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Antonio Canova

1757-1822

La leggerezza del marmo

Antonio Canova (1757-1822), Autoritratto, 1790, Olio su tela, Gallerie degli Uffizi, Firenze
Gli esordi
 Antonio Canova nasce a Possagno, vicino a Treviso, il 1°
novembre del 1757. Rimane orfano di padre, quando la
madre si risposa e si trasferisce in un paese vicino, viene
affidato al nonno paterno, Pasino, abile scalpellino e
capomastro, che gli insegna i primi rudimenti del mestiere.
 Poiché il giovane Antonio dimostra una dote eccezionale per
la scultura, nel 1768 viene mandato a condurre il proprio
apprendistato a Venezia, dove frequenta studi di scultori oltre
alla Pubblica Accademia del Nudo e dove realizza le sue
prime opere che gli danno in breve una certa notorietà
nell'ambiente artistico locale (Orfeo ed Euridice, 1773; Apollo;
busto di P. Renier; Dedalo e Icaro, 1779)
 I disegni mostrano un’attenzione costante per il nudo
maschile e femminile, molti sono gli studi dall’Antico più le
cosiddette accadèmie di nudo. L’Accademia di nudo virile
supino su di un masso mostra una delle caratteristiche
proprie della grafica canoviana nell’affrontare questo tipo di
disegni –le «accademie»–, eseguiti essenzialmente a matita o
a carboncino e spesso lumeggiati a biacca. Alcune parti del
corpo vengono studiate in modo particolarmente dettagliato e
risultano ombreggiate con un tenue e fitto tratteggio, così da
definirne la volumetria, accentuando in maniera scultorea la
muscolatura, mentre altre parti risultano suggerite dalla sola
linea di contorno e un rado, parziale tratteggio.
Orfeo e Euridice, Museo Correr, Venezia, 1773 - 1776. Dedalo e Icaro, Museo Correr, Venezia, 1779
Nel 1779 Canova si reca a Roma, dove si stabilirà nel
1781 nell’atelier di via delle Colonnette e dove
realizzerà le sue opere più importanti.
Qui studia la scultura antica, conosciuta anche
attraverso il suo viaggio del 1780 a Pompei, Ercolano e
Paestum, e viene a contatto con artisti ed intellettuali
che teorizzano un nuovo ritorno al classico.

'Scavo archeologico a Pompei', Luigi Capaldo, 1850-1899

Giovanni Battista Piranesi, Vedute di Ercolano e di Paestum, 1765-78


https://www.finestresullarte.info/177n_nobile-semplicita-e-quieta-gr
andezza-winckelmann-neoclassicismo.php
L’estetica
Neoclassica
Raphael Mengs. Ritratto di Winckelmann.
“La generale e principale 1761-62. New-York, Metropolitan Museum
caratteristica dei capolavori
greci è una nobile semplicità e
una quieta grandezza, sia
nella posizione che
nell’espressione. Come la
profondità del mare che resta
sempre immobile per quanto
agitata ne sia la superficie,
l’espressione delle figure
greche, per quanto agitate da
passioni, mostra sempre Frontespizio della prima edizione di Storia dell'arte
un’anima grande e posata” dell'antichità. 17634

(Johann Joachim Winckelmann, il padre del Neoclassicismo, fondò tutti i suoi


Winckelmann, Pensieri studi sulla passione per l’arte greca, considerata il culmine della
sull’imitazione delle opere capacità dell’uomo di esprimere la perfezione assoluta “della
greche nella pittura e nella bellezza, come dell’acqua presa da una sorgente, che quanto
scultura in Il bello dell’arte, meno è saporosa, vale a dire priva di ogni particella straniera,
Einaudi, 1948). tanto più si stima salubre”.
-Sublime: bellezza come forma pura
l'imitazione intesa -La bellezza ideale definita
dell'intelletto, piacere intellettuale,
come il contrario della come "nobile semplicità e astratto. Indica una bellezza indeterminata,
copia. La conoscenza quieta grandezza", priva il più possibile di particolarità
dell'antico rappresenta riferendosi alla "grazia" delle individuali. Nell'idea del sublime sono
uno stimolo creativo, opere antiche. l'Apollo del aboliti tutti i rapporti con i sensi, la materia
apertura della libertà Belvedere è il primo tra i e le passioni. Di conseguenza tutto ciò che è
d'immaginazione per capolavori dell'antichità sensuale e passionale viene disprezzato. Di
creare opere nuove, indicati come modello di qui la condanna a tutti gli elementi
moderne. bellezza da Winckelmann: caratterizzanti l'estetica barocca.

