russe. Suo padre, Carl August (1848-1890), aveva
trasmesso a Nicolai l’interesse per la musica e l’astronomia, che rimarrà costante per tutta
la vita. La sua morte prematura lascia però il peso dell’educazione sulle spalle
dell’energica madre Helene (1854-1938), la cui caparbietà ha avuto un ruolo non
secondario nella formazione del carattere di Nicolai. I primi anni della carriera scolastica
di Hartmann, obbligato a seguire una scuola russa, non sono particolarmente felici. La
situazione muta col suo trasferimento al ginnasio di lingua tedesca di San Pietroburgo
(1897), che Hartmann frequenta cercando di pesare finanziariamente il meno possibile
sulla famiglia e dedicandosi, oltre che a studiare, a dare lezioni private e a svolgere
attività di precettore durante i periodi di vacanza. È in questo periodo che Hartmann
matura quelle conoscenze approfondite sulla cultura, la lingua e la letteratura russe che lo
distingueranno dai filosofi tedeschi educati in Germania. Sempre in questo periodo, si
definisce anche il suo atteggiamento nei confronti del problema religioso, ancora legato
all’influenza che la madre, molto religiosa, aveva esercitato sulla formazione del suo
carattere. Hartmann stesso raccontava che in questo periodo si dedicava a frequenti,
lunghe passeggiate in solitudine nei boschi, attendendo una qualche forma di
manifestazione divina. Il fallimento di questo caparbio tentativo induce definitivamente
Hartmann a considerare quello religioso un problema esistenzialmente poco rilevante.
Ancora Hartmann, ormai adulto, era solito raccontare di come egli non avesse mai
conosciuto nessuno che avesse fatto un’esperienza diretta di Dio, ma solo persone che
facevano riferimento all’esperienza degli altri. Il posto dell’esperienza mistica e sacrale
viene assunto d’ora in poi dalla discussione e dall’impegno conoscitivo. Nel 1902
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Hartmann si iscrive a Medicina a Dorpat, acquisendo conoscenze di fisiologia e di
biologia che, aggiunte a quelle in astronomia, costituiranno la sua base di competenza
scientifica. Lo studio della medicina viene però abbandonato dopo soli due semestri, a
favore di studi in filosofia e filologia classica condotti a San Pietroburgo per due anni. A
questo periodo, e all’influenza avuta da Michail Ivanovic Karinsky (1840-1917) e da
Nikolai Lossky (1870-1965), risale il primo incontro di Hartmann sia con il realismo
filosofico sia con le tematiche del neokantismo. Può essere interessante osservare come
un’analoga impronta critico - realista fosse presente nella formazione originaria di in un
altro importante pensatore lituano di lingua tedesca, cioè Oswald Külpe (1862-1915),
fondatore a Würzburg di una scuola psicologica per molti aspetti parallela a quella
viennese di Franz Brentano (1838-1917). Dopo la rivoluzione del 1905, Hartmann si
trasferisce a Marburgo, la capitale riconosciuta del neokantismo: è possibile che il suo
obiettivo fosse già quello di approfondire gli elementi del trascendentalismo kantiano che
più risultavano problematici dal punto di vista di una filosofia realista.
2.2 Tra il 1905 e il 1907 Hartmann studia con Hermann Cohen (1842-1918) e con Paul
Natorp (1854-1924), vincendo anche un concorso accademico con un lavoro su Il
concetto di essere e non-essere nel suo significato per la teoria platonica delle idee .
Questi studi confluiscono nella sua tesi di laurea su Il problema dell’essere nella filosofia
greca prima di Platone (1907). Agli stessi anni risale anche il suo incontro e l’inizio della
sua lunga amicizia con Heinz Heimsoeth (1886-1975), notevole storico della filosofia
moderna, alla cui impostazione, orientata verso una storia della filosofia per problemi,
Hartmann si sentirà sempre molto vicino. In quel periodo, Marburgo è anche uno dei
centri più vitali della filosofia e della cultura europee. Oltre a Cohen e a Natorp, continua
a fare riferimento a Marburgo quella sorta di “diramazione scolastica” dell’idealismo
logico che si era formata all’Università di Amburgo attorno ad Ernst Cassirer (1874-
1945) e ad Albert Görland (1869-1952). Insegnano inoltre a Marburgo Georg Misch
(1878-1965), Eugen Kühnemann (1868-1946) e Wilhelm Hermann (1846-1922), nome di
richiamo per molti giovani studenti di teologia. Inoltre, tra gli studenti e gli studiosi che
erano convenuti in quell’università, è presumibile che Hartmann abbia avuto modo di
conoscere José Ortega y Gasset (1883-1955), Wadyslaw Tatarkiewicz (1886-1980), Boris
Pasternak (1890-1960), Rudolf Bultmann (1884-1976), i fratelli Barth: Karl (1886-1968)
e Heinrich (1890-1965), e quel Matvei Kagan (1889-1937) a cui si deve la prima
stratificazione filosofica nella formazione di Mikhail Bakhtin (1895-1975). Dopo una
breve parentesi come insegnante di greco e latino a San Pietroburgo, Hartmann torna a
Marburgo nel 1908, riprendendo con Natorp gli studi sulla filosofia greca e lavorando al
conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento universitario. Nel 1909 escono La
logica platonica dell’essere, che riprende la sua tesi di laurea, e I principi filosofici della
matematica in Proclo Diadoco, che gli vale l’abilitazione e lo qualifica come principale
erede di Natorp e di tutta la tradizione marburghese. Nel 1911 sposa Alice Stephanitz, da
cui nel 1912 ha una figlia (Dagmar). Sempre nel 1912, Hartmann pubblica “I fondamenti
filosofici della biologia”, “Metodo sistematico” e “Formazione sistematica e idealismo”,
con i quali emerge il distacco dal neokantismo marburghese, lo sviluppo di tematiche
realiste e l’approccio al metodo descrittivo dei fenomenologi. A quest’ultimo riguardo, va
notato che l’accentuazione già in questa fase di tematiche ontologiche e realiste sembra
indicare una maggior prossimità di Hartmann, più che a Edmund Husserl (1859-1938), a
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Alexius Meinong (1853-1920) – con il quale Hartmann ha anche tenuto un interessante
scambio epistolare - e alla scuola di Graz, secondo un percorso che presenta molte
interessanti analogie con quello seguito da Hans Pichler (1852-1958). La prima guerra
mondiale, alla quale Hartmann partecipa come ufficiale tedesco sul fronte orientale, segna
una provvisoria interruzione nella sua carriera accademica. La conoscenza del tedesco
consente ad Hartmann di assumere incarichi anche particolarmente delicati, come ad
esempio nell’abito delle trattative che, tra il dicembre 1917 e il marzo 1918, approdano
alla pace di Brest-Litowsk. Tornato a Marburgo nel novembre 1918, Hartmann diventa
nel 1920 professore straordinario e nel 1922, ritiratosi Paul Natorp, ne eredita la cattedra.
Parallelamente, tuttavia, Hartmann comincia ad organizzare il suo grande progetto di
costruzione di una filosofia sistematica. Nel 1921 esce infatti la sua prima opera
sistematica, Principi di una metafisica della conoscenza, in cui sono già pienamente
visibili le linee fondamentali del suo progetto di ontologia critica e della sua teoria
realista delle categorie, anche se il vero manifesto programmatico di questa impresa
sistematica è probabilmente Com’è possibile l’ontologia critica?, scritto in onore dei 70
anni di Natorp (1924). La teoria della conoscenza rappresenta, in questa fase, uno dei due
luoghi privilegiati in cui Hartmann consuma il suo distacco dall’idealismo logico
natorpiano, e neokantiano marburghese in genere; l’altro luogo è rappresentato dalla
ricostruzione storiografica, dove Hartmann affronta direttamente il problema
dell’idealismo col primo volume de La filosofia dell’idealismo tedesco (1923), dedicato
ai sistemi romantici, a Fiche e a Schelling, e con Al di qua dell’idealismo e del realismo
(1924). Come professore, Hartmann dava di sé un’immagine di rigore scostante, la cui
dedizione all’approfondimento radicale di tutti i problemi affrontati suscitava però grande
impressione e rispetto presso studenti e colleghi. Soprattutto con gli studenti, Hartmann
instaurava un rapporto che non si concludeva nella lezione ma continuava poi, soprattutto
per gli studenti migliori, in un circolo di discussione che Hartmann aveva istituito e ai cui
partecipanti imponeva il proprio stile di pensiero e di comportamento, rigoroso e
disciplinato. Entro queste forme, la disponibilità di Hartmann ad aiutare gli studenti, e a
considerarli interlocutori da cui poter imparare, era incondizionata. La sua giornata tipo
era organizzata secondo le abitudini già acquisite a San Pietroburgo: si alzava a
mezzogiorno, teneva le sue lezioni di pomeriggio o in prima serata e si metteva alla
scrivania solo a mezzanotte, lavorando fino alle cinque del mattino. Nei momenti di relax,
amava mettersi al cannocchiale per osservare le stelle, suonare il violoncello, ascoltare
musica o ondare al cinema. Tra le sue letture non filosofiche preferite, troviamo testi di
storia o classici della letteratura: Shakespeare, Goethe, Schiller, Dostoevsky, Ibsen.
