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AGOSTINO D’IPPONA- DE LIBERO ARBITRIO

INTRODUZIONE
Il De libero arbitrio è un dialogo composto a Roma tra l’inverno e la primavera del 388, quando
Agostino soggiorna nella città eterna, dopo il suo battesimo a Milano nel 387, prima di ritornare in
Africa. Si tratta quindi di una delle prime opere compilate dopo la conversione, in cui un Agostino
entusiasta affronta con gli strumenti della filosofia platonica - non a caso la forma dello scritto è il
dialogo - il problema teologico e filosofico dell’origine del male e della libertà umana.
L’opera è divisa in tre libri. Il primo e il secondo libro hanno la struttura dialogica: Agostino dialoga
con l’amico Evodio. Il terzo libro segue l’ordine argomentativo senza la presenza di un
interlocutore.
Primo Libro. Innanzitutto Agostino distingue tra il malum che subiamo e il malum che facciamo: il
primo è il male fisico e il secondo è il male morale. Qui Agostino considera il male fisico una
punizione da parte di Dio nei confronti dell’uomo che commette il peccato. Il male morale, invece,
è il peccato. Chi compie il male morale è sotto il potere della libido. E se domina la libido significa
che la ragione le ha liberamente ceduto il potere. La libido è proiettata verso il raggiungimento dei
beni temporali, che non sono mai sicuri. La buona volontà invece tende ai beni eterni.
Secondo Libro. Evodio domanda ad Agostino perché Dio abbia dato all’uomo il libero arbitrio, se
esso è il presupposto del peccato. Agostino articola una risposta molto complessa: dapprima
dimostra che Dio esiste e che è sommamente buono; poi, siccome il libero arbitrio è un bene e Dio è
sommamente buono ha voluto elargire all’uomo tale dono. Alla fine Agostino afferma che il libero
arbitrio è un bene intermedio: è inferiore alle virtù ed è superiore ai beni materiali.
Terzo Libro. Agostino tratta dapprima della conciliabilità del libero arbitrio con la prescienza di
Dio. Successivamente sviluppa il tema del peccato originale, a causa del quale il libero arbitrio
dell’uomo è debole e perciò incline al male. Qui Agostino abbandona le sua posizioni ottimistiche
riguardo alla volontà umana. La spiegazione della trasmissione del peccato originale viene elaborata
attraverso la presentazione di alcune tesi come il traducianesimo e il creazionismo. Agostino non
arriva però ad una soluzione. La questione è stata ripresa in altri scritti, come ad esempio il De
natura et origine animae.

Nota Bibliografica - Agostino d’ Ippona, nacque a tagaste nel 354 e morì a ippona nel 430. È stato
un filosofo, vescovo e teologo romano. Padre, dottore e santo della chiesa cattolica. Conosciuto
semplicemente come Sant’ Agostino, detto anche dottore della grazia. Secondo Antonio livi, è stato
il principale pensatore Cristiano del primo millennio; le confessioni sono la sua opera principale.
Agostino recepì dai suoi genitori, due opposte visioni del mondo; visioni spesso in confitto tra di
loro. Sicuramente la madre, ha esercitato un grande ruolo sull’ educazione de figlio; infatti Agostino
ricevette da lei un’ educazione cristiana e fu lei ad iscriverlo tra i catecumeni. Mentre era molto
malato decise di ricevere il sacramento del battesimo, ma svanito il pericolo di morte, decise di
rimandare la ricezione del sacramento. La sua associazione a uomini di preghiera, lasciò tre grandi
concetti incisi sulla sua sua anima; esistenza di una divina provvidenza, esigenza di una vita futura
con terribili punizioni, esistenza di cristo il salvatore.
Africano di nascita, di madre lingua berbera, apprese il latino è il punico successivamente.
Nel 373 si avvicinò tantissimo al manicheismo; a causa della sua ansia continua per La ricerca dell’
assoluto. Divenne uno dei massimi esponenti e divulgatori insieme al suo amico Onorato; Agostino
fu attratto dalle vanterie dei manichei;  che affermavano di aver scoperto delle contraddizioni nelle
sacre scritture. Si trattava comunque di una dottrina che contrapponeva il bene al male, Dio all’
uomo, la materia allo spirito; inizialmente Agostino diede molto credito alle esistenza di un conflitto
tra due principi. Era una dottrina che negava la libertà e attribuiva la commissione di crimini ad un
principio esterno. Una volta unitosi a questo gruppo Agostino,  gli si dedicò con tutto L’ ardore. Fu
proprio durante il suo periodo di adesione al manicheismo che le facoltà letterarie di Sant’ Agostino
giunsero a loro pieno sviluppo, quando ancora era un semplice studente di Cartagine.
Al termine dei suoi studi preferì la carriera letteraria; tornò a Tagaste per insegnare grammatica. Il
giovane professore incantó i suoi alunni; tra cui Alpio, il quale ricevette il battesimo insieme ad
Agostino e divenne poi vescovo di Tagaste. La madre, dispiaciuta per il fatto che Agostino si era
avvicinata alla eresia manicheista non volle neppure accoglierlo in casa. Tornò a Cartagine dove
continuerà a insegnare retorica, proprio in questi anni lui raggiunse la piena maturità intellettuale.
Fu proprio durante questo periodo che Agostino cominciò a ripudiare il manicheismo. Egli stesso
fornirà le ragioni del suo disincanto verso questa teoria; prima di tutto l’inclinazione della filosofia
manichea, poi la loro immoralità in contrasto con la loro apparente virtù, la debolezza della loro tesi
nelle argomentazioni contro i cattolici; l’unica loro replica era “ le sacre scritture sono state
falsificate”. Ma la vera ragione fu che tra loro non trovò la scienza,  quella conoscenza profonda
della natura e delle leggi che gli avevano promesso. Quando li interrogava ad esempio sul
movimento delle stelle; nessuno di loro era in grado di rispondere. Agostino non abbandonó subito
il gruppo, ma la sua mente iniziò a rifiutare le dottrine manichee.
Nel 383 giunse in Italia, dopo aver ricevuto una cattedra di insegnamento a Milano, frequentò Sant’
Ambrogio e si sentì attratto dai suoi discorsi. Agostino attraversò poi 3 anni di dubbi; durante i quali
la sua mente passò attraverso tre fasi; in un primo tempo si volse verso la filosofia degli accademici,
attratto più che altro dal loro scetticismo pessimistico. Lo tormentava più che altro il problema del
male, se Dio esiste ed è onnipotente, perché non riesce ad annientarlo? Poi, fu decisivo l’incontro
con la filosofia neo platonica, della quale ne rimase entusiasmato. Dopo aver letto le opere di
Platone e Plotino gli si accese la speranza di poter perseguire ancora la verità; ancora una volta gli si
accese la speranza che lui e i suoi amici potessero condurre una vita dedita alla ricerca di essa; una
vita prima di aspirazioni volgari come onori, ricchezze, o piacere, e con il celibato in regola.
Il passaggio alla fase del dubbio fu per Agostino determinante, affinché egli stesso trovasse la via
della fede. Secondo Agostino solo chi dubita è animato da un desiderio sincero di trovare la verità, a
differenza di colui che non si pone nessuna domanda. Per lui era la conoscenza della propria
ignoranza che spinge a indagare sul mistero. Questo tema della verità si allontana dalla visuale
socratica o platonica, ma Agostino lo inserisce nell’ ottica cristiana del Dio persona: è Dio stesso
che fa nascere nell’ uomo il desiderio della verità. Un Dio inconscio che vuol farsi conoscere dall’
uomo. Solo l’intervento  della grazia di Dio permette alla ragione umana di trascendere i suoi limiti.
Ed è così che viene L’ intuizione; essa è un comprendere e un credere al tempo stesso.
A seguito dei suoi discorsi con Ambrogio, intuì come la verità non fosse un fatto in se da dominare;
ma che da essa diviene dominati, perché è un qualcosa di assoluto totale e universale.  Comprese
come la verità non è un oggetto ma un soggetto;un’ entità viva e personale, proprio come veniva
presentata nei vangeli. Ebbe anche la certezza che Dio fosse l’unico mezzo per raggiungere la
verità. Fu un colloquio con Simpliciano, successore di Ambrogio che preparò Agostino alla
conversione, che avvenne all’ età di 33 anni.
-Dalla conversione all’ episcopato- Agostino gradualmente conobbe la dottrina cristiana e nella sua
mente andarono a fondersi la filosofia platonica ed i dogmi rivelati. La vita in solitudine gli permise
di realizzare un sogno a lungo inseguito: nei suoi libri “ contra accademicos” Agostino descrisse la
serenità ideale di quella esistenza, animata solamente Dalla passione per la verità. Inoltre si occupò
di completare L’ istruzione dei suoi giovani amici, talvolta con lezioni in comune e altre volte con
conferenze filosofiche; queste conferenze furono poi trascritte e servirono per la stesura dell’ opera
“ diaologhi”. I temi preferiti di queste conferenze erano la verità, la certezza, la vera felicità nella
filosofia ( de beata vita), L’ ordine provvidenziale del mondo e la sua perfezione matematica, il
problema del male, ed infine Dio e l’anima. Nel 387 Agostino si recò a Milano, poi dopo la morte
della madre torna a Roma dove per diversi mesi si dedicó alla confutazione del manicheismo. Nel
388 torna a Tagaste; subito dopo il suo arrivo decise di iniziare a seguire il suo ideale di vita
perfetta, dedicato a quel Dio che era giunto ad amare in età adulta. Cominciò a vendere tutti i suoi
beni e dando gli incassi ai poveri, poi lui e i suoi amici si ritirarono in un pezzo di terreno per
condurre uno stile di vita comune in povertà, in preghiera e nello studio della letteratura sacra.
Agostino non pensava di poter diventare sacerdote e spesso scappava anche dalle città dove c’era
una sede vuota dell’ episcopato. Un giorno, mentre si trovava ad Ippona, stava pregando e
improvvisamente un gruppo di persone lo circondarono e implorarono il vescovo di elevarlo al
sacerdozio; nonostante i suoi timori nel 391 Agostino fu fu ordinato sacerdote. Egli fu autorizzato a
predicare, a combattere L’ eresia manichea. Egli abolì anche l’uso di di tenere banchetti nelle
cappelle dei santi martiri.
- Agostino vescovo di Ippona- il vescovo di Ippona, Valerio, ormai in età avanzata ottenne che
Agostino fosse associata alla sua sede. Agostino aveva 42 anni, e avrebbe occupato la sede di
Ippona per i successivi 34 anni. La sua residenza episcopale divenne un monastero dove visse una
vita in comunità con il suo clero, che osservava una rigorosa povertà. La casa episcopale di Ippona
divenne un vero e proprio vivaio per i nuovi fondatori di monasteri che presto si diffusero in Africa
e per i vescovi che occupavano le sedi vicine. Agostino in questo modo si guadagnò il titolo di
patriarca dei religiosi e rinnovatore dell vita ecclesiastica in Africa. Le sue attività dottrinali furono
molteplici; predicava frequentemente, scrisse lettere in cui prorompeva la risoluzione ai problemi di
quell’ epoca, lasciò la sua impronta a tutti i concili africani ai quali partecipò, infine, lottò
infaticabilmente contro tutte le eresie.
Dopo che Agostino divenne vescovo, nel 404 si scontra in una controversia contro felice, che era un
grande dottore manicheo. Felice stava predicando ad Ippona e Agostino lo invitó in una disputa
pubblica, al termine della quale felice si dichiarò vinto, si convertì, e insieme ad Agostino
sottoscrisse gli atti della disputa.  Nelle sue opere Agostino confutó anche Fausto di Mileve,
Secondino e i Priscillianisti. Queste opere contengono le sue opinioni sul problema del male,
opinioni badate sull’ ottimismo derivante dall’ idea che ogni opera di Dio è buona è che l’unica
fonte del male è la libertà delle creature.  Per quanto riguarda il male, Agostino operó una prima
distinzione tra male fisico del corpo e male morale dell’ anima, legato al peccato. In questo modo
superó una convinzione diffusasi tantissimo nel periodo precedente , che concepiva la malattia e il
dolore come una conseguenza e una sorta di punizione divina delle azioni umane. Agostino escluse
questa possibilità poiché Dio è amore; un’ eventuale espiazione dei peccati si colloca in una vita
ultraterrena. Dolore, fame, malattia e peccato avevano la stessa origine metafisica; sono mancanza
di essere nell’ anima e nel corpo. Il male per lui non era concepibile da parte di Dio, ma solo da
parte dell’ uomo; l’uomo può attuarlo in quanto è stato creato libero. In questo modo, l’uomo può
fare il male, ma Dio no.  Ciò non significa che l’uomo è più libero, o che la divinità non è
onnipotente; ma che l’uomo, errando, può commettere atti che lo rendono imperfetto è infelice. Non
commettere il male non è un limite, ma un segno di perfezione.   
Agostino, come socrate, sostenne L’ intellettualismo etico; ossia che il male si manifesta a causa
dell’ ignoranza; in poche parole, Dio non può fare il male per un motivo ontologico; perché il male
è mancanza di essere, mentre lui è essenza. L’uomo invece è libero al punto di negare la sua libertà
innata, compiendo il male.