Grazia: intesa come "grazia


piacevole secondo ragione".
Implica una concezione di
razionalità, equilibrio,
compostezza, ritorno
all'ordine e al rispetto delle
regole. Le nuove regole
dell'arte moderna vanno
riprese dai canoni classici.
Immagine esemplare della
grazia secondo Apollo del Flora.
Winckelmann è quella Belvedere .
Copia romana
Affresco dalla
villa Arianna
delle Danzatrici, esempio da originale in
a Stabia.VI
bronzo di
della pittura murale Leocares.
sec. a. C.
Napoli,
Seconda metà
della Villa Arianna di Stabia. del II sec. a. C. Museo
Musei Vaticani. Archeologico
Roma. Nazionale.
L'influenza degli ideali neoclassici nella sua arte si rende sempre più evidente, a
cominciare con opere come Teseo e il Minotauro (1781-1783) per proseguire con la
serie di sculture, anche queste a soggetto mitologico, eseguite sul finire del
Settecento (Eros giovinetto, Amore e Psiche, Ebe, Venere e Adone, Ercole e Lica, Le Tre
Grazie), che gli regalano fama internazionale.

La sua arte è apprezzata e richiesta da mecenati e case regnanti dell'intera Europa.


Tra il 1783 ed il 1810 realizza i Monumenti funebri di Clemente XIII e Clemente XIV a Roma, di
Maria Cristina d'Austria a Vienna, e di Vittorio Alfieri a Firenze.
Nel frattempo, nel 1798, quando i Francesi occupano
Roma, preferisce lasciare la città per far ritorno nei suoi
luoghi d'origine, dove si dedica alla pittura e in soli due
anni realizza molte delle tele e quasi tutte le tempere oggi
custodite nel Museo allestito nella sua casa natale a
Possagno.
Nel 1800 fa ritorno a Roma e si stabilisce in Piazza di
Spagna insieme al fratello Giambattista, che diviene suo
segretario.

Nel 1804, con l'inizio del periodo


napoleonico Canova viene scelto
come ritrattista ufficiale
dall'imperatore, per il quale
realizza varie opere (quali il
Napoleone conservato presso
Apsley House, rappresentato come
personificazione di Marte
Pacificatore, i busti dei
Napoleonici, il marmo di Letizia
Ramolino e il celeberrimo ritratto
allegorico di Paolina Bonaparte,
rappresentata come "Venere
vincitrice").
Sottrazioni dei cimeli artistici italiani da parte di Napoleone in una caricatura inglese
Intanto la sua fama continua a crescere. Nel 1802 ha
ricevuto anche l'incarico di Ispettore Generale delle
Antichità e delle Arti dello Stato della Chiesa oltre a quello
della tutela e valorizzazione del patrimonio artistico, carica
precedentemente attribuita solo a Raffaello, quindi fu il
primo sovrintendente della storia moderna.
Nel 1815 è a Parigi dove, grazie a un'abile azione
diplomatica riesce a recuperare numerose e preziose opere
d'arte trafugate da Napoleone lungo la penisola italiana e a
riportarle in patria.

I cavalli bronzei di piazza San Marco vengono inviati a Parigi. Venezia, 1797 .
Ingresso a Parigi del corteo delle opere rubate Napoleone dopo la prima Campagna d'Italia
Nello stesso anno, 1815 il governo inglese gli chiede di dare un parere sull'autenticità dei marmi
provenienti dal Partenone: chiamato in Inghilterra per una perizia e un eventuale restauro, si
rifiutò di integrare le parti mancanti esclamando: “questo non è marmo, è carne!”
Canova infatti per primo capisce l' eccelsa qualità dei marmi che lord Elgin aveva calato giù dal
Partenone, a lungo rimasti incompresi dalla pur raffinata cultura antiquaria inglese: il suo
giudizio fu determinante, e convinse il governo ad acquistarli e a sistemarli nel British Museum,
primi originali del più fulgido periodo dell' arte greca ad essere esposti all' ammirazione del
mondo.

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/02/02/canova-predatori-dell-arte-perduta.html
Nel luglio del 1819 è a Possagno per la posa
della prima pietra della Chiesa Parrocchiale
intitolata alla Santissima Trinità che ha
progettato per la sua comunità.
Il maestoso edificio, noto anche come Tempio
Canoviano, che ora accoglie le sue spoglie,
sarà completato, però, solo dieci anni dopo la
sua morte, che avviene il 13 ottobre 1822, a
Venezia.
Le sculture di Canova sono realizzate in marmo bianco e con un modellato
armonioso ed estremamente levigato. Si presentano come oggetti puri ed
incontaminati secondo i princìpi del classicismo più puro: oggetti di una bellezza
ideale, universale ed eterna. Canova subì l'influenza e il fascino dello scultore
barocco Gian Lorenzo Bernini:DEPURANDOLO e FILTRANDOLO da tutti gli
eccessi drammatici e da tutte le spinte emotive e impetuose,EVITANDO le
violente passioni e i gesti esasperati,RALLENTANDO le azioni e dando alle
immagini una lettura più chiara.