Hartmann rappresenta, in questa fase, e nonostante il progressivo distacco, il principale
erede a Marburgo della tradizione neokantiana. Marburgo stava però conoscendo, nello
stesso periodo, anche un impetuoso sviluppo degli studi teologici: già nel 1915 era
giunto, sulla cattedra di Hermann, Rudolf Otto (1869-1937), a cui tra il 1920 e il 1923 si
aggiungono in cattedra, oltre al vecchio studente di Hermann, Bultmann, personalità quali
Paul Tillich (1886-1965) e Friedrich Heiler (1892-1967): si forma così un gruppo di
giovani teologi fortemente polemici contro la tradizione neokantiana in teologia,
interessati all’applicazione del nuovo metodo fenomenologico e attraversati da spinte
pacifiste e socialisteggianti. È un gruppo con cui Hartmann non poteva non aprire un
confronto serrato, soprattutto con le tesi esposte da Otto nel suo libro più famoso, Il sacro
(1917): il primo progetto di un’etica materiale da parte di Hartmann lo si deve
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probabilmente a questa esigenza di confronto. Ed è forse anche per controbilanciare la
crescente influenza di questo gruppo teologico che Hartmann favorisce l’arrivo a
Marburgo di Martin Heidegger (1889-1976), di cui apprezzava la competenza dimostrata
sull’ontologia antica e medievale, e in cui sperava di trovare un valido collaboratore per il
rinnovamento dell’ontologia. L’equivoco però si dissolve subito, anche per le diverse
abitudini di vita dei due: come racconta Robert Heiß, nel suo contributo al volume
Nicolai Hartmann: der Denker un sein Werk, il mattiniero Heidegger si alzava alle cinque
e teneva le sue lezioni anche alle sette del mattino, per cui era già troppo stanco quando il
pensiero di Hartmann cominciava davvero a mettersi in moto: le luci in casa Heidegger si
accendevano proprio quando le luci in casa Hartmann si spegnevano, e gli studenti di
Marburgo ironizzavano al riguardo, parlando di esempio di philosophia perennis. D’altra
parte, è noto l’atteggiamento aggressivo, che non esitava ad invadere anche la sfera
personale, tenuto da Heidegger, almeno fino al 1934, verso tutti quei colleghi che
potevano rappresentare un ostacolo alla piena affermazione della sua filosofia o della sua
carriera accademica. L’atteggiamento verso Hartmann non è molto diverso da quello
tenuto verso Cassirer, e perfino verso il suo maestro Husserl: da una lettera a Jaspers del
14 luglio 1923, si evince chiaramente come Heidegger giungesse a Marburgo vedendo in
Hartmann un nemico a cui giurare battaglia, da isolare dai colleghi e a cui sottrarre gli
studenti. Battaglia che si conclude con una completa vittoria: gli studenti lasciano a frotte
Hartmann per andare da Heidegger, affascinati dal carisma della sua personalità, mentre
Bultmann comincia a tenere con Heidegger corsi e seminari congiunti. È probabile che
Heidegger non si limitasse a questa “azione indiretta”, ma cercasse anche di trasmettere
agli allievi più vicini la sua ostilità verso Hartmann: Karl Löwith (1887-1973), che si
stava abilitando proprio con Heidegger, ricorda gli attacchi maligni di cui gli studenti di
Heidegger facevano oggetto Hartmann, e un po’ di questo atteggiamento traspare ancora
oggi dalle ultime note autobiografiche di Hans-Georg Gadamer (1900-), in cui Hartmann,
con il quale pure si era abilitato, viene ricordato con una certa mancanza di riguardo.
Fatto sta che, in due anni, l’ambiente di lavoro di Hartmann si deteriora e conduce
Hartmann stesso ad accettare volentieri l’invito di Max Scheler (1874-1928),
trasferendosi all’Università di Colonia (1925).
2.3 Il periodo di Colonia è segnato da due eventi: il primo è l’uscita dell’ Etica (1926),
progettata già a Marburgo in risposta a Otto, in cui Hartmann accetta e sviluppa,
nell’ambito della sua ontologia critica, il progetto scheleriano di un’etica materiale dei
valori. Il secondo è l’incontro di Hartmann con l’antropologia filosofica e la filosofia
della cultura, verso cui si indirizzavano le ricerche non solo di Scheler, ma anche di
Helmut Pleßner (1892-1985). Allievo di tutti e tre è uno dei principali filosofi della
cultura del Novecento, Arnold Gehlen (1904-1976). Collega di Hartmann, in questo
periodo, è anche Peter Wust (1884-1940), mentre tra gli allievi che più risentiranno della
sua influenza va sicuramente ricordato Eduardo Garcìa Maynez (1908-1993), che seguirà
Hartmann anche a Berlino. Nonostante il miglior ambiente umano, rispetto a quello che si
era creato a Marburgo, nemmeno a Colonia Hartmann riesce a stabilire veri rapporti di
collaborazione con i suoi colleghi. Continua tuttavia a lavorare al suo progetto di
ontologia critica: nel 1926 pubblica “Leggi categoriali”, in cui vengono analizzate per la
prima volta le leggi della realtà stratificata. Gli apporti derivanti dall’antropologia
filosofica sono inoltre messi a frutto nell’interpretazione di Hegel, che troviamo nel
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secondo volume de La filosofia dell’idealismo tedesco (1929). Questo lavoro rappresenta
quasi un esercizio propedeutico alla costruzione di un’ontologia, secondo la visione
stratificata che Hartmann andava maturando: la dialettica hegeliana è vista come un
contributo significativo alla teoria delle categorie, nell’ambito dell’ontologia di un
particolare strato della realtà, quello spirituale. Il periodo di Colonia è importante anche
per le vicende umane di Hartmann: nel 1926 egli infatti divorzia da Alice Stephanitz, per
sposare nel 1929 Frida Rosenfeld, dalla quale avrà due figli: Olaf (1930) e Lise (1932).