- la controversia donatista e la teoria della chiesa- Lo scisma donatista fu l’ultimo episodio delle
controversie che agitarono la chiesa nel II secolo. Mentre l’Oriente stava investigando sotto vari
aspetti il problema divino e cristologico della Parola; l’Occidente, si poneva il problema del peccato
in tutte le sue forme. In Africa la questione riguardava più la santità della gerarchia; i vescovi di
Numidia avevano rifiutato di accettare come valida la consacrazione di ceciliano alla sede di
Cartagine da parte di un traditore; essi diedero vita ad uno scisma che aveva posto queste importanti
questioni: i poteri gerarchici dipendono dalla dignitá morale del presbitero? Come può L’ indegnità
dei suoi ministri essere compatibile con la santità  della chiesa? Quando Agostino giunse in Africa,
lo scisma aveva raggiunto delle proporzioni immense. Le lotte tra Agostino e i donatisti è anche
quella del suo cambio di opinione sull’ utilizzo delle misure rigide contro gli eretici; anche la chiesa
d’ Africa, dei cui concili era stato l’anima, lo seguì in questo cambio. Agostino inizialmente tentó di
trovare l’unità attraverso conferenze e controversie amichevoli. Tuttavia i donatisti  risposero con
violenza a questi suoi tentativi di riconciliazione e Agostino decise di rispondere con una dura
repressione; ammettendo che l’eresia fosse punibile con la morte. Alla fine nel 411 fu organizzato
un convegno a Cartagine e la controversia fu risolta.
-controversia Pelagiana-
La questione della volontà
La disputa con pelagio riguarda la natura della volontà . Contro di lui Agostino sosteneva che la
volontà umana è stata irrimediabilmente corrotta dal peccato originale, che ha inficiato per sempre
la nostra libertà. La libertà consiste nella capacità ormai andata perduta, di dare realizzazione ai
nostri propositi, e va distinta dal libero arbitrio che è la facoltà razionale di scegliere, in linea
teorica, tra bene e male. L’uomo che è dotato di libero arbitrio, vorrebbe tendere al bene, ma è
incapace di perseguirlo, perché nel momento della scelta la sua volontà si trova dilaniata. Secondo
Agostino; solo Dio con la sua grazia può guidare l’uomo; non solo lo illumina e lo guida su cosa è
bene, ma infonde in lui la volontà effettiva di perseguirlo; solo in questo modo l’uomo può ritrovare
la sua libertà.
La fine della controversia donatista, coincise pressappoco con l’inizio di una nuova disputa
teologica che impegno Agostino fino alla sua morte. L’Africa, dove Pelagio e Celestio si erano
rifugiati dopo il sacco di Roma di Alarico, era diventato il principale centro di diffusione del
movimento pelagiano. Già nel 412 un concilio a Cartagine aveva condannato i pelagiani per le l’ero
opinioni sulla dottrina del peccato originale, ma, grazie all’ attivismo di Agostino, la condanna dei
pelagiani fu conferamata da papa Innocenzo I. Una seconda ondat di diffusione della dottrina
pelagiana  si sviluppò a Roma  e poi ancora la disputa fu proseguita da Giuliano di Eclano, che
aveva assunto la guida del gruppo e attaccava violentemente Agostino.
nel 426 nasce poi il movimento dsi semipelagiani, i cui primi menri furono alcuni monaci africani,
seguiti da quelli di marsiglia. essi cercarono di mediare tra agostino e pelagio; sostenevano che la
grazia doveva essere concessa solo a coloro che la meritano e negata ad altri; era la grazia di dio a
controllare la nostra predestinazione.
- controversia ariana e ultimi anni-
Nel 426, all’ età di 72 anni, Agostino spinse il clero ad acclamare come suo ausiliare e successore il
diacono Eraclio. In quegli anni L’ Africa attraversò non pochi contrasti. I Visigoti inviati dall’
imperatrice galla placidia e i vandali erano tutti di fede Ariana e, a seguito delle truppe imperiali
entrò a Ippona Massimino, un vescovo ariano. Agostino difese la sua fede in una conferenza
pubblica e con vari scritti. Intanto fino a gli ultimi mesi della sua vita Agostino continuò a confutare
Giuliano ed eclano, ma a 76 anni  il 28 agosto del 430 moriva a causa di una malattia fatale.
Nel 718 ad opera del re longobardo liutprando il suo feretro fu fatto trasportare dalla Sardegna a
Pavia, ad opera del re longobardo liutprando. Da allora le sue spoglie sono custodite nella basilica
di San Pietro in ciel d’ oro.

LIBRO I
L’ UOMO E IL LIBERO ARBITRIO
Male passione e legge
- il male e il suo principio-
1.1 Evodio chiese ad Agostino se Dio fosse principio del male e sin da subito Agostino risponde che
il male può essere considerato sotto due aspetti; uno, quando si dice che un individuo ha agito male;
l’altro, quando lo ha sofferto. Ammettendo che Dio è buono, Dio non agisce male. Così, come
distribuisce il premio ai buoni allora distribuisce anche la pena ai malvagi. Ovviamente, le pene.
Inflitte da Dio sono un male per coloro che le subiscono; ma le pene non si subiscono
ingiustamente. Dio non è principio della prima categoria di male, ma della seconda.
E. Chiede così ad Agostino se esiste un principio del male, visto che Dio non è principio del male.
Agostino rispose che esiste un altro principio del male, è impossibile che il male si faccia da solo;
ma, è assolutamente impossibile capire chi ne è L’ autore. Sicuramente chi è principio del male, non
è un essere determinato, ma, ciascun malvagio è artefice della propria azione malvagia.
- il male non si apprende-
1.2 Evodio, chiese ad Agostino se e da chi il male si apprende; Agostino rispose che il male non si
apprende perché L’ apprendimento è un bene ed è denominato dall’ apprendere. Oppure se il male si
apprende, si apprende solo per evitarlo, non per farlo. Agire male è deviare dall’ apprendimento.
- intelligenza e apprendimento del male-
1.3 Evodio pensa che probabilmente possano esistere due forme di apprendimento; uno per cui si
apprende ad agire bene e un altro per cui si apprende ad agire male. Sull’ intelligenza Agostino
sosteneva che essa è in sè buona, non si apprende se non si compie un atto di intelligenza; nell’
apprendere si agisce bene perché nell’ apprendere si compie un atto di intelligenza e nel compierlo
si agisce bene. Agostino consiglia ad Evodio di smetterla di indagare su un possibile cattivo
educatore; se è cattivo, non educa, se educa non è cattivo.
Qui ci viene presentato uno dei tanti sillogismi agostiniani; L’ intelligenza è un bene. Si impara con
L’ intelligenza. Dunque non si impara un male attraverso un bene; L’ effetto di un bene è sempre un
bene e L’ intelligenza è un bene; dunque il suo esito, l’imparare è sempre un bene. Se L’ imparare è
un bene, anche il suo correlato, cioè L’ insegnare è sempre un bene. Da questo ragionamento
possiamo dedurre che non vi è un cattivo insegnante: se è cattivo non è insegnante, se è insegnante,
non è cattivo.
- L’ esperienza di Agostino e il male-
2.4 da questo ragionamento proposto da Agostino sorge un problema; L’ amico Evodio chiede se
agire male non proviene dall’ averlo imparato, da dove proviene? Per risolvere questo problema,
Agostino propone di escludere anzitutto che provenga da Dio e questo è già un atto di fede. Bisogna
tenere ferme nella nostra mente alcune verità di fede, poiché esse costituiscono un orientamento
necessario per la ragione. Agostino, per spiegare meglio quanto enunciato ad Evodio, cita anche il
profeta Isaia; << se non avete creduto, non comprenderete>>. Avere fede/credere è condizione
necessaria per comprendere, cioè per esercitare correttamente la ragione.
- i principi generali di teodicea-
Agostino invita Evodio ad essere forte e a continuare a credere in ciò che crede; credere è il
migliore atto di fede, anche se la spiegazione è al di sopra della nostra esperienza. Avere di Dio un
concetto altissimo è il più vero inizio di religiosità. se non si ha un concetto altissimo di Dio, ne
consegue che dal nulla ha creato l’universo è che da sè non ha creato, ma ha generato un principio
che gli è eguale.
-perché L’ adulterio è male-
3.6 Agostino sostiene che prima di conoscere il principio per cui si agisce male, bisogna discutere
su cosa vuol dire agire male. Insieme all’ amico Evodio iniziano a fare alcuni esempi per calarsi
quanto più possibile nella realtà. Si chiedono perché gli omicidi, i sacrilegi, gli adulteri sono male;
in particolare la loro analisi si sofferma sull’ adulterio. L’esame di Agostino, in relazione all’
adulterio, si sofferma su tre motivi per i quali un’ azione può essere considerata “male”; ma in realtà
Agostino poi esclude questi motivi uno dopo L’ altro.
- il primo motivo, è la legge; L’ adulterio è male perché punito dalla legge; così facendo ci si rifugia
nell’ autorità della legge. Tuttavia, ogni atto pur sostenuto dall’ autorità, va corroborato dalla
ragione.
- il secondo motivo è; “ non fare agli altri ciò che non vorresti sia fatto a te”. L’adulterio è un male
perché noi stessi non vorremmo subirli. Ma, dice Agostino, vi possono essere anche adulteri
consensuali e reciproci. Così la trasgressione della regola del non fare agli altri ciò che non vorresti
subire appare solo come una condizione necessaria, ma non sufficiente per definire un’ azione
maligna.
- il terzo motivo è la condanna;  molti uomini sono stati condannati per questa colpa, dunque L’
adulterio è un male. Ma anche questa motivazione viene confutata da Sant’ Agostino. Infatti, basti
pensare ai martiri cristiani condannati senza essere macchiati di alcuna colpa.
- ma perché dettato dalla passione. -
3.8 Agostino sostiene che L’ adulterio dunque non è male perché è condannato dalla legge, ma
perché è dettato dalla passione. La passione è la causa del male; sia che la intendiamo come
desiderio positivo di qualcosa, sia come desiderio negativo ( cioè timore).
- passione e desiderio disordinato. -
4.9 Agostino sostiene che la passione si chiama anche desiderio immoderato, fra di essi esiste molta
differenza; il desiderio è tendenza, il timore è fuga. L’esempio che Agostino utilizza per illustrare e
approfondire L’ assunto che la passione è la radice del male verte sull’ episodio di uno schiavo che
uccide il padrone perché teme da lui un’ eccessiva oppressione. In questo caso lo schiavo agisce per
timore di un male imminente, il che equivale per il desiderio negativo di vivere senza timore. Lo
schiavo che uccide il padrone desidera un bene, desidera una vita libera dal timore; questo desiderio
in se è immune dalla colpa. Non è vero che la passione è il principio determinante di tutti i peccati,
vi sarà sicuramente un determinato omicidio che non potrebbe essere peccato. Se il soldato uccide il
nemico, questo non pecca. Agostino sostiene che taluni omicidi commessi in punizione di altri reati
non sono a loro volta puniti dalla legge civile e quindi sono permessi. La legge non punisce; il
giudice che fa uccidere il malfattore, la donna che uccide il suo stupratore, il viaggiatore che uccide
il brigante, e infine, la legge non punisce colui che fa uccidere lo schiavo che a sua volta ha ucciso il
padrone per timore delle sue sevizie.
- ingiusto aggressore-
5.12 la legge concede ai cittadini amministrati il permesso di commettere delitti più piccoli  affinché
ne siano evitati di maggiori. Ad esempio, Il soldato che uccide il nemico è esecutore della legge;
dunque commette un’ azione malvagia indipendentemente dalla passione. Non sempre una legge è
imputata di passione; chi promulga una legge, se lo fa per ordine di Dio, può averla promulgata
libera da ogni passione. Una buona legge può essere promulgata anche da un individuo non buono,
tuttavia la legge non sarà cattiva per il fatto che l’ha promulgata un individuo ingiusto o corrotto. È
possibile obbedire senza passione alla legge.
- legge e divina provvidenza-
5.13 la prassi legale appare giusta perché quando essa consente l’uccisione di qualcuno lo fa perché
non accadano misfatti maggiori. La legge civile non punisce tutti i misfatti, ma agisce nella logica
del male minore. Chi uccide però, commette egualmente peccato. Infatti, benché consentita dalla
legge civile nella logica del male minore, l’azione è proibita dalla legge divina che ha come
obbiettivo il bene maggiore. La legge civile permette dunque delle azioni che la legge divina
punisce. La legge civile è temporale è mutevole, poiché può essere cambiata secondo i tempi ed è
emanata da un popolo retto che si autogoverna.
- la legge eterna è immutabile-
6.15 la legge divina è eterna è immutabile e si colloca ad un livello gerarchico superiore. Infatti
consente anche di togliere il potere a quel popolo che abbandona la rettitudine. Dal ragionamento
agostiniano si evince che è la retta via ad istituire la gerarchia, evocando a se il potere di giudicare
le leggi civili dei popoli. Ciò in base all’ assunto che tutto ciò che c’è di giusto nella legge civile è
tratto dalla legge divina. La legge eterna e immutabile di Dio è quella secondo la quale è giusto ciò
che è ordinatissimo. Essa è una sola, ed è strettamente legata al tema della giustizia; da essa
derivano tutte le leggi temporali per ordinare gli uomini.
-vivere ed essere coscienti di vivere-
7.16 quando Agostino parla di ordine fa riferimento alla giusta collocazione degli enti in relazione
tra di loro in cui ogni ente è riconosciuto per quello che è in rapporto con gli altri enti.  Il tema dell’
ordine viene poi sviluppato in relazione al singolo e alle sue facoltà o capacità. Per stabilire quale
sia L’ ordine delle facoltà umane, Agostino utilizza un esempio tratto dai rapporti esterni dell’ uomo
con gli altri esseri viventi. Qui, ammesso che i viventi siano esseri superiori alle singole cose inerti,
si riflette sul dominio che l’uomo, pur essendo mediocremente dotato dal punto di vista dellla forza
fisica, esercita su di loro. A permettere agli uomini di esercitare tale dominio è la ragione. È il
possesso della ragione che consente all’ uomo di dominare sui viventi e in particolare modo sugli
animali. Quindi ciò che rende superiori gli uomini non è un dato fisico, ma è un dato razionale-
spirituale. La ragione dell’ uomo domina fisici ben superiori a quelli umani, quali sono i corpi degli
animali molto più dotati dell’ uomo di forza, velocità, resistenza, ecc, a maggior ragione deve
dominare il corpo umano.
