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nietzscheana
saggi
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collana diretta da
Giuliano Campioni, Maria Cristina Fornari
fondata da
Sandro Barbera, Giuliano Campioni e Franco Volpi
comitato scientifico
Keith Ansell-Pearsons, Paolo DIorio,
Carlo Gentili, Scarlett Marton, Maria Filomena Molder,
Karl Pestalozzi, Sergio Snchez,
Diego Snchez Meca e Andreas Urs Sommer

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La Genealogia della morale


Letture e interpretazioni

a cura di
Bruna Giacomini, Pietro Gori, Fabio Grigenti

Edizioni ETS

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www.edizioniets.com

Il volume stato realizzato con il contributo del


Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (FISPPA)
dellUniversit degli Studi di Padova,
pubblicato nellambito del progetto di Ateneo 2013 CPDA139424 dal titolo:
Umani e oltre. La categoria di Umanismo nel pensiero europeo del Novecento

Copyright 2015
EDIZIONI ETS

Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa


info@edizioniets.com
www.edizioniets.com
Distribuzione
Messaggerie Libri SPA
Sede legale: via G. Verdi 8 - 20090 Assago (MI)
Promozione
PDE PROMOZIONE SRL

via Zago 2/2 - 40128 Bologna


ISBN 978-884674265-0
ISSN 1970-6138

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Prefazione:
Humanitas e oltre

Questo volume uno dei risultati pi importanti della ricerca iniziata a fine 2014 nellambito del Progetto di Ateneo 2013
Umani e oltre. La categoria di Umanismo nel pensiero europeo
contemporaneo, del quale sono responsabile. Nel programma di
ricerca, che ha coinvolto un team di ricercatori afferenti al Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Sociologia applicata
dellUniversit di Padova, si messo a tema lidea di Umanismo e il suo costante riemergere in seno alla cultura europea tra
Otto e Novecento.
Lo svolgimento effettivo del lavoro di indagine si attuato
a partire da una prospettiva multidisciplinare e ha condotto a
mappare un territorio piuttosto variegato e difficilmente riconducibile a un orizzonte definito e comune. In particolare si evidenziato che il concetto di Umanismo appare sospeso tra due
considerazioni estreme e assolutamente inconciliabili: da un lato
la sua ripresa positiva come concetto insostituibile della cultura
europea, base del diritto e dello specifico irrinunciabile della nostra tradizione, dallaltro lessere sentito come una sorta di ferrovecchio di cui liberarsi perch complice di quella storia della
metafisica che da ultimo rivela il suo tratto violento e fortemente
tracciato in senso etno-centrico.
Non abbiamo preso le parti n di una n dellaltra prospettiva,
ma abbiamo compreso che un nuovo tipo di umanit si sta approssimando e che il vecchio apparato umanistico-pedagogico
legato al libro e ai diritti umani ha fatto il suo tempo. Non si
tratta solo di lasciare lHumanitas al suo destino, ma di progettare una nuova concettualit, che non sia solo una traccia incerta

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e sempre in crisi di una novit che arriva e ci sorprende. Di qui


limportanza e la forza premonitrice della lezione di Nietzsche:
occorre pensare a un oltre, che gi si era approssimato in ci
che siamo stati. Se saremo al di l dellumano, e lo saremo, ci
avverr secondo vincoli e determinazioni di tipo genealogico
e quindi da sempre inscritti nella nostra storia. Nessun salto nel
totalmente altro: non vi sar mai qualcosa come un uomo non
pi umano, ma differenti attuazioni di intensit del potenziale
che siamo.
Potenziamento e nuovi dispositivi di disciplinamento finora
quello che ci ha condotti fino a qui stata la morale in vista di
nuove e imprevedibili elevazioni umane, che oggi si annunciano
soprattutto nei campi contigui della visione scientifica e dei protocolli di impiego delle tecnologie. In fondo, non c veramente
alcuna novit, siamo sempre stati oltre noi stessi e, forse, Humanitas, ha voluto significare esattamente questo.
Fabio Grigenti

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Nota al testo

Le opere e le lettere di Nietzsche sono citate a partire dalledizione critica tedesca e italiana di riferimento:
F. Nietzsche, Werke. Kritische Gesamtausgabe, ca. 40 Bnde in
9 Abteilungen, begr. von G. Colli und M. Montinari. Fortgef.
von V. Gerhardt, N. Miller, W. Mller-Lauter, K. Pestalozzi.
Berlin/New York, de Gruyter 1967 ff.
F. Nietzsche, Briefwechsel. Kritische Gesamtausgabe, in 24 Bnde, begr. von G. Colli und M. Montinari. Fortgef. von N. Miller, N. und A. Pieper, Berlin/New York, de Gruyter 1975 ff.
F. Nietzsche, Opere complete, trad. it. a cura di G. Colli e M.
Montinari, Milano, Adelphi 1964 ss. (nel testo abbreviate con
la sigla OFN seguita dal numero del volume).
F. Nietzsche, Epistolario, trad. it. Milano, Adelphi 1977-2011,
vol I (1850-1869) a cura di M. Montinari; vol. II (1869-1874)
a cura di G. Colli e M. Montinari; vol. III (1875-1879) a cura
di G. Campioni e F. Gerratana; vol. IV (1880-1884) a cura
di G. Campioni; vol. V (1885-1889) a cura di G. Campioni e
M.C. Fornari.
In alcuni contributi, si seguita per il Crepuscolo degli idoli la
nuova traduzione italiana a cura di P. Gori e C. Piazzesi, Roma,
Carocci, 2012.
I passi tratti dalle opere di Nietzsche sono indicati con labbreviazione del titolo dellopera, seguita dal numero o dal titolo
della sezione (ove presente) e dal numero del paragrafo (es. FW

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341; GM III 24; EH, Perch sono cos saggio 1). I passi tratti dai
quaderni e dai taccuini di Nietzsche sono invece indicati con
la sigla NF (Nachgelassene Fragmente), seguita dallanno di redazione, dal numero del gruppo e da quello della nota (es. NF
1888, 14[188]). Nel caso delle lettere inviate da Nietzsche, viene
indicato il destinatario e la data (es. A H. Kselitz, 27.09.1888).
Elenco delle abbreviazioni degli scritti di Nietzsche citati:
NF = Nachgelassene Fragmente = Frammenti Postumi
HL = Unzeitgemsse Betrachtungen II Vom Nutzen und Nachteil der
Historie fr das Leben = Considerazioni inattuali II Sullutilit e
il danno della storia per la vita
SE = Unzeitgeme Betrachtungen III Schopenhauer als Erzieher =
Considerazioni inattuali III Schopenhauer come educatore
BA = ber die Zukunft unserer Bildungsanstalten = Sul futuro delle
nostre istituzioni educative
WL = ber Wahrheit und Lge im aussermoralischen Sinne = Su verit
e menzogna in senso extramorale
GT = Geburt der Tragdie = Nascita della tragedia
MA = Menschliches, Allzumenschliches I = Umano, troppo umano I
VM = Menschliches, Allzumenschliches II Vermischte Meinungen und
Sprche = Umano, troppo umano II Opinioni e sentenze diverse
WS = Menschliches, Allzumenschliches II Der Wanderer und sein
Schatten = Umano, troppo umano II Il viandante e la sua ombra
M = Morgenrthe = Aurora
FW = Frhliche Wissenschaft = La gaia scienza
Za = Also sprach Zarathustra = Cos parl Zarathustra
JGB = Jenseits von Gut und Bse = Al di l del bene e del male
GM = Zur Genealogie der Moral = Genealogia della morale
GD = Gtzen-Dmmerung = Crepuscolo degli idoli
AC = Der Antichrist = LAnticristo
EH = Ecce Homo = Ecce Homo
DD = Dionysos-Dithyramben =Ditirambi di Dioniso

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Introduzioni

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Leggere la Genealogia della morale


di Nietzsche
Bruna Giacomini

Il presente volume contiene, rielaborati in forma di saggio, i


testi di alcune delle relazioni presentate nel corso di un seminario di ricerca svoltosi tra aprile e ottobre 2013 nellambito della
Scuola di Dottorato in Filosofia dellUniversit di Padova. Agli
incontri, coordinati dai proff. Umberto Curi, Bruna Giacomini,
Fabio Grigenti, Laura San e Alessandro Tessari, hanno partecipato regolarmente e attivamente altri docenti oltre a un buon
numero di assegnisti, dottorandi e laureati del Dipartimento di
Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata (FISPPA).
Lattivit di ricerca seminariale stata ulteriormente arricchita
dallintervento del prof. Carlo Gentili dellUniversit di Bologna
che, nel corso di un intenso pomeriggio di lavoro, ha dato un
importante contributo alla discussione. Nel libro che qui viene
presentato, alle relazioni dibattute durante gli incontri sono stati
aggiunti i saggi, redatti esclusivamente per la stampa, di alcuni
importanti studiosi, italiani e stranieri, che hanno offerto un prezioso apporto allo svolgimento della ricerca.
Il seminario stato dedicato alla lettura della Genealogia della
morale di Friedrich Nietzsche. Con la scelta di questo tema, il
gruppo di docenti che da anni contribuisce con un proprio seminario al percorso di Filosofia e storia delle idee del Dottorato
in Filosofia di Padova si proposto essenzialmente due obiettivi. Anzitutto, esso ha inteso misurarsi con quello che costituisce
uno dei compiti imprescindibili dellindagine storico-filosofica,
ovvero la lettura dei testi. La rilevanza e la peculiarit di tale
momento vengono spesso ignorate o quantomeno sottovalutate
a partire da due atteggiamenti tra loro contrapposti: quello che

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La Genealogia della morale

tende a considerare i testi nientaltro che materiali che il pensiero


utilizza e manipola per i propri fini allo scopo di emanciparsene
in un percorso che diviene autonomo da questi, e quello che, al
contrario, si risolve integralmente in un esercizio di analisi, puntuale e rigoroso sul piano storico e filologico dei documenti, ma
che spesso risulta essere cieco ed ottuso sul piano filosofico. Se
in un caso, come molto spesso accaduto nel processo di costruzione della tradizione della storia della filosofia, i filosofi si sono
riferiti in modo prevalentemente strumentale al passato, allo scopo di mostrare lirriducibile novit delle proprie tesi, nellaltro
lattivit storiografica si risolta in un inesausto, quanto sterile esercizio di erudizione, dimentico del carattere filosofico di
questo stesso esercizio. Si potrebbe applicare a questo tipo di
storiografia limmagine con cui il giovane Nietzsche, negli anni
in cui era ancora completamente immerso negli studi classici, descriveva lattivit di una certa filologia come un affaccendarsi
da talpe, con le cavit muscolari rigonfie e lo sguardo cieco, contente di essersi accaparrate un verme, e indifferenti verso i veri,
urgenti problemi della vita (Lettera a E. Rohde, 20.11.1868).
Accade cos, come dichiarer nella seconda delle sue Considerazioni inattuali, che colui cui non importa nulla di un momento
del passato, sia destinato a rappresentarlo.
In questa luce il problema che il seminario si posto stato
quello di cercare di capire come si potesse fare, della lettura di
un testo, un esercizio filosofico capace di utilizzare gli strumenti
storico-filologici, al fine non di imbalsamarne il cadavere senza
vita per esibirlo nelle teche della tradizione, ma di interrogarne i
significati vitali per il nostro presente e, al contempo, di lasciarlo
parlare, mettendosi in ascolto di ci che ha da dirci e delle questioni cui esso, come tale, ci rende attenti. Una simile lettura richiede la capacit di calibrare finemente cos come ancora una
volta indicato da Nietzsche due atteggiamenti opposti, ma altrettanto necessari: quello non storico, con cui poniamo domande radicate nellorizzonte del nostro presente, per ci che in esso
vi di unico e irriducibile ad ogni momento del passato, e quello
storico, che, viceversa, dalla memoria di ci che stato fatto e

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Introduzioni

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pensato prima di noi e di cui siamo comunque gli eredi, cerca


di trarre ammaestramenti e forza per condursi nel presente. Per
questo luomo contemporaneo ha bisogno non solo di avventarsi
in modo inattuale contro il tempo, ma anche di portare alla
luce e custodire quei tesori trasmessi dalla tradizione, ma talora
anche nascosti da essa, che il passato racchiude.
Nellanalisi dello scritto nietzschiano scelto per il nostro studio tale orientamento si tradotto in due diversi tipi di contributi, facilmente riconoscibili nel testo che segue: quelli di carattere
pi spiccatamente interpretativo, tesi ad evidenziare la rilevanza
e la significativit di alcuni particolari temi che Nietzsche suggerisce allattenzione della riflessione contemporanea, e quelli che,
invece, seguendo una prospettiva dindagine storiografica che si
affermata soprattutto a partire dagli anni Novanta dello scorso
secolo, cercano di portare alla luce la trama nascosta dei fili che
ricollegano Nietzsche, talvolta malgr lui, al suo tempo e a quella
stessa tradizione filosofica moderna che egli ha ripetutamente dichiarato di spregiare rivendicando linattualit del suo pensiero.
La lettura della Genealogia della morale ha risposto a un secondo e, per certi versi, pi importante obiettivo: quello di trovarvi lesempio di un diverso modo di indagare il passato, non
nella forma della storia, ma della genealogia. Lopera riprende e rielabora quellesercizio del sospetto gi messo in atto da
Nietzsche nella seconda Considerazione inattuale nei confronti
della storia e che nellopera del 1887 viene rivolto in particolare
alla storia della morale. Come spiega nella Prefazione della Genealogia, fin da quando aveva tredici anni Nietzsche aveva capito
che questa non poteva ridursi a un esame delle diverse opinioni
morali presenti in Occidente o sul pianeta, ma doveva essere una
storia filosofica, ovvero uninterrogazione sullorigine del bene e
del male, e cio uninvestigazione relativa al costituirsi di quella
polarit nellorizzonte della quale si danno problemi morali. La
risposta adolescenziale di Nietzsche era stata metafisica: lorigine
del male nel mondo andava cercata dietro al mondo e il filosofo in erba laveva reperita in Dio. Allepoca di Umano, troppo
umano, cui la Genealogia intende esplicitamente riallacciarsi, la

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La Genealogia della morale

questione dellorigine della morale muta di forma e, in un certo


senso, di livello: essa non pu essere affrontata restando nellambito del discorso morale, ma ponendo la morale stessa come problema. Mentre indagava sul significato nichilistico della morale
della compassione, esaltata da Schopenhauer, gli si spalanc davanti allimprovviso riferisce Nietzsche un nuovo orizzonte
di ricerca, immenso e vertiginoso: non bisognava limitarsi ad indagare lorigine di questa o quella morale, ma della morale come
tale, interrogandone il presupposto trascendente ogni messa in
questione, ovvero che essa avesse in se stessa un valore indipendentemente dai valori particolari che, in diversi momenti e
contesti, erano stati privilegiati identificandoli con il bene. Per
porre un simile problema era necessario intendere diversamente il significato del valore interpretandolo non secondo il senso
attribuitogli dalla morale, ma secondo quello che esso assume
in rapporto con la vita. I valori scaturiscono da operazioni di
valutazione conseguenti a determinati punti di vista di apprezzamento (come scrive Deleuze) mediante le quali alcune regole
di condotta sono ritenute preferibili ad altre e, successivamente,
elevate a principi assoluti che pretendono di assolversi dal processo che li ha posti. Come Nietzsche aveva chiarito in Aurora,
e particolarmente negli aforismi 21 e 24, una prescrizione assume significato morale quando la sua applicazione viene sottratta
allesperienza attribuendone un eventuale insuccesso a un difetto
di esecuzione, oppure rendendone indeterminati e dunque inverificabili i risultati.
Sulla base di tale rideterminazione del significato del valore
prende corpo non una storia, ma una genealogia della morale.
Per condurla necessario fuoriuscire dallautorappresentazione
che la morale d di se stessa attraverso unindagine condotta su
basi extramorali, di cui Nietzsche delinea due distinte direzioni
di ricerca. Bisogna da una parte esaminare le condizioni nelle
quali sono sorti e sono attecchiti i giudizi di valore di carattere
propriamente morale risalendo alle valutazioni che la loro pretesa di assolutezza occulta, e dallaltra interrogarne la funzione nei
confronti della vita, esaminando se e come, in base alle diverse

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circostanze storiche e culturali, essi abbiano promosso lo sviluppo umano o se allopposto, come Nietzsche ritiene, lo abbiano
intralciato e impoverito.
Si tratta di due compiti distinti che erano stati chiaramente
delineati gi nella Gaia scienza. Allaforisma 7 Nietzsche aveva
tratteggiato il programma di uno studio dei fatti morali scandito
in pi momenti. Bisognava anzitutto procedere a una descrizione
analitica e approfondita delle diverse passioni (amore, cupidigia,
invidia, devozione, crudelt) per passare poi ad unillustrazione,
pi esauriente possibile, delle differenti valutazioni morali che,
in tempi diversi, popoli, ma anche individui differenti avevano
dato delle passioni. La finalit di questa fase cos articolata era
quella di smascherare la presunta univocit dei fatti morali: ci
che una cultura considera morale non lo affatto per unaltra.
Tale variet discende direttamente dal carattere prospettico e in
questo senso ingiusto di ogni valutazione morale che su questa
base, come metter in chiaro nella Prefazione a Umano, troppo
umano, definisce tanto le sue giustificazioni teleologiche, quanto
le sue avversioni nei confronti dei valori opposti.
Lindagine doveva per procedere oltre cercando di accertare
i fondamenti di tali valutazioni: per quale ragione splende qui
questo sole di un giudizio di fondo e di un capitale metro di valore della moralit laggi invece quellaltro? (FW 7). La convinzione di Nietzsche che non solo tali fondamenti non siano
n morali, n conoscitivi, ma non siano propriamente parlando
neppure fondamenti, bens nientaltro che origini determinate, particolari, spesso infiltrate dal caso le cui radici vanno rintracciate nella forma di vita che li ha fatti valere. La genealogia
della morale, in questo senso, non ricerca lessenza del fenomeno
morale n nel senso di una sua giustificazione ultima, n in quella
di unorigine intesa come il perfetto e il pi essenziale (WS
3) riconoscibile allinizio della storia. Essa piuttosto ne esplora
la pudenda origo, ovvero i meccanismi nascosti e arbitrari attraverso i quali sono state apprezzate o disprezzate determinate
condotte e, non meno irragionevolmente, le presunte regole che
le guidano sono state elevate a principio (M 102).

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La Genealogia della morale

Il secondo compito enunciato nel V libro della Gaia scienza


inserito, come noto, nella seconda edizione dellopera pubblicata nello stesso anno della Genealogia e, in particolare, nellaforisma 345. Si tratta di unindagine del tutto nuova, che nessuno ha tentato prima dallora. Una storia della morale che poteva
essere parzialmente avvicinata al primo compito della genealogia
era stata infatti gi intrapresa, particolarmente tra i filosofi inglesi. I principi morali erano stati smascherati nella loro presunta
assolutezza, comunque intesa, e ricondotti ai sentimenti morali
quali abnegazione, simpatia, compassione di cui sarebbero
stati espressione. Tale denuncia aveva indotto tali storici ad attribuirsi il merito di aver umanizzato la morale mostrando come
essa, lungi dallavere fondamenti incondizionati, fosse radicata
nella natura umana. In realt, secondo Nietzsche, tale opera di
decostruzione restava da una parte occultamente cristiana, in
quanto generalizzava sentimenti propri di quella morale rivelandosi cos incapace di uscire dal suo orizzonte, ma, in secondo luogo e soprattutto, non coglieva il cuore del problema. Essa infatti
si limitava a denunciare lequivoco costituito dalla assolutizzazione di disposizioni naturali degli uomini. Con ci tuttavia eludeva
il significato proprio della morale: Una morale potrebbe anche
essersi sviluppata da un errore: tuttavia, anche se ci fosse riconosciuto, non sarebbe ancora toccato il problema del suo valore
(FW 345). Esso infatti racchiuso proprio in quel precetto tu
devi, ingiustificabile sia logicamente che storicamente, ma che
tuttavia contraddistingue la morale, rendendola propriamente
tale. In questo senso si tratta di fare ben altro che immanentizzare la morale o addirittura naturalizzarla. Ricondurre le leggi
morali a determinazioni naturali caratteristiche delluomo non
potrebbe infatti render ragione del perch si sia voluto elevare
tali eventuali determinazioni a legge inderogabile.
Il secondo fondamentale compito della genealogia consiste
invece nel saggiare tale valore, interrogandosi sul significato
che ha rivestito per lumanit occidentale e, in particolare moderna, lapplicazione di quel tu devi a determinate regole di
condotta. Tale precetto ha investito, come mostra costantemen-

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te Nietzsche, non solo i comportamenti propriamente pratici


delluomo, ma anche i suoi atteggiamenti cognitivi che si rivelano
normativamente orientati alla verit ad ogni costo, come testimoniano esemplarmente gli scienziati moderni. In quanto perseguono la verit come obbligo morale essi sono del tutto incapaci di
offrirne una valutazione o anche soltanto di considerare la possibilit di una valutazione.
Di qui la ricerca che si dispiega nella Genealogia della morale e
che culmina nella terza dissertazione dedicata agli ideali ascetici.
Nel suo sforzo di penetrare il nocciolo di tali ideali Nietzsche
ne esplora tanto le forme canoniche, sia sul piano storico tra
gli antichi come tra i moderni che delle manifestazioni culturali nella filosofia come, e soprattutto, nella religione cristiana
, quanto le espressioni che apparentemente li contrastano, ma
in realt ne sono marchiate, quali quelle che sincarnano nella
scienza da una parte e nellateismo dellaltra. La morale ascetica
in questo senso ravvisabile in manifestazioni che apparentemente non vi si richiamano o addirittura sembrano avversarla.
Il peculiare valore che infine Nietzsche le riconosce dipende
dalla sua capacit di connettere tra loro due fattori: anzitutto la
capacit di dare un senso allassurdit della sofferenza rendendola con ci stesso non solo accettabile, ma desiderabile, e, in
secondo luogo, la sua imputazione alluomo e alla sua inespiabile colpa. La straordinaria e micidiale potenza di tale morale
sta nellindividuare nellincessante e pervicace opera di annichilimento di quanto proprio della vita umana (sensi, ragione, felicit, bellezza) ci che non solo la rende degna di essere vissuta,
ma la regola ultima cui essa deve cercare di conformarsi, fino al
punto di fare della massima sofferenza il suo supremo ideale.
noto come, particolarmente alla luce dellinterpretazione
offertane da Foucault nel celebre saggio del 1971 Nietzsche, la
genealogia, la storia, la genealogia nietzschiana della morale abbia delineato un modo profondamente nuovo di indagare le formazioni concettuali o pi in generale culturali del passato che
non ha la struttura della storia, almeno secondo la forma che
questa ha assunto tra Sette e Ottocento. Esso se ne allontana su

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La Genealogia della morale

due punti fondamentali: non ricerca nellorigine di un concetto


o della stessa filosofia la sua identit essenziale e autentica destinata a dispiegarsi in un processo di sviluppo e a guidarlo, ma lemergere singolare, a partire da circostanze determinate, del tutto
contingenti ed eterogenee tra loro di un avvenimento del pensiero che ha trovato le forze per contrastare gli altri e imporre il
suo primato. Laffermarsi di determinate concettualit sempre
in questo senso il risultato del predominio di specifiche potenze
che quelle concettualit fanno valere. In secondo luogo, e conseguentemente, sinterroga sulla rilevanza avuta da tale avvenimento nel plasmare secondo una certa forma luomo occidentale e ne
interroga il senso, valutandone gli effetti sullesistenza umana.
In questo quadro la genealogia non solo induce a riflettere sui
fondamenti della disciplina storico-filosofica cos come comunemente lintendiamo e la pratichiamo, ma apre ulteriormente la
possibilit di applicare a essa la stessa indagine genealogica. Con
la stessa radicalit con cui Nietzsche si avventurato nel campo
della morale e Foucault ne ha seguito lesempio nella sua indagine sui saperi della modernit, si tratterebbe di muoversi nellambito della storia della filosofia, ponendola come problema. Prima
di prendere in considerazione i differenti modelli che lhanno
ispirata e le diverse pratiche in cui si tradotta, bisognerebbe
chiedersi che significato essa abbia avuto per la filosofia, ovvero
per quella attivit di costante interrogazione del pensiero messa
in moto e nutrita dal thauma. Riformulando il problema posto
da Nietzsche, sarebbe necessario domandarsi se e in che forma la
storia della filosofia abbia servito la filosofia o se, al contrario, in
molte delle modalit assunte da quando si costituita in specifica
disciplina alla met del 700, essa non labbia inibita o addirittura
messa a tacere. Da una parte infatti il dibattimento critico di ci
che stato elaborato da altri prima di noi, se condotto con radicalit e indipendenza di pensiero, condizione indispensabile
per comprendere e verificare la portata e il senso delle questioni
su cui oggi ci sinterroga, dallaltra il confronto con il passato
si spesso tradotto in un mero esercizio di erudizione mediante il quale si finito col rinunziare, come scriveva Kant (1996:

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66 n. 1), a pensare da s [selbstdenken], cio a cercare in se


stessi () la pietra ultima di paragone della verit, per affidarsi
invece allautorit e alla tutela di quanto altri hanno gi pensato
al posto nostro.
In questa direzione la polemica nietzscheana indica non
solo alla morale, ma anche alla storia della filosofia prospettive e
modalit ancora inattuali per esaminare e riconsiderare il suo
statuto.

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Verso una resa dei conti


con la morale
Pietro Gori

In una lettera scritta allamica Meta von Salis il 22 agosto del


1888, Nietzsche commenta retrospettivamente la sua Genealogia
della morale, osservando che in quel testo sono stati affrontati
problemi estremamente difficili per i quali non esisteva ancora
una lingua, una terminologia. () Questo scritto scorre via come
la cosa pi naturale del mondo (). Lo stile veemente e trascinante, e tuttavia pieno di sottigliezze; inoltre ha una duttilit
e variet di colori che finora in prosa non avevo mai raggiunto.
Trascurando il tono autocelebrativo che caratterizza molta della
corrispondenza redatta da Nietzsche in quel periodo, questa valutazione per buona parte condivisibile e aiuta a rendere conto
della grande fortuna che la Genealogia ha avuto nel corso del
XX secolo. Lo scritto polemico che Nietzsche pubblica nel 1887
un testo originale, sotto molteplici aspetti. Lo per il metodo
che Nietzsche adotta, quellindagine genealogica che si distingue
dallo sguardo storico ed evoluzionistico proprio della filosofia
di fine Ottocento di cui comunque in parte figlia; lo per lo
stile, cos diverso da quello delle opere del corpus di Nietzsche
che lo hanno preceduto e che lo seguiranno; lo , infine, per la
compattezza tematica e per il fatto di accompagnare con metodo
il lettore in quella che a detta dello stesso Nietzsche una
questione fondamentale del suo pensiero.
La Genealogia della morale nasce in effetti con lobiettivo di
offrire ai lettori una chiave di accesso a quella dimensione labirintica che il pensiero di Nietzsche. Sempre nellepistolario troviamo testimonianze in questo senso. In una lettera a Burkhardt
del 14 novembre 1887, ad esempio, Nietzsche osserva che tutte

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La Genealogia della morale

le pietanze che imbastisc[e] contengono parti tanto dure e indigeste, che proporle a degli ospiti () rappresenta un abuso
dei rapporti di amicizia e di ospitalit, ma subito dopo assicura
al destinatario di aver compiuto un lavoro meno ostico con la
Genealogia. Anzi, la sua precisa intenzione, con questo nuovo
testo che tratta di problemi psicologici della specie pi dura,
sarebbe stata di gettare chiarezza su qualcuno dei principali
presupposti di Al di l del bene e del male ultimo scritto pubblicato e che non aveva ricevuto laccoglienza sperata (di quel
libro tutti mi hanno detto la stessa cosa: che non si capisce di
che cosa si tratta, che non sono altro che raffinate assurdit).
La stessa osservazione compare in una lettera di poco precedente (8.11.1887), destinata alleditore Naumann, in cui Nietzsche
dichiara che questo scritto polemico strettamente connesso
ad Al di l del bene e del male, come sua integrazione e chiarimento. In questa lettera, per, Nietzsche rivela qualcosa di pi
delle proprie intenzioni, che non si riducono certo alla volont
di fornire un sussidio per la comprensione della sua ultima opera. Il suo desiderio principale piuttosto quello di stimolare
linteresse per la propria persona e per le proprie idee, offrendo
ai lettori un testo che sia accattivante e fruibile, e che possa valere come solida base di partenza per unindagine approfondita
del suo pensiero. In altre parole, con la Genealogia Nietzsche si
prefigge di ottenere qualcosa che torni a vantaggio dei [suoi]
scritti precedenti: che inviti cio a leggerli e a prenderli sul serio. La sua pubblicazione risponde pertanto alla stessa esigenza che aveva portato Nietzsche a redigere le prefazioni dei testi
pubblicati prima dello Zarathustra e di cui sarebbe uscita una
seconda edizione. Queste prefazioni dovevano infatti mettere in
luce la coerenza del percorso filosofico ed esistenziale compiuto
da Nietzsche, mostrando quale fosse il denominatore comune
delle riflessioni da lui svolte in precedenza e come fosse possibile navigare nellarcipelago dei suoi aforismi senza perdersi.
Ma soprattutto dovevano avere una funzione promozionale,
per evitare gli insuccessi editoriali a cui erano andate incontro le
opere precedenti prima tra tutte, lo Zarathustra. E cos, come

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Introduzioni

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Nietzsche stesso scrive a Meta von Salis il 14 settembre 1887,


con la pubblicazione dellultima parte della Genealogia si chiude
il lavoro di un anno intero volto a fornire tutte le indicazioni
essenziali per un orientamento provvisorio sul mio conto: dalla
prefazione alla Nascita della tragedia fino alla prefazione del libro
suddetto si d una sorta di storia dellevoluzione.
La compattezza tematica a cui si accennato prima quale
tratto distintivo della Genealogia della morale risponde quindi
a una precisa esigenza di Nietzsche, a quella volont di fornire
una ricapitolazione chiarificatrice di una questione che percorre la sua intera attivit filosofica: il problema dellorigine dei
nostri pregiudizi morali (GM, Prefazione 2). A tale questione
sono dedicate le tre dissertazioni della Genealogia, vero e proprio scandaglio che si immerge nellabisso della morale europea
per individuarne i principi fondativi, senza per proporsi come
momento finale di un processo che Nietzsche vede invece come
ancora alle sue fasi iniziali. Per quanto, infatti, il testo si presenti
come chiarificatore nei confronti delle opere che lo hanno preceduto, e in esso Nietzsche faccia il punto sulla questione della morale cristiana, la Genealogia non deve essere vista come
spesso stato fatto come un punto di arrivo del suo percorso
filosofico. Essa piuttosto un momento di passaggio della riflessione nietzscheana sulla cultura europea, che nel periodo 18861888 attraversa una fase di particolare vigore. Linterrogativo
relativo ai valori morali al valore stesso di questi valori non
infatti che lo stimolo per una nuova, immensa prospettiva
di cui Nietzsche intende farsi carico nella stagione finale della
sua produzione. Questa prospettiva si realizza in una critica
dei valori morali, di una morale considerata come il pericolo
dei pericoli, in quanto responsabile di aver limitato lo sviluppo
(spirituale) del tipo (culturale) uomo (GM, Prefazione 6). Il fatto
che Nietzsche vedesse la Genealogia in questo modo, come prima parte di una pi ampia riflessione sul problema della morale,
testimoniato da unaltra lettera (a F. Overbeck, 4.1.1888) che
si riferisce a una bozza di indice redatta nellautunno del 1887.
A Overbeck, Nietzsche scrive che, con la Genealogia, ha voluto

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La Genealogia della morale

isolare artificialmente i diversi focolai da cui ha avuto origine


quella complessa creazione che si chiama morale, ma aggiunge che le tre dissertazioni, da sole, non realizzano questo obiettivo: manca un quarto, un quinto e persino il pi importante
[primum mobile della morale] (listinto del gregge). Questa
parte per il momento lho dovuta accantonare in quanto troppo
ampia, come pure la valutazione complessiva, alla fine, di tutti i
diversi elementi, e con ci una sorta di resa dei conti con la morale. Nella nota 9[83] del 1887, sempre sotto il titolo di Genealogia della morale, si trova in effetti il piano per un secondo
scritto polemico, che sarebbe dovuto consistere in tre ulteriori
dissertazioni (tra cui una dedicata allistinto del gregge) e in una
sezione conclusiva che doveva fungere da resa dei conti con la
morale (come Circe dei filosofi). Scopo di Nietzsche, da quanto
si pu evincere da questo appunto, era di affrontare compiutamente la questione della morale come origine del pessimismo e
del nichilismo, e di condurre cos la cultura europea nella sua
epoca tragica (ibid.).
Oltre a fungere da chiarificazione delle opere precedenti, la
pubblicata Genealogia doveva quindi costituire il momento fondativo di un lavoro orientato a chiudere una fase della storia
culturale europea. Essa pertanto introduce alla questione fondamentale che Nietzsche intende affrontare negli anni successivi, e
la ricognizione delle diverse manifestazioni della morale europea
che egli svolge al suo interno non che il primo passo per la
realizzazione del compito annunciato in chiusura del testo (e
della nota del 1887 di cui sopra). Un compito che, come noto, rimanda al progetto editoriale e filosofico della Trasvalutazione di
tutti i valori, che allepoca della pubblicazione della Genealogia
Nietzsche vede in fase avanzata di elaborazione.
Tutto questo deve essere tenuto in considerazione nel momento in cui ci si appresta ad affrontare quel crocevia di temi e
di problematiche del pensiero di Nietzsche che la Genealogia
della morale. Un testo, come detto, compatto ma variegato. Caratterizzato da una particolare unit tematica, ma ricco di spunti
che offrono accessi a questioni di non secondaria importanza e

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Introduzioni

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che, nel loro complesso, definiscono la trama di un pensiero che


manifesta la propria ricchezza e originalit al lettore pi accorto.
Di questa ricchezza si cercato di rendere conto nelle pagine
che seguono, attraverso contributi che, ciascuno a suo modo,
affrontano il testo di Nietzsche illuminandone alcuni passaggi
cruciali e intervenendo nella discussione di aspetti che si dimostrano rilevanti non solamente per la comprensione della filosofia
di Nietzsche, ma anche per una valutazione del suo ruolo nella
storia del pensiero occidentale contemporaneo. Il presente volume raccoglie quindi una serie di incursioni nella Genealogia della
morale e offre nel suo complesso una ricognizione del testo che,
senza pretesa di esaustivit, ne saggia la qualit e la rilevanza per
una ricerca storico-filosofica.

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Letture e interpretazioni

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Genealogia della morale:


dalla premura didattica ai fini strategici
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Tra i libri di Nietzsche, la Genealogia della morale forse


quello che negli ultimi anni stato maggiormente studiato. Ma
non stato sempre cos. La storia della ricezione del pensiero
nietzscheano mostra chiaramente che, in epoche diverse, i commentatori e in generale i lettori hanno dedicato la propria attenzione alternativamente alle varie opere del filosofo tedesco.
Negli anni a cavallo tra XIX e XX secolo, ad esempio, furono
in particolare La nascita della tragedia e Cos parl Zarathustra a
suscitare il maggiore interesse in Germania1, come pure in Italia2 e in Francia3. Tra le ragioni che si possono individuare per
giustificare lentusiasmo che la prima opera di Nietzsche suscit
negli anni immediatamente successivi al suo collasso mentale a
Torino, va ricordato che, allepoca della sua pubblicazione, la
Nascita della tragedia venne celebrata nei circoli wagneriani, e
successivamente continu ad essere apprezzata dagli estimatori
del compositore tedesco, che la leggevano mettendola in relazione con il Tristano e Isotta. Per quanto riguarda, invece, lattenzione per lo Zarathustra, bene notare che, in principio, la curiosit per la biografia di Nietzsche e lenfasi che venne data al suo
stile attutirono limpatto delle sue idee. Molti lettori e interpreti
partivano dal presupposto che il filosofo non avesse elaborato
1 Sulla prima ricezione del pensiero di Nietzsche in Germania cfr. Aschheim 1992
(in particolare i capitoli iniziali) e Ptz 1975.
2 Sulla prima ricezione del pensiero di Nietzsche in Italia cfr. Michelini 1974, Stefani 1975, Sturm 1991 e Marton 2007.
3 Sulla prima ricezione delle idee di Nietzsche in Francia cfr. Bianquis 1929, Nolte
1990, Smith 1991, Le Rider 1999, Forth 2001 e Marton 2009a.

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tanto un pensiero strutturato, quanto piuttosto unatmosfera:


limportante era respirare laria dei suoi scritti e godere della
fascinazione del suo linguaggio, in cui si riscopriva la sonorit
pura e cristallina delle parole, la precisa corrispondenza tra le
sfumature sonore e il senso dei termini, la nuova perfezione della
lingua tedesca. Gli scritti di Nietzsche venivano quindi letti principalmente con una finalit estetica, mentre linteresse per il suo
pensiero era lasciato quasi del tutto in disparte.
Alla Genealogia della morale si cominci invece a prestare attenzione in un periodo storico successivo. Nella Francia degli
anni 60, ad esempio, Deleuze tribut grande importanza a quel
libro. Nel suo Nietzsche e la filosofia (1962), in un discorso volto
a confrontare Nietzsche e Kant, Deleuze sostenne che con la Genealogia della morale Nietzsche aveva voluto replicare la Critica
della ragion pura (Deleuze, 1962, pp. 99-101)4. Secondo Deleuze,
in particolare, nella prima dissertazione, che tratta del risentimento, Nietzsche analizzerebbe il paralogismo di una forza separata da ci che essa produce; nella seconda, nel trattare della
cattiva coscienza, egli sottolineerebbe invece la natura antinomica di una forza rivolta contro se stessa; nella terza, infine, denuncerebbe lideale ascetico come la massima mistificazione, quella
di un ideale che comprende tutte le finzioni della morale e della
conoscenza. Deleuze, quindi, present lautore dello Zarathustra
come un pensatore che sfid lortodossia con le stesse armi utilizzate dalla tradizione filosofica. Il suo impegno nel costruire una
nuova immagine pubblica di Nietzsche permise a questultimo di
passare dallessere uno scrittore marginale al venire annoverato
come il precursore delle questioni filosofiche pi rilevanti.
Tempo dopo, molti interpreti tenderanno a privilegiare la Genealogia tra gli scritti di Nietzsche. Nel 1994, Richard Schacht
cur negli Stati Uniti un volume che raccoglieva contributi dedicati a quellopera; in quelloccasione egli sostenne che essa costituiva, per molti aspetti, il punto pi alto dellattivit filosofica di
4 Per un commento sullinterpretazione che Deleuze svolge della filosofia nietzscheana, cfr. Marton 1998.

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Nietzsche negli ultimi anni di sanit mentale (Schacht, 1994: x).


Contemporaneamente, in Germania, Werner Stegmaier, pubblic uno studio approfondito di quel testo (Stegmaier 1994); muovendo da una contestualizzazione della Genealogia nel corpus
degli scritti nietzscheani e da considerazioni relative alle finalit
di quellopera, Stegmaier analizz dettagliatamente le singole sezioni che la compongono. In epoca recente e seguendo queste
linee-guida, numerosi studiosi hanno svolto studi specifici sulla Genealogia della morale nel suo complesso5 e sulle specifiche
questioni individuabili al suo interno6. Questi sono solo alcuni
esempi che mostrano la fortuna che questo libro ha avuto negli
ultimi decenni, ma spiegare i motivi per cui esso ancora oggi
attuale e merita quindi di essere studiato va oltre gli obiettivi del
presente contributo.
1.
Il primo aspetto sul quale intendiamo soffermarci per svolgere
le nostre considerazioni sulla Genealogia della morale riguarda il
fatto che Nietzsche attribuisce grande importanza a questopera
allinterno dei suoi scritti, come si legge in una nota contenuta
nellepilogo del Caso Wagner:
Sulla contrapposizione tra morale aristocratica e morale cristiana, la mia Genealogia della morale ha dato i primi chiarimenti: non
esiste forse nella storia della conoscenza religiosa e morale una svolta
pi decisiva. Questo libro, la mia pietra di paragone per quanto mi
appartiene, ha la fortuna di essere accessibile soltanto agli spiriti di pi
elevato sentire e massimamente rigorosi: agli altri mancano le orecchie.

In questo passo, che occupa un posizione particolare nel testo


del 1888, il filosofo sottolinea, da un lato, la difficolt di essere
compreso e, dallaltro, il valore inestimabile della propria Genealogia. Nel fare questo, Nietzsche tocca due temi che ricorrono
5 Da menzionare, tra gli altri, Orsucci 2001, Janaway 2007, Conway 2007, Owen
2007 e Hatab 2008.
6 Cfr. per esempio Kemal 1990, Ridley 1998, Brusotti 2001, Bornedal 2004 e
Sedwick 2005.

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in questultima opera, quelli relativi alla comprensibilit e alla


rilevanza dei suoi scritti temi che per buona parte sono connessi tra di loro. Nella citazione tratta dal Caso Wagner, Nietzsche
sembra inoltre attribuire particolare importanza alla contrapposizione tra morale aristocratica e morale cristiana. Una
valutazione, questa, che non sorprende, dal momento che anche
in altre sue opere Nietzsche indica quale cifra comune dei propri
scritti il suo sommo disprezzo nei confronti del cristianesimo (
quanto accade ad esempio nel caso della terza sezione della Nascita della tragedia)7. La valutazione che noi, oggi, possiamo offrire, per diversa. Da una parte bisogna tenere in considerazione
che, se negli scritti del 1888 Nietzsche sostiene che il cristianesimo sia la questione centrale delle sue opere precedenti se,
appunto, nel Caso Wagner egli dichiara che la contrapposizione
tra morale aristocratica e morale cristiana sia laspetto pi
rilevante della Genealogia queste sue affermazioni vanno comunque prese con la dovuta attenzione. In fondo, molto probabile che esse siano segnate dalle distorsioni comuni a qualsiasi
visione retrospettiva. Daltro canto, non si pu negare il valore
della Genealogia di Nietzsche, in quanto proprio in questopera
che egli individua una delle questioni filosofiche pi significative
degli ultimi due secoli: la nozione di risentimento. Nella Genealogia, infatti, Nietzsche diagnostica con chiarezza e per la prima
volta il modo di pensare, agire e provare emozioni degli individui
affetti da questa passione, e mostra in particolare come lunico
scopo delluomo del risentimento sia quello di affermare se stesso, negando tutti coloro che non gli possibile eguagliare.
Allinizio del XX secolo, muovendo dallanalisi svolta da
Nietzsche, Max Scheler affront la questione del risentimento
da una diversa prospettiva, sottolineando il manifestarsi di questo fenomeno nelle relazioni sociali8. Da questo punto di vista,
7 Cfr. EH, Nascita della tragedia 1: In tutto il libro, silenzio profondo, ostile sul
cristianesimo.
8 Scheler considera il risentimento come un auto-avvelenamento psicologico, dotato di cause ed effetti ben determinati. A suo avviso, si tratta di una disposizione psicologica che, se repressa in maniera sistematica, produce particolari emozioni e sentimenti,

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quanto maggiore la distanza tra la condizione giuridica di particolari gruppi condizione dovuta al sistema politico o alla tradizione culturale e quanto maggiore il suo potere reale, tanto
maggiore sar il risentimento maturato. La stessa cosa non accadrebbe in un sistema sociale chiaramente differenziato, in una
societ di caste o in una democrazia che, tanto sul piano sociale
che su quello politico, tenda a una distribuzione della ricchezza.
Attribuendo al fenomeno del risentimento una connotazione e
una portata differenti, Scheler ci spinge a riflettere sulla nostra
societ attuale (cfr. Marton 2008).
Il presente contributo non riguarda per la questione del risentimento. Piuttosto, nostro scopo riflettere sulla specificit
della Genealogia della morale, muovendo dalla considerazione
che, per via dello stile espositivo in esso adottato, essa venga considerata lopera di Nietzsche che pi delle altre pu rientrare tra
o essere assimilata ai testi della tradizione filosofica a cui siamo
maggiormente abituati. Attraverso un confronto con le due opere che la precedono, cercheremo pertanto di rendere conto della
relazione che intercorre tra di esse; inoltre, esaminando i diversi
procedimenti adottati da Nietzsche, mostreremo la strategia che
egli intende perseguire.
2.
Non esagerato affermare che nei suoi testi Nietzsche cerchi
sempre di andare incontro ai propri lettori. Non quindi un caso
che, nel 1886, quando ripubblica la sua opera presso leditore
Fritzsch, egli inserisca nella Nascita della tragedia un Tentativo di
autocritica, che rediga delle prefazioni per i due volumi di Umano, troppo umano, per Aurora e per la Gaia scienza, e che infine
scriva una quinta parte da aggiungere a questultima opera. Non
neppure un caso, inoltre, che egli progetti la stesura di Ecce
homo, nel quale vi un capitolo dedicato a ciascuno dei suoi
come lodio e il disprezzo, la gelosia e linvidia, la rabbia e la cattiveria. Nel caso in cui
questi sentimenti ed emozioni, che appartengono alla condizione umana, vengano sistematicamente repressi, essi producono una deformazione pi o meno permanente della
capacit di valutare e in generale di giudicare (Scheler 1972: 38).

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scritti editi. precisamente con lo scopo di rendersi comprensibile che Nietzsche istruisce ripetutamente i propri lettori sul
modo in cui egli debba essere letto. Nel fornire le indicazioni
sul procedimento di lettura delle proprie opere, Nietzsche invita insistentemente ad adottare un approccio contraddistinto da
attenzione e pazienza (cfr. in particolare BA, Introduzione; GM,
Prefazione 8; EH, Perch scrivo libri cos buoni? 5).
Credendo di facilitare ai lettori la fruizione delle proprie opere, nel presentare unidea che gli sta particolarmente a cuore, non
di rado Nietzsche si preoccupa di rendere conto di quanto essa
sia difficile da esprimere. quanto accade, ad esempio, nella sezione Il convalescente della terza parte dello Zarathustra, in cui il
protagonista dellopera si ferma a riflettere sul linguaggio prima
di affrontare in tutta la loro portata le conseguenze del proprio
pensiero abissale. Nella medesima sezione, inoltre, subito dopo
aver ricordato a Zarathustra che lui il maestro delleterno ritorno, i suoi animali laquila e il serpente lo incitano a cantare9.
Nietzsche insiste sulla difficolt di esprimere le proprie idee anche in Al di l del bene e del male. Nellultima sezione di questopera egli denuncia infatti il carattere imperfetto del linguaggio
e chiama in causa i suoi stessi scritti10. Nella Genealogia della
morale, il filosofo procede allo stesso modo. Nella prima parte
dellopera, prendendo le distanze dal modo in cui utilitaristi ed
evoluzionisti affrontano le questioni morali, Nietzsche si dedica
a unanalisi dellorigine delle coppie di valori bene e male,
buono e malvagio. Poco prima di affrontare la questione del
risentimento, lascia la parola a un interlocutore immaginario,
9 Cfr. Za III, Il convalescente: Non sono stati donati alle cose nomi e suoni, perch
luomo trovi ristoro nelle cose? Il parlare una follia bella: con esso luomo danza su tutte
le cose. Com dolce ogni discorso e ogni bugia di suoni!; Perch vedi, Zarathustra,
per le tue nuove canzoni occorrono lire nuove. Sulle considerazioni di Nietzsche sul
linguaggio cfr. Marton 2012.
10 Cfr. JGB 296: Ahim, che cosa siete mai voi, miei pensieri scritti e dipinti! Or non
molto eravate ancora cos versicolori, giovani e maliziosi, cos colmi di spine e di droghe
segrete, che mi facevate starnutire e ridere e ora? Avete gi messo a nudo la vostra
novit, e alcuni di voi sono pronti, lo temo, a divenire tante verit: hanno gi unaria cos
immortale, cos onesta da spezzare il cuore, cos noiosa!.

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che definisce un libero pensatore, un rispettabile animale,


un democratico, per poi concludere: Fino a quellistante era
tuttorecchi e non ce la faceva pi a sopportare il mio silenzio.
Poich per me, a questo punto, c molto da tacere (GM I 9).
Tacendo, Nietzsche fa intendere che il dialogo con quellinterlocutore non sia possibile; ancora di pi, egli manifesta le difficolt
che si trova a dover superare per poter esprimere le proprie idee.
Il desiderio di Nietzsche di farsi comprendere evidente anche nel momento in cui, in uno dei suoi scritti, egli fa riferimento
a unaltra sua opera. Questo procedimento viene adottato per
esempio nelle prefazioni del 1886, aggiunte a libri gi editi. Ne
un caso la prefazione a Umano, troppo umano II, nella quale,
dopo essersi mostrato ancora una volta reticente nei confronti del linguaggio, Nietzsche afferma che bisogna parlare solo
quando non lecito tacere; e solo di ci che si superato (MA
II, Prefazione 1). Inoltre, riferendosi alle Considerazioni inattuali,
osserva che le prime tre dovrebbero essere retrodatate. Lo stesso procedimento ricorre negli scritti del 1888. Nel Crepuscolo
degli idoli, per esempio, Nietzsche riprende un passo dello Zarathustra (GD, Parla il martello), mentre in Ecce homo vengono
citati molti passi dello stesso poema11. E cosa dire di Nietzsche
contra Wagner, in cui Nietzsche raccoglie passi tratti da libri precedentemente pubblicati, col preciso scopo di mostrare che lui e
il compositore erano nature antitetiche sin dal 1877?
La Genealogia ricca di rimandi di questo tipo. Nella prefazione, per esempio, Nietzsche afferma che il suo studio dei pregiudizi morali era iniziato gi con Umano, troppo umano (GM,
Prefazione 2); rimanda il lettore a passi specifici di quel testo e di
altre sue opere, come la raccolta di Opinioni e sentenze diverse,
Il viandante e la sua ombra e Aurora (ibid.)12; infine, tratta della
11 In EH, Prefazione 4 tornano passaggi tratti da Za, Nelle isole beate e Della virt che
dona 3.
12 In GM, Prefazione 2, in particolare, Nietzsche rimanda a MA 45 a proposito della
doppia preistoria di bene e male; a MA 136 in merito allorigine della morale ascetica; a
MA 96 e 100 e a VM 89 per quel che riguarda leticit dei costumi; a MA 90, WS 26 e M
112 sullorigine della giustizia; a WS 22 e 33 sullorigine del castigo.

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comprensibilit dei propri scritti, prendendo come esempio lo


Zarathustra (GM, Prefazione 8). Nel corso delle tre dissertazioni,
Nietzsche fa invece pi volte riferimento ad Al di l del bene e
del male, Aurora e La gaia scienza13 e, allinizio della terza dissertazione, cita in particolare un passo dello Zarathustra (GM III 1,
in cui citato Za, Del leggere e scrivere).
Non si pu negare che Nietzsche dia sempre e continuamente prova della propria premura didattica. Ma, contrariamente
a quanto si potrebbe supporre, alcuni procedimenti di cui egli
fa uso nella Genealogia come ad esempio rimandare ai propri
scritti invece di semplificare il lavoro del lettore, finiscono per
appesantire la complessit dellopera. Se infatti molte delle riflessioni che Nietzsche sviluppa nella Genealogia sono gi presenti
in altre opere, il lettore spinto a interrogarsi sulle novit che
Nietzsche intende apportare alle proprie considerazioni precedenti nel suo ultimo scritto.
Ora, si potrebbe ipotizzare che, data la forma di dissertazione
che la contraddistingue, la Genealogia costituisca un caso singolare e indipendente rispetto agli altri testi che rientrano nel
corpus nietzscheano, e che, inoltre, essa offra un percorso di accesso privilegiato al pensiero del filosofo nel suo complesso. Sarebbe anche possibile sostenere che, essendo strutturata in una
prefazione seguita da tre dissertazioni, questopera presenti unesposizione lineare del pensiero di Nietzsche attorno ai fenomeni
morali. Infine, dato il carattere dimostrativo di questa esposizione, la Genealogia sembrerebbe essere un testo particolarmente
accessibile. Queste ipotesi sono naturalmente tutte da verificare,
e ad esse ci dedicheremo nelle sezioni che seguono.
3.
Quando, nel 1887, inizia a redigere Genealogia della morale,
Nietzsche scrive alleditore Naumann che questo scritto polemico strettamente connesso ad Al di l del bene e del male,
13 GM I 7 rimanda a JGB 195; GM II 6 a JGB 197 e M 18, 77 e 113; GM III 9 a JGB
260 e M 18; GM III 24 a FW 344 e alla prefazione di M; GM III 27 a FW 357.

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come sua integrazione e chiarimento (Lettera a C.G. Naumann,


8.11.1887)14. Ma, cos come la sua nuova opera avrebbe dovuto
chiarire Al di l del bene e del male, questultima doveva spiegare lo Zarathustra come Nietzsche stesso aveva fatto notare
al proprio editore, in una lettera in cui si legge che Al di l del
bene e del male una sorta di introduzione nei retroscena dello
Zarathustra (Lettera a E.W. Fritzsch, 7.8.1886)15. Tutto porta a
pensare che, nel redigere questi tre libri, Nietzsche stesse cercando di tradurre i medesimi problemi in diverse formulazioni; ma
soprattutto che, con lintento di venire incontro ai propri lettori,
egli abbia fatto ricorso a tutta la propria premura didattica.
Se esaminati da vicino, Cos parl Zarathustra, Al di l del bene
e del male e la Genealogia della morale rivelano una certa continuit. Tra i vari elementi che accomunano questi testi non si
pu trascurare il procedimento genealogico. Non ci sono dubbi che il termine genealogia compaia solamente nellultima di
queste opere, cos come indubbio che sia in questultima che
il compito genealogico si manifesti in tutta la sua pregnanza16.
Nietzsche chiarisce in particolare che non si deve far confusione
tra genealogia e genesi17: mentre il procedimento genetico
ricerca lorigine delle cose, presupponendo di poter risalire fino
alla loro essenza, quello genealogico critica proprio la nozione di
essenza, ponendo in questione il valore che viene da lungo tempo
attribuito alle cose.
Nella Genealogia, Nietzsche prende in esame la nozione di
valore e con ci opera uninversione critica. Nel dedicarsi a que14 Cfr. anche Stegmaier 1994: 26. Nella stessa lettera a Naumann, e sempre riferendosi alla Genealogia, Nietzsche scrive anche: Il mio desiderio principale, per quanto
riguarda questa pubblicazione, quello di ottenere qualcosa che torni a vantaggio dei
miei scritti precedenti: che inviti cio a leggerli e a prenderli sul serio.
15 Cfr. anche la lettera a R. von Seydlitz, 26.10.1886, in cui si legge: una sorta di
commento al mio Zarathustra. Ma come mi si dovrebbe comprendere bene per capire in
quale senso ne sia un commento!.
16 Col termine genealogia, Nietzsche specifica quello che in JGB aveva chiamato
storia naturale della morale. Lidea in qualche modo gi presente in MA, in particolare nella sezione intitolata Contributo alla storia dei sentimenti morali.
17 Cfr. a questo proposito Foucault 1971 e, sullinterpretazione foucaultiana di
Nietzsche, Marton 2009b.

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sta nozione, egli pone fin da subito la questione del valore dei
valori, aprendo cos la strada per una creazione dei valori. Se
il valore di valori come bene e male non mai stato posto
in questione, perch si guard a essi come se esistessero da
sempre: in quanto appartenenti a un al di l, questi trovavano
legittimazione nel mondo soprasensibile. Una volta, per, che li
si ponga in questione, essi rivelano immediatamente il loro essere
semplicemente umani, troppo umani. Non si pu dire dove n
quando abbiano avuto origine, ma sembra certo che questi valori
siano creazioni delluomo. Il valore dei valori deve quindi essere
giudicato facendo riferimento al punto di vista dal quale questi
ultimi traggono origine. Non basta, cio, guardare alle prospettive valutative che essi aprono, ma si deve risalire al valore che
essi possedevano nel momento in cui sono stati posti per la prima
volta. Dal punto di vista nietzscheano, la questione del valore
duplice: i valori presuppongono valutazioni che hanno dato loro
origine e gli hanno conferito il valore che possiedono; queste,
per parte loro, nel momento in cui creano determinati valori ne
presuppongono altri, che sono il fondamento dello stesso giudizio valutativo18. Il procedimento genealogico comporta, quindi,
due direttrici inseparabili: da un lato, bisogna porre i valori in
relazione col procedimento valutativo, mentre dallaltra bisogna
porre il procedimento valutativo in relazione coi valori.
Se si considera la Genealogia della morale nel suo complesso,
si nota prima di tutto che il movimento del testo tale per cui
esso si apre con un rifiuto dellidea che il fondamento ultimo dei
valori morali possa essere trovato sul piano della metafisica e si
chiude con una denuncia dei postulati metafisici surrettiziamente presenti nella morale degli schiavi. Linvenzione di un altro
mondo permette agli uomini del risentimento di restaurare principi trascendenti, che vengono posti come fondamento della moralit; in questo modo, essi disprezzano il mondo in cui vivono e
negano il carattere umano, troppo umano dei valori che loro
18 Seguiamo qui la lettura di Deleuze e la sua dettagliata analisi della nozione
nietzscheana di valore e del procedimento genealogico (Deleuze 1973: Il tragico 1-3).

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stessi istituiscono. Dopo aver spiegato la prospettiva che intende


adottare per riflettere sulle questioni morali, Nietzsche esamina innanzitutto i valori bene e male, cos come sono stati
adottati nelle antitetiche modalit giudicative dei nobili e degli
schiavi. In seconda battuta, egli analizza il modo di procedere
degli uomini del risentimento, mostrando la genesi delle nozioni
di colpa, giustizia, castigo e cattiva coscienza. Infine,
Nietzsche si concentra sulloperato di questi uomini nellambito
artistico, in filosofia, nella religione e nella scienza, mettendo in
luce come tutte queste siano manifestazioni dellideale ascetico.
Nelle tre dissertazioni nel loro complesso, Nietzsche passa al setaccio della genealogia della morale il comportamento e la produzione delluomo del risentimento, sottoponendoli a una valutazione critica e giudicandone gli aspetti negativi. In tutti i casi si
tratta di tentativi messi in atto da chi non ha la forza di lottare e
cerca di evitare il conflitto e quindi denigrare la vita, che, secondo Nietzsche, non altro che una lotta senza fine e senza sosta.
La Genealogia si presenta, quindi, come lopera in cui lautore esplicita il procedimento genealogico meglio di quanto abbia
fatto nelle opere precedenti per quanto, torniamo a ripetere,
questo procedimento sia gi presente tanto in Al di l del bene e
del male che in Cos parl Zarathustra.
4.
Per verificare il fatto che Nietzsche abbia adottato il procedimento genealogico gi prima della Genealogia, si prenda in considerazione ad esempio la sezione intitolata Dei dispregiatori del
corpo del primo libro dello Zarathustra. Lobiettivo del protagonista in questo discorso consiste nellattaccare il dualismo corpoanima e, in questo modo, combattere lidea di un io, di un soggetto che permane o che pu in qualche modo essere individuato.
In nome del S (Selbst), Zarathustra promuove quindi la critica
dellio (Ich). Nietzsche non mostra o rivela cosa sia il S, n chiarisce cosa intenda con questo termine; semplicemente, si limita ad
assumerlo come sinonimo di corpo. Una volta identificato con
questultimo, il S permette di concepire lio in un altro modo,

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come entit inscritta in un diverso registro. solo per mezzo di


una finzione che lio che pluralit di affetti e molteplicit degli
impulsi pu costituire ununit. Non un caso che Nietzsche
introduca questa sezione subito dopo quella intitolata Di coloro
che abitano un mondo dietro al mondo: la critica del soggetto difatti chiaramente debitrice della critica della metafisica, in quanto
i metafisici, che postulano una visione dualistica del mondo, postulano allo stesso modo il dualismo corpo-anima.
Dopo aver introdotto il problema che intende trattare le
diverse prospettive che si hanno del corpo e aver chiarito la
propria posizione lidea che il corpo preceda lio , Zarathustra
affronta il suo obiettivo: svolgere una diagnosi dei propri antagonisti. Voglio dire una parola ai dispregiatori del corpo. Che essi
disprezzino dovuto al loro apprezzare, afferma Zarathustra,
e quindi domanda: Ma che cos che ha creato lapprezzare e
il disprezzare e il valore e la volont?. A questo interrogativo,
Zarathustra risponde che il S creatore ha creato per s apprezzare e disprezzare, ha creato per s il piacere e il dolore, per poi
concludere: Persino nella follia del vostro disprezzo, dispregiatori del corpo, voi servite il vostro S. Io vi dico: il vostro S che
vuol morire e si allontana dalla vita.
Osservando che il disprezzo che i suoi antagonisti tributano
al corpo deriva dal loro apprezzamento per lanima, Zarathustra
mette in relazione valori e valutazioni. Inoltre, egli giudica queste valutazioni, quando conclude che nei dispregiatori del corpo
il S a voler perire e il corpo a voler scomparire. Per quanto
ancora in nuce, il procedimento genealogico, con il suo duplice
movimento, si manifesta comunque gi in questo discorso dello
Zarathustra. Prima di tutto, il protagonista dellopera riporta i
valori alle valutazioni dalle quali essi traggono origine; quindi,
sottopone a giudizio queste prospettive valutative, domandando cosa abbia creato lapprezzare e il disprezzare e il valore e
la volont; infine, nel rispondere a questultimo interrogativo
affermando che il proprio corpo a richiedere apprezzare e disprezzare, Zarathustra esplicita il criterio che intende adottare
per valutarli entrambi.

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Il Al di l del bene e del male il procedimento genealogico si


mostra ad esempio al 260. Nietzsche inizia affermando lesistenza di due tipi principali di valutazioni: quella dei signori e
quella degli schiavi19. La maniera aristocratica di giudicare, in
particolare, d risalto al sentimento di pienezza e di eccesso di
forza. Noi veritieri cos i nobili chiamavano se stessi nellantica Grecia. Prendendo se stesso come unico punto di riferimento, laristocratico non ha bisogno di approvazione e abbandona qualsiasi termine di comparazione; conosce se stesso come
quel che unicamente conferisce dignit alle cose, egli creatore
di valori. Inizialmente, egli conferisce valore solamente agli uomini, ma poco dopo, per estensione, lo fa anche con le azioni. Lo
schiavo, al contrario, valuta prima di tutto le azioni e giudica gli
uomini in base a esse. Poco importa quale sia il criterio di giudizio adottato: le azioni possono essere valutate esaminando le loro
conseguenze, considerando i motivi che le hanno ispirate, giudicando le intenzioni con le quali sono state compiute o persino
considerandole buone o cattive in s. Alla fine, comunque, il
principio della valutazione di un individuo sar sempre il modo
con cui egli si relaziona col gruppo di cui fa parte (se laristocratico cattivo perch incute timore, allora colui dal quale non
vi nulla da temere deve essere buono). Ponendo una cesura
tra uomo e atto, si d avvio a un processo di moralizzazione che
tende a raccogliere tutto al suo interno.
In tutto JGB 260, in cui vengono presi in esame questi due
tipi di valutazione, Nietzsche porta avanti una critica delle
idee moderne20. Nel trattare della morale dei signori, quindi,
Nietzsche dimostra di trovarsi agli antipodi rispetto a una morale
che attribuisce valore al disinteresse, allaltruismo e alla compassione. Quando invece si occupa della morale degli schiavi, egli
mette bene in evidenza come questultima dia rilievo ai mezzi
adottati da chi soffre e che facilitano la sua sopravvivenza. Men19 bene ricordare che lidea di una duplice storia dei valori di bene e male si trova
gi in MA 45.
20 Nietzsche considera Al di l del bene e del male proprio come una critica della
modernit (cfr. EH, Al di l del bene e del male 2).

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tre la morale dei signori estranea al gusto dei contemporanei


e per essi spiacevole nel rigore del suo principio, che si hanno
doveri unicamente verso i propri simili, la morale degli schiavi
essenzialmente morale utilitaria (JGB 260).
Nella Genealogia della morale, dopo aver esposto con particolare chiarezza, nella prefazione, cosa intenda per procedimento
genealogico, nel 10 della prima dissertazione Nietzsche riprende le questioni trattate in JGB 260. Concentrandosi sullanalisi
della coppia di valori bene e male, buono e malvagio,
per, invece di assumere come obiettivo critico le idee moderne, egli introduce la nozione di risentimento. Le parole chiave
per comprendere questo sentimento sono odio e desiderio di
vendetta. la differenza, in particolare, che causa lodio, o, meglio, a generarlo il rifiuto della differenza. Incapace di contrastare il forte, luomo risentito chiede vendetta, ma, non potendola attuare, immagina il momento in cui la sua ira caler impietosa
e implacabile; cos, egli fantastica sul momento in cui la vendetta
gli sar finalmente concessa. Il desiderio di vendetta nasce quindi
dalla propria impotenza, e di essa si alimenta. Per questo motivo
il risentimento non sinonimo di reazione: proprio perch incapace di reagire che il debole diventa risentito.
Sulla base del percorso di analisi svolto da Nietzsche, si possono trarre alcune conclusioni. Prima di tutto, quello che la morale dei signori valuta buono deve essere diverso da ci che
la morale degli schiavi indica col medesimo termine. Cos come
i valori buono e cattivo sono stati creati dal punto di vista
aristocratico, buono e malvagio seguono dalla prospettiva di
valutazione degli schiavi. Questi valori derivano da due attitudini
opposte: nel primo caso da un movimento di autoaffermazione,
nel secondo da una tendenza negatrice e oppositrice. chiaro,
quindi, che non ci pu essere equivalenza nel significato dei
termini adottati, come evidente nel caso del valore buono,
a seconda che esso sia affermato dai signori o dagli schiavi. In
secondo luogo, inoltre, si pu dire che questo valore buono
affermato in una delle due morali corrisponda esattamente al valore opposto, al malvagio, nellaltra. Nel momento in cui i forti

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affermano: Noi nobili, noi buoni, noi belli, noi felici, i deboli
dicono: Se loro sono malvagi, allora siamo noi ad essere buoni.
Pertanto, dal punto di vista della morale del risentimento, malvagio precisamente il nobile, il coraggioso, il pi forte, quello
che nella morale dei signori definito buono. La morale degli
schiavi deriva quindi solamente da uninversione dei valori e il
suo atto fondativo non va oltre questa reazione. Nel momento
in cui il valore malvagio della morale del risentimento corrisponde al valore buono dellaltra morale, i risentiti non creano
propriamente nuovi valori, ma si limitano ad invertire quelli che
erano stati posti dai nobili.
Possiamo quindi verificare il fatto che, come si era detto in
merito al procedimento genealogico, Al di l del bene e del male
spieghi Cos parl Zarathustra, mentre la Genealogia della morale
offra una delucidazione di Al di l del bene e del male. Nello Zarathustra, Nietzsche riflette sul comportamento dei dispregiatori
del corpo; in Al di l del bene e del male, esamina la condotta
degli uomini moderni; nella Genealogia, infine, analizza il modo
di procedere degli uomini del risentimento. In tutti questi casi,
Nietzsche svolge una diagnosi del modo di pensare, di agire e
di provare emozioni di coloro che evitano la lotta e che quindi
voltano le spalle alla vita. Nel passaggio da un libro a un altro, per
quanto Nietzsche affronti in ciascuno di essi diverse questioni,
egli mantiene un obiettivo comune, che consiste nel voler chiarire
e approfondire ununica problematica principale. Sulla base di
questo, occorre quindi notare che, dal momento che gi in Umano, troppo umano si trovano poste questioni che Nietzsche svolge
nella Genealogia della morale, non possibile isolare questultima opera dal corpus dei suoi scritti. Inoltre, non sembra corretto
pensare che essa costituisca un testo unitario, separato e autonomo rispetto agli altri libri pubblicati da Nietzsche, il cui contenuto permetta laccesso al pensiero del filosofo nel suo complesso.
5.
Un altro aspetto da segnalare consiste per nel fatto che, a
differenza dello Zarathustra e di Al di l del bene e del male, la

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Genealogia della morale contiene indicazioni sullapproccio da


adottare nei confronti degli scritti precedenti di Nietzsche. Nella
prefazione a questopera, per esempio, Nietzsche scrive:
Un aforisma, modellato e fuso con vigore, per il fatto che viene letto
non ancora decifrato; deve prendere inizio, a questo punto, la sua
interpretazione, per cui occorre unarte dellinterpretazione. (GM, Prefazione 8)

E continua:
Nel terzo saggio di questo libro ho presentato un modello di quel
che in un caso del genere intendo per interpretazione a questo
saggio fatto precedere un aforisma ed esso stesso ne rappresenta il
commento. (Ibid.)

Di primo acchito, saremmo portati ad affermare che in questo


libro Nietzsche intenda fornire una chiave di lettura per i propri
scritti aforistici. Ma bene analizzare con maggiore attenzione
quanto egli dichiara in questo passo. Il testo in esergo a GM III
il seguente:
Incuranti, beffardi, violenti cos ci vuole la saggezza: una donna, ama sempre unicamente il guerriero. Cos parl Zarathustra

Laffermazione secondo cui questo laforisma di cui Nietzsche


parla nella prefazione dellopera problematica. In particolare,
sono due gli aspetti che saltano immediatamente allocchio: innanzitutto, il testo citato tratto dalla prima parte di Cos parl
Zarathustra, un libro che ben difficilmente potremmo definire
aforistico ma neppure il saggio che segue, con i suoi ventotto
ampi paragrafi, potrebbe essere considerato un testo aforistico.
Inoltre, a prima vista il saggio e lesergo trattano temi diversi tra di
loro, e sembrano quindi avere poco a che vedere luno con laltro.
Daltra parte, si pu anche pensare che laforisma che
Nietzsche ha in mente nella prefazione della Genealogia sia il
primo paragrafo della terza dissertazione21, cosa che per al21 Questa testi stata sostenuta di recente da alcuni commentatori. Cfr. Clark 1997,
Janaway 1997, Wilcox 1998 e Miklowitz 1999.

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trettanto problematica. Prima di tutto bisogna considerare che


questo paragrafo di fatto un riassunto, con poche variazioni, di
quanto Nietzsche tratta nel resto del saggio. Inoltre, dopo aver
presentato un breve dialogo che fa capire che nulla di quello che
stato detto fino a quel momento sia stato compreso, Nietzsche
taglia corto con la frase cominciamo dunque da capo (GM III
1), e con ci chiarisce che le tesi che aveva presentato schematicamente verranno svolte in quanto segue.
Entrambe le possibilit considerate che laforisma cui
Nietzsche si riferisce nella prefazione della Genealogia sia lesergo di GM III o il primo paragrafo di quel saggio lasciano
diverse questioni aperte. Senza cercare di rispondere a questi
interrogativi specifici, proveremo invece a contestualizzare laffermazione di Nietzsche per cui a GM III fatto precedere un
aforisma ed esso stesso ne rappresenta il commento. Per far
questo, occorre tornare al 8 della prefazione e considerarlo per
intero. Nietzsche inizia il paragrafo confrontando la Genealogia
con i propri scritti precedenti: a suo avviso, il suo ultimo libro
abbastanza chiaro rispetto alle sue altre opere che invece,
per sua esplicita ammissione, non sono facilmente accessibili
(GM, Prefazione 8). Prendendo come esempio lo Zarathustra,
Nietzsche osserva poi che per conoscere e comprendere quellopera necessaria una disposizione particolare. Infine, riferendosi
agli altri suoi scritti, commenta che la forma aforistica presenta
difficolt: ci dovuto al fatto che oggigiorno non si d sufficientemente importanza a questa forma (ibid.). Fino a questo punto sembra che il filosofo si stia preoccupando ancora una volta
della comprensibilit dei propri scritti. Ma bene osservare che,
in questo paragrafo, Nietzsche si concentra solamente sulle sue
opere aforistiche. In quanto segue, infatti, egli sostiene che non
basta leggere un aforisma per decifrarlo, ma occorre svolgerne
uninterpretazione. Pertanto, bisogna capire bene cosa egli intenda con aforisma.
In GM, Prefazione 2, Nietzsche ripercorre lorigine delle proprie riflessioni sui pregiudizi morali e afferma che esse hanno
ricevuto la loro prima sobria e provvisoria espressione in quella

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raccolta di aforismi che porta il titolo Umano, troppo umano.


Un libro per spiriti liberi. A questo proposito, bene sapere
che, negli anni immediatamente precedenti alla stesura del suo
primo testo aforistico, Nietzsche lesse opere dei moralisti ed enciclopedisti francesi. Alla fine del 1877, quando riun e rilesse i
suoi appunti pagine e pagine di riflessioni su molteplici temi,
apparentemente molto diversificati e sconnessi Nietzsche si domand se non fosse il caso di pubblicarli in questa forma. Con
tutta probabilit, in quelloccasione egli stava pensando a Diderot e Voltaire, due avversari della sistematicit in filosofia, ma
anche a Chamfort e La Rouchefoucauld, con le loro sentenze e
i loro pensieri. In effetti, noto che nel Crepuscolo degli idoli,
dopo aver sostenuto di essere, fra i Tedeschi, maestro nellarte
dellaforisma e della sentenza, Nietzsche dichiari come propria
ambizione di dire in dieci frasi quel che ogni altro dice in un
libro, ci che ogni altro non dice in un libro (GD, Scorribande 51). Lattenzione per le formule concise e la capacit di
fissare obiettivi e di suscitare sorpresa nel lettore, sono aspetti
che si ritrovano negli scritti dei moralisti francesi. Non a caso,
Chamfort e La Rouchefoucauld, tanto apprezzati da Nietzsche,
cercano lettori che non abbiano timore di mettersi in questione. Nei loro scritti si vede chiaramente che leggere una massima
comporta un duello con lautore e con se stessi. Se una massima ben scritta, essa deve infatti stimolare un gioco tra chi la
enuncia e chi la legge, poco importa se essa porta al plauso o a
un commento indignato, se implica accordo o contestazione.
quindi lecito affermare che, se i moralisti francesi fanno ricorso
alla sentenza, perch il loro intento prima di tutto quello di
provocare il lettore.
Nietzsche persegue il medesimo obiettivo. In Cos parl Zarathustra, egli chiarisce qual la propria concezione della sentenza,
e nella sezione Del leggere e scrivere, afferma:
Chi scrive in sangue e sentenze, non vuol essere letto ma imparato
a mente. Sui monti la via pi diretta quella da vetta a vetta: ma per
questo occorre che tu abbia gambe lunghe. Le sentenze devono essere
vette: e coloro ai quali si parla devono essere grandi e di alta statura.

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Adottando le sentenze come vette del pensiero, Nietzsche


pensa che esse si contrappongano al raziocinio discorsivo uniforme, noioso e monotono. Irriverenti, le sentenze mettono in questione i pregiudizi e scuotono le opinioni comunemente accettate; in breve, provocano il lettore. Tuttavia, dal momento che egli
esige che il lettore le impari a memoria, Nietzsche non si limita a
cercare come fanno i moralisti francesi un lettore ricettivo e
soprattutto coraggioso; piuttosto, egli pretende che i propri lettori siano disposti a incorporare quelle massime nella loro vita.
Da quanto visto finora si pu gi inferire che Nietzsche attribuisce al termine aforisma impiegato nella prefazione della Genealogia un senso affine a quello di sentenza. In effetti, quando nel Crepuscolo Nietzsche definisce se stesso sommo
maestro dellaforisma e della sentenza tra i Tedeschi, egli stesso associa queste due modalit di scrittura. Daltra parte, per,
Nietzsche sostiene anche che per decifrare un aforisma non
sufficiente leggerlo, ma occorre anche interpretarlo, e a questo
scopo necessaria unarte dellinterpretazione.
A questo punto della nostra indagine bene insistere una
volta di pi sullidea che Nietzsche richieda ai lettori dei propri aforismi e sentenze la capacit di incorporarle. Interpretare
non pu consistere nel solo esame critico della verit o falsit di
determinate proposizioni. Attribuendo un senso completamente
nuovo al concetto di interpretazione che si aggiunge ai molteplici sensi che egli stesso adotta Nietzsche stabilisce una stretta relazione tra arte dellinterpretazione e filologia, intendendo
questultima come arte del leggere bene. In Al di l del bene e
del male, infatti, Nietzsche non esita a definirsi un vecchio filologo che non pu esimersi dalla malizia di riveder le bucce a
certe cattive arti interpretative (JGB 22). Considerando che le
arti interpretative possono essere buone o cattive, Nietzsche afferma in particolare che la fisica del proprio tempo non rappresenta una spiegazione del mondo, ma una [sua] interpretazione
e un ordine imposto ad esso (JGB 14); in quanto postula una
normativit della natura (JGB 22), essa per non fa altro che
proporre una cattiva interpretazione. Non si dimentichi, inoltre,

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che Nietzsche, filologo di formazione, intende larte dellinterpretazione, che egli stesso esercita, come una pratica finalizzata a
smascherare illusioni e autoinganni, a sospettare di tutto ci che
ci si presenta come veritiero.
6.
Le considerazioni sullatteggiamento di Nietzsche nei confronti dei propri lettori stimolano alcune ulteriori osservazioni
sulla Genealogia della morale, a partire dal fatto che essa venga
presentata come uno scritto polemico, uno scritto conflittuale22
e che, nellesergo di GM III, Nietzsche esprima lidea che, in
quanto donna, la saggezza ami sempre e unicamente un guerriero. Questi due aspetti possono essere collegati, proprio a partire da una riflessione sul rapporto di Nietzsche con i destinatari
delle sue opere. Egli si presenta infatti come un guerriero, non
nascondendo la propria indole bellicosa e provocatoria quando,
nel sollevare la domanda che significano gli ideali ascetici?,
mette in questione ci che fino a quel momento ha orientato lagire umano. La sua diagnosi del modo in cui luomo si abituato
a concepire il mondo e a trovare il proprio posto al suo interno
culmina infatti in una denuncia della volont del nulla che si
trova alla base della civilt occidentale (GM III 28), e serve a
Nietzsche per far capire ai propri lettori che essi possono realizzare una trasformazione del loro modo di concepire uomo e
mondo. Egli si prefigge quindi come scopo recondito quello di
spingere questi lettori ad abbracciare un diverso modo di pensare, agire e provare emozioni, e pertanto passa da una premura
didattica a fini strategici.
possibile che, nella Genealogia, Nietzsche abbia formulato
con maggiore precisione i problemi relativi ai fenomeni morali
per venire incontro ai propri lettori. anche possibile che egli
abbia adottato un linguaggio pi accessibile per trattare tali problemi in modo da rendersi meglio comprensibile. Tuttavia, non
22 In alcuni casi questultima pu essere la traduzione migliore per rendere lespressione originale che compare nel sottotitolo al testo: Streitschrift.

