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LA TEOLOGIA DEL CORPO E IL CONTRIBUTO DI GIOVANNI PAOLO II

Pubblichiamo la Lectio magistralis pronunciata dal Vescovo Jean Laffitte, Segretario


del Pontificio Consiglio per la Famiglia, nella Facoltà di Bioetica dell'Ateneo
Pontificio “Regina Apostolorum” di Roma, il 22 aprile.

***

Il corpo umano e i suoi significati

Vorrei incominciare questa mia relazione con una prima osservazione sul titolo
scelto: teologia del corpo. In verità l'espressione è paradossale. Il discorso su Dio, teo-
logia, si riferisce alla persona umana considerata nella sua totalità e non solo in una
dimensione del suo essere, qui, il corpo. Quindi quando si parla di teologia del corpo,
è necessario capire fin dall'inizio in quale accezione si intende la parola corpo. Si
tratta di tutta la persona umana considerata nella sua dimensione corporea.
Parliamo così di un corpo animato, i cui fenomeni possono essere studiati nel
campo di varie scienze: fisiologia, anatomia, tutti i settori delle scienze biomediche.
Non è in questo senso ristretto fisiologico che la parola corpo deve essere intesa
nella nostra prospettiva. Infatti, il corpo umano ha altri significati. Nella misura in
cui rende presente e visibile tutta la persona umana, è portatore di valori simbolici:
il corpo è la modalità in cui la persona è resa presente. Ogni persona si dà da
contemplare nel suo corpo; il corpo è unico, singolare, personale. È certamente una
realtà carnale. Tuttavia, è animato non al modo con cui un robot sarebbe animato
da movimenti meccanici e stereotipati, ma in un modo tale da essere subito
identificato come corpo di questa persona precisa. In questo senso, tutti i corpi sono
diversi, perchè diverse sono le persone.

Se ci vogliamo limitare all'antropologia di San Paolo, come la troviamo espressa per


esempio nella prima lettera ai Tessalonicesi dove l’Apostolo si riferisce all'uomo
tutto intero spirito, anima e corpo (1 Ts 5,23), vediamo che una realtà invisibile,
indicata dai due termini anima e spirito, sui quali diremo poi una parola, è
completata da un dato materiale, visibile, espresso dalla parola corpo. Come l'ha
fatto giustamente osservare Denis Biju-Duval1 questa antropologia non si oppone
alla classica distinzione anima e corpo, più familiare agli spiriti occidentali.
Secondo questo autore, la difficoltà di chi oppone le due antropologie proviene dal
modo con cui si cerca di ontologizzare i termini semitici, sostantivando gli aggettivi
biblici corrispondenti: lo spirituale, lo psichico. Le realtà spirituale e psichica
rimandano all'interiorità dell'uomo, al cuore, luogo simbolico sia della decisione
(spirituale) sia dei sentimenti e dell'affettività (psichica). L'interiorità dell'uomo si
comprende solo nella tensione con la sua esteriorità. La carne esprime ciò che in
qualche modo capita nel cuore dell'uomo. È talmente vero che, per designare la
realtà interiore dell'uomo, si usa spesso simboli ed immagini ispirate all'esteriorità
(oltre al linguaggio spaziale come per il binomio interiore-esteriore, troviamo
elementi organici, il cuore, l'aria pura, le viscere, o ancora elementi naturali, parlando
del cuore come di una terra fertile o sterile come di un tempio, di una casa, ecc..).

Oltre a questa funzione di rivelare qualcosa di nascosto, il corpo possiede il ruolo di


mediare tra l'uomo e il mondo. Esiste una certa ambiguità del corpo nella misura in
cui si trova per così dire a metà strada tra un oggetto subito (Körper) e un fatto
assunto (Leib), tra se vogliamo l'avere e l'essere: ho un corpo che mi causa sofferenza
o piacere, ma al contempo sono un corpo in tal modo che chi attacca e ferisce il mio
corpo attacca e ferisce tutta la mia persona. Sono il mio corpo. Il mio corpo esige
naturalmente rispetto.

Mi sembra che le distinzioni fatte aiutano a capire come la parola corpo sia una
realtà complessa. Rimane adesso da dire qualcosa su l'altro termine del nostro titolo
teologia.

