Gianfranco Ravasi
f136
Immortalit e resurrezione
che presto allegheremo - ha intrecciato nefes, rah, e basar, corrispondenti nell'accezione comune rispettivamente ad anima,
spirito, carne.2 Per le voci di dizionario, d'obbligo riferirsi alla
sterminata trattazione psych del Grande Lessico del Nuovo Testamento, che occupa 160 colonne e coinvolge cinque esegeti di indubbio prestigio.3 Gli esiti, comunque, sono analoghi e vengono
solitamente siglati con una locuzione divenuta ormai popolare
anche nei testi divulgativi: la Bibbia presenta un'unit psicofisica che non ammette le ben note distinzioni pi o meno dualistiche della tradizione greca tra anima e corpo.
Per ricorrere a una formulazione pi articolata, citiamo qualche riga della famosa Semantica del linguaggio biblico di James
Barr: Secondo il pensiero greco, nell'uomo vi dicotomia:
un'anima immateriale imprigionata o confinata in un corpo
mortale; i due elementi sono in rapporto reciproco solo in maniera temporanea e accidentale. Secondo il pensiero ebraico,
l'anima non altro che la persona umana in quanto vivente nella sua carne. Anima e carne non sono fra di loro separabili, ma
questa la manifestazione esterna e visibile dell'altra. Non c'
pertanto nel mondo ebraico alcuna idea dell'anima che possa vivere indipendentemente dal corpo.4 In sintesi, ci che l'antropologia biblica offre la rappresentazione dell'essere vivente
nella sua totalit e non l'anima, come separata e distinta dal corpo.5 Di questa concezione era consapevole anche uno scrittore
come Charles Pguy quando, nel suo Vronique. Dialogo della storia
e dell'anima carnale (si noti l'ossimoro) del 1909, invitava a ritrovare quel legame incredibile dello spirito con la materia, dello
spirito col corpo, dell'anima con la carne, quell'incredibile legame dell'anima carnale.6
, dunque, agevole partire da una base esegetica cos omogenea per inoltrarci nel mare dell'anima secondo le Scritture. Tuttavia - ed questa l'altra faccia del problema - la realt si presenta
ben pi complessa e intricata. L'assenza di fratture tra anima e
corporeit non semplifica le cose ma le complica. Vorremmo, un
po' pi a lungo, soffermarci proprio su questa paradossale complessit che nasce da una semplicit e chiarezza di base. Prima di
tutto dobbiamo riconoscere che, estrinsecamente, questa visione
sim-bolica unitaria non ha inciso seriamente nella successiva
tradizione giudaica e cristiana. Non ci ovviamente possibile documentare questo fenomeno se non con qualche esempio molto
137
138
Immortalit e resurrezione
altrettanto lapidarie: La terra conserva la carne e le ossa del giovane amato - si legge in una di esse -, la sua anima se n' andata
per essere ospitata nel talamo dei beati.
Ma la complessit della questione , in realt, gi nel punto di
partenza, nella fonte biblica disattesa dalla tradizione. Infatti, il
ricorso al termine nefes per designare l'anima secondo la Bibbia
insufficiente e problematico. Se noi consideriamo la ricchezza
delle connotazioni ma soprattutto dei contenuti e delle funzioni
che la cultura occidentale ha attribuito nei secoli alla categoria
anima, evidente che noi non possiamo attestarci nell'unico
vocabolo nefes che, come vedremo, per di pi molto fluido e variegato a livello semantico. Dovremmo allegare, per le connessioni che essi rivelano col tema, altri vocaboli di forte rilievo antropologico eppure sostanzialmente marginali ai fini del discorso
sull'anima secondo le nostre coordinate culturali. Cos, dev'essere coinvolto mah, spirito che la condizione della nefes e ne
regola la forza. Senza nefes un individuo muore, ma senza rah
una nefes non pi un'autentica nefes.w Detto in altri termini, la
rah un principio vitale, un'indispensabile energia vitale.