Dunque, chi è cosciente di vivere, non è privo di pensiero; ora le bestie vivono anche se son prive di
pensiero.
- pensare è vivere più elevato-
7.17 esiste molta differenza tra vivere e essere coscienti di vivere; sicuramente sembra più elevata la
coscienza di vivere.
Se la superiorità umana è data dalla ragione, e se l’uomo nel creato è, in virtù della ragione situato
al suo vertice, evidentemente una vita superiore sarà una vita condotta dalla ragione.
- la mente è dominio-
8.18 Agostino sostiene che nell’ uomo c’è una facoltà per cui egli è superiore agli animali; si chiama
mente o spirito. Se la mente è capace di dominare tutte le facoltà di cui l’uomo è costituito, allora
possiamo dire che l’uomo è pienamente razionale e ordinatissimo. Noi uomini, così come le bestie ,
abbiamo molte cose in comune, e come loro  tendiamo di soddisfare i nostri bisogni fisiologici. La
ragione domina su tutte le altre parti dell’ uomo e su tutte le sue facoltà; vegetative, sensitive e
volitive; sulle capacità di ridere e di giocare e sull’ amore che egli può orientare verso l’onore e la
gloria. L’ordine nell’ uomo si esprime come un dominio razionale di tutti i moti irrazionali.
- la mente nell’ individuo non è sempre dominio-
9.19 colui nel quale la ragione domina è chiamato sapiente è colui nel quale la ragione non domina
è chiamato stolto, La Sapienza è lo Spirito; la ragione che regna. Nell’ uomo ordinato regna La
Sapienza.
- il dominio nello spirito sapiente-
10.20 la sapienza umana è dominio della mente umana, ma questa può anche non avere dominio. Lo
spirito che in una situazione ordinata deve regnare può tuttavia non regnare; questo è il caso degli
uomini che chiamiamo stolti o peccatori. Lo spirito può anche non regnare a causa del corpo stesso
o magari a causa di qualcosa di superiore. La passione è meno imperante della mente e le cose
meno imperanti non possono dominare su quelle più imperanti. Secondo Agostino la mente ha
maggiore imperatività e essa con perfetta giustizia domina sul desiderio. Lo spirito vizioso non può
superare uno spirito armato di virtù. Lo spirito è più perfetto e dominante del corpo; la sostanza
vivente è più perfetta di quella non vivente
... non gli é tolto se non vuole...
10.21 a parte Dio non esiste alcun essere superiore a una ragione capace di pensiero sapienziale.
...quindi se il dominio va alla passione...
11.21 l’essenza divina non potrà mai essere ingiusta perché è superiore alla mente dotata di virtù;
quindi essa non può costringere la mente ad essere schiava della passione. Solo la nostra volontà e il
libero arbitrio possono rendere la nostra mente compagna del desiderio.
...responsabile libero arbitrio.
12.22 non il corpo, non Dio, ma l’anima è la sola che è in grado di poter trascinare se stessa nel
vizio. Nell’ anima abbiamo infatti una libera volontà che fa in modo che essa possa autonomamente
decidere di rifiutare La Sapienza. A causa della nostra volontà e del nostro libero arbitrio, lo spirito
che per natura è chiamato alla sapienza, può volontariamente rinunciarvi. Ma questo allontanamento
dalla sua natura genera la giusta pena dell’ angoscia e della disperazione.
Stato originario della sapienza?
11.23 Evodio sostiene che una pena grave è assolutamente giusta se un individuo, già posto nelle
altezze della sapienza, avesse scelto di discenderne e rendersi schivo della passione. Noi per fede
accettiamo che l’uomo da Dio è stato creato è stabilito nella felicità con tale ordinamento al fine che
l’uomo stesso per propria volontà è caduto nelle sofferenze della vita mortale.
- la volontá buona e il bene-
12.25 I due adesso parlano di volontà, Evodio è consapevole del fatto che si ha la volontà e anche la
volontà buona; per Agostino, la volontà buona è quella con cui si tende a vivere nell’ onestà morale
e giungere alla perfetta sapienza.
- la volontà ubico vero bene-
12.26 per Agostino la volontà è l’unico vero bene e chi ha la buona volontà, possiede un bene da
anteporre a tutti gli altri piaceri sensibili della terra. Chi non possiede la volontà buona pur
possedendo tutti gli altri beni terreni è un uomo infelice; egli è infatti attaccato a beni che può
perdere. Gli uomini privi di volontà buona sono condannati ad essere infelici oltre al fatto che non
sono mai stati sapienti.
Il possesso della volontà buona dipende solo ed esclusivamente dalla volontà. Per avere la volontà
buona occorre solo volerla; gli stolti, pure se non sono stati mai sapienti; potrebbero diventare
sapienti, se solo lo volessero.
-volontá buone e virtù-
12.27 secondo Agostino, chi possiede la volontà buona è anche; prudente- sa cosa si deve desiderare
e cosa no; forte- disprezza tutto ciò che si può perdere contro la volontà e i danni che ne possono
derivare dalla loro mancanza; temperante- reprime il desiderio di ciò che è vergognoso desiderare;
giusto-  non può volere il male di nessuno e da a ciascuno il suo.
- volontà buona e felice-
13.28 Agostino sostiene che la buona volontà è degna di lode, così come lo è colui che ama la
propria buona volontà e per questo è reso beato. L’amore della propria buona volontà consiste nella
buona volontà stessa. Agostino sottolinea L’ autogeneratività della  volontà; la volontà genera se
stessa e la sua rettitudine. Dalla volontà derivanil fatto che sempre volontariamente siamo sapienti e
dunque beati, mentre altrettanto volontariamente siamo stolti e conduciamo una vita misera.
-immediata la felicità nella volontà buona-
13.29 Agostino dice che se si amasse con dedizione la volontà buona, ne consegue che le quattro
virtù, orneranno il nostro spirito; e avere volontà buona vuol dire vivere secondo onestà morale.
-desiderio di felicità e onestà-
14.30 Agostino sostiene che ogni individuo sceglie deliberatamente e con pieno impegno la felicità;
tuttavia non tutti riusciamo a conseguirla. Gli uomini per volontà scelgono la felicità, per volontà
scelgono L’ infelicità. Ciò che Agostino si chiede è:- come è possibile che per volontà l’uomo
incorre nell’ infelicita se nessuno vuol vivere infelice? In realtà, coloro che sono felici, e perciò
anche necessariamente buoni , non sono felici perché hanno voluto vivere nella felicità. Pertanto
quando si dice che per volontà gli uomini sono infelici,  non si dice nel senso che essi vogliono
essere infelici, ma perché si costituiscono in una volontà, alla quale, anche contro il loro desiderio,
necessariamente segue L’ infelicità. Quanto detto da Agostino in questo passo non si oppone alla
precedente dimostrazione, ovvero; tutti vogliono essere felici ma non possono, quelli che non
possono è perché non riescono a vivere secondo ragione.
- due categorie di individui e due leggi-
15.31 per Agostino, chi sceglie di vivere secondo ragione ama la legge eterna e la tiene in onore.
Amando la legge eterna, ama un oggetto eterno e immutabile. La volontà buona vuole i beni eterni,
quindi è sottoposta solo alla legge eterna. La volontà cattiva vuole i beni temporali, dunque è
sottoposta sia alla legge temporale che alla legge eterna.
 -funzione della legge civile-
15.32 La legge temporale comanda e punisce gli animi dei miseri che, rivolti ai beni temporali, li
tolgono agli altri con malvagità. La legge eterna comanda di distogliere il proprio sguardo dai beni
temporali e di rivolgersi a quelli eterni. Essa, ordina di distogliere l’amore dai beni temporali e
volverlo a quelli eterni.
-...sui beni che non dipendono da noi-
15.33 il misero e il beato si distinguono per usare rispettivamente male e bene delle stesse cose. Il
misero usa male cioè, ama i beni temporali e se ne rende schiavo, credendo erroneamente che tali
beni di per sè lo rendano buono. Il beato usa bene e si mantiene integro al di sopra delle cose
sapendo che esse non lo rendono buono, ma che é lui a renderle tali.
- male e peccato come pervertimento-
16.34 ormai, Agostino ed Evodiosono riusciti a distinguere la funzione della legge eterna da quella
della legge temporale. Sono riusciti a distinguere anche due categorie di cose; quelle eterne ed
immutabili e quelle temporali. I due si erano erano inizialmente proposti di comprendere e capire
cosa vuol dire agire male.
-...e scelta del bene mutevole-
16.35 i mali agiti, di cui abbiamo parlato nel primo libro, sono i mali sono i mali per i quali si
trascurano le realtà esterne. Ciò è possibile in forza del libero arbitrio della nostra volontà, al quale
dobbiamo il nostro potere di peccare.
Anche Evodio si trova d’accordo con Agostino e conferma la sua tesi; ovvero, i peccati dipendono
da noi, dal fatto che ci distogliamo dal mondo immutevole dei valori e ci volgiamo alle cose
mutevoli del divenire. Essi riescono anche a risolvere il problema de perché si agisce male; si agisce
male, per libero arbitrio della volontà. Così si chiude il primo libro della sua opera; prima della
chiusura i due amici avanzano un nuovo dubbio che verrà affrontato nel secondo libro; se noi
pecchiamo a causa del nostro libero arbitrio, e se il libero arbitrio ci è stato donato da Dio, ciò
significa che in ultimo Dio è responsabile de fatto che pecchiamo?
LIBRO SECONDO
DIO E IL LIBERO ADBITRIO
DIO UOMO E VOLONTÀ (1.1-2.6)

- Dio e il libero arbitrio-


1.1 il problema iniziale del secondo libro è; perché Dio ha dato libero arbitrio alla volontà dell’
uomo se tramite esso noi possiamo peccare? Si era detto che l’anima non può essere trascinata a
fare il male da niente se non da se stessa, quindi dalla sua libera volontà che si autogenera. Agostino
qui chiama in causa Dio perché è chiaro che è lui che ci ha dato la volontà, visto che ci ha dato
anche L’ esistenza.  Da lui vengono i giusti premi e le giuste punizioni a seconda del nostro agire.
- L’ uomo è da Dio -
1.2 è Dio a punire i nostri peccati perché da lui è la perfetta giustizia. L’uomo è da Dio, noi
dipendiamo da lui perché non è solo Benigni verso di noi nel dare, ma è anche giustissimo nel
punire.  Ogni bene proviene da Dio, e anche l’uomo è un bene e proviene da lui. L’uomo è un bene
perché quando vuole può vivere con rettitudine.
- anche la volontà è da Dio -
1.3  Agostino sostiene che se l’uomo è un bene in quanto può agire con rettitudine, e l’agire con
rettitudine deriva dalla sua volontà, ne discende che la volontà è stata data da Dio all’ uomo per
agire con rettitudine. Infatti quando qualcuno usa la volontà per peccare, è punito da Dio.  Per tale
motivo, la volontà ci è stata data come una volontà libera perché altrimenti non avrebbe nessun
senso premiare o punire un dato comportamento volontario.
- perché se ne usa male?-
2.4 il problema sul quale discutono Agostino ed Evodio è; perché si usa male la volontà? Se la
volontà è stata data da Dio, perché può essere utilizzata contro la finalità per cui Dio l’ha data?
- s’ invoca la fede-
2.5 il problema presentato da Agostino richiede un approfondimento che Agostino inizia dicendo;
attraverso la fede, noi possiamo comprendere che Dio ci ha dato la volontà libera. Se ne dubitiamo,
possiamo confermare questa idea vedendo come sia un bene che L’ abbia data e se è un bene,
sicuramente ci è stata donata da Dio. Se invece scoprissimo che non ha fatto bene a darla, allora non
sarebbe lui ad averla data, visto che di Dio non si può non pensare tutto il bene possibile.
-fede e ragione-
2.6 Agostino sostiene che anche nostro signore con le parole e le azioni ha esortato gli uomini ad
avere prima la fede. Poi a coloro che già credevano disse ; cercate e scoprirete. Secondo Agostino,
nessuno è idoneo a scoprire Dio se prima  non accetta per fede ciò di cui in seguito avrà scienza.
Proprio in questo passo, Agostino vuole spiegare le cose secondo ragione. Per lui, anche l’esistenza
di Dio é un argomento che si deve affrontare razionalmente; che Dio esista noi lo sappiamo per
fede; ma appare del tutto lecito cercare di dimostrarlo razionalmente.  Secondo Agostino, bisogna
dimostrare razionalmente ciò che si crede per fede.
-vivere e pensare nell’ uomo-
3.7 per dimostrare razionalmente ciò in cui crediamo dobbiamo procedere in questa direzione:
dimostrare che Dio esiste; dimostrare che da lui vengono tutti i beni dell’ uomo; dimostrare che tra
tutti questi beni, Dio ci ha concesso anche il libero arbitrio.
Nel comprendere la razionalità dell’ esistenza di Dio, dobbiamo partire dalla dimostrazione dell’
esistenza dell’ uomo; la prima cosa da chiedere a noi stessi è; io esisto? Poiché è evidente che
ognuno di noi esiste; è evidente anche che ognuno di noi vive. Se sono sicuro di esistere  e di
vivere, allora da queste sue evidenze ne sorge un’ altra; io penso, cioè posseggo un’ intelligenza.
Tra essere,  vivere e pensare vi è un rapporto di progressiva implicazione; io sono, io vivo, e per
vivere devo essere; io penso e per pensare devo vivere ed essere. Da ciò si deduce che il pensare
include le prime sue qualità, il pensare è la caratteristica più sviluppata e gerarchicamente superiore.
- sensi, sensibile e senso interiore-
3.8 Ognuno di noi vive e nel vivere si rapporta con i suoi 5 sensi;  ogni senso coglie caratteristiche
specifiche di un oggetto per esempio; la vista il colore, il tatto la durezza, ecc.  ci sono alcune
caratteristiche di un oggetto che si percepiscono con più sensi, come le forme dei corpi e la loro
grandezza. Queste caratteristiche e si percepiscono mediante più sensi sono dette “ comuni”. 