2.4 Nel 1931 Hartmann viene chiamato alla cattedra di filosofia dell’Università Humboldt
di Berlino, rifiutata da Heidegger. Berlino in quel periodo era uno dei più importanti
centri culturali europei, e tale rimarrà almeno fino alla diaspora determinata dall’avvento
al potere di Hitler (1933). Nell’Accademia Prussiana delle Scienze continuava a dare un
impulso di ricerca decisivo Max Planck (1858-1947), il quale aveva insegnato
all’Università fino al 1928 e che fu tra i principali oppositori alla chiamata di Hartmann,
sostenendo invece la candidatura del suo vecchio allievo Moritz Schlick. Tra l’Accademia
e l’Università svolgevano inoltre la loro attività Albert Einstein (1879-1955), Erwin
Schrödinger (1887-1961), Walter Nernst (1864-1941), Max von Laue (1879-1960), Hans
Reichenbach (1891-1953). Nel campo della psicologia, la presenza di Carl Stumpf (1848-
1936), docente fino al 1921, aveva fatto di Berlino uno dei principali centri di sviluppo
della Gestaltpsychologie: Max Werthaimer (1880-1943) e Wolfgang Köhler (1887-1967),
suo successore in cattedra, ne erano i maggiori eredi. In campo strettamente filosofico, la
tradizione neokantiana era rappresentata da Arthur Liebert (1878) e da Rudolf Stammler
(1856-1938), mentre le ricerche teologiche avevano nel protestante Dietrich Bonhoeffer
(1906-1945), profondamente influenzato dalla teoria dei valori hartmanniana, e nel
cattolico Romano Guardini (1885-1968) i loro punti di riferimento. La tradizione
storicista veniva invece proseguita da Friedrich Meinecke (1862-1954) ed innovata da
Eduard Spranger (1882-1963); insieme al quale Hartmann diresse tra il 1939 e il 1944
Ensayos y Estudios. Revista bimestral de Cultura y Filosofía del Instituto Iber -
Americano de Berlín (ringrazio il dott. Mateo Dalmasso di Buenos Aires per le preziose
informazioni al riguardo); con questa tradizione aveva aperto un duro confronto, in
filosofia del diritto, Carl Schmitt (1888-1985), le cui lezioni erano anche seguite dal
vecchio allievo di Hartmann a Colonia, Garcia Maynez. In campo estetico, infine, il
punto di riferimento era Max Deßoir (1867-1947), delle cui tesi si troveranno tracce
nell’Estetica di Hartmann. Numerosi erano anche gli studiosi convenuti a Berlino. Tra
essi vanno ricordati György Lukács (1885-1971), Jean-Paul Sartre (1905-1980), Eric Weil
(1904-1977), Luis Recaséns Siches (1903-), Francisco Larroyo (1912-), Xavier Zubiri
(1898-1983), Ernesto Grassi (1902-1991) e Cesare Luporini (1909-1993), Carl Gustav
Hempel (1905-1997), Helmut Kuhn (1899-1993), Abraham Heschel (1907-1972), Karl
Zimmermann (1921-), che seguirà Hartmann anche a Gottinga. Nonostante la ricchezza
della vita culturale berlinese, Hartmann abbandona la speranza di stabilire finalmente
rapporti di stretta collaborazione intellettuale con i colleghi (fatta salva la vecchia
abitudine di organizzare a casa propria un circolo di discussione filosofica): l’unico
rapporto personale interessante, anche per gli sviluppi del progetto di ontologia critica,
nel campo della filosofia della natura, sarà quello con il biologo Max Hartmann (1876-
1962), noto soprattutto per i suoi studi sulla riproduzione e sulla sessualità dei funghi e
delle alghe. Il periodo berlinese è comunque, sicuramente, quello in cui l’insegnamento e
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il pensiero hartmanniani raggiungono la loro maturità. Hartmann diventa un punto di
riferimento importante per gli studenti, partecipa a numerosi convegni e pubblica i testi
fondamentali nei quali il suo sistema ontologico prende finalmente forma concreta. Nel
1933 esce Il problema dell’essere spirituale, ontologia dello strato superiore dell’essere.
In questo testo Hartmann assorbe, nell’ambito di una teoria categoriale dell’essere
spirituale, sia il lavoro sulla filosofia dello spirito hegeliana, sia gli approfondimenti
dell’antropologia filosofica maturati a Colonia. Nel 1935 esce La fondazione
dell’ontologia, che rappresenta dal punto di vista sistematico il primo volume del
progetto di ontologia critica. In esso Hartmann affronta le questioni generali di una teoria
dell’essere: dal concetto di essere al rapporto tra “esserci” (Dasein) e “essere-così”
(Sosein), alla distinzione tra essere reale e essere ideale. Nel 1938 esce il secondo volume,
Possibilità e realtà, in cui troviamo un’analisi modale dei significati che, all’interno
dell’essere ideale e di quello reale, assumono i concetti di “possibile”, “necessario” e
“reale”, con i rispettivi contrari. Il terzo volume, La costruzione del mondo reale, esce nel
1940, ed espone una teoria delle categorie ontologiche fondamentali e dei rapporti
generali di dipendenza e di stratificazione che si instaurano tra i quattro livelli dell’essere
(fisico, organico, psichico e spirituale). Nel 1942 esce Nuove vie dell’ontologia,
esposizione riassuntiva del complesso dell’ontologia critica; parallelamente (tra il 1939 e
il 1944) vengono pubblicati diversi scritti su Platone e su Aristotele. Il quarto volume
dell’ontologia, Filosofia della natura, pronto già nel 1942, viene però pubblicato solo nel
1950. Il testo, dedicato in primo luogo allo studio dello strato organico dell’essere,
affronta il problema delle categorie speciali che contrassegnano la natura, con un occhio
particolare alla posizione che vi assume l’uomo. Egli costituisce infatti, all’interno dello
specifico strato naturale, un riepilogo assolutamente originale e unico del carattere
pluristratificato dell’essere e dei suoi intrecci categoriali. Nel febbraio del 1945, l’aula
universitaria in cui Hartmann teneva le sue lezioni è distrutta da un bombardamento: da
questo momento, e per tutta l’estate, mentre Berlino veniva accerchiata, bombardata e
occupata, Hartmann rimane praticamente chiuso nella sua casa di Potsdam, scrivendo di
notte la sua Estetica (pubblicata postuma nel 1953). A guerra finita, l’incertezza della
situazione politica tedesca, e soprattutto l’incertezza su chi avrebbe controllato
l’Università, spingono Hartmann ad accettare l’invito proveniente da Gottinga.
2.5 L’arrivo di Hartmann all’Università di Gottinga ha un valore per certi versi simbolico.
A Gottinga aveva infatti insegnato, tra il 1901 e il 1916, Edmund Husserl (1859-1938) e
qui si era costituito il primo circolo fenomenologico, con Alexander Pfänder (1870-
1941), Moritz Geiger (1891-1952), Adolf Reinach (1883-1917), Dietrich von Hildebrand
(1889-1977), Theodor Conrad (1881-1969) e sua moglie Hedwig Conrad-Martius (1888-
1966), Johannes Daubert (1877-1947), Oskar Becker (1889-1964). A questo gruppo si
erano poi aggiunti dopo il 1909 Alexandre Koyré (1892-1964), Roman Ingarden (1893-
1970), Fritz Kaufmann (1891-1958), Edith Stein (1891-1942), e vi aveva idealmente
aderito anche Scheler. E proprio a Gottinga si era consumata, con l’uscita del primo
volume di Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica (1913) di
Husserl, la prima frattura nel movimento fenomenologico: in maggioranza, gli esponenti
del circolo di Gottinga rifiutarono infatti la direzione trascendentalista intrapresa da
Husserl e approfondirono invece la fenomenologia in senso ontologico. È a questa
direzione che Hartmann si era collegato negli anni Venti, rifiutando anch’egli il
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trascendentalismo e il coscienzialismo presenti nelle Idee husserliane. Gottinga era inoltre
tradizionalmente famosa per gli studi teologici: dopo la guerra, il docente di maggior
richiamo era infatti Friedrich Gogarten (1887-1967), le cui lezioni erano seguite, tra gli
altri, da Jürgen Moltmann (1926-) e da Wolfhart Pannenberg (1928-). Insegnava a
Gottinga anche Georg Misch, vecchio collega dei tempi di Marburgo; purtroppo solo nel
1950, cioè negli ultimi mesi di vita di Hartmann, approda a quell’università anche un
personaggio con cui Hartmann avrebbe probabilmente potuto instaurare una proficua
collaborazione ancora per qualche anno, cioè Helmut Pleßner, già suo collega a Colonia.
Tra gli studenti di Hartmann, possiamo ricordare Günther Patzig (1923-), Jitendra
Mohanty (1928-), Ernesto Mayz Vallenilla (1925-), Jürgen Habermas (1929-). Le lezioni
di Hartmann riprendono subito nel semestre 1945-46. Purtroppo, nel trasloco da Berlino
si perde la sua opera di logica, probabilmente un’integrazione e uno sviluppo delle
tematiche affrontate nell’Estetica. Hartmann non riuscirà più a ricostruirla. Quelli di
Gottinga sono gli anni in cui la fama di Hartmann, come ci è testimoniato da Remo
Cantoni, varca definitivamente i confini tedeschi; ma sono anche gli anni in cui
Hartmann, pur continuando a partecipare a congressi e a incontri filosofici, rallenta la sua
produttività. Escono l’Introduzione alla filosofia, trascrizione autorizzata delle sue
lezioni, e la Filosofia della natura (1950). Nell’estate del 1950 Hartmann subisce il suo
primo infarto, seguito il 9 ottobre 1950 da un secondo e decisivo attacco. Lo scritto
elaborato dal vecchio amico Heimsoeth in onore suoi settant’anni diventa così uno scritto
commemorativo. Postumi, usciranno i Pensieri teleologici (1951), l’Estetica (1952) e la
raccolta di saggi Scritti brevi (tre volumi: 1955, 1957 e 1958).