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possiamo trascurare il fatto che Nietzsche cerchi prima di tutto di persuadere il lettore, che voglia che questi fronteggi i suoi
scritti per poi stimolarlo a trasformarsi.
In Ecce homo, quando passa in rassegna le proprie opere pubblicate, in merito alla Genealogia Nietzsche scrive che
le tre dissertazioni che compongono questa genealogia sono forse
per espressione, intenzione e arte del sorprendere quanto pi di inquietante sia stato scritto fino ad oggi. Dioniso anche il dio delle tenebre.
(EH, Genealogia della morale)

Lasciamo per il momento da parte lanalisi di questultima


osservazione, a prima vista enigmatica. Nel sottolineare leccezionalit della Genealogia per espressione e intenzione, da un
lato Nietzsche fa riferimento alla forma e al contenuto del libro.
Tuttavia, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, egli
non presenta ragioni logiche o argomentazioni di alcun tipo;
non cerca di sottoporre al vaglio del lettore le proprie idee per
convincerlo della loro validit. Difatti, accanto a espressione
e intenzione compare larte del sorprendere, che indissolubilmente connessa a forma e contenuto. Nel seguito di questa
sezione di Ecce homo, Nietzsche si dedica poi al ritmo di ciascuna delle tre dissertazioni che compongono la Genealogia. Queste iniziano con un tono freddo, scientifico, perfino ironico, e
proseguono in un crescendo di agitazione, finch poi si raggiunge un tempo feroce, in cui la tensione raggiunge il proprio
apice. Nietzsche rivela che linizio deve indurre in errore, e
cos facendo chiarisce il fatto di non aver avuto lintenzione di
conferire al testo un carattere scientifico.
Come si pu notare, Nietzsche fornisce qui una descrizione
che potremmo dire di carattere musicale e che molto simile al
modo in cui, ancora in Ecce homo, egli si esprime in riferimento
alla sua arte dello stile. A questo proposito, Nietzsche scrive
che comunicare uno stato, una tensione interna di pathos, per
mezzo di segni, compreso il ritmo di questi segni questo il
senso di ogni stile (EH, Perch scrivo libri cos buoni). Sembra
quasi che egli concepisca lo stile come un sintomo: in quanto ma-

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nifestazione di uno stato, di un pathos, lo stile indica gli impulsi


che dominano lautore in un determinato momento, gli affetti
che lo controllano e, di conseguenza, i giudizi di valore che si
esprimono per suo tramite. Da ci segue che non vi uno stile
valido per tutti gli autori qualsiasi esso sia e neppure uno
stile che valga sempre per uno stesso autore. A questo proposito,
Nietzsche infatti afferma che buono qualunque stile che comunica realmente uno stato interno, che non si sbaglia sui segni,
sul ritmo dei segni, sui gesti (ibid.). Vi sono tanti stili quanti
sono gli stati interni. Chiunque pensi che vi sia uno stile buono
in s non altro che un idealista. Chiunque pensi di possedere
uno stile universalmente buono non sta facendo altro che manifestare gli impulsi che lo dominano. Se il buono stile quello che
comunica la tensione degli impulsi, la disposizione degli affetti,
questa comunicazione possibile per lautore solo attraverso segni; inoltre, lautore ha anche bisogno di trovare dei lettori che
vivano le stesse tensioni, le stesse disposizioni affettive.
Con la propria opera, Nietzsche va precisamente alla ricerca
di questi lettori. Per far questo, per, nella Genealogia della morale egli non ricorre a una chiarezza cristallina. Invece di affidarsi
alla luce apollinea, che delinea, distingue, d forma, preferisce
avvalersi di Dioniso che, come si visto, anche il dio delle
tenebre. Simbolizzando il primato del divenire, Dioniso rompe le barriere, infrange i limiti, cancella i contorni. Rivelando
lesuberanza dellesistenza, evidenzia la lotta delle pulsioni che
costituiscono e dominano lessere umano. Nel chiamare in scena Dioniso, Nietzsche ci fa capire che, manifestando particolari
tensioni di impulsi e disposizioni affettive, egli ha come scopo di
stimolare nei propri lettori tensioni affini e analoghe disposizioni
affettive. In questo modo, Nietzsche si augura di suscitare in loro
un effetto trasformativo.
7.
A partire dalle considerazioni sopra esposte, e che offrono
sinteticamente uno sguardo dinsieme su alcuni dei contenuti
della Genealogia della morale, ma soprattutto sugli obiettivi che

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Nietzsche si prefiggeva di raggiungere con la pubblicazione di


quel testo, sembra alquanto temerario sostenere che questultimo contenga unesposizione lineare delle sue idee relative ai
fenomeni morali e che si presenti come il suo scritto pi accessibile in ragione del suo carattere dimostrativo. Da quanto si
visto, possiamo piuttosto osservare che il fatto che Nietzsche si
preoccupi in maniera quasi ossessiva della comprensibilit delle
proprie opere riveli ad un tempo il suo desiderio di farsi capire
e la sua ansia di trovare qualcuno che sia in condizione di comprenderlo. Inoltre, diventa finalmente chiaro cosa egli intenda
quando, nel Caso Wagner, afferma che la Genealogia della morale
un libro che ha la fortuna di essere accessibile soltanto agli
spiriti di pi elevato sentire e massimamente rigorosi: agli altri
mancano le orecchie (WA, Epilogo).
Traduzione dal portoghese di Pietro Gori
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Considerazioni su GM I
a partire dalle sue Lebensformen
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1. Simbolo e forma di vita
La prima Dissertazione della Genealogia della morale, che
reca il titolo Buono e malvagio, buono e cattivo, si presenta come
unanalisi psicologica del cristianesimo a partire dal tema del
risentimento, che Nietzsche in Ecce Homo definisce un movimento di rivalsa, nella sua essenza, la grande rivolta contro il
dominio dei valori aristocratici (EH, Genealogia della morale).
Questo contributo intende mettere in luce la rilevanza del peculiare utilizzo da parte di Nietzsche di Lebensformen, ossia di
forme di vita intese come tipi psicologici esemplari, come paradigmi esistenziali, al fine di argomentare, nel contesto di GM I,
la genealogia dei concetti, o meglio dei valori morali, di buono
e malvagio, buono e cattivo e il loro intreccio con la questione
del ressentiment. Sebbene il termine Lebensform non costituisca
esplicitamente un concetto chiave nelleconomia generale del
pensiero nietzscheano1, loperazione della tipizzazione psicolo1 Nietzsche non sembra attribuire al termine Lebensform, che tra le opere pubblicate e i frammenti postumi occorre in tutto una decina di volte, una declinazione
precipua: solo unoccorrenza contenuta allinterno della Genealogia in riferimento alle
asketischen Lebensformen. Il concetto di Lebensform, connesso a quello di Idealtyp der
Individualitt, risulta centrale nella riflessione Eduard Spranger (1921/1966: 20 ss.). Egli
recep linfluenza nietzschena della cosiddetta Lebensphilosophie in particolare attraverso la tradizione ermeneutica inaugurata dal suo maestro Wilhelm Dilthey: per Spranger
i tipi umani sembrano costituire esclusivamente uno strumento euristico finalizzato a
ridurre la complessit del reale, tramite quelloperazione di schematizzazione e astrazione che per Nietzsche alla base della scienza. La Lebensform appare daltro canto uno
strumento necessario per stemperare gli esiti nichilisitci delleraclitismo nietzscheano,

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gica rappresenta di fatto in particolare a partire dagli anni di


stesura dello Zarathustra una costante nelle opere di Nietzsche,
il quale si serve di figure, di Sinnbilder, Denk-bilder, Gestalten,
per delineare categorie psichico-culturali (Yovel 1998: 129) e
dunque particolari modalit di espressione della volont di potenza2.
A partire dalla Nascita della tragedia, le figure dellartista dionisiaco, del genio creatore, del coreuta, delleroe e in definitiva
gli stessi Omero, Archiloco, Eschilo, Sofocle, Euripide e Socrate rappresentano dei tipi da intendersi come personificazioni
concettuali, cos come il Wanderer e il freier Geist raffigurano in
Umano, troppo umano le modalit di esistenza del confutatore
della metafisica, dello scettico, del maestro del sospetto che si
emancipa dai valori assoluti e dalla logica del risentimento. Nello Zarathustra, poi, le Lebensformen si affollano nel pi colorito
consesso simbolico-allegorico: il pagliaccio-giullare, il santo vegliardo, il cammello, il leone, il fanciullo, il pallido delinquente,
le mosche del mercato, le tarantole, il coscienzioso dello spirito,
lindovino, il mago e cos via sono tutte configurazioni, immagini sensibili, maschere nel senso classico di dramatis personae
in cui si esprime la vasta casistica delle formazioni provvisorie dellumano, dal positivista al borghese, dal socialista al melanconico (Giacomelli 2012: 19). La casistica tipologica, che in
senso lato risulta per Nietzsche sottesa alla grande generalizzadal momento che il tipo diventa per Spranger un ausilio tecnico per la psicologia non
lontano dallidea regolativa kantiana.
2 Commentando la Genealogia, Stegmaier fa significativamente riferimento alla
Nietzsches Typisierung, mostrando come le decise tipizzazioni risultino necessarie
a Nietzsche per delineare i contorni dei caratteri psicologici facendone emergere i tratti
pi significativi senza pretese definitorie unilaterali (Stegmaier 1994: 89;107). noto poi
come la questione tipologica di matrice nietzscheana abbia giocato un ruolo essenziale nella fondazione della psicologia analitica di Jung, che individu in particolare nella
Nascita della tragedia e nella Genealogia della morale i riferimenti chiave per la stesura
nel 1921 dei suoi Psychologische Typen (Bishop 1995: 124-129). Limportanza della questione del tipo nella riflessione nietzscheana viene rilevata anche da Heidegger, il quale
afferma che lunicit del tipo consiste in una chiara regolarit dello stesso carattere
che non tollera tuttavia alcun arido egualitarismo, ma ha bisogno di una peculiare gerarchia (Heidegger 1961/2005: 654).

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zione psicologica tra il tipo attivo-creatore e il tipo passivo-reattivo, appare centrale anche nella Genealogia, in cui le figure del
nobile-aristocratico, del padrone e dello schiavo, della bestia da
preda, dellebreo, del sacerdote e via dicendo risultano funzionali
allinterpretazione dei vari approcci allesistenza dei singoli, nei
quali la volont di potenza rivela la propria natura plurale e molteplice, dal momento che si identifica con lintreccio di relazioni
delle diverse esistenze singolari, ovvero con i conflittuali campi
di forze mai riconducibili a un centro che costituiscono la rete di
interazioni del mondo. Nietzsche opera dunque consapevolmente un processo di semplificazione, una sorta di reductio ad simile
relativa ai gradi di potenza degli individui concreti, cosicch la
Lebensform assume la funzione di condensare in s un intreccio
di impulsi altrimenti inesplicabile: dallaristocratico al prete, dalla controversa bestia bionda allebreo, i comportamenti dei
tipi umani si strutturano e si ordinano gerarchicamente, come
la salute e la malattia, in base a differenze di grado (NF 188889, 14[65]), cio in base al rapporto delle forze che essi esprimono. Sono perci prodotti dalla specifica posizione che il tipo
occupa nello scontro tra forze. Lirriducibilit di tale interazione
conflittuale a una dimensione metafisica ci consente di approcciare la Genealogia come teoria morale dellinterpretazione che
riconosce il mondo come gioco infinito di pulsioni rivali, e quindi
come volont di potenza. Con la sua tipizzazione Nietzsche non
intende inventariare i tipi psicologici del suo tempo incasellandoli in una rete categoriale stabile di stereotipi, ma al contrario dare
provvisoriamente dei volti ai valori che hanno scandito la storia
della morale occidentale. Il passaggio dallindividuale al tipico
consente a Nietzsche di proporre una fenomenologia dellumano finalizzata a quello che sente essere il compito pi stringente
per il filosofo, che deve risolvere il problema del valore, deve
determinare la gerarchia [Rangordnung] dei valori (GM I 17n.).
Proprio per il loro carattere cangiante, le Lebensformen
nietzscheane si attestano agli antipodi delle forme simboliche
intese metafisicamente come immagini primordiali sottratte al
divenire: la stessa nozione tradizionale di individuum di fatto

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viene confutata come semplice parola che sottende una collettivit di istinti e affetti che prendono vita metaforicamente nel
linguaggio nietzscheano attraverso personaggi e immagini sensibili. Solo se interpretiamo il tipo non come forma della realt o
come idea trascendente, ma come immagine interpretativa della
volont di potenza, possiamo comprendere il tentativo da parte
di Nietzsche di restituire il costitutivo polimorfismo dellessere e
le sfaccettature prospettiche del nostro io plurale attraverso simboli. Nel Sinnbild come rappresentazione plastica delle pulsioni
si esprime quindi la Lebensform come condensazione di determinate caratteristiche psicologiche.
Lo stesso metodo genealogico si pone come alternativa radicale allinterrogazione metafisica: solo sostituendo alla domanda
filosofica originaria che cos? la domanda Per chi significa,
per chi ha valore, a partire da quale visione del mondo, e a favore
di quale tipo umano ci che ha valore ritenuto avere valore?
(Canevari 2008: 18), per Nietzsche diventa possibile la sovversione (Umkehrung) dei valori di buono e cattivo. Al ti stin
socratico, che inaugura la tradizione platonico-cristiana opponendo al divenire unessenza, un modello nel senso di eidos, di
fondamento universale in s e per s (auto kathhauto), il metodo
genealogico oppone unorigine storica, psicologica, umana delle
azioni morali. Il valore perci va interpretato in relazione alla
sua capacit di accrescere o diminuire la potenza, di vivificare e
indebolire la Lebensform. Limpostazione genealogica contrappone dunque a una ricerca sulle essenze kathhauto, una ricerca sempre relativa a qualcuno che percepisce, ossia prs ti. La
pratica genealogica nietzscheana ha la finalit di smascherare la
pudenda origo della morale (NF 1885, 2[189]), mostrando innanzitutto che i valori non sono mai realt in s ma interpretazioni, e in particolare interpretazioni di quegli istinti negati prima
dalla psicologia cristiana e poi idealista. Ecco che una delle virt
psicologiche essenziali e delle determinazioni fondamentali della
genealogia diventa il sospetto, che consiste nel guardare dietro,
sotto, in altri termini nellesplorazione delle origini sotterranee
di uninterpretazione (Wotling 2006: 55). Sospettare significa

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poi anche smascherare, non ai fini di trovare unessenza al di l


dellapparenza, ma di attestarsi sulla superficie, di riconoscere
limpraticabilit di qualsiasi dualismo metafisico e di accogliere la morale come gioco di superfici prive di sfondo (Gurisatti 2012: 15-16). Il cielo dei valori e delle verit assolute viene
dunque riportato da Nietzsche al suo luogo di nascita umano,
troppo umano e analizzato nel suo sviluppo storico-psicologico. I valori sono intesi come prodotto relativo allo spazio e al
tempo, legati a condizioni sociali e a complessi meccanismi di
interazione, soggetti a trasformazioni caratterizzate da processi
di generazione, maturazione, morte talora violenta, coinvolti in
un conflitto continuo e capaci di metamorfosi e rinascite. Con il
proprio lavoro di scavo il metodo genealogico prelude sorprendentemente al procedimento psicoanalitico, dal momento che
Nietzsche non parla di sostanza, di essenza, di cause prime, ma
di risentimento, senso di colpa, conflitto dellinteriorit, crudelt, cattiva coscienza: egli affronta il tema dellenigma del s, e ne
ricerca, da psicologo, le origini profonde, latenti, un-bewussten.

2. Genealogia della psicologia del profondo.


Luomo del sottosuolo
Decisivo risulta in questo senso lincontro di Nietzsche con
il volume Lesprit souterrain di Dostoevskij. La concomitanza
tra la lettura a Nizza delle Memorie dal sottosuolo (seppure in
una traduzione francese assai libera rispetto alloriginale)3 e la
stesura della Genealogia consente a Nietzsche di intrecciare le
proprie intuizioni sulla psicologia del profondo con la critica al
3 Il testo letto da Nietzsche a Nizza nel 1886, ossia Lesprit souterrain (trad. di E.
Halprine y Ch. Morice, Paris: Plon), non corrispondeva letteralmente alle Memorie del
sottosuolo, ma consisteva, nella sua prima parte, nella traduzione abbastanza fedele di
una novella di giovent intitolata La patrona (1847), che nel volume appare col titolo di
Katia, protagonista del racconto; la seconda parte de Lesprit souterrain consisteva invece
nella traduzione parziale molto libera delle Memorie del sottosuolo (1864), presentata con
il titolo di Lisa, figura femminile centrale nelle Memorie (Stellino 2011: 114).

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razionalismo filosofico fondato sulla conoscenza di s, al punto


che, riferendosi alla seconda parte de Lesprit souterrain, e dunque alla rivisitazione delle Memorie del sottosuolo intitolata Lisa,
egli definisce il racconto una autoderisione del conosci te stesso (lettera a F. Overbeck, 23.02.1887). Non solo il socratico
ti stin, ma anche lo gnothi sautn appare dunque a Nietzsche
come principio da cui diffidare in favore di unincoercibile diffidenza verso la possibilit della conoscenza di s (JGB 281)4.
Diventa cos chiaro il significato delle parole con le quali si apre
la Genealogia: Siamo ignoti a noi medesimi, noi uomini della
conoscenza, noi stessi a noi stessi (). Non abbiamo mai cercato
noi stessi come potrebbe mai accadere che ci si possa, un bel
giorno, trovare? (GM Prefazione).
Nietzsche riconosce in Dostoevskij unaffinit spirituale, una
sensibilit comune nel modo di scandagliare il mondo sotterraneo della psiche, prescindendo da un lato dal primato della coscienza e dalla signoria della morale: sono fermamente convinto
che non solo la troppa coscienza, ma anche qualunque coscienza
sia una malattia (Dostoevskij 1864/2002: 9), dallaltro negando
lidea come astrazione, in favore di una realt valida solo di volta
in volta e mai in assoluto, incarnata e vivente nel personaggio letterario. Anche la distinzione tra tipo attivo e reattivo (cos come
la nozione di ressentiment), sembra essere stata ispirata dalla lettura de Lesprit souterrain5, e sar il presupposto fisiologico alla
4 Il riferimento allo gnothi sautn non direttamente ascrivibile a Dostoevskij, ma
ai due traduttori (Halprine e Morice) delledizione francese, che risultano anche gli autori apocrifi di un breve saggio che collega i due racconti al fine di giustificarne la
continuit e di introdurre Lisa (la versione rimaneggiata delle Memorie del sottosuolo).
(Stellino 2011: 117). I due traduttori non firmarono il saggio, nellintento di fare apparire
anchesso come opera di Dostoevskij e dunque di ascrivergli il riferimento alla massima
delfica. Leffetto pernicioso della conoscenza di s viene ribadito da Nietzsche nellaccostamento semantico tra conoscitore di te stesso [Selbstkenner] e carnefice di te stesso
[Selbsthenker] (DD, Tra gli uccelli rapaci).
5 Per la derivazione dostoevskijana del termine e la storia del concetto di ressentiment nel pensiero di Nietzsche si rimanda a Stellino 2011: 212-124. LAutore rileva
inoltre come laggettivo reaktiv faccia la sua comparsa in un quaderno del Nachlass
nietzscheano del 1875 allinterno di una citazione tratta dallopera di Dhring Der Werth
des Lebens.

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base di tali acquisizioni, ossia il discrimine tra salute e malattia,


tra luomo valoroso e forte e luomo impotente e risentito ad indurre Nietzsche ad affermare che solo una psico-fisiologia come
teoria dellinterpretazione delle pulsioni del corpo (e dunque
della volont di potenza), potr assurgere al ruolo di signora
delle scienze (JGB 23)6. La voce che procede allimpietosa disamina dellanimo umano nella novella di Dostoevskij distingue tra
il tipo senza carattere e luomo di carattere, ossia luomo
dazione, (Dostoevskij: 7-8): la Lebensform del senza carattere, del malato di troppa coscienza come antipode delluomo
immediato, prelude chiaramente quella nietzscheana delluomo
del ressentiment come antipode della noblesse aristocratica, ma
il parallelismo non cos pacifico. Se in Nietzsche sar lodio
dellimpotenza (GM I 7) degli schiavi a consentirgli di rovesciare le antiche gerarchie e di soverchiare i ben riusciti sostituendo alla morale dei signori il moralismo dei preti, in Dostoevskij
sar la vittoria dellinetto, delluomo intensamente cosciente
a innescare una dinamica di volont di potenza in negativo, che
crea il sistema del delitto e del castigo, del senso di colpa e
della quasi vergogna a pretendere la felicit e a prestare ascolto al soggetto-corpo piuttosto che alla voce daimonica interiore
6 Tale impostazione antimetafisica, che rigetta la psicologia idealista, la nozione di
anima immateriale e, come vedremo, di intelletto puro e trasparente a se stesso, enfatizzando invece il corpo e la dimensione istintivo-pulsionale, non consente daltra parte di
innestare il pensiero di Nietzsche nellalveo del riduzionismo naturalista, dal momento
che Nietzsche non crede che la ricerca empirica abbia un maggiore gradiente veritativo rispetto ad altre forme di indagine, ma utilizza il naturalismo in senso metodologico,
offrendo una teoria riguardante il fenomeno morale modellata sulle moderne acquisizioni scientifiche. Il superamento delle nozioni di soggetto e di anima da parte di
Nietzsche appare comunque in continuit con le acquisizioni scientifiche del suo tempo,
con particolare riguardo per gli sviluppi della cosiddetta psicologia scientifica di cui
Nietzsche trova notizia prima di tutto nella Storia del materialismo di F. Lange e il cui
principale obiettivo era laffrancamento dalla metafisica della sostanza ancora imperante
nelle indagini delle scienze cognitive (cfr. Gori 2015). Nietzsche ci invita quindi a emulare
la disciplina degli scienziati quando indaghiamo noi stessi in termini di psico-fisiologia
(Janaway 2007: 45; Leiter 2002: 113). Recentemente la centralit attribuita da Nietzsche
alla dimensione fisiologica del metabolismo, del rapporto con lambiente atmosferico e
con lalimentazione (EH, Perch sono cos accorto, 2-3), stata messa in relazione anche
allo stile metaforico della Genealogia (Blondel 2006: 67-75).

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sempre pronta al giudizio. (Russo 2014: 71). Lipertrofico della


coscienza, in virt della sua inanit e incapacit dazione, una
persona malata e maligna (cfr. Dostoevskij: 5), e tuttavia psicologicamente sottile, che si trae fuori dalla condizione del mediocre
consenso quotidiano, che si svincola dalle logiche dellabitudine e della convenzione proprio in virt del suo arresto di fronte allazione e in particolare alla volont di vendetta. Simile ad
un uomo superiore zarathustriano, luomo sotterraneo sembra
quindi respingere e attrarre Nietzsche: da un lato Lebensform
risentita che si crogiola da insetto, o da topo nellamarezza e
nellumiliazione, dallaltro lucido critico della falsit convenzionale e dellipocrisia moralista. Ecco che luomo del sottosuolo,
n cattivo n buono, n mascalzone n onesto (Dostoevskij:
7), si rivela una figura esistenziale pi complessa, che sembra anticipare non tanto lo schiavo della morale, quanto semmai alcuni
tratti dellUlrich musiliano, protagonista de LUomo senza qualit, figurazione esemplare della deflagrazione della soggettivit.
Se da escludersi uno specifico influsso delle Memorie del sottosuolo di Dostoevskij su Luomo senza qualit di Musil, la filigrana
nietzscheana del romanzo nota e compendia in modo evidente
i motivi della decadenza, della critica della morale, del prospettivismo, del nichilismo e dellesistenza sperimentale. Il lavoro di
scavo dostoevskijano e lanalisi genealogica di Nietzsche precorrono e inaugurano quindi quella ricerca rivolta alla dimensione
impersonale, irrazionale, e in definitiva inconscia che diverr decisiva a partire dal primo Novecento prima in ambito letterario,
poi in ambito filosofico e scientifico. Limpronta nietzscheana ne
lUomo senza qualit andr riconosciuta in questo senso soprattutto nella rilevanza dedicata allo sfondo indistinto delle emozioni e delle pulsioni da cui la coscienza emerge come la punta di
un iceberg, nella critica ai valori intesi come immutabili, nellidea
di mondo come totale relazionalit, indistricabile abbraccio di
Bene e di Male, di gioia e di dolore, che perennemente fluiscono
luno nellaltro.
Gi allinterno dello Zarathustra la componente magmatica degli istinti, che ribolle al di sotto dellego cosciente, viene continua-

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mente convocata: in una prospettiva in cui mezzanotte anche


mezzogiorno e tutte le cose sono incatenate, intrecciate, innamorate (Za, Il canto del nottambulo), alluomo non mai dato di
rischiarare completamente la propria oscurit interiore. Tra i vari
simboli espressione di questa complexio oppositorum, lalbero mostra allinterno dellopera come lelevazione della coscienza sia intrecciata allo sprofondare delle radici nella terra: Quanto pi egli
vuole elevarsi in alto e verso la luce, con tanta pi forza le sue radici tendono verso terra, in basso, verso le tenebre, labisso verso il
male (Za, Dellalbero sul monte). I detentori delle cattedre delle virt o della coscienza immacolata, coloro che abitano un
mondo dietro il mondo, i dispregiatori del corpo, i sublimi,
sono Lebensformen oggetto della critica zarathustriana proprio
poich, in un modo o nellaltro, operano al fine di arginare, inibire
o illuminare gli aspetti corporei, pulsionali, carnali, dionisiaci,
che appartengono alluomo allo stesso modo in cui lombra appartiene allalbero anche nellora del mezzogiorno. Il protagonista
delle Memorie del sottosuolo nega al pari di Nietzsche la possibilit
delluomo teoretico puro, ab-solutus, tutto coscienza: tentare di
cancellare loscuro, il negativo, lultimo resto terreno, significa andare contro il monito zarathustriano di fedelt alla terra, nonch
contro la fede nelluomo compiutamente riuscito e trionfante postulata nella Genealogia (GM I 12). Lelevazione della coscienza
intrecciata con lo sprofondare delle radici nella terra, per cui non
esiste funzione psichica razionale che non abbia il suo rovescio
nella sfera ctonia dellimpulso, del notturno, dellinfracosciente,
ovvero nel regno goethiano delle madri (Goethe 1808/2006: 549).
Goethe stesso anticipa in effetti questo tema affermando significativamente in una lettera a Friedrich Wilhelm Reimer del 5 agosto
1810 che luomo non pu rimanere () a lungo in una condizione cosciente; egli deve rigettarsi di nuovo nellincoscienza; perch
l vive la sua radice (Mazzucchetti 1949: 186).
Luomo si caratterizza quindi per Nietzsche come pluralit
in divenire (Hinbergehender) di impulsi, e dunque come ossimorica individualit plurale che non pu venire circoscritta
dalla psicologia, ma che sfugge alla cattura: di qui la definizione

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nietzscheana in negativo di uomo come animale non ancora


stabilmente determinato (JGB, 62). Come luomo, anche la morale ha una natura plurivoca, che esclude lesistenza di un unico oggetto stabile alla base dellalbero genealogico. Proprio in
questa prospettiva Nietzsche polemizza allinizio di GM I con
gli psicologi inglesi: da un lato pu condividere con Darwin
la diffidenza nei confronti della derivazione di tutte le specie da
ununica forma di vita originaria, dallaltro prende decisamente
le distanze dal cosiddetto positivismo evoluzionista anglosassone, in particolare dalle riflessioni di Herbert Spencer riguardo al
metodo del rigoroso razionalismo antimetafisico e alla convinzione dellesistenza di una radice genealogica univoca7. Questultima critica verr ripresa in GM II 12:
da tempo immemorabile, infatti, si creduto di comprendere nello
scopo comprovabile, nellunit di una cosa, di una forma, di unistituzione, anche il suo fondamento dorigine (). Ma tutti gli scopi, tutte le
utilit, sono unicamente indizi del fatto che una volont di potenza ha
imposto la sua signoria su qualcosa di meno potente e gli ha impresso,
sulla base del proprio arbitrio, il senso di una funzione.

Il riferimento al Wille zur Macht e al suo imporsi nellottica


della Rangordnung delinea uno scenario in cui gli impulsi, ossia le puntuazioni di volont che accrescono o diminuiscono
costantemente la loro potenza (NF 1888-89, 11 [73]), caratterizzano le relazioni dei singoli come una costante lotta finalizzata
alla presenza e allimposizione di un istinto sullaltro. I valori rivelano cos la loro natura di istinti dominanti, cio si impongono
in virt dalla posizione, alta o bassa, che i quanti di forza o
ancora le radiazioni di potenza o le puntuazioni di potenza
(NF 1879-81, 6[70]; 1884-85, 34[123]) occupano allinterno di
quella pluralit di forze che noi convenzionalmente chiamiamo
7 noto come limpostazione genealogica di Nietzsche si sviluppi in diretta polemica con lo scritto di Paul Re Der Ursprung der moralischen Empfindungen (1877), del quale viene criticata limpostazione darwinista. In particolare i primi due capitoli dellopera
di Re Der Ursprung der Begriffe gut und bse, e Der Ursprung des Gewissens affrontano
tematiche strettamente legate a quelle di GM I. (Janaway 2007: 74-89).

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soggetto (Mller Lauter 1978: 189-235)8. In questo senso possibile parlare di Rangordnung als Machtordnung, ossia di gerarchia come ordine della potenza.
La morale esprime e manifesta quindi la tendenza (intesa
come dinamica necessaria della volont di potenza) di ciascuno a far prevalere il proprio tipo, ovvero i propri valori e la
propria visione del mondo. Gli psicologi inglesi si riveleranno per Nietzsche il frutto pi tardivo della morale (platonicocristiana), finalizzata allimposizione degli istinti pi meschini e
degradati delluomo, ossia alla schiavit dellutile e conforme al
fine (GM I, 3). Tale morale inglese presuppone un concettovalore di buono, che va sovvertito e inteso non come essenza
extra-storica e astratta, ma come fenomeno storico, materiale e
complesso:
Orbene, per me in primo luogo un fatto palmare che da parte
di questa teoria viene ricercato e collocato in una sede errata il fulcro
nativo del concetto di buono: il giudizio di buono non procede da
coloro ai quali viene data prova di bont! Sono stati invece gli stessi
buoni, vale a dire i nobili, i potenti, gli uomini di condizione superiore e di elevato sentire ad avere avvertito e determinato se stessi e le loro
azioni come buoni, cio di primordine, e in contrasto a tutto quanto
ignobile e dignobile sentire, volgare e plebeo. Prendendo le mosse
da questo pathos della distanza si sono per primi arrogati il diritto di
foggiare valori, di coniare le designazioni dei valori (). Il pathos della
nobilt e della distanza, come ho gi detto, il perdurante e dominante
sentimento fondamentale e totale di una superiore schiatta egemonica in rapporto a una schiatta inferiore, a un sotto, questa lorigine
dellopposizione tra buono e cattivo (GM I 2).

8 Il termine forza (Kraft) viene derivato da Nietzsche dalla terminologia della fisica e della termodinamica a lui contemporanee e valeva allepoca come sinonimo di
energia (Energie). Su tale accezione fisica della forza, legata appunto agli studi sul principio di conservazione dellenergia e sullazione a distanza di forze di azione e repulsione
(magnetismo, elettricit), Nietzsche fonda alcune delle sue fondamentali considerazioni
sulla plurivoca nozione di potenza (Abel 1998: 82-92; Gori 2007: 219-278).

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3. Laristocratico
Solo una vita soddisfatta di s, forte, vigorosa, ben formata,
felice e traboccante di energie attive ha la forza e lingenuit fanciullesca per proporre se stessa come modello di ci che buono
e di valutare la vita positivamente e non come grave fardello.
Ancora dunque lorigine della valutazione morale di buono
non si fonda su astratte concezioni di bont, di altruismo o di
utilit per i pi, ma su posizioni apparentemente egoistiche e
autocentrate.
Il tipo duomo dominante-aristocratico, kals kai agaths, che
pone come buono se stesso e tutto ci che affine al suo sentire, dunque riconosciuto allorigine del valore di buono dal
punto di vista genealogico. Questa prima acquisizione risulta
problematica perch sembra porre i concetti di buono e di
egoistico sul medesimo piano: lopposizione dualistica egoismo-altruismo, buono-cattivo, tuttavia ricalca esattamente quei
modelli semplicisticamente oppositivi della metafisica classica
(Soggetto-Oggetto, Vero-Falso, Buono-Cattivo, Causa-Effetto,
Origine-Fine), che Nietzsche interpreta come mere schematizzazioni e astrazioni illusorie del mondo. Come gi si cercato di argomentare, per Nietzsche il nostro io, inteso come ego cosciente,
non costituisce affatto un primum gnoseologico-metafisico, ma
si configura piuttosto come conseguenza e frutto di dinamiche
pulsionali pi originarie: non esiste alcun essere al di sotto
del fare, dellagire, del divenire; colui che fa non che fittiziamente aggiunto al fare il fare tutto (GM I 13). Proprio
la nozione di io, intesa a partire da Descartes come ego cogito,
come certezza immediata che consente al pensiero di cogliere se
stesso in modo puro e senza falsificazioni, lillusione che per
Nietzsche sta a fondamento della tradizionale sopravvalutazione
della coscienza da parte della psicologia idealista. Alla realt del
cogito Nietzsche oppone il primato della lotta tra le pulsioni e
dellinterpretazione, poich lio non coglie mai se stesso in modo
chiaro e unitario:

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Continuano ad esserci ingenui osservatori di s, i quali credono che


vi siano certezze immediate, per esempio io penso, o, come era la
superstizione di Schopenhauer, io voglio: come se qui il conoscere
potesse afferrare puro e nudo il suo oggetto, quale cosa in s, e non
potesse aver luogo una falsificazione n da parte del soggetto, n da
parte delloggetto. Ma non mi stancher mai di ripetere che certezza
immediata, cos come assoluta conoscenza e cosa in s comportano una contradictio in adjecto (). Se scompongo il processo che si
esprime nella proposizione io penso, ho una serie di asserzioni temerarie, la giustificazione della quali mi difficile, forse impossibile,
come per esempio, che sia io a pensare, che debba esistere qualcosa,
in generale, che pensi, che pensare sia unattivit e leffetto di un essere
che pensato come causa, che esista un io, infine, che sia gi assodato che cos caratterizzabile in termini di pensiero, che io sappia che
cos pensare. (JGB 16)

Ecco che il tipo aristocratico, e conseguentemente lo stesso


concetto di egoismo nellambito della Genealogia, non vanno interpretati in senso meramente soggettivistico, tanto che
Nietzsche parla di soggetto come di miglior articolo di fede sulla terra (GM I 13): quella del nobile-ben-nato rappresenta
semmai, da un lato, come si visto, una condizione di tracotanza fisiologica legata alla salute fiorente, ricca, spumeggiante al
punto da traboccare (GM I 7), dallaltro, una figurazione simbolica delluomo creatore dei propri valori e della propria morale,
ossia dellaristocratico del carattere e dello spirito inteso come colui che toglie alla vita ogni prevedibilit giocando innocentemente con le sue forme. I riferimenti alla nobilt omerica, romana
o germanica divengono dunque un pretesto per parlare del tipo
attivo inteso come colui che si arroga un diritto che insieme
signorile e ludico nei confronti della vita, delle sue imposizioni e
prescrizioni. Il pathos della distanza consente cos di riconoscere
secondariamente laltro da s come non buono in virt di un
sentimento di differenza irriducibile tra ci che nobile e ci che
ignobile, ossia tra chi padrone delle maschere valoriali dellesistenza e chi invece schiavo di una morale impositiva. Nessuna
nostalgia passatistica dunque da parte di Nietzsche nei confronti

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di una perduta et delloro ovvero di un mondo arcaico segnato


dallethos della forza, ma, al contrario, un auspicio per la venuta futura di uomini pi interi (JGB 257). Questo punto fondamentale viene chiarito da Nietzsche nel paragrafo conclusivo
della nota postuma composta a Lenzer-Heide il 10 giugno 1887
e intitolata Il nichilismo europeo (che precede di esattamente un
mese linizio della stesura della Genealogia):
Quali uomini si riveleranno allora i pi forti? I pi moderati (Migsten), quelli che non hanno bisogno di princpi di fede estremi, quelli
che non solo ammettono, ma anche amano buona parte di caso, di assurdit, quelli che sanno pensare, riguardo alluomo, con una notevole
riduzione del suo valore, senza diventare perci piccoli e deboli: i pi
ricchi di salute, quelli che sono allaltezza della maggior parte delle disgrazie e che quindi non hanno tanta paura delle disgrazie gli uomini
che sono sicuri della loro potenza e che rappresentano con consapevole
orgoglio la forza raggiunta dalluomo. (NF 1887, 5[71])

Laristocratico dunque intero dal punto di vista psicologico


nel senso che rappresenta colui il quale risponde con serenit
(Gelassenheit) e senza bisogno di totalizzazioni alle sensazioni
di penuria, insensatezza, e causalit derivanti dallavanzata
del nichilismo. (Stegmaier 2006: 47). Intesa in questo senso la Lebensform aristocratica condivide tratti di quella dello spirito libero
e addirittura di quella indefinita e controversa dellbermensch,
con la differenza che loltreuomo figurazione che si pone addirittura al di l della tracotanza affermativa del signore, proprio perch si pone oltre ogni etica, compresa quella signorile. Con loltreuomo il nobile condivide da un lato la capacit di riconoscere
nel nichilismo e dunque nella svalutazione dei valori tradizionali
unoccasione e un ideale di suprema potenza dello spirito (NF
1887, 9 [39]), dallaltro la condizione di straricco (berreich),
legata alla sovrabbondanza (berflu). Perci egli assimilabile, nel suo agire, alla straripante pienezza della virt che dona:
Sta in primo piano il senso della pienezza, della potenza che vuole
straripare, la felicit della massima tensione, la coscienza di una ricchezza che vorrebbe donare e largire anche luomo nobile presta soc-

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corso allo sventurato, ma non, o quasi non, per piet, bens piuttosto
per un impulso generato dalla sovrabbondanza di potenza. (JGB 260)

Alla cosiddetta prassi di guerra, che talvolta Nietzsche fa


propria nelle ultime opere edite esponendo il proprio pensiero
a facili semplificazioni ideologiche (Stegmaier 1994: 57-59), si
alterna dunque, specialmente nel Nachla limmagine immune
da hybris delluomo di buon umore, sicuro di s, in cui il
piacere del caso, dellincerto e dellimprovviso si manifesta come
solletico (NF 1887, 10[21]).
Similmente alla virt che dona che intrinsecamente connessa al corpo, il pathos della distanza, proprio in quanto pathos,
precede la dimensione cosciente e valutativa, prescinde da utilitaristici rendiconti, un attitudine fisiologica dellaristocratico che
rivela come alla base del giudizio morale vi sia una pi originaria
pulsione volta a differenziare e gerarchizzare le Lebensformen.
Espressioni quali Pathos der Distanz, Affekt der Distanz, moralische Distanz pongono il tema della differenza (sociale, di
rango, ma pi perspicuamente di potenza), come fondamentale
elemento genealogico per la morale: solo un Dio che ci osservi da lontanissimo, sostiene Nietzsche, pu vederci come tutti
uguali, e sono note le parole di Zarathustra contro le tarantole,
Sinnbild dei democratici: Con questi predicatori delleguaglianza io non voglio essere confuso n scambiato. Perch cos parla
a me la giustizia: gli uomini non sono eguali (Za, Delle tarantole). Il nobile, il potente, il forte si arroga il diritto di foggiare
quei valori che il debole-kaks-deils, linfelice-meschino riceve
supinamente. Si configura cos la discriminante tra morale dei
padroni e morale degli schiavi, in cui la distinzione tra buono e
cattivo rispecchia quella tra dominante e sottomesso, tra potente
e debole, tra prestante e malriuscito. Emerge qui un altro snodo
problematico: come possibile sovvertire radicalmente lodierna
gerarchia dei valori se ogni valore rappresenta in definitiva un
agglomerato pulsionale provvisorio? In una prospettiva di critica
alloggettivit, in cui tutti i valori sono semplicemente pregiudizi
intersoggettivi, come si pu scandire un nuovo ordine morale

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garantito dal rango? (cfr. Conway 1994: 319). Non risulta contraddittorio voler proporre qualsiasi nuova tavola di valori che
si configuri come immagine rovesciata, come un rovesciamento
di idoli perfettamente speculare a quelle tavole appena infrante
dal martello genealogico? Se lefficacia di un valore morale ha
unicamente a che vedere con la capacit di questultimo di incrementare la forza, accrescere la potenza e favorire la vita, daltra
parte Nietzsche nega la possibilit di definire il valore stesso della
vita: Giudizi, giudizi di valore sulla vita, in favore o a sfavore,
in ultima analisi non possono essere mai veri; hanno valore soltanto come sintomi () in s tali giudizi sono delle sciocchezze
(GD, Socrate 2). Procedendo su questa linea Nietzsche argomenta che si dovrebbe avere una posizione al di fuori della vita ()
per poter toccare in generale il problema del valore della vita
(GD, Morale come contronatura 5). Le aporie in cui la riflessione nietzscheana sembra incombere appaiono meno perentorie
se si pensa alla possibilit di ordinare gerarchicamente i valori
solo come sintomi intesi in senso fisiologico: un nuovo ordine di
valori pertanto non si basa sul semplice rovesciamento di quelli
tradizionali, ma su una trasvalutazione (Umwertung) nel senso
di una rivalutazione dei valori sulla base della loro vicinanza e
lontananza dalla salute. Ecco che la morale assume il significato di cura della malattia della dcadence, e una definizione della
vita e dei suoi valori risulta superflua se tali valori si interpretano
come virt senza moralina (EH, Perch sono cos accorto), cio
solo sulla base schiettamente antimetafisica della fisiologia. Fu
proprio il risentimento, inteso come odio dei molti malati nei
confronti dellesuberante salute del singolo, dellanimo superiore, a segnare il fondamentale cambio di segno nella definizione di
buono e cattivo. I cattivi non sono connotati moralmente
in senso stretto dalletica eroica, ma definiti dai nobili in base a
constatazioni di dati di fatto, a differenze reali che non hanno
nulla di astratto, sono cio i semplici, gli inetti, i mediocri. Di qui
la comparazione semantica proposta da Nietzsche tra le parole
tedesche schlecht (cattivo), e schlicht (semplice) in GM I 4. Il
cattivo kaks-deils nel senso di uomo comune di basso rango,

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che non ha ancora alcun legame con la malvagit. Il passaggio


fondamentale dal cattivo al malvagio si ha quando il tipo
reattivo sente il bisogno di introdurre un altro sistema di valutazioni che lo riscatti dalla propria situazione di sottomissione: il
cattivo inteso come uomo semplice o plebeo reagisce alla razza
dominante, ed a questa altezza che Nietzsche introduce la figura quanto mai controversa della bionda bestia (die blonde Bestie).

4. La bionda bestia
La Lebensform della bionda bestia rappresenta la metafora
che diede probabilmente adito alle pi pericolose mistificazioni
ideologiche del pensiero nietzscheano: gi dal quinto paragrafo
della prima dissertazione Nietzsche propone unanalisi filologica in cui affianca il greco kaks al latino malus e al greco mlas
(nellaccezione di nero-scuro, bruno-moro), designante originariamente luomo volgare in quanto appunto individuo dal colore scuro, soprattutto nero di capelli (hic niger est), lautoctono
preariano del suolo italico, che per il colore della pelle si distaccava, con la massima evidenza, dalla bionda razza dominante, cio
quella ariana dei conquistatori (GM I 5)9. Dal punto di vista
metaforico il Sinnbild della bestia rimanda in primo luogo al
piacere selvaggio e sensuale legato alla crudelt dionisiaca, e
dunque da un lato allinnocenza barbarica, dallaltro allessenza agonistica dellellenismo. Se associato allaggettivo bionda
rinvia invece ai caratteri di forza, nobilt e purezza che i romani
in fase di decadenza ascrivevano ai guerrieri germanici, i quali
gradualmente si integravano nei ranghi dellesercito imperiale
(Schank 2004: 143, 148). Gi nella Nascita della tragedia la dimensione della bestialit condensa limmagine dellintegrazione
9 Il termine blonde Bestie entra nel vocabolario politico tedesco a partire dal 1895 e
diverr uno slogan antisemita, a partire dal 1906. Esso sar poi il soprannome drammaticamente noto di Reinhard Heydrich, conosciuto anche come il boia di Praga (Brennecke 1976: 136).

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delle fiere selvagge nel corteo dionisiaco, esprimendo il rapporto


sinergico tra natura e cultura caratteristico del mondo tragico:
Il carro di Dioniso tutto coperto di fiori e di ghirlande: sotto il suo giogo si avanzano la pantera e la tigre (GT I). Le tre
occorrenze dei termini bionda bestia allinterno della Genealogia (GM I 11) si riferiscono tuttavia alla belva feroce come
assoggettata dalla malattia della morale addomesticante, ossia
della civilt che marca la netta separazione tra natura e cultura,
conseguenza dellavvicendamento degli schiavi e dei soggiogati
agli audaci, ai nobili e ai tracotanti. Nel Crepuscolo degli idoli il
concetto viene poi ribadito: Nel primo Medioevo, quando effettivamente la Chiesa era soprattutto un serraglio, si dava ovunque
la caccia ai pi begli esemplari della bionda bestia si miglioravano, per esempio, i nobili Germani (GD, I Miglioratori
dellumanit 2). Il nuovo senso di civilt consiste quindi nel
disciplinare con leducazione la bestia da preda uomo cos da
farne un animale mansuefatto e civilizzato, un animale domestico (GM I 11). La figura della bionda bestia germanica venne
riconosciuta anche nellimmagine zarathustriana del leone giallo
dalla bionda criniera (Za, Tra figlie del deserto), ma saranno le
parole della Genealogia dedicate alla bionda razza dominante,
cio quella ariana dei conquistatori (der herrschend gewordenen
blonden, nmlich arischen Eroberer-Rasse) (GM I 5), a indurre
interpreti ideologicamente schierati a giustificare una continuit
tra le teorie della superiorit su basi biologiche della razza e la
riflessione nietzscheana. Sappiamo che Nietzsche possedeva nella
sua biblioteca il libro di Theodor Poesche Die Arier. Ein Beitrag
zur historischen Antropologie (Jena, 1878), nonch un testo canonico sullantisemitismo: ber die gegenwrtige Lage des deutschen
Reich di Paul de Lagarde (Gttingen, 1876; cfr. Vivarelli 2011:
183). Alla luce di una presunta vicinanza dei passi della Genealogia a questi lavori e allopera di Joseph Arthur de Gobineu (Essai
sur lingalit des races humaines, 1853-1854), non solo interpreti come Thomas Fritsch, Lanz-Liebenfels e Houston Steward
Chamberlain forzeranno la connessione presentata nellopera
tra buono-malvagio,puro-impuro, ma individueranno

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nella contaminazione razziale della bionda bestia linesorabile


declino dellEuropa, influenzando direttamente lideologia hitleriana10. Se la conoscenza diretta da parte di Nietzsche dellopera
di Gobineau sembra decisamente dubbia11, una semplice disamina pi attenta di GM I 11 sufficiente a mostrare la distanza tra
Nietzsche e qualsivoglia apologia razziale. Leggiamo infatti che,
nel momento in cui la belva deve di nuovo balzar fuori, deve di
nuovo rinselvarsi aristocrazia romana, araba, germanica, giapponese, eroi omerici, Vichinghi scandinavi tutti sono uguali in
questo bisogno, e ancora come tra gli antichi germani e noi altri tedeschi esista a malapena unaffinit concettuale e tantomeno
una parentela di sangue (GM I 11)12. Consapevole del pericolo
di fraintendimenti e mitizzazioni fondate sulla devozione acritica
di seguaci in cerca di nuove fedi, Nietzsche si pone dunque al di l
delle letture eroico-germaniche, biologistico-darwiniane, religiose e addirittura antisemite, dal momento che la bestia bionda
10 Lo spirito materialistico, biologistico e collettivista legato alla dottrina delligiene
della razza (Rassenhygiene), verr fatto proprio da autori del nazionalsocialismo ortodosso quali Baeumler, Rosemberg, Spethmann, Weichelt e Obenauer. (Penzo 1997: 132).
noto come in particolare le dottrine nietzscheane della blonde Bestie e dellbermensch
verranno rilette dai teorici di regime in una prospettiva sia di esistenzialismo eroico dal
punto di vista psicologico-pedagogico, che di selezione e perfezionamento biologico dal
punto di vista scientifico. Tale prospettiva diede adito allintreccio tra lelemento spirituale delleducazione (Erziehung) e lelemento naturale dellallevamento (Zchtung)
in visione di una berart, di una specie superiore.
11 Il nome di Gobineau compare solo una volta negli scritti di Nietzsche, in una lettera a Kselitz del 10.12.1888. Inizialmente vicino a Wagner, Gobineau avrebbe poi preso
le distanze dal musicista criticando il Parsifal. Dalle testimonianze biografiche di Andler
(1928: 175) e di E. Frster-Nietzsche (1904: 886), si evince che il rapporto tra Gobineau
e Nietzsche che non si conobbero mai personalmente fu sostanzialmente irrilevante.
Va quindi senzaltro ridimensionata lidea di Taureck il quale, relativamente a GM I 5,
afferma che Nietzsche sarebbe caduto nella trappola di Gobineau. (Taureck 1989:
31). Nietzsche si interess invece alle ricerche del medico e patologo Rudolph Virchow
relativamente allipotesi dellesistenza di una popolazione preariana dai capelli scuri in
Prussia. (GM I 5; Orsucci 1998: 1).
12 Gi durante gli anni di insegnamento a Basilea, del resto, Nietzsche era solito stigmatizzare il mito dellautoctonia greca sottolineando limportanza degli influssi orientali
e semitici sulla cultura ellenica, mentre allaltezza di Umano, troppo umano la mescolanza
dei popoli viene interpretata, alla luce di diverse letture antropologiche coeve, come un
arricchimento.

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innanzitutto un tipo umano, rappresenta cio la Lebensform del


dominatore indipendentemente da qualsiasi contesto razziale e da qualsiasi riflessione sul legame tra razza, suolo, clima e
cultura (Canevari, 2008). Ma possibile spingersi ancora oltre:
proprio in quanto lontana da ogni fervore tellurico legato alla retorica vlkisch del Blut und Boden, la Lebensform della bionda
bestia che incarna il tipo dominatore si pu associare a quella
dellartista, inteso ancora una volta non come signore nel senso di
soggetto prevaricatore, ma come colui che nel senso pi alto non
crea solo opere ma nuove forme di esistenza, in unottica in cui
vita e arte vengono a convergere. Lartista pertanto non colui
che semplicemente raggiunge, afferra e si nutre della propria preda, ma colui che istintivamente, inconsapevolmente, irresponsabilmente, plasma e produce esperimenti esistenziali. Nel suo predare, lartista cattura, distrugge e insieme crea qualcosa di vitale
dallaltrimenti informe massa degli ultimi uomini.

5. Il prete
Alla plurivoca figura della bionda bestia si oppone radicalmente la forma di vita dellanimale addomesticato, che trova la sua
quintessenza nel prete, responsabile della metamorfosi dellanimale da preda in animale in gabbia. Inizialmente accettata nellapparentemente innocua veste del mago e dello sciamano, addirittura
considerata indispensabile per lorganizzazione e la decodifica dei
sistemi simbolici delle nobili bestie da preda, la figura del prete si
rivela invece responsabile non solo del passaggio dallopposizione
buono-malvagio allopposizione buono-cattivo, ma anche del rovesciamento di tali termini: il sacerdote ha saputo cio trasformare le volont puramente negative che covavano negli animi ancora
semplici dei sottomessi kaki-malvagi in energie capaci di creare
valori, anzi, contro-valori in grado in definitiva di vincere sugli
antagonisti, ovvero sui buoni-nobili. Ma vi nella Lebensform sacerdotale una forza sovvertitrice pi profonda: come possiamo
leggere in Ecce Homo, la figura del sacerdote risulta centrale per

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le riflessioni psicologiche della Genealogia nel senso pi ampio:


questo libro contiene la prima psicologia del sacerdote (EH,
Genealogia della morale). Ebbene, se lintera psicologia nietzscheana si fonda sul primato del Trieb, dellimpulso e in generale
delle Stimmungen e delle Neigungen intese come stati danimo e
passioni rispetto alla Selbstgewissheit intesa come soggetto cosciente, il sacerdote emerge come responsabile tout court della
comparsa della coscienza come elemento preminente sullimpulso. La responsabilit del sacerdote da riconoscersi nella sua opera civilizzatrice: la metafisica del prete in quanto nemica dei sensi
reprime quella dimensione oscura, tracotante, notturna, istintuale
e pre-cosciente che era incarnata dallaristocratico e dalla bestia
bionda, opponendole linteriorizzazione, il ressentiment come coscienza dei deboli e dei sottomessi. Nella Lebensform del prete
sembra cos specchiarsi la figura antidionisiaca per eccellenza di
Socrate, che a sua volta aveva opposto lottimismo intellettualista allabisso del tragico. Riemerge qui linflusso dostoevskijano
relativo al ressentiment: il prete asceta, che risulter una figura
centrale per le riflessioni contenute in GM III, il solo in grado
di sedurre lo schiavo donando nuovo senso alla sua sofferenza.
La condizione fondamentale di sofferenza che rende ingiustificata
e ingiustificabile lesistenza finalmente trova una spiegazione nel
concetto di colpa. Lessenza stessa del tragico, ossia limpossibilit
di spiegare da dove venga e da cosa sia motivato il dolore che
intrinseco allessere uomini (Curi 2008: 68), trova dunque il suo
phrmakon, il suo rimedio nelle nozioni paradossali e paralogiche come colpa, peccato, peccaminosit, pervertimento,
dannazione (GM III 16). La mancanza di felicit, di piacere e
di gioia che segna la vita dello schiavo, lo induce a trovare motivazioni: qualcuno deve essere responsabile del fatto che mi sento
male caratteristica di tutti i malati questa conclusione, ()
io soffro: qualcuno deve averne colpa (GM III 16). La malattia consiste esattamente nellincapacit di superare lassurdit
della sofferenza, e la cura del prete sta nel fornire una risposta alla
domanda pressante e tormentosa sulla mancanza di senso: in se
stesso luomo deve cercare il primo avvenimento sulla cagio-

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ne del suo soffrire () in una colpa, in un frammento di passato,


deve comprendere la sua stessa sofferenza come una condizione di
castigo (GM III 20). In questo modo il sofferente diviene peccatore, e la sofferenza diviene colpa, timore, castigo (ibid.). Il
farmaco somministrato al malato non ha come effetto una effettiva berwindung della sofferenza, nel senso di una guarigione
che consenta il pieno recupero della vita terrena, bens determina
una volont nichilistica e passiva di sofferenza, di macerazione, di
avvilimento del corpo nella prospettiva escatologica di guadagnare una vita postuma beata, nella quale felicit ed assenza di dolore
coincideranno. Pi lideale si allontana dalla corporeit e si attesta
nella sua irrealizzabilit terrena, pi motiva la tensione verso di
s (Stegmaier 2004: 155). Il prete annulla la mancanza di senso
della vita ricomprendendo il male nella dimensione della colpa
che esige un castigo:
Ormai si indovina che cosa per lo meno ha tentato, a mio avviso,
lartistico istinto risanatore della vita attraverso il prete ascetico (): a
rendere innocui sino ad un certo punto i malati, a distruggere glinguaribili attraverso se stessi, a dare ai malati lievi una rigorosa direzione
alla volta di s, una direzione a ritroso del loro ressentiment (). Va
da s che non pu trattarsi assolutamente () di un reale risanamento fisiologicamente inteso; non si potrebbe neppure affermare che qui
listinto della vita abbia in qualche modo intenzionalmente mirato al
risanamento. (GM, III, 16)

La sovversione morale e psicologica di cui il sacerdote responsabile ha dunque la sua origine nella grande ragione del corpo, che Nietzsche in Cos parl Zarathustra (Za, Dei dispregiatori
del corpo) descrive non solo nel senso di Leib, di mera fisicit, ma
come Selbst, ossia come complesso di attivit istintive che riassume
in s quei conflitti delle funzioni corporee che per Nietzsche sono
in continuit con i processi mentali. Esattamente agli antipodi di
tale rivalutazione fisiologica, che non riconosce pi nel corpo un
elemento umile e basso, sottomesso allintelletto, ma al contrario
stabilisce una corrispondenza totale tra corpo e spirito, il sacerdote incarna le pratiche antivitali di astinenza e rinuncia. E tuttavia, proprio in quanto espressione del tipo debole, Lebensform

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in cui si manifesta un deficit di volont di potenza, egli si innalza


paradossalmente a dominatore, riuscendo a far prevalere la propria valutazione risentita e reattiva del mondo. Assistiamo quindi
ad una torsione per cui, agli occhi del sacerdote, il corpo diviene
centrale in virt del suo essere negato, ossia non nella prospettiva
di una rivalutazione dei sensi, ma di una loro spiritualizzazione,
mortificazione e infine negazione. Tutta la dimensione dietetica,
che postula lastensione dalla carne, il digiuno, la continenza sessuale, la fuga nel deserto (GM I 6), finalizzata a fornire un
nuovo significato morale a quei termini di puro e impuro che
originariamente segnavano le discriminati tra classi. Le pratiche
rinunciatarie gettano luomo in una condizione di prostrazione,
ne perpetrano lo stato di malattia, eppure proprio il prete che di
tali pratiche foriero portato a proporre dei rimedi, delle terapie, delle prognosi. Egli edifica cos un intero mondo alternativo
tanto alla malattia fisica quanto alla patologia esistenziale e psicologica. Tale apertura allo spazio dellinteriorit riconosciuta
da Nietzsche come pericolo (Gefahr), termine decisivo allinterno
della Genealogia che indica come la condizione di debolezza dello
spirito reattivo si rivolga in volont di vendetta che tenacemente
ribolle consumando lanimo del debole e del malriuscito: limmeschinirsi e il livellarsi delluomo europeo nasconde il nostro massimo pericolo (unsere grsste Gefahr) (GM I 12). Su questo terreno
nasce lalleanza tra il prete e i sottomessi, qui il termine cattivo
passa a significare malvagio. Nascono nellultimo uomo la doppiezza, lambiguit, il risentimento che erano estranei alla schietta
semplicit dei signori, che appunto da ora divengono i malvagi.
Lo stile di vita del sacerdote comporta dunque un sovvertimento morale della massima pericolosit poich fonda nuove
tavole di valori sul terreno dellinteriorit.

6. Lebreo
Il volto concreto che Nietzsche d al personaggio del prete
da riconoscersi nellEbreo, che Sinn-bild del popolo che ha

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portato il tipo sacerdotale alla sua massima espressione. Tra il


1886 e il 1888 latteggiamento di Nietzsche nei confronti degli
ebrei oscilla pericolosamente tra lammirazione e la critica: in Al
di l del bene e del male leggiamo ad esempio che: gli Ebrei sono
senza dubbio la razza pi forte, pi tenace e pi pura che viva
oggi in Europa (JGB, 251)13. Allinterno della Genealogia egli
ascrive ai semiti la responsabilit di aver inaugurato la rivolta degli schiavi della morale e di aver rovesciato loriginario significato
dei termini buono e cattivo:
Tutto quanto stato fatto sulla terra contro i nobili, i potenti, i
signori, i depositari del potere non merita una parola in confronto
a ci che contro costoro hanno fatto gli Ebrei; gli Ebrei, quel popolo
sacerdotale che ha saputo infine prendersi soddisfazione di propri nemici e dominatori unicamente attraverso una radicale trasvalutazione
dei loro valori, dunque attraverso un atto improntato alla pi spirituale
vendetta. () Sono stati gli Ebrei ad aver osato, con una terrificante
consequenzialit, stringendolo ben saldo con i denti dellodio pi abissale (lodio dellimpotenza), il rovesciamento dellaristocratica equazione di valore (buono = nobile = potente = bello = felice = caro agli dei)
[gut = vornehm = mchtig = schn = glcklich = gottgeliebt] ovverosia i
miserabili soltanto sono i buoni; solo i poveri, gli impotenti, gli umili
sono i buoni, i sofferenti, gli indigenti, gli infermi, i deformi sono anche
gli unici devoti, gli unici uomini pii per i quali soli esiste una beatitudine. (GM I 7)

Il risentimento ebraico nei confronti dei nobili dominatori,


considerati come crudeli tiranni, non solo sovverte laristocratica coincidenza dei valori di bont e potenza, ma subisce poi
la sua pi sottile metamorfosi nellamore cristiano, interpretato
come la pi raffinata forma di vendetta mai apparsa, dove la
volont di preminenza degli schiavi sui dominatori raggiunge la
sua migliore espressione (Canevari: 2008, 79). Lamore cristiano si configura cos come il trionfo del debole e del malato sul
13 del resto noto il disprezzo nietzscheano per gli antisemiti, come dimostrano le
critiche a Eugen Dhring, a Lagarde, al cognato Frster e soprattutto a Wagner (Vivarelli
2011: 184).

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forte e sul sano, come la vittoria della volont di negazione su


quella di affermazione. La glorificazione del dolore, della passione sulla Croce, lapogeo dellautomortificazione e insieme
la giustificazione della vendetta dei deboli contro i nuovi malvagi, ossia i cattivi, ossia i nobili. La vendetta degli schiavi innesca
cos un sentimento che potremmo definire di Shadenfreude, di
godimento per linfelicit inflitta agli antichi padroni, segnati e
avvelenati dalla colpa. a questa altezza che, come si gi accennato, si pu rilevare una latente ma centrale affinit tra le figure
del sacerdote ebraico, del prete cristiano e quella del Socrate descritto nella Nascita della tragedia: figura sostanzialmente plebea,
impertinente e irriguardosa nei confronti degli ideali dei nobili,
fautrice di un metodo dialettico finalizzato alle essenze e dunque agli antipodi rispetto al metodo genealogico, Socrate diviene per Nietzsche il corresponsabile dal punto di vista teoretico
della decadenza e del pervertimento che sacerdoti e preti hanno
innescato dal punto di vista morale. Socrate gode nellumiliare
la crme aristocratica ateniese attestandola in una condizione di
inferiorit non fisiologica o psicologica, ma dialettico-razionale.
Nel Simposio assistiamo a un esempio tipico di Schadenfreude nel
momento in cui il nobile Alcibiade dichiara che soltanto Socrate
in grado di fargli provare vergogna di se stesso (Simposio 216
b): lintero metodo socratico si pu cos considerare una messa
in luce dellincapacit da parte di nobili e dominatori di rendere
ragione del loro modo dessere e del loro sistema di valori. Laristocratico soccombe perch non ha mai sentito il bisogno di
giustificare se stesso e le proprie azioni, non quindi necessario
riferirsi alle riflessioni nietzscheane sulla tragedia euripidea per
vedere come lingenua esuberanza del nobile decada agli occhi
di Nietzsche sotto una nuova forma di agone fondato sul lgos.
Se il nome di Socrate allinterno della riflessione nietzscheana allaltezza della Genealogia compare esplicitamente solo
una volta in relazione alla critica al matrimonio (GM III 8), ben
pi esplicito il riferimento alla figura storica di Paolo di Tarso
(considerato la terza figura ebraica pi importante dopo Ges e
Pietro). In Paolo Nietzsche riconosce il catalizzatore dellodio

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sordo covato dalle masse oppresse dellImpero romano, colui


che trasform il disprezzo (la Ver-achtung) verso i forti in forza
organizzata sul piano sociale (Chiesa), ed in forza coerente sul
piano dottrinale, (Dogma) (Canevari 2008: 83). In questo senso
Nietzsche osserva:
Atteniamoci ai dati di fatto: il popolo ha vinto ovvero gli schiavi
o la plebe o il gregge, chiamateli come vi piace e se questo
avvenuto per mezzo degli Ebrei, ebbene mai un popolo ha avuto una
missione pi grande nella storia del mondo. I signori sono liquidati,
la morale delluomo comune ha vinto. (GM I 9)

Lo spirito del popolo, prima ebraico e poi cristiano, ha assunto


allepoca di Nietzsche il volto degli ideali democratici, del socialismo, e, per tornare allinizio della dissertazione, il volto dello spirito positivista di quegli psicologi inglesi ignari che la predilezione
per il fatto sia debitrice al medesimo spirito livellatore di cui
affetta la morale dei servi. Se nellincondizionata fiducia nelloggettivit scientifica Nietzsche riconosce il rischio di una nuova
fede laica pensiamo al catechismo positivista di Comte egli
riconosce al contempo nei movimenti politici e sociali espressioni
delle classi lavoratrici un desiderio di livellamento e di uguaglianza come espressione delle pulsioni di vendetta e di risentimento
(cfr. ad esempio JGB 203 e Pasqualotto 2008: 114-133).
Lodio originario, la volont del nulla, dopo molte metamorfosi si rivela oggi come nichilismo che pervade ogni manifestazione dello spirito: a questo progressivo esaurimento dello spirito,
ovvero alla dcadence, Nietzsche vuol opporre una Lebensform
inedita, che, come si accennato, superi anche la tracotanza del
signore:
A questo punto non riesco a reprimere un sospiro e unultima speranza. () Ma concedetemi di tanto in tanto posto che esistano divine dispensatrici, al di l del bene e del male uno sguardo, un solo
sguardo concedetemi unicamente rivolto a qualche cosa di perfetto,
di compiutamente riuscito, di beato (). A un uomo che giustifichi
luomo, a una fortunata, complementare e redentrice, ventura umana
(). Oggi nulla vediamo che voglia divenire pi grande, abbiamo il

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presentimento che tutto continui a sprofondare (). La vista delluomo


rende ormai stanchi che cosaltro oggi nichilismo, se non questo?...
Noi siamo stanchi delluomo (GM I 12)

Ecco che il vuoto di senso dellepoca attuale si fa per Nietzsche


chance per lavvento delloltreuomo, il quale, bench non venga
esplicitamente nominato nella Genealogia, resta presente in filigrana come orizzonte di sublimazione delletica agonale in una
sovrana e innocente indifferenza, che disattiva la dinamica del
ressentiment appunto per assenza di antagonisti. Risulta centrale
allora, come argomenta Loeb (2006: 163-173) il riferimento in
apertura della seconda Dissertazione alla forza del dimenticare
(Kraft der Vergelichkeit) intesa non come svuotamento o oblio
assoluto, ma come emancipazione da due millenni di morale e
insieme come facolt attiva di incorporazione-assimilazione (Einverleibung e Einverseelung), appropriazione spirituale di un
passato che diviene linfa vitale per il corpo, che viene digerito e
dimenticato come una pietanza nutriente. Il mantenersi nel presente, lattestarsi nellattimo, impedisce la duplicazione riflessiva
tipica del modello platonico-cristiano e quindi la morale risentita
dello schiavo, che necessita costitutivamente di un mondo a lui
esteriore e opposto.
Come questa umanit futura possa concretizzarsi nel tempo e
nella storia resta taciuto, rimangono aperti il presagio e la grande
promessa di una Lebensform a venire:
Ma in qualche tempo, in unet pi forte di questo marcido, dubitoso presente, dovr pur giungere a noi luomo redentore, luomo del
grande amore e disprezzo, lo spirito creatore che sempre la sua forza
incalzante torna a spingere via da ogni eremo e da ogni trascendenza
(). Questuomo dellavvenire, che ci redimer tanto dallideale perdurato sinora, quanto da ci che dovette germogliare da esso, dal grande disgusto, dalla volont del nulla, dal nichilismo, questo rintocco di
campane del mezzod e della grande decisione () dovr un giorno
venire (GM II 24)

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Alberto Giacomelli

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Note su alcune forme incompatibili


Jean-Michel Rey

1.
Genealogia, il termine di evidente interesse nellambito della
morale. Poich, anzitutto, se si segue Nietzsche, esso permette
di evitare ogni percorso di ordine storico che pretenda di rendere conto di quei grandi concetti che troviamo allorigine del
nostro modo di pensare; esso permette anche di disfarsi di ogni
preoccupazione riguardante la ricerca di unorigine e tutto ci
che le assomiglia. Evidente e di una grande utilit, nella misura
in cui la morale , a colpo sicuro, lambito prediletto delle cose
indeterminate, quelle che talvolta sono capaci di generare consenso con poca spesa e, allo stesso tempo, di trovare unampia
approvazione per la maggioranza delle proposizioni che proliferano in questo campo. Lo si vede immediatamente leggendo
la Genealogia della morale, quando serve Nietzsche non teme di
utilizzare le virgolette per i vocaboli pi noti, quelli che necessariamente vengono richiesti in questa prospettiva per esempio nella seconda Dissertazione, colpa e cattiva coscienza
e, nella prima, buono e i diversi contrari di questo aggettivo
determinante. La tipografia va qui pienamente tenuta in conto
e pi che mai fa parte del lavoro di scrittura, partecipa dunque
di una prospettiva fondamentalmente critica. Ci sono quindi dei
termini correnti che non possono pi essere intesi per delle ragioni che conviene precisare, termini che possono essere tanto
meno compresi quanto pi essi organizzano un buon numero
dei nostri enunciati e autorizzano la circolazione di ci che, da
troppo tempo, sembra esprimersi con una facilit sconcertante.
Credo che questo sia uno dei Leitmotiv di Nietzsche, special-

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Jean-Michel Rey

mente in questo libro. Una certa facilit nelluso pu talvolta


avere valore di sintomo, in ogni caso essere lindizio di un vero
problema e, conseguentemente, convocare in particolare la riflessione o cosa che pu avere lo stesso senso suscitare delle
considerazioni ironiche per chi diventa attento a un fenomeno di
tale natura. Delle frasi troppo ben formate, in effetti, sono capaci
di far sorgere il sospetto e di rimettere in moto uninterrogazione. Degli enunciati troppo lisci e con una portata troppo grande
sono in grado di far nascere molte domande, domande necessariamente sconvolgenti rispetto a ci che crediamo (da molto
tempo) riguardare lambito della morale.
La genealogia un cammino che ha soprattutto lobiettivo di
mostrare da dove vengono certe parole, da quali luoghi procedono un certo numero di concetti, i quali, esaminati da vicino,
dimostrano di essere senza alcun rapporto con ci che designano. Bisogna imparare a ricostituire tali traiettorie ma anche ad
ascoltare queste grandi parole che simpongono tanto nei discorsi
pi correnti, quanto negli enunciati presunti astratti. la messa
in opera di una posizione di ritirata che sul punto di lasciar intendere che, contrariamente a ci che dichiarato qua e l, non
il senso delle parole ad essere in gioco, dato che, a considerarla
con precisione, una dimensione di questo tipo in effetti introvabile. Si dir che qui si tratta in qualche maniera di una sorta
di ripiegamento della filosofia (e di tutta la morale) su se stesse,
come un seguito dato al movimento kantiano della critica sotto
unaltra forma, indubbiamente pi radicale. Poich non pi la
ragione1 a far le spese delloperazione, ma il linguaggio, nella sua
forma reputata pi nobile o pi compiuta, cio la produzione
dei concetti e la formazione delle proposizioni che vi derivano.
La constatazione che Nietzsche fa qui come in altri testi pu insomma riassumersi cos: noi non sappiamo pi ci che diciamo
quando continuiamo ad utilizzare questi grandi termini o i loro
equivalenti; i concetti pi comuni hanno tutto ci che serve per
1 Ricordo una frase di Adorno che sembra andare nella stessa direzione: [...] lautocritica della ragione la sua vera morale (Adorno 20069: 81, 146).

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disorientarci. Per Nietzsche non si tratta affatto di rifiutarli e


nemmeno di volerli confutare ci sarebbe assurdo o a sproposito. Si tratta piuttosto di tentare di comprendere e di esplicitare
dove ci conducono, quel che ci fanno cogliere o, anche, quel che
ci fanno fare, le operazioni alle quali essi si prestano mediante se
stessi senza che noi possiamo intervenire, ci su cui ci accecano,
e via di seguito. La funzione di concetti di questa importanza
non quindi mai univoca. Poich qui si trova una vera eredit di
cui, spesso, ci si serve senza mai interrogarsi sulla sua provenienza, sui suoi aspetti maggiori o sulle sue pi diverse costituenti.
Lerede si trova in qualche modo spossessato di ci che presumeva ricevere. Il noi perde il controllo delle forme di discorso
pi abituali, e allo stesso tempo indubbiamente perde anche una
parte della sua consistenza, volendo mantenere ad ogni costo dei
concetti e delle proposizioni vacanti.
Conferiamo tutta la fiducia al Senso senza avere i mezzi per
comprendere di cosa si costituisca; investiamo senza posa su alcune evidenze di cui supponiamo, inoltre, che esse siano riconducibili come automaticamente attraverso il tempo, e conseguentemente al di l di noi stessi. Vogliamo ignorare che questo Senso
pu, come altre cose daltronde, alterarsi nella durata, modificarsi da cima a fondo, che non potr mai essere fissato una volta
per tutte. Cos leredit si disfa nella misura in cui si trasmette,
capace di essere ricevuta in modi diversi supponendo che sia
un solo blocco nei suoi primi momenti. Assumere la misura di
una tale mancanza il primo passo di un cammino che antepone
tutto alla genealogia. Indubbiamente anche ci che permette
di fare un uso effettivamente ironico del pensiero, per esempio
sospendendo le diverse credenze che certi termini sembrano voler sostenere o che certe frasi possono suscitare. Impegnarsi in
un cammino genealogico di questo tipo avere continuamente a
che fare con delle modalit di credenza Glaube e di fiducia
Vertrauen che giungono a noi da lontano e che, oltretutto, non
si danno mai come tali, sembrano dissimularsi dietro alla facciata
concettuale e scomparirvi quasi totalmente, lasciando intatta la
facciata stessa.