Tuttavia con i nostri sensi non riusciamo a distingue le caratteristiche proprie e quelle comuni di un
oggetto, per distinguerle dobbiamo affidarci ad un senso interiore che è La nostra ragione.
- senso e ragione-
3.9 il senso interiore discrimina l’uso dei sensi ed è posseduto anche dagli animali che sanno che
per  giungere alla preda devono utilizzare in determinate circostanze L’ olfatto piuttosto che la vista.
L’uomo é consapevole di avere il senso interiore. Se gli animali sanno come usare i sensi, gli
uomini non solo sanno come usare i sensi, ma sanno anche quali prerogative conoscitive essi hanno;
tutto ciò è dovuto grazie alla ragione.
- funzione dei sensi interiore/
4.10  Agostino sostiene che il senso interiore non percepisce solo gli oggetti che riceve tramite i
cinque sensi esterni; ma da esso sono percepiti i sensi stessi. Con i sensi esterni si percepiscono gli
oggetti sensibili, un senso non si può percepire da se però, con il senso interno si percepiscono i
sensi sensibili. La ragione non solo avverte l’esistenza del senso interiore, ma avverte anche se
stessa.
- essere reale ed essere vivente-
5.11 ( amo qui fa un discorso del cazzo inutile)
- il senso interiore supera gli altri-
5.12 Agostino chiede ad evodio il perché pensa che il senso interiore è da considerarsi superiore
rispetto al senso con cui si rappresentano i sensibili.  Evodio sostiene che il senso interiore è
regolatore e giudice dell’ altro; senza il senso interiore L’ organò della vista non vede di vedere. È il
senso interno che stimola anche l’anima della bestia ad aprire gli occhi chiusi e a rendere compiuto
ciò che percepisce con la vista in modo manchevole. È il senso interno che giudica i sensi esterni
nell’ avvertirne la loro integrità e nel richiederne la funzione.
- ... ad esso la religione...-
6.13  secondo Agostino, in noi esiste un principio che è superiore alla vita, al corpo e anche alla
nostra intelligenza. È chiaro che noi abbiamo un corpo e una determinata vita, per cui il nostro
corpo è animato e vivificato; ma questi due principi li troviamo anche nelle bestie.  Vi è Poi un terzo
principio, che la natura delle bestie non possiede; questo principio è più sublime; è la ragione.
-... alla ragione L’ eterno immutabile-
6.14 ( amo dai una lettura veloce a questo paragrafo, fa confondere solo le idee ripete sempre le
stesse cazzate).
-  senso e ragione sono individuali-
7.15 Agostino si chiede se il senso esterno è identico per tutti, se esso non fosse identico, allora
ognuno di noi può vedere e percepire delle cose che l’altro non vede e percepisce. Evodio gli dice
che nonostante i nostri sensi siano identici per forma, essi sono tutti distinti tra di loro; un individuo
magari può vedere e udire quello che un altro ode soltanto.
Stesso identico ragionamento vale anche per il nostro senso interiore; il senso interiore di ognuno di
noi, percepisce il nostro senso esterno. Spesso infatti quando noi vediamo un oggetto, chiediamo
all’ altro se lo sta vedendo. Inoltre, è evidente che ogni individuo oltre ad avere il proprio senso ha
anche una propria mente; quindi è probabile che mentre un soggetto pensa ad una cosa, l’altro non
la pensa.
- ... ma non L’ oggetto sensibile della vista e udito-
7.16  nonostante ognuno di noi ha un proprio senso, spesso riusciamo a percepire gli oggetti 
contemporaneamente in maniera identica. Questa accade non solo con ciò che vediamo, ma anche
con ciò che udiamo.
- gusto e odorato...
7.17  Agostino comunque sostiene che il discorso fatto a riguardo della vista e dell’ udito, può
essere esteso anche agli altri sensi; gusto e olfatto. Così come entrambi due soggetti possono
percepire la stessa aria o gustare lo stesso sapore.
-... e tatto.-
7.18 Agostino paragona il tatto alla vista e all’ udito. Con il tatto non solo si percepisce il corpo; ma
anche la medesima parte del corpo. Tuttavia il tatto è differente rispetto alla vista e all’ udito; due
soggetti contemporaneamente possono vedere e sentire una determinata cosa, ma non possono
toccare la stessa cosa contemporaneamente.
- L’ alimento è individuale-
7.19  le cose sinsibili che ognuno di noi percepisce, non vengono percepite tutte con la stessa
intensità; in genere le cose che gustiamo o che percepiamo attraverso le nostre narici, vengono
percepiti in maniera diversa dai vari oggetti. Al contrario, la luce e il suono vengono percepiti nella
stessa identica maniera da soggetto a soggetto. Si dice proprio quell’ oggetto che nel percepirlo noi
corrompiamo e rendiamo parte di noi. Questi sono per lo più gli oggetti che percepiamo tramite
olfatto e gusto. Si dice comune ciò che è percepibile pubblicamente e non rimane corrotto dal
contatto con i nostri sensi.
- il numero puro universale-
8.20 L’ oggetto visto è rappresentabile a tutti e non si trasforma in base a colui che lo vede. Stessa
identica cosa accade con i numeri. Il numero non è un’ immagine tratta da cose molteplici;
nonostante il numero è un oggetto comune, le operazioni con i numeri si fanno con il solo ausilio
della ragione. Le leggi della matematica sono immutabili; mai vengono meno, indipendentemente
dagli oggetti sensibili che ho davanti gli occhi. Infatti sette e tre fa sempre dieci.
- non si conosce col senso-
8.21 (l’ho messo già nel paragrafo di prima)
- L’ uno è sempre intelligibile-
8.22 i numeri non derivano dalla nostra esperienza sensibile. Se si ha la nozione dell’ uno, si capisce
bene che esso non può essere percepito dai sensi, perché tutto ciò che è sensibile è composto da
molte parti e nessun corpo è mai puramente uno.
- legge fondamentale dell’ addizione-
8.23 ( solite monchiate sui numeri )
- obbietività della legge dei numeri-
8.24 i numeri hanno una verità intelligibile indipendente dai nostri sensi, questa verità dei numeri è
idealmente immutabile ed è universale nella conoscenza di tutti i soggetti pensanti. Non a caso nella
Bibbia il numero è stato associato alla sapienza.
- diverse opinioni sulla sapienza-
9.25 Agostino ed Evodio ora si interrogano sulla sapienza; i due si chiedono se ognuno di noi abbia
una personale sapienza o se La Sapienza è un bene accessibile a tutti nella stessa maniera. Agostino
paragona La Sapienza alla verità;  essa è lo strumento con il quale si raggiunge un fine universale e
voluto da tutti; il sommo bene. Se il sommo bene è comune a tutti, lo sarà anche La Sapienza per
mezzo della quale lo si consegue.
- sapienza felicità e sommo bene-
9.26 ognuno di noi ha un’ opinione diversa del bene e della sapienza anche se tutti desideriamo la
felicità e il bene.  Tuttavia non tutti seguono la via che conduce alla felicità, ma si diviene felici solo
con il conseguimento del sommo bene. Quindi, ancor prima di essere sapienti, abbiamo innata nello
spirito l’idea di sapienza.
- una è La Sapienza-
9.27 La Sapienza è una ed è universale per tutti; anche se molti sono i sommo beni. Se il sommo
bene è uguale per tutti, allora anche la verità che cerchiamo di conseguire sarà universale. La
Sapienza è dunque una realtà; tuttavia non sappiamo per certo se sia universale o se ciascun
sapiente ne abbia una propria come L’ anima e l’intelligenza.
- universalità di certe verità-
10.28 bisogna cercare La Sapienza se tutti vogliono la vita beata.  Bisogna vivere giustamente,
subordinare il meglio al peggio se vogliamo raggiungere il sommo bene.
-sapienza e universalità delle leggi morali -
10.29  La Sapienza è presente in coloro che sanno vederla e contemplarla; essa è universalità delle
leggi morali.
-sapienza e numero-
11.30 Numero e sapienza sono la stessa cosa, e tale testimonianza ci proviene anche dalle sacre
scritture. Molti considerano il numero una cosa di poco conto e La Sapienza qualcosa di superiore
ad esso; ma non è così.  Non è da stupirsi che Sapienza e numero siano la medesima cosa.
-  numero come ordine-
11.31 La Sapienza ha concesso una struttura numerica a tutti gli esseri, anche ai meno perfetti e
posti al grado più basso della realtà.  Perfino i corpi in generale, sebbene siano al livello più basso
nella realtà, hanno una propria struttura numerica.  Tuttavia, Dio non ha concesso ai vari corpi di
avere coscienza della propria struttura numerica. Solo i dotti dal momento in cui si allontanano dalla
terrenità riescono a intuire il numero e La Sapienza.
- numero e intelligibile e verità-
11.32  a confronto con il numero, La Sapienza viene considerata di egual valore; tuttavia, necessita
di un occhio capace di scoprirla. Per spiegare meglio ciò Agostino fa L’ esempio del fuoco; in un
unico fuoco si possono percepire luce e calore; tuttavia il calore lo percepisce chi sta più vicino al
fuoco, mentre la luce si percepisce da più lontano. Separare luce e calore è impossibile. Stesso
identico ragionamento si può fare per La Sapienza e il numero; i corpi più vicini ad essi mediante L’
intelligenza riescono a divenire sapienti; quelli più lontani  vedono solo la luce mediante L’ utilizzo
e la conoscenza dei numeri.
- universalità della verità -
11.33 non possiamo sostenere che non esiste la verità immutabile; essa infatti esiste e comprende
tutti gli oggetti che sono veri immutabilmente. La verità universale è universalmente accessibile e si
mostra come luce esposta a tutti coloro che conoscono gli immutabili veri intelligibili.
- verità è superiore a mente-
12.34 secondo Agostino, le verità immutabili sono superiori rispetto alla nostra mente. Noi
giudichiamo un oggetto sensibile in base ad esse e a nostra volta non le giudichiamo. Tramite le
verità immutabili esprimiamo giudizi come; è meno rotondo di come doveva essere, ecc. le verità
immutabili sono criteri immutabili di cui possiamo godere; essendo supremi criteri di giudizio, non
sono a loro volta sottoposti al nostro giudizio. Le verità immutabili non sono a nostra disposizione
come una nostra proprietà, ma siamo noi a loro disposizione, come enti soggetti, sottoposti alla loro
autorità.
La verità esiste come qualcosa che è superiore allo spirito dell’ uomo che può solo contemplarla
nella sua immutabilità e farne il fondamento di ogni ogni sua valutazione nella vita quotidiana. La
verità è una sorta di luce che illumina tutti i beni che sono veri. Ogni soggetto dopo aver guardato le
cose illuminate, ambisce a guardare direttamente la fonte della luce.  Guardando direttamente la
verità è come se si godesse di tutti i beni che la verità illumina.  Guardare la verità è come andare
alla fonte e al principio di tutto ciò che è bene, potendo godere così del bene in modo totale e
completo.
- varie opinioni sulla felicità-
13.35  c’è un essere più alto del nostro pensiero; la verità.  Bisogna abbracciarla la verità, e godere
di essa. Ognuno di noi desidera di essere felice, e nessuno è più felice di colui che gode di un’
altissima verità.
- verità e sommo bene-
13.36 la verità è sapienza, bisogna sforzarsi di vedere e raggiungere in essa il sommo bene e
goderne. É felice solo chi gode del sommo bene in quanto la verità svela solo tutti i beni
intelligibili. La verità è un bene che si gode senza alcun timore di perderlo. Essa di guadagna con il
proprio volere e si può perdere solo volendo. È anche fruibile nella stessa misura, essendo qualcosa
di comune a tutte le menti e visibile a tutti, senza che qualcuno possa vantare un diritto di
esclusività.
- la verità ci libera-
13.37  questo è il nostro riscatto; essere soggetti alla verità, ed è il nostro stesso Dio che ci riscatta
dalla morte, cioè dalla soggezione al peccato. Lo stssso Dio ha sostenuto; se rimarrete nella mia
parola, sarete veramente miei discepoli e conoscerete la verità e la verità vi libererà.
14.37 molti beni si possono perdere indipendentemente dalla volontà; ma la verità e La Sapienza
non si possono perdere indipendentemente alla nostra volontà. Quella che si chiama separazione
dalla verità e dalla sapienza è la volontà perversa con cui si amano le cose inferiori. 
- la verità è per tutti-
14.38  gli oggetti che si toccano, gustano e odorano sono meno simili alla verità, gli oggetti che si
odono e vedono sono invece più simili alla verità. La bellezza della verità e della sapienza, non
esclude i nuovi arrivati, non si estende e non si modifica nel tempo, non si muove nello spazio,  non
si interrompe con la notte, non è intercettata dall’ ombra, non soggiace i sensi.  Essa è vicinissima a
tutti coloro che da tutto il mondo si volgono a  lei perché la amano e ha un potere supertemporale.
Essa è innegabilmente superiore alla nostra intelligenza,  non possiamo giudicare di essa ma
giudichiamo mediante essa.
- Dio esiste perché è verità-
15.39 la verità è superiore alla ragione e se vi è qualcosa di superiore a questa verità immutabile e
perfetta, capace di illuminare e rendere vera ogni cosa , questo qualcosa sarà sicuramente
coincidente con Dio. Dunque, Dio esiste in quanti esiste una somma verità spirituale, comune a
tutti, superiore a tutti, immutabile ed eterna. Esiste Dio ed esiste ed esiste in un ordine sommamente
intelligibile.
Rispetto alla sapienza, cioè al sommo bene che è Dio, noi siamo in cammino. Non possiamo non
dirci stolti, ma godiamo di una stoltezza particolare. Siamo ignoranti; cioè conosciamo La Sapienza
solo per aver nozione che essa esiste, ma non l’abbiamo ancora ben afferrata nei suoi contenuti
specifici.