3. Trattando del contesto culturale della filosofia di Hartmann e della sua influenza, va
subito notata una circostanza piuttosto insolita. Punto di riferimento importante nel
dibattito filosofico dagli anni ’20 agli anni ’40, la filosofia di Hartmann subisce un brusco
processo di oblio dopo la morte. Hartmann non è stato considerato un vero caposcuola (e
del resto egli non è riuscito a fondare alcuna scuola filosofica), al contrario di quanto
invece è accaduto a Heidegger o a Jaspers. Piuttosto, anche nelle considerazioni più
positive, come quella di Lukács, ad esempio, Hartmann rappresenta un autore con cui
eventualmente “fare i conti”, all’interno però di percorsi filosofici maturati e indirizzati
altrove, rispetto alla filosofia hartmanniana. Se dunque risulta abbastanza semplice
ricostruire il contesto della filosofia di Hartmann, la ricostruzione dei suoi influssi è
un’operazione difficile. In termini molto generali, possiamo caratterizzare l’origine della
speculazione hartmanniana come una posizione di dialogo critico rispetto ai tre grandi
movimenti che dominavano le università tedesche all’inizio del secolo: neokantismo,
storicismo e positivismo. Pur recuperandone diversi aspetti, Hartmann denuncia in questi
tre movimenti l’unilateralità della teoresi e dell’atteggiamento metafisico. Di contro, il
desiderio di tornare “alle cose stesse” avvicina Hartmann alla fenomenologia e alla
Lebensphilosophie. Ma Hartmann non può essere considerato semplicemente un
fenomenologo o un filosofo della vita. Il ritorno fenomenologico alle cose stesse, nei
termini in cui viene declinato da Hartmann, era stato in qualche modo già accennato in
alcuni movimenti filosofici tardo - ottocentesci, che erano stati esaminati da Hartmann
prima del suo incontro con la fenomenologia husserliana, in particolare dalla metafisica
della volontà, dal materialismo e dalla metafisica induttiva. Lo specifico della posizione
di Hartmann emerge, in prima istanza, dal confronto con questi tre movimenti; criticati
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sia l’approccio della metafisica della volontà, perché riduttivamente speculativo, sia
l’approccio materialistico, perché riduttivamente unilaterale, Hartmann si avvicina per
diversi aspetti all’approccio metafisico – induttivo (Eduard von Hartmann (1842-1906),
Hermann Lotze (1817-1881)), di cui condivide il metodo e il progetto di fondazione dei
principi metafisici sulle scienze empiriche, ma rifiuta l’immagine teleologica del mondo.
L’idea di elaborare un’ontologia fondata su esperienza e scienza, antiriduzionista,
antiteleologica, capace di rendere giustizia della pluristratificazione del mondo, si delinea
dunque già a questo livello e con questo tipo di richiami alla filosofia tardo –
ottocentesca. Abbiamo così un primo elemento per caratterizzare lo specifico
hartmanniano all’interno dei grandi movimenti filosofici della prima metà del Novecento.
3.1 Il rapporto di Hartmann con Kant e con il neokantismo è piuttosto complesso. I primi
anni filosofici di Hartmann sono stati tradizionalmente interpretati nel segno di Cohen e
di Natorp, e d’altra parte, nell’immediato primo dopoguerra, Hartmann era considerato il
“principe ereditario” della Scuola di Marburgo. Si tratta tuttavia di una caratterizzazione
inadeguata, se consideriamo che nella formazione di Hartmann avevano avuto un ruolo
non secondario certe prospettive realiste maturate già nel periodo russo. Non si capirebbe
altrimenti l’origine del distacco di Hartmann dalla Scuola di Marburgo, già completo nel
1921. Questo distacco non lo si può però nemmeno interpretare semplicemente come un
distacco da Kant e da tutto il neokantismo. Una rilettura in chiave realista della filosofia
kantiana era infatti già stata proposta, all’interno della costellazione neokantiana, da
Hermann Helmoltz (1821-1894), da Friedrich Lange (1828-1875), dal già citato Lotze, da
Alois Riehl (1844-1924). Ciò che accomuna queste riletture, pur diverse tra loro, è
sempre l’interpretazione ontologica dell’estetica trascendentale kantiana. E Hartmann,
ancora nel 1950, propone nella sua Filosofia della natura precisamente
un’interpretazione ontologica dell’estetica trascendentale. Il distacco dal neokantismo va
dunque circoscritto: ciò che viene abbandonato è il formalismo trascendentale di Kant,
accentuato dalla Scuola di Marburgo, secondo il quale tutto ciò che conosciamo rinvia a
concetti a priori del soggetto trascendentale, per cui l’essere è sempre essere pensato. A
fronte di questa idea, Hartmann recupera la tradizione ontologica da Aristotele a Wolff,
riabilita la vecchia nozione di intentio recta come fondamento della conoscenza e
ripropone così una teoria della conoscenza come rispecchiamento. Nell’ontologia
hartmanniana, il kantismo conserva tuttavia una presenza come teoria delle categorie, per
quanto non formale ma realista, interessata cioè a cogliere il tessuto categoriale non del
soggetto, ma del mondo reale. E kantiana è anche la concezione, cui Hartmann si attiene
per tutta la vita, della filosofia come scienza. Sia Cassirer, nel suo “Erkenntnistheorie
nebst den Grenzfragen der Logik und Denkspsycologie” (Jahrbücher für Philosophie,
1927) che Rickert, in Die Logik des prädikats und das Problem der Ontologie
(Heidelberg 1930, pp. 15 ss.) capirono precisamente la sfida proveniente dal realismo
hartmanniano, e pur apprezzando i meriti della nuova direzione gnoseologica assunta da
Hartmann, ne rifiutarono la teoria del rispecchiamento, a favore della tesi tradizionale per
cui l’inseità degli oggetti è inconoscibile.
3.4 Un impulso alle ricerche ontologiche di Hartmann è venuto anche dalla filosofia della
vita di Henry Bergson (1859-1941) e di Georg Simmel (1858-1918). In particolare,
l’ontologia hartmanniana rielabora alcune concezioni di filosofia della vita, nel momento
in cui sostiene la presenza di leggi specifiche della vita non riducibili a materia, rifiutando
con questo l’uso di un rigido meccanicismo in biologia. Di Simmel viene tuttavia
contestata l’estensione allo spirito delle categorie della vita, che conduce Simmel su
posizioni storiciste. Di Bergson, invece, Hartmann contesta la contrapposizione tra
intelletto e intuizione e la metafisica, puramente speculativa, dello slancio vitale.
3.6 La teoria hartmanniana degli strati ha avuto una notevole influenza negli sviluppi
dell’antropologia filosofica. Fin dal suo periodo di Colonia, Hartmann si era mostrato
molto sensibile all’antropologia filosofica di Scheler e di Pleßner, concordando sia con
l’intenzione di ricavare l’essenza dell’uomo da una valutazione filosofica delle scienze
umane, sia con la concezione dell’uomo come essere libero che realizza se stesso, nella
doppia determinazione natura / cultura. Su questa impostazione, l’ontologia
hartmanniana, e in particolare la sua teoria degli strati, ha avuto un notevole effetto di
ritorno: a questo effetto si deve la concezione dell’uomo come essere aperto al mondo e
povero di istinto, essere psichico e spirituale che si eleva, poggiando però
necessariamente sulla sua dotazione organica. Nella prefazione alla seconda edizione de I
gradi dell’organico e l’uomo (1965; prima edizione nel 1928), Pleßner si richiama ad
Hartmann come ad uno dei filosofi che meglio si è battuto contro lo svuotamento
dell’ontologia e dell’antropologia operato dall’esistenzialismo. In particolare, di
Hartmann Pleßner valuta molto positivamente la concezione stratificata dell’uomo, la
filosofia dello spirito e la concezione della storia della filosofia come storia di problemi.
L’influenza di Hartmann su Arnold Gehlen, allievo di Scheler e di Pleßner e studente
anche di Hartmann, non è stata invece ancora ben approfondita. Ne L’uomo (1940),
Gehlen critica l’uso in antropologia della teoria degli strati, avendo però di fronte
soprattutto Scheler. Dopo la recensione di Hartmann, in cui la teoria degli strati è difesa
vigorosamente, Gehlen scrive un saggio (ancora inedito) che viene letto nella
commemorazione ad Hartmann del 1952, ma non è inserito dagli editori nel volume
collettaneo, dato il suo carattere critico. Nelle edizioni successive de L’uomo, Gehlen
comunque attenua progressivamente il suo atteggiamento negativo verso la teoria degli
strati.