Il corpo ha una valenza teologica per tre motivi fondamentali:

- il primo è il fatto che è stato voluto da Dio e creato da lui. Questa osservazione
implica necessariamente che è portatore di alcune finalità intrinseche.

- Il secondo motivo è che Dio ha scelto il corpo umano come mediazione per
rivelarsi agli uomini: è il dato dell'Incarnazione. Il Verbo si è fatto carne.

- A questi due elementi, Creazione e Incarnazione, si deve aggiungere un terzo, la


Risurrezione, che riguarda il destino finale del corpo umano; è un dato che specifica
la fede cristiana: la resurrezione dei corpi. Nonostante la sua crescita, le sue
sofferenze, il suo invecchiamento fino alla morte naturale e la sua decomposizione
organica, il corpo umano è destinato a risorgere. In una visione di fede, questo dato
è stato accreditato dall'evento storico fondamentale che è stato la risurrezione di
Gesù dai morti. È sulla base di tale evento che il cristiano crede davvero che ci sarà
una resurrezione dei morti; un evento fondamentale per lui e per tutti gli uomini
che saranno integrati alla forza del Risorto. Potremmo in un altro luogo
approfondire il fatto che la risurrezione del corpo, lungi da essere una credenza
irrazionale, si fonda al contrario sull'eminente coerenza della fede, espressa in
questo campo dalla comunanza di destino tra il corpo di ogni battezzato e il corpo
del Signore risorto.

È impossibile fondare una teologia del corpo senza integrare la certezza della
risurrezione. Ci aiuta in questo senso il testo essenziale di San Paolo nella prima
lettera ai Corinzi: Il corpo poi non è per l'impudicizia ma per il Signore, e il Signore è per
il corpo. Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza (1
Cor 6, 13-14). Nel contesto di un insegnamento su l'uso sbagliato e peccaminoso del
corpo che è la fornicazione, l'Apostolo trae le conseguenze morali in questo modo:
Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo
e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai! O non sapete voi che chi si unisce alla
prostituta forma con essa un corpo solo? I due saranno, è detto, un corpo solo. Ma chi si
unisce al Signore forma con lui un solo spirito (1 Cr 6, 15-17). In verità, per essere
completi, dovremmo prolungare la lettura di San Paolo, in particolare ricordare
queste due idee secondo le quali il corpo è tempio dello Spirito Santo e poi
laffermazione che l'uomo non si appartiene più, dal momento che è stato comprato a
caro prezzo dal Signore. Il caro prezzo è stato quello del Calvario, della Passione e
della morte di Gesù sul legno della croce.

Per riassumere in poche parole questi fondamenti della teologia del corpo, è
necessario non trascurare nessuno degli elementi appena evocati: creazione
dell'uomo da Dio e quindi creazione del suo proprio corpo, assunzione del corpo
umano dal Figlio eterno del padre, risurrezione di Gesù e risurrezione degli uomini
nella sua persona, presenza dello Spirito di Dio come in un tempio, dando al corpo
umano una eccelsa dignità.

Elementi strutturali della Teologia del corpo in Giovanni Paolo II

È solo a questa luce della fede cristiana che si può entrare nella comprensione della
Teologia del corpo di Giovanni Paolo II. Come si sa, la Teologia del corpo designa il
contenuto delle 129 Catechesi sull'amore umano che il Papa ha pronunciato dal 1979
al 1984 in occasione delle udienze pubbliche del mercoledì. Conoscete tutti almeno
parte di questi testi che personalmente ritengo un apporto fondamentale del
Magistero ordinario del pontefice polacco, e di cui sono convinto che siamo ancora
solo all'inizio della diffusione.

La fecondità delle Catechesi proviene dal fatto che, non solo integrano l'insieme
dell'approccio biblico e magisteriale tradizionale della Chiesa, ciò che abbiamo già
provato a mostrare brevemente all'inizio di questa conversazione, ma
esplicitandolo in un modo straordinariamente originale. L'originalità sta nel modo
di presentare il contenuto della fede sulla persona umana, nel dinamismo proprio
del soggetto. In questo modo, l’uditore o il lettore si sente personalmente
impegnato in questa visione che prende un carattere esistenziale forte. Questa mi
sembra una chiave centrale per capire la novità dell'apporto di Giovanni Paolo II.
Vorrei fare alcuni esempi:

a) la solitudine originaria
La prima parte è dedicata in modo classico alla lettura dei due racconti della
creazione dell'uomo e della donna nei primi capitoli del libro della Genesi:1, 26-27.
E Dio disse: facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza... Dio creò l'uomo a
sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò (Gen 1,26-27)". Il
secondo racconto (Gen 2, 18-25) mostra la creazione della donna a partire dalla
costola di Adamo e l'accettazione da quest'ultimo del dono del creatore: questa volta
essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. Da queste fonti tradizionali, il Papa
non teme di proporre una lettura di tipo filosofico: usa un concetto normalmente
psicologico, la solitudine, e lo trasforma in una realtà ontologica di creazione. Nasce
così la geniale espressione solitudine originaria che definisce lo stato oggettivo nel
quale fu creato il primo uomo, Adamo, che è pienamente realizzato nella sua
umanità quando a lui viene offerto un aiuto a lui simile. Il secondo racconto presenta
a questa luce l'uomo sotto l'aspetto della sua soggettività.

Il primo rapporto che sperimenta l'uomo è la sua relazione a Dio che l'ha creato
direttamente a partire dall'argilla. È da Dio che riceve l'ordine di non gustare il
frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male. Quindi, questo legame di
dipendenza fondamentale da Dio fa capire la condizione etica dell'uomo, che si
trova per la prima volta davanti a una scelta morale: ubbidire o disubbidire.

La solitudine originaria suggerisce l'attesa dell'uomo di questo aiuto a lui simile, ciò
che consente di integrare in modo coerente il fondamentale desiderio che l'uomo ha
di essere unito ad una donna. Viene integrata così tutta la dimensione del desiderio
e della sua espressione sessuale: ormai i due faranno una sola carne.

La solitudine ha due significati essenziali: l'uomo si scopre diverso da tutto il


mondo che lo circonda e sperimenta la specificità del suo essere nei confronti di
tutte le creature.

Il secondo significato interessa di più il nostro proposito. È al rapporto maschio-


femmina che si riferisce Giovanni Paolo II quando parla di solitudine originaria:
l'uomo fa l'esperienza dei propri limiti simboleggiati dai confini naturali del
proprio corpo. La contemplazione del corpo della donna lo introduce in
un'esperienza singolare, quella della bellezza del corpo. Attraverso questa
mediazione che coinvolge tutta la sua natura, egli fa in un modo ancora più
fondamentale l'esperienza della comunione. Come vediamo, il corpo serve anche a
scoprire, attraverso l'ambiguità del desiderio, la vocazione profonda dell'uomo e
della donna alla comunione.

b) la communio personarum

Un altro esempio è quello della comunione di persone (communio personarum). La


comunione rappresenta anche un dato di esperienza personale: essere in
comunione con Dio, essere in comunione con l'altro. La seconda originalità di
Giovanni Paolo II è di avere visto nella comunione di persone un dato creaturale
che è stato perfettamente illustrato da un testo magisteriale: Mulieris Dignitatem. Mi
riferisco ai primi numeri della lettera apostolica. Cito: Il fatto che l'uomo, creato come
uomo e donna, sia immagine di Dio non significa solo che ciascuno di loro individualmente
è simile a Dio, come essere razionale e libero. Significa anche che l'uomo e la donna, creati
come "unità dei due" nella comune umanità, sono chiamati a vivere una comunione
d'amore e, in tal modo, a rispecchiare nel mondo la comunione d'amore che è in Dio, per la
quale le tre Persone si amano, nell'intimo mistero dell'unica vita divina". In questo testo,
in realtà, troviamo un eco di ciò che Giovanni Paolo II aveva introdotto in una delle
Catechesi, procedendo a un'estensione straordinaria del concetto tradizionale di
immagine di Dio. Egli infatti aveva scritto con audacia che: l'uomo diventa immagine di
Dio non tanto nel momento della solitudine quanto nel momento della comunione". Fin
dall'inizio, infatti, non era solo l'immagine nella quale rifletteva la solitudine di una
Persona che governa il mondo, ma anche, ed essenzialmente, l'immagine di una divina ed
imperscrutabile comunione di Persone"2.