C' poi il lb, cuore, che - senza escludere l'aspetto emotivosentimentale - esprime in realt la coscienza, la ragione, la volont, la decisione, funzioni capitali che sono da noi correlate all'anima. Perci, nefes l'anima nella sintesi della sua totalit
come si manifesta, mentre il cuore l'anima nel suo valore intcriore.11 La stessa basar, carne, che cos collide con la psych
greca, in realt non che una specificazione della qualit esistenziale della persona nella finitudine: Non l'antitesi tra due
principi, ma tra la debolezza dell'uomo e la forza di Dio.12 Significativo al riguardo il parallelismo di Isaia 31,3: L'Egiziano
un uomo e non un Dio, / i suoi cavalli sono carne (basar) e non
spirito (mah) (cfr. Genesi 6,1-8). La stessa dichiarazione giovannea sul Logos che si fa sarx (1,14) va nella stessa direzione: l'Infinito e l'Eterno assumono lo statuto della contingenza, della spazialit e della temporalit. Paolo, che pare conoscere questa
accezione di sarx (Calati 2,20; Filippesi 1,22-24) - come vedremo andr oltre, aggiungendo al valore della finitudine quello della
colpevolezza (Romani 7,5.14; 8,12-13).
Nella linea della basar cos concepita, aliena perci dalla pura e
semplice materialit carnale, si comprende anche come una sequenza di organi apparentemente solo fisiologici debbano essere
139
140
Immortalit e resurrezione
141
142
Immortalit e resurrezione
chiaro come Wolff sposti l'accento verso quell'apertura dell'anima a Dio a cui sopra si accennava. Un altro studioso di antropologia biblica come A. Gelin si accontenta di ritenere che la
nefes sia il dinamismo stesso dell'essere vivente, cio l'essere vivente stesso, la persona.18 Meglio va con F.P. Fiorenza e J.B.
Metz che spingono verso l'idea che nefes significhi in un senso
traslato tutto l'uomo in quanto tendenza verso qualcosa.19 Infine G. Barbaglio richiama il dato di base su cui tutti concordano
ma lo declina con una nuova accentazione: Mentre noi diciamo
spontaneamente che l'uomo ha anima, carne, spirito, corpo, altrettanto non vale per gli scrittori biblici di cultura semitica, essendo vero ai loro occhi che l'uomo anima, carne, spirito, corpo,
cio rispettivamente essere vivente, soggetto mondano, caduco e
mortale, persona dotata di una scintilla divina vitale, io costitutivamente relazionato a Dio, agli altri e al mondo.20 appunto su
questa scintilla e su questa relazione costitutiva che noi ora
punteremo la nostra attenzione basandoci su un testo sufficientemente programmatico e, quindi, adatto a illustrare la particolarit dell'anima secondo la Bibbia, tenendo sullo sfondo una concezione, sia pure vaga, di essa secondo la cultura occidentale. In
tal modo sar possibile costruire una legittima comparazione,
priva di facili concordismi o di radicali discrasie o alternative.
143
con polvere (Jr) della terra ('dmh) e soffi nelle sue narici una
nismat-hajjm e l'uomo ('dm) divenne una nefes hajjah. La densit
del versetto evidente anche a causa dell'uso di una simbolica e
di un lessico antropologico molto accurato che noi ora ci accontenteremo di illustrare nel loro valore di base.