3.8 Può sembrare strano il fatto che Hartmann, spirito profondamente ateo, abbia
suscitato l’interesse di diversi teologi. Ma la stranezza è solo apparente: già nel suo
periodo marburghese, infatti, Hartmann si era trovato ad aprire un confronto ravvicinato
con Rudolf Otto, e il confronto con posizioni teologiche prosegue a Berlino (Guardini,
Boenhoffer) e a Gottinga (Gogarten) . E se l’Etica mette in evidenza la posizione anti-
teologica e l’ateismo esigenziale di Hartmann, la sua Estetica costituisce per alcuni
aspetti un tentativo di spiegare, in termini ontologici e categoriali, il sentimento e la
rappresentazione religiosi. In questo senso vanno interpretati i riferimenti positivi ad
Hartmann che possiamo trovare in Schön, Sakral, Christlich (1957) di Erich Przywara
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(1889-1972) e in Die Einheit der teologischen Wißenschaften (1960) di Urs von Balthasar
(1905-1982). Più ancora che in ambito strettamente teologico, il realismo di Hartmann e
la sottolineatura della trascendenza della cosa in sé, rispetto all’atto di apprensione, sono
stati presi attentamente in considerazione all’interno della neoscolastica. Il terreno era già
stato preparato da alcuni sviluppi del circolo fenomenologico di Gottinga ( Stein, von
Hildebrand, Conrad-Martius): successivamente, e sempre nel contesto di una rivisitazione
fenomenologia del tomismo, l’ontologia di Hartmann viene utilizzata per fondare
adeguatamente una Weltanschauung e un’antropologia filosofica cristiane, evitando sia le
conseguenze immanentistiche dell’ontologia esistenziale di Heidegger, sia le conseguenze
trascendentalistiche della fenomenologia husserliana dopo le Idee. Oltra a Octavio Derisi
e Erich Przywara (di cui va ricordato il libro del 1959, L’uomo. Antropologia filosofica),
in questa direzione si sono mossi ad esempio Giovanni Battista Lotz (1903-), Oswaldo
Robles (1905-) e Xavier Zubiri (1898-1983). Leggermente spostato rispetto a questa
direzione, ma sempre interessato al realismo hartmanniano, è il filosofo neosuarista
Benjamin Ayabar (1896-1970), mentre particolare è il tragitto dal materialismo dialettico
al realismo tomista seguito da Julio Fausto Fernandez (1913-), il cui elemento di
continuità è fornito dal radicale realismo assiologico di Hartmann. In ambito protestante,
oltre Otto e a Gogarten si è proposto come interlocutore del pensiero hartmanniano
(soprattutto della sua teoria della modalità) il teologo neocalvinista olandese Herman
Dooyeweerd (1894-1977), della libera università di Amsterdam, allievo di Abraham
Kuypers (1837-1920), le cui prospettive filosofiche presentano in effetti molte affinità
con quelle di Hartmann. Da approfondire sarebbe inoltre il ruolo che ha avuto Hartmann
nella formazione intellettuale di Dietrich Bonhoeffer: come mi ha confermato un attento
studioso italiano di Bonhoeffer, il dott. Alberto Conci di Trento, le note a Systematische
Philosophie in eigener Darstellung, contenute in Resistenza e resa, aprono a questo
riguardo alcune prospettive affascinanti. Questa serie di riferimenti giustifica pienamente
la valutazione molto positiva di Hartmann data dal logico e filosofo neoscolastico padre
Joseph Maria Bochenski (1902-), in La filosofia europea del presente.
3.9 Un ruolo importante la filosofia di Hartmann lo ha avuto negli sviluppi della biologia
teorica. Il primo biologo a riconoscerlo è stato sicuramente l’amico Max Hartmann, il
quale giudicò la Filosofia della natura del 1950 l’opera più significativa scritta
sull’argomento dai tempi di Kant. Seguendo Nicolai, anche Max Hartmann finì per
difendere un punto di vista organologico opposto sia al vitalismo che al meccanicismo,
nonostante i suoi punti di partenza, espressi in Filosofia delle scienze naturali (1937)
possano essere considerati vicini alle concezioni meccaniciste. Lungo la stessa direzione,
incontriamo anche l’opera teorica di Konrad Lorenz (1903-1989) il quale, nel suo L’altra
faccia dello specchio (1973), recupera l’impianto realista di Hartmann, la sua teoria degli
strati e il suo rifiuto della teleologia. Lorenz sottolinea in particolare la corrispondenza tra
la teoria degli strati e la filogenetica, criticando però l’assenza nell’ontologia di un’analisi
storico – evoluzionista. La tesi di partenza di Lorenz è sicuramente hartmanniana: ogni
strato ha una struttura categoriale, e ogni categoria è regolata da leggi che valgono anche
per la categoria successiva. Quando però due categorie sono poste insieme, si verifica un
salto categoriale che produce una forma più evoluta: ne deriva che il “salto di livello”
ontologico che conduce dall’inorganico all’organico è prodotto dall’integrazione delle
leggi fisiche che governano la materia inorganica, e questo principio vale anche per i
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successivi salti di livello. Parallelamente, vi sono tante branche della scienza quante sono
le leggi fisiche, ma è solo una loro visione integrata e sintetica che ci permette di
raggiungere un piano di comprensione superiore. In questo senso, possiamo vedere nella
teoria di Lorenz uno sviluppo e un approfondimento della teoria degli strati di Hartmann.
Di notevole interesse è inoltre la presenza di Hartmann in quello che è probabilmente uno
dei più importanti biologi teorici e filosofi della scienza degli ultimi cinquant’anni, cioè
Ludwig von Bertalanffy. Anche in Bertalanffy, come in Lorenz e in Max Hartmann
ritroviamo la polemica simmetrica contro il meccanicismo e il vitalismo. Questa polemica
conduce Bertalanffy alla teoria degli organismi viventi come sistemi complessi dotati di
proprietà specifiche. Si tratta di una teoria che presenta molte affinità con l’ontologia
hartmanniana dei complessi (Gefüge), punto di riferimento anche per la teoria lorenziana
dello sviluppo evolutivo. Bertalanffy però generalizza la teoria dei sistemi biologici e
perviene ad una teoria generale dei sistemi, la cui validità – come paradigma esplicativo -
si estende a tutti gli ambiti scientifici, scienze umane comprese. Al di là del successo o
del fallimento del programma bertalanffiano, è qui che la questione del rapporto tra
Hartmann e Bertalanffy si fa interessante. In Problemi della vita (1960), Bertalanffy
ritiene che tutta l’ontologia di Hartmann, dal 1912 al 1950, comporti, per essere
compresa, l’acquisizione di un corretto concetto di “sistema”: una necessità che conduce
Hartmann a formulare la sua teoria degli strati. Nello stesso testo, Bertalanffy giunge
pertanto a dire che la teoria generale dei sistemi risulta essere la forma
epistemologicamente più compiuta (in quanto matematica) della teoria delle categorie nel
senso di Hartmann. Qualche anno prima, questa convergenza tra la teoria dei sistemi di
Bertalanffy e la teoria degli strati di Hartmann era già stata intuita da un allievo di
Hartmann, Theodor Ballauff (1911-), il quale, ne Lo stato attuale del problema
dell’essere organico (1943), si era impegnato in un tentativo di sintesi, adottando la
definizione di Bertalanffy di sistema organico ed esponendone le conseguenze filosofiche
all’interno dell’ontologia hartmanniana.
