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OMELIA di s.e. mons.

Gianfranco Ravasi,
presidente del Pontificio Consiglio della Cultura

Vorrei ora con voi fare una riflessione abbastanza distesa, nella confidenza che mi permette anche
lessere qui in mezzo a voi.
Questa riflessione ha come punto di partenza, come cornice naturalmente, il racconto che abbiamo
ascoltato nel Vangelo di Marco, questo incipit che poi ci accompagner durante i prossimi giorni, la
lettura del Vangelo di Marco, questa cornice ideale che rappresentata dalla vocazione degli
Apostoli.
Questo fondale, in un certo senso, ci permette gi di mettere in luce la figura fondamentale che noi
vorremmo in qualche modo guardare negli occhi, in un certo senso dovrebbe essere il nostro ideale
autoritratto, la figura dellapostolo, la figura quindi, io direi, in maniera particolare del
presbitero.
E di questa figura io vorrei mettere in luce due dimensioni, due aspetti, che tra laltro sono modulati
sul modello per eccellenza che sempre Cristo.
Difatti Seguitemi lappello Suo, la sequela.
Noi sappiamo, se guardiamo i Vangeli, che ci sono sostanzialmente due atteggiamenti di Ges
durante il Suo ministero pubblico.
Da una parte sono in azione le Sue labbra, la parola, e dallaltra parte sono in azione le Sue mani.
Ecco noi ora vorremmo fare una riflessione su queste due dimensioni naturalmente applicandole a
noi stessi.
E il primo elemento da cui partiamo quello della parola.
Sappiamo il rilievo che daltra parte ha la parola non solo nella cultura della Bibbia, ma anche nella
storia stessa delluomo.
La parola lo strumento principe della comunicazione e quindi dellincontro e quindi della
relazione e quindi dellabbraccio o, anche, dello scontro tra gli uomini.
significativo che, nellinterno della Bibbia, lelemento fondamentale per rappresentare Dio la
parola.
Ricordiamo come comincia la Genesi (testo in greco) Dio disse sia la luce e la luce fu.

questa la prima riga.


La parola di Dio che rompe squarcia il silenzio del nulla.
Il Nuovo Testamento idealmente come comincia? En arch en o logos, in principio cera la parola, e
la parola era presso Dio e la parola era Dio.
Quindi diciamo che la parola una componente fondamentale della teo-logia, il parlare di Dio, ma
anche una componente fondamentale dellesperienza umana.
Per questo la parola permette anche di parlare delluomo, di noi, e Cristo riassume in se queste due
dimensioni: il logos, il logos, che si sarcs (?), cio la parola, che si fa parole, parole umane.
E qui abbiamo allora il primo elemento.
Che dire sulla parola nostra? La parola, la nostra comunicazione, il nostro annuncio.
Ci sarebbero infiniti temi da sviluppare.
Io ne scelgo uno solo, e questo tema lo prendo proprio dal racconto di Marco che ora abbiamo
ascoltato, perch qui, come avete sentito, abbiamo in assoluto la prima predica di Ges, il primo
annuncio.
E gli studiosi dicono che stato modulato e modellato dallevangelista sulla base del cherisma (?),
del grande annuncio della chiesa delle origini.
E se, per un momento, lo fate passare ancora davanti ai vostri occhi, questa che una delle pi brevi
prediche in assoluto che siano mai state pronunciate, fatta solo di quattro frasi, vi accorgete che
Cristo introduce nel suo annuncio due dimensioni fondamentali: la dimensione verticale, la
dimensione trascendente, la dimensione, diremmo noi, della grazia, se volete, delle verit ultime e
la dimensione, invece, storica, immanente.
Quella se volete carnale, la dimensione dellesistenza delluomo, che risponde alla trascendenza,
alla linea orizzontale.
Proviamo?
I primi due elementi di questo brevissimo annuncio: il tempo compiuto, il regno di Dio vicino, si
avvicinato o vicino.
Ecco, questi due elementi sottolineano lazione di Dio.
Diciamolo con un termine Paolino: la celebrazione del primato della grazia.
Ogni nostro annuncio deve essere un annuncio della salvezza offerta, della parola donata, di
qualcosa che ci precede ed eccede, che non nostro.