Come evidente, non si ha in questo testo la presenza della basar, la carne nel senso di limite e fragilit creaturale. Tuttavia il
ricorso alla simbolica della polvere, il rimando alla connessione
tra 'adam, uomo, e 'adamah, terra (la radice 'dm, presente anche nel nome di Edom, il primogenito di Isacco, evoca il color
ocra dell'argilla del suolo) e l'immagine plastica del vasaio (jsr)
ci riportano alla stessa concezione indicando nettamente la finitudine e la mortalit umana. L'uomo ha, perci, un legame costituzionale col creato, espresso attraverso questo simbolo che, tra
l'altro, ha le sue radici nella mitologia cosmologica dell'antico Vicino Oriente. L'immagine plastica per la creazione dell'uomo
frequente nell'Antico Testamento e ha talora variazioni suggestive, come quella nomadica del cacio plasmato nelle mani del
pastore o collegamenti con altre simboliche come quella tessile. Citiamo un solo esempio: Non mi hai colato come latte e fatto cagliare come cacio? Non mi hai rivestito di pelle e di carne,
non mi hai intessuto di ossa e di tendini? (Giobbe 10,10-11). Ci
che, per, ci preme far notare che il riferimento a Dio che, nella definizione della sua creatura, in azione anche per quanto riguarda la sua qualit esistenziale, la sua contingenza, la sua finitudine, rappresentata dal simbolo della polvere. Significativo ci
sembra un altro passo biblico, sempre di taglio sapienziale: Sei
tu che hai creato i miei reni, mi hai intessuto nel grembo di mia
madre. Ti ringrazio perch con atti prodigiosi mi hai fatto mirabile... Il mio scheletro non ti era nascosto quando fui plasmato nel
segreto, ricamato nelle profondit della terra. Anche l'embrione i
tuoi occhi l'hanno visto e nel tuo libro erano gi tutti scritti i giorni che furono formati quand'ancora non ne esisteva uno (Salmo
139,13-16). Tra l'altro, la simbolica divina del vasaio usata da
Geremia per la teologia della grazia (18,1-12).
Il Creatore, per, alla radice anche di un'altra qualit dell'uomo quella dell'essere una creatura vivente. Si ricorre a un altro
simbolismo, altrettanto comune nell'antico Vicino Oriente e nella
Bibbia. Quello dell'insufflazione nelle narici cos da introdurre il
respiro. Ci si attenderebbe, perci, il vocabolo tecnico dello
_,...
144
Immortalit e resurrezione
145
146
Immortalit e resurrezione
si tratta, dunque, di una realt spirituale e di natura immortale, bens di una qualit che rende l'uomo simile al Dio libero e
morale. per questa via che potremmo recuperare un'altra affermazione biblica riguardante la specificit della creatura umana.
Essa formulata nel primo racconto della creazione, considerato
cronologicamente posteriore rispetto al secondo dei cc. 2-3 della
Genesi, da noi finora considerato; esso attribuito alla Tradizione Sacerdotale postesilica (VI secolo a.C).
L, infatti, si legge che Dio cre l'uomo a sua immagine; / a immagine di Dio lo cre, / maschio e femmina li cre (Genesi 1,27;
cfr. Siracide 17,3). Non vogliamo esaminare questa dichiarazione
nella ricchezza dei suoi contenuti. Vorremmo soltanto allegarla al
nostro dossier riguardante l'antropologia teologica: come in Genesi 5,3 si afferma che Adamo gener a sua immagine e somiglianz un figlio e lo chiam Set, cos, si indica il legame specifico e naturale che intercorre tra il Creatore e la sola creatura
umana (gli animali hanno la vita e sono nefes hajjah [Genesi 1,21],
ma non hanno questa dimensione unicamente riservata all'uomo). comprensibile che la tradizione successiva sia ricorsa alla
categoria anima per decifrare questa immagine e somiglianz. In modo pi riservato altri esegeti hanno rimandato a una
similitudine generale di natura: intelligenza, volont, potenza;
l'uomo persona. E cos si prepara una rivelazione pi alta, la
partecipazione di natura per mezzo della grazia.22 In realt bisogna essere pi cauti e stare al dato testuale che in Genesi 1,26-27
ruota attorno a due elementi.