- La Sapienza è immediata nel pensiero-
15.40 L’ insipiente conosce L’ essenza della sapienza, tuttavia non è certo di essere sapiente.
- L’ opera della sapienza in noi-
16.41 quando desideriamo di essere sapienti colleghiamo la nostra anima alla sapienza, ossia a tutto
ciò che è uno e immutabile. Questo legame è la nostra felicità. La vita felice dell’ anima, è Dio.
- la presenza del numero del mondo-
16.42 cielo, terra, mare, ecc; hanno una forma perché partecipano ai numeri.  Se a tutte queste cose
togliamo il numero, esse non saranno più. E tutte queste sono grazie a chi ha il numero per
eccellenza; Dio.
- le orme della sapienza nel mondo-
16.43  La Sapienza parla all’ uomo e richiama all’ interiorità L’ uomo che ricade nelle realtà
esteriori. Noi veniamo ricondotti così al sommo bene tramite la bellezza delle forme che Dio ha
impresso nella sua opera.
Il percorso di conoscenza del sommo bene si determina in questo modo; bisogna rientrare in se
stessi, approfittando dello stimolo della bellezza e armonia del mondo, e dalla propria interiorità
elevarsi al sommo bene.  Elevarsi al sommo bene è possibile se e solo se  l’uomo viene stimolato
dalla bellezza esterna a ricercare la sua fonte originaria.
- come forma spazio- temporale-
16.44 possiamo conoscere davvero un oggetto solo se rientra in qualche forma numerica. Se questa
forma numerica viene eliminata, l’essere finisce nel nulla. Non dobbiamo mai dubitare del fatto che
esiste una forma eterne e non divieniente affinché gli esseri divenienti non si interrompano.
- forma degli esseri e provvidenza -
17.45 è necessario che ogni essere diveniente sia formabile. Come si dice diveniente L’ essere che
può divenire, così si dice formabile l’essere che può avere la forma.  Tuttavia nessun essere può
darsi la forma, perché nessun essere può darsi quel che non ha.  Corpo e spirito hanno forma da una
forma non diveniente e sempre permanente.
Così come la provvidenza presiede alle vicende degli uomini, vi è una provvidenza che agisce più
nel profondo, a livello ontologico. Tale provvidenza presiede all’ essere e al divenire delle cose
facendo sì che esse siano ciò che sono e evolvano verso ciò che devono essere.
- ogni bene è da Dio -
17.46 tutti i beni, che siano essi grandi o piccoli, possono essere soltanto da Dio.
Se essere, corpo e vita non si fanno forma da se, essi la ricevono da Dio e sussistono in virtù di
quella forma che è sempre tale, cioè la divinità.  Dunque quanto di lodevole si avverte nel mondo,
sia esso giudicato degno di piccola o di grande lode, si deve ricondurre all’ altissim e ineffabile lode
del creatore.
- la volontà libera è un bene-
18.47 Con quando abbiamo detto con qui, si è dimostrato che Dio esiste e che tutti i beni vengono
da lui; ora bisogna dimostrare e vedere se anche la volontà libera ( il libero arbitrio ) debba essere
annoverato tra i suoi beni. Per quanto riguarda la libera volontà, il problema nasce dal momento in
cui essa può no essere usata rettamente, e questo problema ci fa dubitare che la sua natura sia di
provenienza divina.
I due temi affermati in precedenza; che Dio esiste, e che tutti i beni sono da lui, sono stati trattati in
maniera tale da far apparire con grande evidenza anche il terzo tema, che tra i beni è da considerarsi
la libera volontà.
- relativo ma-
18.48 già nella disputa precedente è stato evidenziato ed è emerso dal nostro dialogo che la natura
del corpo è di grado inferiore rispetto alla natura dello spirito e che pertanto lo spirito è un bene
maggiore del corpo. Ora fra tutto i beni del corpo, ne esistono alcuni che si possono usare non
razionalmente; e visto che si tratta di beni, sono stati dati sicuramente da Dio.   Mani e piedi sono
un bene creato da Dio, ma con essi si possono compiere delle azioni crudeli.  Questo discorso vale
anche per la volontà, senza di cui non si può vivere secondo ragione, è un bene dato da Dio e si
devono riprovare coloro che ne usano male, anziché dire che chi l’ha data non doveva darla.
( Agostino pur essendo consapevole che sempre si pecca tramite la libera volontà, istituisce un
paragone tra beni materiali e libera volontà; assumendo che entrambi possono essere usati male, pur
essendo beni. Tuttavia ammette che la malizia della volontà è molto più grande è distruttiva, poiché
è tramite il libero arbitrio che i beni possono essere male utilizzati. Quindi, se è vero che un bene
spirituale è maggiore dei corporei; è anche vero che il suo cattivo utilizzo produce degli effetti
enormemente più negativi.
- è sempre bene-
18.49 il nostro filosofo assume che la volontà, in quanto bene spirituale, è un bene superiore ai beni
corporei, poiché in assenza di questi ultimi rimane sempre possibile condurre una vita retta; mentre
senza la volontà non è possibile.
- beni grandi medi infimi -
18.50 pensiamo alla giustizia, essa è compresa fra i beni più grandi che sono nell’ uomo, come pure
tutte le virtù di cui è costituita la razionalità. Giustizia, prudenza, fortezza, temperanza, ecc; sono di
per se delle rette e non si può pensare ad un loro uso cattivo. Per quanto riguarda i beni esiste una
vera e propria gerarchia; - beni grandi: con i quali si vive sempre rettamente; - beni intermedi:
necessari a vivere rettamente ma non sufficienti a tale scopo, come la volontà; - beni piccoli: i beni
corporei senza i quali si può benissimo vivere rettamente.
19.50 anche i piccoli beni però provengono direttamente da Dio.  Delle virtù non si può usare male,
mentre degli altri beni si può usare non solo male ma anche bene.  Tuttavia la grandezza della bontà
di Dio ha concesso che si diano beni non solo grandi, ma anche medi e infimi.
- la volontà è in se immediata-
19.51 se la nostra volontà si unisce al sommo e comune bene, essa ottiene i più grandi beni per
l’uomo. Se al contrario, essa di rivolge a un bene che è proprio o esteriore o inferiore, essa pecca
rispettivamente di superbia, di curiosità, e fa in modo che l’uomo conduca una vita che è morte. La
volontà è immediata, e usa direttamente se stessa. Essa non ricorda soltanto le altre cose, ma anche
se stessa.
-volontà sapienza felicità -
19.52 La felicità è uno stato spirituale che si ottiene unendosi ad un bene non diveniente; è il bene
proprio e primo dell’ uomo.  Con la verità- sapienza che è a tutto comune, a lei unendosi, gli
individui diventano sapienti e felici. Un individuo però non diviene felice con la felicità di un altro,
e non diviene prudente con la prudenza dell’ altro.
- avversione della volontà-
19.53 La volontà unendosi al bene universale, ottiene i primari e grandi beni umani.  La volontà,
distolta dal bene non diveniente è universale e volta verso un bene particolare o esterno o inferiore,
pecca.  Così L’ individuo, divenuto superbo o dissipato o corrotto è trascinato da una vita a lui
estranea che paragonata a una vita superiore è morte.
Il male consiste nel volgersi in senso contrario al bene no diveniente o volgersi a beni divenienti. Il
distogliersi e  il volgersi non sono determinati, ma volontari,  li segue una dovuta e giusta pena di
infelicita.
- L’ imperfezione dipende dalla creatura-
20.54 il male ci porta a distogliersi dai beni immutabili per volgersi a quelli mutevoli a seguito di un
atto che dipende dalla nostra volontà.  Ciò determina la giusta pena dell’ infelicita.
Ora bisogna anche capire da cosa dipende e da dove viene questo movimento del distogliersi; non
certo da Dio, cui non può essere imputato alcun male.  Il movimento del distogliersi dai beni non
divenienti non può essere imputato a qualche essere, tantomeno a Dio, poiché si tratta di un
movimento difettivo, che viene dal nulla. Esso, viene dal semplice “ mancare” il bersaglio del bene
superiore e quindi dal “ finire” per rivolgersi ad un bene inferiore.
Dunque, questo movimento difettivo è in nostro potere, infatti è un movimento difettivo della nostra
volontà, e appartenendo a quest’ultima, non può accadere se non si vuole.  Quindi ogni bene
superiore che può essere perso, in realtà, non può essere perso contro il nostro volere, ma solo se lo
vogliamo. La vita beata è proprio questa; quella che non può essere messa a rischio contro la nostra
volontà, ma solo a patto che uno lo voglia.

LIBRO TERZO
DIO L’ UOMO E IL LIBERO ARBITRIO
LA PRESCIENZA DIVINA E IL LIBERO ARBITRIO
- Necessità libertà colpa-
1.1
11:31 (2
morena chianetta <morena14chianetta@gmail.com>
minuti fa)

a mirianetta5

Nel terzo libro, si approfondisce maggiormente la questione della libera volontà; nella seduta
iniziale Evodio e Agostino discutono su una serie di quesiti relativi alla libera volontà;
- se il male è dovuto ad un moto difettivo appartenente alla libera volontà, Agostino si chiede, da
dove viene questo moto?
- se questo movimento è naturale, allora la nostra volontà non sarà colpevole del male che compie;
poiché tale male sarà necessario.
- se L’ anima dunque è mossa da tale movimento essa stessa non sarà colpevole.
- il movimento al peccato è libero-
1.2  se l’anima ha un movimento  che la porta a tendere verso il basso e verso il peccato, questo
movimento è certamente naturale e non sarebbe moralmente reprorevole che si muove per natura.
Questo movimento che ci induce al peccato, non è naturale ma volontario. ( Agostino fa L’ esempio
della pietra, anche il movimento della pietra tende verso il basso; ma non possiamo dire che La
pietra pecca perché il suo peso tende verso il basso. Al contrario spesso si giudica la coscienza
perché questa a causa del suo movimento abbandona la vita beata e cade nel peccato, puntando sui
beni inferiori). Se il movimento dell’ anima fosse naturale accadrebbe che essa si muove al male,
come una pietra lanciata verso l’alto si muove verso il basso.
Tramite questo bene, la nostra volontà si volge dal bene non diveniente a quello diveniente.
- perché dipende dalla volontà-
1.3  la volontà è mossa da se stessa;  nessuna realtà o soggetto, ne superiore, ne inferiore, muove la
volontà , ma solo la volontà stessa.  La volontà in sostanza determina se stessa e determina un suo
movimento non naturale. Per tale motivo la pietra che cade verso il basso non pecca, la volontà, che
si volge ai beni mutevoli invece che immutabili, invece si.
Il movimento difettivo della volontà, proviene dalla volontà stessa.
- il problema della libertà umana e prescindendo divina-
2.4 qui Agostino ed Evodio affrontano un nuovo problema; se noi pecchiamo e  peccato dipende
dalla nostra libera volontà; come è possibile che Dio pur pre conoscendo che l’uomo avrebbe
peccato, gli conferisce la libera volontà?
- errori sulla provvidenza e la vita-
2.5  molti uomini per leggerezza, affermano che non c’è una divina provvidenza a reggere le cose
umane e mentre affidano il proprio essere spirituale e fisico alle sorti del caso, si abbandonano alle
passioni per esserne feriti e dilaniati. Essi affidano tutto al caso e alla fortuna; quest’ultima viene
rappresentato come bendata, per dimostrare che anche essi con la medesima cecità pensano e
sostengono tali teorie.
Altri invece non osano negare che la provvidenza regge la vita umana, riflettendo su se stessi
invocano Dio e lo pregano di essere introdotti nella sapienza, tramite il sentiero della divina
misericordia.
- prescienza non è determinismo-
3.6 se Dio sa, è necessario che ciò che egli sa accada, la scelta della volontà appare dunque
necessaria. Se Dio conosce ed è presciente di ciò che noi faremo in futuro, allora pecchiamo per
necessità e non per volontà.
- il volere è volere anche se preescito-
3.7  Agostino ed Evodio affrontano un discorso complesso sulla atto soggettivo del volere; noi
possiamo dire che qualcosa ci attrae, e probabilmente ci attrae anche irresistibilmente, tanto che, per
esempio, a prorposito del vizio di fumare, non riusciamo a smettere, pur volendolo.
Secondo Agostino, l’atto di volere è di per se libero, infatti, per volere qualcosa è necessario che noi
vogliamo.  Quando noi diverremo felici, lo diverremo perché lo vogliamo; Dio è presciente della
nostra futura felicità, ma diverremo felici solo quando lo vorremo davvero; non si diventa mai felici
senza volerlo.
- volere è in nostro potere-
3.8 nulla è più mio della mia volontà, che per volere non fa altro che evocare se stessa, essendo essa
causa di se stessa. La volontà secondo Agostino è qualcosa che per definizione è in nostro potere, ed
essendo in nostro potere può essere considerata libera.  Agostino non trova nessuna contraddizione
nel fatto che Dio conosce qualcosa che rimane comunque in nostro potere; egli conosce la nostra
volontà, pur rimanendo la nostra volontà assolutamente nostra. Dio, nonostante conosce il nostro 
volere, non ci sottrae il potere di volerlo. Quanto detto, fa riferimento anche al fatto di commettere i
peccati; l’uomo ha volontà libera e per tale motivo pecca, Dio è presciente dei peccati che farà
l’uomo, ma lascia l’uomo libero di sbagliare; il fatto di peccare non dipende da Dio, ma da noi e
dalla nostra volontà che è posta in nostro potere.