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Nietzsche filologo quanto filosofo. Per lui non si tratta affatto di chiedersi, ancora una volta, cosa sia la colpa o la cattiva
coscienza, cosa siano il buono o il cattivo e via di seguito, ma di spostare interamente linsieme del problema. Bisogna
dunque, del tutto diversamente, chiedersi da dove arrivano designazioni di questordine, a cosa corrispondono, che cosa nascondono, da dove vengono le diverse azioni o reazioni alle quali
sono sottoposte. A fondamento del cammino nietzscheano c il
seguente elemento su cui sinsiste: sotto ai concetti pi correnti
i pi datati, quelli che troviamo sotto il segno della pi grande
evidenza si trova un gioco di forze, dei conflitti, delle interpretazioni e, ancora di pi, dei movimenti continui che si direbbero
riguardare una vera captazione di tipo ideologico2: altrimenti detto, tutto quel che arriva ad annebbiare il Senso interferendo con
le sue pretese, tutto quel che gli fa perdere il suo prestigio, le sue
tradizionali caratteristiche, tutto quel che pu contribuire a eroderlo. In fondo, ogni volta, come se la societ non smettesse di
intervenire nelle nozioni rientrando nel campo della morale pi
ordinaria, come se essa premesse senza posa sulla parola tramite
concetti a cui, daltronde, la stessa morale quando non la societ stessa... attribuisce valore al carattere astratto, allaspetto
distaccato, ossia assoluto. La genealogia deve inventarsi le basi
mediante le quali potr cogliere o riconoscere tale pregnanza e
le diverse modalit di unintercessione, le forme di unincessante
interferenza cosa che si potrebbe designare come esistente nelle
pieghe del pensiero. La morale esiste raramente senza che vi sia
uninfluenza della sociologia.
Lesempio indubbiamente pi probante di questo lavoro si
trova in GM II 13, che fondamentalmente affronta la cruciale
nozione di pena. Qui si vede chiaramente come lintroduzione
di un cammino genealogico permetta a Nietzsche di precisare alcuni discorsi precedenti e anche di riformulali in modo pi serrato, di riprendere delle intuizioni molto pi antiche per dare loro
un corso pi ampio o una portata pi generale. In altri termini:
2

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Qualificativo da intendersi in senso generale.

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ogni enunciato di portata filosofica (o morale) dipende da uninterpretazione, legato a delle preferenze (o a degli obblighi) che
sfuggono allinterrogazione, non del tutto separabile dalle diverse circostanze della sua formazione; insomma, i giudizi di
valore sono allegorici, molto spesso dicono una cosa proprio
mentre la nascondono, avendo di mira unaltra cosa rispetto a
quella che ci mettono davanti, costantemente sfasati da se stessi,
senza posa in equilibrio instabile. Quindi la morale appare essere
prima di tutto come un problema dinsieme pi che una risposta,
come costituita di fatto da diversi enunciati dei quali non possibile fidarsi. Di conseguenza una sorta di fondamentale disinganno che il cammino genealogico concepito da Nietzsche mette
in moto. come se, malgrado tutte le smentite che sono state
loro inflitte, si mantenessero delle promesse molto precedenti,
come se il fatto che esse non siano state mantenute in questa prospettiva non avesse grande importanza e non fosse grave.
Nella Prefazione della Genealogia della morale Nietzsche
afferma che bisogna cominciare a porre una buona volta in questione il valore stesso di questi valori e a tale scopo necessaria
una conoscenza delle condizioni e delle circostanze in cui sono
attecchiti, poste le quali si sono andati sviluppando e modificando (GM, Prefazione 6). Tanto lo sviluppo quanto la modificazione cambiano il bersaglio iniziale o ci che pu farne le veci, ci
che si pu supporre essere stato cos (per le necessit della dimostrazione). Ci vale soprattutto per la pena, esclusivamente
posta in questione in questo paragrafo. Rapidamente ricordo qui
a grandi linee questo cruciale discorso per sottolinearne qualche
punto o eventualmente per ampliarlo, ovviamente senza alcuna
pretesa di esaustivit.
2.
A partire dal momento in cui si prende in considerazione la
pena, si obbligati a distinguere con precisione ci che durevole, luso, latto, il dramma, una successione di procedure
diverse, sia che da un lato, in un simile dispositivo, si formi una
costante, sia che, dallaltro lato, si formi ci che fluido, il signi-

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ficato, lo scopo, lattesa, che si connette allesecuzione di tali procedure (GM II 13). Tutto ci che dellordine della procedura
riguarda, con ogni probabilit, una certa preesistenza, e da essa
sembra trarre anche una parvenza di legittimit; mentre il significato manifestamente pi tardo, come secondario, accessorio,
e richiede delle virgolette o un trattamento similare. Il grande
privilegio che la filosofia ha accordato a questa categoria superiore del Significato sembra essere qui particolarmente maltrattato,
in qualche modo abolito, sembra non avere pi nessuna portata. daltronde per questo verso che Nietzsche reintroduce una
parvenza di storia a parte il fatto che il termine evidentemente
assunto in unaccezione del tutto minore, quasi peggiorativa; serve solo per menzionare una successione di esecuzioni, una serie
di utilizzi contingenti di cui ora, secondo Nietzsche, si pu anche
vedere il compimento nellEuropa attuale; degli abbondanti utilizzi che svuotano il termine dellessenziale della sua sostanza e
conseguentemente lo privano dei suoi poteri, si potrebbe anche
dire che ne fanno una sorta di grande carcassa vuota che pu
di conseguenza servire da supporto ai disegni pi insensati, alle
correzioni pi casuali o alle imprese pi nefaste soprattutto,
agli enunciati pi incompatibili. Qui la storia convocata solo
per testimoniare di questo corso accidentato, di queste derive
insensate, nella misura in cui in grado di indicare una serie di
problemi che richiedono di essere trattati.
Tanto vale dire che lo stesso concetto di pena propriamente introvabile, che di fatto non c alcuna unit di senso
quando questo termine viene enunciato, che dunque non ci si
pu sostenere su ci che un termine cos incerto supposto significare. Con questa parola si ha una sorta di cristallizzazione
tardiva che non pu mascherare a lungo il fatto che ce ne siamo
serviti per gli scopi pi vari e che si continua daltronde per la
stessa via, come se niente fosse, come se il concetto potesse mantenersi intoccabile nelle sue variazioni. Lesito di questa storia si
riassume nel fatto che questo concetto non ha pi alcun rapporto
col senso, che sottomesso ai movimenti pi contraddittori o
pi contrastanti, tormentato da forze incompatibili si dir che

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diventato propriamente inutilizzabile, che non risponde pi a


niente di specifico mentre al tempo stesso non si smette di farvi
appello sotto una forma o unaltra, menzionandolo o meno.
Per ampliare un po il discorso di Nietzsche, si dir che la
nostra modernit costituita da termini o concetti, nozioni di
questo tipo; diciamo anche da parole che articolano (senza mai
arrivare a dirlo in quanto tale) un dramma e unattesa, una
struttura molto antica e una legittimazione recente che rispondono a un bisogno momentaneo. Si noter dunque che qui ci
sono allopera due processi differenti che entrano forzatamente in gioco: da un lato, larticolazione tra la forma detta durevole e lelemento presentato come fluido, dallaltro il fatto che
si destina a questa struttura lontana uno scopo a seconda delle
circostanze, che gli simpone un nuovo orientamento perlomeno in apparenza. Il tempo per forza il beneficiario di questo
insieme; tenerne conto contribuisce a rovinare ogni intento di
Senso; tutto ci che pu sembrare prendere a prestito dei tratti
dalleternit (o dai suoi equivalenti) si disfa.
3.
Ci che trattiene lattenzione di Nietzsche in primis che questa storia ha un esito che diventa visibile diciamo che ci vale
anzitutto per chi si preoccupa della genealogia e ha compreso
che bisogna, per quanto possibile, attenersi sempre a siffatta prospettiva. I termini che Nietzsche utilizza qui sono di primaria
importanza: una sorta di unit, che difficile a risolversi, difficile ad analizzarsi e (...) del tutto impossibile a definirsi (GM
II 13). Si coglie in questo il paradosso di ununit che giunge a
mantenersi proprio quando impossibile farsene qualsiasi cosa,
quando impossibile avvalersene. In questo modo uno dei maggiori concetti della morale sfuggirebbe alla definizione, sarebbe
propriamente inafferrabile, si potrebbe aggiungere che farebbe
parte di quel che Paul Valry chiam spesso le Cose vaghe. La
conseguenza di questa mancanza maggiore immediatamente
indicata a chiare lettere da Nietzsche come dipendente dallevidenza pi elementare: oggi impossibile dire esattamente per

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quale ragione si addiviene alla pena (GM II 13). Logica implacabile di una tale constatazione. La questione per quale ragione?
non dunque pi allordine del giorno in questa prospettiva, essa
devessere necessariamente accantonata; si pu capire facilmente
come ci comporti delle conseguenze di primaria importanza,
ovvero anzitutto una lenta rovina delle evidenze tanto dellambito della morale come in altri ambiti, in particolare il politico o
leconomico. Dover abbandonare definitivamente una questione
di questa ampiezza produce, di tanto in tanto, degli effetti su
ogni cammino di pensiero, sposta alcuni dei suoi giochi, modifica
da cima a fondo il regime generale della riflessione. Qualcosa di
cruciale viene a mancare alle nostre abitudini di pensiero e giunge a farsi sintomo. Per dirlo altrimenti: unistanza che rivendica,
sotto una forma o unaltra, la pena, che la auspica, giunge per
forza a parlare nel vuoto, non sa pi nemmeno cosa dice, perch
non pi nella misura di enunciare un qualunque motivo per
reclamare unazione di questa natura, poich di fatto essa resta
senza un perch. Lorecchio del filologo capace di percepire
questi spazi vuoti, questi buchi nel discorso, di cogliere che vi
sono delle cose maggiori che non sono pi formulate del tutto.
In qualche modo la morale diventa orfana e, al contempo, gli
enunciati a poco a poco perdono ogni credibilit, ogni affidabilit; essi non hanno pi il fondamento che gli si supponeva da
tanto tempo. come la fine programmata di una fede, necessaria in simili contesti, una fede che non diceva il suo nome, che
non poteva farlo e che aveva tanta pi efficacia quanto meno si
mostrava.
Di questa unit difficile da risolversi, difficile ad analizzarsi,
che sfugge ad ogni presa concettuale ossia a ogni circoscrizione, si
dir anche che essa paradossalmente accompagna delle pratiche
instabili con ci voglio indicare delle azioni che obbediscono a
una necessit momentanea o a unurgenza dordine strettamente
sociale , che rispondono a unaspettativa che non pi formulata, che hanno di mira uno scopo che non si nomina mai in quanto tale. Zweck ed Erwartung sono i due migliori indicatori per
comprendere come proceda la pena: il Sinn si disfa del fatto

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della sola presenza di questi due tipi di realt operanti nel meccanismo. Si ha qui allopera una sorta di mutismo obbligato, dei
modi di fare che, a colpo sicuro, esigono di non essere mai menzionati, che restano obbligatoriamente in disparte un mutismo
che come la condizione stessa del funzionamento di un buon
numero di processi analoghi o semplicemente simili nellambito
della morale o altrove. quel che Nietzsche indica qui proprio
in filigrana e che spesso si ritrover altrove, in parecchi dei suoi
testi. Gi Pascal e Jeremy Bentham, ovviamente per vie diverse,
mettevano laccento su meccanismi di questo tipo o su processi
in buona parte analoghi; per il primo ci riguarda anzitutto la
religione, per il secondo la politica, pi ancora della morale.
Montaigne, da parte sua, parlava di questa cosa determinante
che ai suoi occhi era il fondamento mistico dellautorit una
formula densa, particolarmente ricca, che, poco dopo, sar ripresa e lungamente commentata da Pascal. Nietzsche si fatto
lerede diretto o indiretto, se cos si pu dire di discorsi di
una simile portata; la sfumatura minima, di poco peso, tra il
fatto di interpretarli, ossia di prolungarli riconoscendo loro un
potere di suggestione, o il gesto, in apparenza del tutto diverso,
che consiste nel reinventarli con i propri mezzi, in altri contesti,
riprendendoli in frasi totalmente differenti.
Valry, coi termini che gli sono propri, mi sembra iscriversi
in una prospettiva simile, particolarmente vicina anche per via
dellinteresse che dimostra per le diverse istituzioni e, soprattutto, com noto, a ci che sempre sembra fondarle su di una modalit singolare, a ci che in ogni caso conferisce loro un corso
in gran parte immaginario (e, non bisogna dimenticarlo, solido
allo stesso tempo), ci che egli chiama Fiducia. difficile dire
se egli abbia letto con attenzione la Genealogia della morale o
solamente sfogliato il libro. Che importa, daltronde: credo che
egli ne reinventi le vie e i percorsi attraverso modalit proprie, ne
riscopra il movimento con effetti del tutto diversi e grazie a dei
termini rielaborati allinfinito. A mio avviso, i suoi Cahiers possono essere letti come degli interminabili esercizi in vista di una
genealogia parallela a quella ingaggiata da Nietzsche che non

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si occupano unicamente della morale, ma che si preoccupano


piuttosto dei grandi concetti allopera nellinsieme della filosofia. In questottica, lironia, com noto, senza posa messa in
opera da Valry; essa risponde anche a una necessit che si dir
di metodo, partecipa del lavoro di tutti gli istanti; una delle
modalit fondamentali di un pensiero di questo tipo.
Si trovano qui dei discorsi che, attraverso percorsi diversi,
vanno incontro alla grande Idea filosofica tedesca anzitutto hegeliana , quellIdea secondo cui la Storia che a poco a poco
fa accadere il Senso conferendogli un corso concreto; di conseguenza per il Senso il Tempo il concetto stesso3. Secondo
Nietzsche, il carattere tardivo dellEuropa (cfr. GM II 13) fa
s che essa non sia pi orientata verso la prospettiva privilegiata
della definizione (verso quel che per molto tempo stato chiamato Concetto o Senso), e anche che abbandoni del tutto la
prospettiva del perch.4 La principale ragione di questa mancanza deriva specialmente dal fatto che pena non pu altro che
essere indicata tra virgolette e che la stessa cosa accade indubbiamente anche per i grandi imperativi, i concetti maggiori della
morale cos come per altri, daltronde.
Le principali nozioni morali dicono sempre di pi o unaltra
cosa rispetto a quel che si presumeva enunciassero o anche producessero: il Senso fa le spese di questo fondamentale difetto,
assentandosi dallorizzonte. Un certo tipo di discorso come votato a dissolversi, quindi a disfarsi dallinterno, non obbedendo
pi alla destinazione che gli era propria, non assolvendo pi al
ruolo che gli era stato assegnato da lunga data: si tratta in particolare di un effetto di usura, per riprendere una metafora comune a Valry e a Nietzsche, e anche di un effetto di svalutazione
3 Come noto, stato Alexandre Kojve a modificare la filosofia hegeliana in questo
senso, pur restando del tutto fedele al testo hegeliano.
4 Questo viene a volte chiamato nichilismo: come il momento in cui un pensiero
incontra i possibili che ha emesso per molto tempo, il momento in cui si deve confrontare
con ci che ha prodotto senza averlo n misurato n compreso, in cui il pensiero diventa
dunque fortemente dipendente da ci che ha dovuto fabbricare in momenti diversi, da
quegli artifici sui quali ha dovuto sostenersi.

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che genera una pratica quasi illimitata del sospetto.5 Entrambi


gli effetti mostrano quel che vi di profondamente enigmatico
nel solo fatto di essere obbligati a dire che, in un dato momento
della Storia, i valori si svalutano, quali che siano le motivazioni o
le modalit di questa diserzione maggiore. Una rovina che anzitutto proviene dal modo in cui, ben prima di noi, essi sono stati
posti, e dalle credenze di cui li si dotati6, dagli investimenti che
essi hanno sopportato.
4.
una sorta di forte messa in guardia quella che Nietzsche
compie qui, su questo oggetto che lontano dallessere insignificante, la pena realt che si presume rispondere a unazione
distruttrice, far fronte a ci che male, rimediare ai diversi
tipi di crimine che una societ pu conoscere. La constatazione implacabile: difetto di senso e mancanza di coerenza da
parte di coloro evidentemente molto numerosi: la societ nella
sua interezza e come istanza dinsieme che evocano la necessit
della pena e lincapacit di legittimare ci che si formula (pi
spesso) con un grande vigore. dellordine del devessere cos e
non altrimenti. Senza minimamente forzare il discorso, si dir
che, come conseguenza diretta di questosservazione cruciale,
una societ non sa pi ci che fa quando pretende di obbedire a
questa necessit interna, ossia il fatto di doversi preoccupare con
priorit delle forme del crimine, di dover quindi trovare le modalit (le pi umane, le pi razionali...) di sbarazzarsene. Resta il
fatto che formulare uneconomia di siffatta natura non va mai da
s, espone colui che vi si arrischia a molti fastidi evidentemente
da parte del corpo sociale, cio del tale o talaltro dei suoi rappresentanti nellordine morale o ancora nellambito politico. A
questo proposito le accuse non mancheranno, com noto, tanto
5 Leconomia molto spesso presente in queste operazioni, per una ragione o per
laltra: essa ha un ruolo maggiore da giocare, molto spesso su alcune modalit metaforiche a partire dal XIX secolo.
6 Cosa che non senza analogie con linsieme del percorso di Etienne de La Botie
nel famoso Discorso sulla servit volontaria.

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per Nietzsche quanto per Valry, del resto con la medesima banalit e senza riguardare nulla di preciso. Anche se si hanno delle
buone ragioni per credere che siano in gran parte conosciuti, dal
fatto in particolare che molti altri li hanno gi lungamente evocati o suggeriti, esistono delle specie di segreti che evidentemente
preferibile non scoprire, delle modalit di funzionamento sulle quali meglio non attardarsi troppo. Si taccer presto come
inutile o anche come propriamente inumano... ogni percorso
che, brancolando, si azzardi ad enunciare qualcosa secondo una
simile logica o che, cosa ancora pi grave, mostri tutta lassurdit
di questo processo, facendo intendere che qui si finisce nellambito delle operazioni che non obbediscono ad alcuna razionalit.
Se non si sa pi per quale ragione si addiviene alla pena,
sembra che non si riesca pi a sapere precisamente quel che si
pretende punire, rispetto a chi e in quale prospettiva si possa
avere una risposta al crimine. La questione resta, inevitabile,
imprescindibile: quindi la stessa istanza che indica ci che il
misfatto, che annuncia che vi dovr essere punizione e che fornisce anche le ragioni7 per procedere in questo modo?
Si potrebbe dire che il corpo sociale che non comprende pi
ci che mette allopera, che non ha pi i mezzi per cogliere ci
che enuncia, ci che decreta come morale elementare, ci che
propone come valori del momento, ci che eredita su modalit
contraddittorie. Vi sono qui molti sintomi che diventano inseparabili e che simpongono sempre pi allattenzione, divenendo
in qualche modo parlanti. Il corpo sociale non sa pi e dunque
non in grado di enunciare cosa sia la pena. Insomma, siamo di
fronte ad unimpossibilit radicale di dare senso a quel che pu
costituire il cimento stesso di una societ; come un fondamentale
divieto di parlare e, soprattutto, unincapacit di pronunciarsi su
ci che sembra dover (o poter) riunire una societ, su quel che
eventualmente gli conferirebbe consistenza. Manteniamo il termine pena in circolazione daltronde, come fare altrimenti?
ma non possiamo pi comprenderlo, coglierne la coerenza inter7

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Si capisce perch qui servano, specialmente, delle virgolette.

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na; esso resta fluttuante, totalmente indeciso, pronto soprattutto


a servire le cause pi diverse, le pi contraddittorie mi sembra
un po come il tempo in SantAgostino: se nessuno ci chiede cosa
nasconde il termine stesso, le cose possono seguire il loro corso
senza grandi difficolt, almeno per un po; di contro, se qualcuno
che sintenda di genealogia o meno ci chiede di precisarlo o
dindicarne almeno un po i contorni e di cosa effettivamente si
tratti con un simile termine, il problema si presenta in tutta la sua
ampiezza, il concetto stesso sembra effettivamente inutilizzabile
nella misura in cui lascia spazio, ad ogni occorrenza, a un utilizzo
particolare o a unapplicazione interessata. La fine del Concetto, la sua sparizione, in particolare quel momento in cui una
societ o almeno alcuni dei suoi rappresentanti, specialmente
quelli che parlano per gli altri fa intervenire un interesse particolare con il pretesto della pi grande generalit, in cui uno scopo specifico predomina assumendo tutte le apparenze del bene
comune. Come si pu facilmente supporre, la cosa avviene di
frequente nellambito della morale, ovviamente in quello della
politica e oggi, a caratteri cubitali, in quello economico. La fine
del Concetto coincide anche con questi momenti, abbastanza
abituali, in cui si arriva a confondere laspettativa (o la speranza)
e la verit, lo sconto e il risultato, il semplice desiderio e la realt;
tutte quelle numerose operazioni attraverso le quali si canalizzano delle forze conferendo loro un nome nobile in apparenza, una
nomina che crea consenso.
Si dir, in un modo un po diverso: a furia di impiegare in
questo modo un termine di siffatta portata intendo la pena
, un bel giorno si manifestano i danni dovuti allusura, lindeterminazione fa problema nella durata e lascia spazio a captazioni o assoggettamenti imprevedibili. Attraverso questo,
si pu senza dubbio capire tutta limportanza che Nietzsche
riconosce al noi ai diversi noialtri... che egli daltronde
cerca di costituire secondo registri differenti , in particolare
nei suoi ultimi testi, e tutte le difficolt che egli ugualmente
incontra per differenziare, allinterno di questa istanza grammaticale e di questa sorta di realt manifestamente polimorfa,

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delle forme fondamentalmente diverse8.


Chi pu dunque dire noi nei diversi enunciati che mirano a
punire? In quale tempo un simile noi pu effettivamente parlare? A chi direttamente si rivolge quando raccomanda la pena
come principale soluzione? A che cosa questo noi pu richiamarsi senza rischiare dessere immediatamente contraddetto?
5.
noto il grande Leitmotiv di questi ultimi anni di Nietzsche,
ci che egli tenta di riprendere facendolo variare in particolare
sotto il nome di nichilismo: i valori stessi si svalutano fortemente; vi una caduta visibile del loro corso, questultimo essendo spesso stato forzato senza che si potesse ammetterlo; non
pi possibile evitare un crollo di questa portata o continuare a
mantenere i valori in rialzo; impensabile il non vedere ci che
accade davanti ai nostri occhi; sempre pi vano ricorrere a degli
artifici che, anche loro, hanno fatto il loro tempo e qui non possono pi essere dalcun aiuto. La morale si trova costantemente
in una situazione precaria, diventa insensata: ci che permette
a qualunque captazione ideologica di giungere a innestarsi sulla
procedura e di influenzarla, conferendogli un orientamento
disastroso, senza grande rapporto con i diversi valori esaltati. Il
risentimento o altri movimenti della stessa natura sanno sfruttare
bene questa situazione. proprio questo che occupa Nietzsche
nei suoi ultimi testi. Si dir che per lui si tratta di definire un
noi liberatosi il pi possibile dai diversi artifici di cui si dotato altrimenti detto, un noi che abbia compreso che conviene,
prima di tutto, separarsi da obiettivi prefissati e da aspettative gi formulate, per cominciare semplicemente ad esistere.
Evidentemente la genealogia nietzscheana costituisce veramente un problema moderno, pi precisamente post-hegeliano.
Lo riassumo in due parole nel modo seguente: la massima incom8 Per un approfondimento sulla questione del noi in Nietzsche, ci si permette di
rimandare al nostro Rey 2010.

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patibilit tra la definizione (o il concetto) e lo svolgimento di un


processo. Un problema di una simile portata comune, secondo
forme ovviamente differenti, a Kierkegaard, Bergson e Heidegger (prima di tutto in Sein und Zeit). Dal momento in cui vi
un processo trasformazione, modificazione, lavoro... lunit
rischia di diventare inafferrabile e la prospettiva concettuale di
rivelarsi effettivamente impraticabile; bisogna in qualche modo
procedere diversamente, inventare dei modi di dire (e di fare)
che provengano da altri orizzonti. Ognuno di questi pensatori
si serve della messa in opera di un dispositivo in vista di rendere
conto di questa inadeguatezza congenita, di questo disadattamento tra ci che e una forma di Discorso che ha largamente
predominato e ha prescritto le forme (e i limiti) di ci che pensabile. Il modo attraverso cui Nietzsche tratta questo problema
consiste anzitutto nellintrodurre la prospettiva di quel che egli
chiama semiotica nel modo seguente: Tutte le nozioni, in cui si
condensa semioticamente [semiotisch] un intero processo, si sottraggono alla definizione. Per precisare bene i giochi di questa
posizione, Nietzsche aggiunge questa osservazione: Definibile
soltanto ci che non ha storia (GM II 13). Qui come altrove,
Nietzsche oscilla tra i segni (dalla forte connotazione medica,
com noto) e i geroglifici trattati nella Prefazione della
Genealogia della morale di cui si conosce la provenienza ma
che, ciononostante, restano profondamente enigmatici.
Questi due termini (intesi secondo unaccezione nietzscheana) possono essere confrontati con lals che compare alla fine
di GM II 13, nellassai lungo elenco che va a chiudere questo paragrafo conferendogli una grande forza teoretica. La pena in
quanto..., la pena come... o al posto di... Questa una modalit
per introdurre ai differenti sensi della pena cio rispetto agli
usi, alle modifiche, alle ristrutturazioni, alle reinterpretazioni i
termini si potrebbero moltiplicare: ci che fa Valry rispetto a
ci che chiamiamo, malgrado tutto, pena: sia essa ci che usurpa questa denominazione, quel che siamo costretti a chiamare in
tal modo, dunque ci che pu essere formulato solo facendo a
poco a poco scoppiare il concetto stesso. La pena non giunge

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mai propriamente a enunciarsi, ma necessariamente sempre als,


esiste solo come qualcosaltro; non pu dunque accedere a nessuna generalit, gi sempre al servizio di uno Zweck o anche
semplicemente impegnata con una Erwartung, non ha dunque
nessuna purezza, sempre sminuita, non quasi niente di per s.
Dal momento in cui si pronuncia questa parola o quando la si
sottintende: fa lo stesso , c un asservimento che interferisce,
viene a prodursi unimpostazione gerarchica, una scala di valori
che viene posta come in silenzio e via di seguito9. La pena
sempre altra cosa da se stessa, unaltra cosa che, essenzialmente,
canalizza e sfrutta ci che pu sembrare durevole e stabile nel
dispositivo dinsieme; essa come necessariamente abitata da un
als che in qualche modo ne moltiplica allinfinito le forme. Del
resto, ci che fa s che essa non possa avere nessuna portata
nellordine della morale pure nella morale sociale.
In questa lunga enumerazione si vedono bene le possibili destinazioni della pena. Ma sintravede altrettanto quel che di
fatto la sua economia quella che in particolare si lascia ricondurre allopposizione creditore/debitore, di cui Nietzsche
parla molto in questo libro come altrove. Evidentemente si potrebbe proseguire questa lista, arricchirla di particolarit, trovare
altri als, mettere in luce altre legittimazioni o giustificazioni di
questo processo. Le forme sembrano potersi declinare a perdita
docchio, e tutto questo riguarderebbe chiaramente un certo numero di dibattiti attuali.
In altri termini, si dir che il cammino genealogico ha come
conseguenza fondamentalmente lo sconvolgimento di tutto ci
che si apparenta a un giudizio determinante (o giudizio sintetico a priori) nel senso forte che Kant conferisce a questa
espressione. Si tratta dellobbligo di riprendere per altre strade,
con degli strumenti da costruire, ci che procede dal giudizio
riflettente, di cercare in qualche modo di rendere conto della
diversit nella quale si confrontano un buon numero di ambiti.
9 La genealogia obbliga a riconoscere che costantemente esiste, al posto del Concetto, lelencazione il via di seguito, leccetera ed altre formule simili.

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6.
Da tutto questo seguono alcune questioni.
Che cosa sarebbe un politico che non accettasse di regolarsi su
di un Senso gi dato, che non cercasse di piegarsi a bisogni o a domande presunte, che cercasse di tener conto del gioco esistente tra
il relativamente durevole e il fluido, che si rifiutasse di contare
su valori facendo affidamento sul passato, lanzianit o la prestazione? Che cosa sarebbe unetica che cercasse di ridurre il pi possibile il campo dellals? Che cosa potrebbe risultare per il noi?
Che cosa pu essere un pensiero che rinuncia alle agevolazioni
delletimologia per impegnarsi ancora di pi in una ruminazione
genealogica, su di un terreno in cui i giochi del linguaggio assumono una forte consistenza?
Accenno velocemente e indirettamente, sviluppando il discorso di Nietzsche, allopposizione (o alla controversia...) tra Heidegger e Wittgenstein. Il XX secolo il momento in cui si formula questo grande dilemma, qui enunciato in modo schematico:
o letimologia generalizzata (del greco antico e di certe lingue
moderne, soprattutto il tedesco) che ha di mira una verit da disoccultare, o lipotesi secondo cui le parole rispondono a scopi
o aspettative. Due concezioni totalmente opposte ossia strettamente incompatibili; per quanto il dilemma sia enunciato sinteticamente, si vede comunque che queste sono due modalit di
tornare sulla dimensione del tempo in quanto inseparabile tanto
dalla ricerca delltymon quanto da ci che nominiamo giochi di
linguaggio o artifici (poetici, o altri), che a essa sono connessi.
Secondo la modalit empirica che caratterizza propriamente
il suo stile, Valry si messo alla prova nel tenere insieme un
cammino in cui i segni non sono del resto altro da ci che qualifico come genealogico, una poetica che conduce lartefatto al
suo apice dintensit e una preoccupazione filosofica rispetto al
tempo e a termini astratti dello stesso tipo.
Esiste un fatto molto notevole, lintermittenza del bisogno di questo termine [il tempo]. E mantengo come principio capitale del mio
sistema o metodo la regola di non dissociare mai da una definizione di

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parola (o da un utilizzo di precisione di una parola astratta) lidea del


bisogno di questa parola. Essa deve rispondere a qualche domanda, che
daltronde pu risultare da unoperazione su di unaltra parola data;
per es. negazione, contrasto, possibilit, [capace], [possibile]), complementare, ecc. In tal caso lesistenza della parola giustificata cosa che
(trattandosi di parole astratte) essenziale alla buona economia del funzionamento dei segni, il pi frequente funzionamento del trasformatore
mentale. Esso un organo di passaggio. (Valry 1957-62: t. XXIV, 441)

E Valry parla, nella stessa prospettiva, di segni che sono inseparabili da una relazione, comparazione, impossibili da isolare
da qualche funzione o ruolo, come le lettere in algebra (Valry
1957-62: t. XXIV, 442).
Come Nietzsche, ma anche differenziandosi da lui, Valry ci
rende attenti al fatto che un cammino genealogico non riguarda
unicamente le parole, ma anche, se non di pi, la formazione
degli enunciati, le diverse operazioni grazie alle quali le parole
originano delle frasi che, in cambio, vengono a modificare fondamentalmente laccezione di quelle parole e questo accade in
tutti gli ambiti.
Traduzione dal francese di Barbara Scapolo

Bibliografia
Adorno, Theodor Ludwig Wiesengrund: 20069. Minima moralia. Meditazioni della vita offesa, 81, trad. it. di R. Solmi, Torino, Einaudi.
La Botie (de), Etienne: 2014. Discorso sulla servit volontaria, trad. it.
a cura di E. Donaggio, Milano, Feltrinelli.
Rey, Jean-Michel: 2010. Let dei concetti, in Per una concettualit del
presente, a c. di B. Giacomini, Paradosso, Padova, Il Poligrafo,
pp. 39-53.
Valry, Paul: 1957-62; t. XXIV. Cahiers [fac-simil], t. I-XXIX, Paris,
ditions du C.N.R.S.

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Credenza, fiducia o conoscenza?


Alcune riflessioni a partire da GM II 13
Barbara Scapolo

Il passo che d avvio alle riflessioni che vorrei proporre in


questo approfondimento quello relativo allanalisi nietzscheana svolta sullambivalente concetto di pena [Strafe] nella sua
sedimentazione di significati, luogo che stato gi pi volte indicato, a giusto titolo, come uno dei momenti teoretici pi significativi della Genealogia della morale. Alcune delle mie considerazioni appariranno in perfetta continuit e complementariet
con il contributo di Jean-Michel Rey proposto in questo volume
(come anche rispetto ad altri suoi lavori1), sebbene esse aspirino
a una problematizzazione che tenga conto non solo dellopera di
Nietzsche in questione, ma anche di alcuni punti nodali della riflessione del filosofo tedesco considerata nel suo insieme. Nello
specifico, il fulcro di questa mia analisi riguarder la problematicit di concetti quali credenza, fiducia e conoscenza2:
una loro messa in questione deve necessariamente attraversare il
pensiero nietzscheano e farsi carico della sua portata ineludibile,
come si cercher di mostrare in seguito.
In GM II 13, luogo qui posto in questione, confluiscono, fino
a sovrapporsi, la verit come problema (cfr. JGB 1) e la morale come problema (cfr. FW 345); esso offrir unoccasione per
riflettere ancora una volta sul significato di questa tangenza di
1 Ci si riferisce al lavoro dedicato in precedenza alla Genealogia della morale (Rey
2010) non meno che alle ricerche sul problema del credito e della credenza nella prospettiva di unontologia del mondo sociale: cfr. Rey 1998, Rey 2002 e Rey 2003.
2 Per un approfondimento ulteriore su questi temi, si rimanda a: Scapolo 2010,
Scapolo 2011, Scapolo 2013 e Scapolo 2014.

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Barbara Scapolo

temi nietzscheani e, al contempo, diverr quello snodo che permetter di individuare una vera e propria chiave di volta circa
la problematicit della morale e della conoscenza. Vale la pena
evidenziarlo subito, non si deve mai dimenticare che per tali
ambiti Nietzsche aspira ad una comprensione prospettica, come
indicato nella Genealogia della morale stessa3. Per il filosofo tedesco esiste infatti un legame inavvertito tra concezioni morali,
convinzioni scientifiche, concetti ed espressione linguistica (Canevari 2008: 103): egli si adoperato anzitutto per fare in modo
che tale rapporto venisse alla luce, ha voluto, cercato e realizzato
un prospettivismo del sapere proprio perch non ha mai scisso
lattivit teoretica dallethos o dallhabitus con cui il filosofo del
domani sar capace di interrogare la realt, ma anche in ragione
del fatto che lesistenza stessa venuto assumendo un carattere
prospettico: Il mondo piuttosto divenuto per noi ancora una
volta infinito: in quanto non possiamo sottrarci alla possibilit
che esso racchiuda in s interpretazioni infinite (FW 374). Non
si deve infatti dimenticare che, per Nietzsche, il senso della verit [Warheitsinn] si sempre mosso nella direzione della scepsi, ovvero secondo una chiave sperimentale dei problemi, senza
Verit con la maiuscola, senza dogmi, assiomi, assolutismi (cfr.
FW 51); in effetti, come indicato nei Frammenti postumi, dare
un senso resta un compito da assolvere, in continua evoluzione (cfr. NF 1887-88, 9[48]). Lethos scettico emerge con forza
maggiore laddove venga a crollare ogni fede ottimistica nelluniversalit della ragione, sostituita dallo spettacolo affascinante e
tragico della pluriversalit, ovvero dellirriducibilit conflittuale
dei diversi punti di vista, delle diverse opinioni.
Com noto, il suo continuo percorrere e ripercorrere i problemi secondo angolature e prospettive differenti va iscritto nel
progetto generale di una gaia scienza, che riguarda un sapere
3 Esiste soltanto un vedere prospettico, soltanto un conoscere prospettico; e
quanti pi affetti lasciamo parlare sopra una determinata cosa, quanti pi occhi, differenti
occhi sappiamo impegnare in noi per questa stessa cosa, tanto pi completo sar il nostro
concetto di essa, la nostra obiettivit (GM III 12).

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che considera secondo una modalit scettico-ironica gli elementi


del suo stesso discorso, essendo un errore laderirvi in maniera
assoluta, un errore il considerarli come effettivamente acquisiti.
Nietzsche lo scettico, come il suo Zarathustra, infatti perennemente alla ricerca, un viandante che tenta e percorre vie diverse
per giungere alla diffidenza, alla sfiducia [Mitrauen] verso ogni
Verit imposta come assoluto. Tanto la critica e la negazione (il
filosofare con il martello), quanto la scepsi sono al servizio di
questo esperimento: egli altro non desidera che una buona dose
dincertezza, un orizzonte libero, un mare aperto, entro cui sia
possibile esercitare tutto il possibile del pensiero, illimitatamente, senza confini. Che cosa stato finora ostacolato? Il nostro
impulso a sperimentare (NF 1886-87, 7[6]).

1. Un proficuo sintomo da interpretare genealogicamente


Com noto, la seconda dissertazione della Genealogia della
morale riguarda in particolare lo studio della tras-formazione (da
intendersi come divenire della forma, come mutamento, come
processo di formazione nella tensione tra continuit e cambiamento) degli strumenti messi in atto dalla societ per allevare
e disciplinare un animale cui sia consentito fare delle promesse
(GM II 1) e dei risultati ottenuti da questa operazione. La societ
per Nietzsche superiore allindividuo per forza e potenza; in
particolare, rispetto a questultimo, essa si pone nella posizione
del creditore rispetto al debitore. In virt di questa relazione gerarchica, la societ ha strutturato il sistema di pene e punizioni
per costringere lindividuo allobbedienza e indurlo al rispetto
della collettivit e degli impegni che con essa ha assunto. Questo
processo, come sappiamo, per Nietzsche essenzialmente repressivo: grazie alleticit dei costumi e alla sociale camicia di forza
posta sugli istinti, luomo divenne uomo, ossia divent affidabile,
detto altrimenti divenne effettivamente prevedibile. Dallanalisi compiuta qui, nel cuore della Genealogia, emerge anzitutto
unevidente paradossalit e ambivalenza del concetto di pena:

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Nietzsche mette chiaramente in luce come originariamente essa


non coincidesse affatto con la sofferenza. Chiedendosi come sia
potuto succedere che al sentimento del dolore si sia associata
la cognizione della colpa e quindi della giustizia della pena, ci
viene mostrato come a poco a poco i due concetti abbiano finito
per coincidere e sostituirsi al contraccambio, alle forme fondamentali della compera, della vendita, del commercio (GM II
4). Detto altrimenti, Nietzsche ci induce a riflettere sulle trasformazioni per cui la pena arrivata a sostituirsi alla compensazione, rispondendo al paradigma della concezione retributivo/
compensativa cui originariamente era stata consegnata la colpa,
o il debito: alla parte lesa, ossia al creditore, viene concessa (...)
a titolo di rimborso e di compensazione una sorta di soddisfazione intima, ossia il doloroso castigo del reo, il debitore (GM II
5). Qui Nietzsche sottopone al pi radicale tentativo genealogico
anche il lemma tedesco Schuld, concetto polisemico di cui la lingua tedesca bene esprime la complessit, essendo traducibile al
contempo con debito, colpa e dovere e, pertanto, essendo
a sua volta un ottimo terreno per la messa in opera del metodo
genealogico stesso.
In GM II 13 Nietzsche ci dice che pena un concetto difficile da definire (e quindi da utilizzare) nella misura in cui la sua
unit di significati sembra mancare; il moltiplicarsi dei suoi sensi
rende il concetto incerto, suppletivo, accidentale. Si consideri inoltre che lintera storia di una cosa, di un organo, di un
uso pu essere (...) unininterrotta catena di segni che accenna a
sempre nuove interpretazioni e riassestamenti, le cui cause non
hanno neppure bisogno di essere in connessione tra loro; detto
altrimenti, la forma fluida ma il senso lo ancor di pi. Il
problema sollevato da Nietzsche, sul quale peraltro possiamo rilevare una sua marcata insistenza, riguarda il fatto che non si riesce pi a sapere di che cosa parliamo quando utilizziamo termini
cos correnti come Strafe o Schuld. Ricorderemo un passaggio
di GM I 5, dove la stratificazione di significati nel linguaggio
indicata come un problema silenzioso, che appartiene proprio
alle cose e ai termini che le designano, problema che, senza la

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genealogia, passa sotto silenzio nelluso abituale.


Abbiamo dunque incorporato un mondo di segni delle cose e
di una tale confusa mescolanza siamo ormai succubi, dipendenti.
Siamo intrappolati in parole e concetti provenienti dal passato,
non riusciamo a stabilirne leffettiva consistenza, leffettiva possibilit di coincidenza con il nostro presente. Proprio perch non
sappiamo nulla, o quasi, della pena, Nietzsche ci presenta la
necessit di svolgere un excursus lungo la storia di questo concetto. La nuova consapevolezza che egli desidera per il filosofo
dellavvenire proprio il senso storico, ossia la capacit di vedere
i fenomeni di conoscenza, collocati nel tempo e nello spazio, non
come un gi dato ma come sempre suscettibili di interpretazione. In GM I 4 egli ci ha esplicitamente indicato la necessit
di ricerca delle stratificazioni storiche dei significati presenti nel
linguaggio, che, come sappiamo, sono per il genealogista come
reperti del passato nascosti nel sottosuolo per larcheologo: al
suo sguardo, le illusioni provocate dal linguaggio appaiono per
ci che sono, ovvero dei sintomi da interpretare4. Si tratta allora
di ripercorre il pi possibile le metamorfosi di significato subite
dai concetti anzitutto mediante una ricostruzione etimologica e
storica. Detto altrimenti, urgente inventare delle modalit di
accesso a ci che passato, dimenticato, seppellito, a ci che
stato finora ignorato per una pi completa, pi prospettica, comprensione del nostro presente.
La Genealogia della morale in questo senso lesposizione
del metodo genealogico attraverso la sua diretta messa in opera.
Com noto, Nietzsche trasforma la domanda filosofica originaria, il che cos? di Socrate, in che cosa significa?, che a sua
volta prelude al problema Per chi significa, per chi ha valore
questa cosa o questo concetto? A partire da quale visione del
mondo, e a favore di quale tipo umano ci che ha valore ritenuto avere valore?5. di fondamentale importanza evidenziare
4

Cfr. ad es. NF 1885-86, 2[165].


Ma posto che la fede sia svanita, si ripropone la questione: chi parla? (NF
1886-87, 7[6]).
5

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ancora una volta che per Nietzsche non mai indifferente chi
sia a pronunciare un giudizio di valore. La genealogia come metodo apre al sospetto, alla diffidenza rispetto al valore dei valori
mediante la ricerca della loro origine e del loro significato. Nel
6 della Prefazione della Genealogia della morale ci viene infatti
fatto notare come si sia preso il valore dei valori come dato, come
risultante di fatto. In questo senso, verit extramorali saranno
allora quelle che non danno per acquisito una volta per tutte e
in modo autoevidente questo valore dei valori morali; ci si potr
appellare alla loro verit solo se si riuscir a mantenerne aperta
la problematicit. In tal senso il modus operandi genealogico diviene per Nietzsche fondamentale per la realizzazione del grande progetto della trasvalutazione di tutti i valori. Nel senso pi
specifico su cui vorrei focalizzare lattenzione in questa sede, egli
ci mostra come ci serviamo di concetti di cui crediamo di conoscere il significato e, contemporaneamente, che senza lapproccio
genealogico non possiamo capire nulla dei concetti e dei termini che usiamo abitualmente. Detto altrimenti, senza genealogia
non potremo mai avere effettiva conoscenza. In effetti, dietro ai
concetti, il genealogista vede sempre allopera delle forze oscure:
su di esse necessario ruminare, scervellarsi [Grbeln], perch
un inganno, unimpostura, unillusione ossia una credenza
sempre allopera.

2. La critica genealogica
della realt psicologica della credenza
Il termine tedesco con cui Nietzsche indica la fede e la credenza, usati come sinonimi, Glaube. In tutta la sua opera, egli torna continuamente su tutte le forme della Glaube, innumerevoli
sono i luoghi rintracciabili. Come gi Hobbes6, Spinoza7 e, per

6
7

Cfr. Hobbes 1651/2011: I Parte, XII.


Cfr. Spinoza 1670/2010: Prefazione, 1-6.

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vie ancora pi articolate, Hume8, per Nietzsche luomo quasi


sempre totalmente incline a soggiacere alla Glaube, ossia propenso a credere a qualunque cosa9. Un discorso differente riguarda
invece la fiducia [Vertrauen], sulla quale torneremo pi approfonditamente in seguito. Per ora vale la pena sottolineare solo
come Nietzsche rilevi che, al pari dellesperimento, la negazione,
la diffidenza e la contraddizione, anche la credenza, il convincimento e la fiducia sono capacit, potenzialit umane. In particolare, la Glaube fu subordinata alla conoscenza certa e posta al suo
servizio; in tal modo la conoscenza divenne un frammento della
vita stessa e per luomo divenne indispensabile illudersi di possedere un sapere sulla realt e sulla vita (cfr. FW 110).
La vita deve ispirare fiducia [Vertrauen]: il compito, posto in questo
modo, immane. Per assolverlo, luomo deve essere, gi per sua natura, mentitore [Lgner], deve essere, pi che qualsiasi altra cosa, artista
[Knstler]. Ed egli lo anche: metafisica, religione, morale, scienza: non
sono altro, tutte, che emanazioni della volont delluomo di ricorrere
allarte, di mentire, di fuggire di fronte alla verit. La facolt stessa,
grazie alla quale egli fa violenza alla realt mediante la menzogna, questa facolt artistica per eccellenza delluomo: egli lha in comune con
tutto ci che . (...) Che il carattere dellesistenza venga misconosciuto
il profondissimo e supremo fine recondito dietro tutto quanto virt, scienza, devozione, tendenza artistica. Molte cose non vederle mai,
molte cose vederle falsamente, e vederne molte altre che non ci sono:
oh, come si accorti nelle situazioni in cui si ben lungi dal ritenersi
accorti! (NF 1888, 17[3]).

Senza credenze, illusioni e menzogne, senza la certezza di conoscere il vero e il falso, il bello e il brutto, la causa e leffetto,
non potremmo vivere, non potremmo come approfondiremo
meglio in seguito avere fiducia nella vita. Tuttavia, lesperimento di Nietzsche ci indica unaltra direzione, che possiamo
riassumere con la seguente domanda: fino a che punto le verit
8

Tra i molti luoghi di rimando possibili, in particolare cfr. Hume 1741/2008.


Prospettiva sulla quale oggi si continua ad interrogarsi: cfr. ad es. Girotto/Pievani/
Vallortigara 2008.
9

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molteplici e prospettiche che costituiscono il mondo e il nostro


stesso esistere sopportano di essere assimilate, assorbite, cristallizzate in una risposta che necessariamente si trasformer in una
credenza? Ci serviamo del concetto di pena perch crediamo
di sapere che cosa significhi, quale sia la sua verit: ma quali sono
le ripercussioni, gli effetti concreti di questa nostra ignoranza?
Lo si detto, Nietzsche ci mostra come le credenze siano in
gran parte necessarie alla vita umana e come ogni societ ne regoli
variamente luso (ci evidente, ad esempio, nel caso dellanalisi
compiuta da Nietzsche sul concetto di pena). Tuttavia egli ci
mostra anche le devastazioni che ogni credenza, ogni fede non
possono fare a meno di produrre nel tessuto sociale e nellordine
della conoscenza, sul terreno della morale come su quello della
scienza. Si badi bene: non troviamo in Nietzsche una semplice
indagine e critica alla Glaube di matrice metafisica o religiosa,
ma una radicale critica al suo funzionamento come facolt, alla
sua operativit problematica in ogni ambito della conoscenza e
della prassi delluomo. In particolare, lungo la scia humiana, attraverso la critica genealogica della realt psicologica della credenza, facolt costantemente attiva nelluomo, il filosofo tedesco si
ncora in maniera assolutamente inedita e proficua allo scetticismo. Nella sua riflessione vediamo infatti dispiegarsi pienamente
una disposizione che non si limita a mettere semplicemente tutto
in dubbio, ma, con unattitudine pi prossima allethos scettico
antico (che Nietzsche ben conosceva), egli nega decisamente la
possibilit di trovare la Verit come assoluto. Nel suo pensiero
confluiscono in maniera radicale tutte le attitudini e le disposizioni della scepsi, non meno che i suoi risultati problematici,
scagliati contro concetti-bersaglio e contro rapporti mendaci,
creati dalluomo mentitore-artista per sopravvivere, come verofalso, buono-cattivo, causa-effetto, origine-fine. Le stesse nozioni
di causa o di soggetto per Nietzsche non sono altro che credenze, delle finzioni necessarie, illusorie e pregiudiziali, cos come
lunit e la coerenza della persona, intesa come istanza senza
contraddizioni. Egli vuole soprattutto mostrarci lurgenza dello
smascheramento di questa illusione, ossia come luomo sia piut-

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tosto un processo complesso ed incerto, in continua mutazione


e senza una direzione precisa. Leggiamo nel 54 dellAnticristo:
Gli uomini della convinzione non sono da prendere in alcuna considerazione per tutto quanto fondamentale sul valore e disvalore. Convinzioni sono carceri. Non vedono abbastanza lontano, non vedono sotto di s. (...) La libert da ogni specie di convinzioni, il saper guardare
liberamente parte integrante della forza () Viceversa il bisogno di
una fede [Glauben] (...) un bisogno della debolezza. Luomo di fede, il
credente [der Glubige] di ogni specie, necessariamente un uomo
dipendente un uomo che non pu disporre di se stesso come scopo,
che non pu in generale disporre scopi derivandoli da se stesso. Il credente non si appartiene, egli pu essere soltanto un mezzo, egli deve
essere usato, sente la necessit di qualcuno che lo usi. Il suo istinto
attribuisce massimo onore a una morale della spersonalizzazione (...)
Ogni specie di fede , per se stessa, unespressione della spersonalizzazione, di autoalienazione () Il credente non libero di avere in
genere una coscienza per la questione del vero e del non vero:
essere onesti su questo punto sarebbe la sua immediata rovina. (AC 54)

Fede [Glaube] significa non voler sapere quel che vero


(AC 52). Occorre dunque dimostrare che tutte le costruzioni del
mondo sono antropomorfismi e che, senza un certo autoinganno,
nessuno pu credere con sicurezza di possedere la verit. Avere
fede nella verit, altro non significa che illudersi.
Anzitutto, servendosi della scepsi genealogica, si giunge a constatare e a dimostrare che il mondo non razionale: vale la pena
di rileggere un celebre aforisma de Il viandante e la sua ombra,
intitolato La ragione del mondo:
Che il mondo non sia il compendio di uneterna razionalit, lo si pu
definitivamente dimostrare col fatto che quel pezzo di mondo che noi
conosciamo voglio dire la nostra ragione umana non eccessivamente razionale. E se essa non in ogni tempo e completamente saggia
e razionale, neanche il resto del mondo lo sar; qui vale la conclusione
a minori ad majus, a parte ad totum, e invero con forza decisiva. (WS 2)

Nietzsche constata come non si possa suscitare Glaube nelluomo solo con promesse di ricompensa e castigo la fede che
muove le montagne si pu fondare solo sulla coscienza del no-

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stro inevitabile naufragio, se non accettiamo la salvezza che ci


viene ancora offerta, ossia la Glaube scaturisce direttamente
dallintelligenza della nostra situazione, ossia da uninconscia
comprensione del carattere irrazionale, caotico e contraddittorio
della nostra esistenza e dalla volont di misconoscerlo per poter
vivere (NF 1887-88, 11[271]): com noto, in Nietzsche la logica della necessit della menzogna non procede mai senza la
puntuale considerazione tanto della sua utilit quanto del suo
danno. Il Grundproblem riguarder allora lo scoprire da dove
viene questa onnipotenza della fede? della fede nella morale? [Des
Glaubens an die Moral?] (NF 1885-86, 2[165]).
Si ebbe bisogno di Dio come di una sanzione assoluta, che non ha
sopra di s nessunaltra istanza, come di un imperativo categorico;
o, in quanto si credeva allautorit della ragione, si ebbe bisogno di
una metafisica dellunit, in virt della quale diventasse logico ---. (NF
1886-87, 7[6])
Ingenuit, come se la morale restasse, quando viene a mancare il
Dio sanzionante! Lal di l assolutamente necessario, se si tratta di
mantenere in piedi la fede nella morale. (NF 1885-86, 2[165])

Il pregiudizio moralistico di base proprio del filosofo, secondo lo scettico Nietzsche, consiste nel credere che lesser vero sia
in se stesso omogeneo, ordinato e garantito sistematicamente, di
modo che vi si possa riporre fiducia [Vertrauen], in modo irriflesso. Il problema qui sollevato trova il suo fondamento nel moralismo, a sua volta costruzione mendace:
Prescindendo da una sanzione e garanzia religiosa dei nostri sensi e
della nostra razionalit donde potrebbe venirci un diritto alla fiducia
[Vertrauen] verso lesistenza? Che il pensiero sia poi misura del reale
che ci che non si pu pensare non sia un goffo non plus ultra di una
credulit moralistica (nellesistenza di un essenziale principio di verit
nel fondo delle cose), in s una pazza affermazione contraddetta ogni
momento dalla nostra esperienza. Noi addirittura non possiamo pensare niente, in quanto (NF 1885-86, 2[93])

Non esiste alcun Assoluto in cui il contraddittorio e lassurdo


che ci pervade e ci circonda possa venire eliminato, assorbito o
inverato in uninimmaginabile e ineffabile coordinazione, spie-

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gazione, logica. Lintera riflessione di Nietzsche ci mostra come


sia stato proprio attraverso la stessa naturale disposizione a trovare delle ragioni, delle spiegazioni a cui credere, che luomo ha
costruito gli edifici fittizi della conoscenza, della morale e della
religione. Le leggi del pensiero, come quella di identit o di
contraddizione, non hanno nulla di dimostrabile o di razionale,
ma sono solo modi irriducibili di pensare attraverso cui abbiamo
cercato di interpretare il mondo: proprio quando non funzionano pi che ci accorgiamo di tutta la loro provvisoriet e arbitrariet. Il filosofo tedesco aspira ad un
tentativo di pensare sulla morale senza cedere al suo incantesimo,
con diffidenza [Mitrauisch] per il raggiro dei suoi bei gesti e sguardi.
() Il mio tentativo [] di intendere i giudizi morali come sintomi e
linguaggi di segni, in cui si rivelano i fatti del prosperare o del deperire
fisiologico, come anche la coscienza delle condizioni di conservazione
o di crescita. () La mia proposizione principale questa: non ci sono fenomeni morali, ma c solo uninterpretazione morale di questi fenomeni.
(NF 1885-86, 2[165])

Come indicato nella Gaia scienza, luomo necessita di una comprensibilit concettuale dellesistenza, di una certa ristrettezza coerente, logica, che fughi ogni sua paura infatti, la logica a riacquietare, a dar fiducia (FW 370). Tuttavia, dietro tutte le altre
valutazioni si celano in modo determinante () valutazioni morali. Posto che esse cadano, con che cosa misureremo poi? e che valore avranno poi conoscenza, ecc. ecc.??? (NF 1885-86, 2[165]).
Il problema posto qui da Nietzsche ha una portata enorme e, coerentemente al suo filosofare, non propone risposte definitive:
dunque comprensibile perch egli affermi che i fenomeni morali
mi hanno impegnato come enigmi (NF 1886-87, 7[6]).

3. Lintimo e pericoloso rapporto di credenza e fiducia


Proprio nel cuore del progetto di trasvalutazione di tutti i valori, Nietzsche ci indica la necessit di negarsi di riposare in una
fiducia senza fine [endlosen Vertrauen] (FW 285): la verit

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non vale come supremo criterio di valore, ancor meno come


potenza suprema (NF 1888, 17[3]), infatti il pi duro dei
servizi (AC 50), ogni sua briciola sar conquistata faticosamente, a furia di lotta, sacrificando quasi tutto ci cui di solito sono
attaccati labitudine non meno che il cuore, il nostro amore, la
nostra fiducia [Vertrauen] nella vita. Si dovr anzitutto lottare
contro lINERTIA, che attiva nei seguenti ambiti:
1) nella fiducia [Vertrauen], perch la diffidenza [Mitrauen] costa
tensione, osservazione, riflessione;
2) nella venerazione, dove la distanza della potenza grande e la
sottomissione necessaria ()
3) nel senso della verit. Che cos vero? Dove si d una spiegazione
che ci costa il minimo sforzo di pensiero.
4) Nella simpatia. Farsi uguali, cercare di sentire allo stesso modo,
accettare un sentimento gi esistente un sollievo: qualcosa di passivo
rispetto a qualcosa di attivo ()
5) Nellimparzialit e freddezza del giudizio: si aborre dallo sforzo
che costa laffetto e si preferisce trarsi in disparte, assumere una posizione obiettiva.
6) Nella probit: si preferisce obbedire a una legge che gi esiste
piuttosto che crearsi una legge, comandare a s e agli altri. La paura del
comandare. Meglio sottomettersi che reagire.
7) Nella tolleranza: la paura di esercitare il proprio diritto, di giudicare. (NF 1886-87, 7[6])

Della fiducia, primo tra i luoghi indicati sui quali vigilare rispetto a ogni nostra forma di inerzia, abitudine, passivit10, ora necessario specificare la valenza che il concetto viene ad assumere sotto
il maglio del genealogista Nietzsche. La sfumatura di differenza di
significato tra fede/credenza e fiducia per noi sottile, quasi
impercettibile, sembra persino non essere importante; nel nostro
linguaggio corrente spesso utilizziamo i due termini come sinonimi. Come osserva Vittorio Pelligra (2007: 37), che quello definitorio sia un problema cruciale oramai ampiamente riconosciuto.
10 Contro la debolezza prodotta dalla fiducia [Vertrauen]. Io insegno la profonda
diffidenza [Mitrauen] (NF 1883, 17[52]); cfr. anche NF 1883, 20[9].

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La fiducia sempre descritta come un concetto elusivo e un


fenomeno multidimensionale altamente complesso; per questo
essa ha dato origine a un ambiguo pot-pourri di definizioni, basato spesso su una confusione concettuale. In effetti, sebbene a
ognuno di noi appaia evidente, se non addirittura scontato, come
la fiducia sia una componente costitutiva della nostra esistenza,
meno ovvio condurre unanalisi su tale concetto, che ingloba
molteplici significati e presuppone necessariamente un approccio
interdisciplinare. Tale confusione sorge anzitutto perch utilizziamo il concetto fiducia credendo di sapere che cosa significhi: anche
per questo termine valgono infatti le medesime considerazioni
critiche che Nietzsche svolge nella Genealogia della morale per il
concetto di pena. La stratificazione di significati e gli utilizzi pi
svariati della fiducia di fatto impedisce di coglierne lessenza pi
propria, la consistenza specifica. Come la pena, anche la fiducia un concetto fluido su cui si sono sedimentate le pi diverse valenze; esso proveniente da un altro tempo ( dotato quindi
di una sua storia, tutta da decifrare), e pertanto , agli occhi del
genealogista, un sintomo da interpretare. Di pi ancora, lanalisi
del concetto di pena compiuto da Nietzsche evidenzia il darsi di
un simulacro, di ogni simulacro, parvenza o fenomeno, come segno semanticamente vuoto; segno che non dice nulla, segno di cui
la stratificazione progressiva di significati annienta ogni possibilit
di determinazione di contenuto, rivoluzione per cui tutti i segni
si scambiano ormai tra di loro senza scambiarsi pi con qualcosa
di reale (Baudrillard 1979: 18).
Tuttavia, proprio Nietzsche a metterci sulla buona strada per
cercare di tracciare almeno i confini del concetto, ovvero egli ci
rende in grado di misurarne la problematicit, servendosi di due
modalit critiche: la prima, quella genealogica, da lui messa in
opera a titolo esemplificativo in GM II 13 sul concetto di pena,
di cui in precedenza abbiamo cercato di analizzare la valenza (lo
si detto, lanalisi che qui viene effettuata vale infatti per tutti i
concetti che utilizziamo correntemente nel nostro linguaggio e
pertanto essa ci fornisce un metodo preciso con cui abbordare
anche il concetto di fiducia). La seconda riguarda la portata

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specifica che il termine fiducia [Vertrauen] viene ad assumere


proprio in Nietzsche, essendo per noi interpreti del suo pensiero impossibile prescindere dalla solerte attenzione al linguaggio
di cui egli d sempre prova nella sua scrittura, questultima da
intendersi quale ricettacolo pratico della sua stessa filosofia. Va
inoltre rilevato che, daccordo con Nietzsche, anche Paul Valry
ha tentato la medesima operazione critica, che aspirava a uscire
dal linguaggio [sostituendo] allespressione linguistica una sostanza pensabile (Valry 2002: 350), allo scopo di verificarne,
mediante la transazione, la conversione reale. Faire sans croire:
prima di credere ad un concetto necessario averne unidea che
sia separabile dai nomi e dalle proposizioni (Valry 2002: 362).
Anzitutto va detto che, da unanalisi delle ricorrenze nietzscheane, Vertrauen sincontra molto meno frequentemente di Glaube:
sono ad esempio solo 10 i luoghi in cui troviamo il primo termine
nella Genealogia della morale11. Sebbene spesso credenza e fiducia
si sovrappongano nel significato (esiste, innegabilmente, un loro
legame e ci non fa altro che ampliarne la difficolt di comprensione), vi tuttavia una differenza marcata: la fiducia quella funzione che produce credenza nel senso di credito. Nel passo della Genealogia della morale in questione, dove Nietzsche mette alla prova
genealogica il concetto di pena, egli in realt compie un passo
decisivo anche nei confronti del concetto di fiducia: il filosofo
tedesco infatti ci indica come, di fronte ad una riflessione sul significato di pena, vacilli la nostra credenza [Glaube] nel concetto
stesso, scaturente dallincertezza e dalla mancata unit di significato di questo termine ormai logoro, ma non la fiducia [Vertrauen]
in esso altrimenti gi non lo useremmo pi, non accordandovi alcun credito, dunque nessuna efficacia e operativit. Il pi grande
sforzo sar allora quello di comprendere che sono indicibilmen11 Unimprecisione nella traduzione italiana crea confusione in proposito, per cui
apparentemente il termine fiducia (Vertrauen) conterebbe 11 occorrenze. Tuttavia, in
GM II 14, quando Nietzsche parla dellodierno vacillare della nostra fiducia nella pena,
in realt il termine che egli usa Glaube: a vacillare la nostra credenza nel valore della pena, perch, come abbiamo visto, non sappiamo bene quale significato attribuirvi.
Come si approfondir, la fiducia nella pena rimane intatta.

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te pi importanti i nomi dati alle cose di quel che esse sono. ()


fin dal principio la parvenza ha finito quasi sempre per diventare
la sostanza, e come sostanza agisce! (FW 58). Detto altrimenti,
ci che pi di tutto complicato contiene motivo di fiducia [Anla zum Vertrauen] pi di ci che semplice (NF 1884, 27[70]).
Ne consegue che, al di fuori dal codice che li sacralizza, i nomi e i
concetti non meritino pi di essere onorati e nemmeno rispettati. Lunica possibile credenza orientante questo operare critico
quella per cui i pesi di tutte le cose devono essere nuovamente
determinati (FW 269). utile convocare nuovamente Paul Valry per marcare pi specificamente questo punto:
Il ruolo del linguaggio strano. Come quello della fiducia che permette di acquistare senza averne i mezzi o di vendere, il linguaggio
permette delle combinazioni che possono fare a meno di valori autentici e non sono convertibili in essi. Molte parole sono insolvibili e coloro
che le rifiutano vengono chiamati scettici. E lo stesso vale per molte
combinazioni di parole.
Si sostituisce il poter vedere (o fare) col poter esprimere, che esige
soltanto condizioni che dipendono esclusivamente dal funzionamento
dei segni e non dalle cose significate. (Valry 2000: 108)

Funzionale al ragionamento che stiamo cercando di presentare, ricordare che il verbo tedesco trauen, fidarsi, aver fiducia, azzardare e il sostantivo Vertrauen, fiducia, derivano
dal verbo tedesco trsten, consolare, rassicurare, confortare, dare fiducia (questi significati sono daltronde molto
vicini al confidare dellitaliano e al confier del francese, entrambi derivanti dal latino cumfidere). Duplice la dimensione semantica coinvolta dalla fiducia: da un lato, il concetto significa
allora avere fede, e cio credere, pur senza poter contar su
alcun sostegno certo e incontrovertibile per la propria credenza
(ovvero qui implicata una certa dose dincertezza, che emerge
con chiarezza anche dalla relazione credito-debito). Se mi adfido proprio perch non so, cio sono molto lontano da ogni
conoscenza stabile e certa relativamente al futuro, e tuttavia avverto la necessit di rischiare: per farlo, dovr investire, ossia

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dovr mettere in campo una certa dose di fiducia. Dallaltro lato,


la fiducia implica un legame fra colui che nutre unaspettativa
positiva e colui al quale essa rivolta, un legame che ci si aspetta
venga rispettato attraverso latto del solvere. In tali casi essa conduce i soggetti della relazione a esporsi, ossia ad assumersi dei
rischi, e li vincola a un patto pi o meno esplicito.
Soprattutto, la fiducia d origine ad atti che si trovano spesso
nella posizione di produrre, di creare autonomamente: in effetti,
non stupisce scoprire che il significato originario di investire
sia quello di coprire, adornare (derivato del sostantivo femminile latino vestis, vestito, abito): detto altrimenti, lazione
dellinvestire in o su qualcuno o qualcosa (corollario del credere), basata specificamente sullincertezza propria del futuro,
e nel presente agisce adornando, vestendo, ossia coprendo e
camuffando la realt.
Nietzsche ci permette di smascherare le narrazioni della fiducia raccolte in maniera acritica, proprio mostrando come, con
circolarit autoalimentantesi, ogni narrazione, ossia ogni Glaube,
si fonda proprio sulla fiducia [Vertrauen] che le viene accordata.
Credere parrebbe allora configurarsi come la disposizione a conferire alle affermazioni che facciamo e che ci vengono proposte
un surplus di significato e di importanza rispetto al loro significato originario, mediante una fiducia pacificamente loro accordata. Si crede quando si investe in qualcosa di indeterminato e
confuso (in quanto non ne ho esperienza o conoscenza diretta)
che passa per essere una conoscenza certa, non solo per un breve
periodo, ma a volte per tutta la vita.
Infatti la fiducia, presupponendo un investimento, ben lungi
dal ridursi semplicemente a una dimensione irenica di affidamento
(simmetria), ma sempre presuppone anche il rischio e lincertezza (asimmetria). Sia detto come inciso, per questa ragione che,
come felicemente ha individuato Herman Melville nel suo ultimo
romanzo, The confidence man. His Masquerade (1857), uomo di
fiducia e truffatore si rivelano essere figure assai prossime12.
12

Nella lingua inglese, il con-man il truffatore (la truffa anchessa indicata dai

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4. Conoscenza = capovolgere ogni fiducia in dubbio


pertanto massimamente urgente, ci dice Nietzsche, isolare e
criticare tutte quelle credenze, costruzioni o finzioni che rivelano del fiduciario. Mediante la critica genealogica, egli attua una
scepsi o trasvalutazione di tutti i valori cercando di capovolgere
ogni fiducia in dubbio (cfr. FW 343).
Fede, fiducia e conoscenza sintrecciano indissolubilmente: la
trasvalutazione di tutti i valori permette infatti di riconoscere
come finora, mediante un unico atto di fiducia, si sia indicato
come vero ci che invece unelaborazione della nostra mente
atta a sopportare la durezza dellesistenza, necessaria per conferire un senso e un ordine rassicurante alla vita e per sopportare un universo a-finalistico e a-razionale; in questo senso
che la menzogna si deve intendere come necessaria alla vita, che
altrimenti sarebbe insopportabile per luomo. Ma, come indicato
nel 130 di Aurora, non esistono n volont n fini, ce li siamo
immaginati, li abbiamo creati e, soprattutto, vi abbiamo dato credito, li abbiamo sostenuti, ossia abbiamo con fiducia investito
troppo su di essi, mascherando e camuffando la realt13. Credere
si confonde con il conoscere quando si smette di interrogarsi:
La fiducia [Vertrauen] nella ragione e nelle sue categorie, nella dialettica, cio il giudizio di valore della logica, dimostrano solo la loro
utilit, provata dallesperienza, per la vita, non la loro verit.
Che devesserci una quantit di fede [Glaube], che permesso giudicare, che su tutti i valori essenziali manca il dubbio: questo il presupposto di ogni essere vivente e della sua vita. Cio
termini composti confidence-trick o confidence-game). Nel termine inglese va rilevata la
presenza del problematico confidence, che certamente indica la fiducia (sebbene pi comunemente tale significato sia veicolato dal termine trust), ma in particolare esso indica la
confidenza come partecipazione ai segreti altrui o come sicurezza, fiducia in se stessi (selfconfidence) che pu anche diventare spavalderia, sicumera eccessiva (over-confidence).
Non pertanto un caso che in italiano il con-man, il procacciatore di fiducia di Melville,
sia esplicitamente diventato il truffatore, limpostore: come es. di traduzione, cfr.
Melville 1991 e Melville 1998 e, per un approfondimento, Scapolo 2013.
13 La realt del credito, di tutto il commercio mondiale, dei mezzi di comunicazione
si esprime in ci in unenorme, sommessa fiducia nelluomo... (NF 1888, 15[63]).

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che qualcosa sia ritenuto vero, necessario; non che qualcosa sia vero.
(NF 1887, 9[38]).

Credere anzitutto un atto veicolato dal linguaggio. A


Nietzsche fa eco Wittgenstein in Della certezza: la stessa possibilit di convincersi fa parte del giuoco linguistico (Wittgenstein
2000: 3). Per avere un credo abbiamo sempre bisogno di un altro
a cui mostrare che crediamo, a cui parlare di ci che crediamo:
questo altro possono essere gli uomini o perfino Dio. Se la
credenza condivisa, essa acquisisce ancora maggiore potenza.
Tuttavia, sempre Wittgenstein a indicarci come dal fatto che a
me o a tutti sembri cos, non segue che sia cos (Wittgenstein
2000: 2). Anche quando la persona pi degna di fiducia mi assicura di sapere che le cose stanno cos e cos, questo, da solo, non
pu convincermi che davvero lo sia. Mi pu soltanto convincere
che crede di saperlo (Wittgenstein 2000: 137). La convinzione
e la credenza si potenziano se condivise, ossia quando vengono
alimentate dalla fiducia, dal credito accordato da molte persone. Come indicato nella Gaia scienza, il pericolo pi grande
sincontra nelluniversalit e obbligatoriet universalmente imposta di una credenza, nella non arbitrariet del giudicare. E il
pi grande lavoro degli uomini fino ad oggi fu quello di mettersi
daccordo gli uni con gli altri su moltissime cose e dimporsi una
legge di armonia, indifferenti al fatto che queste cose fossero vere
o false (FW 76). Possiamo divenire coscienti di questo fatto, ossia del frequente scambio tra conoscenza e credenza, solo quando prestiamo solerte attenzione al linguaggio, strumento principale di ogni metafisica, dove abbondano le isostenie14.
14 Ricorderemo che per gli scettici antichi lisosthenia era lugual forza di tesi opposte su un medesimo tema o problema (da isos = uguale, e sthnos = forza); attraverso
lisostenia delle ragioni pro o contro una certa ipotesi, lo scettico non poteva che concludere per una sospensione generalizzata del proprio assenso e giudizio, detta epoch,
e al contempo non poteva che astenersi dal coltivare ogni forma di opinione (dottrina
dell'adoxa), se non arrivando addirittura a rinunciare a parlare (dottrina dell'aphasa). Di
fronte alle isostenie teoriche lo scettico si asteneva, mentre nella vita pratica, avendo di
mira, come gli stoici, limperturbabilit del proprio animo, egli si limitava ad adeguarsi ai
costumi: ci accadeva perch si pu ragionevolmente persistere in unastensione radicale
del giudicare solo nel campo del sapere teorico, ma non nella pratica quotidiana, dove,

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Credenza, fiducia o conoscenza?

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Per Nietzsche la radice di queste imposture concordate e alimentate dalla fiducia15 infatti da ricercarsi sempre nel linguaggio: la nostra lingua non uno strumento neutro, essendo una
forma di razionalit implicita che contribuisce a creare i fatti; il
linguaggio ha una modalit valutativa non esplicita, una metafisica segreta. Il filosofo tedesco ritorna frequentemente su questo punto: lo strumento principale di produzione della Glaube
proprio il linguaggio; come gi Sesto Empirico, Nietzsche nega
definitivamente la possibilit di spiegare, di dispiegare il reale
linguisticamente, pur essendo il linguaggio lunico strumento di
cui disponiamo per interpretare e condividere con gli altri la nostra esperienza nel e del mondo. Per questa ragione egli ci dice
che i teorici della conoscenza () sono rimasti penzoloni nei
lacci della grammatica (la metafisica popolare) (FW 354).16
Come indicato nel in GM III 24, lobiettivo dei veri uomini
della conoscenza sar quello di esercitarsi a diventare increduli
[Unglubigen], diffidenti [Mitrauisch] verso ogni sorta di credenti [Glubige]. Nietzsche ci dice che credere ancora nella verit, in qualsivoglia assoluto, possibile solo perch non si osa
vivere su delle ipotesi, in quanto molto pi facile vivere in un
mondo dogmatico che in un sistema incompiuto, che tuttavia dispone di prospettive illimitate. Ogni assolutismo, ogni certezza,
ogni dogma devono pertanto essere messi in questione.
Lo si ribadito pi volte, il pregiudizio di base del filosofo,
secondo lo scettico Nietzsche, consiste nel credere che lesser
vero sia in se stesso omogeneo, ordinato e garantito sistematicamente, di modo che vi si possa accordare fiducia in maniera
senza certezza teorica, sempre si decide e si deve decidere. Per lo scettico, le decisioni
della vita pratica derivano proprio dallincertezza e, non avendo alcun fondamento nella
conoscenza certa del vero e del giusto, ignorano del tutto la skepsi propria di ogni sapere.
15 In questa sede non possibile approfondire adeguatamente le problematiche
specificamente socio-politiche scaturenti da questa analisi, sebbene esse possano senza
dubbio essere intraviste accostando tali considerazioni a quelle svolte in GM II, dove (lo
si analizzato in precedenza) Nietzsche tratta proprio degli strumenti messi in atto dalla
societ per allevare, disciplinare, rendere affidabili i suoi membri. Cfr. inoltre il contributo di J.-M. Rey in questo volume.
16 Tanto Valry quanto Wittgenstein non sono lontani da questa prospettiva.

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Barbara Scapolo

irriflessa. Lintera opera di Nietzsche ci mostra come sia stato


proprio attraverso la sua stessa naturale disposizione a trovare
delle ragioni, delle spiegazioni a cui credere e conferire fiducia,
che luomo ha costruito gli edifici fittizi della conoscenza, della
morale e della religione.
Che qualcosa sia creduto --() Laffermazione che la verit ci sia e che lignoranza e lerrore
abbiano avuto fine, uno dei pi grandi sviamenti che si diano.
Posto che essa venga creduta, la volont di esame, di ricerca, di prudenza, di esperimento ne risulta paralizzata: pu perfino apparire sacrilega, ossia come un dubitare della verit
La verit quindi pi funesta dellerrore e dellignoranza, in
quanto imbriglia le forze con cui si lavora a illuminare e conoscere. ()
pi comodo obbedire che esaminare pi lusinghiero pensare
ho la verit che vedere il buio dappertutto intorno a s
soprattutto: tranquillizza, d fiducia, allevia la vita migliora il
carattere, in quanto riduce la sfiducia (NF 1888, 15[46])

La vera scienza, la vera saggezza, la gaia scienza di Nietzsche


produce invece nellindividuo la grande salute, perch, come
la natura, come luniverso, non buona n cattiva; come mostrato dalla Genealogia della morale, queste categorie con cui interpretiamo noi stessi, gli altri e il mondo appartengono allambito
della Glaube in quanto finzioni, convenzioni-convinzioni da noi
stessi inventate. Pertanto, la gaia scienza non ha motivi n fondamenti per discriminare, ossia per optare in maniera assoluta
per una credenza piuttosto che unaltra; essa pu certamente
investire e conferire serena fiducia a una Glaube, senza tuttavia dimenticarne lo statuto illusorio e la sua operativit funzionale creditizia necessaria al governo di unesistenza caotica e
irrazionale. Non si tratta infatti di pervenire alla sospensione di
ogni giudizio causato dal relativismo delle verit, come accadeva
per alcune scuole scettiche antiche. Nietzsche ricerca piuttosto
una raffinatezza della diffidenza (JGB 260), egli si serve di una
scepsi sottilmente accorta (AC 10).
La scienza che si vuole gaia, attraverso la scepsi, permette dunque di distinguere senza discriminare dogmaticamente e

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Credenza, fiducia o conoscenza?