I soggetti delle sue sculture si dividono in tre tipologie principali:

le allegorie mitologiche (Teseo sul Minotauro, Amore e Psiche,Ercole e Lica, Le tre
Grazie…);

i monumenti funebri (a Clemente XIV, a Clemente XIII, a Maria Cristina d’Austria);

Ritratti (Napoleone Bonaporte, Paolina Borghese, Pio VII…)


La tecnica
https://www.museoca
nova.it/come-lavorava
-antonio-canova/

Canova organizzò la propria bottega in modo da riservare a sé,


oltre all’ideazione, solo la lavorazione finale della superficie, cioè
l’attività creativa, mentre lasciava che gli aiuti svolgessero le
funzioni meno importanti. L’artista, infatti, partendo dal disegno
definitivo realizzava il modello in creta; gli assistenti traevano da
questo il calco in gesso. Nei punti significativi del calco venivano
infissi dei chiodini di bronzo, dei punti di riferimento (o repère, in
francese). Si accostava infine il calco al blocco di marmo e,
servendosi di fili a piombo che pendevano da una griglia
collocata sopra il gesso, di un pantògrafo e guidati dai punti di
riferimento, si cominciava a sbozzare la pietra. Il lavoro degli
assistenti si arrestava quando solo pochi strati di materia
separavano l’abbozzo dallo stato definitivo. A questo punto
interveniva di nuovo Canova che conduceva l’opera a
compimento secondo la propria sensibilità. Il modello in gesso
con i repère e il metodo di lavoro della bottega canoviana
consentivano di replicare la scultura quante volte lo si desiderava
perché l’intervento iniziale e finale dello scultore garantivano
sempre l’originalità dell’opera. Tutte le sculture di Canova sono
condotte fino al sommo grado di finitura, levigate sino a che il
marmo opaco non diventa totalmente liscio, traslucido, cioè
quasi trasparente. È in questa estrema finitura del marmo che
risiede la poetica di Canova, attento ai particolari oltre che alla
resa complessiva e agli effetti di grande luminosità e tenue
ombreggiatura.
Teseo sul Minotauro è la prima opera scultorea che
realizzò appena giunto a Roma. Fu commissionata nel
1781 da Gerolamo Zulian, ambasciatore della
Serenissima a Roma, e terminata due anni dopo nel 1783.
Il gruppo scultoreo è una rappresentazione del mito di
Teseo e si pone come una delle opere più esemplari del
concetto di arte neoclassica. L’eroe ateniese, aiutato da
Arianna, penetrò nel labirinto di Creta, ove era rinchiuso
il Minotauro, mostro metà uomo e metà toro, e riuscì ad
ucciderlo. L’episodio si prestava a molteplici possibilità:
uno scultore barocco come il Bernini ne avrebbe
probabilmente approfittato per cogliere il momento di
massimo sforzo nello scontro tra Teseo e il Minotauro e
scolpire un gruppo di grande dinamicità e tensione.
Invece Canova, da artista neoclassico, cerca il momento
della quiete e non dell’agitazione. E così preferisce
sintetizzare la storia al momento della vittoria di Teseo,
quando la tensione si è oramai sciolta e un profondo
senso di pace pervade l’eroe. In questo istante si coglie
anche un senso di umana pietà che Teseo prova verso il
mostro sconfitto, in quanto la sua nobiltà d’animo gli
impone di non odiare il nemico. Tutto il gruppo scultoreo
trasmette quindi un senso di profonda calma: è il
momento in cui l’agitazione delle passioni e delle azioni
si spegne e si trasferisce all’eternità del mito. Da un
punto di vista stilistico il gruppo ha equilibri molto
classici e le forme anatomiche di Teseo richiamano
direttamente le inespressive ma perfette fattezze di
tante statue dell’antica Grecia. Il gruppo è quindi una
espressione paradigmatica delle nuove esigenze
estetiche dell’arte neoclassica.
Antonio Canova, Teseo sul Minotauro, 1781/1783, Marmo, Londra, Victoria and Albert Museum.
Il mitico eroe ateniese, simbolo della vittoria della ragione sull’irrazionalità
bestiale, siede sul Minotauro come un cacciatore su una preda. L’essere
semiumano è riverso sopra una roccia in una posizione a «S» rovesciata.
Teseo, appoggiandosi sulla gamba sinistra del mostro, è inclinato indietro,
mentre osserva il nemico ucciso. La sua gamba destra è piegata ad angolo
acuto e ruota verso l’esterno, mentre quella sinistra, solo lievemente
flessa, è distesa; il braccio sinistro è piegato e la mano impugna una clava.
Il busto, incurvato, è spostato verso sinistra, mentre la testa è reclinata in
avanti. La postura di Teseo comporta, dunque, che cinque siano i suoi
punti d’appoggio. I due corpi che costituiscono il gruppo scultoreo ad
andamento piramidale sono perfetti secondo la concezione classica.
Scopo di Canova è il raggiungimento della bellezza ideale , a cui i Greci
erano pervenuti e di cui avevano scritto anche gli artisti e i trattatisti del
Rinascimento, cioè quella derivante da un’idea di “bello” che l’artista si
forma nella mente dopo aver constatato l’impossibilità di trovare un corpo
perfetto in natura .A tale bellezza si può arrivare tramite la massima
padronanza della tecnica scultorea e solo imitando la scultura classica
https://www.finestre
sullarte.info/682n_a
ntonio-canova-amor
e-e-psiche-giacenti-l
ouvre.php
la storia di Amore e
psiche

Il gruppo, oggi conservato al


Louvre, appartiene alle allegorie
mitologiche della produzione
canoviana. Esso rappresenta
Amore e Psiche nell’atto di
baciarsi.
Il soggetto è probabilmente tratto
dalla leggenda di Apuleio,
secondo la quale Psiche era una
ragazza talmente bella da
suscitare l’invidia di Venere, così
che la dea le mandò Amore per
farla innamorare di un uomo
vecchio e brutto. Ma Amore, dopo
averla vista, se ne innamorò e,
dopo una serie di vicissitudini,
ottenne che Psiche entrasse
nell’Olimpo degli dei, per restare
con lui.