Significativo quello che notano gli esegeti quando, nella prima lettera ai Corinzi, Paolo dice quale
la missione dellapostolo e dice la missione del marturion tou theou o, come qualche altro
codice dice, marturion Christou; questo theou o Christou, cio la testimonianza di Dio, la
testimonianza di Cristo, un genitivo soggettivo, non oggettivo, cio il contenuto non in primo
luogo.
Dio che testimonia attraverso noi.
Ecco perch Cristo parte ricordando che noi siamo nellinterno di un kairs, il tempo compiuto,
nellinterno di una storia della salvezza, che noi tutti, noi e i nostri fedeli, non siamo i solitari
viaggiatori di unesperienza umana, ma siamo nellinterno di unesperienza che stata iniziata da
Dio.
Come stato detto da un teologo: la Bibbia prima di tutto non dice Oh fedele interessati di Dio,
ma la Bibbia dice Oh fedele ricordati: Dio si interessa di te.
Il primato della grazia, ecco il regno di Dio, questo grande progetto di salvezza.
Il tempo, kairs, la storia della salvezza, sono il nostro orizzonte e capite che da questo nascono
delle responsabilit importanti nel nostro annuncio.
Noi annunciamo, come dir spesso Paolo, non una nostra parola, ma una parola che ci stata
consegnata, un deposito; ed per questo anche che indispensabile che noi non abbiamo a
diventare paradossalmente uno schermo opaco, che impedisce la testimonianza di Dio, genitivo
soggettivo, che Dio d di se stesso attraverso la nostra voce, attraverso la nostra parola.
Il primato della grazia, il primato, quindi, della celebrazione dellEpifania di Dio.
Ricordate, come si sottolineato e come si fatto anche nella traduzione, poi, rispetto allantica
versione latina, Pace in terra agli uomini della buona volont di Dio, oggetto dellamore di Dio.
In principio c leudochia di Dio, la sua buona volont, la grazia.
Voi sapete quella curiosa variante che aveva introdotto un grande teologo protestante del secolo
scorso, ma pur sempre un grande pensatore, commentando la lettera ai Romani.
Karl Barth dice noi occidentali nel pensiero moderno siamo stati sostanzialmente guidati
dallirruzione di Cartesio.
Cartesio era un forte credente, era devoto della Madonna di Loreto.
Egli era convinto di fare un servizio apologetico, quasi, alla Chiesa. Ma il suo pensiero in realt ha
introdotto la modernit autosufficiente, con quella celebre frase che si imparava a scuola cogito
ergo sum, vedete io penso, perci ho la consapevolezza e quasi il mio autopormi.

E Karl Barth diceva questa frase non cristiana.


Se vogliamo farla diventare cristiana basterebbe soltanto aggiungere una lettera e trasformarla,
come forse sapete, in cogitor ergo sum, sono pensato, amato, in linguaggio biblico conoscere,
quindi esisto.
Ecco perch, dicevo, Cristo ci invita nella parola a parlare del Regno dei Cieli, del Regno di Dio, le
verit ultime e fondamentali: bene, male, vita, morte, oltre vita, speranza, amore, la giustizia, Dio e
la Sua parola.
Secondo, per, in quella predica brevissima c la seconda parte, secondo versante, che invece
squisitamente antropologico, esistenziale.
la risposta.
Noi sappiamo che la grazia non cade su una stella, noi non siamo stelle, non siamo sassi, che sono
regolati esclusivamente dalle leggi immanenti date da Dio, dal Creatore, le leggi della fisica, le
meccaniche celesti, come si dice.
Noi siamo creature libere.
Ecco allora la risposta cosciente, coerente, la risposta faticosa, impegnativa che Cristo riassume
anche in questo caso in due elementi soltanto: convertitevi e credete al Vangelo.
Se volete dirlo con il linguaggio paolino: fede e opere.
Da un lato la conversione, che come sapete metanoia, la torsione totale della mentalit, delle
scelte, delle opzioni, quindi torsione morale fondamentale.
E noi la dobbiamo continuamente annunciare in un mondo che un mondo sostanzialmente non
immorale, ma amorale.
Il grande rischio del nostro tempo, voi lo sapete bene, non lateismo.
Lateismo coerente e cosciente, che frutto di una scelta pensata e meditata degno del rispetto.
Noi invece siamo in presenza della non credenza, dellindifferenza, della superficialit, della
banalit, del vuoto, della secolarizzazione, di una societ spenta.
Ecco perch necessario che si ripeta ancora il convertitevi contro le opzioni negative e perverse
che albergano nellinterno della nostra coscienza, il groviglio di vipere, che in noi.
Per dallaltra parte, ecco laltro elemento, la fede, cio labbandono gioioso, totale, radicale al Dio
che ti stende la mano con la grazia.