Il primo quello lessicale dei due termini di comparazione con
Dio: seleni, immagine, denota una vicinanza reale al soggetto
rappresentato, indica una corrispondenza naturale con Dio, che
rende l'uomo capace di comprendere e interloquire con Lui; demt,
somiglianz, marca maggiormente la distanza e le identit specifiche dei due soggetti comparati. Certo che questa lettura del
mistero dell'uomo, ripresa dal Salmo 8,6 in altro modo, significativamente trasferita dalla Bibbia all'intera umanit, mentre
nell'antico Vicino Oriente era appannaggio e prerogativa solo del
sovrano,23 unica immagine di Dio. Questa democratizzazione
mostra che la regalit assegnata da Dio all'uomo in quanto tale,
chiamato a reggere come vicer il creato: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianz, e domini sui pesci del mare e sugli
uccelli del cielo, sul bestiame e su tutte le bestie selvatiche e su tutti
147
i rettili che strisciano sulla terra (Genesi 1,26; cfr. Salmo 8,7-8). Il secondo elemento che vorremmo sottolineare , invece, di indole stilistica e ci permette di marcare ulteriormente il carattere relazionale dell'antropologia biblica, non solo in senso verticale teologico
(come finora si visto), ma anche nella linea orizzontale.
Se esaminiamo il parallelismo chiastico-progressivo su cui
costruito il testo di Genesi 1,27, ci accorgiamo che alla definizione
dell'uomo come immagine di Dio corrisponde la precisazione
esplicativa nel sorprendente parallelo maschio e femmina. Ovviamente questo non significa che Dio sia sessuato, consapevoli
come siamo della costante polemica biblica contro la religiosit
cananea e i suoi culti della fertilit. Il vero significato da cercare, invece, nel contesto della stessa Tradizione Sacerdotale che
concepisce la storia della salvezza sulla base di una trama fatta di
genealogie o di rimandi alla fecondit generazionale (Genesi
1,28; 2,4a; 9,1.7; 10,1-32; 11,10-29; 17,2.6.16; 25,12-20; 28,3;
29,31 - 30,24; 35,11; 36,1-43; 47,27; 48,3-4). La capacit di generare diventa, allora, la via sulla quale si snoda la storia sacra: Dio
resta trascendente ma opera la sua salvezza entrando nella discendenza umana, nel tempo dell'uomo che procede di anello
generazionale in anello, di padre in figlio. La fecondit della coppia umana , quindi, un segno del Dio creatore e salvatore. L'umanit immagine di Dio in quanto essa maschio e femmina; la
vera effigie divina non solo nel maschio, come vorr una successiva tradizione giudaica, attestata anche da Paolo (1 Corinzi 11,7), bens nell'amore della coppia e nella sua pienezza maschile e femminile. L'aspetto relazionale orizzontale , dunque,
fondamentale ed espresso nella bipolarit sessuale, emblema
della dimensione sociale e comunitaria dell'essere umano. Per
questo possiamo dire che l'ominizzazione piena solo laddove
si ha l"is e Vissah, l'uomo e la donna, ove l'evidente assonanza ebraica dei due vocaboli vuole segnalare la parit di comunione nella natura, mentre i due generi, maschile e femminile, denotano l'armonia della differenza. appunto ci che esalta anche il
secondo racconto della creazione che fa proclamare all'uomo:
Questa volta essa carne della mia carne, osso dalle mie ossa.
La si chiamer 'issah perch da 'z's stata tratta (Genesi 2,23).