Antonio Canova, Amore e Psiche giacenti (1787-


1793; marmo, 155 x 168 x 101 cm; Parigi, Louvre).
Eseguita in marmo bianco, la scultura ha superfici levigate ed un modellato molto tornito. La composizione ha una
straordinaria articolazione: la donna, Psiche, è semidistesa, rivolge il viso e le braccia verso l’alto e, per far ciò, imprime al
corpo una torsione ad avvitamento; l’uomo, Amore, si appoggia su un ginocchio mentre con l’altra gamba si spinge in
avanti inarcandosi e contemporaneamente piegando la testa di lato per avvicinarsi alle labbra della donna.
Il corpo di Psiche insieme alla gamba e alle ali di Amore formano uno schema ad X simmetrico. Al centro di questa X le
braccia di Psiche definiscono un cerchio perfetto che inquadra al centro il punto focale della composizione: quei pochi
centimetri che dividono le labbra dei due. In quei pochi centimetri si gioca il momento pregnante, ed eterno, del desiderio
senza fine che l’Eros sprigiona.
La superficie della scultura è accuratamente lucidata con la polvere pomice. Inoltre Canova applicò un sottile strato di cera
dorata per suggerire l’incarnato di Amore e Psiche.

Canova ha saputo fermare l’azione


dei due amanti in un attimo
eternamente sospeso. I due giovani
rimangono rapiti uno nella bellezza
dell’altra. Tutta la scena si pervade, in
tal modo, di un sottilissimo e
raffinato erotismo: le loro labbra si
avvicinano ma non si uniscono; i
corpi adolescenziali, dalle forme
perfette (secondo un principio di
bellezza spirituale e assoluta), si
accostano ma non si stringono. Il
desiderio, testimoniato dalla mano
di Amore che sfiora il seno di Psiche,
è palpabile ma non espresso.
La visione frontale, malgrado sia quella più indicata in quanto consente di coglierne la
complessa geometria compositiva, non esaurisce affatto le possibilità di godimento dell’opera,
che è leggibile da tutte le visuali. È vedendo la scultura dal retro, infatti, che si scorgono la
faretra di Amore, la fluente capigliatura di Psiche e il vaso di Proserpina che ha causato il suo
svenimento: ruotando attorno all’opera, inoltre, variano all’infinito i rapporti reciproci tra i corpi
dei due amanti, ed è solo così che ci si può rendere conto della complessità del marmo.
Amore e Psiche, in ogni caso, risponde pienamente ai principi dell’estetica del Neoclassicismo. I
gesti di Amore e Psiche, infatti, sono delicati ed espressivi, mentre i loro movimenti nello spazio
sono equilibrati, continui e ben sincronizzati; analogamente, Canova comunica il loro trasporto
amoroso in modo misurato ed equilibrato, sfumando la loro passione nella tenerezza e in
un’affettuosa contemplazione.
Per comprendere lo spirito della cultura neoclassica è utile confrontare il gruppo scultoreo di
Amore e Psiche con un’altra famosa allegoria mitologia: l’«Apollo e Dafne» di Gian Lorenzo
Bernini. Il gruppo del Bernini rappresenta indubbiamente un attimo fuggente: Dafne viene
appena sfiorata da Apollo ed ha già i capelli che stanno divenendo dei rami di alloro. È giusto un
attimo: l’istante successivo Dafne non ci sarà più. Per enfatizzare ciò Bernini dà al gruppo
un’apparenza di equilibrio instabile, evidente soprattutto nella curva ad arco che forma il corpo
di Dafne. Il gruppo del Canova ha invece una fermezza ed una staticità molto più evidenti. La
differenza tra le due sculture non è da ricercarsi sulla differenza stilistica o formale, risultando
entrambe di notevolissima fattura per tecnica esecutiva, ma sulla diversa cultura che le ispira.
Lo sforzo del Bernini è di cogliere la vitalità della vita in continuo movimento, e per far ciò cerca
di annullare la materia per lasciare solo la sensazione del divenire. Canova mostra invece tutta a
tensione neoclassica di giungere a quella perfezione senza tempo in cui nulla più può divenire, e
per far ciò pietrifica la vita dando alla materia una forma definitiva ed eterna.
Antonio Canova, Le tre Grazie, 1813-1816, marmo,
h 182 cm, San Pietroburgo, Museo dell’Hermitage