3.10 Una questione interessante riguarda l’influenza avuta sul marxismo teorico da un
personaggio politicamente conservatore come Hartmann, nella cui formazione filosofica
Marx non ha svolto alcun ruolo, né positivo né negativo. Parlando di Hartmann e il
marxismo, il primo pensiero va ovviamente a Lukács, il quale aveva già apprezzato
Hartmann al congresso su Hegel svoltosi a Berlino nel 1931 e che poi, dopo il 1956,
comincia una lettura sistematica ed approfondita dell’ontologia hartmanniana, vista come
un efficace antidoto antiesistenzialista. Il programma di Lukács era quello di riattivare
contro positivisti, esistenzialisti e neoscolastici lo schema teorico della polemica di Lenin
contro l’empiriocriticismo: l’ontologia di Hartmann doveva assumere il ruolo fondativo
che Lenin aveva affidato al materialismo di Häckel. Già l’Estetica (1963) risulta
profondamente influenzata dall’estetica e dalla teoria della conoscenza hartmanniane,
soprattutto per l’opposizione tra rispecchiamento antropomorfizzante (arte) e
rispecchiamento scientifico della realtà. Ma è soprattutto nell’Ontologia dell’essere
sociale (1984-1986), tentativo di costruzione di un’ontologia marxista, che i riferimenti di
Lukács a Hartmann diventano significativi. Lukács accetta il realismo hartmanniano, così
come la sua concezione stratificata e la sua polemica contro materialismo meccanicista e
spiritualismo vitalista. Aver proposto un’ontologia come prosecuzione della coscienza
quotidiana e scientifica è, secondo Lukács, il grande merito di Hartmann. Il suo grande
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limite è invece nel non aver condotto un’analisi della categoria di genesi e, di
conseguenza, nell’aver sottovalutato il ruolo del lavoro all’interno della filosofia dello
spirito. Come si può notare, la prima parte della critica (insufficiente analisi della
categoria di genesi) presenta alcune simmetrie con la critica rivolta a Hartmann dai
biologi teorici, e segnatamente da Lorenz. In Lukács, però, la critica perviene ad un
recupero – come base per una teoria della genesi – della polarità aristotelica potenza /
atto, che si attiva socialmente nella prassi (intesa marxianamente). Il recupero aristotelico
consente a Lukács di estendere la sua critica anche alla teoria dell’essere ideale e alla
teoria modale di Hartmann, oltre che alla distinzione ipostatizzante tra psichico e
spirituale: due strati che nell’ontologia Lukácsiana scompaiono, diventando momenti
dialettici dello strato sociale. Interessante è il fatto che, in questo modo, il materialismo
storico – dialettico cessa di essere considerato una filosofia generale della natura per
diventare appunto una ontologia dell’essere sociale, ovvero un’analisi ontologico -
categoriale di un particolare strato della realtà: quello superiore. La prospettiva
“hartmanniana” di Lukács è stata ripresa da molti teorici interessati ad una rifondazione
ontologica del materialismo storico - dialettico. Tra gli altri, possiamo ricordare Nicolas
Tertulian (1929-), il venezuelano Federico Riu Farre (1925-) e soprattutto Wolfgang
Harich (1923-1995), protagonista e vittima negli anni Cinquanta di uno dei più clamorosi
casi di repressione culturale in DDR. Allievo di Hartmann a Berlino, convertitosi al
marxismo sulle orme di Ernst Bloch (1885-1977) e soprattutto di Lukács, collaboratore di
Sinn und Form, dirigente della Aufbau Verlag e redattore capo della più autorevole rivista
filosofica della DDR, la Deutsche Zeitschrift für Philosophie, Harich ha rappresentato tra
il 1945 e il 1955 una delle figure culturali e politiche più vivaci nella Germania
Democratica, in un periodo in cui il regime sembrava essere sensibile (o comunque non
ostile) allo sviluppo del dibattito culturale interno. I suoi punti di vista filosofici, da cui
emerge l’originario insegnamento hartmanniano, erano improntati ad una rivendicazione
del realismo, inteso come atteggiamento fenomenologico nei confronti della realtà storico
– sociale e delle sue condizioni oggettive: ciò comportava il rifiuto di considerare il
materialismo dialettico una chiave di lettura universale, e soprattutto il rifiuto,
conseguente, di sovrapporre le modalità di apprensione soggettiva (incarnate
dall’ideologia di partito) alle leggi oggettive della realtà. Questo atteggiamento lo
ritroviamo anche in un altro grande intellettuale dissidente berlinese, l’accademico delle
scienze Robert Havemann (1910-1982: si veda in particolare il suo Dialettica senza
dogma, del 1964). A proposito di Havemann, tuttavia, non è possibile attestare con
sicurezza le eventuali presenze hartmanniane, al di là dell’indubbia convergenza tra il suo
antidogmatismo e alcuni motivi centrali della teoria degli strati. Dal punto di vista
politico, la rivendicazione di realismo condusse Harich su posizioni duramente
antistaliniste e antiburocratiche. In particolare, egli criticava il rigido centralismo imposto
alla società tedesca dalla SED e caratterizzato dal rifiuto della democrazia partecipativa,
dalla pianificazione forzata e dal legame con l’URSS. La stessa Unione Sovietica, dal
momento in cui aveva cominciato ad imporre il proprio regime come modello
internazionale, si stava del resto trasformando per Harich in uno stato reazionario. Al
socialismo burocratico di Stalin e di Ulbricht, Harich contrapponeva il richiamo a Rosa
Luxemburg e alla tradizione della sinistra socialdemocratica (non escluso Trockij): ciò
doveva tradursi (i) nel rilancio della democrazia partecipativa e delle libertà economiche
e sociali, a partire dalla nuova centralità dei consigli operai, (ii) in un maggiore uso
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dell’analisi empirica dei processi economico – sociali, contro l’ideologismo del marxismo
ufficiale, (iii) in un processo di decentramento e di reale socializzazione delle forze
produttive, che preludesse ad una progressiva estinzione dello stato in campo sia culturale
che economico, e (iv) in una ricomposizione tra una SED depurata degli stalinisti e la
SPD, come premessa per una riunificazione della Germania. Attorno ad Harich si raccolse
un vero e proprio gruppo culturale e politico, diversi membri del quale avevano subito,
come Harich, il fascino dell’insegnamento di Hartmann: è il caso, ad esempio, di Manfred
Hertwig e dell’accademico delle scienze Fritz Behrens, allora direttore dell’Istituto di
scienze economiche. Alla fine del 1956 (un anno difficilissimo per il comunismo
internazionale) il gruppo venne sciolto. Harich fu arrestato, condannato a dieci anni di
reclusione e amnistiato solo nel 1964: il suo ritorno al lavoro filosofico lo vide curatore
della nuova edizione critica delle opere complete di Ludwig Feuerbach e, negli ultimi
anni di vita, impegnato in un recupero e in un riesame della sua prima stratificazione
filosofica, quella legata appunto ad Hartmann. Per completare l’esame dei rapporti tra il
marxismo ed Hartmann, non si può non fare un riferimento anche all’attività svolta in
Italia dalla rivista Studi Filosofici (1940-1944; 1946-1949), diretta da Antonio Banfi
(1886-1957) e che dedicò ad Hartmann il numero monografico del 1943. Non si può
considerare Studi filosofici una rivista marxista in senso stretto, nonostante il suo direttore
e i suoi redattori guardassero in quel periodo con molto interesse e simpatia alla figura di
Marx. Soprattutto con Remo Cantoni (1914-1978) e con Enzo Paci (1911-1976) la
lezione hartmanniana fu recepita e utilizzata per un profondo ripensamento in chiave
antropologico – filosofica del marxismo di cui, in assenza di un apporto della cultura
contemporanea, venne negata la compiutezza e l’autosufficienza. Un percorso analogo è
ricostruibile anche per Rodolfo Mondolfo (1877-1976) il quale, nel suo periodo
argentino, tendette ad accentuare il carattere di realismo storico e di antropologia
filosofica critico – pratica del materialismo storico. Nel caso di Mondolfo, tuttavia, si può
parlare di influenza di Hartmann solo per via indiretta, tenendo presente che nel contesto
in cui Mondolfo insegnava (le università di Cordoba e di Tucuman) era molto viva la
discussione sulla filosofia hartmanniana, e in particolare sulla sua antropologia e sulla sua
teoria dei valori. Un cenno va fatto infine anche a Cesare Luporini (1909-1993), che
aveva seguito le lezioni di Hartmann a Berlino. In Dialettica e materialismo (1974),
Luporini ripercorre il suo tragitto all’interno del marxismo: ciò che ne emerge è un
percorso che approda ad un’ontologia critica marxista, che in alcuni passaggi (ad esempio
nell’introduzione delle nozioni di “ordine di grandezza” e di “formazione economico –
sociale”) riecheggia in modo evidente la teoria degli strati e l’analisi categoriale
hartmanniane. Il fatto che Luporini non faccia riferimenti espliciti ad Hartmann non
cancella l’evidenza di questi richiami concettuali.
i. ripercorrere a ritroso, e per così dire “contropelo”, la storia della filosofia degli
ultimi centoventi anni, per riportare alla luce teorie e tradizioni che, nell’opposizione tra
“analitici” e “continentali” così come si è sviluppata negli ultimi cinquant’anni, hanno
perso gran parte della loro visibilità;
ii. scandagliare le simmetrie di contenuto, di metodo e di stile tra l’ontologia critica
di Hartmann e analoghi progetti teorici sviluppatisi negli ultimi centoventi anni, con
particolare attenzione per la tradizione critico – realista presente nella filosofia anglo –
americana;
iii. mettere in relazione la discussione su Hartmann con la rinascita della filosofica
austriaca, e più in particolare della tradizione brentaniana, e con il rinnovato interesse per
i fenomenologi di Gottinga;
iv. conservare rigorosamente l’importante indicazione di Hartmann, secondo cui va
garantita la capacità della filosofia di acquisire sempre, e in modo categorialmente
corretto, i risultati della ricerca scientifica, nei suoi diversi ambiti.