L'implicazione di questa visione consente a Giovanni Paolo II di mettere in rilievo


la complementarietà sessuale, nella misura in cui, essa esprime proprio la
comunione di persone come dato originario. L'assoluta novità della Teologia del
Corpo, qui, proviene dal fatto che, nell'atto creativo dell'uomo da parte di Dio, è
iscritta in questo modo la corporeità dell'uomo e della donna come una chiamata
alla comunione.

Mi sia permesso di invitarvi a riflettere sulla tendenza che esiste oggi, ad


abbandonare il criterio assoluto della comunione per cogliere il vero senso della
sessualità; esiste, infatti, un nesso tra questa tendenza e l’odierna ideologia che
consiste nel trascurare la diversità sessuale attraverso la negazione esplicita della
mascolinità e della femminilità. Mi riferisco all'ideologia del gender, la quale non ha
altra scelta che una riduzione miserabile del mistero della sessualità umana a un
dato meramente culturale, il quale fonderebbe il carattere indifferenziato delle
scelte di comportamento nel campo sessuale. È interessante notare che questa
visione ideologica si accompagna ad una mancanza di speranza nella capacità
dell'uomo e della donna di vivere per sempre una comunione di persone nella sua
forma coniugale, ciò che suppone d'evidenza la decisione di rispettarne i due
caratteri essenziali di unità e indissolubilità.

c) il desiderio e la scoperta della dimensione sponsale del corpo:

Ho parlato di ambiguità del desiderio nel senso che, nella sua struttura, il desiderio
sessuale, come lo mostreranno alcune Catechesi, contiene insieme una dimensione
gratificante che mira alla dilatazione del proprio essere nell'unione dell'uomo con la
donna o della donna con l'uomo, ma anche un certo pathos, una sofferenza di chi
sperimenta che non può dare a se stesso una gioia che solo la comunione con l'altro
(o l'altra) può suscitare.

La ricchezza di un tale approccio mi sembra evidente. Osserviamo che trova la sua


origine in una lunga contemplazione da parte del filosofo Karol Wojtyla del
fenomeno dell'amore, nonché di un suo approfondimento della sua espressione
coniugale nel mistero della sessualità. Una lettura delle sue opere filosofiche e
antropologiche, per esempio, Amore e Responsabilità, Persona e Atto, i numerosi
articoli pubblicati in Polonia di cui abbiamo da alcuni anni la traduzione in lingua
italiana, manifesta l'influsso di vari autori appartenenti alle correnti
fenomenologiche e personalistiche. Non è possibile sviluppare qui ciò che il filosofo
Karol Wojtyla deve a ciascuno di questi autori di cui possiamo soltanto citare i
principali: Edmund Husserl, Max Scheler, Edith Stein, Dietrich von Hildebrand.

Il desiderio manifesta un valore inscritto nel corpo: la sua dimensione sponsale. Il


corpo è orientato al dono della persona. Secondo le parole stesse del Papa3: il corpo
esprime la femminilità per la mascolinità e viceversa la mascolinità per la femminilità,
manifesta la reciprocità e la comunione delle persone. Proprio nell’Amore la persona
diventa dono. Giovanni Paolo II si ispira all’antropologia sviluppata nella
Costituzione pastorale Gaudium et Spes per la quale l’uomo come persona, creatura che
Dio ha voluto per se stessa, non può ritrovarsi pienamente se non mediante il dono di sé4.

L’uomo puro di cuore scopre il significato sponsale del proprio corpo orientato
verso il dono di tutta la persona e il ricevimento di tutta la persona dell’altra.
L’amore presuppone questo doppio movimento, in una reciprocità del dono che i
due coniugi fanno di sé all’altro (altra). Questo implica che i due siano giunti alla
coscienza del significato del corpo. Il rispetto del significato del corpo segna un
ethos del dono che consente ai vari dinamismi della persona di essere integrati.