Le sorelle si abbracciano in atteggiamento


amorosamente familiare. La sorella centrale si
trova più in alto e viene abbracciata dalle altre
due ai lati. La Grazia di sinistra è addossata ad
un pilastro decorato con un festone di fiori.
L’unico panneggio presente è avvolto
morbidamente intorno al braccio della
fanciulla di destra. Passa, poi, al centro e,
quindi ricade sulla gamba della grazia di destra
come per legare idealmente le tre figure. I
capelli sono scolpiti da Canova con grande
abilità tecnica. Infatti sembrano cadere in
ciocche molto realistiche. La composizione è
triangolare con il vertice nella capigliatura
della grazia centrale. Le braccia si intrecciano
creando una serie di linee curve che avvolgono
le ragazze. Al fine di dare alla superficie delle
statue un aspetto più realistico, Canova ricopri
il marmo con una patina di colore rosa.
La sorella centrale è scolpita
frontalmente rispetto allo
spettatore. Quella di sinistra di
spalle, con il volto leggermente
inclinato e quella di destra, sempre di
spalle con il volto di profilo. Canova
ne Le tre Grazie è stato capace di
rappresentare, attraverso gli sguardi
e le carezze un simbolo di affetto
familiare. La nudità delle fanciulle
non ha un valore erotico ma esprime
il concetto di bello ideale attraverso
la perfezione fisica dei soggetti. La
luce scivola morbidamente sui corpi
delle Grazie senza creare ombre
profonde. Il modellato è privo di
asperità muscolari e tensioni.
Canova, infatti, ha creato dei corpi
femminili morbidi e armoniosi. I
glutei, ad esempio, sembrano subire
naturalmente l’attrazione dal basso.
“Le Tre Grazie” di Canova (a sinistra) e “Le Tre Grazie” di Thorvaldsen (a destra)
Antonio Canova, Venere e Adone,
1794, marmo. Ginevra, Villa La
Grange, Musée d’Art et d’Histoire

La scultura di Canova
intitolata Venere e
Adone raffigura il dio che saluta
Venere prima di uscire per la
caccia. Adone nella mano destra
stringe la freccia. Ares, geloso,
scatenerà contro di lui il
cinghiale che lo ucciderà. La
statua raffigura un momento
molto importante nella vicenda.
Lo spettatore sa bene quale sarà
il destino che attende Adone. È,
quindi, l’occhio dell’osservatore
che interpreta e dà significato
all’incontro dei due giovani. Non
si tratta semplicemente di un
abbraccio amoroso di due teneri
innamorati. È, invece, un
momento classicamente
drammatico che rappresenta
l’ultimo sguardo in vita dei due
amanti. Nel momento in cui si
separeranno avverrà il tragico
epilogo che racconta il mito.
Venere accarezza teneramente
il viso di Adone e sembra non
volerlo lasciare andare verso il
suo destino di morte.
Canova, per sottolineare l’evento e la
sua incombente drammaticità, è
intervenuto elaborando sottili
messaggi visivi. Venere sembra
trattenere Adone in procinto di lasciarla
come indica la gamba sinistra protratta
in avanti. Il volto di Adone è virile, fiero
ma triste e pensieroso, preoccupato o
forse consapevole della sua morte. La
posizione fiera e determinata
rappresenta la fermezza del dio che è
intenzionato ad affrontare il fato. In una
mano Adone stringe una freccia che
indica il motivo della sua partenza.
Venere si abbandona completamente
sulla spalla di Adone consapevole che
sarà l’ultima volta per lei. Nella parte
posteriore, a sorpresa si rivela il terzo
protagonista della scultura. Si tratta del
fedele cane da caccia di Adone che
osserva il padrone dal basso. Anche
questa figura contribuisce a dare una
nota triste e sconsolata all’ultimo saluto
tra i due amanti.
Antonio Canova, Perseo trionfante, 1797-1801. Marmo, altezza 2,35 m.
Roma, Città del Vaticano, Musei Vaticani .
Leòcares, Apollo del Belvedere, copia romana da un originale del IV
sec. a.C. Marmo, altezza 2,24 m. Roma, Cortile del Belvedere .
Pochi scultori del XIX poterono vantare una fama e un apprezzamento universale paragonabili a quelli
conquistati da Canova, l’unico artista cui fu consentito di collocare le proprie sculture moderne nel
prestigioso Museo Vaticano. In alcune circostanze, con le opere di Canova si cercò di compensare la
gravissima perdita di alcuni capolavori della scultura classica, trafugati dai francesi e trasportati in Francia in
forza del Trattato di Tolentino.
Il trattato era stato firmato nel 1797 da Napoleone e
papa Pio VI e prevedeva la consegna alla Francia di
importanti opere d’arte collezionate dallo Stato
Pontificio. Quando l’Apollo del Belvedere,
considerato da Winckelmann come la più alta
espressione della statuaria greca, fu spedito a Parigi,
il Perseo trionfante del Canova fu collocato al suo
posto, assieme ad altre due statue dell’artista: i
pugili Creugante e Damosseno, protagonisti di un
cruento episodio sportivo narrato dall’antico
scrittore greco Pausania.