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incontrovertibilmente, in maniera innocente e spontanea; permette di vivere non sopra o al di fuori del mondo, ma nel mondo
stesso, indissolubilmente intrecciati ad esso; consente di non limitarsi a immiserirsi in una gestione interessata del mondo, volta
pi a produrre fiducia e credito (ovvero a far credere e a rendere
massimamente operativi tutti i derivati connessi a questo processo), che a indagare le possibilit e le modalit entro le quali
possa darsi un pensare critico-filosofico che, prima di ogni altro
contenuto specifico, si proponga come una resistenza rispetto a
ci che al pensiero stesso viene imposto. La nuova fiducia animata da questo ethos devessere una distinzione, un onore,
ossia accordata non in maniera automatica, irriflessa, a causa dei
giochi linguistici (cfr. NF 1888, 15[98]). Ogni surplus fiduciario
verr bilanciato dal suo opposto: Troppo disposto alla fiducia [Vertrauen]? Ma un solitario ha sempre ammucchiato una
grande provvista di fiducia, allo stesso modo naturalmente che
di sfiducia [Mitrauen] (NF 1885-86, 1[204]).
La grande salute che sar prodotta da questa nuova scienza
coincide con quelleccesso che d allo spirito libero la pericolosa prerogativa di poter vivere dora innanzi per esperimento e
di potersi offrire allavventura (MA 4). Per questa ragione, nel
477 di Aurora, Nietzsche si considera redento dallo scetticismo (M 477), e finalmente capace non solo di negare, non solo
di dubitare, ma di dire s alla vita e al mondo. Lultima scepsi
coincide con lindividuazione degli inconfutabili errori delluomo (cfr. FW 265); detto altrimenti, si tratta, in tutta spontaneit
ed innocenza, di cercare di diventare ci che si , in tutta la propria contraddittoriet e incoerenza, al di l di ogni imperativo
categorico, di ogni dover essere, di ogni credenza e convinzione
assunta in maniera dogmatica e incontrovertibile.

Bibliografia
Baudrillard, Jean: 1979. Lo scambio simbolico e la morte, Milano, Feltrinelli.

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Barbara Scapolo

Canevari, Matteo: 2008. Leggere la Genealogia della morale di Nietzsche,


Como-Pavia, Ibis.
Girotto, Vittorio, Telmo Pievani e Giorgio Vallortigara: 2008. Nati per
credere. Perch il nostro cervello sembra predisposto a fraintendere la
teoria di Darwin, Torino, Codice edizioni.
Hobbes, Thomas: 1651/201115. Leviatano, Roma-Bari, Laterza.
Hume, David: 1741/2008. La superstizione e lentusiasmo, in Sulla religione e sui miracoli. Sulla provvidenza e il male, Roma-Bari, Laterza,
pp. 53-61.
Melville, Herman: 1991. Il truffatore di fiducia, in: Tutte le opere narrative di H. Melville, vol. VI, a c. di R. Bianchi, Milano, Mursia.
Melville, Herman: 1998. Limpostore, Milano, Frassinelli.
Pelligra, Vittorio: 2007. I paradossi della fiducia. Scelte razionali e dinamiche interpersonali, Bologna, Il Mulino.
Rey, Jean-Michel: 1998. La part de lautre, Paris, PUF.
Rey, Jean-Michel: 2002. Le Temps du crdit, Paris, Descle de Brouwer.
Rey, Jean-Michel: 2003. Les promesses de luvre. Artaud, Nietzsche,
Simone Weil, Paris, Descle de Brouwer.
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presente, a c. di B. Giacomini, Paradosso, Padova, Il Poligrafo,
pp. 39-53.
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credito come problema, in: Per una concettualit del presente, a c. di
B. Giacomini, Paradosso, Padova, Il Poligrafo, pp. 109-129.
Scapolo, Barbara: 2011. Io credo, tu credi, noi crediamo, in: QuiLibri
8, pp. 22-24.
Scapolo, Barbara: 2013. La dimensione fiduciaria nella relazione creditodebito. Di alcuni problemi suggeriti da Herman Melville, in: Lessico
di Etica Pubblica IV/1, pp. 108-117.
Scapolo, Barbara: 2014. Fiducia nella fiducia? Note a margine di alcuni
esempi, in QuiLibri 25, pp. 39-42.
Spinoza, Baruch: 1670/2010. Trattato Teologico-politico, in: Id., Tutte
le opere, a c. di A. Sangiacomo, Bompiani, Milano, pp. 628-1125.
Valry, Paul: 2000. Quaderni, vol. II, Milano, Adelphi.
Valry, Paul: 2002. Quaderni, vol. V, Milano, Adelphi.
Wittgenstein, Ludwig: 2000. Della certezza. Lanalisi filosofica del senso
comune, Torino, Einaudi.

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Libert e autonomia
dellindividuo sovrano in Nietzsche:
una lettura non-deflazionista
Joo Constncio
1. Lettura deflazionista e non-deflazionista
Nietzsche formula un ideale di libert? possibile, in qualche modo, ascrivere questo autore alla tradizione kantiana che
concepisce la libert come autonomia? Possiamo almeno sostenere che egli faccia riferimento, se non a un ideale, almeno a un
concetto chiaro e coerente di libert? Queste sono alcune delle
questioni di cui si occupa la pi recente letteratura secondaria
su Nietzsche.
Brian Leiter (2011) ha sostenuto che, quando Nietzsche, nella
sezione dedicata allindividuo sovrano in GM (II, 2) e nel paragrafo Il mio concetto di libert contenuto in GD (Scorribande
38), elogia libert, autonomia e responsabilit, egli non
si stia riferendo a ci che noi intendiamo con quei termini. Secondo Leiter, la libert dellindividuo sovrano non sarebbe
altro che una sensazione di libert, e quindi nulla pi che
unattitudine o predisposizione (Leiter, 2011: 115). Un individuo di quel tipo potrebbe avere dei motivi per sentirsi libero, ma in realt non lo sarebbe. Dal momento che molti passaggi
delle opere di Nietzsche sono chiari sul fatto che egli non creda
nellesistenza di un libero volere, nellefficacia di deliberazione e scelta, e neppure in qualche tipo di orientamento consapevole delle proprie azioni, non possibile che egli ammetta
libert, autonomia e responsabilit o, in altri termini, che faccia
riferimento a una nozione di libert intesa come autonomia di
un agente che sia responsabile delle proprie azioni. Pertanto,
secondo Leiter, in quei luoghi Nietzsche userebbe i termini li-

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Joo Constncio

bert, autonomia e responsabilit in senso revisionista e


allinterno di una strategia persuasiva (ibidem: 102). Il suo scopo sarebbe infatti semplicemente quello di utilizzare una connotazione emozionale positiva di quelle parole per poterci convincere di qualcosa che per non rientra nel significato presente o
passato di quei termini. Luso positivo operato da Nietzsche
solo un modo per spingerci ad ammirare la (involontaria) signoria sovra di s (GM II 2) di quelle persone il cui destino ,
innanzitutto, di vivere vite meno incoerenti di quelle degli altri e,
in secondo luogo, di amare il loro proprio destino.
Per la precisione, Leiter ritiene che, oltre a questa interpretazione puramente retorica della sezione sullindividuo sovrano, si
possa dare di essa unaltra lettura deflazionista (Leiter 2011:
103), la quale consisterebbe nel vedere la sezione come una descrizione ironica e caricaturale del borghese moderno, che ritiene
di essere libero e autonomo (di essere, cio, un autentico individuo, in grado di creare i suoi propri valori e agire coscienziosamente, un signore di se stesso e del proprio destino, a cui sia
dovuto disprezzare gli immorali mentitori e tributare rispetto
ai suoi pari), laddove invece il suo privilegio non consiste
che nellabilit da piccolo commerciante di fare promesse e
saldare i propri debiti (ibidem). In ogni caso, sostiene Leiter, la
sezione fa parte della critica che Nietzsche muove alla speranza
illuminista che gli uomini, grazie al libero volere e alle proprie
capacit razionali, possano divenire uguali (ibidem: 118)1.
Entrambe queste letture deflazioniste offrono spunti interessanti di interpretazione del testo di Nietzsche, ma trascurano
un fatto evidente: la descrizione dellindividuo sovrano molto
simile alla quella dellaristocrazia che si trova in GM I (in parti1 Hatab (2008) offre uninterpretazione deflazionista dellindividuo sovrano molto
simile a quella di Leiter, in quanto considera il primo espressione dellindividuo libero
e razionale tipico della moralit e della filosofia politica moderne; lindividuo sovrano
sarebbe quindi una manifestazione dellideale liberale e moderno che Nietzsche respinge.
Per quanto io condivida lidea che Nietzsche respinga questo ideale, cercher di mostrare
che il suo individuo sovrano non ne rappresenta unincorporazione; al contrario, esso
incorpora un ideale alternativo, puramente nietzscheano.

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Libert e autonomia dellindividuo sovrano in Nietzsche

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colare 10), e ancora di pi alle frequenti descrizioni e apprezzamenti da parte di Nietzsche della natura superiore e del tipo
umano dotato del maggiore valore che ha gi fatto pi volte
la sua comparsa nel corso della storia umana (cfr. p. es. A 3-6).
Ciononostante, le considerazioni di Leiter fanno emergere una
questione rilevante. Posto che Nietzsche si contrapponga strenuamente allideale liberale e moderno di libert come autonomia, perch dovrebbe utilizzare in un senso positivo proprio
quelle parole che normalmente critica in quanto espressione di
un ideale pericoloso, nichilistico e decadente? Se Nietzsche si
pone come obiettivo quello di definire unalternativa allideale
liberale e moderno di libert come autonomia, perch dovrebbe descrivere il suo nuovo ideale proprio come un ideale di libert come autonomia?
La mia proposta interpretativa consiste nel sostenere che
quando, in GM II 2, Nietzsche sostiene di concepire lindividuo sovrano come libero e autonomo, egli stia s facendo
riferimento alla connotazione emozionale positiva che i termini
libert e autonomia hanno in epoca moderna, ma stia anche sostenendo che necessario ripensare il significato di questi termini, cos come la stessa sovranit del tipo umano superiore. La sua strategia pu quindi essere definita revisionista
(come sostiene Leiter), se e solo se essa comporta un mutamento
concettuale dei termini libert e autonomia che investe solo
incidentalmente il significato comune di queste parole; detto altrimenti, se e solo se questo mutamento non deriva da una critica
dellutilizzo e della storia di questi termini quale pu essere ad
esempio una genealogia dei concetti di libert e autonomia. In
quanto segue cercher di mostrare brevemente come questo tipo
di critica genealogica comporti il mutamento concettuale di cui
sopra. Mi concentrer inizialmente su alcuni passaggi cruciali del
paragrafo Il mio concetto di libert (GD, Scorribande 38), per poi
svolgere una rapida analisi del significato dei termini libert e
autonomia in GM II 2.

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2. Il mio concetto di libert


La struttura del paragrafo Il mio concetto di libert consiste
in una serie di contrapposizioni che servono a Nietzsche per distinguere la propria nozione di libert da quella liberale. Ecco il
testo integrale:
Il mio concetto di libert. Il valore di una cosa non sta talvolta in ci
che si raggiunge per mezzo di essa, ma in ci che si paga per essa, in
ci che essa ci costa. Ne do un esempio. Le istituzioni liberali cessano
immediatamente di essere liberali non appena le si ottiene: non c in
seguito nessun peggiore e pi radicale danneggiatore della libert che
le istituzioni liberali. Si sa bene che cosa esse mettono in atto: esse minano la volont di potenza, sono il livellamento di monte e valle elevato
a morale, rendono piccoli, codardi e voluttuosi, con esse trionfa sempre lanimale gregario. Liberalismo: detto chiaramente trasformazione
in animale gregario Finch si combatte ancora per esse, queste istituzioni producono tuttaltri effetti; allora esse promuovono realmente la
libert in maniera potente. Se si osserva pi precisamente, la guerra
che produce questi effetti, la guerra per le istituzioni liberali, che, in
quanto guerra, fa persistere gli istinti illiberali. E la guerra educa alla libert. E cos infatti la libert! Avere la volont della responsabilit per
se stessi. Mantenere salda la distanza che ci separa. Diventare indifferenti agli affanni, alla durezza, alla privazione, perfino alla vita. Essere
pronti a sacrificare esseri umani alla propria causa, senza escludere se
stessi. Libert significa che gli istinti virili, che gioiscono della guerra e della vittoria, dominano sugli altri istinti, per esempio su quello
della felicit. Luomo divenuto libero, e tanto pi lo spirito divenuto
libero, calpesta la spregevole sorta di benessere, che sognano bottegai,
cristiani, mucche, femmine, Inglesi e altri democratici. Luomo libero
guerriero. Da che cosa si misura la libert, negli individui come nei
popoli? Dalla resistenza che deve essere superata, dalla fatica che costa
rimanere in alto. Si dovrebbe cercare il tipo supremo di uomo libero
l dove viene superata continuamente la resistenza suprema: a cinque
passi dalla tirannia, vicinissimo alla soglia del pericolo della schiavit.
Questo vero dal punto di vista psicologico, se si intendono qui per
tiranni gli istinti spietati e terribili che richiedono il massimo di autorit e disciplina contro se stessi il tipo pi bello, Giulio Cesare ;
questo vero anche dal punto di vista politico, basta fare qualche passo

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attraverso la storia. I popoli che ebbero qualche valore, che acquisirono


valore, non lo fecero mai sotto istituzioni liberali: fu il grande pericolo
a far di loro qualcosa che merita profondo rispetto, il pericolo, che solo
ci insegna a conoscere i nostri ausili, le nostre virt, le nostre difese e
le nostre armi, il nostro spirito, che ci costringe a essere forti Primo
principio: si deve avere bisogno di diventare forti, altrimenti non lo si
diventa mai. Quelle grandi serre per una specie forte, per la pi forte
specie uomo che sia finora esistita, le comunit aristocratiche alla maniera di Roma e Venezia, intesero la libert precisamente nel senso in
cui io comprendo la parola libert: come qualcosa che si ha e non si ha,
che si vuole, che si conquista (GD, Scorribande 38)

Le prime due contrapposizioni che vengono poste in questa


sezione sono chiare. Prima di tutto, Nietzsche confronta la
guerra per le istituzioni liberali con la fase finale di quel conflitto, listituzionalizzazione liberale della libert. In secondo luogo,
le vite di chi soccombe alla trasformazione in animale gregario
il processo di socializzazione inteso come una trasformazione
delluomo in funzione del gregge (FW 116) vengono confrontate con le vite di chi, in qualche modo, in grado di mantenere la distanza che ci separa. Luomo libero guerriero, afferma Nietzsche, riferendosi a chiunque sia abbastanza forte da
resistere allistituzionalizzazione della libert e alla trasformazione in animale gregario chiunque, cio, sia in grado di scontrarsi
con questi processi (cosa che chiaramente diversa dallesservi
soggiogato o dal vivere al di fuori di essi).
A mio avviso, lobiettivo di Nietzsche nel porre queste due
contrapposizioni di affermare che libert dovrebbe significare indipendenza e individualit. Nella Gaia scienza, ad
esempio, Nietzsche definisce la libert come indipendenza
dellanima (FW 98) e affermazione del singolo (der Einzelne)
contro leggi e costumi e vicini (FW 143), e quindi contro il
gregge (FW 116 e 149). In Al di l del bene e del male, inoltre,
egli afferma che lelevata, autonoma spiritualit, la volont di
far parte per se stessi, la grande ragione vengono comunemente
intesi come una minaccia per il gregge e per listinto gregario
(JGB 201). Allo stesso modo, in un altro celebre paragrafo di

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GD, Nietzsche elogia la libert di Goethe o meglio la forza


che ha permesso al suo spirito di diventare libero in quanto
potere da lui dimostrato di essere creatore di se stesso, di dire
s a tutto quanto gli era affine e di non conoscere pi nulla di
proibito, se non la debolezza (GD, Scorribande 49). Pertanto, vi
libert laddove vi uno spirito guerriero che faccia in modo
che lindipendenza e lindividualit di un soggetto non vengano,
per cos dire, assorbite dal gregge da lui assimilate, dissolte in
una funzione del gregge (FW 116).
Si noti che il tipo di indipendenza e individualit che Nietzsche
ha in mente qui solo relativa. Ci di cui egli parla un grado elevato di indipendenza rispetto al gregge e di individualit rispetto
allanimale gregario. Nietzsche, quindi, non sta sostenendo un
individualismo volto a esaltare un isolamento assoluto dal gregge, quanto piuttosto una guerra contro il gregge. Nel paragrafo
su Goethe, Nietzsche scrive persino che lelevato grado di individualit conseguito da Goethe era in s riprovevole e che, come
ogni altra cosa, esso poteva redimersi e affermarsi nellintero
(GD, Scorribande 49)2.
La terza contrapposizione presente nel paragrafo Il mio concetto di libert mette di fronte libert e istinto della felicit. Con
essa, Nietzsche intende prima di tutto chiarire che, per evitare
di essere risucchiati dal modo di pensare massificato e diventare
cos una funzione del gregge, bisogna essere abbastanza forti da resistere alle comodit derivanti dallappartenere al gregge
abbastanza forti da non dover mai lottare perch si desidera
un incremento di quellagio. Diventare liberi significa diventare
indifferenti agli affanni, alla durezza, alla privazione, perfino alla
2 In parole povere, Nietzsche non esalta lindividualit in s e per s, ma evidenzia
come una tendenza individualistica possa dare risalto alla vita umana mediante la determinazione di una nuova gerarchia (Rangordnung) al suo interno. Cfr. p. es. NF 188687, 7[6]: La mia filosofia diretta a fondare una gerarchia [Rangordnung]: non una
morale individualistica. In questa nota postuma Nietzsche riflette sul fatto che tanto una
morale collettivistica quanto una individualistica siano egualitarie, e quindi prevengano
entrambe il tipo di squilibrio delle forze (le Rangordnungen) che proprio della vita in
generale.

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Libert e autonomia dellindividuo sovrano in Nietzsche

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vita. Essere pronti a sacrificare esseri umani alla propria causa,


senza escludere se stessi, e quindi calpestare la spregevole sorta
di benessere, che sognano bottegai, cristiani, mucche, femmine,
Inglesi e altri democratici (GD, Scorribande 38).
Ma in questa contrapposizione tra comodit e libert c
dellaltro. In questo contesto, infatti, Nietzsche definisce la libert come lavere la volont della responsabilit per se stessi. La
libert non comporta quindi solamente indipendenza e individualit, ma anche responsabilit. Si liberi, infatti, solo quando
si pu dire di essere stati abbastanza forti da intraprendere unazione senza scaricarne la responsabilit su una qualche norma
imposta dalla morale del gregge, o comunque senza appoggiarsi
a ci che il gregge pretende che sia fatto.
Se isolate dal loro contesto, queste considerazioni potrebbero
suonare come una pura e semplice difesa della fiducia liberale
in principi razionali di scelta e deliberazione. Naturalmente, le
cose non stanno in questi termini. Definendo il contesto entro
cui contrappone la propria nozione di libert con il concetto liberale, Nietzsche manifesta chiaramente di non considerare n
la libert n la responsabilit in termini di principi razionali di
scelta e deliberazione. La volont di cui parla Nietzsche una
forza essenzialmente pre-conscia, pre-razionale, che appartiene
allambito degli affetti e degli istinti una forza di cui ogni azione
deliberativa non che uno strumento, mentre le intenzioni
e volont coscienti ne sono meri segni e sintomi (cfr. p.es.
JGB 32)3. Chiaramente, un grado elevato di libert richiede una
grande ragione (JGB 201), e quindi lesperienza di questo alto
3 Sulla concezione nietzscheana del volere come forza non-cosciente (pi propriamente, come pura e semplice attivit organizzata in maniera spontanea di una molteplicit di volont inferiori) cfr. Constncio 2011a e 2014. molto probabile che la
concezione che Nietzsche ha del volere (Wollen) e il suo rifiuto della nozione di volont intesa come entit o una facolt in qualche modo indipendente, debba molto al
testo di Thodule Ribot, Les maladies de la volont (1882). Come Ribot, Nietzsche ritiene
che si possa parlare propriamente di volont solo in riferimento a organismi viventi dotati di coscienza (cfr. FW 127), ma, daltra parte, egli considera la volont cosciente come
la mera superficie di unimmensa e complessa concatenazione gerarchica di volont
inferiori (cfr. JGB 19).

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grado di libert comporter un qualche tipo di deliberazione


o scelta, per quanto la libert non si riduca a nessuna di esse.
Questo discorso assume chiarezza al termine della sezione,
quando Nietzsche introduce unultima contrapposizione tra il
concetto di libert delle moderne societ liberali e quello proprio
di Roma e Venezia:
Quelle grandi serre per una specie forte, per la pi forte specie uomo
che sia finora esistita, le comunit aristocratiche alla maniera di Roma e
Venezia, intesero la libert precisamente nel senso in cui io comprendo
la parola libert: come qualcosa che si ha e non si ha, che si vuole, che
si conquista (GD, Scorribande 38)

Nel nominare queste due citt, Nietzsche sembra riferirsi alla


tradizione del repubblicanesimo classico, e in modo particolare
al repubblicanesimo di Machiavelli e questo gi di per s un
segnale del fatto che la nozione di libert cui fa riferimento non
revisionista e neppure meramente retorica. Il repubblicanesimo di Machiavelli presenta varie differenze significative rispetto
alla democrazia liberale. Tra le altre cose, esso prevede la separazione tra unlite aristocratica e la plebe, e quindi considera
che la libert derivi non tanto dalluniversalizzazione delluguaglianza, quanto dallesistenza di ambiti di uguaglianza gerarchici
e asimmetrici. Solo questo tipo di gerarchia (Rangordnung)
assicura la stabilit dellauto-governo e la sovranit di uno Stato
(o Citt-stato), ovvero la libert tanto per lo Stato quanto per un
numero esiguo di grandi uomini che si sono conquistati virt
e gloria al suo interno. Pertanto, quando Nietzsche sostiene di
considerare la libert come qualcosa che si ha e non si ha, che si
vuole, che si conquista, egli pensa prima di tutto che la libert
sia un traguardo da conseguire. Gli uomini non sono nati liberi e
la libert non una loro abilit naturale. Solo i pregiudizi metafisici della tradizione liberale ci portano a credere che la libert
sia labilit innata nella natura umana di prendere decisioni
e fare scelte in maniera razionale. In realt, la libert un traguardo talmente difficile e raro da conseguire, che dovremmo
considerarlo una precondizione essenziale della grandezza uma-

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Libert e autonomia dellindividuo sovrano in Nietzsche

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na qualcosa di equivalente alla gagliardia (Tchtigkeit), da


Nietzsche definita come virt nello stile del Rinascimento, virt
libera dallipocrisia morale (A 2)4.
In ogni caso, sarebbe un errore imperdonabile pensare che
Nietzsche possa essere etichettato come avvocato del repubblicanesimo classico. Come si legge in GD, Scorribande 43, egli
infatti chiaramente convinto che non sia possibile operare un
qualsiasi tipo di regressione [Rckbildung], e ritiene quindi insensato ogni tentativo di ristabilire ideali pre-moderni: Detto
allorecchio dei conservatori. Quel che prima non si sapeva, e
oggi si sa, si potrebbe sapere , che una regressione, un ritorno, in qualunque senso e grado, non possibile5. Se le cose
stanno cos, il riferimento di Nietzsche a Roma e Venezia non
comporta la difesa di un ideale pre-moderno che vada ripristinato, ma impone di porre in questione lideale predominante della
modernit invitando a guardarlo da una prospettiva pre-moderna, con occhi e affetti diversi allo scopo di poter superare (non
riconciliare, ma proprio oltrepassare) tanto quellideale predo4 Si noti che lespressione Roma e Venezia un riferimento non tanto al Rinascimento in generale, ma alla concezione di Machiavelli in particolare, anche perch che
questultimo riteneva che Venezia, diversamente da Firenze, fosse stata capace di preservare proprio i principi dellorganizzazione politica di Roma (cfr. ad esempio Machiavelli
(1532/2002) Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio I, XLIX, LV). Tuttavia, non possiamo essere certi che Nietzsche avesse in mente questa contrapposizione tra Venezia e
Firenze, ed quindi possibile che egli intenda riferirsi semplicemente allantica Roma e
in generale al periodo rinascimentale. Jacob Burckhardt, del cui profondo influsso sulla
concezione che Nietzsche ebbe del Rinascimento si invece pi sicuri, elogi la stabilit
di Venezia, ma dimostr un entusiasmo ancora maggiore per la meno stabile Firenze
(Cfr. Burckhardt 1860/1952, pp. 58-82). Il suo entusiasmo era dovuto allidea che, nel
corso del Rinascimento, a Firenze pi che negli altri stati luomo si trasforma nellindividuo spirituale, e come tale si afferma (ibid., p. 98). Secondo Burckhardt, il valore
inestimabile del Rinascimento consisteva nel fatto che esso permise lo sviluppo forse
addirittura la nascita dellindividualit (delluomo singolare o uomo unico), e questo fu dovuto fatto che in quel periodo si risvegli una grande libert dello spirito (ibid.
p. 74 e 98 ss.).
5 Cfr. anche NF 1888, 15[97]: Ci che prima non si sapeva: una formazione regressiva non possibile. Ma tutti i moralisti e i preti hanno cercato di riportare gli uomini
a uno schema passato e di sviluppare in loro virt che furono una volta virt. Persino i
politici non sono esenti da questo tentativo, specialmente i conservatori.

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minante, quanto quello che Nietzsche utilizza come strumento di


critica. In parole povere, Nietzsche invita i propri lettori a sviluppare autonomamente una versione moderna di quella nozione di
libert come individualit, indipendenza, responsabilit e virt
che fu propria dellepoca antica e rinascimentale. Ma come potr
mai essere una simile versione moderna?
Uno degli aspetti maggiormente significativi del paragrafo Il
mio concetto di libert che esso sembra non considerare i problemi metafisici od ontologici che comunemente sono connessi
al problema della libert in epoca moderna. Quasi sicuramente
uno dei motivi per cui Nietzsche contrappone la concezione moderna di libert a quella antica e rinascimentale che questultima non-metafisica. Machiavelli, per esempio, considera la
libert sul piano meramente politico e non prende in considerazione la questione metafisica relativa alla libert o meno del
volere. Ma, ancora una volta, Nietzsche non pu accontentarsi
di un concetto ingenuo e pre-moderno, che semplicemente non
tocchi le questioni che il pensiero filosofico ha sollevato nei secoli seguenti. Il paragrafo Il mio concetto di libert definisce forse
una nozione critica e genealogica di libert? In qualche modo s.
Nietzsche scrive che, negli individui come nei popoli, la libert
si misura dalla resistenza che deve essere superata, dalla fatica
che costa rimanere in alto. Si dovrebbe cercare il tipo supremo di
uomo libero l dove viene superata continuamente la resistenza
suprema (GD, Scorribande 38). Nietzsche quindi concepisce la
libert come un superamento di resistenze, in modo particolare
come il superamento di quella che rappresenta la resistenza suprema che impedisce di conseguire indipendenza, individualit,
responsabilit e gagliardia (Tchtigkeit) in altre parole, quella
che determina il mutamento delluomo in animale da gregge.
In altre parole, Nietzsche concepisce la libert nei termini di volont di potenza. Questultima si manifesta infatti laddove vi
un campo di relazioni tra molteplici volont di potenza, e
questo campo non altro che il luogo di scontro tra resistenze.
Come si legge in un quaderno di Nietzsche, infatti, la volont di
potenza pu manifestarsi solo contro delle resistenze (NF 1887,

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9[151]); questo significa che si d volont di potenza nel momento in cui vi una molteplicit di volont che oppongono reciprocamente resistenza, una lotta per il dominio che vive della
tensione generata dalla resistenza di volont contro volont
(Wille gegen Willen, NF 1886-87, 5[9])6.
La volont di potenza lipotesi anti-metafisica e anti-ontologica per eccellenza unalternativa a qualsiasi concezione metafisica e ontologica della vita e della natura che rappresenta un
caso unico nella storia del pensiero filosofico e scientifico7. In Al
di l del bene e del male proprio nel contesto di questa esposizione della volont di potenza che Nietzsche respinge, sul piano
genealogico, tanto la dottrina del libero volere quanto quella
del volere non libero. Entrambe sono da lui considerate come
segni e sintomi di diverse pulsioni istintive sorte nel corso della
storia umana. Secondo Nietzsche, molti di noi hanno creduto
nella dottrina del libero volere perch avvertivano la necessit
di credere nella loro responsabilit, [nel]la fede in se stessi,
[nel] loro personale diritto al proprio merito, mentre altri hanno
creduto alla dottrina del volere non libero perch avevano bisogno di credere di non avere mai alcuna responsabilit n colpa di nulla e desideravano, traendo questo loro atteggiamento
da un intimo disprezzo per se stessi, di poter togliere di mezzo
se stessi in una qualsiasi direzione (JGB 21)8. Entrambe queste
dottrine sono quindi sempre state una funzione di strategie di
6 Sulla natura relazionale della nozione nietzscheana di volont di potenza e sul
tema di resistenza e lotta, cfr. Mller-Lauter 1999: 161-182; Mller-Lauter 1999b:
39-68 e 119-136; Ottmann 1999: 355-358. Cfr. anche Constncio 2014.
7 Cfr. JGB 1-36. Sul valore critico (e quindi anti-metafisico e anti-ontologico) dellipotesi della volont di potenza (JGB 36) si veda in particolare Stegmaier 1992: 307
ss.; Stegmaier 2013: 167-170; Stack 1983: 16, 23, 67-68, 105, 227, 239, 248 e 293.
8 Si noti che in JGB Nietzsche presenta il libero volere come una dottrina del
forte, e il volere non libero come una dottrina del debole, mentre in FW 113 il
libero volere viene descritto come creazione del debole. Questa discrepanza pu
comunque essere giustificata sulla base dellidea che Nietzsche consideri queste posizioni
come segni e sintomi di tendenze che mutano nel corso della storia umana (per cui, in
epoche differenti, il debole potrebbe essere portato a credere tanto nel libero volere
quanto nel volere non libero, e queste due posizioni acquisterebbero un significato
diverso a seconda del caso).

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potenza istintive, sono state create e credute non perch fossero


vere, ma perch, in particolari circostanze, stimolavano il sentimento di potenza di qualcuno. In questo contesto, dunque, la
volont di potenza di Nietzsche unipotesi che sorge dalla sua
critica genealogica di dottrine e interpretazioni passate. La sua
ipotesi la seguente: quando qualcuno parla della propria libert o non-libert, in realt si tratta solo del segnale e sintomo
del fatto che le sue pulsioni sono volont di potenza9.
Quando Brian Leiter sostiene che per Nietzsche libert sia
solo una sensazione di libert (o un sentimento di potenza,
come in GM II 2), e quindi che non si tratti propriamente di
libert, egli sembra per pensare che sia necessario concepire la
libert in senso assoluto, come il potere di prendere decisioni e
fare scelte senza nessuna interferenza dallesterno un libero volere nel senso tradizionale del termine. Se la libert deve
avere questa natura metafisica, allora la critica di Nietzsche ai
concetti di causa sui e causa prima gli sarebbe stata sufficiente per
criticare anche lidea di libert (e non la sola concezione metafisica di libero volere). Eppure, Nietzsche non abbandona in toto
questa idea. Quello che fa semplicemente un tentativo di concettualizzare la libert in maniera genealogica e non-metafisica,
ripensandola nei termini di potenza e relazioni di potenza.
Cosa pu dirci questa concettualizzazione? Prima di tutto,
che occorre intendere il concetto di libert in termini di gradazioni. Ci daltra parte inevitabile, una volta che lazione
umana viene intesa nei termini di volont di potenza, e quindi
di rapporti di potere. Superare una resistenza non significa eliminarla, ma piuttosto incorporarla, assimilarla, renderla utile per
un qualche scopo (o sfruttarla per la crescita, come a volte
sostiene Nietzsche). Una forza pu danneggiare o meno ci che
viene superato in potenza (esistono infatti processi di crescita
mutua o reciproca), ma in nessun caso si tratta di una forza e di
9 Allobiezione per cui anche la sua ipotesi non sarebbe che un ulteriore segno e
sintomo di altre strategie di potere e di bisogni istintivi che sia cio solo uninterpretazione Nietzsche, come ben noto, risponde: Ebbene, tanto meglio (JGB 22).

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una potenza assolute. La potenza relazionale: vi sono solamente gradi di potere, e questi sono sempre relativi al grado di resistenza che resta attivo10. Questa concettualizzazione ci fa capire
che con libert si intende libert di potere, ma non una mera
sensazione di potere. Per quanto cosa di cui Nietzsche ben
consapevole questa sensazione possa essere ingannevole, sembra comunque che egli creda anche che essa sia un segnale del
fatto che, per quanto in misura minima, un certo grado di indipendenza, individualit, responsabilit e gagliardia sia stato conseguito e che di questo si sia consapevoli. Solitamente, quando si
fa questa esperienza quando si fa esperienza di un incremento
nella sensazione di potenza e ci si sente indipendenti, autonomi, responsabili di se stessi e particolarmente dotati nel conseguimento di determinati compiti (p.es. artistici) la tendenza
quella di interpretare la nostra esperienza come manifestazione
di un libero volere. Ma questa una cattiva interpretazione, se
ci significa che la nostra libert consiste in una scelta tra opzioni
alternative mediante una deliberazione consapevole. Lo , inoltre, se significa che essa consiste in un grado di indipendenza,
individualit, responsabilit e gagliardia di cui la sensazione di
potenza non che segno, sintomo, superficie ed espressione.
Per dare senso alla posizione di Nietzsche occorre quindi provare a navigare tra Scilla e Cariddi. Da un lato, bisogna evitare di attribuirgli una concezione metafisica od ontologica della
libert. Quando Nietzsche scrive che libert significa avere la
volont della responsabilit per se stessi, o che essa si misuri
dalla resistenza che deve essere superata, non sta dicendo che
sia possibile individuare un in s o anche solo un fenomeno
a cui dare il nome libert. Piuttosto, Nietzsche cerca di attribuire al termine e alla nozione di libert un nuovo significato.
Daltro canto, per, anche necessario respingere la posizione
di Leiter secondo cui la nozione nietzscheana di libert sarebbe
10 Cfr. Ottmann 1999: 355-358. Cfr. Anche NF 1885, 40[55] e 1884, 26[276]: Dominare : sopportare il contrappeso della forza minore dunque una specie di prosecuzione della lotta. Anche obbedire una lotta: la forza che, appunto, resta per resistere.

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puramente retorica. Quel concetto infatti creato dalle forze


attive e interpretative di Nietzsche, e quindi solo uninterpretazione di un termine, ma non uninterpretazione arbitraria.
Essa infatti deriva da una critica genealogica degli usi che di quel
termine sono stati fatti nel corso della storia, e quindi (o per lo
meno pretende di essere) un concetto pi completo e per
questo pi oggettivo (GM III 12) di altri concetti di libert.
Tutto questo mostra che la concezione nietzscheana tocca le
principali questioni filosofiche che in epoca moderna sono state
poste relativamente alla questione della libert, e non quindi
ingenua o pre-moderna. La domanda a questo punto : perch
i contenuti del nuovo concetto di libert che Nietzsche elabora
dovrebbero coinvolgere le aspirazioni delluomo moderno? Per
una risposta a questo interrogativo occorre passare alla sezione
di GM dedicata allindividuo sovrano.

3. Libert e autonomia dellindividuo sovrano


Il paragrafo dedicato allindividuo sovrano da leggere assieme al paragrafo precedente (GM III 1) parte di un resoconto
in chiave evolutiva di come il processo di socializzazione abbia
plasmato una memoria della volont e cos un animale, cui
sia consentito far delle promesse (GM II 1). La mia personale
opinione che Nietzsche pensi che un processo di questo tipo
abbia reso molti uomini non-liberi, ma che sia anche convinto
che vi siano alcune eccezioni a questa non-libert, uomini liberi quali sono ad esempio gli individui sovrani. Gli uomini
non-liberi manifestano una cattiva coscienza che li fa obbedire
alla societ e conseguire gli obiettivi che essa prefigge. In altre
parole, gli uomini non-liberi possono solo fare e mantenere le
promesse che la societ impone loro; essi promettono e si sentono responsabili solamente di ci che viene comandato loro da
altri (altri individui o un altro impersonale quale pu essere la
societ). Gli individui sovrani, invece, gli uomini liberi, possono
fare e mantenere promesse in completa autonomia sono in gra-

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do di seguire la loro coscienza, di crearsi i propri obiettivi e ridefinire autonomamente gli obiettivi della societ. Come i filosofi
descritti in Al di l del bene e del male, gli individui sovrani sono
coloro che comandano e legiferano: essi affermano cos deve
essere!, essi determinano in primo luogo il dove e la che
scopo degli uomini (JGB 211). Da qui la loro indipendenza,
individualit, responsabilit e gagliardia; da qui il loro senso di
potenza, la loro libert.
C forse una qualche intenzione ironica e caricaturale in tutto
questo? Se s, essa consiste solamente nellindicazione che nelle societ moderne troppe persone si considerino troppo alla
leggera individui sovrani, e ciascuno sia erroneamente spinto
a considerarsi libero e persino dotato di un libero volere.
Ma c una qualche ragione per dubitare che quanto Nietzsche
scrive in questo paragrafo (come in molti altri luoghi dei suoi
scritti) esprima unevidente contrapposizione tra luomo comune e lindividuo sovrano? Nietzsche descrive questultimo come
il frutto pi maturo del processo di socializzazione (GM II 2
e 3). Egli, inoltre, lo presenta esplicitamente come il tipo umano da ammirare e che stato forgiato dalla durezza, tirannide,
ottusit e idiotismo propria di quel processo (GM II 2). Per
questo motivo, Nietzsche scrive che un individuo di questo tipo
dotato di una volont che sua propria; essa non infatti solamente durevole, ma anche indipendente, e questo
ci che lo rende sovrano e non semplicemente (in un senso
non tradizionale) un signore del libero volere (GM II 2). A
lui solo consentito fare promesse. Luomo comune il frutto
del compito pi immediato di rendere questultimo sino a un
certo grado, necessario, uniforme, uguale tra gli uguali, coerente
alla regola e di conseguenza calcolabile (ibid.). Anche lui fa e
mantiene promesse, ma, dal momento che la sua volont non
indipendente dalla quella sociale, essa non completamente
autonoma; alluomo comune, quindi, non propriamente consentito far delle promesse (o lo solo in misura minima).
Poco oltre, Nietzsche spiega il proprio punto di vista descrivendo lindividuo sovrano come lindividuo eguale soltanto a

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se stesso, nuovamente riscattato dalla eticit dei costumi (GM


II 2). Il fatto che egli sia eguale solamente a se stesso significa
che eccezionalmente individuale, e lidea che egli diventi tale liberandosi dalleticit dei costumi implica che, come deve essere,
il processo di socializzazione cancella la dimensione individuale
delluomo imponendo costumi che coltivano e allevano un tipo
umano obbediente11. La posizione che Nietzsche sostiene qui la
stessa del paragrafo Il mio concetto di libert del Crepuscolo degli
idoli lidea, cio, che esistano due alternative: essere risucchiati
dalla tendenza allanimalizzazione gregaria delluomo o essere
abbastanza forti da resisterle in qualche modo. Ogni forma di
libert umana consiste in un certo grado di potenza in relazione
al processo di socializzazione. Questo processo quindi il campo di resistenza in contrapposizione al quale emerge la libert
umana o, in altre parole, la libert consiste nel superamento,
in misura sufficiente, della resistenza opposta allindividualit da
quel processo che, se da un lato minaccia questa individualit,
dallaltro la rende anche possibile.
Nel momento in cui afferma che un individuo sovrano in
qualche misura libero dalla eticit dei costumi, Nietzsche sostiene anche che costui possieda la sua misura di valore (GM
II 2). Letteralmente, auto-nomia significa in effetti darsi la
11 opportuno osservare che per Nietzsche non si pu parlare di etica se essa non
incarnata in istituzioni giuridiche e norme di condotta (cfr. A 57 e NF 1885, 34[176]). Anche le etiche moderne, filosofiche, rientrano comunque nella eticit dei costumi, come
si legge in Aurora: Eticit non nientaltro (dunque in particolar modo niente pi) che
obbedienza ai costumi (M 9). Sulla considerazione che ogni etica sia connessa al processo
di allevamento di un certo tipo o forma di vita o specie, si veda NF 1885, 35[20].
Letica pi precisamente una forma si addomesticamento (Zhmung) sociale dellorganismo umano (cfr. GM I 11, II 22, III 13 e 21; GD, I Miglioratori dellumanit 2 e 5; A 22;
NF 1884, 25[236], 27[56] e 27[59]). Si noti inoltre che coscienza e linguaggio sono strumenti essenziali del processo di socializzazione. Essi rendono infatti possibile una visione
complessiva: coi loro segni e concetti semplificati permettono la comunicazione allinterno
della societ e determinano quellambiente mediocre, generalizzato, in cui le differenze
vengono meno; un ambiente allinterno del quale noi stessi viviamo la maggior parte della
nostra vita. Per il fatto di trovarci allinterno di questo ambiente tendiamo a vivere conformemente alla logica e volont impersonale della societ, finendo per vederci privati
della nostra individualit (cfr. JGB 268, FW 354, GM I 11 e II 16).

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propria legge, e quindi i propri valori o la propria misura di


valore. Nella Gaia scienza Nietzsche afferma esplicitamente che
coloro i quali si creano da s e sono in grado di diventare ci
che sono possono far questo perch sono legislatori di se stessi (FW 335; cfr. anche FW 290). Essi sanno in particolare creare
nuove tavole di valori che appartengano solo a loro, e quindi
sono in grado di porre in completa indipendenza un nuovo ideale per loro stessi (FW 335 e 382). Per questo motivo, Nietzsche
li chiama i nuovi, gli irripetibili, gli inconfutabili (FW 335).
NellAnticristo, inoltre, afferma che ognuno deve inventare le
proprie virt, i propri imperativi categorici (A 11), ovvero le
proprie leggi.
Queste osservazioni segnalano gi una differenza fondamentale tra il concetto di autonomia di Nietzsche e quello di Kant. Per
Nietzsche non vi sono leggi nel senso kantiano leggi che ci
siano date quali componenti intrinseci della natura immutabile e
universale della nostra ragione (cfr. A 11). Un individuo sovrano
si d le sue proprie leggi, e questo darsi sostanzialmente unattivit creatrice. Inoltre, va detto che la creazione di una legge (o di
nuovi valori) nel senso in cui la pensa Nietzsche non un processo controllato dalla nostra coscienza, o comunque un processo
che si verifichi sostanzialmente ed essenzialmente a livello autocosciente come se la coscienza potesse essere isolata dal continuum di processi pre-consci, pulsioni e affetti che si svolgono in
maniera istintiva e che costituiscono una persona. La coscienza
non gioca alcun ruolo nellcreazione di s fino al livello che
Nietzsche chiama finale e superficiale di quei processi. Inoltre, perch una legge di cui siamo coscienti possa effettivamente
governare lorganismo, essa devessere incorporata nella gerarchia (Rangordnung) delle pulsioni e dei valori di una certa persona. Essa deve quindi operare e possedere una forza motivazionale
che intervenga al livello delle pulsioni e degli istinti12.
Essere autonomi esclude quindi lessere morali, mentre ri12 Per una disamina pi approfondita della questione di coscienza e autocoscienza si
veda anche Constancio 2011a, 2012a e 2012b.

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chiede di essere sovra-morali, dal momento che si autonomi


se e solo se si creatori di una legge che nessun altro pu avere
creato, una legge che, essendo incorporata nelle nostre pi intime
valutazioni, fa s che ciascuno di noi sia un individuo unico nel
proprio genere. Questo, per, non significa che una legge autonoma non possa avere una dimensione universale. Dal momento che lautonomia una questione di grado (o di indipendenza
relativa), essa si fonda sempre su di una dimensione sociale e va
considerata come emergente non solo dai rapporti di potenza tra
le pulsioni di una persona, ma anche da quelli tra le pulsioni di
questultima e quelle di unaltra persona in altre parole, il genere
di rapporti di potere che d vita alla societ e alla storia delluomo.
Gli effetti dellautonomia di una certa persona sono quindi tanto
sociali che individuali. Per questo motivo, lindividuo sovrano pu
fungere da esempio per gli altri e la sua creazione di s pu modificare i valori dominanti e i costumi che regolano le relazioni sociali
(si ricordi, ad esempio, come la creazione di s attribuita a Goethe
possa redimersi e affermarsi nellintero). In un certo senso, le
leggi della societ scaturiscono dallattivit di individui autonomi
e sovrani, ma questo comporta che la loro universalit non sia
mai il prodotto di una ragione pratica a-storica.
Per quanto tutto questo sembri contrapporsi radicalmente
alla concezione kantiana e per quanto Nietzsche ritenga di
contrapporsi a Kant quando afferma che autonomo e etico
si escludono , la posizione di Kant in realt meno univoca
di quanto pensi Nietzsche. La vacuit formale dellimperativo
categorico kantiano implica che esso non specifichi mai quali
doveri un soggetto dovrebbe soddisfare in una determinata situazione e questo comporta che il peso della determinazione del contenuto del dovere gravi completamente sul soggetto
(iek 2008: 53)13. Guardando le cose in questi termini, la con13 Werner Stegmaier (1994: 137) fa la medesima osservazione, e sostiene che
Nietzsche e Kant siano fondamentalmente in accordo: Anche secondo Kant ciascuno
deve sottoporre la proprie massime e i principi pratici delle proprie valutazioni allimperativo categorico. La valutazione pu legittimare sempre e solo lazione di un singolo in
una particolare situazione. Cfr. anche Simon 1992. La tesi secondo cui Kant e Nietzsche

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sapevolezza dellimperativo categorico isola il soggetto da quello


che Nietzsche chiama il gregge, e lo rende quindi sovramorale in
senso nietzscheano. Il soggetto non pu pi contare sulleticit
dei costumi, ed quindi portato a sentirsi responsabile delle
proprie azioni.
Questo sentimento di responsabilit ci che Nietzsche chiama coscienza (Gewissen) e, a conti fatti, egli pensa che essere legislatori di se stessi e divenire autonomi sia lo stesso che seguire la
propria coscienza. Ma questa concezione non troppo kantiana
per essere attribuita a Nietzsche? In effetti ci sono luoghi in cui
Nietzsche diverge radicalmente da Kant (o per lo meno crede
di farlo), sulla base di due motivi fondamentali. Prima di tutto,
la coscienza di Nietzsche (o la migliore coscienza, GM II
11) propriamente a-morale, e Nietzsche ritiene che solo la
cattiva coscienza sia segnata dalla morale. Questo evidente, per
esempio, da quanto si legge al termine del terzo libro della Gaia
scienza: Che cosa dice la tua coscienza? Devi diventare quello che
sei (FW 270). In questo senso, la coscienza un istinto che ci
prescrive di diventare ci che siamo, di giudicare in maniera
indipendente e di assumerci la responsabilit dalle nostre azioni
(cfr. FW 2, 117 e 335). La coscienza cattiva coscienza solo
quando ci spinge a diventare ci che non siamo, ma al contrario ci che leticit ci richiede di essere. questa una coscienza
malata che ci fa vivere negativamente la nostra individualit
e, come un giudice morale che vive dentro di noi, ci impone di
rinunciare al nostro giudizio personale e di agire conformemente
a una presunta legge universale. Questa vera schiavit o
non-libert, mentre seguire la nostra coscienza significa divenire liberi, perch vuol dire agire potendo dire s anche a se stessi (GM II 3) e non provare vergogna nel divenire ci che si :
Che cos il sigillo della raggiunta libert? Non provare pi vergogna
davanti a se stessi. (FW 375)

condividono posizioni affini sul tema della responsabilit individuale stata fortemente
sostenuta anche da Volker Gerhardt (1992).

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Non avere pi vergogna davanti a se stessi e agire affermando


la propria pi intima essenza propriamente libert, perch
tutto questo crea indipendenza, individualit, responsabilit,
gagliardia e, soprattutto, genera un sentimento di potenza che
rende possibile lattribuirsi un valore che derivi solo da noi stessi, e non da opinioni e prescrizioni di altri soggetti (JGB 261). Il
sentimento della sovranit personale (Personal-Souvernitt)
ha una lunga storia alle sue spalle (cfr. NF 1887-1888, 11[286]),
e proviene dallo sviluppo della coscienza in quanto istinto che ci
spinge a diventare ci che siamo, a diventare individui14.
Pertanto, diversamente da Kant, la coscienza di Nietzsche
non ha nulla a che vedere con il libero volere. Questultimo
un prodotto del processo di socializzazione e di allevamento
delluomo non a caso, come Nietzsche osserva esplicitamente,
ne un frutto maturo, ma anche un frutto tardivo (GM II 3),
che fa la propria comparsa nella storia umana solamente dopo la
cattiva coscienza, dopo il lavoro preistorico che ha reso luomo
necessario, uniforme, uguale tra gli uguali, coerente alla regola
e di conseguenza calcolabile (GM II 2). In altre parole, la migliore coscienza un privilegio molto raro, il privilegio degli
individui sovrani.
La riflessione di Nietzsche sullindividuo sovrano si chiude
con queste considerazioni:
La superba cognizione dello straordinario privilegio della responsabilit, la consapevolezza di questa rara libert, di questa potenza sovra
se stesso e sul destino discesa in lui sino al suo infimo fondo ed
divenuta istinto, istinto dominante quale nome dar a questo istinto
dominante, ammesso che senta in s il bisogno di una parola per esso?
Ma non v dubbio: questo uomo sovrano lo chiama la sua coscienza
(GM II 2).

14 In FW 335, in particolare, Nietzsche distingue la coscienza morale dalla coscienza intellettuale, e spiega che questultima, in quanto coscienza dietro la tua coscienza, il modo pi onesto di giudicare che rivela il modo di pensare propriamente morale
e ci permette di creare un nostro proprio ideale, divenire ci che siamo, e quindi renderci
nuovi, unici e ineguagliabili.

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Esse sollevano almeno tre questioni fondamentali in riferimento allindividuo sovrano: (a) qual il valore euristico di questa figura, o, detto altrimenti, in che modo essa contribuisce allo
scopo di creare unalternativa allideale ascetico? (b) Qual la
relazione tra lindividuo sovrano e lidea che Nietzsche ha del
filosofo in quanto animato dalla passione per la conoscenza?
Infine, (c) questa figura possiede un valore particolare per i moderni lettori di Nietzsche e magari, pi in generale, per la civilt
moderna?
(a) Per rispondere al primo interrogativo bisogna considerare
innanzitutto che lindividuo sovrano, in quanto frutto pi maturo del processo di socializzazione, un individuo spirituale,
e quindi uno spirito libero, non importa se di grado basso o
elevato. Ci deriva dal fatto che il processo di socializzazione a
creare lanima o spirito umani, attraverso linteriorizzazione
degli istinti della nostra specie questo processo dona profondit, latitudine, altezza e misura allo spirito umano, inibendo
o comunque ostruendo lo sfogo allesterno dei nostri istinti
(GM II 16). Con questo impedimento degli istinti della libert (ibid.) sembra che un enorme quantum di libert sia stato
eliminato dal mondo, mentre in realt esso stato solo reso
latente in una diversa forma (GM II 17). In questo modo si rende possibile il conseguimento di un nuovo tipo di libert una
libert spirituale o libert dello spirito. Lindividuo sovrano
un maestro del libero volere proprio nella misura in cui capace di sfruttare questo nuovo tipo di libert, attualizzando ci
che latente15. Lindividuo sovrano luomo libero dalleticit
15 Cfr. gli usi che Nietzsche fa dellespressione libert dello spirito (Freiheit des
Geistes) in MA I, Prefazione 4; MA II 26, 221 e 286; VM 211; WS 72, 318 e 350; M 56
e 358; GM III 24; A 47. Si veda anche FW 143, in cui Nietzsche identifica la libert con
legoismo e la sovranit [Selbstherrlichkeit] del singolo e parla di una libert di spirito
e multiforme spiritualit delluomo. Il libro sul Rinascimento di Burckhardt potrebbe
aver influito sulla genesi della nozione nietzscheana di individuo sovrano. Come si detto
sopra, Burckhardt elogia il rinascimento per aver prodotto un simile tipo umano, di cui
lautore designa esplicitamente il carattere col termine sovranit (Souvernitt), la quale
altro non che labilit di perseguire unazione indipendente (o autonoma). Burckhardt
(1860/1952: 418): Di fronte ad ogni obiettivit, e ad ostacoli e leggi dogni maniera,

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dei costumi che pu comparire solo in un periodo tardo della


storia dellumanit, quando il processo di socializzazione ha reso
possibile per un numero esiguo di individui eccezionali di sentirsi liberi. In questa nuova forma (la forma della seconda innocenza), la libert unesperienza di indipendenza, individualit,
responsabilit, gagliardia, coscienza e autonomia unesperienza
spirituale completamente diversa da qualsiasi esperienza propria
delluomo pre-sociale.
Il valore euristico della figura dellindividuo sovrano diviene
quindi chiaro. Il (presunto) fatto che nel passato sia esistito un
esiguo numero di individui sovrani dimostra che il processo di
socializzazione non preclude il tipo di affermazione dellesistenza che scaturisce da bisogni, pulsioni, istinti, e affetti non ascetici
e non nichilisti. Gli uomini non sono irrevocabilmente destinati
a vivere la loro vita come nel buio di una caverna o in una valle
di lacrime. Anche allinterno della societ, luomo non deve vivere la propria esistenza come un nulla (nihil) che pu acquisire valore solamente se interpretato come mezzo per fini o scopi
trascendenti. Quello che Schopenhauer ha definito il bisogno
metafisico delluomo (WWV II, 17) non una sua disposizione naturale e ineluttabile. Unesistenza scevra dalla metafisica e
dallideale ascetico invece possibile perch lo una libert
intesa come sentimento di potenza puramente immanente.
(b) Diversamente dalla prima innocenza dellanimale uomo,
lesperienza spirituale della libert vissuta dallindividuo sovrano
presuppone un processo di liberazione dalleticit dei costumi.
A questo partecipa una memoria della volont (GM II 1), che
comunque una sorta di volont attiva (per quanto si svolga principalmente a livello inconscio). Non per nulla, la vera
dottrina della volont e della libert di Zarathustra dice, molto
semplicemente, che volere libera (Z II, Sulle isole beate). Ma
lelemento cruciale che la liberazione dalleticit dei costumi
una questione di grado, e il massimo grado di liberazione il
[il carattere degli italiani del Rinascimento] ha il sentimento della propria sovranit e si
decide con autonomia in ogni singolo caso.

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massimo grado di spiritualit per uno spirito libero dovrebbe essere visto come la grande liberazione dalle menzogne
pi radicate e dannose della tradizione come i concetti di Dio,
anima, soggetto, causa, colpa, peccato, responsabilit morale o
scelta in breve, dallideale ascetico16. Pertanto, nelle societ
moderne dominate dallideale ascetico i gradi pi elevati di sovranit e spiritualit la forma ideale di libert dello spirito
sono privilegio dei filosofi in grado di operare una trasvalutazione genealogica dei valori17. Per usare il linguaggio del quinto
libro della Gaia scienza possiamo dire che, se una persona si libera dal bisogno di fede (FW 347, cfr. A 54), e in particolare
del bisogno di una fede metafisica (FW 344), diventa capace
di creare un nuovo tipo di salute umana, una salute post-ascetica,
la grande salute (FW 382). In FW 347 Nietzsche scrive che
si potrebbe pensare un piacere e unenergia dellautodeterminazione, una libert del volere, in cui uno spirito prende congedo da ogni
fede, da ogni desiderio di certezza, adusato come a sapersi tenere su
corde leggere e su leggere possibilit, a danzare perfino sugli abissi. Un
tale spirito sarebbe lo spirito libero par excellence.

Non vi dubbio che queste osservazioni esprimano lidea


che Nietzsche ha del concetto di libert, la sua idea personale
di unesistenza filosofica che afferma se stessa e sperimenta una
16 Cfr. MA I, Prefazione; GD, I quattro grandi errori 8; A 15; EH, Perch io sono un
destino 1.
17 Sul concetto nietzscheano di elevate spiritualit (hohe Geistigkeit), cfr. JGB 40,
44, 61, 201, 213, 252, 257 e 219. Cfr. anche Constncio 2011b: 106, 109, 114, e Richardson 2009. Richardson sostiene in particolare che, secondo Nietzsche, la libert
un fenomeno storico o evolutivo che pu manifestarsi in diversi gradi di sviluppo, e la
cui forma suprema dipende da processi genealogici che rivelano le menzogne insite
nelle nostre valutazioni passate. Questo un aspetto determinante per linterpretazione
dellindividuo sovrano. infatti una falsa pista quella che si propone di discutere se
lindividuo sovrano sia un fenomeno passato (e forse presente) o, come sostiene Hatab
(2008: 176), un fenomeno a venire. Da un lato, la figura dellindividuo sovrano rappresenta il tipo di superiore valore che gi esistito abbastanza spesso (A 3), ma,
daltra parte, Nietzsche pone la questione se siano possibili una spiritualizzazione, un
superamento e un auto-superamento (Selbstaufhebung) delle forme che esso ha avuto sin
qui (cfr. Giacoia Junior 2011: 174-175).

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libert sopra le cose (FW 107) dietro la spinta della passione della conoscenza e non del bisogno di trovare una risposta allinterrogativo dellideale ascetico: Posso credere in una
qualche verit assoluta che dia un senso alla mia sofferenza e
uno scopo alla vita in generale? Di nuovo, la figura dellindividuo sovrano un segnale che questo tipo di esistenza libera e
di libera spiritualit anche di libert del volere in un senso
nuovo possibile. La filosofia, secondo Nietzsche, ha a che
fare con la sovranit. Come spiega nellAnticristo, infatti, la
grande passione che privilegio di quegli spiriti filosofici che
sono abbastanza forti da potersi confrontare con il bisogno di
fede e vivere liberi da qualsiasi specie di convinzioni quella
grande passione si sa sovrana [weiss sich souverain] (A 54, cfr.
NF 1888, 11[48]).
(c) La risposta alla terza e ultima questione in parte anticipata
dal contenuto delle prime due. La figura dellindividuo sovrano
ha un valore per i moderni lettori di Nietzsche e in certa misura
anche per la civilt moderna nel suo complesso, in quanto mostra
che vi pu essere una forma di esistenza un mare aperto di
vita e conoscenza (FW 343) oltre i limiti dettati dallideale ascetico. C per un ulteriore elemento da considerare. Nietzsche
concepisce la nozione di sovranit in termini moderni, e precisamente in termini di coscienza e autonomia18. Nelle societ
moderne la gente si considera libera perch pensa che tutti gli
uomini siano ugualmente in grado di agire secondo la propria
coscienza e determinare autonomamente i propri valori. Questo
18 Il termine coscienza compare solo alla fine di GM II 2, come nome che lindividuo sovrano d al proprio istinto dominante. Tuttavia, Stegmaier (1994: 131-138) osserva
correttamente che quando, in GM II 1, Nietzsche sostiene che gli uomini devono possedere una memoria della volont per poter fare e mantenere promesse, quello che intende
con queste parole precisamente il senso di responsabilit che lui chiama coscienza
(Gewissen). Buona e cattiva coscienza sono due forme della nostra memoria della volont. Inoltre, si pu notare che per Nietzsche tanto la volont quanto la memoria
umana non sono eventi di cui siamo immediatamente consapevoli. Gi nel 1872-1873
Nietzsche scrive in un quaderno: La coscienza prende inizio con il senso di causalit,
in altre parole, la memoria pi antica della coscienza. Nella mimosa, per esempio, noi
troviamo memoria ma non coscienza (NF 1872-1873, 19[161]. Cfr. FW 354).

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un aspetto rilevante della versione moderna dellideale ascetico un aspetto che Nietzsche pone fortemente in questione
nel momento in cui sostiene che coscienza e autonomia siano
appannaggio di un esiguo numero di individui sovrani, e da ultimo dei filosofi. Nietzsche pone la cosa con particolare asprezza
quando scrive che ogni individuo sovrano prover rispetto e
riverenza (Ehrfurcht) per i suoi pari, ma disprezzer chi
non si dimostrer abbastanza forte da essere responsabile per se
stesso e completamente autonomo (GM II 2).
Da un lato, questa considerazione profondamente kantiana.
Essere autonomi comporta infatti il rispetto per gli altri che sono
parimente autonomi, il rispetto per la loro autonomia (cfr. Bailey
2012 e 2013). Questa posizione si trova sicuramente alla base
dellidea che Nietzsche ha della modernit. Ma come dovremmo considerare il disprezzo dellindividuo sovrano per chi non
gli pari? Per certi aspetti, questa con buona probabilit solo
una diagnosi realistica della psicologia di qualsiasi individuo
sovrano. Con le differenze dovute al proprio grado di coscienza,
ciascuno creer la propria gerarchia (Rangordnung), e gli sar
di conseguenza impossibile dimostrare il medesimo rispetto per
tutti e per tutto. Ogni individuo sovrano dovr quindi disprezzare per poter venerare (cfr. Z, Delluomo superiore 3). Ma questo
non comporta unapprovazione dellineguaglianza sociale e politica? Non implica un rifiuto aristocratico ed elitario dello spirito
della modernit? Come si visto, Nietzsche sembra essere sicuro
del fatto che non si possa tornare indietro rispetto al grado di
spiritualit conseguito in epoca moderna, ma che, al contrario,
si possa solo progredire. Se le cose stanno in questi termini, non
dovremmo concludere che Nietzsche invita il lettore moderno
ad assumere una prospettiva progressista e non conservativa?
Egli, inoltre, pensa chiaramente che lideale ascetico sia dannoso per tutta lumanit, non solo per una sua parte, e pertanto
il suo compito comprende di contribuire a un radicale mutamento della civilt del quale tutti possano beneficiare. Se le
cose stanno cos, in GM II 2 Nietzsche non sta semplicemente
suggerendo che lindividuo sovrano sar incline a disprezzare la

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maggior parte delle persone perch nelle societ moderne esse


non sono abbastanza autonome? Che nelle nostre societ liberali
c ancora molta strada da fare perch tutti possano (e debbano)
riconoscersi reciprocamente come individui liberi e autonomi?
Che noi stiamo diventando pericolosamente ultimi uomini,
completamente privi di indipendenza, individualit, responsabilit, grandezza, spirito, coscienza, autonomia in una parola:
libert? Come noto, Nietzsche vuole liberare la nostra civilt
dallideale ascetico condividendo il proprio ideale filosofico con
un numero selezionato di lettori pi precisamente, mostrando
ai filosofi dellavvenire che possibile e desiderabile vivere secondo bisogni non ascetici e non metafisici. Il suo desiderio per
le epoche a venire non forse che si possa acquisire maggiore
libert e autonomia, e con ci realizzare un auto-superamento
della modernit seguendo i grandi esempi dei Greci, dei Romani,
e degli Italiani dellepoca rinascimentale? Sulla base delle nostre
moderne aspirazioni di libert e autonomia, non dovrebbe essere
questo anche il nostro desiderio il nostro nuovo ideale?
Questo non altro che un ulteriore punto interrogativo di
Nietzsche un interrogativo che dovrebbe riguardare i suoi lettori di oggi con la stessa forza con cui deve aver riguardato un
esiguo numero di suoi contemporanei.
Traduzione dallinglese di Pietro Gori

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Lesito problematico di GM III
Federica Negri

Contro il valore di ci che rimane in eterno


uguale a se stesso (vedi lingenuit di Spinoza,
come pure di Descartes) c il valore di ci che
pi breve e fugace, il seducente scintillio dorato sul ventre del serpente vita.
NF 1887, 9[26]

1. Lascesi, un ideale da ruminare e digerire


La dissertazione conclusiva della Genealogia della morale si
presenta, gi dal titolo, come un nucleo problematico estremamente complesso, solo parzialmente risolutore di una quantit di temi diversi messi in campo gi nelle sezioni precedenti.
Come spesso accade nelle opere di Nietzsche, molteplici sottili
indicazioni da parte del filosofo avevano intessuto lintero testo, preparando sotterraneamente laffondo finale. Daltra parte,
eravamo gi avvertiti sin dalle prime pagine, quando Nietzsche
invita il lettore ad esercitare () la lettura come arte, recuperando una pratica che oggid stata disimparata nel modo
pi assoluto, e avverte che per giungere alla leggibilit dei
[suoi] libri occorre ancora del tempo una cosa per cui si deve
essere quasi vacche e in ogni caso non uomini moderni: il ruminare (GM Prefazione 8).
Lavvertenza sulla complessit del testo ci prepara a unimpresa ardua, che necessita di una capacit fisica di sopportare
tempi lunghi e apparentemente inutili. Il ruminare, il riflettere a lungo sulle medesime questioni prepara, in effetti, a una

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buona digestione e assimilazione dei contenuti pi ostici. La


buona digestione da intendersi come sinonimo di una buona
salute e di un naturale gusto, come una saggezza del corpo che
permette al filosofo di comprendere le differenze come sfumature, come gradualit e non in termini oppositivi, sottraendosi alla
stretta logica binaria della metafisica1. La sua grande salute
(FW 382) rivelata proprio dalla capacit di nutrirsi con profitto
di tutto ci che incontra sulla propria strada, di misurarsi con ci
che il cammino riserva. Lanalisi dovr essere interpretativa nel
senso pi profondo, per poter smascherare lideale pi dannoso
dellintera cultura occidentale ma forse anche di gran parte di
quella orientale quello ascetico.
Qual il senso dellideale ascetico? Quale stata la sua funzione e di che cosa, in realt, la maschera? Questi interrogativi
si pongono in maniera chiara alla fine di un libro che ha voluto
essere una critica dei valori morali (GM Prefazione 6). In questa terza sezione, non si tratta pi solo di analizzare un valore
in particolare per smascherarlo, quanto piuttosto di affondare
la critica al punto da far saltare lintero sistema dei valori, la sua
pretesa necessit ai fini dellesistenza umana, per far risaltare la
totale inadeguatezza del valore supremo dellascetismo rispetto
anche al suo fine dichiarato. Questa ricerca va di pari passo con
la domanda sulla volont di verit. In Ecce homo, parlando del
testo, con riferimento esplicito a questa sezione, Nietzsche espone chiaramente le proprie intenzioni:
La terza dissertazione risponde alla domanda di dove provenga la
immensa potenza dellideale ascetico () sebbene questo sia lideale
dannoso par excellence, una volont della fine, un ideale della dcadence.
Risposta: non perch, come si vuol credere, Dio agisca dietro i sacerdoti, ma faute de mieux perch fino a oggi stato lunico ideale, perch
non aveva concorrenti. Perch luomo preferisce ancora volere il nul1 Cfr. su questo Pasqualotto (1988: 188): La bellezza del soggetto, il suo essere
saporoso [schmackhaft], ossia la sua saggezza, consiste soprattutto nella sua capacit di
considerarsi non come una identit in contrasto ad una molteplicit, ma come una pluralit di differenze in movimento. Vi bellezza e saggezza, insomma, quando il soggetto si
mostra in grado di superare la propria unit.

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la, piuttosto che non volere Soprattutto mancava un contro-ideale


fino a Zarathustra. (EH Genealogia della morale)

Lidea che guida questo contributo prima di tutto che in


GM III Nietzsche, dopo aver analizzato nelle sezioni precedenti
il meccanismo del vincolo morale come strumento di potere, esamini lideale ascetico come via estrema di controllo per i malati
della volont, che non possono rinunciare a volere qualcosa
fosse anche il nulla piuttosto che non volere. In secondo luogo,
che il filosofo non proponga, in realt, nessun tipo di soluzione,
come se fosse impossibile liberarsi dallidealit come ultimo rifugio sicuro, se non grazie a un contro-ideale, che tuttavia appare comprensibile da pochi. La persistenza dellideale sarebbe
segno di una sua effettiva valenza positiva che se esso fosse giustamente declinato potrebbe ancora servire come alternativa
e contenimento della volont. Effettivamente, il valutare che ha
come prima conseguenza la creazione di valori e ideali risponde allesigenza fondamentale di conservazione che appartiene
alluomo: per conservarsi () per primo egli cre un senso alle
cose, un senso umano! (Za Dei mille e uno scopo).
Fondamentale, in questa analisi, lesame della natura funzionale della volont nella vita umana; Nietzsche sembra qui
tornare ai suoi antichi amori2, dato che lintera discussione sulla
volont di potenza che percorre la terza dissertazione ma, in
realt, tutto il testo della Genealogia ci riporta alla volont di
Schopenhauer. In verit, per Nietzsche, si tratta ora di compiere
il nichilismo, non quello della morale della compassione di Schopenhauer3, ma quello che ha veramente lasciato andare il volere
2 Cfr. Colli e Montinari in Notizie e note alla Genealogia: La parentela del nuovo
principio filosofico della volont di potenza con il principio schopenhaueriano della
volont di vivere evidente e indiscutibile (e lo dice Nietzsche stesso). [] Il nucleo
delle due concezioni identico, e anche il principio di Schopenhauer era immanente
come quello di Nietzsche: in entrambi i casi si tratta di una sostanza irrazionale, che in
noi (ogni teologia superata) e di cui diventiamo partecipi per unapprensione immediata. La differenza rispetto a questa sostanza si riduce al fatto che Schopenhauer la rifiuta e
vuole negarla, Nietzsche invece laccetta e vuole affermarla. Insomma non sta nel principio loriginalit di Nietzsche, ma nella reazione al principio (OFN, VI/2, pp. 371-372).
3 Nietzsche, ricordando gli scritti che lo hanno condotto alla Genealogia, scrive

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e non ci condanna a volere il nulla. Nietzsche si appresta quindi


a un compito estremamente difficile, ossia tentare di raggiungere
una volontaria non volontariet dellazione4.
La terza dissertazione si apre con una citazione da Cos parl
Zarathustra, opera che precede e, in un certo senso, fa da sfondo
a questo libro (assieme a Umano, troppo umano, La Gaia scienza
e Aurora). Come dichiarato da Nietzsche in EH, lo Zarathustra
contiene forse lunico possibile antidoto allideale ascetico; per
questo motivo, questo esergo mi sembra che assuma un significato ben rilevante e contenga elementi utili alla decifrazione della
discussione finale.
Incuranti, beffardi, violenti cos ci vuole la saggezza: una donna,
ama sempre unicamente un guerriero.

Il passaggio allude a una serie di fondamentali elementi: primo tra tutti, la figura della saggezza-donna, cos come viene delineata nello Zarathustra (Za, Il canto della danza), in grado di non
aver paura della propria superficialit. Solo una donna in grado
di incarnare questa saggezza pu essere la degna compagna di chi
creer al di sopra di s loltreuomo (Za, Di antiche tavole e nuove
23). Si tratta di una donna come Arianna, dionisiaca e libera, e
come la vita, mutevole e impertinente5. In secondo elemento
nella Prefazione: Per me era in questione il valore della morale e a questo riguardo
dovevo fare i conti quasi unicamente con il mio grande maestro Schopenhauer () Si
trattava, in special modo, del valore del non egoistico, degli istinti di compassione,
di autonegazione e di autosacrificio, () Precisamente qui vedevo il grande pericolo
dellumanit, la sua pi sublime tentazione e seduzione verso che cosa poi? Verso il
nulla? (GM Prefazione 5).
4 La discussione sulla volont sicuramente un punto estremamente delicato, che
implica il superamento dellidealismo filosofico, ma anche tutta la demistificazione del
concetto di coscienza (M 119; M 115). La questione resa ulteriormente complessa dal
fatto che, come noto, la critica alla nozione di volont sembra lasciare comunque spazio
a una forma di libert individuale che si fonderebbe proprio sullaccettazione del nichilismo. Non possibile in questa sede soffermarsi su questo tema, che coinvolge le nozioni
di amor fati, del divenire ci che si e di individuo sovrano (di cui Nietzsche parla
proprio nella Genealogia (GM II 2) e su cui Joo Constncio ha scritto nel presente volume). La letteratura secondaria, daltra parte, si ampiamente dedicata a tali questioni in
passato (cfr. p.es. Gemes/May 2009).
5 In particolare, La seconda canzone di danza che ci permette di confermare questa

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contenuto nella citazione riguarda lidea del filosofo guerriero


che affronta le macerie della mancanza totale di valori traendo
gioia da questa nuova libert. Questo guerriero ha lo spirito irriverente del bambino, che gioca tralasciando il senso comune,
non considerando i valori invece di rifiutarli. Se questo guerriero
innocente6 e assimilabile al filosofo che Nietzsche vuole essere,
si pu dire che egli debba avere le doti di un ballerino,7 che debba essere dotato della pi grande scioltezza e forza (FW 381).8
Il nostro impegno di lettori al pari del filosofo che ha compiuto la genealogia, come sembra indicare la citazione dovr
ispirarsi allo stesso spirito incurante, beffardo e a volte violento, nel senso di una attenzione decostruttiva per smascherare i
meccanismi di potere occultati dalla morale, in particolare quelli
dellideale ascetico, che rappresenta la quintessenza di questo
strumento di controllo assoluto.

2. Le maschere dellideale ascetico


Che significano gli ideali ascetici?, questo interrogativo che
titola GM III diventa presto un ritornello che ci accompagna nei
identificazione tra la donna, la saggezza, la vita e Arianna. Cfr. anche DD, Lamento di
Arianna.
6 Linnocenza la conseguenza della corretta lettura dellinesistente causalit del
mondo: Siamo stati noi a inventare il concetto di scopo: nella realt lo scopo assente () Che nessuno pi sia reso responsabile, che la natura dellessere non possa venire
ricondotto a una causa prima, che il mondo non sia () una unit, tutto ci soltanto la
grande liberazione con ci soltanto nuovamente ristabilita linnocenza del divenire
(GD, I quattro grandi errori 8). Su questo e sul rischio di un pericoloso disimpegno nellazione, cfr. Stellino 2011.
7 Danzare il pensiero come sinonimo di nichilismo attivo: Pasqualotto 1998, pp.
101 ss.; FW 368 (contro la musica wagneriana, rifiutata perch fisiologicamente nociva);
oltre al Danzare in catene, farsi le cose difficili e poi stendervi sopra lillusione della
facilit (WS 140).
8 In GD, Nietzsche scrive: () il pensare cosa che vuol essere appresa allo stesso
modo con cui vuole essere appresa la danza, come una specie di danza (GD Quel che
i tedeschi non hanno 7). Nietzsche mette sotto il segno della levit del piede nelle cose
dello spirito la sua filosofia.

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meandri di unanalisi sempre pi approfondita, non solo della


questione in s, ma di tutte le tentacolari implicazioni del pi
perverso degli ideali. Sin dal primo paragrafo, Nietzsche afferma
che, per ben intendere il problema, bisogna tenere conto delle
molteplici tipologie umane in cui si declina questo ideale: i filosofi e i dotti, le donne, i fisiologicamente malriusciti e alterati,
i sacerdoti e i santi. Per tutti questi, lideale ascetico acquisisce
una sfumatura unica, per quanto si tratti di un valore che tende a
riconfermarne le caratteristiche fondamentali, mantenendoli ben
legati a se stessi, incapaci di cambiare ed evolversi.
La persistenza dellideale ascetico e la sua presenza in caratteri apparentemente cos diversi segnala una debolezza caratteristica del genere umano, ossia la mancanza della forza di
rifiutare ogni appiglio al valore, limpossibilit di rinunciare ad
un fine per la propria esistenza. Linsensatezza della casualit, lamor fati, che Nietzsche prospetta nella sua filosofia impensabile
per la quasi totalit degli uomini. La delusione e il senso di vuoto spingono a cercare, perci la volont continua a esercitare il
suo fascino, persino in coloro che fronteggiano la crisi dei valori
europei. Nietzsche parla di un horror vacui, un timore atavico
e abissale di non volere pi nulla, e aggiunge che, piuttosto di
fronteggiare il vuoto, luomo preferisce volere il nulla.
In GM III 1 Nietzsche ostenta la pretesa inattualit di questa sua tesi9 e, con la scusa di doverne offrire una spiegazione,
riprende il filo delle due dissertazioni precedenti, per offrirci una
sorta di fenomenologia dellideale ascetico allinterno della comunit umana. Alla fine, per, si giunge a capire che
questo odio contro lumano, pi ancora contro il ferino, pi ancora
contro il corporeo, questa ripugnanza ai sensi, alla ragione stessa, ()
tutto ci significa () una volont del nulla, unavversione alla vita, una
rivolta contro i presupposti fondamentalissimi della vita, e tuttavia
9 Cfr. FW 381: Quando si scrive, non si vuole soltanto essere compresi, ma senza
dubbio anche non essere compresi. () Tutte le leggi pi sottili di uno stile hanno qui
la loro origine: tengono lontani a un tempo, creano distanza, interdicono laccesso, la
comprensione, come si detto mentre aprono gli orecchi di coloro che dorecchio ci
sono affini.

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e resta una volont! E per ripetere in conclusione quel che gi dissi


allinizio: luomo preferisce ancora volere il nulla, piuttosto che non
volere.