Per usare unimmagine che io ho usato, anche qualcuno di voi mi segue nei miei scritti, che ho
usato commentando la lettera ai cristiani di Roma, una lettera difficile, se dobbiamo rappresentare il
rapporto karis pistis, grazia e fede, potremmo immaginare cos: luomo, che sulle sabbie mobili
della storia, della sua esistenza, della sua fragilit, del suo limite, della sua finitudine, della sua
colpevolezza, che crede di auto salvarsi, alzando le braccia, come fa spontaneamente chi in una
palude.
Crede di salvarsi alzando le braccia mentre, in realt, sprofonda di pi agitandosi.
E questo quello che Paolo chiama nous, lautosalvazione, salvarci da soli.
Le opere sono fondamentali abbiamo detto, ma il primato soprattutto al credere, ad afferrare
quella mano, quelle braccia che ti vengono stese da chi su un luogo sicuro, su una rupe stabile,
cio Dio.
Ecco allora le due componenti della parola, il nostro annuncio, tra le mille considerazioni che
vorrei, fare, da un lato, continuamente, proclamare quelle che, dicevo, le verit ultime, la storia
della salvezza, la parola di Dio, ma dallaltra parte non ignorare che questa parola entra nel
penultimo, cio nelle realt penultime dellesistenza, della nostra storia.
Ecco la necessit della conversione, ecco la necessit della fede, come due lampade che
saccendono per la tenebra della nostra vita.
Naturalmente questo annuncio, questa celebrazione della parola merita una piccola nota a margine,
prima di passare alla seconda parte della nostra riflessione, una piccola nota che vorrei fare, quasi in
calce.
Ges, voi lo sapete, stato un predicatore straordinario, dal punto di vista, permettete che lo dica,
dal punto di vista tecnico.
Tant vero che ancora noi oggi stiamo dandoci da fare, nel mio dicastero, per esempio, questanno
si dedicher in maniera particolare al problema del linguaggio e della comunicazione dal punto di
vista teorico.
Ancora tante volte si ritorna sempre a dire che il modello adottato da Lui, luso del simbolo, luso
della narrazione, luso dellincisivit, luso dellessenzialit sono componenti che purtroppo le
prediche nostre non hanno.
Cristo voi vedete parla di solito partendo dai piedi, non stando sopra le teste.
Parla dei semi, parla del terriccio, della moneta persa, dei pesci, delle famiglie con figli difficili, del
portiere di notte, del giudice corrotto.

Vedete parte proprio dalla concretezza, ma la sua una parola che sale, ascende al Regno dei cieli,
contiene quella duplice dimensione che ho detto, ma con questo aspetto di straordinaria potenza ed
efficacit, che nasce naturalmente anche dal suo cuore, che nasce dalla sua divinit, se volete, ma
anche dalla sua umanit, perch ha un suo stile.
Forse voi non ricordate, e chiudo questo discorso, questa prima parte, non ricordate quel passo che
c nel vangelo di Giovanni al capitolo 7, quando un giorno, dice Giovanni, i sacerdoti e gli scribi
decisero di mandare la loro polizia privata, le guardie che avevano nel tempio, per arrestare Ges.
Questa gente va, questi poliziotti vanno e poi tornano e ancora tra le mani non hanno Ges.
Allora il sacerdote si domanda ma perch non ce lo avete condotto?.
E questa gente semplice come risponde? Mai un uomo ha parlato come parla questuomo.
Vedete la parola che inquieta e che impressiona e che consola.
Ecco la nostra parola deve almeno modellarsi, deve almeno avere come riferimento.
Per questo che quando voi salite a questo stesso ambone dovete andare dopo aver fatto un percorso
profondo di preparazione, di attenzione, di sensibilit, non considerarlo come un aspetto marginale
e secondario del ministero pastorale.
Rispetto alle tante altre attivit, uno dei ministeri principali.
Mi raccontava la figlia di Gerard von Rad, molti di voi almeno, ai miei tempi quando insegnavo in
seminario a Milano costringevo tutti gli studenti di teologia a leggere e a preparare per gli esami, tra
laltro come lettura propria, La teologia dellantico testamento di Gerard von Rad, questo grande
specialista che era anche, quando dette le dimissioni dallinsegnamento, si mise a fare il pastore
nella chiesa della cappella universitaria di Gttingen.
Ebbene, la sua figlia diceva, mi diceva, che quando in questi ultimi anni faceva questo passava tutta
la settimana, era sempre tormentato, per preparare il sermone domenicale, lui che sapeva cos la
Bibbia, che conosceva, ma aveva la consapevolezza, anche da protestante, se volete, per questo
un aspetto che dobbiamo assumere tutti dellimportanza e del rilievo di questo momento.
Seconda ed ultima considerazione.
Ho detto, sarei stato un po disteso con voi, anche direi nellaspetto dellamicizia, una assemblea di
cui condivido appunto anche molti ideali, oltre che la vocazione.
Secondo aspetto, secondo aspetto le mani di Ges.