- obiezione su prescienza non determinante-
4.9 (dice sempre le stesse cose)
- prescienza non è costrizione-
4.10 Evodio  pensa quasi che prescienza di Dio e libero arbitrio siano due cose opposte; ma in realtà
non è assolutamente così secondo Agostino; infatti, la prescienza deve essere prescienza di eventi
certi e per tale motivo é necessario che essi avvengano, altrimenti non sarebbe prescienza. Dio
nonostante ha prescienza dei nostri peccati, non ci costringe a peccare, sebbene senza dubbio noi
peccheremo con la nostra volontà.
- prescienza e giustizia di Dio-
4.11  Dio ha prescienza di tutte le cose di cui è autore, ma non è autore di tutte le cose di cui ha
prescienza.  È anche giusto punitore di tutte le azioni di cui non è autore. Ogni peccato, poiché si
commette mediante la volontà, viene sempre punito dal suo giudizio.
Il libero arbitrio è comunque un bene medio.
-  Dio è sempre da lodarsi-
5.12 tutti i beni che abbiamo, ci sono stati donati dal creatore e proprio al nostro creatore dobbiamo
rendere grazie. La sua grande bontà dovrebbe essere lodata anche se lui ci ha posti in un grado
inferiore del creato. Infatti, nonostante la nostra anima sia stata contaminata dal peccato, è sempre
più alta e buona delle anime di altri soggetti.
- due prospettive : ideale ed empirica-
5.13 noi non possiamo rappresentare nel creato qualcosa di più perfetto che sia sfuggito all’ arteficie
del creato. Dobbiamo credere che Dio ha fatto quel che doveva essere fatto, egli ha conosciuto le
cose prima con l’idea della ragione, sebbene ancora non riusciva a vederle perché non erano state
create.
- nei confronti della libertà e peccato-
5.14 molti soggetti che con la loro intelligenza sono arrivati a comprendere le cose perfette, spesso,
strepitano e vanno in collera con Dio in quanto  lamentano che egli li doveva creare come esseri
perfetti evitando che peccassero. Dio però non li ha costretti a peccare, ma ha dato loro il potere di
scegliere.
Ci sono degli angeli che non hanno mai peccato, e mai peccheranno. Pertanto se ammiriamo una
creatura che con perseverante volontà non pecca, non vi è dubbio che anche noi stessi così come
Dio la anteponiamo a quella che pecca. Gli angeli, ovvero coloro che non hanno peccato è mai
peccheranno, vivono in un mondo superiore, nell’ alto dei cieli; perché se Dio ha manifestato bontà
verso la creatura di cui prevede i futuri peccati, manifesta in senso assoluta bontá nel creare una
creatura, di cui ha previsto che non avrebbe peccato.
- dignità dell’ anima anche se pecca-
5.15 se uno ragiona bene, coglie esattamente l’ordine e la bontà della creazione, pur non vedendo
tutto il creato. Se noi volgiamo lo sguardo all’ ordine dell’ universo così come Dio lo ha pensato e
voluto, non ci possiamo lamentare della posizione che abbiamo in esso, e del fatto che noi possiamo
peccare. Tutto infatti si trova in un perfetto stato di ordine; al di sopra di noi ci stanno gli angeli, che
non peccano e permangono nella volontà di non peccare. Poi, gli uomini, che con la volontà libera
possono peccare, ma possono recuperare pentendosi e riparando. Gli uomini sono superiori ai
demoni che peccano e permangono nella volontà di peccare, e tuttavia Dio, pur sapendo che i
demoni avrebbero sempre continuato a peccare, decise di crearli ugualmente; ciò testimonia la sua
estrema bontà.
- rimane superiore al corpo-
5.16 ogni cosa presente nel creato è stata perfettamente ordinata; e ogni creatura ha un grado di
bontà per il quale è in dovere di lodare sempre Dio. Ogni anima è migliore di ogni corpo, e il
migliore dei corpi, è la luce plotiniana della memoria. Questa luce è peggiore della peggiore delle
anime.
Insomma, nell’ ordine voluto da Dio la bellezza e bontà è gradualmente organizzata, perché nello
stesso ordine risplenda la somma bellezza e sapienza divina.
- ragione ed esperienza nel giudizio pratico-
5.17  dobbiamo usare la ragione per evitare di dare importanza maggiore a cose di minor valore. La
nostra ragione deve invece riflettere e rispecchiare L’ ordine del creato, abituandosi a lodare Dio per
L’ effettiva grandezza e bontà delle sue creature, concepite nei giusti rapporti gerarchici con tutte le
altre.
- a Dio non si attribuisce il peccato-
6.18 è assurdo attribuire al creatore i peccati delle creature, anche se gli eventi che egli ha
preveduto  dovessero avvenire, avvengono per necessità. Non possiamo scandalizzarci per il
peccatodegli uomini e smettere di lodare Dio. Se un’ anima si disonora nel peccato è a causa della
sua volontà, che viene utilizzata male e contro gli scopi per i quali Dio gliel’ha donata.
Vi sono soggetti che si scandalizzano per la propria persona misera e peccatrice e sostengono “
preferirei non esistere piuttosto che essere misero” questi, secondo Agostino, mentono. Il fatto è che
chi dice così è già misero. In realtà chi è misero vuole esistere, e se è misero lo è contro il suo
volere.
- volere e felicità dipendono da noi-
6.19 ammettiamo che un essere sostenga di non voler morire non perché preferisce essere infelice,
ma per non essere ancora più infelice dopo la morte. Agostino qui risponde; “ se è ingiusto essere
misero dopo la morte non lo sarai, ma se sarà giusto, allora lo sarai. Ovvero: se sarà in nostro
potere, volendolo saremo felici comportandovi giustamente o infelici comportandoci ingiustamente.
Cioè, se è in nostro potere, potremmo decidere di comportarci male e giustamente saremo infelici, o
bene e giustamente saremo felici.  Tuttavia, se non si è in proprio potere, allora saremo in potere di
nessuno o di un altro;
- se siamo in potere di nessuno, questo nessuno deve vincere la nostra volontà, ma siccome è
nessuno, costui non può esprimere alcuna controforza capace  di vincere la nostra volontà e noi
torneremo in potere di noi stessi.
- se si è in potere di altri; “ l’altro”  può essere più debole o più forte.  Se è più debole, non ha la
forza di vincere la nostra volontà e quindi noi torniamo in potere di noi stessi; se invece è più forte
di noi e noi vogliamo comportarci bene per no essere misero dopo la morte, non possiamo perché
veniamo vinti da una forza superiore.
- il bene dell’ esistenza-
7.20 Agostino dimostra quale gran bene è L’ esistenza, facendo notare che essa è preferita da tutti; -
sia che essi siano beati; poiché è evidente che i beati, essendo tali, preferiscono esistere. - sia che
essi siano miseri, come abbiamo dimostrato nel paragrafo precedente. Colui che è misero si trova
lontano da colui che sommamente è; egli vorrebbe non esistere perché non vede colui che
sommamente è. Tuttavia, non riesce a rinunciare a voler esistere proprio grazie a lui che gli ha
donato un bene così grande che risulta difficile non volerlo.
- L’ indistruttibile desiderio di essere-
7.21 chi desidera sfuggire all’ in felicità deve amare il suo voler essere. Chi sempre desidera di
essere, si avvicinerà a lui che sommamente è. Quantunque egli è inferiore agli uomini felici, sarà
superiore a tutti quegli esseri che non hanno neanche il desiderio di felicità. Bisogna amare il
proprio essere, coltivarlo e amplificarlo; solo così ci si avvicinerà alla beatitudine.
“Tutte le cose, già per il fatto stesso che sono, devono essere degne di lode, perché sono buone
proprio per il fatto stesso che sono. “( questa affermazione data da Agostino diviene poi il centro di
tutta la metafisica medievale).
L’ amore per il proprio voler essere conduce alla felicità, perché incrementa il proprio essere
nutrendolo di beni stabili ed eterni, e lo innalza quindi fino all’ essere vero.
“ se uno infatti preferisce non essere piuttosto che essere misero, non potendo non essere, allora
rimarrà misero; se uno invece ama maggiormente l’essere più di quanto odi il misero, egli avrà
escluso la miseria”.  Nel primo caso la miseria sarà data dal non riconoscere il bene dell’ essere e
quindi rifiutarlo; nel secondo caso il riconoscimento dell’ essere permetterà la fuorisciuta della
miseria.
- non si sceglie il nulla-
8.22 se uno preferisce il non essere piuttosto che essere misero, in realtà preferisce il nulla a
qualcosa, ma preferire il nulla è non preferire, scegliere il nulla è non scegliere, infatti il nulla non è
e, non può essere ne conseguito e ne preferito o scelto. Se il nulla è preferito vuol dire che possiede
delle qualità, la il nulla in quanto nulla non può essere una sostanza alla quale si attribuisce una
qualità, il nulla in quanto tale è senza qualità, quindi non può essere preferibile.
- opinioni sentimento e desiderio di non essere-
8.23 chi sceglie il nulla uccidendosi, o lo ha fatto credendo di andare in un posto migliore, oppure
ha compiuto un grossolano errore logico.  In realtà chi si uccide non crede nel totale
annichilamento, infatti egli più o meno possiede sempre i lsentimento  che dopo la morte sussisterà,
anche se, interrogato, esprime una opinione contraria.
- ogni cosa nel suo grado di perfezione-
9.24 L’ armonia del creato, dalla più piccola alla più grande delle creature, si dispone con ordine che
lo sviserebbe chi dicesse “ questa cosa non dovrebbe esserci” o “ questa cosa dovrebbe essere come
quest’ altra. “ chi fa tali obiezioni sbaglia, anche se le fa per ignoranza o caparbietà.
- provvidenza nella verità delle perfezioni-
9.25 una caratteristica delle cose create e inserite nell’ ordine dell’ universo è la loro diversità; ma è
grazie a questa diversità se l’universo è perfetto. Così come sono diversi i corpi, saranno diversi
anche le anime. Ci sono anime felici e anime infelici perché hanno voluto peccare. Ma non
possiamo dire che Dio non doveva crearle in queste condizioni, in quanto deve essere lodato anche
se ha creato esseri inferiori e infelici.
- per ordine è creata L’ anima-
9.26 anche la nostra infelicita completa la perfezione dello universo; quindi, se l’anima incontra L’
infelicità soltanto peccando, anche i nostri peccati sono necessari alla perfezione dello universo che
Dio ha creato. Anche i peccati sono indispensabili alla perfezione dell’ universo. L’universo ha
perfezione, quando c’è felicità per chi non pecca e, ha perfezione quando c’è infelicità per chi
pecca.
- ma il peccato e infelicità...-
9.27 L’ universo rimane bello in quanto ordinato dal nostro creatore. Se alle anime peccatrici fosse
permesso di raggiungere i luoghi più elevati, sarebbe un disordine in quanto non sono idonee ad
essi.
- rientrano nell’ ordine-
9.28 allunga il discorso inutilmente
- giusta soggezione al diavolo-
10.29 per Agostino, due sono le cause del peccato ; - peccare per spontanea determinazione, -
peccare per istigazione dell’ altro.  Entrambi le forme di peccato sono volontarie; infatti quando un
individuo acconsente al cattivo istigatore, acconsente certamente col volere. Tuttavia è più grave
peccare per propria determinazione, senza l’ istigazione di qualcuno; ed è ancora più grave istigare
ad altri il peccato.
Coloro che peccano sono in balia del diavolo, tuttavia, La Sapienza divina ha dato al diavolo il
potere di corrompere solo la carne. Dio però ha fatto la carne mortale, affinché la mortalità della
carne spezzasse l’orgoglio umano e inducesse gli uomini a cercare misericordia in Dio.
- ragione teologica dell’ incarnazione-
-10.30 Il verbo di Dio, mediante il quale tutto è stato fatto e da cui è costituita la felicità degli
angeli, ha esteso la propria clemenza fino alla nostra infelicità.  Così l’uomo, senza essere reso
eguale agli angeli, avrebbe potuto mangiare il pane degli angeli. Dio che è venuto ad abitare in
mezzo agli uomini, non ha abbandonato gli angeli, ci ha resi idonei mediante la fede a cibarci
egualmente della stessa sostanza di cui si cibano gli angeli. L’ anima dell’ uomo è pensante, ma era
trattenuta dalla catena della morte a causa del peccato. Grazie alla fede, nonostante il corpo rimane
legato al peccato, la nostra anima si eleva e torna all’ altezza invisibile.
- giusto riscatto del diavolo-
10.31  Dio ha soggiogando il diavolo e lo ha vinto con le leggi della giustizia, rivendicando i lsuo
potere su tutto il genere umano. Cristo, figlio di Dio, con la sua morte ha riscattato gli uomini dal
peccato, rendendoli liberi.
- anime che peccano e anime che non peccano-
11.32 Dio ha creato tutti gli esseri, non solo quelli che avrebbero continuato nella virtù della
giustizia, ma anche quelli che avrebbero peccato. Quindi tutte le creature, ad ogni grado gerarchico,
son il loro bene e con il loro essere ornano l’universo, e quanto di ingiusto esse possano
commettere, ai gradi inferiori, è riequilibrato dalla legge divina. Così non manca motivo per lodare
Dio.
- i gradi di perfezione delle anime-
11.33 “ ogni natura è buona, natura\sostanza; e ogni sostanza o è Dio o è stata creata da Dio “
Di grado più alto è quell’ essere che se non esistesse e se non peccasse renderebbe meno ordinato
l’universo. Di grado inferiore è quello che solo se non esistesse e non se peccasse, renderebbe
imperfetto l’universo.
- anime superiori e inferiori-
11.34 l’anima dopo la morte del corpo, domina il proprio corpo secondo le leggi dell’ universo. Tale
anima non è inferiore di un corpo celeste, nonostante ai corpi celesti sono sottomessi i corpi terreni.
L’anima si unisce a Dio e guida il corpo.