Scolpendo il suo Perseo, Canova ricalcò il


modello dell’Apollo del Belvedere ma senza
copiarlo: produsse dunque un altro originale,
non antico ma degno per la sua perfezione di
sostituire il capolavoro perduto.
Antonio Canova, Venere italica, 1804-12. Marmo, altezza 1,72 m. Afrodìte Medici, copia antica da un originale del
Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina. III sec. a.C. Marmo. Firenze, Uffizi.
Sebbene fosse stata spedita per sicurezza da Firenze a Palermo, e
affidata in custodia ai Borboni di Napoli per scampare alla sorte del
trattato, anche l’Afrodìte Medici, tra le più celebri statue della Grecia
classica (la sua presenza è documentata per la prima volta nel 1638 a
Roma, a Villa Medici, da cui il nome) fu sottratta dai commissari francesi
del Direttorio che la inviarono a Parigi per volere di Napoleone.
Inizialmente, il re d’Etruria, Ludovico I di Borbone, valutò di
commissionare a Canova una semplice copia ma l’artista preferì eseguire
un’opera del tutto originale.
Come già la Venere Medici, di cui questa canoviana ripropone il modello,
la Venere italica del Canova (1804) è colta in una posizione pudica,
mentre si copre il seno per ripararsi da sguardi indiscreti. Il tema di
Venere al bagno è un puro pretesto per la rappresentazione del nudo
femminile atteggiato in modo delicato e sensuale.
Monumento funebre a Maria Cristina d'Austria, 574 cm,
1798-1805, Augustinerkirche, Vienna

Questo lavoro è stato commissionato nell’estate del 1798 dal duca Alberto di Sassonia-Teschen, marito della defunta
Maria Cristina d’Asburgo-Lorena, ed è stato inaugurato nell’ottobre del 1805 nell’Augustinerkirche di Vienna. .Canova
pensò di realizzare un progetto già pensato per la tomba di Tiziano.
Una lenta processione si avvia verso il
buio di una porta scavata in una
piramide. Tre fanciulle a capo chino, la
più giovane delle quali ha quasi
oltrepassato la soglia nera, recano
un’urna e una ghirlanda di fiori che
collega tutte le figure allo stesso
destino. Sono seguite da una donna,
che sorregge un vecchio cieco, e da un
bambino. Alla base della piramide un
genio alato sembra assopirsi, privo di
energia, appoggiato ad un leone (la
fortezza).
Un medaglione ricorda la defunta, posto
sopra l'ingresso della piramide con il
ritratto di profilo di Maria Cristina.
Il ritratto della principessa è incorniciato
da un serpente che si morde la coda
(simbolo di eternità), sorretto dalla
Felicità alata e da un angelo che porge
alla defunta una palma, simbolo della
gloria. I simboli araldici delle case di
Asburgo e di Sassonia sono nascosti tra il
genio alato e il leone.
Gli strascichi degli abiti che ricadono sui gradini, come un
tappeto d’acqua che scivola dalla porta della piramide e
scende sulle scale, collegano la vita (l'esterno) al mistero
della morte (l'interno della piramide) e suggeriscono il
lento e faticoso incedere verso l’oscurità. La porta nera
rappresenta il mistero della morte, destino ineluttabile cui
nessuno può sottrarsi.
Tutto allude allo scorrere inesorabile del tempo, i
panneggi che coprono i gradini come un velo d’acqua
calpestato da tutte le figure, il serpente che si morde la
coda, il genio alato le cui energie vitali sembrano
affievolirsi lentamente e il leone, la cui forza simboleggia
quella della defunta (donna decisa e volitiva) alla quale il
duca si appoggiava.
I personaggi hanno tutti la testa chinata in avanti, a simboleggiare che nei confronti della
Morte la superbia umana non può nulla. Il marmo scolpito da Canova (lo scultore era
profondamente religioso), esprime la rassegnazione con la quale l'umanità accetta impotente
il proprio destino e, a differenza dell’ateo Foscolo (corrispondenza di amorosi sensi), il sepolcro
rappresenta il passaggio per il regno dei morti: la porta dell’Ade, secondo una tradizione molto
antica.L’opera elegante, sobria, di grande equilibrio e simmetria, esprime una profonda
meditazione sulla vita e sul mistero della morte, anticipando la nuova sensibilità romantica
Antonio Canova, Monumento funerario di
Clemente XIV, 1783-87, Basilica dei Santi Apostoli a
Roma