Ma questa relazione orizzontale, come suggerisce Genesi
1,27, s'incrocia intimamente con quella verticale che ci unisce e
assimila a Dio. a questo punto che abbiamo una nefes hajjah,
148
Immortalit e resurrezione
149
del metabolismo degli elementi secondo i moduli di alcune cosmologie ellenistiche (19,6 ss.); introduce in 8,7 le quattro virt
cardinali di matrice platonica (Repubblica IV, 427e - 433e) cio,
temperanza, prudenza, giustizia e fortezza; in 11,17 evoca Vamorfos hyl, la materia informe, ispirandosi al Timeo (Sia), mentre
in 11,20 esalta l'opera divina che tutto dispone con misura, calcolo e peso, formula riscontrabile nelle Leggi (VI, 757b); in 13,5
si esalta la conoscenza analogica dal creato al Creatore secondo
una modalit affine a quella del De mundo dello Pseudo-Aristotele (VI, 399b, 19 ss.); in 8,17-20 adotta il sorite, cio il sillogismo
concatenato progressivo, mentre la dotazione della Sapienza divina modellata in 7,17-21 sulla didattica scientifico-filosofica
ellenistica, quasi canonizzando l'insegnamento delle scienze
naturali impartito nel Museion di Alessandria; in 14,3 e 17,2 si celebra la provvidenza (prnoia) divina, con tonalit stoiche, come principio che penetra e regge l'universo; nell'aretalogia della
Sapienza divina (7,22-24), basata su 21 attributi, si ha similmente
il ricorso al pensiero stoico, mentre nel canto intonato dagli empi
nel e. 2 occhieggiano concezioni epicuree e persine materialistiche (2,2-3), ovviamente contestate.
Per l'antropologia decisivo per l'autore il termine psych
che la realt destinata all'athanasa o aftharsia, cio all'immortalit e alla incorruttibilit (cfr. 3,1-4; 4,14; cfr. 1,15; 2,23), l'unica votata alla ricompensa (2,22), l'unica a temere o a desiderare
l'episkop, la visita del giudizio divino (2,20; 3,7.13). , quindi, importante scoprire quale sia la carica semantico-ideale che
questo vocabolo sopporta e supporta. A prima vista sembra che
l'autore abbia abbandonato le categorie ebraiche e, dato il contesto culturale in cui era immerso, abbia abbracciato la prospettiva greca, forse quella di un platonismo popolare filtrato attraverso le credenze dell'area del delta del Nilo, soprattutto per la
questione immortalistica (che occupa tematicamente i primi
cinque capitoli). In 9,15, infatti, si afferma che il corpo corruttibile appesantisce l'anima e la tenda d'argilla grava la mente
dai molti pensieri, parole che sembrano alludere a un passo
del Fedone (81c). In 8,19-20 si mette in scena Salomone, segno di
sapienza, mentre sembra quasi professare la dottrina della preesistenza delle anime, anche se il contesto ridimensiona l'idea
riconducendola a una semplice esaltazione della preminenza
dell'anima: Ero un fanciullo di nobile natura e avevo ricevuto
150
Immortalit e resurrezione
in sorte un'anima buona o, piuttosto, essendo buono, ero entrato in un corpo senza macchia.
Di fronte a questi e altri indizi c' chi si orientato verso un'interpretazione totalmente greca della Sapienza, libro per altro
deuterocanonico (il Canone delle Scritture ebraiche ovviamente
non lo accoglie, proprio perch un testo greco). Esso, allora, introdurrebbe una pluralit di concezioni antropologiche all'interno
della Bibbia, come avviene per altre categorie. Tuttavia un'analisi
pi accurata e condotta anche sulle connotazioni ha spinto la maggioranza degli esegeti a una maggior cautela. I fondamentali
della teologia biblica classica, infatti, permangono, ma l'autore ricorso a un linguaggio e a un temperamento anche ideologico
pi calibrato, tenendo conto delle coordinate entro cui era inserito.
Cos, P. Grelot25 sostiene che nel termine psych usato dal libro della Sapienza si celano pi concezioni ebraiche di quanto si possa immaginare, leggibili in filigrana dai destinatari ebrei alessandrini
dell'opera, ma anche modulati in modo tale da non respingere il
lettore pagano. Tuttavia C. Larcher26 fa notare che non si deve
ignorare che per l'autore di Sapienza, la psych prende un rilievo
che non ha la nefes: diventata invadente, si sostituita praticamente a quegli altri fattori psichici e organici (mah, il cuore, altri
organi corporali) che espletano una funzione quasi altrettanto importante nell'antropologia ebraica. Essa appare molto pi sganciata dalla materia, molto meno immersa nel corpo che non la nefes.