Il volere il nulla rimane cos lultimo senso del nostro esistere


come volont di vivere, proprio perch luomo pu sopportare
la sofferenza, il dolore o la morte, ma non la mancanza totale
di senso dellesistenza. La volont sembra essere lespressione
pi raffinata del primordiale istinto di sopravvivenza che tenta
di ancorarci a questo mondo tramite le cose, e ci spinge allattaccamento per assicurare la nostra esistenza, ma ancora pi la sua
persistenza.
La questione, in fin dei conti, quella di un nichilismo che
proprio perch cosciente dellinconsistenza dei valori sceglie di
volere il nulla come ultimo appiglio10.

3. A ciascuno il suo: Wagner, Kant e Schopenhauer


I bersagli espliciti di GM III sono Wagner, Kant e, ovviamente, Schopenhauer. Per guidarci nella sua analisi del significato
degli ideali ascetici, Nietzsche decide di considerare prima di
tutto il valore che ha avuto per Wagner ladesione, in tarda et,
agli ideali della castit. Adesione che ha coinciso con una confessione pubblica di questa scelta, a uso e consumo del pubblico
adorante.
Nietzsche si interroga sul significato del Parsifal, quel selvatico giovanotto, esempio della spettacolarizzazione del casto
cristianesimo wagneriano; il disprezzo del filosofo talmente
grande che arriva a domandarsi se non si tratti forse di uno scherzo dellartista Wagner, di una suprema libert e trascendenza
dartista (GM III 3), perch, se cos non fosse, che cosa mai
dovremmo leggere in questopera forzatamente cattolicheggiante? (Cosa sarebbe, infatti, il Parsifal inteso sul serio? () Unapostasia e una conversione agli ideali cristianamente morbosi e
10

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Cfr. Brusotti 2001 e, sulla tipologia del nichilismo, Gillespie 1999.

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oscurantistici? (ibid.). In questo caso, per lui cos vicino e per


molti versi doloroso, che egli definisce come tipico, Nietzsche
premette che necessario separare lartista dalla sua opera, non
farsi ingannare dalla contiguity psicologica, portando avanti in
questo modo la critica agli psicologi inglesi con cui aveva inaugurato il libro (cfr. GM I 7). In sintesi, non si pu far coincidere in
maniera sbrigativa lartista con ci che rappresenta, concepisce
ed esprime: Il fatto che se egli fosse tutto questo, non potrebbe rappresentarlo, concepirlo, esprimerlo. () Un perfetto
e completo artista staccato per leternit dal reale, dalleffettuale (GM III 4).
Sicuramente, Parsifal non Wagner. Tuttavia, Nietzsche vorrebbe che egli non avesse preso congedo dal mondo con questopera, non con un Parsifal, bens in un modo pi vittorioso, pi
sicuro di s, pi wagneriano () meno schopenhaueriano, meno
nichilistico (GM III 4). Per Nietzsche, Wagner esemplifica nella
maniera pi evidente la falsit dellideale ascetico, la doppiezza di
intenti che si nasconde dietro la facciata rispettabile della privazione volontaria. La vicenda che lega Nietzsche a Wagner come
si sa si sovrappone alla vita intellettuale del primo e la influenza
profondamente; dal giovanile innamoramento e stato di simbiosi,
Nietzsche giunge a un violento rifiuto e distacco, nel periodo in
cui il suo pensiero arriva a maturazione. Si pu dire che Wagner
personifichi tutto ci che Nietzsche non vuole essere, come intellettuale e come artista, soprattutto perch, agli occhi di Nietzsche,
Wagner il dcadent per eccellenza (Campioni 1994).
Nello stesso periodo in cui compone la Genealogia della morale, Nietzsche sembra voler chiudere i conti con il musicista,
scrivendo un testo infuocato nel quale decostruisce sistematicamente il musicista Il caso Wagner oltre ad aver previsto
una summa delle sue critiche allo stesso, che uscir con il titolo
Nietzsche contra Wagner. La prima di queste opere, pubblicata
nella primavera del 1888 ci aiuta a capire meglio la distanza che
ormai divide i due antichi amici11:
11

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In Ecce homo, tuttavia, la valutazione di Wagner non sembra essere cos negativa

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Voltare le spalle a Wagner fu per me un destino (). Una lunga


storia! Si vuole una parola per designarla? Forse superamento di s.
() Io sono, tanto quanto Wagner, il figlio di questo tempo, voglio dire
un dcadent: solo che io ho compreso ci, mi sono difeso contro di ci.
() Quel che mi ha pi profondamente occupato in realt il problema
della dcadence. (WA, Prefazione)12

Effettivamente, per Nietzsche importante mettere in luce un


concetto fondamentale, ossia la comune provenienza dal terreno di decadenza della contemporaneit europea13. Nietzsche ha
avuto la forza di lottare e contrapporsi a questa malattia, facendosene studioso, al tempo stesso fisiologo, psicologo e medico14,
mentre Wagner resta una malattia contagiosa da cui soprattutto
i giovani dovrebbero guardarsi, dato che costituisce un vero e
proprio pervertimento del gusto (WA, Poscritto) che rende incapaci di sottrarsi alla seduzione dellidealismo e alla falsa
chiarezza dei valori. Ci che Wagner incarna quindi lideale
ascetico come malattia della decadenza.
Qual , allora, il valore dellideale ascetico per lartista Wagner? Nullo, o una tale quantit di cose diverse, che lo stesso
di nulla! (GM III 5). La scelta di Wagner non sembra dettata
da un convincimento personale o morale, ma come si detto
dalla convenienza; la stessa decisione di abbracciare la filosofia di
Schopenhauer cela, in realt, lincapacit di sostenere la propria
come ci si aspetterebbe, Nietzsche scrive: I Tedeschi sono canaille. () Eccettuati i
miei rapporti con alcuni artisti, e innanzitutto con Richard Wagner, non ho mai passato
una buona ora con dei Tedeschi (EH, Il caso Wagner 4). Nonostante tutti i difetti di
Wagner, Nietzsche preferisce criticare i Tedeschi, escludendo il musicista in nome di una
vicinanza da artista.
12 Altro campione della dcadence descritto come particolarmente vicino e, perci, inquietante, il Socrate della Nascita della tragedia (cfr. anche EH, La nascita della tragedia 1).
13 Il legame tra la decadenza e il nichilismo il concetto chiave di una coappartenenza che spiega come chi ne fa parte possa essere lunico in grado di guarire se stesso e gli
altri: Mettiamo pure da parte il fatto che io sono un dcadent: ebbene, ne sono anche
lantitesi (EH, Perch sono cos saggio 2).
14 Cfr. Rovatti (2012: XII s.): Noi siamo autorizzati a sovrapporre le tre figure (psicologo, fisiologo, medico) in un ibrido assai personalizzato (). Trasfigurazione di un
fare filosofia progettualmente molto lontano da ogni tradizione professionale attribuibile al cosiddetto filosofo.

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convinzione senza lappoggio di un pensiero autorevole:


[Wagner] si rese improvvisamente conto che con la teoria e la innovazione schopenhaueriana cera da fare qualcosa di pi in majorem musicae
gloriam, cio con la sovranit della musica, come la intendeva Schopenhauer, () il musicista crebbe enormemente di valore; divent ormai un
oracolo, un sacerdote, anzi pi di un sacerdote, una specie di portavoce
dellin s delle cose, un telefono dellal di l. () C da stupirsi che
finisse per parlare, un bel giorno, dideali ascetici? (GM III 5)

Il cambio di strada di Wagner solo il voltafaccia di un consumato conoscitore del pubblico, della fama, di chi insegue
lapprovazione altrui e vive nel riflesso di s negli occhi degli altri15. Lidea di Nietzsche che Wagner si appoggi alla filosofia
di Schopenhauer, perch altrimenti non avrebbe mai la forza di
sostenere certe idee; questa scelta si dimostra vincente perch,
aderendo al pensiero del filosofo di Danzica, Wagner riuscito
a trasformare se stesso in un telefono dellal di l (GM III 5),
una vera e propria divinit. Come discepolo di Schopenhauer,
in GM III Wagner per Nietzsche soprattutto un elemento di
passaggio, che gli permette di introdurre una questione pi seria: quando un vero filosofo rende omaggio allideale ascetico,
uno spirito realmente piantato su se stesso come Schopenhauer,
un uomo e un cavaliere dallo sguardo bronzeo () che significa
tutto questo? (GM III 5). Per quale motivo un filosofo che, evidentemente, gode ancora della stima di Nietzsche, persegue la
via dellideale ascetico?
Prima di dedicarsi alla filosofia di Schopenhauer, Nietzsche
chiama per in causa il pensiero di Kant, per metter in luce la
natura fondamentalmente passionale del movente artistico, il suo
essere riaffermazione perentoria di una volont. Loggetto del
contendere lestetica, proprio perch lartista ad identificarsi
con il prete, come lesempio di Wagner ben esemplifica:
Kant pensava di rendere onore allarte quando fra i predicati del
15 Per una disamina della complessa questione si veda Campioni 1998: 197-219 e
Campioni 2008: 138 ss.

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bello prefer e pose in primo piano quelli che costituiscono lonore


della conoscenza: impersonalit e validit universale. () Bello ha
detto Kant quel che piace in guisa disinteressata. Disinteressata!
Si confronti questa definizione con quellaltra espressa da uno spettatore e artista vero Stendhal, che chiama il bello une promesse de
bonheur. Qui comunque rifiutata e cancellata proprio quellunica cosa
che Kant mette in rilievo nella condizione estetica: le dsintressement.
Chi ha ragione: Kant o Stendhal? (GM III 6)

Kant, quindi, avrebbe commesso un errore di prospettiva fondamentale con la definizione del bello come ci che piace in
guisa disinteressata, perch questo disinteresse cos irreale
che carica lesperienza estetica di una falsit irrecuperabile16.
Schopenhauer, daltro canto, pur dichiarandosi kantiano, carica
la questione di una sfumatura eminentemente sessuale: leffetto
dellesperienza estetica sarebbe simile a una droga che distoglie
dallinteresse sessuale perci egli non si mai stancato di
magnificare questa liberazione dalla volont come la grande
prerogativa e utilit della condizione estetica (GM III 6).
Lappello di Nietzsche alla separazione tra lautore e la sua
opera sembra, a questo punto, cedere il passo a uninterpretazione fisiologica del pensiero di Schopenhauer17, dato che egli si
16 Sul complesso rapporto con la filosofia kantiana si veda Marton 2011, articolo ricco anche di riferimenti puntuali ad alcuni elementi della numerosa bibliografia sul punto.
17 La compenetrazione tra biografia e pensiero immediato risvolto della mancanza
di separazione tra mente e corpo un fattore essenziale della filosofia di Nietzsche, pi
volte riaffermata dallo stesso filosofo come imprescindibile per una corretta interpretazione del suo pensiero (basti pensare alla prefazione della Gaia scienza e al richiamo
allesperienza vissuta propedeutica alla comprensione del libro; FW, Prefazione alla
seconda edizione). Questo elemento mette in pericolo limmagine dellalgido teoreta e
viene spesso trascurato per la paura, forse, di mettere in crisi unimmagine ideale del filosofo. Tra i primissimi interpreti a tentare una spiegazione di questa pericolosa vicinanza
in Nietzsche troviamo Lou Andreas-Salom, che nel 1894 pubblic Friedrich Nietzsche
in seinen Werken, leggendone la filosofia come organicamente connessa alle vicende di
salute e malattia: Se il compito principale del biografo quello di far luce sul pensatore attraverso luomo, ci vale in modo particolare per Nietzsche poich in lui, come
in nessun altro, si verificata una piena coincidenza tra le sue opere e la sua biografia
(Andreas-Salom 2009: 15). Tra gli altri, sarebbe importante ritornare sulle illuminanti
analisi di Sarah Kofman che, in particolare in Explosions I e Explosions II dosando
sapientemente analisi freudiana e modalit nietzscheana riesce a penetrare il pensiero

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chiede se la concezione di fondo della sua Volont e rappresentazione () abbia preso origine da una generalizzazione di
codesta esperienza della sessualit. (GM III 6)
A detta di Nietzsche, Schopenhauer dimostra di cercare il bello per un interesse fortissimo, personalissimo quantaltri mai:
quello del torturato che si sviticchia dalla sua tortura (GM III
6). La vera anima dellideale ascetico di Schopenhauer , perci,
il tentativo di sottrarsi alla volont di vivere, questo sviticchiarsi
da una tortura che, tuttavia, riesce solo a riconfermare con maggiore veemenza la volont stessa.
Il rapporto con i sensi e la sessualit problematico generalmente per i filosofi, non solo per Schopenhauer. Esiste un
pregiudizio del filosofo a favore dellascetismo sembra fornire
modalit certe per giungere alla realizzazione di s, come un
optimum delle condizioni di suprema e arditissima spiritualit e
con ci non nega lesistenza, sibbene afferma in essa la sua esistenza e unicamente la sua esistenza, e questo forse sino al punto
da non restargli lontano lempio desiderio: pereat mundus, fiat
philosophia, fiat philosophus, fiam! (GM III 7).
Nietzsche pensa che i filosofi che si affidano allascetismo,
sperando di divenire animali alati, si sbaglino grossolanamente:
la loro scelta non pu condurli a un reale distacco, poich non
ha nulla a che fare con la cosa in s, ma riguarda solo le loro
personali necessit. Non c nessuna virt, il vero movente il
filosofo stesso (pereat mundus () fiat philosophus), o meglio,
la sua incapacit di stare al mondo per la quale egli sceglie di
cancellare il mondo stesso. I filosofi che predicano lascetismo
sono lontanissimi dalla virt, ma impegnati a rimanere in quelle che pensano essere le migliori condizioni di esistenza; per far
questo, sono pronti a piegare il resto del mondo alla loro estrema
volont.
del filosofo partendo dal fulcro inquietante di Ecce homo. Questa modalit in grado
di evidenziare, nella filosofia di Nietzsche, il lato pi attuale dato che ci proietta in un
contesto di consapevolezza sullinconscio e quello pi antico dato che fa emergere la
profonda consonanza con il modello greco antico di filosofia come esercizio e pratica
di vita (Hadot 2005: 155 ss. Cfr. anche Hadot 1998: 219 ss.).

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4. Lorecchio del filosofo


Nella contrapposizione che Nietzsche istituisce tra i dotti18
e gli spiriti forti, possiamo individuare una possibilit di chiarimento sul tipo di filosofo a cui Nietzsche si sente vicino: egli
rifugge il chiasso, lontano da ogni attualit19. Il tono della sua
voce rivelativo: chi sicuro di s, infatti, parla basso; cerca
la riservatezza, si fa aspettare. Si riconosce un filosofo dal suo
rifuggire tre cose abbaglianti e chiassose: la gloria, i principi e
le donne (GM III 8). La voce rivela e lascolto attento coglie il
vero senso20.
Come spesso accade, Nietzsche nasconde mettendo in evidenza: il sottolineare la dimensione acustica, la necessit di ascoltare,
rimanda direttamente allunica possibilit di far filosofia diversamente allinterno di un contesto pesantemente ipotecato dalla
metafisica tradizionale. Il pensiero deve farsi canto, la scrittura
deve farsi poesia per potersi svincolare dalla dialettica dicotomica. Zarathustra era stato il tentativo di Nietzsche di far sentire
questo nuovo pensiero; non essendo stato ascoltato, il filosofo si
trova costretto a tornare a fare patti con le modalit pi quotidiane del pensiero. Lo stile diventato ormai grande stile21,
laforisma era stato solo il primo passo per portare a questo risultato22.
18 Cfr. Za, Dei dotti. Si veda anche JGB 211, dove negli operai della filosofia possiamo leggere una figura ancora distante dal vero filosofo che non solo critico, ma
creativo e sperimentatore, imprudente e giocatore (JGB 205).
19 Il filosofo di cui si tratteggia la possibilit il vero filosofo (JGB 205). Stimolante
larticolo di Babette Babich (2000), anche se non direttamente sulla questione della Genealogia.
20 Questo richiamo alla dimensione uditiva estremamente importante per comprendere Nietzsche: non si tratta mai, infatti, solo di leggere, ma bisogna ascoltare, sentire, intendere e aprirsi alla tonalit di un pensiero inaudito.
21 Kofman (1993: 44) osserva che Lo stile, e soprattutto quello di Nietzsche, deve
perci esser pensato allo stesso modo al plurale. () Lo stile pensato qui con riferimento alla musica. Per un approfondimento su questo complesso tema si veda anche, tra gli
altri, Crawford 1991: 210-237; Derrida 1991; Derrida 1993; Cacciari 1975-1976: 464-492.
Cfr. anche EH, Perch scrivo libri cos buoni 4.
22 Secondo la Kofman (1972: 167), laforisma con la sua brevit, la sua densit, invi-

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Il vero filosofo deve possedere questo istinto corporeo del ritmo che gli consente di pensare danzando23, ossia con destrezza
e creativit24. La sua diversit lo rende spirito materno, che
sceglie naturalmente lastinenza per preservare la propria creatura, esonerato dal dover pensare a s (GM III 8). Il termine
materno sottolinea tutta la distanza dallideale socratico: il filosofo non pi lostetrico delle idee altrui, ma le mette al mondo lui stesso, non rinnegando cos la componente corporea del
pensiero, fondamentale in ogni idea ben riuscita. Il filosofo vero
gravido delle proprie idee, le cresce in s e le partorisce con
tutto il dolore che questo comporta. A guidarlo la necessit,
non certo la virt; lintelligenza del corpo a fargli scegliere la
cosa migliore da fare e quella alla quale rinunciare. Non c una
scelta utile alla base dellastinenza, ma invece proprio il loro
istinto materno ci che qui, a vantaggio dellopera in gestazione, spregiudicatamente dispone di tutte le altre riserve e risorse
di forza, di vigore della vita animale: la forza pi grande utilizza
allora quella pi piccola (GM III 8).

5. Ascesi e digiuno come strumento di potere


Lastinenza come estinzione camuffata della sensualit solo
una trasfigurazione dello stimolo sessuale ed implica una riafferta a danzare: la scrittura stessa della volont di potenza, affermatrice, leggera, innocente. Scrittura che cancella lopposizione di gioco e seriet, di superficie e della profondit
della forma e del contenuto, del divertimento e del lavoro.
23 Solo nella danza io so parlare i simboli delle cose pi alte (Za, Il canto dei sepolcri), ma anche: Potrei credere solo a un dio che sapesse danzare (Za, Del leggere e
scrivere). La danza, come espressione corporea della capacit di volere senza attaccamento al fine, in maniera innocente, ampiamente presente nello Zarathustra, spesso come
elemento carismatico e seduttivo legato al femminile. Cfr. per esempio Za, Di antiche
tavole e nuove: Cos io voglio luomo e la donna: luno prode in guerra e laltra valida nel
generare figli, ambedue per bravi danzatori nella testa e nelle gambe. E perduto sia per
noi quel giorno, in cui non si sia danzato almeno una volta! E falsa sia per noi ogni verit,
che non sia stata accompagnata da una risata. Cfr. anche Negri 2011: 75-105.
24 Cfr. la chiusa di JGB 211: Il loro conoscere creare, il loro creare una legislazione, la loro volont di verit volont di potenza.

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mazione della volont di vivere e riprodursi. I brahmani, contemplativi per eccellenza, hanno saputo edificare il proprio potere su questo tipo di astinenza rendendola il senso della propria
esistenza (GM III 10).
Nietzsche richiama il brahmanesimo, il buddhismo o linduismo, come esempi della pi raffinata soluzione della volont di
primeggiare sugli altri e di imposizione della propria morale; tutte
queste forme sono strettamente legate alla volont del nulla che
caratterizza le forme dellidealismo ascetico, una volont vivente
di contraddizione e di contronatura che, come fecero gli asceti
della filosofia Vedanta, [degrada] la corporeit a illusione, e similmente il dolore, la molteplicit, lintera antitesi concettuale
soggetto e oggetto errori, nullaltro che errori! (GM III
12). I riferimenti sono molteplici allinterno della Genealogia, ma,
in definitiva, si pu concordare sul fatto che si tratta di soluzioni
che, seppur raffinate dal punto di vista dellinterpretazione, sono
legate ad un nichilismo retrivo, che condanna la potenza vitale25.
Come gli antichi brahmani, i filosofi hanno dovuto travestirsi,
hanno dovuto assumere la maschera del gi conosciuto per essere accettati: perci, latteggiamento (il vivere appartato o la negazione del mondo) ha finito per acquisire validit in s e diventare
25 Unanalisi puntuale della lettura del pensiero indiano da parte di Nietzsche stata
recentemente compiuta da Emanuela Magno, che sottolinea: Lideale ascetico (di cui la
religione del Buddha testimone esemplare), con il suo portato di rinuncia e di potente
volont negatrice del mondo, e come senso offerto allassurdit della sofferenza, presenta, per Nietzsche, un solido nesso con lo spirito e latteggiamento filosofico che da sempre deriva il valore delle sue metafisiche, della sua volont di verit, da una sotterranea
avversione alla vita di cui lideale ascetico incarna la forma spiritualizzata (Magno
2012: 167). Il buddhismo conserva, dunque, la doppia funzione di termine positivo, nei
confronti del cristianesimo, e di termine negativo, in quanto, nonostante la raffinatezza della sua analisi, non riuscito a uscire da un nichilismo passivo: Per Nietzsche, il
buddhismo ancora testimonia, nonostante la lucidit del suo esame conoscitivo e i suoi risultati di condotta che hanno determinato unaltra e pi alta morale rispetto a quella
della filiazione cristiana , una forma passiva di nichilismo, una forma, dunque, ancora,
priva di quella forza propulsiva e dirompente in grado di sovvertire lordine, i codici, le
gerarchie dei valori teorici ed etici annunciata dalla filosofia nietzscheana, che alla crisi
europea risponde con la potenzialit straripante di un nichilismo della forza, in grado di
ricreare luomo dalle sue stesse ceneri, di divinizzare la sua pi intima natura: di contro
allessere della metafisica e di Dio, la potenza abissale dellevento, il divenire (ibid., 169).

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cifra di una vita filosofica. In definitiva, scrive Nietzsche,


lo spirito filosofico ha sempre dovuto innanzitutto travestirsi e mascherarsi nei tipi anteriormente stabiliti delluomo contemplativo ().
Lideale ascetico servito al filosofo come forma fenomenica, () costui
() dovette credere in esso per poterlo rappresentare. Il prete ascetico
ha costituito () la forma larvale sotto la quale soltanto la filosofia ebbe
diritto di vivere. (GM III 10)

Se, quindi, abbiamo compreso questa funzione storica dellideale, venuto il momento di porsi la domanda pi importante,
ossia se veramente venuto il tempo per il nuovo filosofo.
necessario interrogare il valore dellideale ascetico proprio ora
che la funzione del prete asceta svelata: egli, infatti, ha fede
in quellideale e ne fa la sua potenza. Il filosofo coincide con il
prete asceta quando crede nellideale di cui si rivestito, e si
smarrisce nellaffermazione della propria volont di comandare
il mondo. Egli ha la necessit di raccogliere adepti proponendo
il miraggio di un mondo vero, puro e perfetto: Lasceta tratta
la vita come un cammino sbagliato, () come un errore che si
confuta si deve confutare, mediante lazione: giacch costui esige che si proceda insieme a lui, impone a forza, dove pu, la sua
valutazione dellesistenza (GM III 11). Egli ha bisogno di essere
creduto e seguito.
Lindagine di Nietzsche, che diviene fisiologica (GM III 11), si
concentra sul prete asceta per rivelare lunitaria matrice religiosa
del problema: questa figura, infatti, rivela la lacerante contraddizione vitale del ressentiment, una rabbia contro il mondo in cui
la vita stessa a essere lodiato bersaglio dellasceta, e, soprattutto,
i suoi segni, come la prosperit fisiologica, la gioia e la bellezza:
Una vita ascetica infatti unautocontraddizione: domina qui un ressentiment senza eguali, quello di un insaziato istinto e una volont di
potenza che vorrebbe signoreggiare non su qualcosa della vita, ma sulla
vita stessa. () Tutto ci paradossale in sommo grado: ci troviamo di
fronte a una disarmonicit che vuole se stessa disarmonica, che di se
stessa gode in questa sofferenza. (GM III 11)

Non riuscendo a vivere, lasceta condanna la vita come male;

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lunica dimensione possibile dellessere viene ricercata nel nulla.


Ogni filosofia che parta da questa premessa non pu che essere
una volont del nulla, un tentativo di impiegare la forza per
ostruire le sorgenti della forza (GM III 11), una radicale distruzione di qualsiasi possibilit di ragionare e di raggiungere la
verit della vita nella sua impermanenza e mancanza di senso.
Contro questa deriva della volont dellideale ascetico di
correggere lo sguardo e costituire uno sguardo puro, senza
volont, senza dolore, che pu solo restituire un concetto immaginario del reale, Nietzsche contrappone una diversa modalit di filosofare, un vedere prospettico, () un conoscere
prospettico26, che renda conto delle forze attive e interpretative che caratterizzano la complessit del mondo (GM III 12).
Questo sguardo prospettico uno sguardo di occhi e di affetti, che riammette a pieno titolo la dimensione materiale dellesistenza. Si tratta della filosofia degna della grande ragione (Za,
Dei dispregiatori del corpo).
Lo sguardo esente da ogni traccia di sensualit dellideale
ascetico , infatti, solo un mito costruito dalla filosofia per elevare il pensiero allimmobilit, per tentare di dargli una forma perenne che lo sottragga alloblio. Se questa astrazione funzionale
viene dimenticata, la filosofia diventa un elemento di squalificazione totale della realt fluida e sfuggente della vita. La desensualizzazione della ragione crea pertanto un vuoto incolmabile
nello sguardo, privandolo di se stesso dato che sempre siamo
carne vivente e sostituendo a esso uno sguardo artificiale, di
sorvolo27, che perde la possibilit di farsi carico di quellocchio
che e sempre sar il punto cieco della visione, il suo punto
26 Sul prospettivismo come fulcro della possibilit di superare lidea metafisica di verit unica, si vedano Gori 2011; Stellino 2011; Cfr. anche Gori 2010 e Ibez-No 1999.
Su prospettivismo e ascetismo in GM III 12 si veda infine il contributo di Carlo Gentili
al presente volume.
27 Faccio riferimento alla definizione di Merleau-Ponty, pensiero di sorvolo, che
egli usa ne Locchio e lo spirito a proposito dello sguardo che si pretende esente dallessere
carne del mondo, ad esempio quello della scienza e di molta filosofia (cfr. MerleauPonty 1989: 15). Sulla possibilit di intendere Nietzsche come un proto-fenomenologo,
cfr. Daigle 2011.

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morto. Un tale ideale non pu quindi funzionare, non conduce


lontano; come ci insegna il fisiologo, infatti, ogni nostro concetto altro non che una sintesi di sconosciuti e molteplici apporti percettivi, sensoriali o reattivi.28 Lintelligere funziona solo
ed esclusivamente grazie alle passioni, o meglio ancora, grazie a
pulsioni di cui spesso non siamo neppure consapevoli (FW
333). Lideale ascetico non per una lotta con la morte, per la
morte; in esso Nietzsche vede piuttosto uno stratagemma nella
conservazione della vita (GM III 13), un tentativo di imporre
unaltra modalit di vita escludendo tutte le altre, per paura.
Lideale ascetico scaturisce dallistinto di protezione e di salute di una
vita degenerante, che cerca con tutti i mezzi di conservarsi e lotta per la
sua esistenza. () La vita lotta in esso e attraverso di esso con la morte e
contro la morte, lideale ascetico uno stratagemma nella conservazione
della vita. (GM III 13)

Il prete asceta , di fatto, il desiderio, fatto carne, di un essere-in-altro-mondo, di un essere-in-altro-luogo, e invero il grado
supremo di questo desiderio, il suo caratteristico ardore e la sua
passione: ma appunto la potenza del suo desiderare il ceppo
che lo inchioda qui (GM III 13). Non solo il prete asceta inchiodato a questa esistenza, ma escogita raffinate modalit per
mantenere nella stessa situazione le schiere di falliti, di malcontenti, di malriusciti, di sciagurati, di sofferenti di s. Coloro che
non vogliono essere se stessi vengono convinti a rimanere tali,
perch cos riconfermano il prete asceta nella sua funzione e nel
suo potere; egli infatti pastore e difensore del gregge malato:
solo cos comprendiamo la sua missione storica. Il dominio sui
sofferenti il suo regno, a esso lo rinvia il suo istinto, in esso
possiede la sua vera arte, la sua maestria, la sua specie di felicit
(GM III 15). Leffetto di questo movimento perverso la nausea
e la compassione di fronte alluomo, e il suo pi nefasto prodotto
il nichilismo (evidentemente passivo e deteriore).

28

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Cfr. su questo Lupo 2006.

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6. Ressentiment e peccato, le catene del prete-filosofo


Il prete, pur malato della stessa debolezza codarda e ripugnante del suo gregge, ha la capacit di dominare gli altri; egli ha
capito che necessario rendere sempre pi malato e sofferente il
gregge, per padroneggiarlo. Con arte sopraffina, egli sa pertanto
indirizzare il ressentiment29.
Il prete il modificatore di direzione del ressentiment. Ogni sofferente, infatti, cerca istintivamente una causa del proprio dolore, () un
autore responsabile, sensibile alla sofferenza insomma un qualsivoglia
essere vivente su cui, con un qualche pretesto, possa scaricare di fatto o
in effigie le sue passioni; poich lo sgravarsi delle passioni il massimo
tentativo di sollievo, cio di stordimento da parte del sofferente, il suo
narcotico involontariamente desiderato contro ogni sorta di tormento.
(GM III 15)

Ogni malato cerca un capro espiatorio, una causa, per dare un


senso alla propria sofferenza, ed ecco che il prete esegue il suo
capolavoro: convince il malato che lorigine di ogni tormento
lui stesso, inventando la colpa. La mossa sicuramente ardita,
completamente falso il contenuto; per funziona, e la direzione
del ressentiment cambiata in modo tale da rinsaldare ancora
pi il potere del prete asceta, che diviene lunica ncora di salvezza da se stessi. A questo punto, Il prete mette in campo una
serie di raffinate tecniche per organizzare e mantenere il potere
sullarmento; tra questi, lamore del prossimo svela la vera natura
del movimento ascetico come espressione della volont di potenza, proprio perch dominio sullaltro.
Prescrivendo amore per il prossimo, il prete asceta prescrive in
fondo uneccitazione dellistinto pi forte e maggiormente affermatore
di vita, anche se dosato con la massima cautela la volont di potenza.
La gioia della pi piccola superiorit, implicita in ogni beneficare,
avvantaggiare, trattare con distinzione, il pi abbondante mezzo di
conforto di cui sono soliti servirsi i fisiologicamente inibiti. (GM III 18)
29 Sulla astuta doppiezza del prete asceta pur con altra impostazione cfr. Orsucci
2001: 128-142.

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Il capolavoro della perversione del prete asceta il fatto di essere riuscito a rendere il malato totalmente dipendente dal senso
di colpa, tramutandolo in peccatore30, grazie ad una interpretazione distorta della vita.
Luomo che in qualche modo () soffre di se stesso, senza sapere
perch, a che pro, desideroso di ragioni, () finisce per consigliarsi
con qualcuno che sa anche le cose occulte ed ecco, riceve un avvertimento, riceve dal suo mago, il prete asceta, il primo avvertimento sulla
cagione del suo soffrire: deve cercarla in se stesso, in una colpa, in un
frammento di passato, deve comprendere la sua stessa sofferenza come
una condizione di castigo (GM III 20)

Il peccatore chiuso in un circolo vizioso, come una gallina


intorno alla quale sia tracciata una linea (GM III 20). Lideale
ascetico ha distorto lintera storia europea: non ne sono esenti,
infatti, n la scienza n gli idealisti, gli ultimi contemplativi che
pensano, a torto, di trovarsi lontani dalle posizioni del prete asceta; lerrore comune a tutti la fede nello stesso ideale ascetico,
la fede in un valore metafisico, in un valore in s della verit31.
La scienza, da molti indicata come antagonista dellascetismo,
in realt nutrita dallo stesso errore, ossia dalla fede incrollabile
nellesistenza di una verit assoluta, convinzione che non si discosta molto dalla volont di verit del prete asceta. Neppure la
scienza tocca quindi la radice del problema, cio il fatto che il
rapporto delluomo con il mondo (e con se stesso) sia animato
da una fondamentale esigenza di ricercare la verit; neppure
lei, infatti, mette in dubbio il fatto che ci sia bisogno di una verit
per vivere. La scienza, perci, non riesce a essere una vera alternativa rispetto alla religione, ma ne rappresenta una possibile
declinazione.
La scienza stessa esige ormai una giustificazione (). Non esiste,
giudicando rigorosamente, alcuna scienza priva di presupposti, il
30 Un interessante confronto tra questa figura specifica di GM e la filosofia del Foucault della Storia della sessualit, si trova in Konoval 2013.
31 Per un approfondimento su questo tema, cfr. i contributi di Helmut Heit e Pietro
Gori al presente volume.

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pensiero di una scienza siffatta impensabile, paralogico: una filosofia,


una fede deve sempre preesistere, affinch la scienza derivi da essa
una direzione, un senso, un limite, un metodo, un diritto allesistenza
(GM III 24).

Per Nietzsche, necessario andare oltre e mettere in dubbio


il valore della verit, la sua necessit, la sua stessa esistenza. Chi
mai potr porre un interrogativo come questo, se gli scienziati
e i filosofi attuali sono incapaci di vedere il problema, dato che
sono incollati ad esso? Potranno forse farlo gli uomini della conoscenza che, ben conoscendo il valore consolatorio della fede,
ne disconoscono il valore veritativo, dato che una fede vigorosa,
che rende beati un sospetto verso ci di cui essa fede, non
fonda verit, fonda una certa verosimiglianza dellillusione
(GM III 24)?
Gli uomini della conoscenza possono essere gli unici in grado di farlo perch hanno un s bramoso di tutto che vorrebbe
vedere attraverso molti individui come attraverso i suoi stessi occhi e merc loro vorrebbe afferrare come con le sue stesse mani
(FW 249). Il prospettivismo il loro naturale atteggiamento.

7. Noi, uomini della conoscenza


Gli uomini della conoscenza a cui Nietzsche si associa
non vogliono proporre alcun contro-valore da ostentare perch
non sono fautori di una rinnovata metafisica, ma sono coloro che
sanno interpretare e sciogliere lincanto della verit ad ogni costo, mostrandone il fondo oscuro. Sanno rinunciare allobbligo
della verit, possono accettare che non ve ne sia una. Non si dimentichi la Prefazione della Genealogia:
Siamo ignoti a noi medesimi, noi uomini della conoscenza, noi stessi
a noi stessi: questo un fatto che ha le sue buone ragioni. Non abbiamo
mai cercato noi stessi come potrebbe mai accadere che ci si possa, un
bel giorno, trovare? (GM, Prefazione 1)

Per quale motivo essi rimangono sconosciuti a loro stessi?

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Forse perch sanno di non dover cercare nessuna conoscenza


assoluta, che implicherebbe la fede in unessenza, in una verit
ultima dellesistenza, che impossibile da pensare32. Questi uomini non hanno cercato di svelare il mistero della vita, perch
sanno che non c nulla da svelare sotto lapparenza del fenomeno; proprio per questo non sono impauriti, ma traggono da ci
un senso di libert. La parvenza di cui i temerari dello spirito
(FW, Prefazione alla seconda edizione 4)33 si nutrono la vita
liberata dallideale, dalla ricerca insensata di un senso di ci
che chiamiamo io, che solo un nome per indicare una molteplicit complessa di atti del nostro corpo che rimangono inesorabilmente sconosciuti34. Come gli antichi Greci, conoscitori di
Baubo35, essi sanno vivere rimanendo alla superficie, dove si cela
la vera profondit, hanno la coscienza della parvenza36.
32 Patrick Wotling (2008) si domanda come si giustifichi prima di tutto lidentificazione della filosofia con la ricerca della verit. () Nessun filosofo ha domandato perch bisognerebbe preferire la verit allerrore, o allignoranza; neppure se fosse legittimo
operare una tale separazione dualista tra verit ed errore, apparenza, illusione: la cosa
sembrava, in qualche modo, andare da s.
33 Il vero filosofo () vive in guisa non filosofica e non saggia, soprattutto
imprudente (JGB 205).
34 Lunit dellio quella di un complexus ed solo attraverso una illusione metafisica che gli si accorda lunit ideale e fittizia del punto matematico. Essa consiste non
nellatto di una essenza pretesa semplice, ma in una coordinazione di centri nervosi che
rappresentano loro stessi una coordinazione delle funzioni dellorganismo (Campioni
1998: 236).
35 Sullimportanza fondamentale del richiamo a Baubo ha scritto Sarah Kofman, svelando in maniera inequivocabile il legame essenzialmente ambiguo tra Baubo, Dioniso e
il femminile negato dalla filosofia: La figura di Baubo significa che una logica semplice
non saprebbe capire la vita che non n profondit n superficie, che dietro il velo c
un altro velo, e dietro uno strato di pittura ce n unaltra; [Baubo] significa anche che
lapparenza non deve suscitare n scetticismo n pessimismo, ma il riso affermatore di un
vivente che sa che, malgrado la morte, la vita pu ritornare indefinitamente. () Baubo e
Dioniso sarebbero quindi due dei molteplici nomi della vita proteiforme. Contrariamente
a Baubo, tuttavia, Dioniso nudo. Nudit che non significa rivelazione di una verit, ma
affermazione senza velo dellapparenza (Kofman 1986: 255-257).
36 Cfr. FW 54: Parvenza per me proprio ci che opera e vive, che si spinge tanto
lontano nella sua autoderisione da farmi sentire che qui tutto parvenza e fuoco fatuo e
danza di spiriti e niente pi che tra tutti questi sognatori anchio, luomo della conoscenza, danzo la mia danza.

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Non crediamo pi che la verit resti ancora verit, se le si tolgono


i veli di dosso; abbiamo vissuto abbastanza per credere in questo. ()
Forse la verit donna. () Forse il suo nome, per dirla in greco,
Baubo? Oh questi Greci! Loro s sapevano vivere; per vivere occorre arrestarsi animosamente alla superficie, allincrespatura, alla pelle,
adorare la parvenza, credere a forme, suoni, parole, allintero Olimpo
della parvenza! (FW, Prefazione alla seconda edizione 4)

Il dionisiaco, evocato dalla figura di Baubo, simbolizza le caratteristiche del nichilista attivo, in grado di giocare il mondo
secondo la dinamica delleterno ritorno, senza paura. Nietzsche
sa che anche gli uomini della conoscenza i filosofi non idealisti e antimetafisici non sono totalmente indipendenti dai
presupposti metafisici, anche solo per il fatto che la loro stessa
consapevolezza filosofica nata della metafisica37.
Questa consapevolezza il fondamento della diffidenza che
contraddistingue gli uomini della conoscenza, che sono costantemente alla ricerca di interpretazioni che mettano in scacco
lassolutezza del principio, della verit ad ogni costo. Essi si
sanno interni a una tradizione da cui scaturisce la domanda sulla
volont di verit (GM III 27) e affrontano coraggiosamente il
crollo della metafisica fronteggiando la dimensione nichilistica
dellesistenza; questo li rende, per, in grado di danzare sulle macerie e di immaginare unalternativa allimmobilismo pretesco,
forse grazie allaccettazione della naturale legge della vita, legge
del necessario autosuperamento nellessenza della vita (ibid.).
In questo modo, figli della stessa morale cristiana, essi possono
affrontare alla radice il problema della volont di verit38.
Che senso avrebbe tutto il nostro essere, se non quello espresso dal
fatto che in noi codesta volont di verit sarebbe diventata cosciente a se
37 Cfr. FW 344, citato in GM III 24: pur sempre una fede metafisica quella su cui
riposa la nostra fede nella scienza che anche noi, uomini della conoscenza di oggi, noi
atei e antimetafisici, continuiamo a prendere anche il nostro fuoco dallincendio che una
fede millenaria ha acceso, quella fede cristiana che era anche la fede di Platone, per cui
Dio verit e la verit divina.
38 Per unanalisi di tale questione si rimanda ancora al contributo di Pietro Gori al
presente volume.

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stessa come problema? Per questa progressiva autocoscienza della volont di verit, a partire da questo momento non v alcun dubbio va
crollando la morale: un grande spettacolo in cento atti, che viene riservato ai due prossimi secoli europei, il pi tremendo, il pi problematico e
forse anche il pi ricco di speranza tra tutti gli spettacoli (GM III 27)

Prendere coscienza del problema indispensabile per salvarsi


dalla cecit dellideale ascetico che, nelle sue molteplici forme
si insinua nella nostra vita, distruggendola e avvelenandola con
il sospetto, rendendola indesiderabile con il peso del peccato e
della colpa. Sicuramente, quello che si pu contrapporre non
una volont di sostituzione dellideale, ma come abbiamo visto la necessit di continua analisi e demistificazione nellottica
del prospettivismo, che permetta di mettere in luce linconsistenza del vicolo cieco nel quale lumanit sembra chiusa. Solo chi
non riesce a vedere linutilit della ricerca di una verit, di un
senso, pensa che la mancanza di questultimo sia un problema
invalicabile.
La natura delluomo lo conduce alla ricerca di una consolazione, di una spiegazione o di un colpevole, perch lamor fati
intollerabilmente leggero. Pochi uomini, in realt, hanno la forza
di accettare questa inutilit del fine.
Lassurdit della sofferenza, non la sofferenza, stata la maledizione
che fino a oggi dilagata su tutta lumanit e lideale ascetico offr a
essa un senso! stato fino a oggi lunico senso; un qualsiasi senso
meglio che nessun senso; lideale ascetico stato sotto ogni aspetto il
faute de mieux par excellence che sia mai esistito sino a ora. In esso la
sofferenza venne interpretata; lenorme vuoto parve colmato; si chiuse
la porta dinanzi a ogni nichilismo suicida. (GM III 28)

Lideale ascetico continua a essere scelto perch uninterpretazione che offre un senso alla sofferenza uninterpretazione
che ha per la colpa di volersi unica e assoluta. Nonostante il
dolore che provoca e le rinunce che impone, essa continua inoltre a riaffermare un volere, anche se nella sua forma pi infelice e
nichilista. Luomo della conoscenza sa e pu non fermarsi a una
interpretazione, intende il mondo prospetticamente e, in questo

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modo, distrugge senza posa il castello di dogmi e illusioni del


prete-filosofo asceta.
La posizione di Nietzsche, che era apparsa chiara sin dallinizio della terza dissertazione, coincide, a mio parere, in modo
discorsivo con lorizzonte di unumanit a venire e dello zarathustriano bermensch: non imposizione, ma possibilit di un altro
modo di essere, un vero ribaltamento interno delledificio metafisico che, facendo emergere le aporie della filosofia, sia in grado
di riconquistare senza paura il non detto che la struttura segretamente. La vita, a lungo negata e condannata, il convitato di
pietra della metafisica occidentale, che ne struttura la storia con
la sua assenza; solo riammettendola a pieno titolo nel pensiero,
accettandone la multiforme impermanenza, si avr lopportunit
di uscire da un nichilismo distruttivo che, non riuscendo ad accettare il cambiamento, lo condanna contrapponendo principi e
valori eterni e inamovibili.
Non a caso, infatti, questa la prospettiva celebre nota composta da Nietzsche a Lenzer-Heide il 10 giugno 1887, a poche
settimane dallinizio della stesura della Genealogia39:
Quali uomini si riveleranno allora i pi forti? I pi moderati, quelli
che non hanno bisogno di articoli di fede estremi, quelli che non solo
ammettono, ma amano una buona parte di caso, di assurdit, quelli
che sanno pensare alluomo con una notevole riduzione del suo valore,
senza per questo diventare piccoli e deboli: i pi ricchi di salute, quelli
che sono allaltezza della maggior parte delle disgrazie, e che quindi
non hanno tanta paura delle disgrazie gli uomini che sono sicuri della
loro potenza, e che rappresentano con consapevole orgoglio la forza raggiunta dalluomo. (NF 1886-87, 5[71])

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39

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Cfr. su questo Stegmaier 1994.

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Sullutilit e il danno dellideale


ascetico per la filosofia
Ascesi e askesis in GM III
Giovanni Gurisatti
1. Il tipo umano Schopenhauer per Nietzsche
In un discorso tenuto al Nietzsche-Archiv di Weimar il 15
ottobre 1924, in occasione dell80 anniversario della nascita
di Nietzsche, intitolato Nietzsche und sein Jahrhundert, Oswald
Spengler esalta la capacit fisiognomica del filosofo di vedere la
storia, penetrando con lo sguardo nellanima di tempi, popoli
e civilt, esattamente come nel caso dei singoli individui (cfr.
Spengler 1924/1937: 116-119). Questa peculiare psicologia delle epoche valga per tutte quella dellepoca tragica sviluppata
nella Nascita della tragedia implica lindividuazione di tipi
umani in grado di esprimere in modo concentrato, come monadi leibniziane, un intero universo storico.
Come nella Nascita della tragedia massima importanza viene attribuita al tipo umano Socrate, il tipo di una forma di esistenza
prima di lui mai esistita, il tipo delluomo teoretico (GT 15) tipo
razionalistico, ottimistico, etico, dialettico, opposto al tipo tragico,
artistico, estetico, dionisiaco , cos nella Genealogia della morale
massima importanza riveste il tipo umano Schopenhauer, identificato con il tipo umano del prete ascetico (o prete asceta),
emblema monadologico di unepoca decadente caratterizzata dalla rinuncia a tutto ci che vitale, vigoroso, sano, affermativo. Prigioniero del suo ressentiment, il prete asceta, lungo un percorso
di successive negazioni che, alla fine, sfociano nella stanchezza,
nel tedio di se stessi e nella volont rancorosa del nulla, prova, al
tempo stesso, grande nausea e grande compassione per luomo,
ponendosi cos come il naturale avversario, nonch spregiatore,

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Giovanni Gurisatti

di ogni rude, tempestosa, sfrenata, aspra, brutalmente rapace salute e possanza (GM III 15). Come il tipo delluomo teoretico della
Nascita della tragedia si oppone allesuberanza poietico-creativa
del dionisaco, cos il tipo del prete asceta della Genealogia muove
guerra agli animali da preda, ovvero alla magnifica divagante
bionda bestia, avida di preda e di vittoria (GM I 11), protagonista
della prima dissertazione del testo1.
In entrambi i casi il tipo Schopenhauer a essere nel mirino
di Nietzsche: nella prefazione del 1886 alla terza edizione della
Nascita della tragedia (il celebre Tentativo di autocritica) lantiDioniso Schopenhauer, in ci erede tanto del platonismo socratico quanto dellascetismo cristiano (cfr. EH, La nascita della
tragedia 2), simbolo di pessimismo, rassegnazione, ostilit alla
vita, ascesi quietista (unaspirazione al nulla, alla fine, al riposo, GT Tentativo di autocritica 5); allo stesso modo, nella quasi
coeva (1887) prefazione alla Genealogia, al nome di Schopenhauer sono collegati gli ideali ascetico-morali dellautonegazione,
dellautosacrificio, della compassione (cristiana e buddhista), intesi come malattie della cultura europea. quindi contro il tipo
Schopenhauer-prete asceta che la Genealogia viene scritta, e ci
sembra non lasciare dubbi circa il giudizio di Nietzsche riguardo
lutilit o il danno dellideale ascetico per la vita e la filosofia: esclusivamente dannosa sarebbe lascesi poich come nel
caso della storia malamente intesa della Seconda inattuale essa
sarebbe nientaltro che lespressione schopenhaueriana di una
volont del nulla, unavversione alla vita, una rivolta contro i presupposti fondamentalissimi della vita (GM III 28).
questo, del resto, il senso polemico esplicito della terza dissertazione della Genealogia come lo , per quanto retrospettivamente, della Nascita della tragedia , scritta anzitutto contro la coppia
Wagner-Schopenhauer, colpevoli di avere, ciascuno a suo modo,
subordinato larte, di per s dionisiaca, allideale ascetico della rinuncia e della rassegnazione. Non v infatti contrapposizione pi
1 Sulla figura della bionda bestia si veda il contributo di Alberto Giacomelli a
questo volume, in particolare 4.

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Sullutilit e il danno dellideale ascetico per la filosofia

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radicale, per Nietzsche, di quella tra ideale ascetico e arte:


Platone contro Omero: ecco il totale, autentico antagonismo l il
volontario uomo della trascendenza, il grande calunniatore della vita,
qui il suo involontario divinizzatore, la sua aurea natura. Un vassallaggio artistico al servizio dellideale ascetico perci la pi effettiva
depravazione di un artista che possa esistere. (GM III 25)

Trascurando in questa sede la questione di Wagner, chiaro


fino a che punto lascetismo estetico platonizzante di Schopenhauer, esposto nel III libro del Mondo, potesse irritare Nietzsche,
votato com a individuare nellesperienza artistica il culmine di
una contemplazione che , anzitutto, liberazione per quanto
momentanea dalla vita e dai suoi tormenti, preludio di una pi
duratura estasi antivitale che solo lascesi (la santit cristiana o
buddhista: lunio mystica e il nirvana) pu offrire. Non v dubbio
che, per Schopenhauer, lartista stia dalla parte dellasceta e del
santo, cio dei grandi negatori dellesistenza, e non abbia nulla
del dionisiaco nietzscheano, per cui larte , allestremo opposto,
liberazione della vita e delle sue incontenibili energie plastiche.
Insomma: nello schema di Nietzsche il tipo umano Schopenhauer, a sua volta identificato con il prete asceta, si oppone diametralmente sia al tipo umano del guerriero aristocratico (il
dominatore capace di un agire forte, libero, gioioso, per cui vale
lequazione buono = nobile = potente = bello = felice = caro agli
di, cfr. GM I 7), sia al tipo umano dellartista dionisiaco (che
potenza creatrice, liberazione simbolica, menzogna santificante, volont di maschera), di cui costituisce la malattia: Il prete
asceta ha guastato la salute dellanima (GM III 22). Lideale
ascetico non pu essere quindi di alcuna utilit per una filosofia
che si intende come diretta incarnazione dellideale aristocratico
e dellideale estetico.

2. Il prete asceta di Nietzsche e il santo di Schopenhauer


Quando si parla di fisiognomica di un tipo umano corrente lobiezione secondo cui il fisionomo, identificando il tipo, altro

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non farebbe in realt che produrne una semiotica, ovvero una


struttura almeno parzialmente arbitraria di segni frutto non gi di
interpretazione dellespressione oggettiva, bens di una proiezione empatica di idee o codificazioni preconcette nelloggetto preventivamente svuotato del suo senso proprio. Il tipo non verrebbe tanto conosciuto ex novo, quanto ri-conosciuto. Si potrebbe
obiettare, quindi, che in Nietzsche il tipo Schopenhauer (come
il tipo Socrate) sia solo il frutto di una forzatura interpretativa a
uso e consumo della contrapposizione strategica tra prete asceta,
da un lato, guerriero aristocratico e artista dionisiaco dallaltro.
In realt in gran parte non cos, e non questo che vogliamo
sostenere. Non v dubbio infatti che tra la figura del prete asceta
in Nietzsche e quella del santo in Schopenhauer le affinit siano
patenti. Ecco in sintesi le pi importanti:
a) Negazione della vita. Per Nietzsche nellascesi la vita ha valore di un ponte per quellaltra esistenza. Lasceta tratta la vita come
un cammino sbagliato, (...) ovvero come un errore che si confuta
si deve confutare (GM III 11). Unidea basilare che ricorre alla
lettera nel Mondo: Non v dubbio che lesistenza debba essere
considerata come un errore, la liberazione dal quale la redenzione (...). La vita, per sua costituzione, porta il carattere di qualcosa, di cui dobbiamo perdere il gusto e di cui dobbiamo liberarci
come di un errore (WWV II: 1529 e 1568)2. Perci i sentimenti
del prete asceta sono nausea, stanchezza, tedio, vendetta, rancore,
ressentiment contro la vita, e lunica meta perseguibile gli appare
una redenzione che si d fuori dalla vita: i santi, per Nietzsche,
trovano la loro quiete nel nulla (Dio) (GM III 1), proprio
come scrive Schopenhauer alla fine del IV libro del Mondo:
Con la volont svanisce anche il mondo e non ci resta davanti che
il nulla. bene, dunque, che si meditino la vita e gli atti dei santi (...).
Quel nulla che si delinea quale meta finale al di l della santit e della
virt. (WWV I: 575)
2 Nel corso del testo sono state adottate le seguenti abbreviazioni per le opere di
Schopenhauer: WWV I = Il mondo come volont e rappresentazione; WWV II = Supplementi al Mondo come volont e rappresentazione (trad. it. Schopenhauer 1859/2003).

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Ed pi che legittima, qui, la critica di Nietzsche alla voluntas


di noluntas di Schopenhauer, ovvero al fatto che il santo schopenhaueriano contraddittoriamente preferisce volere il nulla, piuttosto che non volere (GM III 1 e 28), in tal modo esaltando e portando allestremo proprio quella volont che crede di
annullare, trasformando il Wille zum Nichts pur sempre in Wille
zur Macht:
Una vita ascetica unautocontraddizione: domina qui un ressentiment senza eguali, quello di un insaziato istinto e una volont di potenza che vorrebbe signoreggiare non su qualcosa della vita, ma sulla vita
stessa, sulle sue pi profonde, pi forti, pi sotterranee condizioni (...).
Tutto ci paradossale in sommo grado. (GM III 11)

b) Rifiuto di s. Per Nietzsche la vita ascetica espiazione volontaria, autorinuncia, flagellazione, olocausto di se stessi; chi
pratica lascesi degrada la sua corporeit a illusione, ricusa fede
al proprio io, nega a se stesso la propria realt (cfr. GM III 12):
Se possibile, pi nessuna volont, nessun desiderio; evitare tutto
quanto crea passione, fa sangue (...); non amare; non odiare; imperturbabilit; non vendicarsi; non arricchirsi; non lavorare; mendicare;
possibilmente nessuna donna o meno donne possibile (...). Risultato, in
termini psicologico-morali, rifiuto di s, santificazione. (GM III 17)

appena il caso di ricordare talmente noti sono questi passaggi che in Schopenhauer la via dellascesi, dunque della redenzione, passa esattamente attraverso un graduale rifiuto di s
che ha nella mortificazione del corpo la conditio sine qua non
della santificazione:
[Lasceta] non permette che si riaccenda in lui lardore n della collera n del desiderio, e mortifica, al pari della volont, anche la sua
oggettivazione visibile, il corpo (...). Pratica il digiuno, la macerazione;
giunge a flagellare la propria carne (...). Con il termine ascesi intendo,
in senso stretto, quellannientamento intenzionale della volont, che si
ottiene rinunciando ai piaceri e andando in cerca delle sofferenze, cio
la pratica volontaria di una vita di penitenza e di macerazioni, vissuta
in vista di una costante mortificazione del volere. (WWV I: 536 e 548)

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Ed giustissima qui la critica dialettico-negativa cui Nietzsche,


da psichiatra al seguito di La Rochefoucauld e in anticipo su
Freud sottopone le virt ascetiche scaturite dalla rimozione
del corpo, degli istinti, dei bisogni e delle passioni:
Ogni volta che il prete asceta ha attuato questo trattamento [tormenti espiatori, contrizioni e spasimi di redenzione] (...), sempre lo stato
morboso cresciuto con sinistra prontezza in profondit e in estensione. Quale sempre stato lesito? Un sistema nervoso sconquassato, in
aggiunta a ci che gi prima era malato. (GM III 21)

In quanto rimozione e repressione degli istinti vitali il training


di penitenza e redenzione ottiene una guarigione che peggiore
della malattia: manifestazioni epilettiche, paralisi e depressioni
croniche, isterismo, deliri di morte, ecc. dove insomma il culto
sublimamente morale dellideale ascetico si svela essere nientaltro che una forma patologica di nevrosi religiosa
c) Contemplazione, conversione, compassione. Per Nietzsche,
oltre a essere puro, senza volont, atemporale soggetto della conoscenza contemplativa avulsa dal corpo e dalle sue passioni il
che lo assimila allartista del III libro del Mondo (Colui che
rapito in tale contemplazione scrive Schopenhauer non pi
individuo [lindividuo annientato dalla contemplazione], ma
assurge a soggetto conoscente puro, a soggetto che di l dal dolore, di l dalla volont, di l dal tempo, WWV I 264) , il prete
asceta il desiderio, fatto carne, di un essere-in-altro-modo, di
un essere-in-altro-luogo (GM III 13), incarna cio quellideale della conversione via-da-s, via-dal-mondo, via-dalla-vita che
viene ampiamente tematizzato da Schopenhauer, per il quale
luomo virtuoso
perviene ad uno stato di volontaria rinunzia, di rassegnazione, di
perfetta quiete e di soppressione completa del volere (...). La sua volont
cambia direzione: non afferma pi la propria essenza specchiantesi nel
fenomeno [il s, il mondo, il corpo, la vita n.d.t.]; la nega. Il fenomeno
in cui si manifesta questo cambiamento di direzione il passaggio dalla
virt allascesi. (WWV I: 532-533)

E anche qui Nietzsche coglie nel segno quando denuncia nei

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sentimenti perversi di colpa, peccato, peccaminosit, pervertimento, dannazione, timore, castigo le molle ultime sia della
sofferenza, sia del desiderio di redenzione dellasceta (cfr. GM
III 16 e 20). Schopenhauer stesso ammette che la grande verit, la redeeming feature (cfr. WWV II: 1529) della soteriologia
ebraico-cristiana e orientale sta nel concetto di colpa, ovvero di
peccato originale:
Il nostro unico vero peccato , di fatto, il peccato originale (...).
Lintimo nucleo e lo spirito profondo del cristianesimo sono identici
a quelli del brahmanesimo e del buddhismo: tutti e tre insegnano che
il genere umano porta su di s una grave colpa per il fatto stesso di
esistere (...). Lesistenza stessa delluomo (...) identica alla caduta nel
peccato. (WWV II: 1527)

Infine, la compassione, il Mit-Leid, la pietas e la caritas, tutti


concetti celeberrimi sviluppati da Schopenhauer nel IV libro del
Mondo e nel Fondamento della morale, costituenti la chiave di
volta della sua metafisica etica, che consentono a Nietzsche sia,
da un lato, di identificare correttamente il prete asceta con luomo della grande compassione per luomo (GM III 14), uomo
buono, dunque morale, in quanto fondamentalmente altruistico,
non egoistico, non affermativo sia, dallaltro, di denunciare
(come gi nello Zarathustra) il meccanismo perverso per cui lamore compassionevole per il prossimo si svela in realt essere
frutto dellegoismo e dellistinto pi forte e maggiormente affermatore di vita, cio della volont di potenza di colui che, nella pietas, non fa che affermare la propria superiorit e il proprio
dominio sulloggetto del Mit-Leid (cfr. GM III 18).
Alla luce di questi sia pur succinti riscontri impossibile sostenere che la fisiognomica nietzscheana del tipo umano Schopenhauer-prete asceta sia ingannevole: tutte le virt e le pratiche ascetiche elencate, infatti, identificano sportsmen della
santit (GM III 17) i cui modelli estremi sono in Nietzsche,
come analogamente in Schopenhauer (cfr. WWV I: 530-557),
i mistici cristiani, buddhisti e brahmanici, gli esicasti del Monte
Athos, Santa Teresa dAvila, il Perfetto, il Buddha, il credente

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del Vedanta, tutti accomunati dalla ricerca di uno stato supremo


di liberazione/redenzione (dalla vita, oltre la vita) che ipnosi totale, estasi, quiete e mistero. Le parole con cui Nietzsche,
nella Genealogia, riassume il quadro soteriologico in cui lascesi
perviene al suo culmine sembrano tratte direttamente dalle ultime pagine del IV libro del Mondo: redenzione essere una
cosa sola con il Brahman, (...) un internarsi nel Brahman, (...) una
raggiunta unio mystica con Dio. (...) Il nulla, in tutte le religioni
pessimistiche, chiamato Dio (GM III 17). Il bene supremo, il
positivo stesso, il valore dei valori identificato con lipnotico
senso del nulla, la quiete del sonno profondissimo, insomma lassenza di dolore (ibidem), che costituisce lunica salvezza possibile dei radicalmente stanchi e scontenti della vita, la cui anima
si solleva uscendo da questo corpo, [entrando] nellaltissima
luce (ibidem).
Soprattutto, bene ribadirlo, tale salvezza estatico-ipnotica
presuppone per Nietzsche il raggiungimento, tramite le virt e
le pratiche ascetiche, di una forma di impersonalit, di rinuncia
a s e di oblio di s, insomma di una incuria sui (GM III 18),
che la condizione stessa dellunio mystica proprio come scrive
Schopenhauer in un passo canonico:
La salvezza qualcosa di assolutamente estraneo alla nostra personalit; sua condizione necessaria anzi proprio la negazione, la soppressione della individualit personale (WWV I: 570).

Riassumendo: per Nietzsche negazione della vita, rifiuto di s e


della personalit, contemplazione, conversione, compassione, incuria sui e redenzione come ipnosi totale e unio mystica sono i tratti
fisiognomici, affatto schopenhaueriani, di un prete asceta che ha
guastato la salute dellanima della sua epoca, dando vita a un
uomo addomesticato, indebolito, avvilito, raffinato, infrollito, svirilizzato, danneggiato, malato, malcontento, depresso (cfr. GM III
21). In quanto nemico sia dellideale aristocratico del guerriero,
sia dellideale estetico dellartista, lideale ascetico alla Schopenhauer sarebbe dunque il grande nemico della filosofia e del pensiero, che ne subiscono il danno e non ne hanno alcuna utilit.

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3. Ascesi cristiana e askesis greca nella Genealogia


della morale
Se si arrestasse qui, una lettura della terza dissertazione della
Genealogia non porterebbe nulla di nuovo e si limiterebbe ad alimentare la vulgata dellodio di Nietzsche per gli ideali ascetici e,
quindi, per il prete Schopenhauer. Si pongono tuttavia alcune
domande:
a) esiste nel Nietzsche della Genealogia unaccezione (almeno
tendenzialmente) positiva dellideale ascetico, in cui esso sia al
servizio della salute dellanima, quindi sia utile alla filosofia?
b) corretto rinchiudere lintera filosofia di Schopenhauer
nella gabbia soteriologica culminante nella figura del prete-santo
asceta e nellascesi mistica cristiana e buddhista?
c) Una eventuale accezione positiva dellideale ascetico sarebbe anchessa in contrapposizione con lideale aristocratico (il
guerriero della filosofia) e con lideale estetico (lartista della
filosofia)?
Quanto alla prima questione Nietzsche stesso a metterci la
classica pulce nellorecchio. Scrive infatti:
Il prete asceta ripone [nellideale ascetico] non soltanto la sua fede,
bens anche la sua volont, la sua potenza, il suo interesse. Con quellideale si erige e cade il suo diritto allesistenza: c da stupirsi se ci imbattiamo qui in un tremendo avversario, una volta ammesso che noi
fossimo gli avversari di questo ideale? (GM III 11, c.n.)

E altrove:
Tutto il mio rispetto per lideale ascetico, semprech esso sia onesto!
fintanto crede a se stesso e non ci vien fuori con delle frottole! (GM
III 26, c.n.)

Infine:
Lideale ascetico continua sempre a avere, per il momento, ununica
specie di reali nemici e danneggiatori: sono i commedianti di questo ideale essi infatti suscitano diffidenza (GM III 27, c.n.)

Senza poter approfondire qui laspetto da commediante e

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disonesto dellideale ascetico che Nietzsche riferisce senzaltro


a Wagner (non a Schopenhauer), bene ricordare come altrove
si fatto (cfr. Gurisatti: 2013a) che nello Zarathustra il mago
Wagner (il commediante, appunto) non un tipo umano opposto-esterno a Zarathustra, bens ne costituisce quellalter ego
parodistico e patologico, quel rovescio grottesco e deteriore interno che, purtuttavia, ne contiene, ex negativo, un elemento di
verit e di salute. Quindi, anche lideale ascetico storpiato dal
commediante deve avere una sua verit, la quale non suscita necessariamente avversione e ostilit, bens rispetto nel filosofo,
come Nietzsche stesso sembra ammettere.
Emerge insomma qui tra le righe (ma nemmeno troppo)
unaltra accezione dellascesi, assai pi compatibile con la pratica della filosofia, e pi simile allaskesis greca che alla mistica
cristiana-buddhista sopra descritta. Ai tipi umani del prete asceta (rinunciatario e volto alla redenzione), dellaristocratico guerriero (affermativo e volto alla potenza) e dellartista dionisiaco
(creativo e volto alla liberazione) se ne potrebbe quindi aggiungere un quarto, quello del filosofo saggio (meditativo e volto alla
cura sui). Scrive infatti Nietzsche:
Nei filosofi e nei dotti [gli ideali ascetici significano] una specie di
fiuto e distinto per le pi favorevoli condizioni preliminari di una elevata
spiritualit. (GM III 1, c.n.)
Esiste una particolare prevenzione dei filosofi a favore dellintero
ideale ascetico, una loro predilezione (GM III 7, c.n.)

Si tratta, come si vede, di tracce importanti circa un connubio


positivo, utile e salutare tra ideale ascetico, elevata spiritualit e filosofia, che Nietzsche sviluppa in GM III 7-10, significativamente prima che, a partire da GM III 11, con una svolta argomentativa, il prete ascetico prenda definitivamente il sopravvento sul
filosofo saggio (filosofo asketico) nellintero svolgimento del
testo. Bench sfumata e non tematizzata in s, questa dimensione
dellaskesis filosofica va ascoltata con attenzione, dato che la sua
apparente somiglianza strutturale con la dimensione dellascesi
mistica nasconde in realt una profonda differenza concettuale

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tra le due prospettive. In nuce non v nulla di pi distante del


filosofo/saggio dal prete/santo.
Sta di fatto che per Nietzsche il tipo del filosofo (cfr. GM
III 7) incarna un ideale asketico la cui positivit stride nettamente con gli anatemi scagliati contro lideale ascetico del tipo del
prete:
Che cosa significa lideale ascetico in un filosofo? Come si sar indovinato da un pezzo, questa la mia risposta: alla sua vista sorride
il filosofo, come di fronte a un optimum delle condizioni di suprema e
arditissima spiritualit [c.n.] e con ci non nega lesistenza, sibbene
afferma in essa la sua esistenza e unicamente la sua esistenza. (GM III 7)
Un certo ascetismo, (...) una dura e serena rinuncia spontaneamente
voluta appartiene alle condizioni favorevoli di unaltissima spiritualit
[c.n.], come pure alle sue pi naturali conseguenze: cos fin dallinizio
non ci sar da stupirsi se lideale ascetico non mai stato trattato dai
filosofi senza qualche prevenzione favorevole. In una seria verifica storica il nesso tra ideale ascetico e filosofia risulta persino ancor pi stretto e
rigoroso [c.n.]. (GM III 9)

Pi volte nella Genealogia Nietzsche ribadisce che lideale


ascetico, anzich esserne la dannazione, la condizione stessa
della filosofia (come spiritualit e prassi vitale, non come tecnica e sapere disciplinare), per poi sottolineare il nesso stretto e
rigoroso tra ideale ascetico e filosofia, dove per e questo il
punto la dura e serena disciplina ascetica del filosofo non nega
affatto la vita e lesistenza, ma, allopposto, al servizio della vita
e dellesistenza, , insomma, askesis, cura sui, estetica dellesistenza. Laskesis, infatti, s esercizio, disciplina, rigore e stile di vita,
cultura, cura e pratica di s, per non mira a una redenzione
trascendente la vita, ma a una condizione di felicit, ovvero di indipendenza e di libert dentro la vita; non mortifica il corpo, ma
lo governa lo esercita con il rigore del training, facendone un
medium psico-fisico di spiritualit; non ambisce allunio mystica
o al nirvana, ma a unataraxia e a unautarkeia cha danno salute,
serenit e autogoverno; non persegue la rinuncia a s e alla personalit, ma la conquista e la costituzione di s, secondo il motto
diventa ci che sei, che non si addice al prete asceta, ma la

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principale regola di vita del filosofo saggio.


GM III 8 parla la lingua dellaskesis greco-romana, non dellascesi cristiana, del filosofo saggio, non del prete asceta, ponendosi in una prospettiva affatto eudemonologica, non soteriologica.
I filosofi che praticano lideale ascetico, scrive infatti Nietzsche,
pensano a s che importa loro il sacro!. Cos per si ribalta tutto, poich mentre al santo/asceta importa solo il sacro
(la conversione via-da-s, via-dal-mondo verso lAltro), al saggio/
filosofo importa solo il s (la conversione verso-di-s, dentro-ilmondo, verso lo Stesso). Ecco che allora lascesi, anzich malattia cristiana che guasta la salute dellanima quindi della filosofia
diventa viceversa salute greco-romana che condizione imprescindibile del sano filosofare:
Libert da costrizione, molestia, frastuono, da affari, doveri, cure;
chiarezza in testa; danza, balzo e volo dei pensieri; unaria buona, (...)
come lo laria sulle cime, dove ogni essere animale diventa pi spirituale e mette le ali; tranquillit in tutti i sotterranei; tutti i cani messi
per benino a catena; (...) nessun verme roditore di ambizione ferita;
viscere umili e sottomesse (...); estraneo il cuore (GM III 8)

Come si vede, in questo breve elenco delle condizioni psicofisiche, offerte dallaskesis, del sano filosofare anzitutto la libert e lindipendenza dalle costrizioni imposte dal mondo, dal
corpo e dalle passioni non v niente che ricordi la negativit,
la nausea, il tedio di se stessi, la rinuncia e la volont rancorosa
del nulla connesse, per Nietzsche, allideale ascetico cristiano. Al
contrario, giacch i filosofi greco-ellenistici, nellideale ascetico,
vedono non un limite e un danno, bens una meta e unutilit
per la filosofia, pensano cio al sereno ascetismo di un animale
divinizzato e divenuto alato, il quale, pi che starsene quieto,
volteggia al di sopra della vita (ibidem). Questo ascetismo sereno
del saggio, allapparenza cos simile, ma in realt diametralmente opposto allascetismo risentito del prete, la chiave di volta
dellaskesis, il che implica unaltra distinzione fondamentale presente nella Genealogia: mentre infatti nella prospettiva soteriologica le tre pompose parole dellideale ascetico: povert, umilt,

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castit (ibidem) nominano altrettante virt morali, cio un codice di norme cui il prete asceta deve saper ubbidire per negare la
vita, rinunciare a s (al proprio corpo, ecc.) e perseguire la redenzione, nella prospettiva della saggezza le stesse parole nominano
invece soltanto regole pratiche, massime di saggezza e cura di s
che il filosofo deve assimilare, metabolizzare e praticare per agire
nella vita, governare se stesso (il proprio corpo, ecc.) e perseguire
la tranquillitas animi che prelude al sano filosofare. In questo
senso asketico povert, umilt e castit saranno sempre presenti, fino a un certo punto, nella vita di tutti i grandi, fecondi,
ingegnosi spiriti,
[e] niente affatto cosa che va da s come se fossero, caso mai, le
loro virt, che cosha a che fare questa specie di uomini con le virt! sibbene come le condizioni pi peculiari e pi naturali della loro
migliore esistenza, della loro pi bella fecondit. (ibidem)

Lenfasi scritturale di Nietzsche esalta la crucialit del momento e a dire il vero queste parole contengono la legittimazione di unars vivendi e di una epimeleia heautou che, praticate da unaristocrazia dello spirito, hanno un unico fine: non la
trascendenza ma lest-etica dellesistenza. Non in quanto virt
trascendenti ma in quanto regole pratiche immanenti di una tale
est-etica, povert, umilt e castit sono modi non per sottrarsi
allesistenza, ma per darle una (bella) forma, e sono espressione
non di una rinuncia a s, ma del raggiunto dominio di s su di
s: la spiritualit dominatrice del filosofo, non la sua rinuncia
alla vita, a dover prima di tutto porre le briglie a unindomabile
ed eccitabile superbia o a una proterva sensualit (ibidem). Il
filosofo sar dunque povero, poich il deserto, la solitudine, la
quiete, il silenzio, ecc., sono tipici degli spiriti forti e indipendenti per natura ma in ci non v affatto virt (ibidem);
sar umile, poich la riservatezza, la moderazione, la semplicit,
il parlare basso, il rifiuto della gloria e della ribalta sono indice di
una suprema signoria su se stessi ma non sono virtuose (cfr.
ibidem); infine, sar casto, ma in senso opposto a quello che il
codice della virt impone al prete asceta:

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Non c qui nulla di una castit dovuta a un qualche ascetico scrupolo


o odio per i sensi [c.n.], come c ben poca castit quando un atleta o
un fantino si astiene dalle donne: invece il loro istinto dominante (...)
a esigere questo. Ogni artista sa come latto sessuale abbia, negli stati di grande tensione e preparazione spirituale, ripercussioni dannose.
(ibidem)

Nietzsche definisce i preti asceti sportsmen della santit,


che si sottopongono a un training il cui esito sono il rifiuto di s
e la santificazione. In questo caso per la situazione opposta:
nella vita del filosofo saggio qui opportunamente accomunato
non allanacoreta e al cenobita, ma allatleta (Athlet), al fantino
(Jockey) e allartista da circo (Artist), che rappresentano la versione per cos dire sportiva dellaskesis vi sono bens esercizio,
disciplina, training (il gymnazein greco), astinenze e diete (diaita,
in greco, significa anzitutto regime, disciplina, comportamento
metodico, modo di vivere); tuttavia nel suo contesto atleticosportivo sacrifici, privazioni, rinunce non mirano allabbandono
di s, ma alla conquista, alla costituzione, alla trasformazione, al
rafforzamento e allequipaggiamento (paraskeue) di s. La funzione dellaskesis etopoietica: per suo tramite ci si costituisce come
soggetto etico, ma al tempo stesso come soggetto di carattere
(ethos) come S e solo questo soggetto pu legittimamente
praticare la filosofia.
Nietzsche nella Genealogia non esplicita nulla di tutto ci,
per afferma che i singoli impulsi e le singole virt del filosofo, vale a dire quel certo ascetismo, inteso come dura e serena
rinuncia spontaneamente voluta, che condizione favorevole di
unaltissima spiritualit (cfr. GM III 9), rappresentano una fase
storico-culturale precedente e opposta a quella in cui con il
cristianesimo si assiste alla nascita dellideale ascetico propriamente detto. Scrive infatti:
Non si gi ben compreso che tutti insieme questi impulsi e queste
virt per lunghissimo tempo procedevano in senso opposto alle prime esigenze della morale e della coscienza? (ibidem, c.n.)

GM III 10 prelude al definitivo passaggio storico e argomen-

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tativo dallaskesis antica allascesi cristiana, vale a dire dallideale ascetico praticato da filosofi assetati di potenza e fiduciosi
in se stessi allideale ascetico praticato da preti negatori della
vita e risentiti contro se stessi, ideale che a partire da GM III
11 catalizza come pi sopra illustrato la riflessione critica
nietzscheana sul tipo umano del prete asceta-Schopenhauer. Si
passa cio da una situazione in cui lideale ascetico visto come
condizione di possibilit della sana filosofia:
per lungo tempo lideale ascetico servito al filosofo come forma
fenomenica, come presupposto esistenziale costui dovette rappresentarlo, per poter essere filosofo, dovette credere in esso, per poterlo rappresentare (...). Per lunghissimo tempo la filosofia non sarebbe stata per
nulla possibile sulla terra senza un involucro e un rivestimento ascetico.
(GM III 10)

a una situazione in cui il medesimo ideale, tradotto nei termini


del misticismo e del moralismo cristiani, visto come il principale ostacolo per una filosofia che ha nel guerriero dominatore (=
ideale aristocratico) e nellartista dionisiaco (= ideale estetico) i
suoi tipi.
per questo che Nietzsche riprendendo il filo conduttore
della dissertazione conclude che
il prete ascetico ha costituito, fino ai nostri tempi, la ripugnante e
cupa forma larvale sotto la quale soltanto la filosofia ebbe diritto di
vivere e si mosse tortuosamente strisciando. (ibidem)

Si potrebbe dire che, nellottica di Nietzsche, il tipo umano


del prete asceta rappresenti la versione parodistica, degradata
e decadente coscienziosa e moraleggiante del tipo umano
del filosofo asketa, in quanto la sua ascesi ormai ancilla virtutis e non ancilla sapientiae. Nella Genealogia emerge lidea che i
guasti e le perversioni della salute dellanima dovuti allideale ascetico siano da ricollegarsi al passaggio epocale dal pieno
splendore greco-romano al periodo in cui agitatori cristiani
chiamati Padri della Chiesa iniziarono a diffondere e a imporre
il Nuovo Testamento (cfr. GM III 22). per questo che la beffarda stroncatura nietzscheana, in parte autocontraddittoria, del

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rapporto produttivo tra ideale ascetico e filosofia nella Genalogia


non deve far dimenticare n i positivi apprezzamenti dellaskesis da noi evidenziati, n tantomeno la differenza sostanziale e
concettuale tra una filosofia praticata dal tipo umano del filosofo
saggio e una filosofia praticata dal tipo umano del prete asceta,
poich se escluso che questo secondo tipo sia conciliabile con
quelli del guerriero aristocratico e dellartista dionisiaco, non
affatto detto che ci avvenga come vedremo pi sotto anche
nel caso specifico del filosofo saggio.
Sta di fatto che, per quanto preponderante nella Genealogia, la
critica di Nietzsche allideale ascetico soteriologico, morale-virtuoso, del prete-Schopenhauer, non pu in nessun caso oscurare
del tutto a prescindere dalla logica polemica dellargomentazione la sua considerazione dellideale ascetico eudemonologico, pratico-esistenziale, del filosofo-saggio, le cui tracce da noi
certo interpretate con qualche forzatura per quanto sfumate,
non meritano di essere cancellate in mero omaggio a una tradizione interpretativa consolidata.