Venne realizzato dl Antonio Canova,


il grande scultore veneto, su
commissione del mercante Carlo
Giorgi, molto vicino a papa
Ganganelli. Fu la prima grande
opera di Canova a Roma, con la
quale si distaccò nettamente dalla
tipologia funeraria ancora legata
agli schemi berniniani. In alto è il
pontefice e in basso le
personificazioni della Temperanza e
della Mansuetudine. La porta
centrale simboleggia il passaggio
dalla vita alla morte.
è evidente l’influenza del Monumento funebre per Urbano VIII di Gian Lorenzo Bernini in San
Pietro. Se ne distanzia però perché Canova sostituisce all’animazione barocca una ripartizione
rigorosa degli elementi ed esclude gli effetti pittorici dei marmi policromi e i panneggi
Clemente XIV
La discesa dal vertice della piramide segna
una linea spezzata che simboleggia la curva
della vita che dal braccio del Papa, teso in
un gesto imperioso, scende e termina nella
soglia: trapasso verso un’altra vita. Canova
esprime tristezza, non dolore e spinge alla
meditazione.
Con la posa del Papa, il Canova abbandona
la consuetudine di raffigurare i pontefici
nell’atto di benedire: egli preferisce il
nobile e grandioso atteggiamento di
sovranità, in un gesto che simboleggia
protezione e dominio sui popoli.
Ai piedi del Pontefice la Mansuetudine
(pazienza) e la Temperanza (costanza)
rappresentano le virtù evangeliche.
I Ritratti Napoleonici
Nel 1802 Antonio Canova è a Parigi, con l’ incarico, di grande prestigio, di
scolpire il busto ritratto di Napoleone Bonaparte. Canova, inizialmente,
non è entusiasta dell’opportunità: al tempo dell’occupazione francese in
Italia era stato molto critico nei confronti del futuro imperatore. Anche
perché lo scultore stesso aveva subito i contraccolpi dell’instabilità
politica del tempo: aveva dovuto lasciare Roma per far ritorno alla natia
Possagno, e inoltre gli era stato sospeso il vitalizio da artista che
riceveva. Inoltre, l’artista non perdonava a Napoleone l’offesa arrecata
alla sua terra natale, trattata come semplice merce di scambio al
termine della prima Campagna d’Italia. Canova aveva dunque dapprima
rifiutato l’invito, adducendo di scuse. Tuttavia il nuovo papa, Pio VII,
salito al soglio pontificio nel 1800, temeva che il rifiuto del suo maggior
artista rischiasse d’incrinare i rapporti diplomatici con la Francia: troppo
alto il timore di ripercussioni, se l’invito fosse stato declinato. Così
Canova, seppur riluttante, aveva lasciato Roma per recarsi nella capitale
francese.

Come molti altri famosi artisti dell'epoca, anche Canova contribuisce con varie sculture alla campagna propagandistica e
celebrativa di Napoleone. Nelle sue statue però non si ha una sintesi tra personaggio reale ed eroe, ma il mito dell'antico
prende il sopravvento sull'attenzione al dato reale: Napoleone viene identificato apparentemente nell’antico condottiero
romano e l'intento celebrativo vuole diventare apoteosi. Il recupero di modelli della statuaria greco-romana s'impone
anche nella produzione dei ritratti dei familiari di Bonaparte
Napoleone è ritratto in uniforme, frontalmente, con gli occhi incavati ma fissi e leggermente
rivolti verso il basso in segno di riflessione e concentrazione, le sopracciglia aggrottate per
esprimere la profondità dei pensieri del primo console e l’alta responsabilità da loro derivante, il
mento pronunciato, il volto pieno che trasmette tutta la fermezza del carattere ma anche la
freschezza dei suoi trentatré anni.
Antonio Canova e bottega, Ritratto di Napoleone
Bonaparte (1803-1822?; marmo, altezza 76 cm; San
A partire dal 1803 l’autore continuò a
Pietroburgo, Ermitage). replicare questa versione del volto di
Napoleone spinto dalle numerose
richieste dei sostenitori del nuovo
regime e dall’esigenza di diffondere
un’immagine del primo Console,
destinato a diventare presto
Imperatore. L’idea è quella
di idealizzare Napoleone, di conferire
al soggetto una dimensione tale da
collocarlo fuori dal tempo. Inoltre,
viene introdotta quella torsione del
collo che dona un senso di naturale
movimento alla testa: tanto basta per
rendere il ritratto molto più vivo.
Antonio Canova, Ritratto di
Napoleone Bonaparte (1802; gesso,
67 x 44 cm;Accademia di san Luca)