Essa diventa di pi - o in altra maniera - il soggetto direttamente
responsabile della vita morale.
Questa calibratura tra ebraismo ed ellenismo emergerebbe nitidamente per la questione immortalista ove l'autore sembra
adottare una sorta di silenzio tattico27 riguardo alla resurrezione, prassi a cui non ricorse Paolo nel suo intervento nell'Areopago di Atene coi risultati ben noti di rigetto (cfr. Atti degli Apostoli
17,32). G. Scarpai ritiene, invece, che l'autore sia stato reticente al
riguardo per il semplice fatto che tale dottrina, pur avendo fondamento biblico (cfr. Isaia 26,19; Ezechiele 37), non era da tutto il
giudaismo considerata come dogma di fede (si pensi ai Sadducei
che negavano la resurrezione, come appare anche dalla loro diatriba con Ges in Matteo 22,23-33). A noi ora non compete affrontare questo tema specifico ma fermarci sulla psych, sulla sua realt e sul suo nesso con Dio. Ebbene, a noi sembra che l'autore della
Sapienza abbia certamente attuato un'operazione di transcultu-
151
ralizzazione o, meglio, di inculturazione, considerando il contesto in cui egli scriveva. Tuttavia la sostanza del suo messaggio segna una continuit col modello biblico classico. Da un lato, infatti, come osservava (e aveva dimostrato) Larcher, la sua nozione di
psych molto pi variegata e polimorfa della corrispondente
concezione ebraica della nefes. Ma, d'altro lato, essa si ncora saldamente su un terreno teologico e morale e non meramente metafisico-filosofico. Infatti, in 3,1-4 il termine psych messo con
tutto rilievo all'inizio del capitolo, viene subito precisato non con
una definizione filosofica, ma con la descrizione dello status dell'anima...: essa viene immessa nella "pace"; come grande premio
in cambio di una piccola sofferenza, avr la comunione con Dio,
la potest di giudicare l'empio, l'immortalit.28
Riguardo proprio a quest'ultimo tema, si ha una specie di cartina di tornasole della prospettiva teologico-morale adottata dall'autore, pur nell'uso del linguaggio greco. Emblematico , infatti,
2,23: S, Dio ha creato l'uomo per l'immortalit; lo fece a immagine della propria natura (o anche della propria eternit, secondo
una variante testuale). Si riprende, cos, per le anime pure
(2,22), per le anime dei giusti (3,1; cfr. 1,15 e 15,3), per chi ha
la coscienza (syneidesis) non oppressa dal rimorso come accade
ai malvagi (17,10), la dichiarazione che Genesi 1,26-27 aveva formulato a livello generale suH'immagine e somiglianz di Dio
nella creatura umana. In questa luce l'immortalit beata, destinata ai giusti non tanto una conseguenza metafisica della natura
spirituale dell'anima, come accade nell'argomentazione platonica (si pensi al Fedone), bens dono e grazia, essendo comunione
di vita con la stessa divinit e non una pura e semplice eternit
neutra dell'anima immortale. Si tratta, dunque, di un'immortalit qualificata e, come tale, non applicabile agli empi. La sorte
delle anime di costoro, dopo il giudizio-episkop a cui si accennava (1,9; 3,7; 4,20), raffigurata in modo tradizionale e originale al tempo stesso: l'Ade, cio lo se'ol, gli inferi biblici, prima considerato come la dimora indifferenziata dei defunti, diventa nella
Sapienza la collocazione delle anime dei malvagi, cos da configurare una sorta di inferno (4,18 ss.). Anzi, il giudizio che li
destina a questo triste approdo elaborato non solo attraverso
l'episkop-visita estrinseca di Dio, che tra l'altro non contiene un
atto giudiziario esplicito divino, ma soprattutto attraverso l'autocritica della loro coscienza (5,3-13).
152
Immortalit e resurrezione
153
154
Immortalit e resurrezione
155
156
Immortalit e resurrezione