- il peccato e il non peccato nell’ ordine-
12.35  e 12.36 ( dice sempre le solite minchiate -.-)
- bontà degli esseri-
13.36 ogni cosa che è stata creata da Dio, può divenire meno buona corrompendosi. Infatti, ogni
cosa o non viene corrotta e rimane buona, oppure si fa corrompere e diventa meno buona. Da ciò si
desume che ogni cosa, siccome esiste ed è stata creata da Dio, allora è buona. Indipendentemente
dal fatto che essa sia corruttibile o incorruttibile.
- Dio si loda anche nel biasimo-
13.37 se si deve lodare la natura ragionevole che è stata creata, non c’è dubbio che si deve lodare
anche chi l’ha creata, e se questa natura creata viene biasimata, non c’è dubbio che bisogna lodare
chi L’ ha creata anche nel biasimo. Se biasimiamo questa natura perché non vuole godere del bene
sommo e non diveniente, cioè del suo creatore, lui senza dubbio noi lo lodiamo.  Noi dobbiamo
lodare Dio in quanto creatore e benefattore.
- ..meritato dell’ essere imperfetto-
13.38 quando si biasimano le cose del creato, noi in realtà stiamo biasimando solo L’ imperfezione;
ma per biasimare L’ imperfezione di una determinata cosa, noi dobbiamo per forza lodare la natura
di quella cosa. Dobbiamo imparare a biasimare ragionevolmente, non bisogna biasimare La natura
di un oggetto, ma ciò che è contro la natura dell’ oggetto. Ogni imperfezione, per il fatto stesso che
è imperfezione, è contro natura. Ora possiamo ammettere che, in ogni essere è biasimata soltanto L’
imperfezione ed è imperfezione appunto perché è contro la natura della cosa di cui è imperfezione.
- ci si corrompe con la propria imperfezione-
14.39 spesso una natura può essere corrotta dall’ imperfezione di un’ altra natura. Se la natura
corrotta con L’ imperfezione sopravviene per corromperne un’ altra, ma in quest’ultima non trova
nulla di corruttibile, allora non la corrompe. Se trova qualcosa di corruttibile, allora ne compie la
corruzione con L’ imperfezione che vi si trova.
- corruzione non dovuta a imperfezione-
14.40 può avvenire che una natura più potente ne corrompa una meno perfetta e che avvenga senza
loro si dice imperfezione ciò che è degno di biasimo.  Chi oserebbe biasimare un individuo,
chebcerca nei prodotti della terra soltanto il sostentamento, o gli stessi prodotti che, usati come cibo
si corrompono? Questa solitamente non si chiama corruzione, perché corruzione è sinonimo di
imperfezione. Spesso una natura più perfetta ne corrompe una meno perfetta, indipendentemente
dall’ esigenza di soddisfare in proprio bisogno.  Se infatti il sole con il suo splendore rovina gli
occhi di un tale a causa della luce, non possiamo biasimare ne gli occhi e ne il sole, perché questa
corruzione non è avvenuta per imperfezione. Fra tutte le corruzioni soltanto quella dovuta all’
imperfezione  si può biasimare regionevolmente.  Le altre non si possono dire corruzioni perché non
sono dovute a imperfezioni.
-  biasimo dell’ imperfezione e lode dell’ essere-
14.41 L’ imperfezione è male perché si oppone alla natura di quella cosa, di cui è imperfezione.
Dobbiamo dunque ammettere che il biasimo stesso dell’ imperfezione è lode delle nature, ( le
nature) di cui biasimiamo le imperfezioni. Biasimando L’ imperfezione, lodiamo la cosa di cui
desideriamo L’ interezza. La natura perfetta non è degna di biasimo ma di lode.
AMO HO PROVATO A RENDERE PIÙ CHIARI I PARAGRAFI CHE PARLANO DI BIASIMO
E COSE PERFETTTE. { noi di per se non biasimiamo le cose della natura, ma i vizi, quest’ultimi
infatti corrompono una natura buona.  Se la natura non fosse in de buona, non si avrebbe motivo di
biasimare il vizio. Noi biasimiamo il vizio perché è contrario alla natura. Al contrario, l’autore della
natura, in qualità di autore di qualcosa di buono, va sempre lodato. Il vizio o imperfezione così
come la chiama Sant’Agostino, non può essere considerato una sostanza; può essere considerato più
un parassita della sostanza. Esso è propriamente ciò che manca alla perfezione della natura. Il vizio
deve essere considerato un “ venire meno della natura”; esso però deve essere biasimato solo se
volontario. Se invece L’ imperfezione o vizio è legato a una gerarchia, questo non  è proprio un
vizio, ma appartiene alla varietà dell’ ordine universale creato da Dio e va lodato.
- limiti del contingente-
15.42 se il biasimo delle imperfezioni mette in luce la dignità delle nature, anche di quelle
imperfette; allora noi dovremmo lodare Dio, creatore di tutte le nature e delle loro imperfezioni. La
corruzione dell’ essere e il suo allontanamento da Dio non sono da biasimare visto che nella
maggior parte dei casi non dipende dalla volontà dell’ essere stesso. Noi non biasimiamo mai L’
essere che è come dovrebbe essere; ma biasimiamo L’ essere che non è come dovrebbe essere.
- norma del dover essere o restituzione-
15.43 Noi non possiamo neanche biasimare le cose che cessano di essere. Non possiamo dire :”
doveva rimanere ancora”; in quanto quella determinata cosa che cessa di essere non poteva
oltrepassare i limiti stabiliti.
Ogni peccato reca un danno nell’ ordine voluto da Dio,  ma questo danno è immediatamente
riparato dal fatto che il peccato è “ pena a se stesso”, in quanto viene punito con L’ abbrutimento
della natura che pecca. Chi pecca, subisce ciò che deve subire; questa punizione fa in modo che
l’ordine voluto da Dio mai si allontani dalla bellezza razionale con cui è stato concepito. Chi pecca
deve una buona azione, e la deve a Dio.
-... cui segue sanzione -
15.44  nell’ ordine creato da Dio, a lui non va ad essere attribuita alcuna responsabilità per il
peccato. Il nostro Dio ottimo è giusto, a nessuno deve qualcosa, poiché ogni cosa egli offre
gratuitamente.  Ciò che egli offre è una natura, cioè un essere che in quanto tale è buono.  Tutte le
creature devono qualcosa a Dio per aver ricevuto da lui qualcosa di buono . le leggi dell’
onnipotente creatore non si possono superare, la nostra anima deve restituire a Dio ciò che a Egli è
dovuto. L’uomo rende a Dio ciò che deve facendo buon uso della sua natura, cioè comportandosi
bene. Viceversa sarà punito per il suo peccato. Dio non deve nulla a noi, ma noi dobbiamo tutti a
Dio. Senza di Dio l’uomo è il nulla è grazie a lui siamo cosa. Se l’uomo non restituisce a Dio ciò
che gli deve, egli non diverrà certamente nulla ma sarà infelice.
- Dio non deve nulla, noi tutto...-
16.45 ( ho aggiunto questa parte nel paragrafo precedente)
- ... fuorché il peccato-
16.46 se non si fa ciò che si deve, non è colpa del creatore. Se l’uomo deve peccare
necessariamente; quando pecca fa ciò che deve. Tuttavia, l’uomo non è costretto a peccare, ma
pecca perché agisce secondo la sua volontà e per tale motivo è costretto a subire ciò che non voleva.
La causa del nostro peccato è L’ improba voluntas, ovvero la nostra volontà incontrollata che si
allontana dal bene. A indurci al peccato non è Dio ma la nostra volontà; al contrario,  Dio deve
essere sempre lodato; non solo perché crea le cose, ma anche perché punisce gli esseri che si
allontanano dalla sua verità.
- obiezione della prescienza-
17.47 Evodio comunque si interroga su un’ altra questione; ovvero perché se Dio non prevede che
una creatura peccherà, allora essa non pecca; se Dio prevede che una creatura peccherà, allora essa
pecca. Evodio non crede che dalla prescienza di Dio l’essere è costretto a peccare. I due cercano di
trovare la causa che spinge la volontà di una determinata creatura a peccare.
- causa prossima del peccato-
17.48 Agostino critica quanto detto da Evodio, lui sostiene che il volere è la causa del peccato, e che
se si procedesse  a cercare la causa del volere stesso, il ricercatore si introdurrà in una ricerca
infinita. Sicuramente la radice di tutti i mali è L’ avarizia degli uomini; ovvero il fatto che essi
vogliono più di quanto basta, e lo desiderano in maniera immoderata.  Questo tipo di avarizia è
desiderio disordinato e tale desiderio  è volontà pervertita. La causa di tutti i mali dell’ uomo allora
è la volontà pervertita; essa non è secondo natura. Tuttavia, se ci mettessimo a cercare la causa della
volontà perversa possiamo notare come essa non è la causa di tutti i mali dell’ uomo.
- ... è la stessa volontà ...
17.49 non esiste causa della volontà che è anteriore alla volontà stessa. È la volontà stessa la prima
causa del peccato; ovvero la prima causa del peccato non è peccato. Poi, qualunque sia la causa
della volontà o è giusta i è ingiusta. se è giusta, chi le obbedisce, non pecca; se è ingiusta, chi le
obbedisce, peccherà.
- ... quindi è possibile non peccare-
18.50 Evodio si chiede se la volontà è una causa violenta e magari costringe anche chi non vuole.
Agostino risponde che; qualunque sia la causa di questa volontà, se non è possibile resisterle, si
cede ad essa senza peccato; se  è possibile,  non le si ceda e non si peccherà.  Tuttavia, non si pecca
in condizioni in cui è possibile evitare, si pecca se è possibile evitare.
- condizione dell’ uomo decaduto-
18.51 anche le azioni compiute per ignoranza vengono giudicate e punite dalla legge divina. Così
come le azioni compiute per necessità, ovvero quando qualcuno vuole agire bene ma non può. ( non
faccio il bene che voglio, ma compio il male che non voglio). Infatti, La nostra carne ha desideri
contro lo spirito e lo spirito ha desideri contro la carne; questi desideri si contrastano a vicenda e
l’uomo non riesce a compiere le azioni che vuole. Se l’uomo non si allontanasse dallo stato in cui è
stato creato da Dio, allora non peccherà; ma se pecca, è giusto che riceva una pena o supplizio.  Le
pene inflitte dal nostro creatore non possono essere ingiuste; ma è da pazzi dubitare 
dell’onnipotenza e della giustizia di Dio; da ciò si desume che tutte le pene sono giuste e si pagano
a causa dei nostri peccati. È impossibile pensare che un ingiusto dominatore abbia sottratto l’uomo
dalla giurisdizione di Dio.
- ... per soggezione a ignoranza o passione-
18.52  non c’è da meravigliarsi che l’uomo per ignoranza non abbia libero arbitrio della sua volontà,
o magari a causa della passione, egli conosca il da farsi e lo voglia, ma non può compierlo.  Per
l’anima che pecca ci sono due condizioni di pena; L’ ignoranza e la debolezza.   A causa dell’
ignoranza ci toglie dignità L’ errore, a causa della debolezza ci tormenterà il dolore.
- L’ uomo può superare errore e passione-
19.53 molti uomini si chiedono:” che colpa abbiamo noi del peccato originale? Perché dobbiamo
vivere in questo stato di ignoranza e difficoltà ?”.  Agostino a costoro consiglia di non mormorare
contro Dio, in quanto superare L’ errore e la passione è possibile. Dio chiama chi si è allontanato dal
suo stato naturale, insegna a chi crede, consola chi spera, esorta chi ama, esaudisce chi invoca.
- condizione prima e dopo il peccato-
19.54  a prescindere dal fatto che nell’ uomo non esiste una natura intrinsecamente cattiva; allora,
tutte le azioni che non si compiono secondo ragione per ignoranza, o che non si compiono secondo
ragione anche se si vuole; si dicono peccati in quanto derivano dal primo peccato della libera
volontà; il peccato originale. Così non solo si dice peccato  quello che propriamente è considerato
peccato perché si commette volontariamente e coscientemente, ma anche quello che
necessariamente consegue dalla condanna. Il peccato originale genera L’ incapacità, da parte dell’
uomo di avere in suo potere di essere buono ( lo rende ignorante), e allo stesso tempo lo ( pone in
uno stato di difficoltà), ovvero l’uomo vede come deve essere, ma non è capace di realizzare come
deve essere. Ignoranza e difficoltà sono legate al fatto che con il peccato originale si è violato un
precetto morale e divino, tale violazione ha portato a una degenerazione ontologica dell’ essere
umano; tale degenerazione corrompe la libertà dell’ uomo e lo rende incapace o di vedere ciò che è
bene o di praticare il bene che pure riesce ad intendere. Ignoranza e difficoltà non sono condizioni
inaffidabili, ma ostacoli al retto agire che la nostra volontà può superare grazie all’ aiuto di Dio
misericordioso.
- trasmissione della condanna...
20.55 a causa di Adamo ed Eva noi nasciamo nell’ ignoranza, nella debolezza e nella mortalità ,
poiché essi avendo peccato sono stati precipitati nell’ errore, nella tribolazione e nella morte. Dio
così sin da subito si mostrò come colui che punisce e che tramite la sua misericordia libera. Ha
punito l’uomo a causa del peccato ma non gli ha tolto la felicità. La progenie di Adamo ed Eva
sarebbe nata con il peccato originale, ma volgendosi verso Dio i discendenti di Adamo ed Eva
potevano espiare la loro condanna .
-... nell’ ipotesi creazionista..-
20.56  Agostino però cerca di comprendere anche come è avvenuta la propagazione del peccato
originale; nella sua premessa logica elenca una serie di ipotesi sull’ origine delle anime. ( questo
tema appare ad Agostino un po’ superfluo, in quanto appare più saggio cercare di capire come
possiamo salvarci dal peccato, piuttosto che cercare di capire come ci siamo caduti).
- se è stata creata una sola anima e tutte le altre derivano dell’ essenza della prima, allora tutte le
anime hanno peccato con la prima.