4. Excursus: come il filosofo diventa ci che


Lidea, che emerge tra le righe della Genealogia della morale,
secondo cui un certo tipo di ideale ascetico inteso come askesis
non solo perfettamente compatibile con lo sviluppo di una
sana filosofia, ma ne anzi la condizione pratica di possibilit,
trova conferma, et pour cause, in quella straordinaria autobiografia filosofica di Nietzsche che Ecce homo, redatta un anno
dopo (1888) la pubblicazione della Genealogia e recante nel suo
motto Come si diventa ci che si il rinvio al celebre monito
pindarico di ogni possibile saggezza: Diventa ci che sei!3. Si
tratta quindi di un testo prettamente eudemonologico, il cui
estensore, secondo la migliore tradizione sapienziale, prendendo
3 Gi nel 1881 Nietzsche annota: Continua sempre a divenire ci che tu sei educatore e plasmatore di te stesso! (NF 1881, 11[106]).

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spunto dalla sua personale ars vivendi (mi racconter la mia


vita, EH, Perch sono cos saggio 1), ci informa non solo circa
le modalit della sua saggezza (Weisheit) e accortezza (Klugheit)
due termini chiave di ogni dimensione pratica della filosofia ,
ma anche del perch esse abbiano costituito, appunto, la condizione di possibilit della sua capacit di scrivere buoni libri,
ossia di essere un buono-e-sano filosofo.
Lo sparso puzzle di tracce asketiche presenti nella Genealogia
trova quindi in Ecce homo e dove altrimenti? una sia pur
precaria sistemazione.
A mero titolo esemplificativo ne sintetizziamo alcuni passaggi, utili a illustrare il positivo connubio tra ideale ascetico come
askesis e filosofia:
a) Ecce homo la cronaca di una epimeleia heautou, una cura
sui il cui protagonista, con rigore, disciplina, costrizione ed esercizio, prende per mano se stesso e si guarisce da solo (cfr. EH,
Perch sono cos saggio 2), trasformando per autorisanamento la
malattia in salute: Avevo tratto la mia filosofia dalla mia stessa volont di salute, di vita (ibidem). Al tempo stesso, Ecce
homo la cronaca di unars vivendi e di una estetica dellesistenza
il cui esito ein wohlgerathner Mensch, un uomo benriuscito
(ibidem), un uomo che, dunque, ha acquisito autopoieticamente
una bella forma;
b) per ottenere tale risultato il protagonista ha assimilato, metabolizzato, cio esistenzialmente praticato alcune elementari regole di vita, che si ritrovano ovunque nella millenaria tradizione
degli esercizi spirituali della saggezza:
1. lesercizio della moderazione e dellautocontrollo (il suo
piacere, il suo desiderio, cessano appena si supera la misura del
conveniente [ibidem]; non si mai sforzato di avere onori, donne, denaro! [EH, Perch sono cos accorto 9]; invano si cercherebbe nel mio essere un tratto di fanatismo. In nessun momento
della mia vita si pu riscontrare un comportamento arrogante o
patetico. Il pathos dellatteggiamento non appartiene alla grandezza [EH, Perch sono cos accorto 10]);
2. lesercizio della serenit e del buon umore ([nessuno] avr

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certo notato in me un qualunque segno di tensione, ma anzi una


freschezza e una serenit traboccanti (...). Una minima costrizione,
laspetto cupo, una certa durezza nella voce, sono tutti argomenti
contro un uomo, e tanto pi contro la sua opera! Non lecito avere i nervi [ibidem]; Bisogna non avere i nervi, bisogna
avere un ventre gaio (...), bisogna avere la durezza fra le proprie
abitudini, per essere di buon umore e sereni in mezzo a nientaltro
che a dure verit [EH, Perch scrivo libri cos buoni 3]);
3. lesercizio della resilienza, che implica il ribaltamento della
malattia su se stessa, dello choc in chance (trae vantaggio dalle
disavventure; ci che non lo uccide lo rafforza [EH, Perch sono
cos saggio 2]);
4. lesercizio del distacco, o del non-attaccamento ([egli] un
principio di selezione, lascia cadere molte cose [ibidem]);
5. lesercizio della solitudine (si trova sempre in compagnia
di se stesso [ibidem]; [ha] bisogno di solitudine, voglio dire di
guarigione, di tornare a [se] stesso, di respirare il soffio di unaria
libera [EH, Perch sono cos saggio 8);
6. lesercizio della prudenza e della cautela (reagisce lentamente agli stimoli, di qualsiasi genere siano (...) saggia lo stimolo che arriva, ben lontano dal volergli andare incontro [EH,
Perch sono cos saggio 2]);
7. lesercizio dellautoconfessione e dellautoconsapevolezza
(non crede n alla disgrazia, n alla colpa: sa chiudere i
conti con se stesso [ibidem]);
8. lesercizio del dominio di s e dellautocontrollo di fronte
alle offese (ogni volta che una piccola o una grandissima sciocchezza viene commessa contro di me, io mi proibisco qualsiasi
rappresaglia [EH, Perch sono cos saggio 5]; Unaltra accortezza nellautodifesa quella di reagire il pi raramente possibile
[EH, Perch sono cos accorto 8]);
9. lesercizio della coerenza e della integrit con se stessi (una
estrema integrit con me stesso il presupposto della mia esistenza [EH, Perch sono cos saggio 8]);
10. lesercizio dellamor fati (la mia formula per la grandezza
delluomo amor fati (...). Non solo sopportare, e tantomeno

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dissimulare, il necessario tutto lidealismo una continua menzogna di fronte al necessario ma amarlo [EH, Perch sono
cos accorto 10]).
Da Epicuro e Zenone a Seneca, da Marco Aurelio a Gracin
e Montaigne, da Epitteto a Schopenhauer (come vedremo) a Leopardi e ai moralisti francesi sempre la saggezza (e la filosofia)
pratica parla questa lingua ascetica
c) Soprattutto, per ottenere salute, bella forma, buona filosofia, il filosofo deve mettere per benino tutti i cani a catena,
cio non gi rimuovere, reprimere e soggiogare, bens governare
saggiamente le passioni, anzitutto quelle (gelosia, invidia, vanit, ambizione, orgoglio, iracondia, vendetta, rancore, ecc.) che
generano ressentiment, il peggior nemico della enkrateia, della
autarkeia e della ataraxia del filosofo. Questa la massima sapienziale di Nietzsche:
Nulla fa bruciare tanto rapidamente quanto le passioni del ressentiment. La furia, la vulnerabilit morbosa, il desiderio, la sete impotente
di vendetta (...) questa sicuramente la maniera pi dannosa di reagire per chi non ha pi forze: ne conseguono un rapido consumo di
energia nervosa, un aumento anormale di secrezioni nocive, per esempio con versamenti di bile nello stomaco. (EH, Perch sono cos saggio 6)

Vittoria sul ressentiment, liberazione dellanima dal ressentiment, questo il primo passo verso la guarigione (ibidem) un
passo, si badi, non gi morale ma fisiologico, che cio non guarda alla virt morale ma alla prassi vitale, giacch il ressentiment
non dannoso a nessuno quanto al risentito stesso, e, soprattutto, nelle nature forti un sentimento superfluo, un sentimento da dominare, e saperlo dominare quasi la prova della propria
ricchezza (ibidem).
Cos non parla un prete asceta, bens un aristocratico, anzi
un guerriero dello spirito, un filosofo guerresco (EH, Perch
sono cos saggio 7), il cui pathos aggressivo, nel fare filosofia,
segno di forza proprio perch non contiene un sol grammo di
quel sentimento di rancore e di vendetta che , viceversa, segno
di debolezza, e che solo unaskesis ben meditata in grado di

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governare e tenere sotto controllo: Se si disprezza, non si pu


fare guerra (ibidem), scrive Nietzsche parlando di s, e indicando cos, in base alla propria diretta esperienza di filosofo, un
chiaro elemento di necessaria compatibilit tra il governo di s
del filosofo-saggio e lars polemica del filosofo-guerriero, maestro
darmi (filosofiche) in quanto maestro di s. Solo il guerriero che
esercita laskesis pu aggredire senza ressentiment ed essere, cos,
tanto pi forte, vincente e sovrano nei confronti del proprio avversario: Io vengo a contraddire, come mai si contraddetto, e
nondimeno sono lopposto di uno spirito negatore (EH, Perch
io sono un destino 1).
d) Tuttavia, questi esercizi strettamente spirituali eseguiti
con la mente non esauriscono la cura sui del filosofo, giacch a
essere protagonista nellaskesis anche il corpo, non gi il corpo
rimosso e represso, mortificato dalla virt morale, del prete asceta, bens il corpo governato e disciplinato, messo a regime dalla
diaita del saggio: Tu, come devi nutrirti, per raggiungere il tuo
massimo di forza, di Virt in senso rinascimentale, di virt senza
moralina? (EH, Perch sono cos accorto 1). Contro ogni idealismo nel pensiero, Ecce homo pone il problema della alimentazione al centro della filosofia, laddove non c salute dellanima
che non sia, al tempo stesso, salute del corpo. Si badi: i consigli
dietetici e le massime di astinenza riportati in Ecce homo non
hanno, nelle intenzioni di Nietzsche, nulla di metaforico, ma rivelano la sua profonda consapevolezza della unit psico-fisica
che sta allorigine della sana filosofia:
Uninerzia anche lieve dellintestino, diventata cattiva abitudine,
pi che sufficiente a trasformare un genio in qualcosa di mediocre (...).
Il ritmo del metabolismo in preciso rapporto con la mobilit o fiacchezza dei piedi dello spirito; lo spirito solo una specie particolare
di questo metabolismo (EH, Perch sono cos accorto 2).

Ma se lo spirito, oltre a uno stomaco, ha anche dei piedi (e


non solo delle ali), per tenersi in forma dovr camminare, muoversi, allenarsi, schiodare il sedere di pietra dalla sua seggiola:
Star seduti il meno possibile; non fidarsi dei pensieri che non sono

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nati allaria aperta e in movimento che non sono una festa anche per
i muscoli. Tutti i pregiudizi vengono dagli intestini (EH, Perch sono
cos accorto 1).

Solo il maledetto idealismo, insomma, pu troncare la radice che la filosofia affonda nella dieta, nel training, nella scelta
del clima e del luogo dove vivere, ecc., poich tutto questo contribuisce a fare del corpo non lostacolo, ma il medium stesso del
filosofare. Solo un corpo governato e messo a regime dallaskesis,
infatti, pu fornire al filosofo il fondamento psico-fisico adeguato al percorso biografico che lo conduce a diventare ci che ,
ovvero al supremo egoismo in cui il S incontra se stesso: lidea
individuale (il carattere dominante, archetipo o daimon) che organizza dallinterno tutta la sua vita,
lentamente guida i passi indietro dalle deviazioni, dalle vie perdute, prepara qualit e capacit singolari (...) elabora successivamente
tutti i poteri subalterni, prima di far trapelare qualcosa del compito
dominante, della meta, del fine, del senso. (EH, Perch sono cos
accorto 9)

Se curata con saggezza, questa idea-daimon salta fuori un giorno allimprovviso, matura, nella sua massima perfezione, donando al filosofo non solo la sapienza, ma anche la felicit: Vista
da questa parte scrive Nietzsche la mia vita semplicemente
meravigliosa (ibidem). Ci che egli qui chiama sano egoismo,
in quanto arte dellautoconservazione, accortezza suprema
e rigorosa autodisciplina (ibidem), altro non che la cura sui,
contrapposta pur nella somiglianza alla incuria sui dellascesi
idealistica, univocamente votata allabbandono e allannullamento del daimon personale.
E non pu esservi alcun dubbio circa lestrema seriet filosofica con cui Nietzsche enuncia le regole della sua ars vivendi, cui
attribuisce un ruolo epocale dunque tipico di trasvalutazione di tutti i valori correnti in filosofia:
Queste piccole cose alimentazione, luogo, clima, svaghi, tutta la
casistica dellegoismo sono inconcepibilmente pi importanti di tutto
ci che finora stato considerato importante [c.n.]. Proprio da qui biso-

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gna cominciare a cambiare tutte le proprie nozioni. Quelle che finora lumanit ha considerato cose serie, non sono neppure delle realt, sono
semplici prodotti della immaginazione, o pi esattamente menzogne
che derivano dai cattivi istinti di nature malate, dannose nel senso pi
profondo tutti i concetti di Dio, anima, virt, peccato, al
di l, verit, vita eterna (...). Si imparato a disprezzare le piccole cose, che sono poi le faccende fondamentali della vita (EH,
Perch sono cos accorto 10)

Nulla pi di questo passo da noi appositamente riportato per


intero dimostra fino a che punto lipotesi di un rapporto positivo
tra ideale ascetico (inteso come askesis) e filosofia, presente nella
Genealogia della morale, trovi giustificazione e applicazione nellesercizio della filosofia praticato da Nietzsche stesso e teorizzato (in
forma di massime di saggezza) in Ecce homo, che ne costituisce la
sedimentazione autobiografica. Altrettanto decisivo il fatto che
egli, contestando la mendacit idealistica dei concetti trascendenti
derivati alla filosofia dal cristianesimo tutto ci che nella Genealogia si riassume nellideale ascetico , sembra indicare in un rinnovato rapporto tra askesis e filosofia la via che essa deve riprendere in termini epocali per tornare a essere autenticamente se
stessa, nella teoria come nella prassi. Ed questa, di fatto, la conclusione parenetica di Ecce homo, per cui gli ideali ascetici sono
inventati per spregiare il corpo, per renderlo malato santo , per
opporre una orribile incuria a tutte le cose che meritano di essere trattate con seriet nella vita, i problemi dellalimentazione, dellabitare,
della dieta spirituale, della cura dei malati, della pulizia, del tempo che
fa! Invece della salute la salvezza dellanima cio una folie circulaire fra le convulsioni della penitenza e listeria della redenzione! (EH,
Perch io sono un destino 8)

Ancora cura contro incuria, dunque, askesis contro ascesi, salute contro salvezza, saggezza contro redenzione, estetica
dellesistenza contro morale, uomo bello e nobile, fiero e benriuscito (EH, Perch io sono un destino 8) contro uomo buono
e virtuoso per nel contempo fallito, malcontento, malriuscito,
sciagurato, sofferente di s (cfr. GM III 13).

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Ma, allora, se le cose stanno cos, evidente che per Nietzsche


deve esserci un rapporto positivo tra ideale ascetico, ideale aristocratico e ideale estetico, cio tra i tipi umani del filosofo saggio,
del guerriero aristocratico e dellartista dionisiaco tanto pi
positivo quanto pi negativo quello che essi mantengono con il
tipo umano del prete asceta analizzato nella Genealogia.

5. Schopenhauer: soltanto un prete asceta?


A questo punto opportuno affrontare, in estrema sintesi, la
seconda delle questioni rimaste aperte, ovvero la liceit teorica e
filologica della identificazione, preponderante nella Genealogia,
del tipo umano Schopenhauer con il tipo umano del prete asceta,
ovvero della sua filosofia con unapologia tout court dellideale
ascetico in senso soteriologico, mistico, cristiano e buddhista.
Per quanto ci riguarda, langustia della prospettiva nietzscheana perniciosissima per la successiva corretta ricezione di Schopenhauer evidente, come abbiamo tentato di dimostrare in
una serie di lavori dedicati, appunto, al versante saggio e asketico, ellenistico-romano e neostoico della filosofia pratica schopenhaueriana, in cui la prospettiva soteriologica, senzaltro dominante, convive tuttavia con una prospettiva eudemonologica
per nulla secondaria, che lascia le proprie tracce lungo tutta la
riflessione di Schopenhauer, dai primi appunti giovanili fino alle
tarde note dei Senilia4.
Abituati dallaccattivante veemenza della scrittura di
Nietzsche, nonch dalla sua capacit di costruire tipi umani ad
hoc, a considerare quella di Schopenhauer una filosofia ruotante
attorno allunico pensiero della virt morale, della redenzione
e della salvezza, quindi allideale mistico e metafisico della santit intesa come arte del non vivere, noluntas e ascesi in quanto
estrema rinuncia e drastico ripudio di s e del mondo, abbiamo
scordato che il prete asceta (il santo) di Schopenhauer trova il
4

Cfr. Gurisatti 2002; 2004; 2007; 2013b.

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suo pendant sistematico nel filosofo pratico (il saggio), il quale in virt di una valida ragione pratica esercita e teorizza
unars vivendi e una epimeleia heautou direttamente finalizzate
alla conquista di s come base di una solida serenit terrena e
di una sana filosofia mondana. In realt, proprio come accade
nella Genealogia nietzscheana, ascesi e askesis, mistica e saggezza
sono compresenti con diverse accentuazioni nella filosofia di
Schopenhauer, e non certo un caso che molte riflessioni parenetiche presenti nei suoi Aforismi sulla saggezza della vita trovino
immediata corrispondenza in Ecce homo.
Del resto, il giovane Nietzsche quello della Terza considerazione inattuale se ne rende conto, parlando di Schopenhauer
come di un educatore e di un maestro severo, del quale posso
gloriarmi (SE 1), e del quale apprezza la posizione pura e da
vero antico verso la filosofia (SE 3, c.n.). In compagnia di Goethe
e Montaigne non gi di Eckhart e Buddha Schopenhauer presenta qui le caratteristiche di onest, serenit, fermezza del tipo
umano dellantico parresiaste stoico, che in grado di contrastare, con la propria condotta esemplare, la tirannide dellepoca:
Lesempio deve essere dato con la vita visibile e non semplicemente con dei libri, a quel modo quindi che insegnavano i filosofi della
Grecia: con laspetto, latteggiamento, il vestito, il cibo, i costumi pi
ancora che con il parlare o addirittura con lo scrivere (...). Schopenhauer fa pochi complimenti con la casta accademica, si separa, aspira
allindipendenza dallo Stato e dalla societ questo il suo esempio,
il suo modello. (SE 3)

Vero eremita, filosofo solitario, libero nello spirito,


votato alla libert e allonest, nonch dotato di coraggiosa
visibilit filosofica, Schopenhauer
combatte ci che gli impedisce di essere grande, il che in lui non
significa altro che: essere liberamente e interamente se stesso (...). Lanelito alla natura vigorosa, allumanit sana e semplice, era in lui un anelito
verso se stesso. (SE 3, c.n.)

Altro che prete ascetico! Altro che rinuncia a s e alla vita!


Altro che tedio e stanchezza! La vita eroica e leroismo del-

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la veridicit di Schopenhauer sono finalizzati, per il Nietzsche


della Terza inattuale, a ununica decisione: Io voglio rimanere
mio! (SE 4).
A dire la verit, di ci v ancora traccia nella prima parte della
terza sezione della Genealogia, in cui, diversamente che del piccolo commediante gregario Wagner, delleroe-guerriero Schopenhauer si dice pur sempre:
quando un vero filosofo rende omaggio allideale ascetico, uno spirito realmente piantato su se stesso come Schopenhauer, un uomo e un
cavaliere dallo sguardo bronzeo, che ha il coraggio di essere se stesso [c.n.],
che sa di essere solo (...), che significa tutto questo? (GM III 5)

Di fatto, le considerazioni asketiche svolte in GM III 7-10 da


noi precedentemente analizzate si svolgono anche nel nome di
Schopenhauer, nella cui tipicit filosofica rientrano anche elementi positivi dellideale ascetico, come lindipendenza (ad esempio
lorrore per il matrimonio e i figli), la libert, lozio, la solitudine,
la moderazione, il governo delle passioni, la serenit, che appartengono come si visto alle condizioni favorevoli di unaltissima spiritualit. Schopenhauer, annota Nietzsche en passant,
non era pessimista, quantunque lo desiderasse (cfr. GM III 7),
poi lo paragona agli antichi Cinici, e ne sottolinea lindomabile
irriducibilit polemica (ibidem). Pi sotto sempre di sfuggita egli
giunge a menzionare lo Eis heauton (cfr. GM III 19 e Schopenhauer 2003), il diario segreto di Schopenhauer, andato perduto,
ma la cui ricostruzione consente di cogliere fino a che punto, rivolgendosi a se stesso, egli non parlasse affatto il linguaggio del
prete asceta, bens, manifestamente, quello del filosofo-saggio5.
5 In ogni epoca c stata nelle nazioni civili una stirpe di monaci naturali, gente
che, cosciente di possedere capacit intellettuali superiori, ha anteposto a ogni altro bene
la formazione e lesercizio di queste, e quindi ha condotto una vita contemplativa, cio
attiva in senso spirituale, i cui frutti sono poi andati a vantaggio dellumanit. Essi hanno
rinunciato di conseguenza alla ricchezza, al guadagno, alla fama terrena, ad avere una famiglia propria: cos vuole la legge di compensazione (...). Possedendo un grado pi elevato
di coscienza, quindi unesistenza superiore, la mia saggezza di vita consiste nel mantenere
puro e imperturbabile il godimento di essa, e a tale scopo non pretendere nientaltro (Schopenhauer 2003: 59-60, c.n.).

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Viceversa, resta vero e lo si detto con chiarezza che il ruolo tipologico preponderante affidato a Schopenhauer nella Genealogia appunto quello del prete asceta, non del saggio asketico,
e ci, in fondo, in piena coerenza con quanto Schopenhauer stesso afferma della propria saggezza di vita, ufficialmente relegata
in una dimensione popolare ed empirica secondaria rispetto al
suo pi alto punto di vista metafisico ed etico (Schopenhauer
1998: 423), culminante nellascesi mistica. Ci non toglie che al
tipo umano Schopenhauer se se ne vuole rispettare la complessit caratterologica , cos come alla sua opera se se ne vuole
rispettare la complessit teorica e filologica non appartiene solo
il tipo umano del prete asceta, ma anche, in modo complementare, il tipo umano del filosofo saggio, quindi non solo lascesi
mistica ma anche laskesis intramondana.

6. La saggezza di Dioniso
Traiamo quindi alcune conclusioni dal percorso fatto, e affrontiamo lultima questione rimasta aperta, quella cio del rapporto tra ideale ascetico, ideale aristocratico e ideale estetico.
a) innegabile la presenza, in GM III, di unattenzione di
Nietzsche per il rapporto positivo tra ideale ascetico inteso come
askesis e vita filosofica nel senso autentico del termine, di cui
quellideale una condizione di possibilit. Che per Nietzsche
questo, nel 1887-1888, fosse un problema aperto dimostrato
non solo dalle pagine di Ecce homo, ma anche da un passaggio
del penultimo paragrafo di GM III in cui egli si ripromette di
riaffrontare in maniera pi radicale e rigorosa il problema
del significato dellideale ascetico in un altro contesto, cio nella sezione Per la storia del nichilismo europeo dellopera, ancora
in fase di approntamento, La volont di potenza. Saggio di una
trasvalutazione di tutti i valori (GM III 27). Ora, se, alla luce
della prospettiva da noi proposta, si considera quanto Nietzsche
afferma nel celebre frammento di Lenzer Heide datato 10 giugno 1887 che quindi precede di circa un mese la stesura della

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Genealogia e intitolato appunto Il nichilismo europeo, il risultato non pu sorprendere: Quali uomini si riveleranno allora i
pi forti?, si chiede Nietzsche alludendo allumanit futura del
nichilismo compiuto, e risponde:
i pi moderati [c.n.], quelli che non hanno bisogno di princpi di fede
estremi, quelli che non solo ammettono, ma anche amano una buona
parte di caso, di assurdit, quelli che sanno pensare, riguardo alluomo,
con una notevole riduzione del suo valore, senza diventare perci piccoli
e deboli: i pi ricchi di salute, quelli che sono allaltezza della maggior
parte delle disgrazie e che quindi non hanno tanta paura delle disgrazie
gli uomini che sono sicuri della loro potenza e che rappresentano con consapevole orgoglio la forza raggiunta dalluomo. (NF 1887, 5[71], 15)

Questo manifesto elogio, anchesso epocale, della moderazione unita alla forza, alla salute, al coraggio e alla potenza che
ne esclude lunivoca riduzione a sintomo di debolezza, malattia,
vilt e rinuncia ci consente due ulteriori considerazioni:
b) mentre lideale ascetico del tipo umano del prete asceta si
contrappone diametralmente come sua malattia morale allideale aristocratico del guerriero affermativo (nobile, virile, forte,
potente, dominatore, prevaricatore, predatore, ecc., tutto pervaso di vita e di passione, GM I 10), lideale del saggio asketa, proprio in virt della sua moderazione, pu essere non solo
compatibile con lideale del guerriero, ma anzi pi che mai utile
in quanto sua salute al filosofo-guerriero stesso, nella misura
in cui, come si visto, gli consente quel dominio (che non rimozione) e quel governo (che non repressione) delle passioni
che, solo, purifica qualsiasi arte marziale da ogni pernicioso ressentiment. Poich esiste un ressentiment della forza, e non solo
della debolezza (la morale da schiavi), la morale aristocratica
pu esplicarsi nella sua pi autentica potentia solo se il nobile, il
potente, il dominatore al tempo stesso saggio, moderato, ascetico ed esercita lautarkeia, lataraxia, lenkrateia: Se si disprezza,
non si pu fare guerra ammonisce Nietzsche, e comunque per
essere un buon guerriero non lecito avere i nervi.
c) Infine, si detto che la contrapposizione tra lideale ascetico

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del prete asceta e lideale estetico dellartista dionisiaco costituisce lorigine e la meta della terza dissertazione, ed infatti allarte
come antagonista tout court, volont opposta e opposto ideale
dellideale ascetico che Nietzsche ritorna nei paragrafi conclusivi della Genealogia:
Larte, in cui appunto la menzogna si santifica e la volont dillusione
ha dalla sua la tranquilla coscienza, in maniera molto pi radicale della scienza contrapposta allideale ascetico: lo avvert listinto di Platone,
il pi grande nemico dellarte che lEuropa abbia fino a oggi prodotto
(...). Un vassallaggio artistico al servizio dellideale ascetico perci la
pi effettiva depravazione di un artista che possa esistere. (GM III 25)

In effetti, nulla pi dellideale ascetico sembrerebbe incompatibile con lideale estetico libero, libertario, affermativo, esuberante, vitale, creativo, plastico, ebbro, eccessivo, danzante,
giocoso, ecc., dellartista dionisiaco.
Qui la prospettiva di Nietzsche si allarga, assumendo tonalit
epistemologiche e ontologiche ampie, in quella delineata dal celebre capitolo Come il mondo vero fin per diventare favola del Crepuscolo degli idoli. La volont di verit ha bisogno di una critica
scrive nella Genealogia in via sperimentale deve porsi una volta
in questione il valore della verit (GM III 24)6. Alla costrittiva
volont di verit e di veracit cui sono strettamente legati lideale ascetico e la moralit cristiani nonch la scienza del dotto,
anchesso tipo umano ascetico nel senso della stanchezza e della
decadenza si contrappone la volont di menzogna, di illusione e
di apparenza dellartista dionisiaco, per il quale esiste soltanto un
vedere prospettico, soltanto un conoscere prospettico (GM III
12). Per lartista dionisiaco la volont di parvenza, di illusione,
di inganno, di divenire e mutare pi profonda, pi metafisica
della volont di verit, di realt, di essere (NF 1888, 14[18]).
Tuttavia proprio questa liberazione estetico-dionisiaca delle apparenze (ovvero delle maschere), per non mutarsi in mera
commedia arbitraria delle prospettive e delle interpretazioni al6

A tale questione dedicato il contributo di Pietro Gori al presente volume.

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trimenti detto: in relativismo deteriore7, tanto assoluto quanto


autocontraddittorio necessita di un katechon etico-pratico, che,
nel caso dellartista, solo lideale ascetico del saggio asketa pu
fornire, senza ricadere nei limiti moralistici dellideale ascetico
del prete asceta, il che costituirebbe un controsenso. Se infatti come altrove gi abbiamo cercato di indicare (Gurisatti:
2013a) da un lato la volont artistica (lideale estetico) di illusione, opposta alla volont di verit, contribuisce a sradicare
lapparenza da qualsiasi fondamento stabile in campo teoretico
nellesercizio della conoscenza, in campo pratico nellesercizio
dellesistenza aprendo alla pluralizzazione irreferenziale delle
maschere, dallaltro lato solo il permanere di un contrappeso etico non moralistico (lideale asketico) impedisce che tale positivo
sradicamento si ribalti in cattiva infinit dellinterpretazione. Se
si vuole una filosofia interpretativa davvero sana, tra aisthesis e
askesis deve stabilirsi un circolo est-etico virtuoso ed equilibrato.
In ci consisterebbe la saggezza di Dioniso.
Insomma: proprio in virt della sua moderazione, che per
non ha nulla del moralismo dellideale ascetico del prete asceta,
lideale ascetico del saggio asketa pu essere non solo compatibile
con lideale estetico dellartista dionisiaco, ma anzi pi che mai
utile in quanto sua salute al filosofo-artista stesso, nella misura
in cui in grado di costituire un pendant etico della sua esuberanza
estetica. Lartista dionisiaco, infatti, pu essere bens creativo nella menzogna, esuberante nella maschera, ebbro nellapparenza,
danzante nellillusione, giocoso nellinganno, quanto vuole, eppure, per poter esercitare al meglio questa sua altissima spiritualit prospettica e interpretativa, devessere anche capace, a nostro
avviso, di praticare quel certo ascetismo, che anzitutto cura e
governo di s. Zarathustra stesso ne un esempio.
Il protagonista della liberazione delle apparenze, in definitiva,
devessere a sua volta asketicamente libero da, con e per se stesso nel contempo grande attore, regista e spettatore di se stes7 Sul prospettivismo morale di Nietzsche e la sua contrapposizione con una forma
di relativismo forte cfr. Gori/Stellino 2014.

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so in modo tale che la sua est-etica dellesistenza, basata sulla


volont di apparenza, menzogna, illusione, inganno, non diventi
una grottesca parodia, anzi, una farsa di se stessa, come accade
nel mago Wagner dello Zarathustra e della Genealogia della
morale, il commediante, falsario, mentitore par excellence, il cui
ideale ascetico il saggio Zarathustra ha ragione di temere come la
propria pi terribile malattia.

Bibliografia
Gori, Pietro e Paolo Stellino: 2014. O perspectivismo moral nietzschiano, in: Cadernos Nietzsche 34/1, pp. 101-129.
Gurisatti, Giovanni: 2002. Caratterologia, metafisica e saggezza. Lettura
fisiognomica di Schopenhauer, Padova, Il poligrafo.
Gurisatti, Giovanni: 2004. Eudemonologia e soteriologia. Le due grandi correnti della filosofia pratica schopenhaueriana, in: Intersezioni
XXIV/2, pp. 281-309.
Gurisatti, Giovanni: 2007. Schopenhauer maestro di saggezza, Costabissara, Angelo Colla.
Gurisatti, Giovanni: 2013a. Zarathustra e il mago. Il gioco delle maschere nellopera di Nietzsche, in: Lo Zarathustra di Nietzsche: C.G. Jung
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Gurisatti, Giovanni: 2013b. I Senilia di Schopenhauer. Lultima fatica
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Schopenhauer, Arthur: 1998. Aforismi sulla saggezza della vita, in: Id.,
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Una lettura di GM III 12
Carlo Gentili

1.
Al fatto che la filosofia di Nietzsche sia stata intesa prevalentemente come una critica della morale si deve probabilmente una
buona parte della sua fortuna. Ad avallare questa interpretazione si potrebbero naturalmente ricordare le numerose definizioni che Nietzsche d di se stesso. Ci limitiamo a citare le parole
della prefazione alla seconda edizione di Umano, troppo umano:
Ecco che gi ricomincio a fare quello che ho sempre fatto, io
vecchio immoralista e uccellatore, e parlo in modo immorale,
extramorale, al di l del bene e del male (MA, Prefazione
1); e quelle, ancor pi esplicite, della prefazione alla seconda
edizione di Aurora: In noi giunge al suo compimento, posto
che vogliate una formula lautosoppressione della morale (M,
Prefazione 4). Entrambe queste citazioni, tuttavia, si riferiscono
al medesimo anno, quel 1886 nel quale Nietzsche ripubblica le
sue opere precedenti pi importanti dotandole di nuove prefazioni e aggiunte varie e cerca, in tal modo, di dare unimpronta
unitaria alla sua riflessione1. Anche il tema della morale gli si
presenta ora strettamente congiunto alla sua filosofia; con la sua
rilettura, egli ricollega argomenti gi presenti, seppure lasciati
talvolta irrisolti, nelle sue prime opere. Per quel che qui ci interessa, si tratter di vedere come il problema della morale abbia le
1 Il caso pi vistoso certamente quello della nuova prefazione alla Nascita della
tragedia, la cui ora dichiarata tendenza antimorale sarebbe da misurarsi dal silenzio
cauto e ostile con cui in tutto il libro trattato il cristianesimo (GT, Tentativo di autocritica 5).

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sue radici nellimpostazione teoretica ed epistemologica della filosofia nietzschiana, ossia nel modo in cui presentata la natura
della conoscenza. Leggiamo, ancora dalla Prefazione di Umano,
troppo umano il monito che Nietzsche rivolge a se stesso:
Dovevi imparare a comprendere ci che appartiene alla prospettiva
in ogni giudizio di valore: lo spostamento, la deformazione e lapparente teleologia degli orizzonti e ogni altra cosa che fa parte della prospettiva (). Dovevi imparare a comprendere la necessaria ingiustizia
di ogni pro e contro, lingiustizia come inseparabile dalla vita, la vita
stessa come condizionata dalla prospettiva e dalla sua ingiustizia. (MA,
Prefazione 6)

Attorno alla parola chiave prospettiva Nietzsche raccoglie


qui non solo il tema dei valori, e dunque della morale, ma anche
quello della vita che gi caratterizza i suoi primi scritti2. La dimensione teoretica del concetto di prospettiva affiora, qui, nel
suo accostamento con lapparente teleologia. E che questultima venga attribuita agli orizzonti segnala lintero nesso problematico come gi presente nella filosofia del primo Nietzsche.
infatti nella seconda Inattuale che, in relazione alla distinzione tra
sentire in modo storico e non storico, egli delinea un concetto riconducibile a quello di prospettiva, pur non utilizzando questo termine: Ogni vivente pu diventare sano, forte e fecondo
solo entro un orizzonte; lazione, prosegue, dipende dal fatto
che ci sia una linea che divida ci che si pu abbracciare con lo
sguardo, ci che chiaro, da ci che non rischiarabile e oscuro
(HL 1). Se il termine prospettivismo compare piuttosto tardi3
2 Valga, per tutti i passi menzionabili, quello celeberrimo della seconda Considerazione inattuale: Certo, noi abbiamo bisogno di storia, ma ne abbiamo bisogno in modo
diverso da come ne ha bisogno lozioso raffinato nel giardino del sapere (). Ossia ne
abbiamo bisogno per la vita e per lazione, non per il comodo ritrarci dalla vita e dallazione (). Solo in quanto la storia serva la vita, vogliamo servire la storia (HL, Prefazione).
3 Per la prima volta nel V libro della Gaia scienza (siamo, dunque, ancora nellanno
cruciale 1886, dato che il V libro viene ultimato entro la fine di quellanno, pur se la seconda edizione dellopera apparir solo nel 1887) dove, osservando come le nostre azioni
perdano il loro carattere personale una volta tradotte nella coscienza, Nietzsche scrive:
Questo il vero fenomenalismo e prospettivismo, come lo intendo io (FW 354).

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nellopera di Nietzsche e il suo uso resta alquanto raro, il termine


prospettiva, nel senso specifico che qui interessa, lo troviamo,
dettagliatamente trattato, in un frammento del 1881, in cui sotto
la premessa che la nostra conoscenza non una conoscenza in
s ma il risultato di un accumularsi di errori viene precisato che
questi errori sono necessari errori ottici, () nel caso che tutte
le leggi della prospettiva debbano essere errori in s. Nel nostro
occhio un poeta inconsapevole e, in pari tempo, un logico
le cose appaiono come corpi a noi estranei, dotati di esistenza e
persistenza; una tale immagine rispecchiata dellocchio il fondamento della scienza, che dunque la nostra potenza poeticologica di fissare le prospettive per tutte le cose, mediante la quale
ci conserviamo in vita (NF 1881, 15[9]). Questa impostazione
di carattere epistemologico viene da Nietzsche immediatamente
applicata alla morale, come si legge in un frammento dello stesso
anno: A ogni morale appartiene un certo tipo di analisi delle
azioni: sono tutte sbagliate. Ma ogni morale ha le sue prospettive e i suoi angoli visuali (NF 1881, 12[195]). Quegli elementi
che Nietzsche ha individuato sul piano epistemologico errori
necessari, prospettive ecc. concorrono quindi alla definizione della morale, come leggiamo in un frammento pi tardo: La
morale un errore utile, o meglio () una menzogna ritenuta
necessaria (NF 1888, 15[64]).
Possiamo quindi enucleare, nei testi citati, un contingente di
termini il cui significato appare pressoch intercambiabile: errori (ottici, necessari, utili, o anche azioni sbagliate),
immagine, menzogna; il loro valore puramente epistemico
riconducibile al concetto, apparentemente pi neutro, di prospettiva. Due dei termini citati immagine e menzogna
hanno gi una lunga storia nellopera di Nietzsche. Il termine
immagine lo troviamo gi, in un contesto significativo, nella
Nascita della tragedia. Qui la volont ellenica a far nascere
il mondo degli di olimpici ponendosi di fronte uno specchio
trasfiguratore e creando in tal modo la sfera della bellezza, in
cui i Greci videro le loro immagini in uno specchio [Spiegelbilder], gli di olimpici. Conoscendo i terrori e le atrocit delle-

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sistenza, luomo greco dovette porre davanti ad essi, per poter


vivere, la splendida nascita sognata degli di olimpici (GT 3).
Specchio, immagine, sogno, bellezza tutti ugualmente
immagini deformate della realt dischiudono quel regno della
parvenza che rende la vita possibile. Se considerata nella sua
struttura puramente epistemica, questimpostazione non diversa da quella presentata nel gi citato frammento del 1881, nel
quale la prospettiva legata alla necessit della conservazione
in vita.
Quanto alla menzogna4, baster solo accennare al rilievo che
essa assume nello scritto pubblicato postumo del 1873, Su verit e
menzogna in senso extramorale. Quel che per ci interessa qui sottolineare non tanto la ben nota definizione del linguaggio come
menzogna in quanto la parola si fonda sulla equiparazione di
ci che non uguale (WL 1) quanto il fatto che, tra gli strumenti atti a produrre menzogne, Nietzsche cita in primo luogo
lintelletto. Esso concesso unicamente come aiuto [Hlfsmittel] agli esseri pi infelici, pi delicati e pi transitori, allo scopo
di trattenerli per un minuto nellesistenza (WL 1). Questa definizione, per cos dire al minimo, della funzione dellintelletto come
mero Hlfsmittel ci che consente a Nietzsche di riconoscere
tale funzione tanto nelluomo quanto nella zanzara. In entrambi
lintelletto a produrre quellerrore prospettico, quellillusione
fondamentale, quel pathos, che consente loro di vivere sentendosi entrambi il centro () di questo mondo (WL 1). Lintelletto dunque uno strumento che produce prospettive, immagini
illusorie, in una parola finzioni.
Ci che qui si avverte un confronto serrato, anche se condotto sotto traccia, con Kant. Torniamo al frammento del 1881
citato in precedenza: Le nostre leggi sono quelle che noi met4 Il termine naturalmente presente anche nella Nascita della tragedia; in particolare
nel contrasto tra la effettiva verit di natura, rappresentata dal Satiro barbuto, e la
menzogna della civilt; contrasto che Nietzsche definisce simile a quello che sussiste
fra il nucleo eterno delle cose, la cosa in s, e tutto quanto il mondo apparente (GT 8).
Una precisazione, questultima, che devessere intesa in riferimento tanto a Kant che a
Schopenhauer: di ci si dovr tener conto in merito a quanto diremo pi avanti.

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tiamo nel mondo per quanto lapparenza insegni linverso e


sembri indicare noi stessi come la conseguenza di quel mondo,
quelle leggi come le leggi del mondo nel loro effetto su di noi
(NF 1881, 15[9]). Oltre alla comparsa della parola legge (Gesetz), dinequivocabile provenienza kantiana5, si osserver come
lintera frase sembri ricalcare largomento che sta alla base della
kopernikanische Wende. Ma il punto decisivo laffermazione
che siamo noi a introdurre nel mondo le nostre leggi. Qui il confronto con Kant evidente, e lo diventa ancor pi se consideriamo con la dovuta attenzione lunico luogo nel quale Nietzsche
conduce un esplicito e diretto confronto, sia pure solo allo stato
di abbozzo, con la filosofia di Kant, in particolare con la Critica della facolt di giudizio. Allaprile-maggio del 1868 risalgono
alcune annotazioni destinate alla stesura di una Doktorarbeit
nota successivamente con il titolo convenzionale La teleologia
da Kant in poi con la quale egli aveva probabilmente pensato,
per un momento, di laurearsi non in filologia classica, ma in
filosofia (Schlechta-Anders 1962: 58). Qui leggiamo una versione pi precisa dellaffermazione contenuta nel frammento
citato: La finalit dellorganico, la regolarit (Gesetzmigkeit)
dellinorganico sono introdotte nella natura dal nostro intelletto (NF 1868, 62[7]). Quanto una tale affermazione sia in linea con Kant, Nietzsche lo constata poco pi avanti, quando
osserva che la produzione di qualcosa di conforme a un fine
(zweckmig) potrebbe essere dovuta solo al caso (Zufall),
e conclude: Egli [sc. Kant] ha ragione: la finalit sta solo nella
nostra idea (NF 1868, 62[52]). Nietzsche riassume qui ci che
Kant scrive nella sezione IV dellIntroduzione alla Critica della facolt di giudizio distinguendo la facolt determinante di giudizio,
per la quale la legge che sussume il particolare nelluniversale
data a priori dallintelletto, da una facolt riflettente di giudizio
che interviene per ricondurre allunit quelle leggi empiriche che
governano la molteplicit delle forme della natura, le quali non
5 Il testo originale: unsere Gesetze und Gesetzmigkeiten (le nostre leggi e conformit a leggi) denuncia in modo ancor pi evidente il debito nei confronti di Kant.

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potrebbero che essere lasciate indeterminate dalle leggi universali date a priori dallintelletto. Queste leggi empiriche sono quindi
contingenti (zufllig) secondo il modo di intendere del nostro
intelletto e tuttavia, in quanto leggi, devono essere necessarie
secondo un principio dellunit del molteplice, sebbene a noi
sconosciuto; un tale principio ci di cui la facolt riflettente
di giudizio necessita per poter risalire dal particolare della natura alluniversale. Questo principio la conformit a scopi
(Zweckmigkeit) della natura, del quale occorre supporre che
sia dato da un intelletto sebbene non il nostro che renda
possibile un sistema dellesperienza secondo leggi particolari
della natura. Il concetto della conformit a scopi della natura ci
consente di rappresentare la natura come se [als ob] un intelletto
contenesse il fondamento dellunit del molteplice delle sue leggi
empiriche. Lo als ob segnala che non siamo legittimati ad ammettere effettivamente un tale intelletto, perch con il principio
della conformit a scopi la facolt riflettente di giudizio d solo
a se stessa una legge e non alla natura (KdU, Introduzione, IV
[B XXVI-XXVIII])6. Come Kant precisa pi avanti, nella Critica
della facolt teleologica di giudizio, la conformit oggettiva della
natura a scopi pu essere assunta solo soggettivamente: per il
principio di causalit mediante il quale noi interpretiamo le
cose della natura come rapporto di mezzi a scopi non abbiamo affatto un fondamento nellidea universale della natura, e
neppure lesperienza pu provarcene la realt; perch questo
fosse possibile, dovrebbe essere intervenuto prima un ragionamento capzioso (Vernnftelei) che avesse fatto scivolare (hineinspielen) nella natura un concetto di scopo del quale c biso6 Nel corso del testo verranno utilizzate le seguenti sigle per le opere di Kant: P
= Prolegomena zu einer jeden knftigen Metaphysik, die als Wissenschaft wird auftreten
knnen; KrV = Kritik der reinen Vernunft; KpV = Kritik der praktischen Vernunft; KdU
= Kritik der Urteilskraft. Le sigle saranno seguite dal numero del paragrafo o della sezione e, nel caso di KrV e KdU, dal riferimento alle pagine della prima o seconda edizione
(indicate rispettivamente con le lettere A e B) tra parentesi quadre. Nel caso di P e KpV
si indicheranno invece i numeri di pagina delledizione tedesca e della sua traduzione
italiana riportate nella bibliografia conclusiva.

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gno, invece, solo per rendere comprensibile la natura secondo


un principio soggettivo di collegamento delle rappresentazioni
in noi (KdU 61 [B 268]). Al 75 Kant precisa che la conformit
a scopi oggettiva della natura solo un principio critico della
ragione. Una cosa dire che la generazione delle cose della natura possibile solo mediante una causa che agisce secondo intenzioni; altra cosa dire: non posso giudicare della possibilit
e della generazione delle cose della natura, secondo la costituzione delle mie facolt conoscitive, se non pensando una causa
che agisca secondo intenzioni: Nel primo caso voglio stabilire
qualcosa sulloggetto () nel secondo caso la ragione determina
solo luso delle mie facolt conoscitive. Il primo principio un
principio oggettivo per la facolt determinante di giudizio, il
secondo un principio soggettivo solo per la facolt riflettente di
giudizio, quindi una massima che la ragione le addossa (KdU
75 [B 333-334])7.
Una teleologia della natura devessere dunque presupposta al
solo fine di comprendere la natura stessa, di poter avere con essa
unesperienza. Ora, poich solo luomo in grado di presupporre un tale sistema di scopi, ci equivale a dire che la natura pu essere compresa solo a partire dalluomo. qui che, nel
suo abbozzo giovanile, Nietzsche individua il vizio fondamentale di antropomorfismo (cfr. Gentili 2010), e la sua critica muove
dal rilievo di una petitio principii: il ragionamento di Kant non
volto alla possibilit di comprendere la natura, bens solo il
presupposto di una teleologia, che si d per acquisito al fine di
una comprensione della natura stessa: Kant cerca di dimostrare
che siamo costretti a pensare i corpi naturali come premeditati,
cio secondo concetti di finalit. Io posso ammettere solo che
7 Cfr. anche KdU 67 [B 301]: nel concepire lidea della natura come un sistema
secondo la regola degli scopi, per cui ogni meccanismo della natura secondo principi
della ragione devessere subordinato a quellidea, il principio della ragione spetta alla
natura come solo soggettivo, cio come massima; va da s che questo un principio
non per la facolt determinante di giudizio, ma per quella riflettente, che esso regolativo
e non costitutivo, e che noi in tal modo otteniamo solo un filo conduttore per considerare
secondo un nuovo ordine legale le cose della natura.

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questo un modo di spiegarsi la teleologia (NF 1868, 62[3]).


In realt, ci che conforme a un fine leccezione. Ci che
conforme a un fine casuale. In esso si rivela una completa mancanza di ragione (NF 1868, 62[5]). Spiegare la vita ricorrendo
a cause finali corrisponde a una umanizzazione della natura;
e Nietzsche annota a questo proposito: Esempi di un antropomorfismo infantile anche in Kant (NF 1868, 62[47]). nella
natura delluomo immaginare la vita secondo unanalogia con
la sua stessa esistenza: Luomo riconosce nella natura qualcosa
di simile e qualcosa di estraneo, e ne cerca la spiegazione (NF
1868, 62[54]). Ma proprio questa disomogeneit tra il simile
e lestraneo a mettere fuori gioco una teleologia senza lacune:
la quale non esiste; contro di essa sta quella terribile lotta degli individui (che pure manifestano unidea) e delle specie (NF
1868, 62[7]). Questaffermazione rivela lo strumento del quale
Nietzsche si serve nella sua lettura di Kant: Il mondo come volont e rappresentazione di Schopenhauer, che parla della lotta perpetua e implacabile che caratterizza la variet dei fenomeni nei
quali la volont si oggettiva (WWV 226 [232])8. Ed ancora qui
che Nietzsche trova lo spunto per la sua critica allantropomorfismo e antropocentrismo di Kant. Scrive infatti Schopenhauer:
Lidea delluomo, per manifestarsi in tutto il suo valore, aveva bisogno di non apparire sola e distaccata, ma di essere accompagnata da
tutta la scala discendente dei vari gradi della natura, attraverso le forme
animali ed il regno vegetale, fino allinorganico. (ibid.)

Questa attenzione a un mondo della natura nel quale luomo


perde la sua posizione di privilegio caratterizzer in modo decisivo la filosofia del Nietzsche maturo9. Ed in questo contesto
8 In seguito nel testo WWV = A. Schopenhauer, Die Welt als Wille und Vorstellung.
La sigla sar seguita dai numeri di pagina delledizione tedesca e della sua traduzione
italiana indicate nella bibliografia conclusiva.
9 Ci limitiamo a due esempi significativi, il primo tratto dalla Gaia scienza: Quando sar che tutte queste ombre di Dio non ci offuscheranno pi? Quando avremo del
tutto sdivinizzato la natura! Quando potremo iniziare a naturalizzare noi uomini, insieme alla pura natura, nuovamente ritrovata, nuovamente redenta! (FW 109); il secondo
dallAnticristo: Non deriviamo pi luomo dallo spirito, dalla divinit, lo abbiamo

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che si presenta a Nietzsche, per la prima volta, il tema kantiano


della cosa in s, letto dunque anchesso alla luce di Schopenhauer: La cosa in s deve manifestare la sua unit nellaccordo
di tutti i fenomeni. Tutte le parti della natura vengono incontro
luna allaltra, poich una sola la volont (NF 1868, 62[7]).
la stessa idea che Schopenhauer esprime con la metafora della lanterna magica che mostra immagini diverse pur restando
unica: Cos nella molteplicit dei fenomeni, posti nello spazio luno accanto allaltro, una e identica la volont che si
manifesta (WWV 226 [232]). A questa data, la cosa in s si
presenta a Nietzsche in conseguenza del concetto kantiano della
conoscenza matematica. Dopo aver citato alla lettera Kant Si
comprende pienamente solo ci che si pu fare da s e realizzare
secondo concetti (NF 1868, 62[40]; cfr. KdU 68 [B 310])10
Nietzsche commenta: Perci si pu comprendere pienamente
solo ci che matematico. (Dunque comprensione formale).
Per tutto ci che non matematico ci troviamo di fronte allignoto. La conclusione che ne trae indirizza gi agli sviluppi futuri della sua posizione teoretico-epistemologica: Per far fronte
a questo luomo inventa concetti, che per raccolgono solo una
somma di propriet fenomeniche, non raggiungono la cosa (NF
1868, 62[40]); dove evidente che la cosa la cosa in s. E,
se il rapporto tra i fenomeni e la cosa in s ancora letto alla
luce della lanterna magica schopenhaueriana, il punto su cui
giova porre attenzione quellinventa (erfindet). In una parola,
ricollocato tra gli animali (AC 14). Per altro, nellabbozzo del 1868, questo tema mostra
anche risvolti kantiani desunti dalla Storia universale della natura e teoria del cielo, che
Nietzsche non legge direttamente ma conosce attraverso la lettura della Geschichte der
neuern Philosophie di Kuno Fischer (cfr. Gentili 2010).
10 Nella pagina da cui Nietzsche trae la citazione Kant pone la necessit di designare
una causalit della natura secondo unanalogia con la nostra nelluso tecnico della ragione, per avere sottocchio la regola secondo la quale certi prodotti della natura debbono
essere indagati. In questo modo, mediante losservazione e lesperimento, noi potremmo produrre da noi come la natura. Se la fisica si occupa delle disposizioni esterne
della natura, essa pu tuttavia considerare solo il loro meccanismo, mentre il loro riferimento a scopi () non pu affatto esibirlo, perch questa necessit del collegamento
riguarda interamente il legame dei nostri concetti e non la costituzione delle cose (KdU
68 [B 310]). Si tratta, pertanto, di una comprensione solamente formale.

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gi a questa data Nietzsche colloca la cosa in s in quellambito


delle invenzioni, delle finzioni, degli errori al quale appartengono, in generale, tutti i concetti. Cos egli scrive in Umano,
troppo umano, citando di nuovo Kant alla lettera, questa volta
quello dei Prolegomeni:
Quando Kant dice che lintelletto non attinge le sue leggi dalla
natura, ma le prescrive a questa11, ci pienamente vero riguardo al
concetto di natura che noi siamo costretti a collegare con essa (natura
= mondo come rappresentazione, cio come errore), che per il compendio di una moltitudine di errori dellintelletto. Le leggi dei numeri
sono totalmente inapplicabili a un mondo che non sia nostra rappresentazione: esse valgono solo nel mondo umano. (MA 19)

La mossa decisiva contro lantropocentrismo kantiano consiste proprio nel mettere in rilievo la natura irrimediabilmente
antropomorfa della nostra conoscenza; vale a dire, il fatto che la
conoscenza umana vale solo in quanto essa sia ridotta alla conoscenza dal punto di vista umano; al prezzo, dunque, della perdita di quella universalit che Kant preservava ritenendo luomo
lunica creatura in grado di considerare la natura secondo un
sistema di fini. Se le leggi della natura, essendo concetti dellintelletto umano, non sono che rappresentazioni, appartengono
esse stesse al mondo dei fenomeni dietro al quale la cosa in s
scompare. In questa conclusione la stessa impostazione schopenhaueriana viene superata da unaltra impostazione, nella quale
linfluenza di Schopenhauer pure presente: quella della Storia
del materialismo di Friedrich A. Lange. Secondo Lange, infatti,
non solo la cosa in s inconoscibile, ma di essa non possiamo
dire neppure che esista: si tratta di una pura ipotesi del nostro intelletto, la cui attivit interamente determinata da fenomeni in
quanto il nostro mondo non pu essere altro che un mondo della rappresentazione [eine Welt der Vorstellung]; se, dunque, ci
chiediamo dove stia il fondamento delle cose, la risposta non pu
che essere: nei fenomeni. La cosa in s risulta essa stessa, alla
11

Cfr. P 320 [82].

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fine, una rappresentazione del nostro intelletto, e la sua necessit si radica nellorganizzazione di questo, precisamente nel
principio di causalit. In altre parole, essa si rivela come la causa
(supposta come semplice ipotesi) dei fenomeni; e, con ci, essa si
sottrae lasciando sul campo, al suo posto, il mondo dei fenomeni:
Pi la cosa in s si volatilizza [verflchtigt] e si riduce a una
semplice rappresentazione, pi il mondo dei fenomeni acquista
realt (Lange 1866/1974: II, 498).
In questa riduzione del noumeno ai fenomeni sta la chiave
per intendere il nesso tra la prospettiva teoretico-epistemologica
e quella morale in Nietzsche. Ma, per documentare questaffermazione, dobbiamo di nuovo risalire brevemente a Kant il
quale, nella Critica della ragion pratica, distingue luso dellintelletto mostrato nella parte analitica della Critica della ragion
pura speculativa dove i principi sintetici derivati dai concetti
potevano esistere soltanto in relazione alla intuizione, che era
sensibile12 ed era quindi negata alla ragione speculativa ogni
conoscenza positiva dei noumeni da un mondo dellintelletto puro nel quale la legge morale si d a conoscere come ci
che appare inesplicabile a partire dai dati del mondo sensibile.
La legge morale si fonda pertanto sui noumeni bench questi continuino a non essere conosciuti, perch ogni conoscenza
non pu prescindere dallintuizione sensibile ed , quindi, la
legge fondamentale di una natura soprasensibile, in virt della
quale una copia del mondo dellintelletto puro deve esistere
nel mondo sensibile, per altro nello stesso tempo, senza danno
alle leggi di questo (KpV 50-51 [91-93]). per superare la difficolt di assolvere a questo compito che, successivamente, Kant
si risolve a trattare nello specifico una facolt di giudicare alla
quale vengono attribuite funzioni in parte diverse e accresciute
12 Cfr. KrV, II, Introduzione I [A 51]: La nostra natura cosiffatta che lintuizione
non pu essere mai altrimenti che sensibile, cio non contiene se non il modo in cui siamo
modificati dagli oggetti. Al contrario, la facolt di pensare loggetto dellintuizione sensibile lintelletto. Nessuna di queste due facolt da anteporre allaltra. Senza sensibilit
nessun oggetto ci sarebbe dato, e senza intelletto nessun oggetto pensato. I pensieri senza
contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche.

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rispetto a quelle assegnatele nella Critica della ragion pura. La


facolt di giudizio viene ora riconosciuta come membro intermedio (Mittelglied) tra lintelletto e la ragione (KdU, Prefazione
[B V]). Questo Mittelglied deve ricomporre limmenso abisso
(unbersehbare Kluft) tra il dominio del concetto della natura, il
sensibile, e il dominio del concetto della libert, il soprasensibile (KdU, Introduzione II [B XIX]): ci che non possibile mediante il solo uso teoretico della ragione. Ma una tale ricomposizione potr realizzarsi solo in una delle due direzioni possibili: se
non infatti ammissibile che il mondo sensibile abbia influenza
su quello soprasensibile, si dovr per contro ammettere che il
secondo abbia influenza sul primo:
Cio il concetto della libert deve realizzare nel mondo sensibile lo
scopo assegnato dalle sue leggi [seine Gesetze: dunque le leggi del concetto della libert], e di conseguenza la natura deve poter essere pensata anche in modo che la conformit a leggi della sua forma si accordi
almeno con la possibilit degli scopi da realizzare in essa secondo leggi
della libert. (KdU, Introduzione II [B XIX-XX])

Si radica in questa esigenza la necessit di una facolt teleologica di giudizio, ossia della facolt di giudicare la conformit a scopi reale (oggettiva) della natura mediante lintelletto e
la ragione (KdU, Introduzione VIII [B L]). Lintervento della
ragione, la facolt del soprasensibile, qui posto da Kant con
lintento di salvaguardare la libert, e dunque la morale, dal condizionamento del sensibile, dal momento che della legge morale
non in ogni caso consentito avere esperienza.
Quel che fa Nietzsche una patente contravvenzione del veto
kantiano: se il soprasensibile non che rappresentazione ed
errore, rientra esso stesso nel modo dei fenomeni; e pertanto, nel rapporto posto da Kant tra sensibile e soprasensibile,
semmai proprio il primo ad avere influenza sul secondo. Quella conformit a leggi e regolarit in virt delle quali la ragione
crede di poter comprendere la natura non sono, in realt, che
proiezioni della misura umana sulla natura stessa. Se per Kant si
pu legittimamente parlare di belle forme della natura poich

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una volta presupposta soggettivamente una conformit a scopi


della natura nelle sue leggi particolari rispetto allafferrabilit
[Falichkeit] da parte dellumana facolt di giudizio ci si possono aspettare come possibili prodotti della natura come se
fossero predisposti proprio per tale facolt cosicch essi servono a intrattenere le facolt dellanimo (KdU, 61 [B 267])13,
per Nietzsche, invece, questo nesso tra bellezza e comprensione
che non lascia fuori neppure laspetto morale poich, come
abbiamo visto, alla facolt teleologica di giudizio, in cui ha un
ruolo fondamentale la ragione in quanto facolt del soprasensibile, che viene riconosciuto lufficio di presupporre nella natura
una conformit a scopi un tale nesso solo la riprova del carattere antropomorfico dellimpostazione kantiana: il mondo nel
suo insieme piuttosto caos per tutta leternit, nel senso
di un difetto di ordine, articolazione, forma, bellezza, sapienza e di
tutto quanto sia espressione delle nostre estetiche nature umane [unsere sthetischen Menschlichkeiten] (). Luniverso non perfetto, n
bello, n nobile e non vuol diventare nulla di tutto questo, non mira
assolutamente ad imitare luomo! (FW 109)14

Acquisire questa consapevolezza non significa tuttavia che


luomo debba rinunciare a interpretare il mondo sulla sua propria misura. Lantropocentrismo che nellimpostazione kantiana si presenta a Nietzsche come mero pregiudizio in quanto, a
13 Cfr. anche KdU, Introduzione VI [B XXXIX]: il fatto che lordine della natura
secondo le sue leggi particolari, in tutta la loro molteplicit ed eterogeneit, sembri
superare, a causa di ci, ogni nostra capacit di afferrarlo (Fassungskraft), e possa ci
malgrado essere adeguato a questultima, solo contingente (zufllig). Quando ci
accade, per opera dellintelletto che introduce in quelle leggi molteplici ed eterogenee
ununit dei principi, ci rappresenta il raggiungimento di un intento che, in quanto
tale, necessariamente legato con il sentimento del piacere.
14 Nella frase di Nietzsche possibile cogliere uneco di Lange il quale, in un capitolo
in cui il principio della selezione naturale di Darwin viene riletto secondo lidea kantiana
della teleologia, scrive: questo mondo un caso speciale tra innumerevoli mondi ugualmente pensabili che rimarrebbero in un caos eterno e in unimmobilit eterna, oppure si
pu sostenere che, qualunque sia stata la costituzione originaria delle cose, dovette infine
prodursi, secondo il principio di Darwin, un ordine, una bellezza, una perfezione quali
noi li vediamo? (Lange 1866/1974: II, 719).

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suo dire, viene elevato a misura assoluta diviene pienamente


legittimo se assunto come punto di vista, prospettiva. Luomo legittimato a sentirsi centro delluniverso nella stessa misura
in cui lo sono la zanzara di Su verit e menzogna o la formica del
Viandante e la sua ombra15. A legittimare tale sentimento non
pi la pretesa superiorit delluomo ma lobiettivo, comune a
qualsiasi essere vivente, della conservazione della specie (Arterhaltung). Qui sta la radice del dissolversi della distinzione tra
un mondo vero quello dellintelletto puro e dei noumeni
di Kant, dei principi e delle leggi morali: in una parola, della
metafisica e un mondo apparente: quello della vita sensibile:
C solo un mondo, ed falso, crudele, contraddittorio, corruttore, senza senso. Per difenderci da esso noi abbiamo bisogno
della menzogna. Alle diverse forme di menzogna luomo ha
dato i nomi della filosofia: la metafisica, la morale, la religione,
la scienza; col loro sussidio si crede nella vita (NF 1887-1888,
11[415]). Nellefficacia ai fini della Arterhaltung sta lautentico
valore epistemico delle conoscenze, la cui forza non sta nel
loro grado di verit, bens nella loro et, nel loro essere incorporate, nel loro carattere di condizione di vita (FW 110). La
Arterhaltung pu dare risposta tanto, sul piano teoretico, alla
domanda di Kant sulla possibilit dei giudizi sintetici a priori:
tempo di renderci conto che tali giudizi devono essere creduti come veri al fine della conservazione di esseri della nostra
specie (JGB 11); quanto pu, sul piano morale, giustificare il
male: Lodio, il piacere della perversit, la brama di rapina e
di dominio, e tutto quello che solitamente chiamato malvagio,
appartengono alla sorprendente economia della conservazione
della specie (FW 1).
Una volta ricondotta alla sua radice epistemica, la morale pensata come problema fa cadere anche ogni obiezione contro di
essa. Lerrore degli storici della morale consiste, per un verso,
15 Cfr. WS 14: Forse la formica nel bosco immagina altrettanto fortemente di essere
meta e scopo dellesistenza del bosco, come facciamo noi quando alla fine dellumanit,
nella nostra fantasia, ricolleghiamo quasi involontariamente la fine della terra.

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nel presupporre un universale consenso dei popoli civili sui principi della morale; ma, per laltro verso, constatato che presso
popoli diversi le estimazioni morali sono necessariamente diverse, nel concludere per la non obbligatoriet di ogni morale: le
quali cose sono, entrambe, puerilit parimenti grosse (FW 345).
Con ci Nietzsche prende posizione tanto contro luniversalismo
quanto contro il relativismo morale; come stato osservato, nel
problema della morale non si tratta () di false opinioni n di
vera conoscenza di essa, bens del valore che essa ha per la vita
(Stegmaier 2012: 167). Cosicch, anche qualora si provasse che
la morale si sviluppata da un errore () non sarebbe ancora
toccato il problema del suo valore (FW 345). Proprio in quanto
errore, ma produttivo ai fini della Arterhaltung, la morale svela
la sua verit fattuale.
2.
Se il modo in cui Nietzsche affronta il problema della morale ha, alla sua radice, limpostazione teoretico-epistemologica,
trovandosi quindi inscindibilmente legato alla prospettiva,
non desta meraviglia che questo nodo essenziale venga esposto
in un passaggio dellopera che Nietzsche dedica esplicitamente
a quel problema: la Genealogia della morale e, precisamente, il
12 della terza Dissertazione: Che cosa significano gli ideali ascetici? Lobiettivo polemico di Nietzsche , qui, Kant non meno di
Schopenhauer, per lo meno nella misura in cui, a suo giudizio, il
secondo resta sulla via tracciata dal primo a proposito della cosa
in s. Esaminiamo innanzitutto il rapporto che Nietzsche pone,
in generale, tra filosofia e ascetismo: Incontestabilmente, finch
sulla terra ci saranno filosofi, ovunque siano esistiti filosofi ()
sussiste una particolare irritazione e astiosit filosofica contro la
sensualit. Ne fornisce la prova proprio Schopenhauer, il quale
aveva trattato la sessualit come un nemico personale (compreso
il suo strumento, la donna, questo instrumentum diaboli) (GM
III 7). Non un caso che i grandi filosofi non fossero sposati:
Eraclito, Platone, Cartesio, Spinoza, Leibniz, Kant e Schopenhauer

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non lo furono. () Un filosofo sposato appartiene alla commedia, questa la mia tesi: e quelleccezione di Socrate il malizioso Socrate sembra che si sia sposato ironice, proprio per dimostrare questa tesi. (GM
III 7)

Nel filosofo lideale ascetico motivato dalla volont dindipendenza che lo libera dalle costrizioni che il mondo esercita su
di lui. Il suo motto sar dunque pereat mundus, fiat philosophia,
fiat philosophus, fiam! (GM III 7)16; dove lultima parola indica
che Nietzsche include, tra questi filosofi, se stesso. Lideale ascetico ha rappresentato, per lo spirito filosofico, un travestimento
necessario per potersi manifestare: Il prete ascetico ha costituito, fino ai nostri tempi, la ripugnante e cupa forma larvale sotto la
quale soltanto la filosofia ebbe diritto di vivere (GM III 10). Ci
che il prete ascetico nega la propria esistenza particolare e
individuale, che viene posta in relazione a unesistenza di specie
del tutto diversa, per la quale la vita individuale non ha che il
valore di un ponte. La vita diviene per lasceta un errore e un
cammino sbagliato e la sua volont di potenza si manifesta
come una forza che vuole ostruire le sorgenti della forza, rivolgendo il suo sguardo astioso e perfido contro la prosperit
fisiologica, in particolare contro la sua espressione, la bellezza, la
gioia (GM III 11). Una volta che questa volont ascetica sia passata nella filosofia, quellesistenza di specie del tutto diversa
diviene il regno della verit e dellessere, il cielo della metafisica. Anche nel concetto kantiano del carattere intelligibile delle
cose quello che, come abbiamo visto sopra, Kant chiama il
mondo dellintelletto puro sopravvive qualcosa di questa
lasciva disarmonicit ascetica (GM III 12). Quel che Nietzsche
individua come il risultato di questa disposizione ascetica della
16 Il motto inventato da Nietzsche una palese rielaborazione del detto fiat iustitia, pereat mundus che la tradizione attribuisce allimperatore Ferdinando I dAsburgo.
Dato il contesto, tuttavia, pi che probabile che Nietzsche voglia alludere alluso che
Kant ne fa nello scritto Per la pace perpetua, in cui cos spiegato: Regni la giustizia,
dovessero anche perire tutti insieme i furfanti che abitano il mondo, un principio giuridico coraggioso, che tronca tutte le tortuose vie tracciate dallinganno o dalla violenza
(Kant 1795/1992: 94 [196]).

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filosofia proprio lidea della cosa in s, che gli appare come


limpoverimento del mondo reale e sensibile, il risultato di una
sottrazione delle determinazioni individuali da unidea di soggettivit che si trova ridotta a mera astrazione. Su questa linea,
tuttavia, oggetto della sua critica diviene Schopenhauer tanto
quanto Kant: Dora innanzi guardiamoci meglio () signori
filosofi, dal pericoloso, antico favoleggiamento concettuale, che
ha impiantato un puro, senza volont, senza dolore, atemporale
soggetto della conoscenza (GM III 12). La frase che Nietzsche
riporta tra virgolette una citazione da WWV, 34, in cui Schopenhauer distingue tra una conoscenza comune delle cose particolari e una conoscenza delle idee. Nella seconda il soggetto
tralascia i rapporti tra le cose fondati sul principio di ragion sufficiente per assurgere a soggetto conoscente puro, a soggetto che
al di l dal dolore, di l dalla volont, di l dal tempo. Egli non
si cura pi delle cose come esse sono in relazione tra di loro o con
lui, ma unicamente e semplicemente di ci che le cose sono; e la
cosa particolare diviene, in questa contemplazione, lidea della
sua specie, in cui la volont, ossia lin s dellidea, si rende indipendente dalla rappresentazione (WWV 256-258 [263-265]).
Nietzsche vede qui allopera concetti contraddittori come
pura ragione, assoluta spiritualit, conoscenza in s. La
contraddizione sta nella pretesa di escludere dal nostro concetto della cosa quella percezione sensibile che, sola, rende la cosa
percepibile: Qui si pretende sempre di pensare un occhio che
non pu affatto venir pensato; si pretende di escludere quelle
forze attive e interpretative, mediante le quali soltanto vedere
diventa un vedere qualcosa (GM III 12). Schopenhauer scrive
infatti che, nella conoscenza delle idee, occorre fare in modo che
loggetto sembri esistere da solo, senza nessuno che lo percepisca (WWV 257 [264]). Qui, tuttavia, Nietzsche sembra voler
opporre a Schopenhauer proprio Kant; ma si tratta, in realt, di
un Kant che viene opposto a s stesso. Infatti, eliminare in genere la volont, sospendere tutte quante le passioni (Affekte),
non significherebbe altro che castrare lintelletto. Il che sembra un richiamo a Kant, che dichiara vuoti i pensieri senza

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contenuto, ossia privi di quegli oggetti che possono essere dati


solo nella sensazione (KrV II, Introduzione I [A 51]; cfr. supra,
nota 12); ma , nel contempo, un richiamo contro Kant, il quale
dichiara altres che, se la materia dei fenomeni pu esser data
solo a posteriori, la loro forma deve darsi a priori nello spirito, e deve dunque potersi considerare separata [abgesondert]
da ogni sensazione (KrV I, 1 [A 20]). Che, nel brano citato,
Nietzsche usi il termine Affekte (nella traduzione italiana reso,
forse non del tutto propriamente, con passioni)17, suona esso
stesso come un implicito riferimento a Kant. NellEstetica trascendentale della Critica della ragion pura, infatti, Kant definisce
la sensazione (Empfindung) come lazione di un oggetto sulla capacit rappresentativa, in quanto noi ne siamo affetti [affiziert] (KrV I, 1 [B 34-A 20]). Successivamente tuttavia, nella
Logica trascendentale, egli definisce lintelletto la facolt di produrre da s rappresentazioni, ovvero la spontaneit della conoscenza, che per la facolt di pensare loggetto dellintuizione
sensibile (KrV II, Introduzione I [A 51]; cfr. supra, nota 12).
Lintelletto appare quindi, per un verso, necessariamente legato
allintuizione sensibile, per laltro anche, tuttavia, indipendente
da essa, in quanto facolt spontanea. La posizione di Nietzsche
sembra costringere Kant al vincolo formulato dalle sue stesse parole per cui, se le intuizioni prive di concetti non possono darci
conoscenza, non lo possono per neppure i concetti senza che
a loro corrisponda in qualche modo una intuizione (KrV II,
Introduzione I [B 75]). Se, kantianamente, la sensibilit la facolt sia pure solo ricettiva che costituisce la fonte originaria
della nostra conoscenza, tutto quanto segue compresa lattivit
dellintelletto resta necessariamente su questa linea. a questa
linea che Nietzsche d il nome di prospettiva. La definizione
di ci che un oggetto non proviene da una facolt, lintelletto,
di cui si supponga in qualche modo (secondo Nietzsche con17 Fatto salvo, naturalmente, il significato originario del termine passione (dal lt.
patior e dal gr. pascho) che lessere passivo, il subire; un significato che, tuttavia,
rimane occultato nelluso comune del termine.

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traddittoriamente) anche unattivit spontanea, ma dalla presa in


considerazione del maggior numero possibile di prospettive
radicate nella vita percettiva sensibile:
Esiste soltanto un vedere prospettico, soltanto un conoscere prospettico; e quanti pi affetti [Affekte] lasciamo parlare sopra una determinata cosa, quanti pi occhi, differenti occhi sappiamo impegnare in
noi per questa stessa cosa, tanto pi completo sar il nostro concetto
di essa, la nostra obiettivit. (GM III 12)

Che Nietzsche parli di obiettivit rivela che ci che egli


pone qui in questione proprio la legittimit della cosa in s e,
pi esattamente, la distinzione posta da Kant tra lesistenza e la
conoscibilit della cosa in s. Se, nel brano citato, egli sembra
fare confusione (dal punto di vista dellortodossia kantiana) tra il
concetto di una cosa e lobiettivit, questa apparente confusione indica proprio che a parer suo e, evidentemente, contro
Kant la pretesa obiettivit (la cosa in s) altro non pu essere che il concetto delloggetto che ricade, in quanto tale, nella
prospettiva. Se la nostra conoscenza soltanto prospettica,
anche la cosa in s poich soltanto ci che conosciuto pu
essere ri-conosciuto anche come esistente18 costituisce lapertura di una prospettiva in cui essa si d semplicemente come forma vuota19 in cui si raccoglie la totalit dei fenomeni.
Della difficolt di distinguere tra la cosa in s e il concetto
delloggetto di modo che la prima possa stare completamente
a parte rispetto allattivit conoscitiva dellintelletto legata alla
sensibilit si rende conto lo stesso Kant. Nei Prolegomeni egli si
interroga sulleventualit che laver affermato come unica conoscenza possibile quella dei fenomeni semplici rappresentazio18 Cfr. FW 355, in cui il concetto di conoscenza (Erkenntnis) analizzato nella sua
derivazione dal verbo erkennen (riconoscere). Cosicch Nietzsche pu interrogarsi su
ci che significa quando uno del popolo afferma: Lui mi ha riconosciuto [erkannt]
e concludere che conoscenza (Erkenntnis) non significa altro che questo: Qualcosa
dignoto devessere ricondotto a qualcosa di noto. () Il noto, vale a dire: ci cui siamo
cos abituati da non meravigliarcene pi.
19 Cfr. NF 1885, 40[65]: Non il mondo come cosa in s esso vuoto, vuoto di
senso e degno di unomerica risata!.