d) il carattere concreto dell’esperienza

Vorrei approfittare di questa osservazione per darvi un'altra criterio essenziale


della Teologia del corpo secondo Giovanni Paolo II, perchè gli consente di evitare
fin dall'inizio ogni rischio di ideologia: si tratta del suo concetto di esperienza. Lungi
dall'essere ridotta all'osservazione di fenomeni scientificamente osservabili,
l'esperienza dell'amore non trascura alcuna delle dimensioni del vissuto umano.
Tutti gli elementi dell'umana percezione e dei dinamismi volitivi dell'uomo sono
presenti, oltre alla sua capacità di entrare in relazione con Dio. La comunione di
persone secondo le Catechesi non si accontenta di usare l'apporto del personalismo
di Martin Buber o di Max Scheler, ma ne dà la vera portata trascendente, dopo
averne identificato la fonte in Dio: essere in comunione significa essere uniti a Dio
fonte e fine di ogni autentica comunione umana. L'esperienza è un vissuto (un
Erlebnis), il che significa a questa luce che Dio non è estraneo all'esperienza: l'uomo
e la donna sperimentano la presenza e l'azione di Dio e Dio dà a loro la capacità di
vivere una comunione di persone che diventa mediazione dell'assoluto e cammino
verso di lui. E' in questo senso che la comunione di persone è una vocazione e
consente a chi ama davvero di santificarsi. In altre parole, di crescere nella
comunione con Dio.

Faccio volentieri osservare che l'approccio delle Catechesi non è moralistico o


volontaristico, ma si tratta di un approccio autenticamente mistico, nel senso che è
concentrato sul mistero inafferrabile dell'unione tra Dio e l'uomo nel quale si
inserisce la relazione nuziale uomo donna.

È questa relazione nuziale tra i coniugi che è il luogo della presenza di Cristo. La
riflessione di Giovanni Paolo II sulla sessualità ha sempre avuto una prospettiva
cristologica. Cristo è fonte e modello dei rapporti tra i coniugi. Il mistero nuziale
d'amore tra Cristo Sposo e la Chiesa Sposa fonda il mistero del matrimonio
cristiano. In una visione di fede, la comunione d'amore e di vita tra i coniugi ha
come missione propria, di natura profetica, di significare e di rendere attuale
l'unione tra Cristo e la sua Chiesa. Dobbiamo riflettere sul modo con cui la Chiesa è
veramente una comunione di vita e di amore. Da una parte, è all'interno della
Chiesa che viene trasmessa la vita eterna, dal momento che essa è resa feconda dal
dono dello Spirito Santo. Dall'altra, la Chiesa è essenzialmente una comunione
d'amore, nella misura in cui è l'amore infinito che l'ha fatto nascere dal costato
trafitto del Redentore. E' interessante osservare che negli autori sacri e nella grande
tradizione dei Padri, l'unione tra Dio e la Chiesa è sempre stata descritta in termini
ispirati all'amore nuziale. Per esempio, nel contesto di un insegnamento coniugale,
Paolo si riferisce al modello di Cristo che si prende cura della sua Chiesa. La Chiesa
si nutre dell'attesa escatologica di essere eternamente unita al suo Signore. In
questo modo l'unione tra Cristo e la Chiesa appare come la celebrazione delle nozze
eterne dell'Agnello. L'analogia tra l'amore del Signore per la Chiesa e dell'amore
dello sposo per la sua sposa è, in san Paolo, una pietra miliare della teologia
cristiana del matrimonio. Tuttavia, anche in questo campo della sacramentaria,
l'apporto della Teologia del corpo di Giovanni Paolo II è molto originale. Parte dal
legame che unisce corpo e sacramento. Come si sa, appartiene ad ogni sacramento
di supporre una realtà corporale: il sacramento è segno di qualcosa, è una realtà
visibile che rimanda ad un'altra realtà nascosta. Il Papa medita sulla lettera ai
Efesini. Osserva che la realtà invisibile che deve essere significata è la carità di
Cristo, il suo amore infinito. Ora, quale è il segno visibile dell'amore di Cristo se
non il suo corpo morto e risorto? Il corpo morto sulla Croce può essere interpretato
senza difficoltà come la conseguenza dell'amore di chi ha offerto la propria vita per
la salvezza del mondo. Tuttavia il fatto che lo stesso corpo sia risorto mostra che è
anche sacramento dell'amore del Padre, dal momento che è al Padre che il Figlio si
è offerto in sacrificio. La risurrezione di Gesù attesta che la sua preghiera al Padre è
stata esaudita.

Il mistero ecclesiale dell'amore degli sposi può essere prolungato, come lo fa


Giovanni Paolo II, in una direzione eucaristica. San Paolo ricorda il dovere dei
mariti di amare le mogli come il proprio corpo. Facendo in questo modo, lo sposo
che ama la propria moglie ama se stesso, nutre la propria carne e, come dice
l'Apostolo, la cura come fa Cristo per la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per
questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua donna e i due formeranno una
carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento in Cristo e alla Chiesa.