- se ogni anima è stata creata singolarmente allora, il cattivo merito di chi prevede è natura anche di
chi segue, così come il buon merito di chi precede è natura di chi segue. ( queste sue ipotesi però
sembrano improbabili ad Agostino). Tuttavia ogni anima caduta nel peccato può sempre riscattarsi
con l’aiuto del creatore, può perfezionarsi e con religioso impegno vivere e acquisire le virtù.
Grazie alle virtù ci si riscatta dalla debolezza  e dall’ ignoranza. Nonostante l’anima è nata nel
peccato, non è costretta a rimanerci.
-... nell’ ipotesi della preesistenza..-
20.57 è possibile anche che esistono delle anime preesistenti che vengono mandate ad animare i
corpi e hanno un preciso compito. Esse infatti dovranno preparare e disciplinare  il corpo  che nasce
dalla pena del peccato.  Dovranno dominarlo con le virtù e assoggettarlo.
- ... anche se le anime scelgono la terra-
20.58  se le anime viventi presenti nel corpo non sono mandati da Dio, allora è facile capire che non
si deve Dio per qualsiasi effetto di ignoranza o difficoltà che è seguito alla loro stessa scelta. Dio
sarebbe egualmente senza colpa anche se se avesse mandate lui, perché malgrado L’ ignoranza e la
debolezza, non ha tolto loro il libero volere di chiedere e ricercare il bene. L’anima può soggiogare
ignoranza e difficoltà e continuare a desiderare il bene.
- cautela sull’ origine dell’ anima -
21.59 di queste quattro teorie dell’ anima appena enunciate, non dobbiamo affermare alcun
pregiudizio. In quanto è probabile che ancora l’argomento non è stato approfondito a causa della
sua oscurità .
- la luce della rivelazione-
21.60 per arrivare all’ eternità della verità, alla nostra debolezza è stata indicata la via delle cose
temporali. Dobbiamo appunto accettare per fede avvenimenti passati e futuri e proseguire verso la
strada dell’ eterna felicità. Tutti questi fatti, passati o futuri, relativi alle varie creature, si sono
proposti come oggetti di fede dell’ autorità di Dio; essi servono moltissimo a fortificare la nostra
speranza  e a stimolare la nostra carità, facendoci ricordare che Dio non abbandona la nostra
liberazione. Si devono credere tutti i fatti che ci vengono narrati come passati e preannunciati come
futuri e che servono a proporci la perfetta religione stimolandoci al puro amore di Dio e del
prossimo.
- sul nostro passato e futuro-
21.61 nella serie delle cose temporali, le cose future sono da anteporre a quelle passate. Infatti,
anche negli interessi materiali, non si cerca mai quel che è stato, ma ci si concentra su quel che sarà.
Con la misericordia del nostro creatore dirigiamo i nostri passi verso quel che sarà. ( rimanda al
discorso di prima, non ci interessa come è nata la vita ma come finisce)
- poiché la ragione è incompetente-
21.62 ( rimanda sempre al discorso di prima, non dobbiamo perdere la speranza di un futuro all’
insegna del bene e della felicità, solo perché non ci ricordiamo che è iniziato il passato.)
- giusta la pena del peccato-
22.63 le anime scontano le pene dei loro peccati; e questi peccati, si devono imputare alla loro
volontà. Non si deve cercare altra causa del peccato.
- nonostante difficoltà e ignoranza-
22.64 se invece ignoranza e debolezza sono naturali, l’anima allora inizierà a progredire e avanzare
fino alla conoscenza, felicità e serenità. Ma se la nostra anima trascurerà di propria scelta la strada
verso la beatitudine, allora viene precipitata giustamente nell’ ignoranza. Per tale motivo verrà posta
ad un livello inferiore. Infatti, non viene imputato all’ anima il fatto che per natura non sa e per
natura non può, ma gli viene imputato che non si è impegnata a sapere e ad acquisire la capacità di
agire secondo ragione.
- si loda Dio che crea e salva-
22.65 ma il creatore dell’ anima è lodato in ogni caso; sia perché sin dal principio l’ha iniziata alla
capacità del sommo bene, sia perché l’ha aiutata nel progresso, sia perché la perfeziona
compitamente, sia perché la sottopone a giusta condanna se pecca. Dio non crea la nostra anima
malvagia. L’anima che è stata creata ha ricevuto il dono di cercare con diligenza e pietà, se vorrà.
Essa viene innalzata alla felicità, non tramite le proprie forze, ma grazie alla misericordia di colui
che l’ha creata.
Si deve dunque lodare con la dovuta pietà il creatore dell’ anima perché le ha concesso un
cominciamento tale che progredendo mediante l’impegno può giungere al frutto della sapienza e
giustizia.

[ RISPOSTA AD ALCUNE OBIEZIONI]


- obiezione della morte dei fanciulli-
23.66 molti ignoranti spesso si chiedono : “ se gli uomini superano la condizione di peccato tramite
la volontà, come fanno i bambini a liberarsi dal peccato se muoiono prima di volere
consapevolmente?” ; “ che bisogno c’era che costui nascesse, se è morto prima di acquisire ogni
merito, e per lui non ci sarà ne posto fra i giusti e ne posto fra i peccatori? “.  A costoro potremmo
rispondere che tutto è  stato creato in perfetto ordine, non è possibile che sia creato  Inutilmente un
individuo umano. Perfino una foglia d’ albero non è creata inutilmente. Probabilmente questi
bambini otterranno una sentenza da parte del giudice a metà strada tra il premio e la pena.
- battesimo dei bimbi e fede degli altri-
23.67 qui si cerca di capire e investigare cosa ha giovato ai bambini il sacramento del battesimo
Cristiano, poiché, ricevutolo, talora muoiono prima che ne abbiano potuto avere conoscenza. Il
sacramento ricevuto dal bambino, può servire a resuscitare e rafforzare la fede della madre o di un
parente. La fede di altri può soccorrere il bambino, al quale non si può imputare la mancanza di
fede.
- i grandi e le sofferenze dei piccoli-
23.68 molti hanno obiezioni a riguardo delle sofferenze fisiche che i piccoli sono costretti a subire,
e si chiedono: “ che male hanno fatto per soffrire così ?”. Agostino a tale proposito non ha
giustificazioni da fornire. Certo, egli nota, le sofferenze di un bambino spezzano il nostro orgoglio,
e possono avere L’ effetto positivo di fare in modo che ci rivolgiamo a Dio. Ma chi sa cosa Dio
riserva ai piccoli, le cui sofferenze spezzano la durezza dei grandi e ne tengono in esercizio la fede; 
chi sa quale ricompensa riserva Dio a questi piccoli nel segreto dei propri giudizi, perché anche se
non hanno fatto nulla di bene, tuttavia senza aver peccato hanno sofferto molto. Non a caso la
chiesa esalta questi bambini, inserendoli tra i martiri; bambini uccisi quando erode cercava Gesù
cristo.
- ordine e provvidenza nelle sofferenze dei bruti-
23.69 questi individui che fanno tante obiezioni si chiedono; “ perché le bestie hanno meritato così
tanti disagi”, “ che cosa hanno fatto di male”.  Ma dicono e pensano così perché giudicano molto
male le cose. Essi non riescono a farsi un’ idea del sommo bene e dell’ essenza , vogliono che tutte
le cose siano come ritengono che è il sommo bene, non riescono a concepire il sommo bene al di
sopra dei corpi più perfetti. Le sofferenze degli animali certo non sono meritate, ma non sono anche
oggetto di una compensazione.
- funzione del dolore e del piacere-
23.70 sempre solite cazzate.
- possibile stato di mezzo fra sapienza e insipienza -
24.71 il de libero arbitrio si conclude con L’ analisi della vicenda di Adamo e del suo peccato. Più
che altro si cerca di capire e investigare più attentamente in quale stato fu creato il primo uomo,
anziché occuparci di cercare di capire come si è propagata la sua discendenza. Molti si chiedono: “
se l’uomo è stato creato nella sapienza, perché è stato ingannato?”; “ se l’uomo è stato creato nell’
insipienza, in che modo Dio non è l’autore dei difetti?” . Questi uomini la pensano così perché
suppongono che la natura umana non possa ricevere uno stato di mezzo fra sapienza e insipienza.
Un bambino che nasce inizialmente acquisisce una condizione di mezzo,  un bambino non può
essere considerato ne un sapiente e neanche un insipiente. Ne consegue che la natura può ricevere
uno stato di mezzo che non possiamo considerare ne sapienza ne insipienza. Ma allora come peccó
Adamo? Se è stato creato sapiente non avrebbe dovuto peccare; se ha peccato per stoltezza,
significa che è stato creato stolto e dunque non ha responsabilità.
- sapienza e comando nel primo uomo-
24.72 l’uomo quando è stato creato, è stato creato in una condizione intermedia tra sapienza e
insipienza; tuttavia, sebbene non fosse ancora sapiente, poteva ricevere il comando divino di non
peccare, così come di trasgredirlo cedendo alla tentazione del serpente. Per tale motivo non c’è da
stupirsi se è stato ingannato. Il suo creatore però non può essere considerato autore dell’
imperfezione perché non possedere La Sapienza non era ancora un imperfezione. L’uomo non
sapiente era però ragionevole e tramite la ragione poteva elevarsi; tramite la ragione poteva
osservare il comando e ottenere La Sapienza. Tuttavia, l’uomo comincia a peccare davvero quando
inizia ad essere capace di comando.
Dio indipendentemente dalla stoltezza dell’ uomo, deve essere lodato. L’uomo è un bene più
perfetto della bestia perché dotato di ragione e capace di comando; e diviene ancora più perfetto
quando riesce ad obbedire al comando divino. Il peccato invece è un male nella trascuranza a
ricevere il comando, o a trascurarlo. Attraverso il peccato l’uomo per ignoranza o insipienza si volta
dal lato opposto del lume della sapienza.
- originario stato di mezzo-
24.73 molti si chiedo “ l’uomo si è allontanato da Dio a causa dell’ insipienza, oppure è diventato
insipiente allontanandosi”?  Una risposta certa a ciò non si può dare; perché se l’uomo si è
allontanato a causa dell’ insipienza; allora vuol dire che egli era insipiente prima che si fosse
allontanato dalla sapienza. Probabilmente vi è uno stato di mezzo con il quale si passa dall’
insipienza alla sapienza. Esiste dunque uno stato di mezzo che non corrisponde ne alla sapienza ne
all’ insipienza e quasi sempre il passaggio da uno stato all’ altro avviene senza la nostra volontà.
- conoscenza e scelta nel primo uomo-
25.74 l’uomo è in potere di ciò che sceglie e ciò che rifiuta; ma non è in potere dell’ oggetto della
sua conoscenza.  Il nostro spirito è stimolato dalla conoscenza  di oggetti più o meno perfetti
affinché noi possiamo scegliere in maniera ragionevole gli uni o gli altri, e dalla nostra scelta
dipende la nostra felicità o infelicità.  Nel paradiso terrestre l’oggetto da noi conosciuto è il
comando di Dio o l’istigazione del diavolo.  L’uomo non è in potere ne del comando superiore di
Dio ne di quello inferiore del diavolo. L’uomo che sceglie bene pure se insipiente,  sarà felice e
libero, esente da vincoli che riesce a superare grazie alla sapienza e alla luce del bene e della verità.
- conoscenza e scelta nel diavolo-
25.75 abbiamo detto che l’uomo tramite la sua libera volontà può scegliere di seguire o il comando
di  Dio o l istigazione del diavolo, e da questa scelta ne deriva la sua felicità/infelicità. Ma allora
Agostino si chiede da cosa è stato stimolato il diavolo a ribellarsi diventando da angelo buono a
diavolo; sicuramente  così come gli uomini è stato stimolato da un oggetto conosciuto. Chi vuole,
vuole qualcosa, e non può volerlo se non é stimolato dall’ esterno mediante il senso. Sicuro il
diavolo è stato stimolato dalla visione o comunque dalla percezione di un oggetto. si deve
distinguere il genere e la natura degli oggetti; vi sono infatti oggetti che noi percepiamo e che
derivano dalla volontà di chi istiga conducendoci al peccato.  Gli altri oggetti più benevoli sono
sottoposti o ai nostri sensi o all’ atto conoscitivo dello spirito. All’ atto conoscitivo dello spirito sono
sottoposti lo spirito stesso e tutte le cose sensibili; ad eccezione della trinità. Lo spirito oltre a
riconoscere gli oggetti sensibili, riconosce anche se stesso.
- peccato nell’ uomo e nel diavolo -
25.76 il nostro spirito che conosce le cose non è uguale a Dio, ma può essere amato dopo di Dio. Il
nostro spirito diviene più perfetto e si eleva, quando dimentica se stesso per amore di Dio, o
mettendosi in confronto con Dio si disprezza. Se al contrario confrontandosi con se stesso si piace e
imita Dio, allora diviene più piccolo. ( l’inizio di ogni peccato è  la superbia e l’inizio dell’ umana
superbia è distaccarsi da Dio.
La superbia e l’invidia trascinano l’uomo nel peccato e per tale motivo veniamo condannati.
Tuttavia Dio che è misericordioso offre all’ uomo un’ altra possibilità; anziché condannarlo all’
infelicita lo risolleva dal peccato è gli si offre come esempio di umiltà. L’uomo per ottenere la
salvezza non deve far altro che unirsi con tanta carità al suo liberatore e non farsi distrarre dagli
oggetti dal peccato, ma mantenere lo sguardo sempre verso l’alto.
- ritorno a Dio-
25.77 nonostante l’uomo cade nel peccato a causa dell’ istigazione Da parte del diavolo, la
clemenza di Dio è grande. É tanta la bellezza della giustizia e della luce della sapienza, anche nell’
ipotesi che l’uomo può rimanere solo un giorno all’ interno di questo splendore. Un solo giorno vale
a disprezzare innumerevoli anni di questa vita, pieni di delizie e abbondanza di beni temporali.

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