E qui ci aiuta la prima lettura, perch come avete sentito la prima lettura squisitamente la lettura
una piccola parabola, se volete, una piccola storia di sofferenza.
Infatti se vedete, guardate, prendiamo solo le parole terminali.
Questa persona infelice perch non pu avere un figlio, sapendo che in Israele, in oriente, se tu non
avevi un figlio, una donna era come un ramo secco, non serviva a nulla.
Aveva la rivale, per di pi prolifica, la quale laffliggeva con durezza a causa della sua umiliazione
e ancora, si diceva, quando andavano nel tempio quella la mortificava.
E Anna si mette a piangere, non vuole mangiare e suo marito le dice Ma perch piangi? Perch non
mangi? Perch triste il tuo cuore?.
Cio le domande tipiche che si rivolgono a chi nel dolore.
Ecco allora il secondo elemento: le nostre mani.
E qui in particolare la vostra vocazione, ma io direi che dovrebbe essere la vocazione di tutti i
presbiteri, di tutti coloro che vivono la funzione di ministri di Dio, dellannuncio, cio le mani che
operano.
Guardate, se si guarda il Vangelo di Marco e si esclude il racconto della Passione e Morte, che gi
per tutto dedicato al tema del dolore e della sofferenza, e si prende il resto della vita pubblica di
Ges, il 47% rappresentato da guarigioni di persone che soffrono.
Ges ininterrottamente in contatto con quelli che sono malati nel cuore, tante volte, ma soprattutto
anche fisicamente.
Il dolore nella sua brutalit il paesaggio di Ges.
Per me emblematico lepisodio della guarigione del lebbroso che si legger nel Vangelo di Marco,
proprio in apertura.
Voi sapete la norma del Levitico: il lebbroso da lontano doveva segnalare la sua presenza per tenere
lontano, per impedire che avvenisse quasi un inquinamento del male che portava dentro di s, che
era un male doppio, un male fisico e un male sociale, perch era anche scomunicato.
Quindi doveva segnalare: immondo, immondo.
Cristo che cosa fa? Non solo non si allontana, non solo gli va incontro, ma gli va di fronte.
Lo tocc e gli disse Lo voglio: sii guarito.
Lo tocc, vedete, assumere su di s la sofferenza del mondo.

E qui allora, io direi, c questo aspetto: noi dovremmo riservare nel nostro impegno pastorale, ma
avviene anche cos normalmente, devo dire, dobbiamo riservare pi spazio, lo spazio primo,
fondamentale, a tutto questo respiro di dolore che sale dalla terra verso il cielo.
un respiro ininterrotto e, devo dire, che quest forse una, certo non dimentichiamo la funzione
precedente, ma una delle funzioni capitali del nostro ministero, perch la gente soprattutto.
Ormai non ha pi nessuno che ascolti il suo lamento, il suo dolore.
Ha bisogno di ritrovare ancora questo approdo.
Io mi sono impressionato, adesso sono stato, sono ritornato per il periodo delle ferie natalizie, son
tornato al mio paese dorigine, non propriamente di nascita, ma dove abitano le mie sorelle.
Sono stato l e la gente che mi vedeva, che mi conosceva da tanti anni, perch io quando ero in
seminario andavo l il sabato e la domenica a fare io ministero pastorale, e mi fermavano per strada
perch, essendo una figura un po nota per loro, quindi quasi vogliono qualcosa.
Per limpressione che ho avuto questa: che tutti, beh prima mi fermano, hanno un po di rispetto
perch sono a Roma, eccetera, per dopo subito cominciano a raccontarti le disgrazie che hanno.
Nientaltro mi raccontano.
Non che c qualcosa che va bene o qualcosa che possa incuriosirmi sulla vita di un villaggio.
il loro dolore ed per questo che il dolore diventa, come ha fatto Cristo, la componente
fondamentale dellincontro e anche la componente fondamentale del nostro annuncio.
Questo annuncio, questaltro volto del nostro annuncio, un annuncio concreto, con le mani,
comporta almeno, anche in questo caso, tra le molte considerazioni, due dimensioni.
Da una parte il dolore, la Bibbia lo testimonia, ne siete tutti consapevoli.
Tutte le religioni pi o meno lo testimoniano.
un mistero di oscurit, un mistero di scandalo.
Cristo stesso grida, certe volte.
C quella famosa espressione del Vangelo di Marco.
A un certo momento di fronte a un malato orghisteis, sadira, si sdegna.
Quante volte anche noi vedendo certe sofferenze assurde, impossibili, tragiche, siamo presi da quel
moto di ribellione, che forse neppure ha colui che sta soffrendo.
Ecco quindi questa dimensione di oscurit.