Non abbiamo più di fronte un Napoleone veritiero e naturale,


bensì un Napoleone che somiglia a un imperatore romano,
un ritratto ideale che non intende fornire una
rappresentazione veridica e realistica del soggetto, ma vuole
sottolinearne le qualità e la profondità del carattere.
La fronte è alta, incorniciata da ciocche di
capelli che ricadono sul volto con
calcolatissima e finta trasandatezza. Gli
occhi rimangono incavati, ma lo sguardo
adesso si perde lontano. Il naso, grande e
pronunciato, dà segno della virilità del
soggetto. La bocca sottile non lascia
trasparire emozione alcuna. I capelli, poi,
sono un ulteriore segno distintivo:
Napoleone aveva infatti adottato la moda,
diffusasi dopo la Rivoluzione
Francese come segno di discontinuità del
passato, dei capelli corti (“alla Caracalla” o
“alla Tito”, si diceva all’epoca), che per lui
aveva anche una valenza ulteriore, perché
lo identificava anche esteticamente come
nuovo Cesare. Il risultato finale è di una
bellezza che sicuramente non apparteneva
al reale Napoleone, ma poco importava:
scopo del ritratto era quello di esprimere
un’idea forte e convincente, e non quello di
restituire le vere sembianze del primo
console.
il busto di Canova diverrà una sorta di
“canone ufficiale” per la rappresentazione
del primo console nonché futuro
imperatore
Un esempio è dato dalla
statua di Napoleone come
Marte pacificatore che
raffigura l'imperatore
idealizzato come Marte.
Canova riprende la
consuetudine dell'arte
imperiale romana di
innestare teste-ritratto su
corpi idealizzati secondo
tipologie evidenti di eroi e
divinità, e attribuisce al suo
Napoleone il corpo perfetto
di un dio. Ma, al contrario
della consuetudine romana,
“Napoleone come Marte pacificatore” di Antonio Canova – A sinistra versione in Bronzo – Accademia di
di "rendere illustri" i
Brera – Milano. A destra la versione in marmo – Apsley House Londra personaggi rappresentati, lo
rappresenta nudo, senza
la statua, terminata nell’agosto 1806, non ottenne i favori voler riconoscere alla nudità
dell’imperatore. Egli, che avrebbe ovviamente desiderato il ruolo che a questa avevano
essere ritratto vestito, decise di non esporre la statua al assegnato i greci,
pubblico, al centro della piazza alla quale era stata destinata, e esclusivamente la ricerca
la rispedì al mittente. estetica di perfezione.
Napoleone è rappresentato in piedi, nudo,
nell’atto di avanzare, e tiene in una mano
l’asta, nell’altra il mondo con la vittoria alata.
Dalle spalle gli pende il mantello militare,
mentre la spada, segno della forza
dimostrata nelle sue imprese, è abbandonata
presso il tronco, su cui tutto il corpo poggia
(come nell’ opera di Prassitele)

Al centro del cortile della Pinacoteca di Brera


è stata posta una copia in bronzo della statua
di Canova. L’originale in marmo si trova a
Londra presso Apsley House .
L'opera fu commissionata nel 1804 allo scultore veneto dal principe Camillo Borghese per
ritrarre la sua giovane moglie, sorella minore dell'imperatore Napoleone Bonaparte.
Non senza destare un certo scalpore fra i contemporanei, Canova denudò la principessa
dandole le sembianze della dea Venere vittoriosa nel giudizio di Paride, per esaltare il suo rango
sociale e dinastico e la sua celebrata bellezza.
Antonio Canova, Paolina Borghese Bonaparte come Venere vincitrice, 1804, Marmo di Carrara, Roma, Galleria Borghese
Paolina giace seminuda, su una dormeuse in legno dipinto decorata da
inserti dorati, e con la mano tiene delicatamente tra le dita sottili la mela,
segno di riconoscimento della sua supremazia fra le divinità femminili.
Grazia antica e artificio compositivo si accordano con la resa
naturalistica, quasi pittorica, dei morbidi incarnati e dei veli leggeri che le
coprono i fianchi, dei morbidi cuscini.

Paolina Borghese Bonaparte era la sorella


minore di Napoleone, la più amata. Sposò in
seconde nozze il principe romano Camillo
Borghese, uomo chiave in Italia per il novello
imperatore e provvidenziale per mettere a
tacere i pettegolezzi sulla tenuta libertina della
principessa. Regina della mondanità, Paolina
era capricciosa, affascinante, bisognosa
d’affetto, stravagante, profondamente
innamorata del fratello. E naturalmente
chiacchieratissima. Ma non certo così bella: era
piccola di statura, aveva occhi grandi e vivaci,
curava la sua pelle bianchissima con bagni di
latte. E si crucciava ogni giorno per le sue
orecchie a sventola. Canova ne idealizzò la
figura, eternando nel marmo “un sentimento e
un temperamento, più che una persona”, come
ha scritto lo storico dell’arte Antonio Paolucci.
Il genere del ritratto divinizzato, di ispirazione antica, era giá
stato sperimentato da Canova nel Napoleone come Marte
pacificatore. Lo scultore divenne quindi l'interprete per
eccellenza della glorificazione dinastica dei napoleonidi.
Lo stupefacente materasso che sembra affondare sotto il peso
della dea rappresenta una citazione diretta dell’Ermafrodito di
Bernini, mentre la posa della principessa sull’agrippina (la
chaise longue degli antichi) evoca i sarcofagi etruschi e
romani, le Veneri di Correggio, di Tiziano e di Giorgione.
Dal bracciale al giaciglio, dettagli preziosi fanno della Paolina
Borghese un capolavoro da ammirare con calma e attenzione.
Ma è impossibile resistere al fascino della sua superficie
levigata, che il maestro rese ancor più lucente applicando
come finitura la pregiata acqua di rota.
Dopo essere stata trasportata nel Palazzo Borghese di Campo Marzio, la statua di Paolina giunse nel
Casino sul Pincio (oggi Galleria Borghese) nel 1838 e collocata nella sala I, in accordo con i temi narrati
dai quadri riportati sul soffitto con le Storie di Venere e di Enea.
https://www.youtube.com/watch?v=6jzymmbVm78

Il supporto ligneo, drappeggiato come un morbido triclinio antico, ospita all'interno un meccanismo che fa
ruotare la scultura come in altre opere di Canova. Si inverte così il ruolo tra opera e fruitore: è la scultura ad
essere in movimento, mentre l'osservatore fermo viene impressionato dalle immagini sfuggenti di una
scultura da osservare da tutti i lati.

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