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ni della sensitivit possa procurargli laccusa di evidente idealismo (ossia di non aver fatto un passo oltre Berkeley). Ma una
tale accusa, argomenta Kant, sarebbe plausibile se si affermasse
che non esistono altri esseri che pensanti per i pensieri dei
quali non esistessero oggetti corrispondenti fuori di essi. Questo
sarebbe idealismo. Poich, al contrario, egli ha supposto che le
rappresentazioni degli oggetti sono prodotte dalle affezioni che
quegli stessi oggetti producono sui nostri sensi lintuizione,
scritto nellEstetica trascendentale, ha luogo solo a condizione
che loggetto ci sia dato e che esso pertanto modifichi (affiziere) lo spirito (KrV I, 1 [B 34]) ci significa che, se non possiamo dire ci che quegli oggetti siano in s, possiamo tuttavia
certificare la loro esistenza. Io ammetto, adunque, certamente
che fuor di noi ci sian dei corpi, cio cose; e la parola corpo
significa soltanto il fenomeno di quelloggetto che a noi sconosciuto, ma che non per questo meno reale (P 288-289 [44]).
Questa spiegazione solleva tuttavia le obiezioni di Schopenhauer, secondo il quale Kant, pur essendo nel giusto nel riconoscere la cosa in s, cade nellerrore di derivarla dallintuizione
empirica. Questultima, infatti, e rimane veramente nostra sola
rappresentazione; il mondo come rappresentazione; possiamo giungere allessere in s di questo mondo solo ricorrendo
allautocoscienza, che svela la volont come lin s del nostro
proprio fenomeno (WWV 588 [606]). Lerrore di Kant consisterebbe propriamente nel non aver distinto la conoscenza intuitiva
dalla conoscenza astratta, come si vede nel momento in cui loggetto puramente intuito nella sensazione, in uno stato quindi di
pura ricettivit, diviene propriamente un oggetto loggetto
desperienza (WWV 589 [607]) grazie allintervento delle
categorie, ossia dei concetti puri dellintelletto. Con ci la conoscenza intuitiva totalmente abbandonata ed entra in essa una
classe diversa di rappresentazioni: i concetti astratti. In questo
modo Kant porta il pensiero gi nellintuizione e pone le basi
per lirrimediabile mescolanza (Vermischung) di conoscenza intuitiva e conoscenza astratta. Poich, per, non solo loggetto
viene compreso grazie alle categorie dellintelletto ma, nel con-

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tempo, questi concetti generali hanno per oggetto cose singole,


egli porta anche lintuizione nel pensiero (WWV 592 [610]).
Di questa mescolanza appare segnata la stessa cosa in s. Nella
distinzione, posta da Kant, tra la rappresentazione, loggetto della
rappresentazione (pensato dallintelletto tramite le categorie), e la
cosa in s posta al di l del conoscibile, il secondo rappresenta
un ibrido (Zwitter) che, se non la cosa in s, certamente
il suo affine pi vicino (WWV 598 [616]), in quanto Kant lo
costruisce con ci che egli ha tolto in parte alla rappresentazione
() in parte alla cosa in s (WWV 600 [618]). Poich tutto il
processo conoscitivo si avvia con lintuizione sensibile, anche la
cosa in s porta il marchio di questa ibridazione. Lerrore di
Kant si colloca quindi, secondo Schopenhauer, a monte: in quella
distinzione tra rappresentazione e oggetto della rappresentazione che gi Berkeley aveva dimostrato infondata (WWV 598
[616]). Gi nelle pagine precedenti egli si era dichiarato sorpreso che Kant non avesse dedotto lesistenza relativa del fenomeno
dalla verit semplice, cos a portata di mano, innegabile, nessun
oggetto senza soggetto (WWV 586 [603]), nel qual caso sarebbe
stato costretto a constatare che loggetto sempre dipendente e
condizionato dal soggetto. In un primo momento Schopenhauer
pensa che Kant avesse eluso questo principio berkeleyano proprio per non incorrere nellaccusa di idealismo, incappando
tuttavia, con ci, nelle contraddizioni che egli rileva nella struttura complessiva della Critica della ragion pura. Quando per gli capita di leggere la prima edizione (1781) dellopera, egli vi scopre
una frase, soppressa nella seconda edizione (1787), che risolve, a
suo dire, ogni contraddizione, in quanto riporta il mondo esterno
alla pura rappresentazione del soggetto conoscente. La frase,
citata da Schopenhauer, recita:
Se viene meno il soggetto pensante, lintero mondo corporeo deve
venire meno, in quanto esso non che il fenomeno nella sensibilit del
nostro soggetto e una specie delle sue rappresentazioni. (WWV 586
[604]; cfr. KrV [A 383])

In questo modo, tanto lintuizione sensibile quanto lintellet-

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to sarebbero ricondotti sul lato della rappresentazione, da cui


sarebbe invece liberata la cosa in s, assegnata alla volont in
quanto in s del fenomeno che pu essere colto solo nellautocoscienza.
Non questo il luogo in cui analizzare la fondatezza della critica di Schopenhauer. Ci preme piuttosto rilevare che queste pagine, che si leggono nellappendice del Mondo intitolata Critica
della filosofia kantiana, sono ben note a Nietzsche: compresa la
citazione del passo omesso da Kant. infatti una risposta proprio
al problema l posto da Kant quanto leggiamo in un frammento
del 1881: Un mondo senza soggetto possibile pensarlo? Ma
si pensi ora tutta la vita annullata dun colpo; perch tutto il resto
non potrebbe continuare a muoversi tranquillamente, ed essere
cos come ora lo vediamo?. Poich il soggetto pensante luomo, il venir meno del mondo corporeo una volta eliminato luomo che lo pensa appare a Nietzsche la conferma del vizio antropomorfico di Kant. Del pari una risposta a Kant laffermazione
che leggiamo subito dopo: Posto che i colori siano soggettivi
niente ci dice che essi non sarebbero pensabili oggettivamente
(NF 1881, 10[D82]). Nei Prolegomeni Kant aveva sostenuto che
la sua dottrina non pu dirsi idealistica tanto quanto non pu
ritenersi idealista colui che vuol far valere i colori non come
qualit che ineriscono alloggetto in s ma soltanto come modificazioni inerenti al senso della vista. Se, per, Kant ricava da ci
che le propriet che costituiscono lintuizione di un corpo appartengono solo al suo fenomeno e questo non significa che lesistenza della cosa venga tolta (aufgehoben) come fa lidealismo
, ma soltanto si mostra che non possiamo affatto, attraverso i
sensi, conoscerla come in s (P 289 [45]), Nietzsche fa invece
un deciso passo oltre Kant affermando che niente pu escludere
che il noumeno coincida con il fenomeno: La possibilit che il
mondo sia simile a quello che ci appare non affatto eliminata,
quando riconosciamo i fattori soggettivi. Se data questa coincidenza, non c pi alcun bisogno di privilegiare la posizione
delluomo identificando questi fattori soggettivi esclusivamente con il pensiero (sia esso quello delle categorie o la cosa in

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s semplicemente pensata). Per di pi, volersi rappresentare il


mondo senza soggetto rappresentare senza rappresentazione una contraddizione che solo il pensiero pu formulare:
occorrerebbe pur sempre, infatti, eliminare il soggetto con il
pensiero (das Subjekt wegdenken). Questo wegdenken manifestamente possibile solo alluomo. Ma, se si elimina luomo soggetto pensante, ecco che la certificazione dellesistenza del mondo corporeo pu essere fornita da qualsiasi altro essere vivente.
Mirando evidentemente troppo basso nel numero, in riferimento
a quello che proprio Kant chiama le infinitamente molteplici
forme della natura (KdU, Introduzione IV), Nietzsche annota che forse, vi sono centinaia di migliaia di rappresentazioni
soggettive; se, dunque, si elimina col pensiero (wegdenken)
il mondo umano, resta quello delle formiche (NF 1881, 10[D
82]). Ed , questa, lapplicazione diretta di un pensiero di Schopenhauer, il quale osserva che se limpressione non che una
pura sensazione nellorgano di senso che viene trasformata in
rappresentazione mediante lapplicazione del principio di causalit (dunque mediante una prestazione basica dellintelletto, senza che intervengano i concetti e i pensieri, legati, secondo quanto Kant stesso afferma, alla spontaneit dellintelletto stesso,
ossia a una sua fraintesa, secondo Schopenhauer, indipendenza
dallintuizione) e delle forme intuitive dello spazio e del tempo
allora questa rappresentazione pu essere distinta dalloggetto
solo se ci si pone la questione della cosa in s, mentre se se ne
prescinde identica con esso. Con ci lufficio dellintelletto
e della conoscenza intuitiva compiuto (). Perci anche lanimale ha queste rappresentazioni (WWV 591-592 [609-610]).
In linea con questa impostazione la conclusione del frammento
di Nietzsche, che accoglie laffermazione fatta da Kant nel passo
omesso citato da Schopenhauer ma la applica non gi alluomo,
bens allanimale, perch anchesso capace di sensazioni: E se
si pensasse di eliminare tutta la vita tranne la formica: davvero
da questa dipenderebbe lesistenza? S, il valore dellesistenza dipende dallessere senziente (NF 1881, 10[D82]).
Facendo un passo oltre Kant, Nietzsche fa per un passo an-

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che oltre Schopenhauer. Se, infatti, lobiettivo di questultimo


pur sempre di salvaguardare la cosa in s20, limitandosi a
criticare il modo in cui Kant vi giunge, per Nietzsche, pi radicalmente, la cosa in s non esiste o , al massimo, una mera
finzione21 postulata dalla metafisica22. Gi in un frammento del
1872-1873 possibile cogliere il suo distacco da Schopenhauer:
Se noi riconduciamo lintero mondo intellettuale sino allo stimolo e alla sensazione, questa percezione poverissima fornisce
una spiegazione irrisoria. Ancor pi netta losservazione immediatamente successiva: La proposizione () non vi soggetto senza oggetto, n oggetto senza soggetto, perfettamente
vera, ma di una estrema banalit. Posto il problema in questi
termini, la conclusione rigorosamente sviluppata non pu portare che allirrilevanza della cosa in s: Non possiamo affermare
nulla riguardo alla cosa in s, poich sotto i nostri piedi abbiamo tolto il punto di appoggio [Standpunkt] fornito da chi conosce, cio da chi misura. Un tale essere che misura luomo,
dato che Nietzsche ipotizza una derivazione del termine Mensch
(uomo) da messen (misurare). Ma, contro la pretesa centralit di questo essere, Nietzsche gioca nuovamente la carta della
critica dellantropomorfismo: Anche la pianta un essere che
misura. Le propriet delle cose che cosa siano le cose ci
interessano non gi in se stesse, ma in quanto agiscono su di noi
(NF 1872-1873, 19[156]).
a partire da qui che Nietzsche comincia a immaginare una
funzione della conoscenza scientifica che approder allidea di
una gaia scienza. Come si ricorder, in GM III 12 egli parla della
necessit di impegnare quanti pi affetti e quanti pi occhi
20 Cfr. NF 1885, 34[82]: Schopenhauer credette di aver trovato in una facolt gi
sufficientemente stimata, la volont lo stesso e anche di pi [sc. rispetto alla intuizione
intellettuale di Schelling], ossia la cosa in s.
21 Cfr. NF 1885, 38[14]: La cosa solo una finzione, la cosa in s addirittura
una finzione contraddittoria e illecita; ma anche il conoscere, quello assoluto e quindi
anche quello relativo, del pari solo una finzione!.
22 Cfr. GD, I quattro grandi errori 3: Per non parlare della cosa in s, dellhorrendum pudendum dei metafisici!.

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nella determinazione di una cosa, in modo da giungere a una


supposta completezza del vedere prospettico. In una parola,
ci significa, come abbiamo gi rilevato, che solo in una tale supposta completezza di tutte le prospettive possibili noi potremmo
determinare ci che la cosa sia, giungendo allidentificazione di
fenomeno e noumeno. Questo compito potrebbe essere portato a termine solo da una scienza puramente descrittiva. Ad essa
Nietzsche accenna in un frammento ancora del 1872-1873, nel
quale parla della conoscenza scientifica come di una forma di
rispecchiamento (Wiederspiegelung) che si sviluppa in parallelo
con lo svilupparsi delluomo: Limmagine del mondo diventa
dunque sempre pi vera e pi completa. Ponendosi come continuazione del processo naturale, questa conoscenza produrr una
graduale liberazione da ci che troppo antropomorfico (NF
1872-1873, 19[158]). Successivamente, tuttavia, proprio questo
modello di scienza gli appare in linea con il concetto tradizionale, che mira alla conoscenza positiva delle cose: noi chiamiamo
spiegazione ci che in realt solo descrizione. Dicendo che una cosa (leffetto) segue a unaltra (la causa), ancora
non abbiamo compreso nulla; descrivendo le cose, non facciamo altro che proiettarvi la nostra immagine: la scienza la
pi fedele umanizzazione possibile delle cose (FW 112).
Non pertanto possibile ottenere, con questo modello di
scienza, una descrizione della natura che prescinda dalluomo;
non neppure possibile sommare tutte le possibili prospettive
che appartengono alla sfera del vivente. Lidentificazione di fenomeno e noumeno si rivela irrealizzabile. Da questa irrealizzabilit emerge lidea di una gaia scienza: Ridere di se stessi come
si dovrebbe, se si volesse ridere procedendo da tutta la verit [aus
der ganzen Wahrheit heraus]; da questultima non pu essere esclusa nessuna prospettiva legata al vivente, e non ne pu
quindi emergere che la nostra sconfinata abiezione di mosca e
ranocchio. Solo quando avremo appreso a ridere della nostra
pretesa di conoscere, quando il riso sar alleato alla saggezza,
forse allora ci sar, se non altro, una gaia scienza (FW 1). In una
scienza come questa, la cosa in s non scompare, ma si presen-

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ta essa stessa come prospettiva: Il che cos ci? un dar senso, visto da unaltra cosa. Lessenza, lentit sono qualcosa
di prospettivistico e presuppongono gi una pluralit. Alla base
c sempre un che cos ci per me? (per noi, per tutto ci che
vive, ecc.) (NF 1885-1886, 2[149]).
La partita non per, con ci, ancora chiusa. Che cosa impedirebbe, infatti, di ridurre la pluralit delle prospettive a semplici
punti di vista soggettivi (il per me)? Che non esistano fatti ma
solo interpretazioni riconducibile alla soggettivit delle interpretazioni? Tutto soggettivo, dite voi, ma aggiungere il soggetto allinterpretazione gi uninterpretazione: In quanto la
parola conoscenza abbia senso, il mondo conoscibile; ma esso
interpretabile in modi diversi, non ha dietro di s un senso, ma
innumerevoli sensi. Prospettivismo (NF 1886-1887, 7[60]).
Dunque la pluralit di senso gi data nel mondo. Ora, tuttavia,
come posso cogliere questa pluralit di senso se la mia conoscenza
puramente prospettica, se ogni mio atto conoscitivo compreso
ogni volta nei limiti della prospettiva? Come posso avere consapevolezza che la mia conoscenza prospettica, se proprio il fatto
che sia prospettica non mi consente di intenderla come tale? E,
in aggiunta: che cosa significa ancora conoscenza, date queste
premesse? Per garantire questa possibilit dovrebbe esistere un
punto di vista pi elevato dal quale poter concludere che, appunto, la mia conoscenza prospettica. Nellaforisma 374 (Il nostro
nuovo infinito) del quinto libro della Gaia scienza Nietzsche nega
con decisione lesistenza di un tale punto di vista: definire fino
a che punto lesistenza sia prospettica non pu essere stabilito
nemmeno attraverso la pi diligente analisi perch, in questanalisi, lintelletto umano non pu fare a meno di vedere se stesso
sotto le sue forme prospettiche e soltanto in esse. Non possiamo
girare con lo sguardo il nostro angolo (FW 374). Questo approdo scettico, quasi un esito afasico, della concezione nietzschiana
della conoscenza, tuttavia possibile solo se si mantiene quanto
meno la consapevolezza che la nostra conoscenza prospettica. Il
che consentito dalla consapevolezza che le prospettive sono infinite; che, se impossibile raccogliere tutte le prospettive fenome-

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Prospettiva e ascetismo

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niche fino a farle coincidere con il noumeno, questultimo resta


tuttavia come ipotesi puramente negativa e regolativa che guida
la nostra conoscenza. La cosa in s di Kant diviene il nuovo
infinito di Nietzsche: lultima partita che la cosa in s pu
ancora giocare. Come ha scritto Volker Gerhardt, ogni essere
comprende della realt sempre e soltanto la sua porzione specifica, e questa porzione per lui lintero. Se non esiste alcuna
prospettiva complessiva assoluta che circoscriva tutte le altre,
essa tuttavia, proprio in quanto si sottrae, pu essere considerata
tra quelle che Kant definiva le condizioni trascendentali del
conoscere (Gerhardt 2006: 141-142).
Bench il giudizio di Nietzsche sullo scetticismo appaia ondivago ora celebrato come imprescindibile strumento teoretico contro i dogmatismi della metafisica e i pregiudizi della
morale, ora condannato come malattia della volont che inibisce le istanze legate alla vita il risultato della sua impostazione
teoretico-epistemologica si colloca decisamente nel segno della
scepsi. Nellesito afasico di questa scepsi, il riso della gaia scienza si sostituisce alla volont di affermare e di conoscere. Questo
esito gi chiaramente indicato in un aforisma del Viandante e
la sua ombra, in cui un vecchio domanda allo scettico Pirrone:
Oh amico! Tacere e ridere ora questa tutta la tua filosofia?;
Non sarebbe la pi cattiva la risposta di Pirrone (WS 213).

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Gaia scienza e ideali ascetici


(GM III 23-28)
Helmut Heit

Al termine della Genealogia della morale, Nietzsche sviluppa


lidea secondo la quale la scienza non si presenta affatto come
un antagonista dellideale ascetico, ma al contrario come la sua
forma pi sublime. Tale prospettiva strettamente connessa alla
concezione di una scienza gaia, alla quale egli fa ripetutamente
riferimento nella Genealogia. Al fine di chiarire il rapporto tra
scienza e ascesi innanzitutto necessario comprendere cosa siano e cosa significhino gli ideali ascetici, e in secondo luogo cosa
sia e cosa possa significare la scienza. Per quanto riguarda la seconda questione, tenter di distinguere, sulla base dellesemplare
analisi di un testo di Max Heinze, la forma ascetica della scienza da quella gaia. Ponendo particolare attenzione alla filosofia della scienza di Nietzsche, risulta evidente che la polemica
con la volont di verit istituzionalizzata non appare unilaterale
e, contrariamente alla lettura fornita da Charles Larmores, nemmeno inconsistente. La gaia scienza rappresenta unoccasione
storico-culturale, sviluppatasi attraverso una lunga, accurata e
rigorosa ricerca della verit. Ora che la fede e la certezza della
conoscenza della verit si sono fatte fragili, la gaia scienza come
forma di filosofia potrebbe assumersi il compito di delineare un
nuovo perch alternativo agli ideali ascetici perdurati sinora.

1. Gaia scienza come compenso della seriet laboriosa


Lo scritto polemico Genealogia della morale pu a buon diritto venire considerato come un libro sobrio e persino scientifico,

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come un vero e proprio trattato, nel quale Nietzsche perviene


ad uno dei punti pi alti della propria arte dellargomentazione
(Hffe 2004: 7). Egli sembra anche mantenere un atteggiamento
generalmente aperto nei confronti della scienza e delle sue pretese di validit1. La Genealogia della morale si presenta al lettore
quasi come uno studio finalizzato a unindagine storico-culturale
sullorigine dei nostri pregiudizi morali (GM, Prefazione 2),
che fa vanto tanto del suo addottrinamento storico e filologico,
quanto della sua sensibilit per i problemi psicologici (GM,
Prefazione 3). Gi il suo titolo promette logoi sulla genesis, e
in apertura della prima Dissertazione si parla addirittura di sacrificare ogni idealit alla verit (GM I 1). Non a caso Nietzsche
pone la nuova opera esplicitamente in connessione con lo scritto
giovanile, talora definito positivistico, Umano, troppo umano, che
avrebbe inaugurato la fase dello spirito libero e del cosiddetto
Realismus2. Anche nella Genealogia vi sono tracce che trovano
esplicita risonanza in Re, ossia che ora, in seguito al compimento della religione e della metafisica, e da quando hanno scritto
Lamark e Darwin, i fenomeni morali possano essere riportati
altrettanto bene a cause naturali (Re 1877/2004: 127). A differenza delle ipotesi inglesi costruite sulle nuvole, Nietzsche
indirizza expressis verbis lattenzione sul grigio, il documentato,
leffettivamente verificabile, leffettivamente esistito (GM, Prefazione 7). Questo suona come un programma, che da altri sar
praticato in modo pi dettagliato e anche pi grigio, come nel
caso di Foucault, che nei suoi studi archeologici e genealogici si
1 Maudemarie Clark (1990: 103), dal momento che sembra non distinguere n cogliere differenze di grado tra critica alla scienza e critica alla verit, interpreta questo
atteggiamento positivo verso la scienza come prova che Nietzsche, al pi tardi nella Genealogia, abbia rivisto le sue precedenti critiche alla verit.
2 Per il termine Realismus si veda la lettera a Paul Re del 10 agosto 1878, cos
come Ruckenbauer (2002: 37-83). Significativamente Nietzsche sottolinea inoltre nella Prefazione del 1886 alla seconda parte di Umano, troppo umano il legame di questo
scritto con i precedenti lavori e pensieri risalenti intorno al 1870 (MA II, Prefazione 1).
Secondo Karl Schlechta e Anni Anders questa osservazione va presa sul serio lettera per
lettera, ed essi sottolineano lo sforzo di Nietzsche per far emergere delle continuit nella
sua opera (Schlechta/Anders 1962:11).

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fermer letteralmente ai dettagli e alle coincidenze (Foucault


1971/2000: 72). Daltro canto, allinterno della Genealogia si cercano invano indagini di questo tipo. Ci sono, vero, osservazioni
sul concetto di estls (vero, nobile) in Teognide di Megara (GM
I 5), si parla di una storia bimillenaria della rivolta degli schiavi
nella morale (GM I 7), i concetti di colpa, coscienza, dovere vengono messi (vagamente) in connessione con la sfera dei
debiti-diritti (GM II 6), e la filosofia dei Vedanta viene citata
dal commentario di Paul Deussen (GM III 17); tuttavia, il testo
fornisce ben poche ricostruzioni storiche riconducibili al modello
della scienza normale e corroborate da fatti verificabili. I polverosi dettagli di una precisa ricerca scientifica delle condizioni
e delle circostanze dalle quali certi pregiudizi morali sono nati
e si sono andati sviluppando e modificando (GM, Prefazione 6)
non sono posti al centro di questo scritto polemico. Guardando
al contenuto effettivo della Genealogia si pu dire piuttosto che,
in ultima analisi, a Nietzsche importava svolgere in questo scritto qualcosa di diverso e forse molto pi importante di una
congerie di ipotesi mie o altrui sullorigine della morale (GM,
Prefazione 5), sia ci concepito sulle nuvole o sul grigio. Al posto
di concreti studi storici e analisi metodologiche di casi esemplificativi e di fonti, Nietzsche delinea un campo di ricerca in base
a discussioni paradigmatiche, solleva questioni fondamentali e
indica le direzioni delle loro soluzioni. Proprio in questo senso,
nella significativa osservazione posta al termine della prima Dissertazione, egli espone un programma di ricerca interdisciplinare
al quale possano prendere parte gli studiosi di differenti ambiti.
La Genealogia della morale in realt un invito alla ricerca ben
pi che una soluzione della stessa (Fett 2001).Questo non solo
dovuto al fatto che un singolo ricercatore risulterebbe sopraffatto da un simile inaudito progetto di studi storico-morali, ma risulta anche dalla concezione che Nietzsche aveva della gerarchia
(Rangordnung) delle scienze e del ruolo specifico della filosofia in
essa. Di questa gerarchia egli parla molto chiaramente nella nota
al termine della prima Dissertazione: Tutte le scienze devono
ormai elaborare in via preparatoria il compito futuro dei filosofi:

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intendendo questo compito nel senso che il filosofo deve risolvere il problema del valore, deve determinare la gerarchia dei valori (GM I, Nota). Le singole specifiche scienze assumono cos
un carattere strumentale e, in quanto le Dissertazioni della Genealogia rappresentano tali singoli studi scientifici, Nietzsche le
caratterizza retrospettivamente come lavori preliminari (EH,
Genealogia della morale). Solo la filosofia si interroga sistematicamente sul perch e si confronta come unica disciplina con
la sfida di intraprendere una gerarchia degli obiettivi dazione,
anche dellazione del ricercatore. Questo compito superiore garantisce allo stesso tempo alla filosofia una posizione privilegiata
nella gerarchia delle scienze3. Sul compito specifico della filosofia
si torner pi avanti. Per il momento ci si limita a considerare che
la Genealogia della morale non vuol essere il libro di un erudito
specializzato, ma il libro di un filosofo; quindi, non si tratta in
senso stretto di un libro scientifico.
Tuttavia, come mostrano i passaggi analizzati finora, le scienze
assumono nella Genealogia della morale una posizione importante. In quanto studi storico-morali ai quali Nietzsche, oltre alletimologia e alla linguistica, vuole includere anche la medicina e
la fisiologia essi forniscono le competenze necessarie che sono
fondamentali per una critica dei valori morali (GM, Prefazione 6). In quanto tali, apportano un contributo significativo per
affrontare i problemi morali seriamente, cos come per affrontare
la loro critica e la loro trasvalutazione. In questo modo viene
proposta una nuova definizione di scienza, che va oltre la sua
mera funzione specialistica. Utilizzando il nome della sua Gaia
scienza (ampliata nel 1887 con un sottotitolo, un quinto libro
e unappendice di canzoni), Nietzsche parla di questa ulteriore dimensione della scienza: La gioiosa serenit (Heiterkeit) o,
per dirla nel mio linguaggio, la gaia scienza un premio: un
premio per una lunga, coraggiosa, laboriosa e sotterranea seriet
3 Su questo tema Tilman Borsche (2012) ha fornito un contributo significativo, che
sottolinea in particolare il carattere autoriflessivo e antidogmatico della filosofia della
scienza di Nietzsche.

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che indubbiamente non cosa di tutti (GM, Prefazione 7). In


questo passaggio enigmatico viene accennata una considerazione
storico-culturale che sar di supporto per lesposizione successiva, sebbene n lespressione gioiosa serenit n gaia scienza
stiano al centro delle seguenti Dissertazioni. Al contrario, al termine dello scritto, la scienza viene chiamata in causa nel contesto dazione del non troppo sereno ideale ascetico. Ci non di
meno, questo nesso, nella lettura qui proposta, risulta centrale.
La combinazione, indicata nella prefazione dellopera, di gioiosa
serenit e seriet, ovvero la gaia scienza come premio e risultato di una laboriosa seriet, rivela il suo pieno significato solo in
connessione con le osservazioni sulla scienza e gli ideali ascetici
svolte al termine della Genealogia della morale.

2. Ideali ascetici come lavoro per amore del lavoro


La terza Dissertazione della Genealogia della morale si incentra sostanzialmente su due questioni: che significano gli ideali
ascetici? (GM III 1) e dove si trova la volont opposta in cui
si esprimeva un ideale opposto? (GM III 23). Solo nel contesto del secondo quesito le scienze giocano un ruolo di rilievo,
anche se non particolarmente positivo. La proposta di adottare
la scienza contemporanea come una sorta di contro-ideale viene
decisamente respinta da Nietzsche. Per capire questa diagnosi
radicale necessaria una pi profonda comprensione degli ideali
ascetici stessi, ed quindi opportuno riferirsi anzitutto alla prima
questione: che significano gli ideali ascetici?. In primo luogo,
sorprendente che Nietzsche non chieda cosa siano gli ideali ascetici, ma cosa essi significhino. Il significato di cui si parla qui
non riguarda certo la questione del riferimento (Referenz), per
come pu intenderla una moderna filosofia del linguaggio di matrice fregeana. Gi relativamente al concetto di pena Nietzsche
aveva individuato in maniera inequivocabile ci che anche Hegel
prima di lui e Adorno dopo di lui hanno sottolineato: tutti i
concetti, in cui si condensa semioticamente un intero processo,

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si sottraggono alla definizione; definibile soltanto ci che non


ha storia (GM II 13). Quanto detto vale ancora di pi per i
cosiddetti ideali ascetici, il cui significato non muta solo storicamente, ma anche in relazione agli uomini o ai tipi umani. Se
nel mondo che ci concerne in quanto esseri mortali ci siano cose
rilevanti senza storia, noi potremmo lasciarle da parte. I fenomeni culturali, come ad esempio gli ideali umani, hanno naturalmente una storia. Fissare attraverso una definizione qualcosa
che invece storico-dinamico pu effettivamente essere utile per
la pratica comunicativa, ma semplifica, falsifica e nega la storicit del fenomeno in questione opponendosi a una sua migliore
comprensione, pur sapendo che le cose stanno diversamente. Di
conseguenza, Nietzsche non ci fornisce alcuna determinazione e
ancor meno alcuna definizione dellestensione dei momenti essenziali e accidentali degli ideali ascetici. Piuttosto, nella terza
Dissertazione il concreto procedere tiene conto della storicit
e della pluralit del significato degli ideali ascetici attraverso lo
sviluppo di una genealogia di tipi esemplari4. Gi luso del plurale nel titolo della terza Dissertazione indica che nella locuzione ideali ascetici si condensa una sintesi, il cui significato pu
venire alla luce solo attraverso un approccio multiprospettico5.
Con significato si intende probabilmente quale funzione, quali
vantaggi-svantaggi e quali effetti gli ideali ascetici abbiamo per
determinati tipi umani e perch ricevono da questi praticamente
o esplicitamente attenzione o addirittura apprezzamento. In que4 Le decise tipizzazioni utilizzate da Nietzsche anche in altre parti della Genealogia
sono state valutate criticamene: possibile respingerle come iperboli unilaterali, ma vi
del metodo. Nietzsche spinge le unilateralit a tal punto che esse sono immediatamente
riconoscibili come tali. Le sue tipizzazioni sono scorci prospettici, concetti che non ritraggono, ma tracciano netti contorni che dovrebbero far emergere ci che secondo la sua prospettiva significativo (Stegmaier 1994: 89). Tuttavia, i tipi di esemplari di Nietzsche non
corrispondono unicamente al suo personale punto di vista. Piuttosto mettono da un lato in
primo piano importanti aspetti di fenomeni storici, e dallaltro evitano celate falsificazioni,
che derivano dalla pretesa rappresentazione definitoria. Proprio nella loro iperbolicit i
tipi nietzscheani fanno emergere la verit, perch solo lesagerazione vera (Horkheimer/Adorno 1944: 142) unaffermazione ovviamente esagerata di per s.
5 Daltro canto Nietzsche parla di ideale ascetico (GM III 1) al singolare fin dallinizio, e nel corso della terza Dissertazione sempre il singolare a prevalere.

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sto senso, lideale ascetico significa qualcosa che fa indovinare


ci che sta nascosto dietro di lui, sotto di lui, in lui, ci di cui
esso lespressione provvisoria, non chiara, sovraccarica dinterrogativi e di fraintendimenti (GM III 23).
Per giungere a una prima nozione preliminare degli ideali ascetici, si pu dire che essi, in quanto ideali, portino a espressione
valori e obbiettivi, contrassegnino qualcosa verso cui indirizzarsi
e quindi indichino al di l delle condizioni attuali. Al contempo,
Nietzsche connota tali ideali come ascetici e li mette cos in relazione alla rinuncia, allastinenza e alla disciplina. Come diviene
chiaro in GM III 2, gli ideali ascetici si intrecciano in particolare
con linibizione della sessualit, ma non corrispondono a essa.
Lalternativa alla disinibizione sessuale la vedono solo gli sciagurati porci (GM III 2) nel rigoroso ascetismo, quando nella
castit riconoscono il suo opposto e lo venerano. Al contrario,
proprio lequilibrio tra animale e angelo sedurrebbe i ben riusciti
(die Wohlgeratenen) allesistenza. A tal proposito, il rapporto tra
ascetismo e ideale non al momento chiaro. Werner Stegmaier
presume a riguardo che lascesi sia necessaria per tendere a un
ideale, e che per questo lideale sia ideale ascetico (Stegmaier
2004: 154). Questo senzaltro corretto, giacch un certo grado di ascesi fa parte delle condizioni per la realizzazione di ogni
ideale, ma ci non comporta che gli ideali stessi siano compiutamente ascetici, e che quindi tale attributo ne costituisca la specificazione. A questo punto si fa strada unulteriore considerazione
di Stegmaier, secondo il quale, paradossalmente, un ideale specificamente ascetico diviene attrattivo in virt della sua irrealizzabilit: il fatto che non possa essere raggiunto non solo non lo
svaluta, ma motiva a maggiori sforzi per la sua realizzazione, e
questo pi da esso si lontani (Stegmaier 2004: 155). A questa
conclusione giunge anche Charles Larmore: ci che Nietzsche
vuol denotare col generico termine degli ideali ascetici, la convinzione di avere un obbiettivo mai completamente raggiungibile
verso il quale si deve tendere perseveranti, coscienziosi e disposti
a fare sacrifici (Larmore 2004: 166). Pertanto, agli ideali ascetici appartiene una certa mancanza di misura, unirrequietezza

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permanentemente percepita come inadeguatezza, cos come una


forte tensione verso il futuro e il progresso, e in questo senso anche verso laldil. Nella misura in cui gli ideali ascetici consistono
in questa tensione verso obbiettivi irraggiungibili, essa stessa assume la funzione di un vero e proprio valore. Ecco che la pratica
della forma di vita ascetica non pi solo un mezzo, ma di fatto
lintero contenuto e lo scopo dellideale ascetico. Vedremo come
la ricerca scientifica della verit corrisponda a questa vocazione.
Allo stesso modo, non si sottolineer mai abbastanza che gli
ideali ascetici o quantomeno lascesi non sono in Nietzsche in
alcun modo di per s connotati in senso negativo, ma hanno un
aspetto positivo sia per la cultura in quanto tale, sia per specifici
tipi umani. Il loro significato dipende in particolare dal fatto che
essi rappresentino, per un determinato tipo, solamente un mezzo per un fine personale, o che invece finiscano per occupare il
posto di quello stesso fine. Questa alternativa diventa chiara nel
confronto tra i filosofi, presso i quali gli ideali ascetici giungono
gi alla questione pi seria (GM III 5), e i preti, presso i quali
soltanto lideale ascetico diventa una cosa seria (GM III 11)6.
Il filosofo si pone positivamente nei confronti degli ideali ascetici, poich questi fanno parte della sua condizione esistenziale in
quanto libero pensatore, egli con questo non nega lesistenza,
piuttosto afferma in essa la sua esistenza e unicamente la sua esistenza (GM III 7). Alla sua esistenza appartengono solitudine e
deserto, libert dalle preoccupazioni e responsabilit, pace interiore come esteriore e una disposizione controllata delle passioni
interne, dove tutti i cani [sono] messi per benino alla catena
(GM III 8). Anche un certo distacco dal mondo fa parte di queste condizioni, per Nietzsche, che comprende se stesso e i propri lettori in queste condizioni: noi filosofi abbiamo soprattutto
bisogno di ununica quiete: quella lontana da ogni attualit
6 Nietzsche non presta alcuna ulteriore attenzione al significato opportunista, confortante e civettuolo degli ideali ascetici per signore o per la normale massa dei disgraziati e degli scontenti. Allartista, cio sostanzialmente a Wagner, dedica alcuni paragrafi,
giungendo alla conclusione che gli ideali ascetici non avessero in sostanza per lui alcun
significato (Gury 2004: 137, cfr. GM III 5).

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(GM III 8). In questo senso le tre pompose parole degli ideali
ascetici povert, umilt, castit corrispondono alle tre cose
abbaglianti e chiassose che il filosofo evita: la gloria, i principi e
le donne (GM 8 III). Daltro canto, vi sono qui delle indicazioni
per una svolta produttiva, che risulta di interesse relativamente
alla questione centrale circa il rapporto tra ascetismo e scienza,
poich i filosofi pensano in definitiva al sereno ascetismo di un
animale divinizzato e divenuto alato (GM III 8). Essi sono per
Nietzsche ponti verso lindipendenza (GM III 7), e quindi
mezzi per un fine personale pi alto. In questo senso Nietzsche
constata che una dura e serena rinuncia spontaneamente voluta
appartiene alle condizioni favorevoli di unaltissima spiritualit,
come pure alle sue pi naturali conseguenze (GM III 9). Cos,
per il filosofo lideale ascetico non significa solamente un presupposto e una conseguenza della propria esistenza, ma si intreccia
con la gioiosa serenit e con la divinizzazione. Questa dimensione gioiosa suggerisce anche una connessione tra filosofia e
scienza, che potrebbe, in opposizione alla scienza della seriet,
assumersi effettivamente il compito di unalternativa agli ideali
ascetici.
Nei preti, invece, lindagine relativa al significato dellideale
ascetico non rinviene alcuna traccia di gioiosa serenit. Solo a
questo punto, dopo esserci concentrati sul prete ascetico, affrontiamo seriamente da vicino il nostro problema: che cosa significa
lideale ascetico? Ora facciamo sul serio: siamo ormai faccia a
faccia con il vero e proprio rappresentante della seriet in generale? (GM III 11). Senza entrare qui troppo nei dettagli circa
lo specifico contributo che il prete offre alla filosofia culturale
della Genealogia della morale, la sua seriet che si contrappone alla potenzialmente gioiosa ascesi dei filosofi documenta le
possibilit di significato fondamentalmente diverse degli ideali
ascetici. Nel tipo del prete, al quale Nietzsche accosta il filosofo
Eugen Dhring (GM III 14, cfr. Stegmaier 2004: 157), gli ideali
ascetici acquisiscono un significato profondo e pericoloso nella storia della cultura. Il prete il modificatore di direzione del
ressentiment (GM III 15), in lui gli ideali ascetici si mostrano

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come istinto di protezione e di salute di una vita degenerante


(GM III 13) e come espressione di malattia. Ma per il prete lascetismo non pi soltanto al servizio della protezione e della
conservazione; piuttosto, il risentimento diviene qui creativo e
produce una volont di vivere paradossalmente ostile alla vita,
che consiste nel perpetrare se stessa come ideale ascetico: qui
si consuma un tentativo di impiegare la forza per ostruire le sorgenti della forza (GM III 11). Con lausilio dellideale ascetico,
il prete coltiva il dolore dellesistenza e la giustifica come tensione imperfetta verso obiettivi irraggiungibili. Gli sforzi presenti,
le sconfitte, le debolezze, il dolore, le scoraggianti avversit non
vanno solamente sopportate, ma accolte come sforzi e prove necessarie sulla strada per lideale; vengono in definitiva convertite
da obiezioni a contrassegni di una vita ben riuscita. Con ci il
prete riesce da una parte a dare un senso alla sofferenza, poich
ci che propriamente fa rivoltare contro la sofferenza non la
sofferenza in s, bens lassurdit del soffrire (GM II 7). Inoltre,
il prete offre diverse pratiche ed esercizi per lo pi di successo
per evitare una depressione suicida. Queste comprendono lattenuazione generale del sentimento vitale (GM III 17), il lavoro
eccessivo e insensato, ma anche una dose di piccoli piaceri, come
ad esempio lamore per il prossimo (GM III 18). Il suo mezzo pi potente e pi pericoloso lentusiasmo, laberrazione
del sentimento (GM III 19). Mezzo ed espressione dellideale
ascetico possono essere anche le manifestazioni apparentemente
estreme di un sentimento vitale indomabile, come particolarmente evidente nella complessa strumentalizzazione del senso di
colpa. Daltra parte, nonostante questo contributo, il prete non
in definitiva un medico; egli porta unguenti e balsami, non v
dubbio; ma ha prima bisogno di ferire per poter essere medico
(GM III 15). Con lausilio della sua complessa strumentazione
palliativa e consolatoria egli non solo non coglie la causa prima
del dolore, ma al contrario la esalta e la rinnova. Tra laltro, assume cos il ruolo privilegiato di pastore nella sua concentrazione
e organizzazione dei malati () ( la designazione pi popolare
di ci che la parola Chiesa) (GM III 16). I preti universa-

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lizzano cos gli ideali ascetici, che altrimenti avrebbero significati


concreti unicamente per determinati tipi concreti, e li universalizzano verso una forma generale della rappresentazione e della
concezione del mondo assieme allorientamento morale allinterno di esso. Nel tipo del prete lideale ascetico giunge cos a se
stesso. Esso d allazione e al pensiero umani una destinazione
(se stesso), cos come d un senso alla vita e al dolore. Linflusso
dominante dellideale ascetico sulle pulsioni vitali e sugli affetti
passa cos da essere un mezzo concreto e parzialmente utile a
essere uno scopo indipendente e un massimo ideale, dal momento che, in assenza di un altro e pi potente ideale, non sarebbe
altrimenti possibile indicare a che scopo tutto lo sforzo debba
risultare in ultima analisi valido.

3. Scienza ascetica come zelo senza scopo ovvero


idealismo credente
Anche se una genealogia non pu essere una confutazione di
giudizi normativi, tuttavia chiaro che Nietzsche non proponga
di rivalutare gli ideali ascetici e veda anzi come problematiche le
prospettive che essi aprono e il loro effetto sul piano culturale.
Su questo sfondo egli pone un secondo insieme di questioni alla
fine della terza Dissertazione: Dov il contrapposto di questo
sistema chiuso di volont, meta e interpretazione? Perch manca
il contrapposto? Dov laltra unica meta? (GM III 23).
Riprendendo una risposta in uso nei suoi tempi, Nietzsche giunge cos a parlare della scienza, che ha come obbiettivo una conoscenza della verit oggettiva e sobria: Mi si dice che [questo
contrapposto] non manca, che non solo ha ingaggiato una lunga
fortunata battaglia con quellideale, ma che gi in tutto quanto
pi importante si sarebbe imposto su quellideale: ne sarebbe
una testimonianza la nostra scienza tutta quanta (GM III 23).
Pensare alla scienza come controparte di una visione del mondo dominata dai preti potrebbe apparire cosa ovvia, nel tardo
Ottocento. Diverse narrazioni storico-culturali facevano riferi-

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mento a una posizione mutata delle scienze, in base alla quale


lumanit da origini primitive e infantili si sarebbe sviluppata
attraverso un processo graduale che spesso viene messo in parallelo con le fasi della vita delluomo, e che nella fase storicoculturale dellEuropa contemporanea avrebbe raggiunto una
sobriet e virilit adulte. Varianti di questa storia del progresso
si possono trovare in numerosi autori del Diciannovesimo secolo; per esempio, Nietzsche aveva studiato a fondo i libri di John
William Draper7. Di particolare rilievo la formulazione della
legge delle tre fasi di Comte: dopo una fase mitico-religiosa e una
fase filosofico-metafisica, lumanit entra finalmente in una fase
scientifico-positiva. Elementi centrali di queste narrazioni sono
le considerazioni etnografiche sulle culture primitive, le contrapposizioni culturali con la chiesa contemporanea e il trionfo
tecnologico-sociale delle scienze naturali. Dopo la confutazione
dei tradizionali sistemi religiosi e metafisici come giustamente
riassume Werner Stegmaier , le scienze dovrebbero prendere
ora il posto della religione e della morale, e lo scienziato dovrebbe sostituire il prete (Stegmaier 1994: 193). Dal momento che
le precedenti forme di rappresentazione e concezione simbolica
del mondo hanno perso la loro funzione persuasiva e vincolante,
la scienza, o addirittura, nello specifico, gli scienziati, a doversi
assumere il compito di stabilire i principi dellorientamento culturale. Nietzsche si domanda se le scienze siano allaltezza del
compito, e se queste scienze moderne e filosofie della verit
abbiano il coraggio di s, la volont di s sino a oggi s cavata dimpaccio abbastanza bene senza Dio, trascendenza e virt
negatrici (GM III 23). Contro questa immagine sicura di s, e
7 Nella biblioteca di Nietzsche si trovano ancora i testi di John William Draper
da lui comperati nel 1875: Geschichte der geistigen Entwickelung Europas. (Leipzig: Wigand, 1871) und Geschichte der Conflicte zwischen Religion und Wissenschaft (Leipzig:
Brockhaus, 1875). In entrambi gli studi, Draper ripercorre la concorrenza tra religione
e scienza dagli inizi della ricerca scientifica nellantica Grecia (nella quale solamente la
Biblioteca di Alessandria viene da lui considerata come fucina di una ricerca rigorosamente scientifica), attraverso la medievale et della fede sino alla contemporanea et
della ragione.

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sebbene Nietzsche si sia dichiarato in questo scritto un amico


delle scienze, egli non accorda ad esse questa centrale funzione
culturale: oggi la scienza non ha assolutamente alcuna fede in
s e ovunque essa ancora passione, amore, ardore, sofferenza,
non costituisce lantitesi di quellideale ascetico, ma piuttosto la
sua stessa forma pi recente e pi nobile (GM 3 23).
Con questa formulazione Nietzsche differenzia due funzioni
di scienza, ovvero due tipi di scienziato, che nei paragrafi seguenti verranno ulteriormente analizzate. Da un lato egli vede un
popolo doperai abbastanza a modo e modesto (GM III 23),
e dallaltro gli ultimi idealisti e tisici dello spirito (GM III
24). Per comprendere la sua filosofia della scienza fondamentale tener presente questa distinzione8. Nietzsche vede la stragrande maggioranza degli scienziati e delle pratiche scientifiche
del suo tempo fare ricerca da piccole nicchie, soddisfatti di
fare qualcosa di molto utile (GM III 24) attraverso un lavoro
rigoroso, cos da affrontare metodicamente i problemi scientifici.
Si pu certamente pensare alla pratica di soluzione di enigmi,
che secondo lanalisi di Thomas Kuhn caratterizza la ricerca della scienza normale, per cui si ha fiducia di poter risolvere un
determinato problema seguendo le regole stabilite allinterno di
un paradigma fisso9. Nietzsche rispetta senzaltro queste ricerche dettagliate e specializzate (del loro lavoro io mi rallegro,
GM III 23) e non nega lutilit di tale ricerca, n la validit dei
suoi risultati. In pratica, non assume alcun atteggiamento antiscientifico, ma esclude la possibilit di una visione del mondo
scientifica indipendente, che si configurerebbe come alternativa
8 Anche nel sesto paragrafo di Al di l del bene e del male Nietzsche opera questa
distinzione. Da un lato colloca la grande filosofia come autoconfessione del suo autore,
che testimonia in quale disposizione gerarchica (Rangordnung) i pi intimi istinti della
natura siano posti gli uni rispetto agli altri Dallaltro lato lerudito un piccolo meccanismo dorologeria che, caricato a dovere, svolge alacremente il suo bravo lavoro e ha il
suo vero interesse al di fuori della ricerca semmai nella famiglia o nel guadagno o nella
politica; anzi quasi indifferente che il suo piccolo congegno venga applicato a questo o
a quellaltro settore della scienza e che il giovane lavoratore, pieno di speranze, faccia
di s un buon filologo o un esperto di funghi o un chimico (JGB 6).
9 Cfr. Kuhn 1969: 49-56.

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allideale ascetico. Piuttosto, per Nietzsche la valentia dei nostri


dotti migliori, la loro smorta diligenza, la loro testa giorno e notte fumigante, la loro stessa maestria di mestiere (GM III 23)
lindizio di unattivit essenzialmente priva di direzioni, che non
ha alcun ideale al di sopra di s. In questo senso la scienza un
nascondiglio, nasconde in s linquietudine della stessa assenza
di ideali, il soffrire la mancanza del grande amore, linsufficienza
di una involontaria moderazione (GM III 23). Di sicuro le speculazioni di questo tipo sugli stati danimo degli scienziati normali sono difficilmente dimostrabili, ma non sembrano di per
s implausibili. La giovane generazione scientifica (una parola
che avrebbe sicuramente avuto il favore di Nietzsche), auspica
attraverso lo zelo e la competenza, cos come attraverso la fortuna e le buone relazioni, di guadagnare un posto fisso e venire
infine confermata. Il professore ordinario, al contrario, aspetta
che gli sia assegnato un particolare ambito di ricerca, attende il
successivo accreditamento, il segno del crescente prestigio nella
comunit scientifica di appartenenza, oppure anche solo la pensione. Per quanto riguarda la questione del perch, anche solo
del perch delle scienze, egli ha al massimo unopinione personale. Nietzsche pone accanto al tipo degli operosi-eruditi-disinteressati, gli ultimi idealisti tra gli scienziati contemporanei, che
si credono comunque rappresentanti di un altro ideale (GM III
24), anche se essi, nel loro agire, esercitano la medesima sobriet
dei filosofi. Di conseguenza, non sorprende che Nietzsche caratterizzi in genere con un certo apprezzamento anche questo tipo
di spiriti duri, severi, temperati, eroici, che costituiscono lonore della nostra et, con la sua esigenza di pulizia intellettuale
(GM III 24). In realt, egli riconosce se stesso in questi spiriti,
egli conosce da vicino il loro ateismo e scetticismo, e apprezza
quella veneranda moderazione filosofica () quel voler restare
inchiodati dinanzi alleffettuale, al factum brutum e quel rinunciare allinterpretazione in generale (GM III 24). Nietzsche in
definitiva non riconosce anche in questo secondo tipo nessun
contro-ideale. Sottolineando il loro voler stare inchiodati innanzi ai piccoli fatti e al tentativo di rinunciare a valutazioni e

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interpretazioni, cos come ad arrogarsi traduzioni, essi portano


ad espressione uno scetticismo ancor pi radicale di quanto si
trovi presso gli eruditi meno idealisti. Giacch essi vogliono astenersi da qualsiasi giudizio, portano al massimo lautodisprezzo
delluomo (GM III 25). Allo stesso modo, fanno ci sulla base
di una credenza doppiamente problematica: il fatto che credano
gi di per s problematico, nel senso che nella fede viene ad
espressione un atteggiamento fiducioso e acritico verso ci che
si crede. Quello che credono problematico perch la loro fede
nel valore assoluto della verit e la loro ferma volont a riguardo
la fede nellideale ascetico stesso (GM III 24), quandanche
nella sua forma pi sublime e raffinata. Perci si differenziano
cos dagli autentici spiriti liberi, poich credono ancora alla verit (GM III 24). Questa fede, allora, ci che unisce e collega indissolubilmente idealisti e scienziati nella pratica e nella
virt dellascesi. Al contrario, la nostra diffidenza insegna a
prendere in considerazione solo una fede particolarmente forte
ed ermeticamente protetta, come indizio dellimprobabilit di
ci che si crede: noi uomini della conoscenza siamo da tempo divenuti diffidenti verso ogni sorta di credenti (GM III 24).
Questa diffidenza, perfino nella sua distanza critica di fronte a
ogni ingenuit, evidentemente un prodotto della volont di verit, si indirizza ora alla fede nel valore della verit stessa.
Le scienze dunque non si pongono come alternativa agli ideali ascetici, e questo per due ragioni: in primo luogo la scienza
non pu produrre alcun ideale opposto, poich ha sotto ogni
aspetto innanzitutto bisogno di un ideale di valore, di una potenza creatrice (GM III 25). Come faranno significativamente
pi tardi Max Weber, Robert Merton e altri, la scienza viene
qui considerata come istituzione neutra dal punto di vista dei
valori anche da Nietzsche. Le scienze non possono decidere cosa
vale la pena conoscere e cosa no per mezzo della scienza stessa.
Sebbene siano le scienze a porre nuovi problemi, e con ci esse
stimolino gli interessi conoscitivi, la questione del se e del perch si voglia ricercare e sapere specificamente qualcosa si pone
al di fuori della ricerca scientifica e non trova risposta attraver-

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so conoscenze scientifiche. Anche al di l della concreta pratica


scientifica, la scienza ci pu istruire sui mezzi idonei per il raggiungimento dei nostri scopi, oppure su incoerenze e discrasie
tra obbiettivi diversi, ma non pu porre questi stessi scopi. Intesa
in questo modo strumentalmente unimmagine del mondo
puramente scientifica non possibile, poich non vi sono mezzi
per stabilire valori. Tenendo in considerazione il valore, al quale
le scienze intrinsecamente si riferiscono, ossia la verit, si dimostra per Nietzsche come in ci non sia da vedere propriamente
un contrapposto dellideale ascetico, anzi nellintimo processo
formativo di quello essa rappresenta ancora, in sostanza, addirittura la forza propulsiva (GM III 25). Questa la seconda
ragione per cui le scienze non si oppongono allideale ascetico,
dal momento che essi riposano invero sullo stesso suolo, si basano comunemente sullidentica sopravvalutazione della verit
(pi esattamente: sullidentica fede nella insuscettibilit di valutazione e di critica da parte della verit, e possono pertanto essere messe in questione solo congiuntamente: una svalutazione
dellideale ascetico trae inevitabilmente dietro di s anche una
svalutazione della scienza (GM III 5). Le citazioni della Gaia
scienza e i contenuti di GM III insistono su tale svalutazione dei
valori, e hanno perci il fine comune di porre quantomeno in
questione la volont di verit. Cosa comporti la questione del
valore della verit e quale compito ci competa nella forma di una
gaia scienza loggetto dei prossimi due capitoli10.

4. Volont di verit come ascesi intramondana


Il discorso sul valore morale della scienza pronunciato
da Max Heinze in occasione dellavvicendamento al rettorato
allUniversit di Lipsia il 31 ottobre 1883 costituisce un buon
riferimento per considerare in maniera pi concreta il significa10 Sulla problematizzazione della verit in GM III 24 e 27 si veda anche il contributo
di Pietro Gori al presente volume.

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to della volont di verit per lautocomprensione della scienza


da parte dei contemporanei di Nietzsche. Il testo in questione
si trova nella biblioteca privata di Nietzsche ed sicuramente
un dono da parte dellautore. Se Nietzsche abbia letto il testo
non cos rilevante, poich in questo contesto esso svolge piuttosto una funzione esemplare. Nietzsche aveva conosciuto Max
Heinze nel 1861, a Schulpforta, quando egli divenne suo tutore
in seguito alla prematura scomparsa di Robert Buddensieg. Nel
1874 furono colleghi per un anno a Basilea, al qual proposito
Nietzsche alla sua partenza si espresse in maniera non troppo lusinghiera: Che quel povero sciocco di Heinze sia uscito di scena
sono proprio contento, alla lunga era una cosa insopportabile.
E in generale tutta la congrega dei professori tedeschi. Heinze
per un esemplare eccezionalmente limitato di questa razza gi
di per s non molto affascinante e piuttosto povera di contenuti (lettera a E. Nietzsche, 19.04.1875). Dopodich mantennero
per il resto della vita rapporti formalmente educati. Nietzsche
fece sempre pervenire a Heinze copie gratuite dei suoi libri e
infine Heinze, in quanto tutore di Nietzsche, tenne un discorso
di fronte alla sua tomba. Nonostante i suoi commenti sprezzanti
sulla banda professorale tedesca, Nietzsche nel 1883 sond comunque la possibilit di una cattedra di filosofia a Lipsia. Da
Heinze ricevette ben presto una valutazione informale ma chiara:
Heinze, attualmente rettore dellUniversit, mi ha detto a chiare lettere che a Lipsia la mia domanda non verr accolta (e sicuramente in nessuna delle Universit tedesche); e che la facolt non
ardir proporre il mio nome al Ministero a motivo della mia
posizione nei riguardi del Cristianesimo e delle mie idee su Dio.
Bravo! Questo modo di vedere le cose mi ha fatto ritrovare il mio
coraggio (A H. Kselitz, 26.08.1883). Evidentemente questo atteggiamento rafforz Nietzsche nella convinzione della validit e
dellimportanza della sua critica. Heinze stesso nel suo discorso
per il rettorato espresse delle considerazioni sul rapporto tra religione, verit e scienza, del tipo che egli nella lettera attribuisce
alla facolt e al ministero.
Dando il via al suo discorso programmatico sulla questione

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di un valore morale delle scienze, Heinze fornisce brevemente


alcune risposte classiche. Per Kant solo il retto volere pu essere
considerato pienamente buono, Rousseau nega esplicitamente
la questione e anche la dottrina patologica del pessimismo e
parte dalla considerazione che la conoscenza e la felicit non
aumentano in proporzioni uguali (Heinze 1883: 19). Giacch
la scienza ha creato una variet di mezzi che facilitano la vita e
alleviano i mali degli uomini doggi, c al giorno doggi per il
singolo la possibilit di acquisire un relativo benessere, che in
media maggiore rispetto al passato. Utilizzando unimplicita equazione tra benessere e felicit, Heinze conclude cos che
in generale non si pu pensare a una riduzione della felicit del
genere umano (Heinze 1883, 20) e sottolinea, in linea con la
concezione comune del suo tempo, i vantaggi pratici della scienza e della tecnologia. In ogni caso nella storia della filosofia sono
state prevalenti le correnti che hanno posto in stretta connessione la conoscenza e la felicit, a partire dalla tesi socratica virt
conoscenza (Heinze 1883: 21), fino alla Wissenschaftslehre di
Fichte (Heinze 1883: 25). La morale non per un privilegio
delle scienze, poich ognuno dovrebbe nella sua professione
riconoscere la volont di Dio, compiere il proprio dovere e avvicinarsi allidea morale (Heinze 1883: 26). Tuttavia, Heinze fa
notare che, partendo dal sublime soddisfacimento dellaspirazione umana a conoscere nelle scienze, si pu capire perch Platone
e Aristotele riconobbero in ci la perfezione pi alta delluomo.
Del resto ancora oggi evidente una posizione speciale delle
scienze perch da essa dipende lo sviluppo della conoscenza
e in seguito a questa anche laumento del benessere e della moralit del genere umano (Heinze 1883: 26). In quanto istituzioni culturali, Heinze attribuisce alle scienze una straordinaria
importanza per un maggiore sviluppo e una maggiore elevazione
tecnologica e morale della societ. In questo modo egli sembra
sostenere lidea che le scienze posseggano una forma di autocoscienza, e potrebbe senzaltro appartenere a coloro che dicono
che il contro-ideale cercato da Nietzsche non manca affatto.
Relativamente alla sua determinazione del rapporto interno tra

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scienza e morale, si rivela per anche in Heinze il legame con


gli ideali ascetici. La virt principale del cristiano e delluomo
lumilt, una virt che gli scienziati potrebbero e dovrebbero apprendere in modo particolare (Heinze 1883: 27). Nello
splendido concetto di ideale ascetico non si esprime soltanto
un atteggiamento umile dello scienziato nei confronti delle sue
prestazioni individuali, ma anche verso le possibilit della stessa
della scienza: Lidea di scienza come visione completa dellordine legittimo e sistematico della totalit delle cose non viene mai
raggiunta, alluomo posto con essa un compito senza fine, e solo
riguardo ad essa lanelito verso un sempre ulteriore miglioramento pu essere continuamente tenuto vivo, ma allo stesso tempo
rimane vigile la consapevolezza delle barriere che da sempre si
sono interposte alluomo come allumanit. Quindi lidea del meraviglioso risultato raggiunto dalluomo non pu nascere, o almeno non pu mantenersi continuamente (Heinze 1883: 27).
Heinze esprime cos un atteggiamento che si lega alla consapevolezza generale nel passaggio dalla comprensione classica
della scienza a quella moderna, e che Gregor Schiemann (1997),
aveva caratterizzato come perdita di certezza nella verit
(Wahrheitsgewissheitsverlust). La sua caratteristica principale
la visione limitata e il carattere essenzialmente fallibile di tutte
le conoscenze scientifiche. Lideale della ricerca della verit
dunque una idea regolativa alla quale noi possiamo al massimo
avvicinarci11. Nella formulazione di Heinze questo atteggiamento
umile mostra allo stesso tempo le caratteristiche dellideale ascetico: sebbene, o proprio perch, lidea della scienza non possa mai
essere realizzata, la ricerca scientifica della verit da mezzo concreto diviene compito infinito, e la tensione perennemente tenuta
desta diviene fine a se stessa. Anche la forma che questa tensione
assume ha il carattere del lavoro ascetico, giacch il ricercatore
scientifico deve mantenere una doppia libert: in primo luogo si
11 Questo cambiamento dellimmagine della scienza come ipotetico-deduttiva invece
della tradizionale concezione assiomatico-deduttiva nella seconda met del XIX secolo
viene descritta con particolare chiarezza da Alwin Diemer (1968).

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liberer da se stesso, egli cerca, senza alcun vantaggio esterno


in mente, la verit, ed impara a porre in secondo piano i propri stessi interessi e a porsi al servizio di un potere superiore pi
generale (Heinze 1883: 28). In secondo luogo si emanciper da
autorit e pregiudizi sociali. Nonostante lobbiettivo della verit
non venga positivamente e definitivamente raggiunto attraverso
questa presa di distanza, ci non di meno si intravede una conseguenza pratica: Se i discepoli della scienza subordinano se stessi
e tutto il resto allidea della scienza, allora presso questi anche in
campo morale la legge prevarr facilmente sullarbitrio personale,
e la regola universale su quella individuale (Heinze 1883: 28). Al
termine di queste argomentazioni Heinze giunge a parlare anche
di Martin Lutero come modello di questa tensione verso la verit,
e chiede infine la benedizione di Dio per i lavori del nuovo anno
accademico, ma questo si pu tralasciare. fondamentale invece che Heinze intenda la scienza come una ricerca disciplinata
della verit e allo stesso tempo sia convinto che, per quanto ci
sforziamo per questo ideale, alla fine non riusciremo mai a raggiungerlo. Allo stesso tempo, la continua ricerca della verit viene
giustificata dai suoi effetti collaterali, in particolare attraverso
leducazione a una morale dellimpegno consapevole del proprio
dovere e attraverso le crescenti possibilit tecnologiche, che derivano dal continuo aumento di conoscenze specialistiche. Il lavoro
del progresso scientifico infinito, sia che la ricerca sia fine a se
stessa (ovvero senza un proprio ideale), sia che sia al servizio di
altri interessi, generalmente economici. La stretta connessione
tra scienza e ideali ascetici con i tratti fondamentali di unetica
del lavoro capitalistico-protestante stata sottolineata da Babette
Babich: Il modello sociale di regolamentazione e impersonalit che caratterizza il nostro mondo del lavoro e dellimpresa il
criterio esplicito non solo del capitalismo, ma anche dellefficienza scientifica (Babich 1994: 193). La scienza , tanto nella sua
pratica quanto nella sua teoria, una forma di ascesi intramondana, in quanto si adatta alle modalit produttive del capitalismo,
insieme al quale essa inaugura il suo trionfo mondiale nel XIX
secolo. Questi sforzi inesausti e ricchi di sacrifici per un costante

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incremento di efficienza in campo scientifico aumentano attraverso la volont di verit, il cui valore stesso come idea puramente
regolativa non viene messo in questione . Qui Nietzsche riconosce nellulteriore avanzamento dello scetticismo illuminato unirrinunciabile premessa per superare gli ideali ascetici.

5. Il valore della verit in una gaia scienza


Il passo pi importante verso il superamento degli ideali ascetici e verso la realizzazione di veri spiriti liberi e di una vera gaia
scienza viene riconosciuto da Nietzsche nel raggiungimento di
una svalutazione (Wertabschtzung) della verit. Nonostante
Nietzsche lasci quantomeno aperto il risultato di una simile svalutazione, non pochi vedono nella mera messa in discussione del
valore della verit un procedimento problematico, se non incoerente o autocontraddittorio12. Questa critica stata presentata in
maniera particolarmente decisa da Charles Larmore in relazione
alla conclusione della Genealogia. Nietzsche avrebbe sollevato
una serie di questioni molto buone, ma la sua trattazione sarebbe in ultima analisi superficiale (Larmore 2004: 168). Larmore
riassume una di queste questioni come segue: Perch la verit
dovrebbe essere cos importante, apparire cos imprescindibile
da renderci difficile immaginare una vita in cui non ci possiamo orientare secondo opinioni che teniamo per vere? (Larmore
2004: 167). Gi il modo in cui qui viene tradotta lesigenza di
Nietzsche di una svalutazione della verit, rimanda a una serie di
problemi che si situano tra le tesi di Nietzsche e la critica di Larmore: la questione del valore viene identificata con la questione
dellimportanza ovvero dellapparente necessariet, la verit viene identificata con la qualit delle opinioni; il problema della verit appare come il problema psicologico di orientamento verso
ci che crediamo essere vero, e listanza chiarificatrice dovrebbe
indicare quale vita possiamo immaginare. Come si vedr, que12

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Cfr. Heit 2009.

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sti cambiamenti e traduzioni non sono in ultima analisi adatti a


comprendere e criticare adeguatamente il legame che Nietzsche
pone tra volont di verit e ideale ascetico.
Il nucleo dellideale ascetico (conformemente allinterpretazione esposta anche qui) consiste per Larmore nellavere un
obbiettivo mai completamente raggiungibile, verso il quale la
coscienza deve costantemente tendere e sacrificarsi (Larmore
2004: 166). A mio avviso, Larmore non contesta il fatto che la
verit possa essere intesa come un valore irraggiungibile al quale tuttavia si deve tendere, anche se egli intende chiaramente la
verit come qualcosa di cui possiamo disporre positivamente. Il
motivo per cui egli reputa fuorviante la connessione degli ideali ascetici con la volont di verit altro e pi profondo: il valore di verit non si configura come atto arbitrario delluomo,
ma piuttosto come un obbligo, che noi possiamo evitare solo a
patto di non pensare pi razionalmente: Il legame con la verit non cos estraneo al pensiero, come Nietzsche ipotizza qui.
Al contrario, il pensiero in definitiva incomprensibile se non
lo si pensa come indirizzato verso la verit. Si pu addirittura
dire che questo rapporto necessario tra pensiero e verit abbia
il carattere di un obbligo. Giacch come si potrebbe in genere
pensare, senza sentirsi obbligati ad osservare almeno in una certa
misura ci che si ritiene gi vero? (Larmore 2004: 169). In questa domanda vaga e retoricamente formulata gi si preannuncia
la linea centrale di ragionamento che Larmore sviluppa nel corso
del testo. A questo proposito lesatto significato del sentimento
dellobbligo viene trattato purtroppo con altrettanta poca precisione cos come la limitazione relativizzante secondo la quale si
dovrebbe tener conto almeno in certa misura del proprio modo
di ritenere vero qualcosa. Larmore analizza piuttosto il carattere specifico dellobbligo alla verit, e questo dimostra che egli
implicitamente intende lideale ascetico solo come convenzione
arbitraria infatti lintegrazione diventa perspicua solo attraverso la direzione della sua critica. Sebbene la verit sia un valore,
non si tratterebbe di un valore convenzionale o facoltativo. A
differenza di altri obblighi, la costrizione del pensare alla verit

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non soggetta allarbitrio umano, ma sarebbe piuttosto condizione necessaria del pensiero stesso. Perci, per Larmore un pensiero senza valutazione della verit non solo incomprensibile,
ma neanche realizzabile per noi: Senza la verit quale punto di
riferimento essenziale il pensiero semplicemente impossibile
(Larmore 2004: 171). Tuttavia, quando Nietzsche mette apparentemente in discussione questa impossibilit, non sembra essere quel filosofo particolarmente acuto (tiefblickender) che punta
criticamente il dito contro un residuo dideale (GM III 27).
Piuttosto che essere una lacuna di ogni filosofia, agli occhi di
Larmore lobiezione che finora non esisterebbe alcuna coscienza di quanto la stessa volont di verit abbia prima bisogno di
una giustificazione (GM III 24) discredita lo stesso pensiero di
Nietzsche: Ci che Nietzsche non ravvisa che alcuni obblighi,
il riconoscimento di certi valori come appunto della verit, sono
cos profondamente ancorati nel pensiero, che costituiscono le
condizioni della sua possibilit. Tali valori non sono creati dal
pensiero. Al contrario, solo sotto la loro guida il pensiero si pu
orientare. (Larmore 2004: 172). Data limportanza fondamentale di questa obiezione per la comprensione della filosofia di
Nietzsche e della volont di verit, vale la pena di soffermarsi un
momento su questa citazione. Sar anche da chiarire che cosa
si possa intendere con il discorso di certi obblighi e certi valori,
nonch del profondo ancoraggio di tali obblighi nel pensiero.
Innanzitutto, bisogna domandarsi da dove provengano questi
obblighi, dal momento che essi contrariamente a quanto sostenuto da Kant non vengono creati dal pensiero. Con la sua
metafora dellancoraggio Larmore vuole probabilmente dire che
dobbiamo considerarci sottomessi a questi obblighi di pensiero per poter pensare in modo coerente (Larmore 2004: 171).
La tensione verso la verit viene cos riportata in modo astorico e aprioristico alla sua funzione necessaria di pensiero per il
pensiero (coerente) stesso13. Al contrario, Nietzsche segue nel13 A riguardo Larmore afferma occasionalmente che senza lorientamento alla verit il pensiero complessivamente in definitiva incomprensibile (169) o addirittura

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la sua genealogia della volont di verit il paradigma scientifico


del proprio tempo, che prevede di dedurre le forme categoriali
della conoscenza umana del mondo e le condizioni del nostro
uso della ragione dal processo naturale, storico e culturale della storia umana. In questa naturalizzazione e storicizzazione di
Kant Nietzsche segue Lange ed altri. Cos, le forme del pensiero umano non diventano un mero gioco facoltativo dellarbitrio
individuale, e non viene neppure smentita la loro funzionalit
generale, cos come da una derivazione storico-naturale della visione delluomo non deriva che lindividuo potrebbe cambiare
arbitrariamente il proprio spettro ottico, oppure che locchio
umano sia sostanzialmente inutile. Larmore resta debitore di un
certo tipo di risposta sulla provenienza delle leggi del pensiero.
La tesi che il pensiero possa trovare la propria strada solo sulla
base di un orientamento alla verit non contraddice lidea per cui
il valore della verit sarebbe creato dal pensiero. Funzione e origine sono due cose differenti dal punto di vista teorico-evolutivo.
Attraverso questa falsa disgiunzione Larmore d limpressione
che si potrebbe eliminare la questione dellorigine di determinati
obblighi semplicemente rimandando alla loro indispensabilit.
Ancor pi importante delle questioni citate sopra la domanda se lorientamento alla verit non sia di per s un obbligo di
pensiero non modificabile e assoluto la cui violazione porta inevitabilmente a incoerenze. Parlando di incoerenza, Larmore non
caratterizza, a differenza di altri critici, alcuna contraddizione
logica, pragmatico-linguistica o performativa, bens un conflitto
psicologico: Non ci si pu ingannare con piena coscienza del
fatto che si sia computo un atto di autoinganno (Larmore 2004:
170). Questa dichiarazione non immediatamente comprensibile. Innumerevoli illusioni ottiche dimostrano che possibile
vedere o addirittura dover vedere linee tremolanti o cerchi rotanti, senza la necessit di cogliere in modo pienamente consaimpossibile (171), senza di esso non si potrebbe pensare coerentemente (171), il
pensiero non pu trovare la sua strada (172). Probabilmente egli non vede differenze
rilevanti tra queste modalit espressive.

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pevole che si tratta di un autoinganno. Possiamo anche essere


consapevoli di un inganno, senza che questo inganno scompaia o
perda ogni significato. Possiamo infine essere pi o meno sicuri
del fatto che si tratti di un inganno o meno. Ci dovuto al fatto
che tra la certezza della verit e la certezza assoluta dellinganno
c una molteplicit di gradazioni e sfumature. Si pu dimostrare che con laiuto di una comprensione della verit non binaria
anche lautoinganno consapevole pu venire pensato coerentemente. Mentre noi crediamo pi o meno, ma non abbiamo nessuna certezza assoluta, che esista la materia nera, che le aziende
private abbiano a cuore solo i loro profitti, oppure che una certa
persona sia il partner per la vita, possiamo anche tenere aperta la
possibilit di essere caduti in un inganno. Possiamo anche essere
sicuri che si tratti di un punto di vista semplicistico o esagerato, e
in senso stretto sbagliato, che noi tuttavia utilizziamo e consideriamo appropriato. Allo stesso modo, nella realt di tutti i giorni
cos come nella pratica scientifica, operiamo per idealizzazioni,
tipizzazioni, approssimazioni e semplificazioni, la cui sostanziale
falsit pu apparire chiara. Anche in ambito della costruzione di
teorie scientifiche il confine tra verit e inganno non cos perentorio, come Larmore crede quando afferma che proprio come
non ci si pu ingannare senza credere che lillusione sia vera, cos
gli scienziati non possono fare propria alcuna ipotesi senza avanzare la pretesa che questa interpretazione sia corretta (Larmore 2004: 175). Questa opinione dimostra che la concezione
della natura ipotetica e provvisoria della conoscenza scientifica,
che alla fine dellOttocento si caratterizza come opinione prevalente degli storici della scienza e dei filosofi , non ha ancora
trovato un consenso generale. A questo proposito, secondo il
giudizio esemplare di Max Heinze, lautocomprensione di uno
scienziato illuminato consiste proprio nel fatto di non essere pi
convinto della verit assoluta e inconfutabile della propria interpretazione. Un tale atteggiamento addirittura si opporrebbe,
con il suo dogmatismo, allobbiettivo del progresso scientifico.
Latteggiamento epistemico con il quale si adotta unipotesi non
infatti pi quello della certezza, ma della migliore credibilit

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a disposizione. Solo attraverso la perdita di certezza nella verit


si apre lo spazio per pensare a una valutazione della volont di
verit e di conseguenza anche a una scienza gaia.
Considerando le prove raccolte finora per una gaia scienza,
alcuni momenti tipologici diventano riconoscibili in modo sia
positivo che negativo. Come i filosofi gioiosi e pronti alla rinuncia, cos anche la gaia scienza non rinuncer agli strumenti
dellascesi, della concentrazione e del distacco. La volont di verit sublimata dal punto di vista storico-culturale permane come
ideale di onest intellettuale. Questa onest invita tuttavia a uno
scetticismo che si radicalizza contro le condizioni classiche della ricerca scientifica della verit. In contrasto con il modello di
Sisifo della contemporanea ricerca ascetica della verit, la gaia
scienza sa che deve esaminare da s i propri valori e i propri
obbiettivi. La caratteristica pi importante di questo nuovo
atteggiamento scientifico quindi un grado di consapevolezza
superiore. Allo stesso tempo essa scienza nel senso che rispetta la somma dei piccoli fatti, sa disporli vantaggiosamente
in una gerarchia ed integrarli in una visione del mondo. Questa
visione del mondo, invece, non gi fissata del tutto, bens offre
alluomo un ricco spazio di possibilit e di forme e in ci la
gaia scienza trova la propria gioiosa serenit. Se e come una tale
alternativa sia possibile nella pratica, pu essere dimostrato solo
sperimentalmente.
Traduzione dal tedesco di A. Giacomelli

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Porre in questione il valore della verit


Riflessioni sul compito della tarda filosofia
di Nietzsche a partire da GM III 24-27
Pietro Gori
I paragrafi conclusivi della terza dissertazione della Genealogia
della morale hanno una funzione rilevante nelleconomia dellintera opera. Essi di fatto fungono da chiusura non solo della sezione, ma di tutto il libro, e possono essere letti come vero e proprio
snodo del pensiero maturo di Nietzsche. Nelle ultime pagine
della Genealogia, infatti, Nietzsche tira le fila di una riflessione
svolta in particolare dopo la pubblicazione dello Zarathustra e
legata per molti aspetti alla revisione delle sue opere giovanili in
vista della loro seconda edizione (La nascita della tragedia, i due
volumi di Umano, troppo umano, Aurora e la Gaia scienza). Questa riflessione viene poi indirizzata da Nietzsche verso il progetto
editoriale e filosofico che sfocer nel trittico di testi composti nel
1888 (Anticristo, Crepuscolo degli idoli e Ecce homo). Il nucleo
concettuale attorno al quale tutto questo ruota in particolare
la questione della verit, o meglio della volont di verit, che
Nietzsche individua come fondamento della cultura europea e
della sua morale a suo avviso responsabile principale del fatto
che una in s possibile suprema istanza e magnificenza del tipo
uomo non mai stata raggiunta (GM, Prefazione 6) , alla cui
disamina e critica la Genealogia complessivamente dedicata.
Il presente contributo si concentrer sullidea che il contenuto dei paragrafi conclusivi della Genealogia rappresenti il centro
di una rete di concetti che costituisce lintelaiatura della tarda
filosofia di Nietzsche. Se letta nel contesto della sua produzione
nel periodo 1886-18881, la problematizzazione della verit an1 Per una contestualizzazione della Genealogia negli scritti maturi di Nietzsche cfr.
Stegmaier 1994: cap. 3.

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nunciata in particolare in GM III 24 e 27 dimostra la propria


rilevanza e centralit, in quanto passaggio fondamentale per portare a maturazione le istanze critiche del pensiero di Nietzsche
e permettere la realizzazione della filosofia dellavvenire di cui
Al di l del bene e del male doveva costituire il preludio.