Pensate che cosa Giobbe, la Bibbia, pensate al fatto che un terzo dei Salmi tutto fatto di lamenti,
di suppliche.
Fino a quando Signore? Perch te ne stai a guardare? Perch oh Signore? Oppure il racconto,
persino, non so, la febbre, le ossa che mi tremano, la disappetenza, il cibo mi sembra cenere, il
lamento delluomo che soffre.
Con il mistero di questo e noi dobbiamo accostarci a questo mistero non con spiegazioni di seconda
mano.
Dobbiamo in quel momento accostarci, io credo, soltanto col silenzio e lascolto, con la vicinanza
autentica, quella vicinanza che fa capire che in qualche modo tu partecipi della sua domanda e della
sua interrogazione, che senza risposta.
Noi sappiamo che nellinterno della storia dellumanit, ininterrottamente dalle origini, la teologia
sorta come teodicea, cio il tentativo di giustificare Dio a causa del male.
Perch era lobiezione fondamentale contro Dio.
per questo che un mistero, detto di oscurit, una cittadella oscura.
Ma ecco laltro volto, laltra dimensione.
C anche un altro aspetto ed un mistero di luce.
E qui c lannuncio cristiano soprattutto.
Certo tutte le religioni hanno parole, hanno squarci aperti nel mistero della sofferenza, perch si
riesca a viverle sapendo che tu non sei solo, che Dio comunque ha un progetto pi grande.
Il discorso di Giobbe.
C un disegno pi grande nel quale anche questo dolore, che ti fa col tuo cervello, ribellione,
ragione soltanto di ribellione, viene invece nellinterno di questo pi grande disegno viene
collocato, ma soprattutto c lannuncio cristiano.
Lannuncio cristiano che Dio stesso ha deciso di assumere, di entrare nellinterno del suo
antipodo, la creatura.
Il Dio che si fa creatura, che si fa cio limitato, finito, caduco, sofferente, mortale.
Guardate un po il racconto della passione, dove tutta la gamma intera della sofferenza attraversata
da Cristo.
Sofferenza personale, psichica, la paura della morte.

Padre se possibile passi da me questo calice e poi il tradimento degli amici, la solitudine, altra
forma di dolore.
Il dolore interiore e poi il dolore fisico, fino a questa morte, cos cruda, cos macabra.
E ancora il silenzio di Dio.
Dio mio, Dio mio, perch mi hai abbandonato? e poi la morte, che stando almeno al Vangelo di
Marco e di Matteo, una brutta morte.
Lanciato un forte urlo spir.
Un grido e poi il silenzio della morte, poi un cadavere, il Dio che attraversa, beve fino alla fine il
calice del dolore della morte.
Ma non cessa mai di essere Dio, anche quando un cadavere.
E l depone il seme delleterno e dellinfinito.
Il dolore e la morte sono stati attraversati da Dio.
Ed per questo che non sono pi roba nostra soltanto, cosa nostra, peso nostro, esperienza
squisitamente umana.
Ed ecco perch ha significato la Pasqua.
Ed ecco perch Luca e Giovanni descrivono la morte di Cristo gi come trasfigurata.
Perch il figlio di Dio manifesta gi il mistero di luce, di redenzione.
Questa esperienza cristiana unesperienza che noi ininterrottamente dobbiamo annunciare.
Questa era la lunga riflessione che ho voluto fare con voi attorno alla parola di Dio, che abbiamo
ascoltato, attorno a queste due componenti.
Da un lato la parola e dallaltro le nostre mani.
Lannuncio e, dallaltra parte lannuncio con le due dimensioni che ricordavamo.
E dallaltra parte invece questo impegno di entrare nelle strade del mondo e di riservare, anche nelle
nostre chiese, se volete, le prime panche, ideali, simboliche, ai sofferenti.
Il primo oggetto la sofferenza, la grande carta di identit dellumanit anche quando
apparentemente sembra essere sorridente.
L noi siamo per condividere loscurit.
L noi siamo per svelare la luminosit del mistero dellessere uomini e donne sofferenti.

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