Nel senso proprio, la parola corpo indica il corpo sessuato dell'uomo e della donna
che consente loro, unendosi, di fare una caro. È in senso metaforico che la Chiesa è
detta Corpo di Cristo. Questo suggerisce il legame profondo che unisce tutti gli
uomini al Figlio di Dio. Abbiamo già evocato come l'unione sessuale tra l'uomo e la
donna debba essere intesa come il dono reciproco che ciascuno dei due fa all'altro.
Tuttavia la frase paolina secondo la quale nessuno ha preso in odio la propria carne; al
contrario la nutre e la cura, contiene un riferimento implicito all'Eucaristia: è con il
proprio corpo che Cristo nutre la Chiesa. Il Papa osserva che l'analogia tra il
rapporto uomo-donna e la relazione Cristo-Chiesa contribuisce ad illuminare il
mistero divino, nel senso che ci insegna qualcosa sull'amore reciproco che unisce
Cristo alla Chiesa. Nel contempo, però, ci insegna anche la verità essenziale del
matrimonio, la cui vocazione consiste nel riflettere il dono di Cristo alla Chiesa
insieme all'amore della Chiesa per Cristo. Se il sacramento ha come finalità di
esprimere questo mistero divino, dobbiamo ammettere che non potrà mai farlo
completamente. Il mistero infatti eccede sempre il sacramento. Ma Giovanni Paolo
II completa la sua analisi con l'osservazione secondo la quale il sacramento in realtà
va oltre il significato. Non si accontenta di proclamare il mistero in modo
significativo; il sacramento è destinato a realizzarlo nell'uomo. E così, in virtù del
battesimo degli sposi, la loro intima comunione di vita e d'amore fondata dal
Creatore come ha mostrato Giovanni Paolo II, è elevata e assunta nella carità
nuziale di Cristo che la sostiene con la sua forza di redenzione.

È certamente la luce della Redenzione che consente al Papa di dare alla Teologia del
corpo la sua dimensione più profonda. Il centro dell'attenzione si volge, qui, verso
l'Ultima Cena. Nel momento della più intensa comunione con i suoi discepoli, Gesù
anticipa la libera offerta che egli farà di se. Non solo afferma che il pane e il vino
che dà loro da mangiare e da bere, sono il suo corpo suo sangue, ma ne esprime il
valore di sacrificio rendendolo sacramentalmente presente. Il corpo tradito e il
sangue versato ormai non hanno solo il significato di un simbolo: sono offerti come
cibo e bevanda ai discepoli che, uniti a Gesù è tra di loro, si uniscono corporalmente
a lui. Essere unito corporalmente a Cristo vuole dire associato al suo sacrificio
redentore. L'unità nella carità è richiesta per ricevere degnamente ed efficacemente
il Corpo e il Sangue di Cristo. Questo dono è fatto a tutta la Chiesa Sposa di Cristo.
Il Papa mostra così che l'essenza dell'eucaristia è nuziale, perché è il dono che lo
Sposo fa alla sua Sposa e che la Sposa accoglie nella fede.

Potete senza sforzo immaginare l'interesse di questo sviluppo per una autentica
spiritualità coniugale. Indico solo alcune vie di esplorazione: l'eucaristia rinforza è
rigenera la comunione fra gli sposi; essa rivela agli sposi cristiani la vera identità
eucaristica del matrimonio; è in qualche modo memoria del dono che gli sposi si
sono fatti l'uno all'altra; la luce eucaristica consente inoltre di pensare l'unione degli
sposi nella sua giusta dimensione di donazione totale, aperta a una fecondità che la
trascende.

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1) Biju-Duval D.; La profondità del cuore. Tra psichico e spirituale (Prefazione J.


Laffitte), Effatà Editrice, Cantalupa (To) 2009, pp. 29-41

2) GIOVANNI PAOLO II, Catechesi XIX, Ibid., pp.91.

3) Giovanni Paolo II, Catechesi XIV, XV e XVI, in Uomo e Donna lo creò, Catechesi
sull’amore umano, Città Nuova Editrice-Libreria Editrice Vaticana, Roma 1985, pp
74- 83

4) Ibid., p 80.

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