1. Ideale ascetico e volont di verit


La questione della verit emerge al termine della disamina che
Nietzsche compie dellideale ascetico. Dopo essersi occupato
delle sue manifestazioni religiose e artistiche, Nietzsche chiama
in causa il terzo elemento che, con arte e religione, completa lorizzonte culturale Europeo: la scienza moderna. In quanto filosofia della realt [che] crede soltanto a se stessa, possiede il
coraggio di s, la volont di s e sino a oggi s cavata dimpaccio
abbastanza bene senza Dio, trascendenza e virt negatrici, la
scienza si presenta come il contrapposto dellideale ascetico,
e di essa si comunemente portati a pensare che gi in tutto
quanto pi importante si [sia] imposta su questultimo (GM
III 23). Ma questa una visione falsata, secondo Nietzsche, in
quanto la scienza moderna non solo non costituisce lantitesi di
quellideale ascetico, ma [ne ] piuttosto la sua stessa forma pi
recente e pi nobile (ibid.)2. Scienza e ideale ascetico non sono
infatti che manifestazioni di un principio fondamentale, che
Nietzsche individua quale radice della cultura europea nel suo
complesso e al quale d il nome di volont di verit. In GM
III 25 leggiamo infatti che scienza e ideale ascetico riposano invero sullo stesso suolo (): sullidentica sopravvalutazione della
verit (pi esattamente: sullidentica fede nella insuscettibilit di
valutazione e critica da parte della verit).
Secondo quanto Nietzsche aveva gi sostenuto in FW 344 (appartenente al quinto libro della Gaia scienza e quindi coevo alla
2 Sul rapporto tra scienza e ideale ascetico si veda anche il contributo di Helmut
Heit in questo volume.

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Genealogia), non esiste una scienza scevra di presupposti,


e anche la scienza riposa su una fede nel momento in cui non
abbandona la convinzione che niente pi necessario della verit, e che in rapporto a essa tutto il resto ha soltanto un valore
di secondo piano. Nella Genealogia, Nietzsche recupera lidea
che la scienza e in generale la nostra conoscenza riposi su di
una fede metafisica3 e, attraverso una citazione dello stesso FW
344, fa emergere la questione relativa alla volont di verit.
proprio su questultima, infatti, sulla fede in un valore metafisico, in un valore in s della verit, che la scienza fonda le proprie
basi, cos come qualsiasi altra forma di descrizione e interpretazione del mondo (GM III 24). Il principio esattamente quello
posto dallideale ascetico, lidentificazione della verit col divino,
lidea che essa sia per noi listanza suprema, incondizionata e incontestabile. Un aspetto, questo, che secondo Nietzsche nessuna
filosofia ha finora mai saputo e voluto affrontare, dal momento
che proprio lideale ascetico stato fino a oggi padrone di ogni
filosofia, e quindi non vi erano i presupposti perch si guardasse
criticamente alla verit, non era in alcun modo lecito alla verit
essere problema (ibid.).
Questa lacuna propria delle filosofie passate costituisce il
terreno sul quale Nietzsche intende costruire il suo pensiero maturo. In quanto aspetto che, nellepoca dominata dalla metafisica
platonica e cristiana, non poteva essere messo in alcun modo in
discussione, la fede nella verit il principale elemento destinato
a crollare nel momento in cui si affermi la morte di Dio. Nella
parte di FW 344 citata in GM III 24, infatti, Nietzsche invita a
riflettere sulle conseguenze di tale evento, su cosa rimanga della
3 La posizione di Nietzsche rispetto al sapere scientifico va contestualizzata per essere adeguatamente compresa. Molto sinteticamente si pu dire che, contrariamente a
quanto si pensa, il suo atteggiamento non in principio avverso alla scienza in generale.
Quello che egli critica infatti in particolare lorientamento meccanicistico delle scienze
naturali della propria epoca, che nasconde una metafisica sostanzialistica non diversa da
quella individuabile in ambito religioso. Come si dir tra breve, questa critica in particolare in linea con quanto sostenuto in ambito scientifico da alcuni autori contemporanei a
Nietzsche, tra i quali risalta in particolare Ernst Mach, di cui si certi che Nietzsche abbia
conosciuto lopera per lo meno dopo il 1886. Cfr. su questo, tra gli altri, Gori 2009 e 2014.

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verit, prima identificata con Dio, nel momento in cui questultimo si rivela come la nostra pi lunga menzogna4. E continua
affermando che
a partire dallistante in cui la fede nel Dio dellideale ascetico negata, esiste anche un nuovo problema: quello del valore della verit. La
volont di verit ha bisogno di una critica con ci determiniamo il
nostro proprio compito , in via sperimentale deve porsi una volta in
questione il valore della verit (GM III 24)

Per comprendere adeguatamente la connessione tra critica della verit e morte di Dio occorre fermarsi un momento a riflettere
su questultimo concetto, che pu essere inteso nel senso forse
meno poetico ma altrettanto efficace come un disincanto post-positivistico nei confronti della descrizione del mondo. Non bisogna
infatti dimenticare che Nietzsche vive nellepoca in cui la scienza
si affranca dai principi del meccanicismo newtoniano e prende la
strada che porter, tra gli altri, al convenzionalismo di Poincar
e al relativismo di Einstein. Come stato oramai ampiamente dimostrato dagli studi sulle fonti del suo pensiero, Nietzsche si interessa al dibattito in corso e, stimolato prima di tutto dalla Storia
del materialismo di Friedrich Lange, legge testi scientifici di varia
natura, dalla chimica alla biologia, dalla teoria della conoscenza
allastronomia (cfr. Heit/Heller 2014). In particolare, seppur indirettamente, Nietzsche condivide le posizioni antimetafisiche di
Ernst Mach, che grande parte ebbe ad esempio nello svolgimento
della psicologia scientifica e che contribu a mettere in questione
le potenzialit esplicative della scienza, influendo profondamente
sulle prospettive della filosofia scientifica del primo Novecento5.
Sulla base dei numerosi spunti che Nietzsche raccoglie da quel
dibattito, egli arriva a formulare unepistemologia prospettivistica
4 Werner Stegmaier (1994: 49 ss.) mostra bene come in FW 344 la messa in questione della verit conseguente alla caduta di Dio, suo garante supremo, si estenda al
piano della morale. In generale, Stegmaier osserva che negli aforismi di apertura di FW
V Nietzsche espone alcune delle tematiche principali sulle quali si concentrer in GM e
che seguono dallevento europeo della morte di Dio (cfr. in particolare FW 343).
5 Per un confronto tra le posizioni di Nietzsche e Mach in epistemologia e psicologia
si vedano Hussain 2004 e Gori 2015, 2012 e 2009.

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che insiste prima di tutto sul carattere relativo e funzionale o


addirittura pragmatico della verit, e quindi contesta che a essa
venga attribuito un valore assoluto. In altre parole, Nietzsche respinge il pregiudizio morale per cui la verit abbia maggior
valore dellapparenza (JGB 34).
Allepistemologia di Nietzsche dedicato il paragrafo successivo del presente contributo, che permetter di rendere conto
di quale fosse il percorso di riflessione che Nietzsche aveva alle
spalle nel momento in cui in GM III 24 egli annuncia di aver individuato nella volont di verit un luogo cruciale per il pensiero
occidentale riprendendo quanto affermato in apertura di Al di
l del bene e del male, quando scrive che il problema del valore
della verit ci si fatto innanzi. () E si potrebbe mai credere
allimpressione, nata, in definitiva, in noi, che il problema non sia
stato finora mai posto che siamo stati noi per primi ad averlo
intravisto, preso di mira, osato? (JGB 1)6. Prima di passare a
questo, per opportuno un chiarimento sul rapporto tra epistemologia e assiologia in Nietzsche.
Nel sottolineare la centralit della riflessione epistemologica di Nietzsche per la sua filosofia matura, non si vuole negare
limportanza che per lui ha sempre avuto la questione morale.
La stessa lettura della morte di Dio come posizione conseguente
alla messa in questione del potere esplicativo della conoscenza
(umana in generale e scientifica in particolare) non vuole certo
circoscrivere quel concetto entro la sola sfera teoretica. nostra
intenzione, piuttosto, mettere in luce come Nietzsche trovi nelle
questioni epistemologiche un fondamento solido per la propria
critica della morale europea, e sviluppi quindi sul piano teoretico
gli strumenti critici che gli serviranno per operare un contromovimento in grado di annullare gli effetti che quella morale
6 Si pu ricordare, qui, che nelle intenzioni di Nietzsche la Genealogia doveva fungere da integrazione e chiarimento di Al di l del bene e del male (Lettera a C. G.
Naumann, 8.11.1887). Questo spiega il motivo per cui in essa ritornino temi presenti in
JGB, che vede tra i propri contenuti principali la questione del carattere prospettico della
vita e della verit. Ciononostante, resta quantomeno singolare che la Genealogia di fatto
si chiuda con il medesimo annuncio che apre Al di l del bene e del male.

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ha avuto sulluomo (cfr. NF 1887-88, 11[411] e JGB 203). Porre


in questione il valore della verit significa quindi per Nietzsche
andare alla radice della morale, in quanto nella volont di verit
egli individua il fondamento stesso della metafisica occidentale,
il principio logico puro che si trova alla base di qualsiasi attribuzione di valore. Questo comunque comprensibile dal modo
in cui Nietzsche introduce la questione nella Genealogia, che occupa un posto privilegiato, di particolare risalto, comparendo in
chiusura dellopera. Il problema del valore della verit emerge
infatti nel contesto generale di una critica genealogica della morale e in quello particolare di una riflessione sullideale ascetico,
e a esso si arriva solo al termine di una disamina delle varie forme
in cui questultimo si storicamente presentato. Solo dopo aver
preso in considerazione e rigettato religione, arte e scienza come
manifestazioni dellideale ascetico si raggiunge infatti il nucleo
pi profondo e inesplorato di questo ideale (il suo nocciolo
(Kern), GM III 27), e si varca la soglia di quellantro labirintico
nel quale neppure gli spiriti europei, cristiani che vogliono dirsi liberi hanno il coraggio di smarrirsi (GM III 24).

2. Lepistemologia di Nietzsche
Lepistemologia di Nietzsche si fonda prevalentemente sullidea che luomo svolga un ruolo attivo nel processo conoscitivo.
Attraverso i suoi organi di senso e il suo intelletto questi arriva infatti a creare qualcosa, anzich semplicemente replicare uno stato
di cose7. La nostra conoscenza del mondo non rispetta quindi per
Nietzsche i principi della adaequatio rei (cfr. Mller-Lauter 1999:
61), o, per usare una terminologia contemporanea, essa non si conforma alla teoria della corrispondenza che, secondo William Ja7 La teoria della conoscenza di Nietzsche stata ampiamente studiata. Si veda ad
esempio Grimm 1977 e Clark 1990. La posizione di Nietzsche fu notevolmente influenzata dagli studi di fisiologia della percezione svolti nel corso dellOttocento, e che egli
conobbe a partire dalla lettura della Storia del materialismo di Lange (cfr. Gori 2009: cap.
1, 3.4 e Stack 1983: cap. 5).

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mes, caratterizza il senso comune e in base alla quale unidea vera


deve copiare la sua realt, restituendola quindi per come essa
(James 1907/2011: 93). Al contrario, Nietzsche pensa che non sia
per noi fisiologicamente possibile un rapporto oggettivo e incondizionato con il reale, e ritiene pertanto che non si possa dare alcuna
conoscenza in s (cfr. NF 1881, 15[9]). Seguendo la terminologia tradizionale che Nietzsche cerca di superare modificando il
significato dei termini in uso, ma senza con questo abbandonarli
, la nostra conoscenza del mondo pu essere quindi definita solo
come una descrizione erronea e falsificatrice della realt8.
Tutti questi elementi sono ben evidenti in quanto Nietzsche
scrive in JGB 34, in cui, come anticipato, egli mette in discussione la plausibilit della tradizionale attribuzione di valore alla
verit. Posto che lerroneit del mondo, in cui crediamo di vivere, [sia] laspetto pi sicuro e pi saldo di cui possono ancora
impadronirsi i nostri occhi, e che quindi lambito della nostra
conoscenza del mondo sia esclusivamente quel mondo apparente che la metafisica tradizionale circoscrive a partire da una
contrapposizione con il mondo vero delle forme immutabili
e assolute9, Nietzsche osserva limpossibilit di uscire da quella
dimensione, e commenta:
Che la verit abbia maggior valore dellapparenza, non pi che un
pregiudizio morale; persino lammissione peggio dimostrata che ci sia
al mondo. Si voglia dunque confessare a se stessi quanto segue: che non
ci sarebbe assolutamente vita, se non sulla base di valutazioni e illusioni
prospettiche; e se si volesse () togliere completamente di mezzo il
mondo apparente, ebbene, posto che voi possiate far questo, anche della vostra verit, almeno in questo caso, non rimarrebbe pi
nulla! S, che cosa ci costringe soprattutto ad ammettere che esista una
sostanziale antitesi di vero e falso? Non basta forse riconoscere
8

Per una recente discussione del falsificazionismo di Nietzsche, cfr. Riccardi 2011.
Del rapporto tra mondo vero e mondo apparente Nietzsche parla in particolare in GD, La Ragione nella filosofia e Come il mondo vero fin per diventare favola. In
questultima sezione, in particolare, egli ripropone la logica di annullamento di entrambi
questi piani conoscitivi che espone in JGB 34. Cfr. su questo il commento di Gori e Piazzesi a queste sezioni del Crepuscolo degli idoli in Nietzsche 1889/2012: 160 ss.
9

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diversi gradi di illusoriet, nonch, per cos dire, ombre e tonalit complessive, pi chiare e pi oscure, dellapparenza? () Per quale ragione
mai il mondo, che in qualche maniera ci concerne, non potrebbe essere
una finzione? (JGB 34)

Linterrogativo che anima il compito esposto in GM III 24


e 27, la questione morale del perch si attribuisca alla verit un
valore superiore rispetto allapparenza, si fonda su di unepistemologia in base alla quale non possibile parlare di verit in
senso assoluto, come accesso incondizionato al piano della realt,
mentre quello che ci dato conoscere il mondo come risultato della nostra esperienza conoscitiva non altro che un insieme
di valutazioni e illusioni prospettiche. Ancora di pi, Nietzsche
ammette che proprio queste falsificazioni e interpretazioni del
mondo possiedano un reale valore per luomo, in quanto si sono
dimostrate funzionali alla conservazione della vita. La visione
evolutiva della conoscenza una caratteristica dellepistemologia di Nietzsche fin dalla sua prima, embrionale formulazione
nello scritto pubblicato postumo Su verit e menzogna in senso
extramorale (1873). In questo testo Nietzsche connette le posizioni schopenhaueriane sulla conoscenza umana come mezzo di
conservazione dellindividuo e della specie (Il mondo come volont e rappresentazione, I, 27) con la teoria di Gustav Gerber,
ricavandone la ben nota definizione dellattivit intellettiva come
produzione di metafore (WL)10. Lidea di fondo che luomo
intervenga sul mondo in maniera creativa e che la conoscenza sia
unoperazione artistica, estetica, di produzione di forme a partire
da un materiale caotico che richiede di essere ordinato per poter
essere gestito. Nellambito del suo agire comunicativo, luomo
si serve dunque di uninterpretazione della realt percepita,
unillusione di verit, che per, in ragione del suo valore fondamentale per la vita, viene scambiata con questultima11.
10 Il testo di Gerber letto da Nietzsche Die Sprache als Kunst (2 voll., 1871-1872).
Sullinflusso di Gerber sulla teoria del linguaggio del giovane Nietzsche si veda, tra gli
altri, Meijers 1988.
11 Da qui la celebre definizione secondo cui le verit sono illusioni di cui si dimenticata la natura illusoria (WL).

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La lettura della Storia del materialismo di Friedrich Lange,


che conteneva una trattazione della fisiologia della percezione
che insiste sullattivit di selezione propria degli organi di senso
rispetto agli stimoli provenienti dal mondo esterno, permise a
Nietzsche di formulare in maniera pi compiuta questa sua prima intuizione, muovendo verso la teoria della conoscenza esposta in Umano, troppo umano, dove il carattere metaforico della
descrizione linguistica del mondo lascia il posto alla sua costituiva erroneit. Presupponendo un intervento attivo degli organi
percettivi sulla realt, Nietzsche arriva a considerare ogni atto
conoscitivo come una fondamentale falsificazione del mondo, e
il mondo fenomenico come una rappresentazione del mondo
fabbricata con errori intellettuali e tramandatici in eredit:
Ci che noi ora chiamiamo il mondo il risultato di una quantit
di errori e fantasie che sono sorti a poco a poco nellevoluzione complessiva degli esseri organici, e che sono cresciuti intrecciandosi gli uni
alle altre e ci vengono ora trasmessi in eredit come tesoro accumulato
in tutto il passato come tesoro: perch il valore della nostra umanit
riposa su di esso. (MA 16)

Questa concezione evolutiva della conoscenza, che attribuisce


valore alla dimensione fenomenica in quanto essa si dimostrata
funzionale alla conservazione della specie, viene sviluppata da
Nietzsche negli anni seguenti e costituisce un elemento distintivo della sua epistemologia prospettivistica. Nel riflettere sui
caratteri della nostra esperienza del mondo, Nietzsche osserva
in particolare il fatto che non si dia alcuna conoscenza in s,
dal momento che ogni rapporto con la realt per noi mediato
dallattivit semplificatrice e organizzatrice dei nostri organi di
senso e del nostro intelletto. Per questo motivo Nietzsche osserva che lo stesso concetto di conoscenza andrebbe inteso in un
senso diverso, per rendere conto di unattivit che egli descrive
nei termini di una deduzione, che si accresce da millenni, da
tutta una serie di errori ottici necessari, posto che in generale
vogliamo vivere , errori, nel caso che tutte le leggi della prospettiva debbano essere errori in s (NF 1881, 15[9]). In questa

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nota postuma Nietzsche ribadisce il valore della falsificazione del


mondo operata dai nostri organi di senso e dal nostro intelletto di cui aveva parlato in MA 16, sottolineando il fatto che gli
errori siano necessari ai fini della conservazione della specie,
e che quindi debbano essere considerati un tesoro per il genere umano. Ma il luogo in cui la considerazione evolutiva della
conoscenza di Nietzsche delineata con maggiore chiarezza
probabilmente laforisma 110 della Gaia scienza, intitolato Origine della conoscenza. In questa sezione Nietzsche osserva prima
di tutto che alcune concezioni proprie del senso comune relative
allesistenza di entit sostanziali, del libero volere e di un bene
valido universalmente e in s non sono che erronei articoli di
fede tramandati nel corso della storia evolutiva delluomo in ragione della loro utilit per la vita. Per immensi periodi di tempo
scrive Nietzsche lintelletto non ha prodotto altro che errori: alcuni di questi si dimostrarono utili e atti alla conservazione
della specie, e sulla base di questa utilit si cominci a valutare
vero e non vero. Lincorporazione di questi primordiali errori di fondo, inoltre, intervenuta secondo Nietzsche sino al
livello sensoriale, tanto che non possibile per noi accedere a
un livello conoscitivo im-mediato. La conclusione di questo
ragionamento pertanto che la forza delle conoscenze non sta
nel loro grado di verit, bens nella loro et, nel loro essere incorporate, nel loro carattere di condizione di vita. Vale a dire, una
conoscenza valida non tanto se offre un accesso alla realt delle
cose, quanto se si dimostra vantaggiosa per il nostro orientamento nel mondo. Nietzsche ribadir questa posizione in uno dei
suoi ultimi quaderni, in cui scriver che la logica e le categorie
di ragione sono solamente dei mezzi per accomodare il mondo
a fini utilitari (per unutile falsificazione), e il criterio della
verit che i filosofi individuano in loro non altro che lutilit
biologica di un tale sistema della falsificazione per principio (NF
1888, 14[153]). Per quanto le nozioni logiche non siano quindi
di per se stesse un criterio della verit, ovvero della realt, esse
restano comunque il nostro pi efficace strumento per descrivere
il mondo, ed legittimo che a esse si continui ad attribuire un

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valore di verit, in ragione per solamente della loro utilit per la


conservazione della specie (ibid.).
Non occorre procedere ulteriormente in questa disamina per
svolgere le osservazioni che ci interessano in questa sede. Da
quanto detto gi di per s evidente che la teoria della conoscenza cui Nietzsche fa riferimento metta in discussione la tradizionale concezione della verit e imponga un cambiamento sostanziale
del significato da attribuire a tale nozione. Fondamentalmente,
secondo Nietzsche, non pi possibile pensare alla verit come
al prendere coscienza di qualcosa che sia in s fisso e determinato. Al contrario, la verit non qualcosa che esista e che
sia da trovare, da scoprire, ma qualcosa che da creare e che
d il nome a un processo (NF 1887, 9[91])12. Vero pertanto
solo il nome che si d alle forme logiche prodotte dal nostro intelletto che maggiormente promuovono la vita e che permettono
alluomo di intervenire sul mondo prima di tutto orientandosi in
esso, per poi dominarlo attraverso il calcolo e la misura. Ci che
noi chiamiamo conoscenza del mondo non quindi altro che
un intervento su di esso, un suo condizionamento, laddove non
possibile alcun tipo di rapporto non mediato e incondizionato
con la realt. Da questo segue che i termini vero e falso non
possono pi valere quali sinonimi di incondizionato e condizionato. Anzi, lintera dimensione della conoscenza rientra nel
secondo caso e la verit pu essere giudicata solamente a partire
da una valutazione relativa (e pragmatica) tra le molteplici determinazioni erronee (che, secondo il principio di corrispondenza,
sarebbero state definite false). Detto sinteticamente: La verit
non significa il contrario dellerrore, bens la posizione di taluni
errori rispetto a taluni altri (NF 1885, 34[247]).
Questa considerazione conclusiva ci riporta alla questione che
Nietzsche pone in JGB 34, in cui egli affronta il pregiudizio mo12 Questa osservazione di Nietzsche d sostanza a un possibile confronto tra la concezione nietzscheana della verit e quella di William James (cfr. Gori 2013, in particolare
p. 82). Sulla nuova nozione di verit di Nietzsche come espressione della volont di
potenza e principio dinamico antitetico alla determinazione di una cosa in s cfr.
Stegmaier 1985: 83 s.

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rale secondo cui la verit ha maggior valore dellapparenza. Il


problema del valore della verit (JGB 1 e GM III 24) consiste in
particolare nel rendere conto della nostra volont di perseguire il
vero anzich il non vero, una volont di fatto immotivata, nel
momento in cui questa stessa distinzione un prodotto dellinterpretazione metafisica tradizionale e non sussiste in s (cfr. JGB 2).
Ancora in Al di l del bene e del male, Nietzsche osserva come la
considerazione che siano stati i giudizi pi falsi, () le finzioni
logiche a promuovere e conservare la vita, e che quindi occorra
ammettere la non verit come condizione della vita, determinerebbe un progresso per la filosofia, che si porrebbe, gi soltanto
per ci, al di l del bene e del male (JGB 4). Far cadere la distinzione tra vero e falso significa in particolare attribuire valore
al mondo apparente, in quanto piano delle valutazioni e illusioni prospettiche senza le quali non ci sarebbe assolutamente
vita (JGB 34). Il progresso della filosofia passa quindi per laccettazione della tarda epistemologia di Nietzsche, nota col nome di
prospettivismo, da lui espressamente definita come lidea per cui
il mondo di cui possiamo avere coscienza solo un mondo di superfici e di segni, un mondo generalizzato, volgarizzato (); a ogni farsi della
coscienza collegata una grande fondamentale alterazione, falsificazione, riduzione alla superficialit e generalizzazione. () Non abbiamo
nessun organo per il conoscere, per la verit: noi sappiamo (o crediamo, o cimmaginiamo) precisamente tanto quanto pu essere vantaggioso sapere nellinteresse del gregge umano, della specie. (FW 354)13

Da quanto si visto si pu dire che la teoria della conoscenza che Nietzsche elabora comporti la necessit di riferirsi a una
nuova nozione di verit, la quale ammetta il condizionamento
come suo principio fondamentale. La presa di coscienza del carattere mediato della nostra conoscenza del mondo non porta
quindi Nietzsche alla negazione assoluta di qualsiasi principio
13 Sulla connessione tra il mondo apparente e lelemento prospettico inerente alla
nostra conoscenza del mondo cfr. anche NF 1886-1887, 6[23] e 1888, 14[184]. Per un
approfondimento sul prospettivismo di Nietzsche cfr. Gori/Stellino 2014, Gori 2010,
Cox 1997 e Gerhard 1989.

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veritativo (posizione che potremmo chiamare nichilismo epistemologico), ma diviene per lui lo stimolo per la creazione di nuovi criteri di valutazione, per la definizione di nuovi principi veritativi. Una volta rifiutato il carattere assoluto della verit, inoltre,
lattenzione si sposta dalloggetto non pi conoscibile nel
senso tradizionale al soggetto che impone la propria interpretazione su ci che conosce e che si deve confrontare con gli altri
soggetti che avanzano istanze in linea di principio egualmente
valide14. Lapertura di questo orizzonte rappresenta il passaggio
pi rilevante della tarda filosofia di Nietzsche, il cui prospettivismo negatore del valore in s della verit si pone in contrasto con
lintera dimensione culturale europea fondata sullideale ascetico. Il prospettivismo si contrappone in particolare alla volont di
verit che anima questo ideale e che rifiuta di attribuire valore
a quel tipo di verit che possiamo effettivamente conseguire nel
mondo in cui viviamo (Leiter 2002: 278). A partire dalle quattro
proposizioni poste in chiusura di GD, Ragione 6, Brian Leiter
(2002: 279) sostiene conclusivamente che:
La volont di una conoscenza non-prospettica della verit ascetica
o negatrice della vita perch priva di valore il mondo in cui viviamo e
che conosciamo, liquidandolo come pura apparenza; essa pone come
vere tutte le caratteristiche che contraddicono la nostra vita; e pu
persino (vedi la terza proposizione) farsi sostenitrice di una motivazione ostile alla vita. Questi rilievi [di Nietzsche] hanno di certo un
carattere speculativo e in qualche modo metaforico, ma rappresentano
almeno in parte la base delle considerazioni che portano Nietzsche a
giudicare la volont di verit come ascetica.

3. Prospettivismo e trasvalutazione: il compito di Nietzsche


Il percorso teoretico svolto da Nietzsche ha quindi come esito
finale la messa in questione del valore della verit annunciata in
14 In GM III 12 Nietzsche osserva che esiste soltanto un vedere prospettico, soltanto un conoscere prospettico, e lega lidea di oggettivit e completezza nella
creazione di nozioni e concetti allaccumulo di quante pi posizioni possibili.

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GM III 24 e laffermazione di quellinterrogativo esistenziale


oltre che epistemologico (cfr. FW 357 e GM III 27-28) conseguente alla presa di coscienza del fatto che niente pi si rivela divino salvo lerrore, la cecit, la menzogna, [e] Dio stesso
si rivela come la nostra pi lunga menzogna (FW 344 e GM
III 24). Il prospettivismo di Nietzsche permette in particolare
di abbandonare la fede metafisica che anima il pensiero occidentale, quella fede cristiana che era anche la fede di Platone
(ibid.); nel far questo, esso fa vacillare lintero sistema culturale
europeo, manifestando oltretutto il proprio ruolo nel processo di
critica della morale cristiana che Nietzsche ha messo in atto sin
da Umano, troppo umano (cfr. GM, Prefazione 2).
In GM III 27 Nietzsche riprende la questione della volont di
verit, evidenziando questa volta il suo ruolo epocale e connettendola al progetto editoriale e filosofico che portava avanti
in quegli anni (la Trasvalutazione dei valori, qui ancora annunciata sotto il titolo di Volont di potenza)15. In questo paragrafo, Nietzsche insiste in particolare sul fatto che lideale ascetico
rechi in s i germi della propria distruzione, del proprio annichilimento, in quanto la bimillenaria costrizione educativa alla
verit, che finisce per proibirsi la menzogna della fede in Dio e
conduce quindi allateismo, non che una delle ultime fasi di
sviluppo di quellideale (GM III 27). La cultura europea, che
fonda le proprie radici nellideale ascetico, quindi destinata a
collassare in ragione della propria logica interna, ed per questo che Nietzsche parla di un autosuperamento dellEuropa,
al termine del quale si assister al crollo del cristianesimo come
morale16. Ancor pi rilevante per che in ragione dellavvenu15 Per unanalisi critica del susseguirsi dei progetti editoriali di unopera intitolata
Volont di potenza, che Nietzsche elabor nei suoi quaderni a partire dal 1885, si veda
Montinari 1982: cap. 8 (Nietzsches Nachla von 1885 bis 1888 oder Textkritik und Wille
zur Macht).
16 LEuropa in Nietzsche deve essere intesa primariamente come spazio culturale e
spirituale. Carlo Gentili (2014: 121) definisce in particolare lEuropa come il continente
spirituale creato dal cristianesimo e, per questo motivo, osserva che la morte di Dio
per Nietzsche il momento conclusivo di quel sistema culturale: Posto che il Dio di cui si
proclama la morte il Dio del cristianesimo, e che il cristianesimo ha dato alla civilizza-

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ta morte di Dio e del conseguente fatto che linterrogativo relativo alla volont di verit sia finalmente stato posto, Nietzsche ritenga che si sia giunti alla soglia di questo avvenimento, e che sia
quindi possibile compiere il passo decisivo per aprire una nuova
fase di pensiero:
Avendo la veracit cristiana tratto una conclusione dopo laltra, trae
infine la sua pi drastica conclusione, la sua conclusione contro se stessa;
ma questo avviene quandessa pone la questione che cosa significa ogni
volont di verit? E a questo punto tocco ancora il mio problema
(): che senso avrebbe tutto il nostro essere, se non quello espresso dal
fatto che in noi codesta volont di verit sarebbe diventata cosciente a
se stessa come problema? Per questa progressiva autocoscienza della
volont di verit, a partire da questo momento non v alcun dubbio
va crollando la morale: un grande spettacolo in cento atti, che viene
riservato ai due prossimi secoli europei, il pi tremendo, il pi problematico e forse anche il pi ricco di speranza tra tutti gli spettacoli
(GM III 27)

In questo paragrafo, ancor pi che in GM III 24, Nietzsche


insiste sullimportanza della questione della volont di verit, che
ha per lui un vero e proprio ruolo cruciale nella storia europea,
e si fa carico di portare a compimento un processo di sviluppo
e liberazione spirituale che proprio nella critica al valore in s
della verit trova la sua arma pi devastante. Il tono del discorso
di Nietzsche, inoltre, manifesta la convinzione che si stia facendo strada una nuova consapevolezza rispetto alla cultura tradizionale, una coscienza antimetafisica conseguente alla messa in
questione degli antichi principi e che permette di predisporre lo
spazio entro cui operare quel contromovimento che prende il
nome di trasvalutazione dei valori (NF 1887-88, 11[411]).
Tutto questo riprende e in parte sviluppa quanto Nietzsche
aveva scritto nella prefazione di Al di l del bene e del male. Anche in quella sede Nietzsche tirava le fila di un obiettivo che dava
zione europea la sua forma pi propria, la morte di Dio rappresenta il compimento di
questa civilizzazione (Gentili 2014: 119). Sul concetto di Europa in Nietzsche cfr. anche
Witzler 2001.

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per raggiunto dal pensiero occidentale e, guardando oltre tale


traguardo, delineava i contorni di una filosofia dellavvenire.
Lattenzione di Nietzsche si concentra in particolare sul platonismo in Europa, a suo dire una caricatura dogmatica della
riflessione sul problema della verit. Platone, osserva Nietzsche,
ha compiuto il peggiore e il pi ostinato e pericoloso di tutti gli
errori con linvenzione del puro spirito e del bene in s,
ma ora che esso superato, ora che lEuropa, liberata da questo
incubo, riprende fiato e per lo meno pu godere un sonno pi sano,
siamo noi, il cui compito precisamente quello di vegliare, gli eredi di
tutta quella forza che stata allevata e ingrandita dalla lotta contro
questo errore. Significherebbe davvero capovolgere la verit e negare il
carattere prospettico, la condizione fondamentale di ogni vita, se si parlasse dello spirito e del bene, come ha fatto Platone. () La lotta contro
Platone o, per esprimerci in modo pi accessibile e adatto al popolo,
la lotta contro la secolare oppressione cristiano-ecclesiastica giacch
il cristianesimo un platonismo per il popolo ha creato in Europa
una splendida tensione dello spirito come ancora non si era avuta sulla
terra: con un arco teso a tal punto si pu ormai prendere a bersaglio le
mete pi lontane. () Noi, che non siamo n gesuiti, n democratici,
e neppure abbastanza tedeschi, noi buoni europei e spiriti liberi, assai
liberi noi la sentiamo ancora, tutta la pena dello spirito e la tensione
del suo arco! E forse anche la freccia, il compito, e chiss? la meta

Alla luce di quanto osservato sopra, ci che prima di tutto


emerge da questo passo la contrapposizione tra dogmatismo e
prospettivismo, e il conseguente ruolo giocato da questultimo.
La lotta contro il platonismo infatti corroborata dallaffermazione del carattere prospettico dellesistenza, che si contrappone alla volont di individuare un qualsiasi assoluto, sia esso il
vero o il bene in s. In quanto il modello metafisico di Platone si
trova alla base del cristianesimo e assieme a questultimo costituisce la radice dellEuropa, il prospettivismo di Nietzsche conferma inoltre il proprio ruolo di strumento in grado di minare
le basi di un intero sistema culturale e viene a essere il punto di
riferimento di quei buoni europei e spiriti liberi che assieme
a lui Nietzsche individua quali promotori del rinnovamento

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spirituale conseguente alla morte di Dio (di loro si parler nella


sezione successiva). Lidea che la lotta contro Platone e la
secolare oppressione cristiano-ecclesiastica sia giunta a una fase
decisiva e che tutto sia pronto per il necessario crollo del cristianesimo come morale, attribuisce infine alla questione della
volont di verit un valore significativo e destinale. In quanto
questultima costituisce il fondamento di quella morale, non
pi possibile procrastinare un compito (Aufgabe) che appartiene agli eredi di questo percorso spirituale e che in GM III 24
Nietzsche fa proprio: in via sperimentale deve porsi una volta in
questione il valore della verit.
Il tema del compito ricorrente nelle ultime opere di Nietzsche
e nel suo epistolario, e si lega in particolare al progetto della Trasvalutazione di tutti i valori17. Esso permette quindi di connettere
direttamente la Genealogia tanto alle opere precedenti quando a
quelle che seguiranno, le quali non sono che lo sviluppo finale
del piano editoriale che in GM III 27 Nietzsche annuncia come
in corso di realizzazione. Si prenda ad esempio il Crepuscolo degli
idoli, testo redatto col preciso scopo di creare lo spazio teorico
allinterno del quale fosse possibile svolgere quel progetto (che,
oltretutto, nel 1888 doveva essere stato completato almeno nella
sua prima parte. Cfr. la lettera a H. Kselitz, 27.09.1887 e Gori/
Piazzesi 2012: 9-17): nella prefazione al Crepuscolo Nietzsche defi17 In JGB 203, ad esempio, Nietzsche annuncia il nuovo compito che permetter
uno sviluppo spirituale delluomo e la creazione di nuovi filosofi (), spiriti abbastanza
forti e originali da poter promuovere opposti apprezzamenti di valore e trasvalutare, capovolgere valori eterni, contrastando in questo modo il processo di degenerazione
e immeschinimento delluomo realizzato dalla morale cristiana e dai movimenti democratici. Cfr. anche NF 1885, 35[30] e 1887-88, 11[411]. Ma nelle lettere di Nietzsche
del periodo 1887-88 che si nota meglio quanto peso egli attribuisse al progetto della Trasvalutazione dei valori, considerando non solo limpatto che avrebbe avuto sulla cultura
europea, ma anche il suo valore per la propria vita. In diverse occasioni egli parla infatti
di un destino che si sta compiendo e considera il completamento della Trasvalutazione
come qualcosa dal quale non pu esimersi. Cfr. p. es la lettera a F. Overbeck, 12.11.1887:
Ho un compito che non mi permette di pensare molto a me stesso (un compito, un destino, o in qualsiasi modo lo si voglia chiamare). Questo compito mi ha fatto ammalare,
ma mi restituir anche la salute. Cfr. anche, tra le altre, le lettere a M. von Meysenbug,
12.5.1887, a E. Nietzsche, 15.10.1887 e a P. Deussen, 14.9.1888.

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nisce la trasvalutazione di tutti i valori come un compito, che un


destino (ein Schicksal von Aufgabe) di cui egli intende assumere il
peso, e la cui realizzazione passa attraverso unauscultazione degli
idoli eterni sui quali si regge il sistema di pensiero Occidentale. Questi idoli Nietzsche lo rivela in Ecce Homo non sono
che le antiche verit, le credenze consolidatesi nel corso dei secoli
sulla base del modello metafisico platonico-cristiano e del dogmatismo a esso intrinseco (EH, Crepuscolo degli idoli 1). Obiettivo di
Nietzsche pertanto rivelare che i concetti comunemente adottati
dal senso comune prima e dal pensiero filosofico poi mancano di
un contenuto stabile, al contrario di quanto si suppone. Ecco che
quindi la Trasvalutazione si collega con lepistemologia prospettivistica, in quanto la prima si fonda su una critica della verit che
mette in luce linconsistenza ontologica delle nozioni su cui si regge il sistema culturale dellOccidente europeo.
Loperazione che Nietzsche intende svolgere nel Crepuscolo non per completamente negativa. O meglio, lo , ma al
contempo finalizzata non tanto a una distruzione nichilistica del
sapere, quanto alla preparazione del terreno per la realizzazione
di una nuova cultura. La comprensione di questo aspetto permette di capire meglio anche il contenuto della parte finale della
Genealogia e il senso che Nietzsche attribuisce al crollo della morale europea. Questo possibile, in particolare, attraverso una
disamina di due concetti fondamentali per definire in che modo
Nietzsche interpreta gli esiti della morte di Dio nel suo periodo
maturo di riflessione: Heiterkeit e Heimatlosigkeit.

4. Esiti: la gioiosa serenit per la mancanza di patria


Lapertura del Crepuscolo degli idoli pone immediatamente il lettore di fronte alla questione principale che Nietzsche
vuole trattare, quella della trasvalutazione dei valori. Nel farlo,
Nietzsche manifesta un atteggiamento spirituale che egli ritiene
di fondamentale importanza per potersi occupare di tale questione, e osserva: Mantenere la propria gioiosa serenit [Heiterkeit]

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in mezzo a una faccenda oscura e di enorme responsabilit non


una piccola prova di bravura: e tuttavia, che cosa sarebbe pi
necessario di una gioiosa serenit?18. La nozione di Heiterkeit19
ha un valore significativo per la filosofia matura di Nietzsche, e
rimanda al quinto libro della Gaia scienza in generale e al suo
aforisma di apertura in particolare. In FW 343, intitolato appunto Quel che significa la nostra serenit, Nietzsche muove proprio
dal pi grande avvenimento recente che Dio morto, che
la fede nel Dio cristiano divenuta inaccettabile per descrivere
latteggiamento spirituale che a tale evento deve seguire. Contrariamente alla reazione delluomo folle che per la prima volta
annuncia la morte di Dio in FW 125 ed esprime la propria preoccupazione per la conseguente condizione di disorientamento
epistemico ed esistenziale, i filosofi e spiriti liberi, alla notizia
che il vecchio Dio morto, [si sentono] come illuminati dai
raggi di una nuova aurora; il [loro] cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presagio, dattesa (FW 343). Per loro,
infatti, il mare () sta aperto dinanzi, forse non vi mai ancora
stato un mare cos aperto (ibid.), e questo orizzonte libero da
impedimenti non li spaventa, ma anzi da stimolo per un intervento creativo sul mondo. Il passaggio da FW 125 a FW 343 rivela quindi un mutato atteggiamento di Nietzsche nei confronti
di questo evento capitale, figlio di una consapevolezza maturata
nellarco di tempo che separa le due edizioni della Gaia scienza.
Un periodo, questo, bene ricordarlo in cui Nietzsche pubblica le quattro parti dello Zarathustra, il cui preludio anticipato proprio nellaforisma che chiude la prima edizione della Gaia
Scienza (FW 342). A Zarathustra Nietzsche affida esplicitamente
lincarico di diffondere il verbo della nuova umanit a venire e
i discorsi del profeta persiano rappresentano evidentemente per
lui uno spartiacque allinterno della propria produzione. dopo
18 Qui, come sopra, si seguita la versione italiana del Crepuscolo a c. di Gori e Piazzesi, in particolare perch si distingue per il modo in cui viene tradotto proprio il termine
Heiterkeit (cfr. Nietzsche 1889/2012, p. 125).
19 Per una ricognizione della nozione di Heiterkeit in Nietzsche cfr. Stegmaier 2012:
95-101.

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il completamento di quellopera (la cui ultima parte era destinata


a pochi, intimi amici ritenuti in grado di comprendere il pensiero
di Nietzsche), infatti, che Nietzsche si impegna in una ripubblicazione e prefazione delle proprie opere, ma soprattutto nellampliamento della Gaia scienza con una nuova sezione che raccoglie
le istanze critiche del proprio pensiero orientandole verso la sua
proposta filosofica positiva20. In FW V, inoltre, Nietzsche raccoglie idealmente attorno a s i propri lettori, gli spiriti a lui affini,
coloro che condividono con lui non tanto il sentimento di critica nei confronti della metafisica tradizionale, quanto la capacit
di incanalare questa critica in unazione educatrice che permetta
lelevazione finale della spiritualit europea (da qui lampio utilizzo della prima persona plurale fin dal titolo). La Stimmung di
tutta questa sezione, significativamente intitolata Noi senza paura,
proprio la Heiterkeit, sentimento che, come si diceva, risponde
al timore provato di fronte al disorientamento dovuto alla perdita
dei tradizionali punti di riferimento con il coraggio di chi, libero
da vincoli, vive con orgoglio la responsabilit di dover percorrere
autonomamente la strada che gli si presenta innanzi ancora di
pi, di dover di trovare o creare la propria strada, giacch, come
insegna Zarathustra, una strada valida per tutti e che esista prima
di essere percorsa non esiste (Za, Dello spirito di gravit).
In quanto reazione alla morte di Dio, la sensazione di gioiosa
serenit si lega a un altro concetto che gioca un ruolo importante nella tarda filosofia di Nietzsche per via della particolare
ricchezza semantica che lo contraddistingue, quello di Heimatlosigkeit o mancanza di patria. La morte di Dio muta infatti
completamente lorizzonte di senso delluomo europeo e lo costringe a una condizione apolide, da intendersi prima di tutto
come affrancamento dai tradizionali sistemi di riferimento e che
Nietzsche interpreta, di nuovo, come valore positivo. Lidea della mancanza di patria pu essere certo intesa in un senso letterale
come liberazione da una visione nazionalistica che impedisca lo
sviluppo culturale di un popolo e rappresenti un vincolo coerci20

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Per uninterpretazione contestuale di FW V si veda Stegmaier 2012.

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tivo per il suo spirito (cos Nietzsche presenta le cose, a esempio,


in VM 323). Ma la convinzione di Nietzsche che nella propria
epoca si stia realizzando lascesa di un tipo umano essenzialmente sovranazionale e nomade (JGB 242) ha un significato pi
ampio, in quanto lapertura culturale non che lesito, lapplicazione sul piano pratico di un atteggiamento esistenziale che contrasta ogni forma di assolutismo e non si preclude la ricchezza di
un confronto tra posizioni rivali e alternative.
Cos, in FW 377, Nietzsche attribuisce in un senso eminente
e onorifico il titolo di senza patria a chi si dimostrato in
grado di reggere il peso della morte di Dio ed riemerso dallabisso del nichilismo con rinnovata salute. A costoro tra i quali
il pi delle volte annovera se stesso Nietzsche d il nome di
buoni europei21, i ricchi eredi di un millenario spirito europeo,
ostili al cristianesimo proprio perch nel cristianesimo che abbiamo le nostre radici (FW 377). In questo aforisma Nietzsche
riprende quanto scritto nella Prefazione di Al di l del bene e
del male, lidea che la lotta contro Platone abbia avviato un processo di elevazione spirituale che solo i buoni europei e spiriti
liberi continuano a portare avanti. Questo processo consiste in
particolare nel progressivo affrancamento dal dogmatismo platonico-cristiano sul quale si fonda lEuropa, e la Heimatlosigkeit
di cui parla Nietzsche va quindi interpretata come la capacit di
orientarsi nel mondo senza fare riferimento a principi veritativi
e valori assoluti22. Essa quindi strettamente collegata alla questione epistemologica sulla quale Nietzsche riflette con insistenza, e condivide con questultima gli esiti non nichilistici che egli
ne trae. Cos come la critica del valore metafisico, del valore
in s della verit non si esaurisce in una negazione della possibilit che si diano principi veritativi di qualche tipo (ad esempio
condizionati o prospettici), la mancanza di patria costituisce per
21 Per una disamina del buon europeo di Nietzsche cfr. Gori/Stellino 2015 e Venturelli 2010.
22 Sul concetto di Heimatlosigkeit in Nietzsche e la sua oscillazione tra una prospettiva politica e una sovrapolitica, filosofica, cfr. Stegmaier 2012: 544 ss.

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i buoni europei e per i filosofi dellavvenire un campo di possibilit cui guardare positivamente, per diventare finalmente creatori
di nuove tavole di valori e legislatori di se stessi (FW 335).
In quanto soggetti che hanno vissuto la malattia degenerativa
del cristianesimo e da essa sono guariti, producendo le misure
adatte a realizzare una reazione interna e una conseguente mutazione fisiologica di tipo opposto23, i buoni europei dimostrano di
potersi costituire come guida del processo di autosuperamento
della morale cristiana e, per questo motivo, possono essere gli
affidatari del compito che Nietzsche circoscrive quale principale
obiettivo della propria filosofia matura24. In questi termini egli
parla di loro anche in FW 357, aforisma che viene ripreso e citato proprio in GM III 27, e che riporta quindi al luogo iniziale del nostro percorso di riflessione. In entrambe queste sezioni
Nietzsche sostiene che lateismo assoluto non che la vittoria finale faticosamente conquistata della coscienza europea, in
quanto latto pi ricco di conseguenze di una bimillenaria educazione alla verit, che nel suo momento conclusivo si proibisce
la menzogna della fede in Dio (FW 357; in GM III 27 Nietzsche
espone la cosa con poche varianti), e continua osservando che
la moralit cristiana, il concetto di veracit preso con sempre
maggior rigore () ha ormai fatto il suo tempo ed destinato a
crollare a causa della sua stessa logica interna. Si prepara quindi
il pi lungo e pi valoroso autosuperamento dellEuropa, i cui
eredi sono appunto i buoni europei (ibid.).
Laffrancamento dalla propria patria che a questi ultimi possibile, da intendersi nel senso di un rifiuto dei principi sui quali
si regge lEuropa come spazio culturale primo tra tutti lideale
ascetico con la sua volont di verit , permette di affermare che
i buoni europei possano dirsi spiriti compiutamente liberi, contrariamente agli spiriti liberi europei, cristiani che non sanno
23 Nella prefazione alla seconda edizione di Umano, troppo umano II, Nietzsche definisce i buoni europei sanissimi e fortissimi, individui in grado di percorrere la via
verso una nuova salute. Cfr. Gori/Stellino 2015: 2.1.
24 Ad essi Nietzsche destina esplicitamente i suoi scritti e il suo pensiero maturo (cfr.
MA II, Prefazione e FW 377).

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invece prendere le distanze dalla fede nella stessa verit (GM


III 24). Diversamente da loro, i buoni europei hanno il coraggio
di affrontare la rinuncia dellultimo punto di riferimento che resta alluomo europeo, e di prendere su di s il peso della proposizione nulla vero, tutto permesso25, con le sue labirintiche
conseguenze (ibid.). Come si detto, essi infatti portano la morale cristiana alle sue estreme conseguenze, ed il modo in cui
costoro si comportano di fronte allabisso nichilistico che quella
proposizione apre a contraddistinguerli. La posizione degli Assassini non pu infatti essere per Nietzsche il punto di arrivo del
pensiero, per quanto necessario sia confrontarsi con essa. Lobiet
tivo di Nietzsche infatti creativo, ma, per quanto egli inviti a
una nuova creazione di valori, comprende che per realizzarla
necessario liberarsi di tutti i vincoli appartenenti alla precedente
visione del mondo. Ecco che allora latteggiamento spirituale dei
buoni europei, la gioiosa serenit conseguente allaccettazione
della propria condizione apolide, esemplifica il modello di filosofo a cui Nietzsche aspira: un individuo in grado di reagire positivamente agli esiti nichilistici del percorso che conduce al superamento della morale europea e di tramutare il vuoto che trova
aperto sotto i propri piedi in uno spazio di azione creatrice26.
25 Per una discussione sullattribuzione di questa proposizione a Nietzsche e sul valore nichilistico che essa reca in s cfr. Niemeyer 1998. Per una sua connessione col tema
del prospettivismo nietzscheano, cfr. Gori/Stellino 2014: 118 ss.
26 Si noti che Nietzsche presenta il percorso di guarigione dalla malattia del nichilismo come un elemento metaforicamente autobiografico. Nella prefazione alla seconda
edizione della Gaia scienza egli parla ad esempio dei saturnali di uno spirito che ha
resistito con pazienza a una lunga, orribile oppressione () e che ora invaso dalla
speranza di salute, dallebbrezza della convalescenza (FW, Prefazione 1). Ancora, nella
coeva Prefazione di Aurora (scritta anchessa nel 1886), Nietzsche si presenta come un
essere sotterraneo che tornato indietro da un viaggio nelle tenebre (M, Prefazione 1
e 2). La sua strada era in particolare quella della messa in questione della morale: Allora,
intrapresi qualcosa che non a tutti sarebbe dato di fare: discesi nelle profondit, perforai
il fondo, cominciai a sondare e a scalzare unantica fiducia, sulla quale noi filosofi, da un
paio di millenni, eravamo soliti edificare come sul pi sicuro fondamento (): cominciai
a scalzare la nostra fiducia nella morale (M, Prefazione 2). Lesito di questo percorso
una nuova guarigione e uno sviluppo spirituale che permette a Nietzsche di annoverarsi
tra gli uomini della conoscenza, nei quali giunge a compimento () lautosoppressione
della morale (M, Prefazione 5. Cfr. anche FW, Prefazione 4). Alla Prefazione di Aurora

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5. Conclusioni
Da quanto si detto si possono svolgere alcune considerazioni
conclusive sui paragrafi che chiudono la Genealogia della morale
di Nietzsche. Il nucleo teorico che essi espongono chiaramente
significativo nelleconomia del pensiero maturo di Nietzsche, e la
questione della verit che egli pone in particolare in GM III 24
e 27 costituisce il centro di una riflessione che coinvolge per lo
meno tutti i suoi scritti posteriori allo Zarathustra. Come si visto, tale questione si collega a tesi esposte in Al di l del bene e del
male e nel quinto libro della Gaia scienza, ma anche a idee che si
riferiscono ai contenuti di opere precedenti e di cui Nietzsche offre uno sguardo retrospettivo nelle prefazioni scritte nel 1886 (ne
un esempio la questione della fiducia nella morale di cui egli
parla nella Prefazione alla seconda edizione di Aurora). Inoltre, il
problema della volont di verit prima di tutto funzionale allo
svolgimento della Trasvalutazione dei valori, e collega pertanto
la Genealogia agli scritti del 1888 (in particolare Crepuscolo degli
idoli e Anticristo). Tutto questo non di certo tenuto nascosto
da Nietzsche, la cui strategia comunicativa insiste anzi particolarmente sullintersezione dei temi da lui trattati, che nella coda
a GM trovano un punto di incontro. Egli infatti cita direttamente aforismi della Gaia scienza (in GM III 24 e 27), rimanda al
quinto libro di questopera e alla prefazione di Aurora (GM III
24), annuncia di stare approntando unopera intitolata Volont
di potenza. Saggio di una trasvalutazione di tutti i valori, allinterno della quale comparir una sezione intitolata Per la storia del
nichilismo europeo27 (GM III 27). Le sezioni conclusive della Genealogia sono quindi caratterizzate da questo gioco di rimandi e
anticipazioni costruito allo scopo di concentrare lattenzione del
lettore su un unico punto focale, verso il quale convergerebbe
Nietzsche rimanda alla fine di GM III 24, per una migliore comprensione del contenuto
di quel paragrafo.
27 Questo titolo rimanda alla nota postuma 5[71] del 1887, conosciuta come frammento di Lenzer-Heide, in cui Nietzsche espone sinteticamente ma in maniera ben strutturata una serie di osservazioni sul nichilismo europeo. Cfr. Stegmaier 1994: 49 ss.

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Porre in questione il valore della verit

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lintera produzione di Nietzsche. Questultimo per lappunto il


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Indice dei nomi

Abel G., 65
Adorno T., 86n, 243, 244n
Alcibiade, 79
Anders A., 215, 240n
Andler C., 73
Archiloco, 56
Aristotele, 256
Aschheim S., 29n
Babich B., 165n, 258
Baeumler A., 73n
Bailey T., 149
Bentham J., 93
Bergson H., 99
Berkeley G., 230-1
Bianquis G., 29n
Bishop P., 56n
Blondel E., 61n
Bornedal P., 31n
Borsche T., 242
Brennecke D., 71n
Brusotti M., 31n, 159n
Buddha, 167n, 187, 204
Buddensieg R., 255
Burckhardt J., 133n, 145n
Cacciari M., 165n
Campioni G., 160, 162n, 174n
Canevari M., 58, 74, 78, 80, 104
Giulio Cesare, 128
Chamberlain H.S., 72
Chamfort, 46
Clark M., 44n, 240n, 272n
Colli G., 255n

12 indice_nomi_307.indd 307

Comte A., 80, 250


Constncio J., 131n, 135n, 147n,
156n
Conway D., 31, 70
Cox C., 278n
Crawford C., 165n
Curi U., 75
Daigle C., 169n
Darwin C., 64, 223n, 240
Deleuze G., 14, 30, 38n
Derrida J., 165n
Deussen P., 241, 283n
Descartes R., 66, 153
Diemer A., 257n
Diderot D., 46
Dilthey W., 55n
Dioniso, 49, 50, 72, 174n, 182, 206,
209
Dostoevskij F., 59-62
Draper J.W., 250
Dhring E., 60n, 78n, 247
Eckhart M., 204
Einstein A., 270
Epicuro, 199
Epitteto, 199
Eschilo, 56
Euripide, 56
Ferdinando I dAsburgo, 226
Fett O., 241
Fichte J.G., 256
Fischer K., 219n
Forth C., 29

17/09/15 17.42

308

La Genealogia della morale

Foucault M., 17, 18, 37n, 172n, 240,


241
Frster T., 38n.
Freud S., 316, 186
Fritzsch E.W., 33, 37
Fritsch T., 72
Gemes K., 156n
Gentili C., 169n, 217, 219n, 280n,
281n
Gerber G., 274
Gerhardt V., 143n, 237
Ges, 79
Giacoia O. Jr., 147n
Giacomelli A., 56, 182n
Gillespie M.A., 159
Girotto V., 109
Gobineau A., 73
Goethe J.W., 63, 130, 142, 204
Gori P., 61n, 65n, 169n, 172n, 175n,
208n, 209n, 254n, 269n, 270n,
272n, 277n, 278n, 283, 285n,
287n, 288n, 289n
Gurisatti G., 59, 190, 203n, 209
Gracin B., 199
Grimm R., 272n
Gury F., 246n
Hadot P., 164n
Halprine E., 59n, 60n
Hatab L., 31n, 126n, 147n
Hegel F.W., 243
Heidegger M., 56n, 99, 101
Heinze M., 239, 254-8, 263
Heit H., 172n, 259n, 268n, 270
Heller L., 270
Heydrich R., 71n
Hobbes T., 108
Horkheimer M., 244n
Hffe O., 240
Hume D., 109
Hussain N., 270n
Ibez-No J., 169
James W., 273, 277n

12 indice_nomi_307.indd 308

Janaway C., 31n, 44n, 61n, 64n


Jung C.G., 56n
Kant I., 18, 30, 100, 141-4, 159, 162,
163, 214-222, 224-234, 237, 256,
261, 262
Kemal S., 31n
Kierkegaard S., 99
Kofman S., 163n, 165n, 174n
Kojve A., 94n
Kselitz H., 73n, 255, 283
Kuhn T., 251
La Botie E., 95n
Lagarde P., 78n
Lange F.A., 61n, 220, 221, 223n, 262,
270, 272n, 275
Larmores Ch., 239
Leiter B., 61n, 125-7, 136, 137, 279
Leopardi G., 199
Liebenfels J.L., 72
Loeb P., 81
Mach E., 269n, 270
Machiavelli N., 132-4
Magno E., 167n
Marco Aurelio, 199
Marton S., 29n, 30n, 33, 34n, 37n, 163n
May S., 156n
Mazzucchetti L., 63n
Meijers A., 274n
Melville H., 118, 119n
Merleau-Ponty M., 169n
Merton R., 253
von Meysenbug M., 283n
Michelini G., 29n
Miklowitz P.S., 44n
Montaigne M., 93, 199, 204
Montinari M., 155n, 280
Morice C., 59n, 60
Musil R., 62
Mller-Lauter W., 65, 135n, 272
Naumann C.G., 22, 36, 37, 271
Negri F., 166n
Niemeyer C., 289n

17/09/15 17.42


Nietzsche E., 255, 283n
Nolte E., 29n
Obenauer K.J., 73n
Omero, 56, 183
Orsucci A., 31, 73n, 171n
Ottmann H., 135n, 137n
Overbeck F., 23, 60, 283n
Owen D., 31n
Paolo di Tarso, 79
Parsifal, 160
Pascal B., 93
Pasqualotto G., 80, 154n, 157n
Pelligra V., 114
Penzo G., 73n
Pietro, 79
Pievani T., 109
Piazzesi C., 273n, 283, 285n
Pirrone, 237
Platone, 175n, 183, 208, 225, 256,
280, 282, 283, 287
Poesche T., 72
Poincar H., 270
Ptz P., 29
Re P., 64, 240
Reimer F.W., 63
Rey J.M., 98n, 103, 121n
Ribot T., 131n
Riccardi M., 173n
Richardson J., 147n
Le Rider J., 29n
Ridley A., 31n
Rohde E., 12
Rosemberg A., 73n
La Rouchefoucauld F., 46
Rousseau J.J., 256
Rovatti P.A., 161n
Ruckenbauer H.W., 240n
Russo M., 62
von Salis M., 21, 23
Salom L.A., 163n
Scapolo B., 103n, 119n
Schacht R., 30, 31

12 indice_nomi_307.indd 309

Indice dei nomi

309

Schank G., 71
Scheler M., 32, 33
Schelling F.W.J., 234
Schiemann G., 257
Schlechta K., 215, 240n
Schopenhauer A., 14, 67, 146, 155,
156, 159, 161-4, 181-90, 195, 196,
199, 203-6, 214n, 218-20, 225, 227,
230-4
Sedwick P., 31
Seneca, 199
von Seydlitz R., 37n
Sesto Empirico, 121
Simon J., 142n
Smith D., 29n
Socrate, 56, 75, 79, 107, 161n, 181,
184, 226
Sofocle, 56
Spencer H., 64
Spengler O., 181
Spranger E., 55n, 56n
Spethmann W., 73n
Spinoza B., 108, 225
Stack G., 135n, 272n
Stefani M.A., 29
Stegmaier W., 31, 37n, 56n, 68, 69,
76, 135n, 142n, 148n, 177n, 225,
244n, 245, 247, 250, 267n, 270n,
277n, 285-7n, 290n
Stellino P., 59n, 60n, 157n, 169n,
209n, 278n, 287-9n
Sturm E., 29n
Taureck B.H.F., 73n
Teognide di Megara, 241
Teresa dAvila, 187
Valry P., 91, 93, 94, 96, 99, 101, 102,
116, 117, 121n
Venturelli A., 287n
Virchow R., 73n
Vivarelli V., 72, 78n
Voltaire, 46
Wagner R., 73n, 78n, 159-62, 182,

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310

La Genealogia della morale

183, 190, 205, 210, 246n


Weber M., 253
Weichelt H., 73n
Wilcox J.T., 44n
Wittgenstein L., 101, 120, 121n

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Witzler R., 281n


Wotling P., 58, 174n
Yovel Y., 56
Zenone, 199
iek S., 142

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Gli Autori

Joo Constncio professore aggregato in filosofia presso lUniversit Nuova di Lisbona, dove insegna dal 1996, e direttore del Nietzsche
International Lab. autore di numerosi articoli su Nietzsche, tra cui
On Consciousness: Nietzsches Departure from Schopenhauer (NietzscheStudien 40, 2011) e A Sort of Schema of Ourselves: On Nietzsches Ideal and Concept of Freedom (Nietzsche-Studien 41, 2012), e del lavoro
monografico Arte e niilismo: Nietzsche e o enigma do mundo (Lisbona
2013). In collaborazione con altri specialisti di Nietzsche ha inoltre curato la pubblicazione dei volumi Nietzsche on Instinct and Language
(Berlin/ Boston 2011), As the Spider Spins: Essays on Nietzsches Critique and Use of Language (Berlin/ Boston 2012), Sujeito, dcadence e art:
Nietzsche e a modernidade (Lisboa/Rio de Janeiro 2014) e Nietzsche and
the Problem of Subjectivity (Berlin/Boston 2015).
Carlo Gentili insegna Estetica allUniversit di Bologna. Si occupato del rapporto tra ermeneutica e fenomenologia e di temi della filosofia tedesca, in particolare del pensiero di Nietzsche. Fa parte del comitato scientifico delle Nietzsche-Studien ed membro
della Friedrich-Nietzsche-Stiftung. Ha pubblicato: Ermeneutica e
metodica. Studi sulla metodologia del comprendere, Genova, Marietti,
1996; A partire da Nietzsche, Genova, Marietti, 1998; Nietzsche, Bologna, Il Mulino, 2001 (ed. spagnola Madrid, Editorial Biblioteca Nueva, 2004; ed. tedesca Nietzsches Kulturkritik zwischen Philologie und
Philosophie, Basel, Schwabe, 2010); La filosofia come genere letterario,
Bologna, Pendragon, 2003; Il tragico (in collab. con G. Garelli), Bologna, Il Mulino, 2010. Ha inoltre curato, insieme a Cathrin Nielsen, il
volume Der Tod Gottes und die Wissenschaft. Zur Wissenschaftskritik
Nietzsches, Berlin-New York, De Gruyter, 2010.
Alberto Giacomelli dottore in ricerca in Filosofia teoretica e

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312

La Genealogia della morale

pratica presso lUniversit degli studi di Padova. Ha studiato presso la


Eberhard Karls Universitt di Tbingen, la Humboldt-Universitt e la
Technische-Universitt di Berlino. Collabora con la cattedra di Estetica
del Dipartimento di Filosofia dellUniversit di Padova. membro del
Centro Interdipartimentale Colli-Montinari di Studi su Nietzsche e
la cultura europea e del Seminario Permanete Nietzscheano. Ha pubblicato la monografia Simbolica per tutti e per nessuno. Stile e figurazione nello Zarathustra di Nietzsche (Milano, Mimesis Edizioni, 2012).
Con recensioni e contributi in volumi collettanei nazionali e internazionali ha cercato di mettere in luce il rapporto tra il pensiero di Nietzsche
e lestetica del XIX-XX secolo, soprattutto di area tedesca.
Pietro Gori dottore di ricerca in filosofia moderna e contemporanea e dal 2011 svolge attivit di ricerca presso lIstituto di Filosofia
dellUniversit Nuova di Lisbona. autore di due testi monografici
sul rapporto di Nietzsche con la cultura scientifica della sua epoca
(La visione dinamica del mondo. Nietzsche e la filosofia naturale di Boscovich, Napoli 2007 e Il meccanicismo metafisico. Scienza, filosofia e
storia in Nietzsche e Mach, Bologna 2009) e curatore, assieme a Chiara
Piazzesi, di unedizione italiana commentata del Crepuscolo degli idoli
di Nietzsche (Roma 2012). Sempre su Nietzsche, ha curato assieme
a Paolo Stellino il volume Teorie e pratiche della verit in Nietzsche
(Pisa 2011), e ha infine pubblicato numerosi articoli in riviste internazionali. attualmente impegnato in un lavoro di ricerca dedicato
alla psicologia ottocentesca e al monismo neutrale di Ernst Mach e
William James.
Giovanni Gurisatti insegna Storia dellestetica contemporanea nel
Dipartimento FISPPA dellUniversit di Padova. Studioso, traduttore
e curatore di opere di Heidegger e di Schopenhauer, si occupa soprattutto di autori di area tedesca, con particolare riferimento a Walter
Benjamin. In Caratterologia, metafisica e saggezza. Lettura fisiognomica
di Schopenhauer (Il poligrafo, 2002), e in Schopenhauer maestro di saggezza (Angelo Colla, 2007), ha approfondito la tematica del rapporto
tra carattere, comportamento, stile di vita e saggezza. Ne deriva una originale rilettura dellopera schopenhaueriana, che la assimila alla ricerca
di P. Hadot e di M. Foucault sulla cura di s nellet classica. Nel suo
ultimo lavoro, Scacco alla realt. Estetica e dialettica della derealizzazione mediatica (Quodlibet, 2012), in cui la figura di Nietzsche svolge un
ruolo decisivo, solleva la questione di unetica basata sulla cura di s

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Gli Autori

313

come opzione preferenziale allinterno della generale perdita di senso


della realt che caratterizza la societ contemporanea.
Helmut Heit dal 2007 lavora presso la Technischen Universitt di
Berlino, dove svolge una ricerca dedicata al rapporto di Nietzsche con
il razionalismo occidentale. Nel 2012-13 stato borsista presso lInstitute for Advanced Study di Princeton (USA), e nel 2014-15 visiting professor a Pelotas (Brasile). Tra i suoi lavori si contano le monografie Der
Ursprungsmythos der Vernunft. Zur philosophiehistorischen Genealogie
des griechischen Wunders (2007) e Grundwissen Philosophie: Frhgriechische Philosophie (2011), e la curatela dei volumi Paul Feyerabend:
Naturphilosophie (con Eric Oberheim, 2009) e Nietzsche und die Wissenschaften. Natur-, geistes- und sozialwissenschaftliche Kontexte (con
Lisa Heller, 2014).
Scarlett Marton professoressa allUniversit di So Paulo, fondatrice del GEN (Grupo de Estudios Nietzsche) e della rivista Cadernos
Nietzsche. autrice di libri e articoli, pubblicati in Brasile, Europa e
America Latina, sulla filosofia di Nietzsche. Tra questi: Nietzsche e a
arte de decifrar enigmas (So Paulo, 2014), Nietzsche, das foras csmicas aos valores humanos (Belo Horizonte, 20103), Nietzsche, Kant et la
mtaphysique dogmatique, Nietzsche-Studien, 40 (2011), e Nietzsche
in Brasilien, Nietzsche-Studien, 29 (2000).
Federica Negri, dopo la laurea in filosofia morale allUniversit di
Padova, ha conseguito il dottorato in Storia delle scritture femminili
presso lUniversit degli studi di Roma La Sapienza in cotutela con lUniversit Charles De Gaulle - Lille III. Si occupata a lungo del pensiero di Simone Weil e ha collaborato con la cattedra di Storia della filosofia
contemporanea dellUniversit di Padova. Autrice di lavori su Simone
Weil (numerosi articoli e la monografia La passione della purezza. Simone
Weil e Cristina Campo, Il Poligrafo, Padova 2005), Friedrich Nietzsche
(Ti temo vicina, ti amo lontana. Nietzsche, il femminile e le donne, Mimesis, Milano-Udine 2011), e Maurice Merleau-Ponty (Il punto cieco. Note
su Locchio e lo spirito di Maurice Merleau-Ponty, Libreriauniversitaria
edizioni, Padova 2013), oltre a numerosi altri saggi su Cristina Campo,
Lou Salom, e Alain. Attualmente collabora come docente a contratto
(Estetica e Antropologia filosofica) nel corso di laurea in Scienze e tecniche della comunicazione grafica e multimediale presso lo IUSVE (Istituto Universitario Salesiano Venezia), sedi di Mestre e Verona.

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La Genealogia della morale

Jean-Michel Rey, oggi professore emerito, ha insegnato filosofia ed


estetica allUniversit de Paris 8 (1969-2008) ed stato Direttore del
programma al Collge International de Philosophie (1992-1998). Oltre
a numerosi saggi, ha pubblicato, a partire dal 1971, studi su Nietzsche
(ricorderemo lormai celebre Lenjeu des signes. Lecture de Nietzsche,
Seuil 1971), Freud, Kafka, Valry, Pguy, Artaud, Edgar Quinet. Si
ricordano qui le pubblicazioni pi recenti: Paul ou les ambiguts (ditions de LOlivier 2008); Loubli dans les temps troubls (ditions de
LOlivier 2010); la trilogia dal titolo Histoires descrocs: t.1, La vengeance par le crdit ou Monte-Cristo (ditions de LOlivier 2013), t.2, La banqueroute en famille ou Les Buddenbrook (ditions de LOlivier 2014),
t.3, Lescroquerie de lhomme par lhomme ou The Confidence-Man (ditions de LOlivier 2014). Infine, i lavori sul problema del credito e della
credenza nella prospettiva di unontologia del mondo sociale: La part
de lautre (PUF, 1998); Le Temps du crdit (Descle de Brouwer 2002);
Les promesses de luvre (Descle de Brouwer 2003) e, in italiano, La
religione come istanza critica, a cura di M. Fimiani (Paparo 2013).
Barbara Scapolo dottore di ricerca in Scienze della Cultura presso la Scuola Internazionale di Alti Studi di Modena. Dal 2006 al 2014
stata assegnista di ricerca presso il Dipartimento FISPPA (Filosofia,
Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata) dellUniversit di Padova.
membro dellquipe des tudes P. Valry di Parigi (ITEM-CNRS)
dal 2006. Ha ottenuto lAbilitazione scientifica nazionale come professore universitario di II fascia in Estetica e teoria dei linguaggi e in
Filosofia morale. Giornalista pubblicista, membro della redazione
della rivista QuiLibri e del comitato scientifico della rivista Esercizi filosofici. Autrice di numerosi saggi apparsi su riviste nazionali
e internazionali, ha pubblicato le monografie: Comprendere il limite.
Lindagine delle choses divines in P. Valry (Pellegrini 2007), Esercizi di
de-fascinazione. Saggio su E.M. Cioran (Mimesis 2009); Leggere Timore
e tremore di Kierkegaard (Ibis 2013). Sua inoltre la cura del recente
volume collettaneo Per un sapere della crisi. La dissoluzione del sogno
cartesiano tra Ottocento e Novecento (Aracne 2014). Ha inoltre tradotto e curato le seguenti edizioni italiane: di P. Valry, Storie infrante
(San Marco dei Giustiniani 2006), Lettere e note su Nietzsche (Mimesis,
2010) ed Eupalinos o larchitetto (Mimesis 2011); di E. Cioran e P. Alechinsky, Vacillamenti (Mimesis 2011) e, di K. Lwith, P. Valry. Tratti
fondamentali del suo pensiero filosofico (Ananke 2012).

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Indice

Prefazione: Humanitas e oltre, di Fabio Grigenti

Nota al testo

Introduzioni
Leggere la Genealogia della morale di Nietzsche,
di Bruna Giacomini

11

Verso una resa dei conti con la morale, di Pietro Gori

21

Letture e interpretazioni
Scarlett Marton
Genealogia della morale: dalla premura didattica
ai fini strategici

27

Alberto Giacomelli
La bionda bestia e il prete. Considerazioni su GM I
a partire dalle sue Lebensformen

55

Jean-Michel Rey
Note su alcune forme incompatibili

85

Barbara Scapolo
Credenza, fiducia o conoscenza? Alcune riflessioni
a partire da GM II 13

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103

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316

La Genealogia della morale

Joo Constncio
Libert e autonomia dellindividuo sovrano in Nietzsche:
una lettura non-deflazionista

125

Federica Negri
Faute de mieux par excellence. Lesito problematico
di GM III

153

Giovanni Gurisatti
Sullutilit e il danno dellideale ascetico per la filosofia.
Ascesi e askesis in GM III

181

Carlo Gentili
Prospettiva e ascetismo. Una lettura di GM III 12

211

Helmut Heit
Gaia scienza e ideali ascetici (GM III 23-28)

239

Pietro Gori
Porre in questione il valore della verit. Riflessioni sul compito
267
della tarda filosofia di Nietzsche a partire da GM III 24-27
Bibliografia

293

Indice dei nomi

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Gli Autori

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Edizioni ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
info@edizioniets.com - www.edizioniets.com

Finito di stampare nel mese di luglio 2015

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nietzscheana
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collana diretta da
Giuliano Campioni, Maria Cristina Fornari
fondata da
Sandro Barbera, Giuliano Campioni e Franco Volpi
saggi, quaderni, testi
0. Giorgio Colli, Ellenismo e oltre. Einleitung, a cura di Stefano Busellato, con una introduzione di Sandro Barbera [edizione fuori commercio], 2005, pp. 108. [sezione quaderni]
1. Sandro Barbera, Paolo DIorio, Justus H. Ulbricht, [a cura di], Friedrich
Nietzsche. Rezeption und Kultus, 2004, pp. 362. [sezione saggi]
2. Sergio Franzese, [a cura di], Nietzsche e lAmerica, 2005, pp. 292. [sezione saggi]
3. Claudia Rosciglione, Homo Natura, 2005, pp. 220. [sezione saggi]
4. Richard Wagner, Sulla vivisezione. Lettera aperta al signor Ernst von
Weber, autore dello scritto Le camere di tortura della scienza, Traduzione, introduzione e note di Sandro Barbera e Giuliano Campioni,
2006, pp. 48. [sezione quaderni]
5. Maria Cristina Fornari, La morale evolutiva del gregge. Nietzsche legge
Spencer e Mill, 2006, pp. 362. [sezione saggi]
6. Luca Lupo, Le colombe dello scettico. Riflessioni di Nietzsche sulla
coscienza negli anni 1880-1888, 2006, pp. 264. [sezione saggi]
7. Patrick Wotling, Il pensiero del sottosuolo, traduzione di Chiara Piazzesi, 2006, pp. 76. [sezione quaderni]
8. Maria Cristina Fornari [a cura di], Nietzsche. Edizioni e interpretazioni,
2006, pp. 552. [sezione saggi]
9. Friedrich Nietzsche im 20. Jahrhundert. Aspekte seiner Rezeption, a
cura di Sandro Barbera, Renate Mller-Buck, 2006. [sezione saggi]
10. Giuliano Campioni, Nietzsche. La morale delleroe, 2008, pp. 156.
[sezione saggi]

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11. Chiara Colli Staude, Nietzsche filologo tra inattualit e vita. Il confronto con i Greci, 2009, pp. 166. [sezione quaderni]
12. Friedrich Nietzsche, Gli Academica di Cicerone. Appunti preparatori
alle lezioni universitarie 1870-71. A cura e con un saggio introduttivo
di Stefano Busellato, 2009, pp. 170. [sezione testi]
13. Sandro Barbera, Giuliano Campioni, Il genio tiranno. Ragione e dominio nellideologia dellOttocento: Wagner, Nietzsche, Renan, prefazione di Mazzino Montinari, 2009, pp. 218. [sezione saggi]
14. Chiara Piazzesi, Giuliano Campioni, Patrick Wotling [a cura di],
Letture della Gaia scienza - Lectures du Gai savoir, 2010, pp. 384.
[sezione saggi]
15. Giuliano Campioni, Leonardo Pica Ciamarra, Marco Segala [a cura
di], Goethe, Schopenhauer, Nietzsche. Saggi in memoria di Sandro
Barbera, 2012, pp. 708. [sezione saggi]
16. Pietro Gori, Paolo Stellino [a cura di], Teorie e pratiche della verit in
Nietzsche, 2012, pp. 212. [sezione saggi]
17. Donatella Morea, Il respiro pi lungo. Laforisma nelle opere di Friedrich
Nietzsche, 2012, pp. 282. [sezione saggi]
18. Cline Denat, Chiara Piazzesi [a cura di], Nietzsche, pensatore della
politica? Nietzsche, pensatore del sociale?, 2014, pp. 206. [sezione
saggi]
19. Elena Laurenzi, Sotto il segno dellaurora. Studi su Mara Zambrano
e Friedrich Nietzsche, 2012, pp. 182. [sezione saggi]
20. Annamaria Lossi, La ragione estetica. Saggio su Nietzsche, 2012,
pp. 172. [sezione saggi]
21. Francesca Manno, Attore e mimo dionisiaco. Nietzsche, Wagner e il
teatro davanguardia francese, 2012, pp. 348. [sezione saggi]
22. Stefano Busellato [a cura di], Nietzsche dal Brasile. Contributi dalla
ricerca contemporanea, 2014, pp. 204. [sezione saggi]
23. Annamaria Lossi, Claus Zittel [a cura di], Nietzsche scrittore. Saggi di
estetica, narratologia, etica, 2014, pp. 216. [sezione saggi]
24. Bruna Giacomini, Pietro Gori, Fabio Grigenti [a cura di], La Genealogia
della morale. Letture e interpretazioni, 2015, pp. 320. [sezione saggi]

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