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La speranza è che, con l’occasione delle celebrazioni del 2000, gli studi hartmanniani
possano davvero orientarsi, anche con spregiudicatezza, in queste direzioni.
Bibliografia e sitografia:
Per quanto riguarda il materiale cartaceo, una bibliografia completa dei lavori di e su
Hartmann pubblicati mentre lui era ancora in vita è stata redatta da Th. Ballauff:
„Bibliographie der Werke von und über Nicolai Hartmann einschlißlich der
Übersetzungen“, in (149). Per la letteratura secondaria, bibliografie più recenti sono
reperibili in (231), in (271), in (302) e in (336). Da consultare anche la bibliografia
approntata dal Forschungstelle Nicolai Hartmann dell’istituto di filosofia dell’università
di Aquisgrana. Quella qui proposta risulta ovviamente incompleta, per quanto riguarda i
contributi su Hartmann usciti nell’ultimo anno.
1. Über das Seinsproblem in der griechischen Philosophie vor Plato, Marburg 1908
2. „Des Proklos Diadochus philosophische Anfangsgründe der Mathematik“, H.
Cohen / P. Natorp (hrsg.), Philosophische Arbeiten, Bd. 4, Gießen 1909
3. Platos Logik des Seins, Gießen 1909 (in 77)
4. „Zur Methode der Philosophiegeschichte“, in Kant-Studien 1909 (in 77)
5. „Systematische Methode“, in Logos 1912 (in 77)
6. „Heinz Heimsoeths Die Methode der Erkenntnis bei Descartes und Leibniz“, in
Kant-Studien 1912
7. „Systembildung und Idealismus“, in Philosophische Abhandlungen der
Preußischen Akademie der Wißenschaften, Berlin 1912 (in 77)
8. Philosophische Grundfagen der Biologie, Göttingen 1912 (in 77)
9. „Die Geisteswißenschaften“ (1913/14: in 77)
10. „Franz Brentanos Aristoteles und seine Weltanschauung und Aristoteles Lehre
vom Ursprung des menschlichen Geistes“, in Deutsche Literatur – Zeitung 1914
11. „Über die Erkennbarkeit des Apriorischen“, in Logos 1914 (in 77)
12. „Logische und ontologische Wirklichkeit“, in Kant-Studien 1914 (in 77)
13. „Die Frage der Beweisbarkeit des Kausalgesetzes“, in Kant-Studien 1920 (in 77)
14. Grunzüge einer Metaphysik der Erkenntnis, Berlin - Leipzig 1921
15. Die Philosphie des deutschen Idealismus 1. Fichte, Schelling und die Romantik,
Berlin – Leipzig 1921. Traduzione italiana a cura di B. Bianco e V. Verra: N. Hartmann,
La filosofia dell’idealismo tedesco, Milano 1972
16. „Aristoteles und Hegel“, in Beiträge zur Philosophie des Deutschen Idealismus
1923 (in 76)
17. „Dießeits von Idealismus und Realismus“, in Kant-Studien 1924 (in 76)
18. „Wie ist kritische Ontologie überhaupt möglich?“ in Festschrift für Paul Natorp,
Berlin – Leipzig 1924 (in 77)
19. „Kant und die Philosophie unserer Tage“ (1924: in 77)
20. „Kants Metaphysik der Sitten und die Ethik unserer Tage“ (1924: in 77)
21. Ethik, Berlin 1926. Traduzione italiana a cura di V. Filippone Thaulero: N.
Hartmann, Etica, Napoli 1969-1972
22. „Kategoriale Gesetze“, in Philosophischer Anzeiger 1926
23. „Über die Stellung der ästhetischen Werte im Reich der Werte überhaupt“, in
Proceedings of the Sixth International Congress of Philosophy, Harvard 1926 (in 77)
24. „Zum Thema: Philosophie und Internationale Beziehung“, in Proceedings of the
Sixth International Congress of Philosophy, Harvard 1926
25. „Max Scheler“ (1928: in 77)
26. Die Philosophie der deutschen Idealismus 2. Hegel, Berlin – Leipzig 1929.
Traduzione italiana a cura di B. Bianco e V. Verra: N. Hartmann, La filosofia
dell’idealismo tedesco, Milano 1972
27. “Kategorien der Geschichte”, in Proceedings of the Seventh Internationel
Congress of Philosophy, Oxford 1931 (in 77)
28. „Hegel“ (1931: in 77)
29. „Systematische Philosophie in eigener Darstellung“, in Deutsche systematische
Philosophie nach ihren Gestaltern, hrsg. von H. Schwarz, Bd. 1, Berlin 1931. Traduzione
29
italiana a cura di R. Cantoni: “Filosofia sistematica”, in N. Hartmann, Introduzione
all’ontologia critica, Napoli 1972
30. „Zum Problem der Realitätsgegebenheit“, in Philosophische Vorträge der
Kantgesellschaft, Berlin 1931
31. Das Problem des geistigen Seins. Untersuchungen zur Grundlegung der
Geschichtsphilosophie und Geistwißenschaften, Berlin 1933. Traduzione italiana a cura di
A. Marini, Il problema dell’essere spirituale, Firenze 1971
32. „Systematische Selbstdarstellung“, in H. Schwarz (hrsg.), Deutsche systematische
Philosophie nach ihren Gestalten, Berlin 1933 (in 75)
33. „Wilhelm Sesemann“ (1933: in 77)
34. „Majorität und öffentliche Meinung“, in Natur und Geist 1933
35. „Antrittsrede“, in Abhandlungen der Preußischen Akademie der Wißenschaften,
Philosophisch-Historische Klaße 1934
36. „Sinngebung und Sinnerfüllung“, in Blätter für Deutsche Philosophie 1934 (in
75)
37. Zur Grundlegung der Ontologie, Berlin 1935. Traduzione italiana a cura di F.
Barone: N. Hartmann, La fondazione dell’ontologia, Milano 1963
38. „Das Problem der Ariorismus in der Platonioschen Philosophie“, in
Abhandlungen der Preußischen Akademie der Wißenschaften, Philosophisch-Historische
Klaße 1935 (in 76)
39. „Hegel und das Problem der Realdialektik“, in Blätter für Deutsche Philosophie
1935 (in 76)
40. „Das Wertproblem in der Philosophie der Gegenwart“ (1936: in 77)
41. „Balduin Schwarz“ (1936: in 77)
42. „Der philosophische Gedanke und seine Geschichte“, in Abhandlungen der
Preußischen Akademie der Wißenschaften, Philosophisch-Historische Klaße 1936 (in 76).
Traduzione italiana a cura di R. Cantoni: “Il pensiero filosofico e la sua storia”, in N.
Hartmann, Introduzione all’ontologia critica, Napoli 1972
43. „Der Megarische und der Aristotelische Möglichkeitsbegriff. Ein Beitrag zur
Geschichte des ontologischen Modalitätsproblem“, in Abhandlungen der Preußischen
Akademie der Wißenschaften, Philosophisch-Historische Klaße 1937 (in 76)
44. „Bericht über die Kantausgabe“, in Abhandlungen der Preußischen Akademie der
Wißenschaften, Philosophisch-Historische Klaße 1937
45. „Gedächtnisrede auf Carl Stumpf“, in Abhandlungen der Preußischen Akademie
der Wißenschaften, Philosophisch-Historische Klaße 1937
46. Möglichkeit und Wircklichkeit, Berlin 1938. Traduzione italiana di brani
antologici a cura di M. Cacciari e D. Formaggio: N. Hartmann, Estetica, Padova 1969
47. „Zeitlichkeit und Substantialität“, in Blätter für Deutsche Philosophie 1938 (in
75)
48. „Heinrich Maiers Beitrag zum Problem der Kategorien“, in Abhandlungen der
Preußischen Akademie der Wißenschaften, Philosophisch-Historische Klaße 1938 (in 76)
49. „Aristoteles und das Problem des Begriff“, in Abhandlungen der Preußischen
Akademie 1939 (in 76)
50. Der Aufbau der realen Welt. Grundriß der allgemeinen Kategorienlehre, Berlin
1940
30
51. “Neue Ontologie in Deutschland” (in 75), scritta nel 1940 ma pubblicata in
italiano nel 1943 (“Ontologia nuova in Germania”, traduzione di R. Cantoni, in Studi
Filosofici) e in tedesco solo nel 1946 a Istanbul, in Felsefe Arkivi. Oggi la traduzione
italiana di Cantoni è disponibile in N. Hartmann, Introduzione all’ontologia critica,
Napoli 1972
52. „Arnold Gehlen“ (1941: in 77)
53. „Zur Lehre vom Eidos bei Platon und Aristoteles“ in 1941 (in 76)
54. „Neue Antropologie in Deutschland. Betrachtung zu Arnold Gehlens Werk Der
Mensch. Seine Natur und seine Stellung in de Welt“, in Blätter für Deutsche Philosophie
1942
55. Neue Wege der Ontologie, Berlin 1942; anche in Systematische Philosophie, hrsg.
von N. Hartmann, Stuttgart 1943. Traduzione italiana a cura di G. Penati: N. Hartmann,
Nuove vie dell’ontologia, Brescia 1975
56. „Die Anfäge des Schichtungsgedankens in der alten Philosophie“, Abhandlungen
der Preußischen Akademie 1943 (in 76)
57. „Die Wertdimensionen der Nikomachischen Ethik“, Abhandlungen der
Preußischen Akademie 1944 (in 76)
58. „Naturphilosophie und Anthropologie“, in Blätter für Deutsche Philosophie 1944
(in 75)
59. „Max Hartmann und die Philosophie“, in Zeitschrift für Naturforschung 1946
60. “Leibniz als Metaphysiker” relazione tenuta a Gottinga per i 300 anni dalla
nascita di Leibniz il 02.06.1946 (in 76)
61. „Die Wahreit ist das Ganze. Über Die Stellung des Menschen in Kosmos“, in
Allgemeine Hamburger Zeitung 1948
62. „Heutige Aufgaben der theoretischen Philosophie“, in Zeitschrift für
Philosophische Forschung 1948 (in 75 come „Ziele und Wege der Kategorialanalyse“)
63. Einführung in die Philosophie, Osnabrück 1949
[De in WWW] http://www.unet.univie.ac.at/~a9401897/eip.html
64. „Selbstdarstellung“, in Philosophischen-Lexicon. Handwörterbuch der
Philosophie nach Personen, hrsg. von W. Ziegenfuß, Bd. 1, Berlin 1949
65. „Das Ethos der Persönlichkeit“, in Actas del Primer Congreso Nacional de
Philosophia, Mendoza 1949 (in 75)
[It in WWW] http://digilander.iol.it/voneppan/PERSON.htm
66. „Alte und Neue Ontologie“ (1949: in 77)
67. „Thesen zur Logik“ (1949: in 77)
68. „Die Erkenntnis im Lichte der Ontologie“ relazione tenuta alla Münchener
Kantgesellschaft il 26.04.1949 (in 75)
69. „Vom Wesen sittlicher Forderungen“, scritto nel 1949, pubblicato in (75)
70. Philosophie der Natur. Abriß der speziellen Kategorienlehre, Berlin 1950
71. „Robert Heiß“ (1950: in 77)
72. Teleologischen Denken, Berlin 1951
73. Ästhetik, Berlin 1953. Traduzione italiana di brani antologici a cura di M. Cacciari
e D. Formaggio: N. Hartmann, Estetica, Padova 1969
74. Philosophische Gespräche, Göttingen 1954
75. Kleinere Schriften 1. Abhandlungen zur Systematischen Philosophie, Berlin 1955
76. Kleinere Schriften 2. Abhandlungen zur Philosophie-Geschichte, Berlin 1957
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77. Kleinere Schriften 3. Vom Neukantismus zur Ontologie, Berlin 1958
78. Nicolai Hartmann und Heinz Heimsoeth im Briefwechsel, hrsg. von F. Hartmann /
R. Heimsoeth, Bonn 1978
5.3. Scritti su Nicolai Hartmann o che contengono larghi cenni al suo pensiero (ordinati
per data)
Come nei Lineamenti di una metafisica della conoscenza, Hartmann aveva criticato la
gnoseologia kantiana e neokantiana, così in quest’opera egli critica il formalismo etico
insito nel kantismo. Impulsi decisivi gli vengono dalla concezione fenomenologia
dell’etica materiale dei valori di Scheler. Lo scritto è suddiviso in tre parti principali: nella
“fenomenologia dei costumi” (prima parte) Hartmann descrive la struttura sfaccettata
della problematica etica. L’”assiologia dei costumi” (seconda parte) analizza il regno dei
valori etici nei suoi aspetti sistematici e di contenuto. A questa parte si collega la
“metafisica dei costumi” (terza pate), in cui si discute il problema del libero arbitrio. Qui
Hartmann considera la provvidenza finalisticamente determinata e la libertà dell’agire
umano come opposti contradditori. Per salvare quast’ultima, egli si propone di escludere
metodicamente il problema di Dio, attraverso un ragionamento problematico limitato e
limitante. Secondo Hartmann, lo sguardo rivolto alla ricca pluralità del cosmo etico è stata
riconquistata soprattutto attraverso Nietzsche, le cui analisi prematuramente interrotte
dovevano essere ancora completate e proseguite per molti aspetti, comprendendo sia il
problema platonico delle idee, sia le descrizioni aristoteliche dei valori. In questo modo si
può giungere ad una sintesi di etica antica e moderna, ed in particolare si può giungere al
completamento dell’impostazione apriori dell’etica kantiana. Infatti, i valori in sé sono
universali e sovratemporali; essi hanno un essere ideale (che Hartmann indica nella quarta
parte della Fondazione dell’ontologia), mentre la relatività storica delle concezioni etiche
è un problema di limitatezza dello sguardo etico. È stata quest’opera a dare sostanza al
programma di un’etica materiale dei valori volto contro il formalismo nell’etica
Da un punto di vista sistematico, questo saggio va definito, allo stesso modo della
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Philosphie der Natur (1950), come “teoria speciale delle categorie” all’interno
dell’ontologia degli strati. Nell’ordine cronologico delle opere critiche fondamentali,
questo saggio anticipa comunque gli altri volumi dell’ontologia. Hartmann affronta il
problema dell’essere spirituale in un lungo confronto con la filosofia dello spirito, la cui
scoperta è attribuita a Hegel. Vengono elaborati tre gradi dell’essere spirituale reale:
spirito personale, attraverso cui l’uomo si rapporta in modo consapevole al mondo
circostante, spirito obiettivo, come comunità inconsapevole e sovraindividuale (di lingua,
arte, religione), spirito obiettivato, come prodotto materiale, culturale e artistico, in cui si
possono distinguere un primo piano reale e uno sfondo spirituale e irreale.
Lo studio rappresenta la prima parte o, come Hartmann stesso dice, il “preludio” a una
serie di saggi ontologici che, nella pubblicazione dei Lineamenti di una metafisica della
conoscenza, erano stati annunciati come obiettivo della ricerca filosofica. Compito della
ricerca filosofica è per Hartmann il recupero, dopo due secoli di rimozione, del problema
ontologico, onde sfuggire al vuoto razionalismo di impronta neokantiana. Prima di tutto
vanno chiarite le questioni ontologiche fondamentali: ciò avviene attraverso quattro
indagini (sull’ente come ente in generale; sul rapporto di esserci ed essere-così; sulla
datità della realtà; sulla posizione dell’essere ideale). In questo contesto, Hartmann rivisita
innanzitutto la metafisica di Aristotele, che definisce l’opera fondamentale dell’ontologia;
nella ricezione critica di tradizioni ontologiche, egli prende inoltre le mosse dal
superamento kantiano della triplicità di temi affermata da Wolff (Dio, anima, totalità del
mondo). Compito della ricerca filosofica contemporanea è quello di rifondare l’ontologia
“dal basso”, cioè su singole analisi orientate al fenomeno. Il passaggio compiuto da ciò
che è precedente per noi a ciò che è precedente in sé ci fa riconoscere che la “filosofia
prima” può essere raggiunta solo come qualcosa di ultimo, come “filosofia ultima”.
Il testo completa, con lo studio delle struttura dello strato organico, il progetto ontologico
di Hartmann. Con un riferimento costante alla teoria kantiana delle categorie,
reinterpretata in chiave realista, Hartmann prende in esame le categorie speciali che
contrassegnano la filosofia della natura: categorie dimensionali di spazio e tempo
(affrontate da Kant nell’estetica trascendentale); categorie cosmologiche dei processi
naturali, con particolare riguardo per la causalità (affrontate da Kant nella logica
trascendentale); categorie organilogiche della vita individuale e sovraindividuale, della
filogenesi, degli equilibri organici e della determinazione organica, dove Hartmann
riprende i suoi studi sui fondamenti della biologia e propone una filosofia della biologia di
carattere sistemico, in grado di sfuggire alla tradizionale disputa tra vitalismo e
determinismo.
spirituale che si colloca al di sopra di ciò che è naturale. Come bello artistico, l’oggetto
Luigi Dappiano